CONTRARRE CON L’IMPRESA: PROFILI SOGGETTIVI ED OGGETTIVI
LODOVICA DE STEFANO
CONTRARRE CON L’IMPRESA: PROFILI SOGGETTIVI ED OGGETTIVI
COMMERCIO E DIRITTO COMMERCIALE: ANTEFATTI STORICI
2. LA SOCIETÀ FEUDALE E LA RINASCITA DEL COMMERCIO 3
3. IL DIRITTO COMMERCIALE ALLE ORIGINI 16
4. IL DIRITTO COMMERCIALE NEL PERIODO MERCANTILISTA 27
5. IL PASSAGGIO AD UN SISTEMA OGGETTIVO 38
6. LA COMMERCIALIZZAZIONE DEL DIRITTO PRIVATO E I RAPPORTI TRA IL CODICE CIVILE DEL 1865 E IL CODICE DI COMMERCIO DEL 1882. 46
7. L’UNIFICAZIONE LEGISLATIVA DEL CODICE CIVILE E DEL CODICE DI COMMERCIO 51
8. LA QUESTIONE DELL’AUTONOMIA DEL DIRITTO COMMERCIALE: CENNI. 53
INQUADRAMENTO E STORIA NORMATIVA DEI CONTRATTI DI IMPRESA
1. CRITERI DI INQUADRAMENTO DELLA CONTRATTAZIONE DI IMPRESA 59
2. LA MATERIA DEI CONTRATTI NEL RIGORE DEL CODICE DI COMMERCIO DEL 1882 E DEL CODICE CIVILE DEL 1865. 65
3. IL CODICE CIVILE DEL 1942 E L’INDIVIDUAZIONE DELLA CATEGORIA DEI CONTRATTI COMMERCIALI ALL’INTERNO DEL SISTEMA UNITARIO 68
4. LA RIEMERSIONE DEI CONTRATTI DI IMPRESA. FONTI E CAUSE 74
4.1. LA LEGISLAZIONE SPECIALE 77
4.2. LA LEGISLAZIONE INTERNAZIONALE E COMUNITARIA 86
4.3. IL CODICE DEI CONSUMATORI. CENNI 89
4.4. LA LEX MERCATORIA 96
4.5. I PRINCIPI DI UNIDROIT 101
4.6. IL DIRITTO EUROPEO DEI CONTRATTI. CENNI 106
5. PRIME CONSIDERAZIONI 108
CAPITOLO II
LA CONTRATTAZIONE DI IMPRESA: PROFILI SOGGETTIVI
L‟UGUAGLIANZA SOSTANZIALE NELLA CONTRATTAZIONE DI IMPRESA
1. PREMESSA 109
2. LA RILEVANZA DEI SOGGETTI CONTRAENTI NEI CONTRATTI DI IMPRESA.
................................................................................................................. 114
2.1. LA RILEVANZA DEI SOGGETTI CONTRAENTI NEI CONTRATTI DI IMPRESA.
................................................................................................................. 117
2.1.1. LA NOZIONE DI CONSUMATORE NELLA LEGISLAZIONE 118
2.1.2. … E NELLA DOTTRINA E GIURISPRUDENZA 123
2.1.3. CONCLUSIONI IN TEMA DI CONSUMATORE 134
2.2. BANCA E RISPARMIATORE 135
3. IMPRENDITORE DEBOLE E “TERZO CONTRATTO”. 145
4. ALTRE CONSIDERAZIONI 151
CAPITOLO III PARTE PRIMA
I PROFILI OGGETTIVI DELLA CONTRATTAZIONE DI IMPRESA
L‟UGUAGLIANZA FORMALE NELLA CONTRATTAZIONE DI IMPRESA
1. PREMESSA 159
2. LA FASE PRECONTRATTUALE E I DOVERI DI INFORMAZIONE 161
3. LA FASE CONTRATTUALE 173
3.1. L’ACCORDO: DALL’INCONTRO TRA PROPOSTA E ACCETTAZIONE ALLA DETERMINAZIONE DEL CONTENUTO CONTRATTUALE 173
3.2. LA CAUSA 183
3.3. L’OGGETTO E IL CONTENUTO DEL CONTRATTO 190
3.4. LA FORMA 196
CAPITOLO III PARTE SECONDA
I PROFILI OGGETTIVI DELLA CONTRATTAZIONE DI IMPRESA
L‟UGUAGLIANZA SOSTANZIALE NELLA CONTRATTAZIONE DI IMPRESA
1. PREMESSA 201
2. L’AUTONOMIA NEGOZIALE NEI CONTRATTI DI IMPRESA 203
3. LA BUONA FEDE NELLA CONTRATTAZIONE DI IMPRESA 213
3.1. I PRINCIPI DI BUONA FEDE E DI EQUITÀ E L’INTERVENTO DEL GIUDICE.
213
3.2. IL PROBLEMA DELL’EQUILIBRIO CONTRATTUALE: EQUILIBRIO NORMATIVO ED ECONOMICO. LA GIUSTIZIA CONTRATTUALE 220
3.3. IL FONDAMENTO POSITIVO DELLA GIUSTIZIA CONTRATTUALE 225
3.4. LA BUONA FEDE, L’EQUITÀ E L’EQUILIBRIO CONTRATTUALE NELLA GIURISPRUDENZA 251
3.5. LA CLAUSOLA DI BUONA FEDE COME STRUMENTO PER REPRIMERE L’ABUSO DEL DIRITTO 265
3.6. L’EQUILIBRIO CONTRATTUALE NEI PRINCIPI UNIDROIT E NEI PRINCIPI DI DIRITTO EUROPEO DEI CONTRATTI 275
3.7. CONCLUSIONI 281
4. LE NULLITÀ DI PROTEZIONE 283
CAPITOLO IV
I CONTRATTI DI IMPRESA NELLA CLASSIFICAZIONE DEGLI ATTI GIURIDICI
CONCLUSIONI
1. I CONTRATTI COMMERCIALI: CATEGORIA DI DIRITTO SPECIALE? 299
2. IL CONTRATTO E IL MERCATO 302
BIBLIOGRAFIA 311
COMMERCIO E DIRITTO COMMERCIALE: AN- TEFATTI STORICI
SOMMARIO: 1. Premessa. – 2. La società feudale e la rinascita del commer- cio – 3. Il diritto commerciale alle origini. – 4. Il diritto commerciale nel periodo mercantilista. – 5. Il passaggio ad un sistema oggettivo. – 6. La commercializzazione del diritto privato e i rapporti tra il codice civile e il codice di commercio del 1882. – 7. L‟unificazione legislativa del co- dice civile e del codice di commercio. – 8. La questione dell‟autonomia del diritto commerciale.
1. PREMESSA.
Per poter chiarire se la contrattazione di impresa possa essere considerata una categoria contrattuale autonoma, giustificando così una disciplina giuridica per molti aspetti differenziata da quella dei contratti “civili”, appare opportuno, prima ancora di cercare di darne una definizione, ricercare le ragioni che hanno portato a ritenere per molto tempo il diritto commerciale e i suoi istituti un sistema autonomo e separato dal diritto civile.
In Italia, fino alla riforma del 1942, che ha unificato i due codi- ci, e in molti paesi vicini al nostro (si pensi alla Francia, alla Germania, alla Spagna, etc.), l‟opera di codificazione si è svilup- pata in un codice civile e in un codice commerciale, sul presuppo- sto che il diritto commerciale abbia una disciplina diversa e di- stinta da quella privatistica.
Dopo l‟unificazione dei codici, nel nostro ordinamento l‟espressione “diritto commerciale” è stata ritenuta una formula convenzionale1, per indicare un complesso di norme dirette a re-
1 XXXXX X., (voce) Diritto commerciale, in Enciclopedia del diritto, XII Milano, 1946, 921.
golare una serie di rapporti, anch‟essi individuati convenzional- mente, poiché non sembrerebbe esistere «oggi, in Italia, nell‟ambito del diritto privato, un corpo di norme, organico e au- tonomo rispetto al diritto civile, che possa essere definito, in base a criteri precisi e rigorosi, diritto commerciale»2. Tuttavia, la fre- quenza con la quale si vengono a creare discipline nuove e con- trapposte, che convivono con quelle del tradizionale sistema giu- sprivatistico, porta all‟attenta considerazione che esiste «un diritto detto, nella sua organicità, speciale nei confronti del diritto comu- ne»3.
«L‟unificazione del diritto privato non segna [...] la fine del di- ritto commerciale come “autonoma categoria del diritto priva- to”»4.
Le espressioni “diritto commerciale” e “contrattazione di im- presa”, quindi, sembrano ancora delineare l‟intento di contrappor- re un sistema di norme ispirato a principi diversi da quelli del di- ritto privato comune, in quanto esiste un complesso di norme spe- ciali che non valgono per la generalità dei consociati5.
Nel ripercorrere le tappe del diritto commerciale fin dalle sue origini, l‟indagine storica qui proposta si concentrerà soprattutto sulla evoluzione del commercio e del diritto commerciale nelle
2 JAEGER P.G. - DENOZZA F., Appunti di diritto commerciale, Milano, 2000, 3. Cfr. anche XXXXXXX F., L’imprenditore, Bologna, 1970, 1-4; FER- RARA F. jr., Gli imprenditori e le società, Milano 1952, 14 e ss.. In chiave critica CIAN G., Diritto civile e diritto commerciale oltre il sistema dei co- dici, in Riv. dir. civ., 1974, I, 531.
Sui rapporti tra diritto civile e commerciale si rinvia anche ai lavori di OPPO G., Codice civile e diritto commerciale, in Riv. dir. civ., 1993, I, 221; ID., Le ragioni del diritto: il diritto commerciale, in Riv. dir. civ., 1995, I, 505 e PORTALE G.B., Il diritto commerciale italiano alle soglie del XXI se- colo, in Riv. soc., 2008, 1.
3 ASCARELLI T., Xxxxx xx xxxxxxx xxxxxxxxxxx, Xxxxxx, 0000, 1.
4 CAMPOBASSO G.F, Diritto commerciale, 1, Diritto dell’impresa, Tori- no, 2006, 13.
5 CIAN G., Diritto civile e diritto commerciale oltre il sistema dei codici, cit., 556.
varie epoche e sugli istituti più vicini al campo delle obbligazioni e dei contratti; gli istituti in tema di fallimento e di società, che pure nascono ed evolvono di pari passo con le esigenze richieste dal commercio, saranno, invece, trascurati.
2. LA SOCIETÀ FEUDALE E LA RINASCITA DEL COMMER- CIO.
«Di “diritto commerciale”» – scrive Xxxxxxx – «si può, pro- priamente, parlare solo in rapporto a società nelle quali abbia avu- to vigore uno specifico corpo di norme, avente l‟esclusiva funzio- ne di regolare l‟attività commerciale. Se su questo criterio si è d‟accordo, come si deve essere d‟accordo, si deve ammettere che la civiltà romana, che pur conobbe i traffici commerciali e, anzi, traffici fiorenti, non ebbe un diritto commerciale»6.
Se, quindi, istituti mercantili si conoscono fin dagli inizi della vita sociale, il momento storico in cui nasce il diritto commercia- le, inteso come diritto distinto da quello che regola i rapporti tra privati, è da individuarsi nel Medioevo e, più precisamente,
6 XXXXXXX F., Storia del diritto commerciale, Bologna, 1976, 24. Sul punto anche VIVANTE C., Trattato di diritto commerciale, Torino, 1902, 2; NAVARRINI U., Trattato elementare di diritto commerciale, Torino, 1937, 12-13; VALERI G., Manuale di diritto commerciale, Firenze, 1948, 5 e XXXXX X., Principi di diritto commerciale, Torino, 1928, 4 e ss., il quale concorda con l‟opinione che «in realtà Roma non ebbe un vero diritto commerciale, un diritto cioè speciale al commercio. La giurisprudenza ro- mana, che ebbe così splendida fioritura, e che seppe dar vita a un così per- fetto sistema giuridico, fondamento e base, ancora oggi, del tanta parte del diritto vigente, non creò che poche e sparse norme destinate esclusivamente a regolare rapporti commerciali. I romani, anzi, mancavano di un termine tecnico per designare il “commercio”; la parola commercium indicava la partecipazione ad un atto giuridico di scambio tra vivi; l‟espressione nego- tiatio l‟esercizio di qualunque industria; e il termine “mercatura” il traffico di merci nel senso più stretto. La causa del mancato sviluppo di un diritto commerciale speciale non deve ricercasi nella scarsezza o nella poca im- portanza del commercio romano».
nell‟Europa continentale nel XII secolo7; il fenomeno è da colle- garsi all‟affermazione dell‟economia e della cultura della civiltà comunale, che avverrà all‟incirca un secolo più tardi. La compar- sa del diritto commerciale avviene pertanto in una società ancora dominata dall‟economia curtense8. Quest‟ultima era, generalmen- te, economia di sussistenza: si tendeva a produrre il più possibile all‟interno del feudo in un‟ottica di autoconsumo; oltre alla pro-
7 ASCARELLI T., Corso di diritto commerciale, cit., 4; XXXXXXX F., Sto- ria del diritto commerciale, cit., 25 e ss.; NAVARRINI U., Trattato elementa- re di diritto commerciale, cit., 13; XXXXX X., op. cit., 8 e ss; parzialmente in senso contrario VALERI G., Manuale di diritto commerciale, cit., 6, il quale sostiene che è «per lo meno eccessivo l‟asserire, come si fa dai più, che il diritto commerciale sia sorto durante il medio evo, nella nostra civiltà comunale. L‟elemento di verità, che questa asserzione contiene, sta piutto- sto in ciò, che alla consuetudini mercantili e alla legislazione statutaria, che si sviluppano dopo il mille nell‟Italia nostra, si riconnette direttamente il di- ritto commerciale contemporaneo, anche di quei popoli, che meno sembra- no averne subito l‟influsso, quali l‟anglosassone e il sovietico».
8 L‟economia curtense, la quale aveva avuto qualche precedente nei se- coli della decadenza dell‟Impero occidentale, si afferma in Italia con i Lon- gobardi tra il VII e l‟VIII secolo. La xxxxxx era la vecchia villa-fattoria ro- mana, trasformatasi in fortilizio, che si trovava al centro di un ampio terri- torio coltivato, suddiviso in tanti appezzamenti detti mansi. La famiglia no- bile si stabiliva sulla pars dominica, che veniva coltivata da servi e schiavi del padrone; alla xxxxxx affluivano anche i prodotti dei vari mansi circostan- ti, coltivati da coloni liberi o semi liberi; la vita economica si svolgeva in gran parte attorno alla villa fortificata o ai monasteri.
Il fatto più rilevante, che anticipa la struttura tipica dell‟economia feuda- le dell‟età carolingia, è costituito dal contrarsi della vita economica attorno alla xxxxxx, capace di provvedere alla produzione dei beni di prima necessi- tà; nell‟ambito della piccola comunità gli oggetti venivano scambiati, af- fermandosi così la consuetudine del baratto, tipica delle società primitive e dei momenti in cui la circolazione dei beni diviene difficoltosa e si riduce a zone ristrette e isolate le une dalle altre. Cfr. XXXXXXX X., Storia d’Europa dalle invasioni al XVI secolo, Roma, 2006, e ss. e PADOA-SCHIOPPA A., Il diritto nella storia d’Europa – Il medioevo, parte prima, Padova, 1995, 134 e ss. e per il vincolo del vassallaggio 120 e ss. Sul declino dell‟uso della moneta nell‟alto Medioevo cfr. XXXXXXXX X., Storia economica dell’Occidente Medievale, Bologna, 1987, 56 e ss.
duzione diretta, esistevano anche compiti legati all‟accumulo di derrate alimentari. Anche i prodotti di natura non agricola, come gli utensili e gli attrezzi da lavoro venivano fabbricati all‟interno del feudo utilizzando i materiali a disposizione9.
Le caratteristiche della società feudale sono diretta derivazione della struttura classista che andò delineandosi durante il Basso Impero tra il IV e il V secolo. L‟economia romana dell‟età aurea si era retta grazie al conti- nuo afflusso, dalle regioni conquistate, di metalli preziosi e di schiavi, i quali erano in grado di fornire la manodopera necessaria sia per i lavori a- gricoli sia per le attività di carattere industriale e artigianale. Quando l‟Impero, al momento della sua massima espansione, realizza la pax roma- na, l‟afflusso di schiavi rallenta, e finisce del tutto durante il III e IV seco- lo: le proprietà terriere ed industriali, che si erano sviluppate grazie all‟economia schiavistica, subiscono un duro colpo. Le industrie tendono a rallentare la produzione e i proprietari terrieri a cedere parte dei loro domi- ni a liberi affittuari, ricevendone in cambio un corrispettivo in natura o in denaro10. Da qui nasce il sistema della signoria feudale che varia di natura e intensità (da un impero a limitate proprietà) ma sempre con la stessa natura: la rigida divisione tra classi sociali differenti, con diritti ed obblighi minu- tamente definiti. Per ragioni di necessità, l‟antica autonomia delle ammini- strazioni locali viene meno e il sistema centrale tende a controllare tutti i
9 Il quadro è ben delineato da CIPOLLA C., Storia economica dell’Europa pre-industriale, Bologna, 1974, 168, il quale descrive «un‟Europa povera e primitiva. Un‟Europa fatta di tanti microcosmi rurali – le xxxxxx – larga- mente autosufficienti, la cui autarchia era in parte conseguenza della deca- denza del commercio e in buona parte anche causa. La società era dominata da uno spirito di rinuncia, di sospetto e di paura verso il mondo esteriore. Ci si isolava nell‟autarchia economica delle xxxxxx come ci si chiudeva nella meditazione religiosa dei monasteri».
10 XXXXXXXX X., Storia economica d’Italia. Il Medioevo, Firenze, 1967, 7 e ss. Il terreno agricolo frazionato rende meno delle grandi proprietà sfruttate razionalmente, per cui i proprietari terrieri, che spesso non riesco- no a riscuotere alcun provento dai coloni, usano dividere i loro latifondi in una parte che serve ai lavoratori per il loro sostentamento e in una parte pa- dronale che i coloni si impegnano a lavorare per determinati giorni della settimana ad esclusivo vantaggio del proprietario: si realizza così il model- lo di produzione agricola dell‟età medievale. Cfr. anche POWER E., Vita nel medioevo, Torino, 1966, capitolo I.
meccanismi fiscali e produttivi; a partire da Xxxxxxxxxxx ovunque viene soffocata l‟individualità e tutto viene regolamentato e ordinato in modo ca- pillare, senza riguardo alle esigenze dei singoli, al punto che, per il bene della collettività, tutti i cittadini vengono inquadrati in categorie rigide ed ereditarie. Il passaggio da una ceto ad un altro diventa pressoché impossibi- le; le classi che risentono di più di questo immobilismo sono quelle medie, che vengono private della speranza e della prospettiva di una ascesa socio- economica, assumendo così un atteggiamento passivo e pigro che non con- tribuisce alla ripresa della vita economica11.
Il commercio, pur procedendo senza soluzione di continuità rispetto all‟Impero romano, il quale ebbe una notevole importanza soprattutto per i rapporti con l‟Oriente, è ridotto al minimo – a volte persino interrotto – e l‟uso della moneta quasi del tutto scomparso12. L‟industria, non molto svi- luppata a Roma13, rimane tale anche nel Medioevo, legata al bisogno del piccolo mercato locale e a pochi prodotti aventi una certa importanza per il commercio con terre lontane.
Il diritto, durante questo periodo, è per lo più consuetudinario; una plu- ralità di leggi, che vige contemporaneamente nel medesimo territorio e che si applica in funzione dell‟appartenenza ad un certo ceto o ad una certa et-
11 PADOA-SCHIOPPA A., Il diritto nella storia d’Europa, cit., 00 x XXX- XXXXX X., Xxxxxx economica d’Italia. Il Medioevo, cit., 25. Per i fattori di produzione della vita economica del primo Medioevo, cfr. XXXXXXXX X., op. cit., 33 e ss.
12 Cfr. CIPOLLA C., op. cit.,168 e XXXXXXX H., Storia d’Europa dalle in- vasioni al XVI secolo, cit., 84. Il peggioramento della moneta, che minaccia di sconvolgere tutta l‟economia pubblica e privata, porta alla trasformazio- ne delle moneta metallica in una moneta puramente fiduciaria, a cui si as- segna un determinato valore. Questa trasformazione è frustrata dallo stesso fisco, il quale non accettando più le monete coniate dallo Stato, esige una parte dei pagamenti in natura, LUZZATTO G., Storia economica d’Italia. Il Medioevo, cit., 25.
Per una migliore comprensione del commercio nei secoli XVII e XI si rimanda a XXXXXXX X., Xx xxxxx xxx Xxxxxxxx, Xxxx, 0000.
13 Anche a Roma la regolamentazione dell‟attività industriale si concen- trò nelle mani di associazioni volontarie costituite da tutti coloro che pro- ducevano lo stesso prodotto. Anche se nei collegia romani è già contenuto il carattere mutualistico e monopolistico delle corporazioni medievali, è sia impossibile tracciare una linea ininterrotta tra i due istituti. Cfr. XXXXXXXX X., (voce) Corporazione storia, cit., 669 e ROLL E., Storia del pensiero e- conomico, Torino, 1977, 33.
nia, genera il sistema della personalità del diritto. La caduta dell‟Impero comporta, infatti, un cambiamento nel diritto civile creato dai romani fino ad allora adatto a soddisfare tutte le esigenze, comprese quelle del com- mercio: al diritto romano si sovrappongono un una molteplicità di ordina- menti giuridici diversi, soprattutto di origine germanica; il diritto giustinia- neo (che costituirà la base sulla quale sorse il diritto comune), con la codi- ficazione e la soppressione dell‟istituto pretorio, perde la capacità di adat- tamento del diritto romano classico. A tutto ciò si deve aggiungere la mag- giore influenza che inizia ad avere il diritto canonico14.
I fattori che, nonostante tutto, rendono coesa la società medievale, pro- fondamente divisa in classi e gruppi sociali, sono due15: il primo consiste nell‟universale ineguaglianza degli uomini come condizione naturale lar- gamente accettata e condivisa (i doveri e i privilegi del singolo individuo sono regolati e definiti in rapporto alle caratteristiche politiche del suo sta- to)16; il secondo, strettamente connesso al primo, è da ricercarsi nel ruolo svolto dalla Chiesa, la quale, rimanendo l‟unica istituzione, dopo la disgre- gazione dell‟Impero, aumenta sia il potere spirituale che quello temporale. La sua estesa proprietà terriera la rende il più grande dei signori feudali del tempo, così che essa, nel suo aspetto temporale, diviene una delle più im- portanti istituzioni economiche17; inoltre, rispetto alle signorie feudali che mancano di qualsiasi vincolo di unità nazionale, la Chiesa possiede
14 PADOA-SCHIOPPA A., Il diritto nella storia d’Europa, cit., 150 e ss. e XXXXX X., op. cit., 9 e ss.
15 Cfr. ROLL E., op. cit., 33 e anche XXXXXX R.H., Religion and the Rise of Capitalism, Milano, 1945, 19, il quale conclude che la società medievale fu spesso paragonata al corpo umano, e come esso le varie classi sociali e- rano congegnate in modo da far progredire la società sostenendosi a vicen- da. L‟analogia implicava che il buon cristiano doveva essere contento dello stato in cui era venuto a trovarsi e lo sforzo di cambiare quello stato lo di- stoglieva dalla giusta via.
16 «Come potrebbe avere valore la libertà per gli uomini la cui esistenza è garantita soltanto dal posto che occupano sulla terra e sotto la giurisdizio- ne del signore, e la cui sicurezza, da quel momento in poi è tanto più gran- de quanto più intimamente sono incorporati nella proprietà?», XXXXXXX H., Storia d’Europa dalle invasioni al XVI secolo, cit., 85. Cfr. anche LAN- DRETH H. - XXXXXXXX X., Storia del pensiero economico, Bologna, 1996, 55.
17 XXXXXXXX X., Storia economica d’Italia. Il Medioevo, cit., 53 e ss.; ROLL E., op. cit., 33.
un‟unità ideologica e un diritto – quello canonico – che le conferisce un po- tere universale18.
La combinazione di potere secolare e di potere spirituale comporta, così, una armonia tra le dottrine della Chiesa e il modo di vivere nella società feudale: il riconoscimento unanime del potere della Chiesa permette a quest‟ultima di avere la capacità di ordinare tutta la sfera dell‟attività uma- na; le regole dettate sull‟etica e sul buon comportamento devono essere os- servate sia nella conduzione degli affari, sia nelle altre attività per poter raggiungere la salvezza spirituale19. Bisogna, peraltro, sottolineare che le dottrine morali ed economiche degli ecclesiastici non possono dirsi del tut- to inadeguate nella misura in cui hanno assicurato il contenimento dei con- flitti e una qualche forma di temperamento alle prevaricazioni sulle classi deboli20. Concetti economici e dogma cristiano, arricchito dall‟insegnamento di Xxxxxxxxxx00, inducono ad adeguare l‟attività economi-
18 Il progressivo imbarbarimento seguito dalle invasioni tra il V e il VI secolo non aveva risparmiato neanche la Chiesa romana e le sue gerarchie, che avevano risentito della generale decadenza economica, civile e spiritua- le. Nonostante questi gravi limiti, la Chiesa continuò a mantenere una or- ganizzazione amministrativa che mancava allo Stato; mentre l‟istruzione laica scompariva, i vescovi si preoccuparono di far funzionare i seminari, al cui interno si istruivano giovani che sapessero leggere e scrivere. Questi fu- rono gli intellettuali del tempo, i quali, nella generale ignoranza, mantenne- ro viva una certa tradizione culturale; in tal modo il prestigio del clero cat- tolico non fu soltanto prestigio spirituale tipico di ogni classe sacerdotale, ma anche prestigio intellettuale, tanto che i principi e i sovrani finirono spesso con l‟affidare affari di stato agli uomini della Chiesa, ai cosiddetti chierici. Sul punto XXXXXXX H., Storia d’Europa dalle invasioni al XVI se- colo, cit., 53 e ss.
19 XXXXXXXXXX X., Storia del pensiero economico, Milano, 1993, 31; ROLL E., op. cit., 33.
20 ROLL E., op. cit., 33; XXXXXXXX X. - COLANDER D., op. cit., 55 e 62;
XXXXXXXXXX R., op. cit., 32. Sulla funzione unificatrice della Chiesa, si veda anche XXXXXX O., La storia del pensiero economico italiano, Roma, 2008, 141 e ss.
21 La parte del pensiero economico più vicina a quello di Xxxxxxxxxx si basava sui principi della teologia cristiana che condannava l‟avarizia e l‟avidità, subordinando il possesso materiale dell‟individuo sia ai diritti de- gli altri uomini, sia alla necessità di salvezza nell‟aldilà. Così la Chiesa po- té condannare pratiche economiche che favorivano lo sfruttamento e l‟ineguaglianza e predicare l‟indifferenza alle miserie di questo mondo,
ca ad alcuni modelli elaborati dai filosofi e dai moralisti; l‟imperfetta natu- ra dell‟uomo, che rende inevitabile l‟ineguale distribuzione dei beni, porta a sostenere che la proprietà privata, condannata in molti passaggi biblici, non è in contrasto con la legge naturale, ma un male necessario da usare so- lo durante la vita terrena.
Anche in relazione all‟attività economica, ci si rifà ad Xxxxxxxxxx il quale propose una distinzione tra valore d‟uso e valore di xxxxxxx00. Dalla con- danna del filosofo greco dell‟avarizia e dell‟avidità, gli scolastici fanno di- scendere il principio secondo cui il commercio distoglie gli uomini da Dio: la dottrina diffusa dalla Chiesa durante l‟alto Medioevo è che “nullus chri- stianus debet esse mercator” 23.
In questo periodo l‟economia è regolata da un complesso di leggi, non scientifiche, ma morali. Gli scritti degli scolastici mostrano la lotta per con- ciliare l‟insegnamento religioso con il lento progredire dell‟attività econo- mica e la graduale accettazione di alcuni aspetti di tale attività24. In conclu- sione, l‟organizzazione economica dell‟epoca è e resta prettamente agrico- la, il commercio è poco praticato sia per la difficoltà dovuta a pochi sboc-
giustificando le ineguali condizioni nel disegno divino. In Politica, I, 10 di Xxxxxxxxxx si legge: «Il commercio al minuto è contro natura..., esso è un mezzo per cui gli uomini guadagnano uno a scapito dell‟altro. Il più odioso di questo genere di scambi è... l‟usura, che trae guadagno dal denaro stesso, e non dall‟uso naturale di esso. Poiché il denaro è destinato ad essere stru- mento di scambio, e non il padre dell‟interesse. Questa usura (tokos), che fa nascere denaro dal denaro..., è il peggior modo di guadagnare contro natu- ra».
22 ROLL E., op. cit., 22; XXXXXXXX X. - COLANDER D., op. cit., 58. Il filo-
sofo greco (Politica, I, 9) sostiene che ogni proprietà ha due usi, entrambi inerenti alla cosa: il valore d‟uso, proprio della cosa e il valore di scambio, che non le è proprio, ma non per questo innaturale. Ciò che è innaturale è l‟arte di far denaro. Lo scambio tra beni (o la vendita di un bene contro de- naro, quale mezzo indiretto di scambio) è naturale finché diretto alla soddi- sfazione dei bisogni, diventa innaturale quando l‟unica ragione di scambio diventa l‟accumulazione della moneta.
23 Xxxxxxxxxxx, De idolatria, capitolo XI, sostiene che per eliminare l‟avidità bisogna eliminare la ragione di guadagno e, quindi, l‟idea stessa di commercio: «e a un servo di Dio è lecito trafficare? Se si deve tener lonta- no da ogni desiderio, nel quale risiede la ragione di acquistare, qualora venga meno la ragione di procedere all‟acquisto, non vi sarà quindi motivo di negoziare».
24 XXXXXXXX H. - COLANDER D., op. cit., 57.
chi commerciali, sia perché la ricerca del profitto è estranea alla mentalità dell‟epoca: si produce quanto basta al sostentamento e nulla di più, dell‟eccedenza non si sa che cosa fare. Si diventa commercianti più per oc- casione che per professione25.
L‟unione tra morale e economia, pur non essendo facile, si conservò finché non cominciarono a scorgersi nuove forze economiche26. Più tardi nello stesso Medioevo, l‟urbanesimo, la riapertura dei traffici e l‟espansione dei mercati porranno in contrasto le idee degli scolastici sulla proprietà e sul commercio con un sistema economico tendente a un mag- giore sviluppo degli scambi commerciali. L‟intransigenza della Chiesa non poteva così perdurare27.
Il diritto commerciale nasce quando nella civiltà feudale, basa- ta su una economia di produzione agraria, si manifesta una nuova organizzazione, intesa alla produzione di merci e allo scambio di derrate agricole e di altri prodotti28.
Le sole ragioni economiche non sono, però, sufficienti a spie- gare la comparsa del diritto commerciale in un contesto culturale caratterizzato da scambi limitati e avverso al commercio29; le cau- se del fenomeno sono da ricercare anche in eventi sociali e politi- ci30. Alla base del nuovo corso storico sta il rilancio dell‟agricoltura, attività produttiva fondamentale nell‟alto Medio- evo, il cui sviluppo, dovuto soprattutto al reperimento di nuove fonti di energia, è dato anche dalla relativa stabilità politica e
25 XXXXXXX X., Storia d’Europa dalle invasioni al XVI secolo, cit., 157 e
ss.
26 XXXXXXX X., Profilo di storia economica dell’Europa dal medioevo
all’età contemporanea, Torino,1997, 111; ROLL E., op. cit., 34.
27 ROLL E., op. cit., 35. Sul pensiero economico di questo periodo in ge- nerale XXXXXX O., op. cit., 141.
28 XXXXXXXX B., La categoria del diritto commerciale, in Riv. soc., 2002, I, 1.
29 XXXXXXX F., Storia del diritto commerciale, cit., 29 riporta l‟idea di XXXXXXX, Le città del Medioevo, 34 e ss., secondo cui la scomparsa del commercio nell‟alto Medioevo è dovuta alla chiusura degli sbocchi sul ma- re per le dominazioni dell‟Islam e dei Normanni; si riprese a commerciare quando tali vie si riaprirono.
30 XXXXXXX F., Storia del diritto commerciale, cit., 25 e ss.
dall‟incremento demografico conseguiti nell‟Europa durante il X secolo31. L‟aumento della produttività, causato da nuove tecniche, le quali permettono di ottenere risultati migliori a parità di lavoro
– il doppio, o anche il triplo della produzione – provoca trasfor- mazioni sociali non solo di ordine quantitativo ma anche qualita- tivo: l‟intera struttura dell‟economia curtense si dissolve e si tra- sforma in economia mercantile32.
L‟aumento della produzione agricola, infatti, porta ad avere una eccedenza di prodotti disponibile per gli scambi e una so- vrabbondanza di forza lavoro, fino ad allora assorbita per intero dalla coltivazione, ed ora disponibile per le attività artigianali e commerciali33. Le condizioni – assenti in passato – per la nascita
31 FOURQUIN G., op. cit., 145 e ss.
32 I signori non ebbero più bisogno di impiegare tutti i loro servi per la coltivazione della pars dominica e furono indotti a modificare le modalità dello sfruttamento servile: talvolta essi usarono la mano d‟opera eccedente per coltivare nuovi terreni; più spesso, in luogo delle tradizionali prestazio- ni e corvées, cui rinunciavano, si fecero pagare dai servi delle tasse in natu- ra o in denaro. Si ottenne così un surplus, non necessario per la semplice sussistenza e disponibile per lo scambio: le derrate agricole, in altri termini, si trasformarono in merci che potevano essere scambiate con altre merci o con denaro. Ciò comportava che la xxxxxx cominciasse a perdere il suo ca- rattere essenziale di unità economica chiusa e autosufficiente e si aprisse invece a sempre nuovi rapporti con il mondo circostante. Sul rilancio dell‟agricoltura vedi CIPOLLA C., op. cit., 171 e 289 e ss. e XXXXX R., La ri- voluzione commerciale del Medioevo, Torino, 1974, 36 e ss., entrambi gli autori sottolineano come l‟aumento della produzione agricola fosse neces- sariamente accompagnata dal perfezionamento delle tecniche agricole; PI- RENNE H., Storia d’Europa dalle invasioni al XVI secolo, cit., 178 e ss., il quale rileva anche che la trasformazione dei contadini da servi a cittadini liberi è avvenuta senza rivolte, ma come diretta conseguenza della ripresa del commercio e della nascita delle città.
33 XXXXX X., op. cit., 73: «Finché i contadini erano a malapena in grado di assicurare la propria sussistenza e quella dei loro signori, ogni altra atti- vità era ridotta al minimo. Quando le eccedenze alimentari cominciarono ad aumentare, un maggior numero di persone ebbe la possibilità di dedicar- si a funzioni di governo e alle attività religiose e culturali. Le città si risol- levarono dalla prolungata depressione; mercanti e artigiani non si limitaro-
di nuovo ceto, quello dei mercanti, sono così generate dalla stessa crisi interna del sistema feudale e dal declino dell‟economia cur- tense, che permisero una nuova apertura dei traffici verso l‟esterno34. L‟origine del diritto commerciale deve, inoltre, colle- garsi alla formazione e affermazione della borghesia costituita da mercanti, la quale diventa classe non solo economicamente ma anche politicamente attiva e, quindi, capace di esercitare un‟influenza sulla regolamentazione normativa dei rapporti com- merciali35.
no più a fornire una piccola quantità di beni di lusso ai ricchi e pochi generi di necessità alle comunità agricole. Da questo punto di vista, è giusto dire che il decollo della rivoluzione cominciò in campagna».
34 XXXXXXX F., Storia del diritto commerciale, cit., 30. XXXXXXX H., Sto- ria d’Europa dalle invasioni al XVI secolo, cit., 163, sulle origini dei mer- canti che scrive «gli antenati dei mercanti sono poveri, vale a dire gente senza terra, la massa fluttuante che batte il paese, che offre la propria opera per la mietitura, che insegue le avventure, i pellegrinaggi. […] Gente che non ha terra è gente che non ha niente da perdere, e gente che non ha niente da perdere ha tutto da guadagnare. Gente che non ha terra è gente di ventu- ra, che fa affidamento soltanto su di sé e che niente spaventa. È anche gente ricca di risorse, che ha viaggiato, che conosce lingue e usanze diverse, e che la povertà rende intraprendente». Ma vedi anche XXXXXXX H., Le città del Medioevo, cit., 73 e ss.
35 XXXXXXXXXXX X., Storia universale del diritto commerciale, Torino, 1913. XXXXXXX H., Le città del Medioevo, cit., 115 e ss., e in particolare, a pag. 128, si legge che «la borghesia appare, a poco a poco, come una classe distinta e privilegiata tra la popolazione del contado. Da semplice gruppo sociale dedito all‟esercizio del commercio e dell‟industria, essa si trasforma in un gruppo giuridico riconosciuto come tale dal potere principesco. E questa condizione giuridica propria deriverà necessariamente la concessio- ne di un‟organizzazione giudiziaria indipendente. Al nuovo diritto occorre- va come organo un tribunale nuovo». Si veda anche XXXXXXX F., Storia del diritto commerciale, cit., 26, PADOA-SCHIOPPA A., Il diritto nella storia d’Europa, cit., 220 e ss. e LUZZATTO G., Storia economica d’Italia. Il Me- dioevo, cit., 148 e ss
I primi mercanti sono per la maggior parte itineranti, ma la ge- nerazione successiva comincia a stabilizzarsi nelle città36; ciò ac- cade quando il commercio diventa una pratica ordinaria e non più una occupazione legata all‟occasione e alla possibilità37. Avviene così che, attorno alle vecchie città romane nate in luoghi partico- larmente favorevoli per la circolazione degli uomini e delle merci, si formino nuovi borghi, dove si stabiliscono uomini di varia pro- venienza. Quale che sia la loro origine, gli abitanti dei borghi hanno in comune il tipo di attività, non più legata, se non margi- nalmente, alla coltivazione dei campi, ma all‟artigianato e al commercio. L‟una accanto all‟altra coesistono, non sempre paci- ficamente, due società diverse, inizialmente anche divise nello spazio: la campagna in cui risiedono nobili e contadini, la cui vita è incentrata sull‟agricoltura; la città la cui vita gravita intorno al mercato o al porto, dove risiedono artigiani, commercianti e in generale tutti i lavoratori addetti alle nuove attività. I borghi, e con il tempo le intere città, fra il Mille e la metà del XII secolo diventano sempre più un corpo estraneo ed ostile al mondo feuda- le che li circonda38. Le città spezzano progressivamente l‟economia curtense, introducendo nelle campagne l‟economia monetaria.
36 XXXXXXX F., Storia del diritto commerciale, cit., 30 e ss.; XXXXXXX H., Le città del Medioevo, cit., 92, e Storia d’Europa dalle invasioni al XVI se- colo, cit., 166 e ss.
37 La crescita e lo sviluppo delle città è da collegarsi allo sviluppo dell‟agricoltura, il quale comportò, oltre quanto già detto, un incremento demografico; sulla nascita e l‟evoluzione dei nuovi borghi cfr. CIPOLLA C., op. cit., 173 e ss. e più in generale XXXXXXX H., Le città del Medioevo, cit.
38 «La città si distingue nettamente dalla campagna. Materialmente, già ne è staccata, al riparo del suo fossato e delle sue porte. Giuridicamente, è un altro mondo. Nel momento in cui si mette piede dentro la cinta muraria ci si inserisce in un diritto nuovo, come oggi quando si passa da uno Stato all‟altro. Economicamente esiste lo stesso contrasto. Non solo la città è il luogo del commercio e d‟industria, ma non esistono commercio e industria se non in città. Ovunque è proibito esercitare queste attività in campagna», XXXXXXX H., Storia d’Europa dalle invasioni al XVI secolo, cit., 177.
La “rivoluzione commerciale”, che ha inizio a partire dal IX secolo, fu, in parte, rivoluzione delle tecniche negoziali. Quest‟aspetto risulta, tuttavia, meno appariscente perché si svi- luppa con lentezza anche per l‟influenza contrastante della Chie- sa, il cui potere è ancora molto forte. Lo sviluppo economico complessivo, e il progresso delle tecniche commerciali in partico- lare, è rallentato dai precetti morali della Chiesa39.
Il nuovo xxxxx xxxxxxxx, xxxxxxxxxxx x xxxxxxxxxxx xxx xxxxx Medioevo, modifica profondamente le strutture economiche del periodo precedente. Gli accresciuti redditi delle classi elevate spingono ad aumentare le spese: esse non chiedono più, semplicemente, maggiori derrate alimentari, ma vo- gliono soddisfare esigenze più complesse. L‟accresciuta domanda fa sì che il numero dei commercianti aumenti proporzionalmente e si dedichino al commercio anche i cristiani (mentre nell‟alto Medioevo esso era di fatto quasi esclusivamente riservato agli ebrei, in quanto la Chiesa induceva a ri- fuggire il commercio)40.
In questo periodo, sebbene alcuni scolastici continuino a condannare il commercio, si diffonde la tendenza, grazie soprattutto al pensiero di Xxx Xxxxxxx x‟Xxxxxx, a conciliare il dogma cristiano con le nuove condizio- ni oggettive della vita economica41. Egli, relativamente alla proprietà priva- ta, condanna la concezione estremamente liberale del diritto romano, che comincia a riaffermarsi, e concilia la distinzione aristotelica della proprietà tra facoltà d‟acquisto e facoltà d‟uso con le nuove esigenze dell‟epoca: pur sostenendo che i beni temporali appartengono a ciascuno, ritiene che l‟uso non deve essere solo del proprietario ma anche di altri in caso di bisogno. In tal modo non la proprietà in sé, ma il modo di usarla, determina se essa sia condannabile o meno. Anche relativamente al commercio San Tomma- so, condivide l‟opinione aristotelica che non lo considera né buono, né na- turale; tuttavia, riconoscendo l‟utilità dei mercanti, ritiene che esso sia un male necessario42. Rendendosi conto della sua necessità, afferma che è pos- sibile svolgere un‟attività commerciale senza peccato quando i mercanti
39 XXXXXXXX X., op. cit., 309 e XXXXX X., op. cit., 9.
40 XXXXX X., op. cit., 117 e ss.
41 Per una migliore comprensione del pensiero di Xxx Xxxxxxx x‟Xxxxxx, da cui peraltro si è tratto quanto segue, si rimanda a LANGHOLM O., L’ economia in Xxxxxxx x’Xxxxxx, Milano, 1996.
42 XXXXXXXXXX X., op. cit., 37.
sono onesti, cioè quando non viene ricercato il profitto comprando a poco e rivendendo a caro prezzo senza miglioramenti né modifiche. Lo scambio, osserva san Xxxxxxx, è stato istituito per il comune vantaggio di entrambe le parti, che hanno bisogno l‟una dei prodotti dell‟altra. Il commercio è le- gittimo solo se lo scambio effettuato è giusto, vale a dire se ciò che è dato e ricevuto sono dello stesso valore; viene così introdotto il concetto di “giu- sto prezzo”43. I teologi di allora non elaborano una vera e propria teoria del “giusto prezzo” 44: da alcuni, si riprende l‟idea di Xxxxxxxxxx secondo cui dovrebbero essere scambiati beni che contengano la stessa quantità di lavo- ro, mentre, secondo altri, il “giusto prezzo” andrebbe ricondotto alla nozio- ne di utilità; per altri, infine, esso è fondato sul costo di produzione. In ogni caso, la concezione di “giusto prezzo” è diretta ad impedire un arricchi- mento per mezzo del commercio; il diritto civile, con i suoi fondamenti romani, permette infatti di vendere beni a un prezzo superiore a quello che essi realmente valgono, a meno che la differenza sia palesemente irragio- nevole. Ma la legge divina, dice xxx Xxxxxxx, non lascia impunito ciò che è contrario alla virtù e, pertanto, è essenziale insistere sulla necessità di de- terminare il giusto prezzo con la massima precisione. In definitiva, il com- mercio per la società medievale può essere giustificato solo se diretto al bene comune, assicurando un vantaggio per entrambe le parti.
L‟idea del “giusto prezzo”, a prescindere dagli argomenti etici, non è per la realtà dell‟epoca un‟idea inattuabile: l‟economia, basata ancora in prevalenza sull‟agricoltura e sui bisogni primari, non si presta a essere la-
43 XXXXXXX H., Le città del Medioevo, cit., 85, il quale sostiene tuttavia che questo atteggiamento della Chiesa fu anche benefico. «Esso ebbe – scrive XXXXXXX – certamente come risultato di impedire che la passione del guadagno si espandesse senza limiti; protesse in certa misura i poveri dai ricchi, i debitori dai creditori. Il flagello dei debiti, che nell‟antichità greca e nell‟antichità romana si abbatté così pesantemente sul popolo, fu rispar- miato alla società del Medioevo e si può credere che la Chiesa contribuì molto a questo felice risultato. Il prestigio universale di cui godeva agì da freno morale. Se non fu abbastanza potente per sottomettere i mercanti alla teoria del giusto prezzo, lo fu abbastanza da impedire loro di darsi senza rimorsi allo spirito di lucro». Per l‟etica e la giustizia dello scambio, anche per i compensi di lavoro, nelle opere di xxx Xxxxxxx x‟Xxxxxx cfr. LAN- GHOLM O., op. cit., 52-61.
44 In generale sull‟idea di guadagno onesto cfr. XXXXXXX X., Il capitali- smo moderno, Torino, 1967, 345. Sulla nozione di giusto prezzo nella sco- lastica si veda invece XXXXXXXX H. - COLANDER D., op. cit., 59; XXXX E., op. cit., 36.
sciata al libero gioco della domanda e dell‟offerta45. I progressi del com- mercio, tuttavia, cominciano a rendere necessario il graduale abbandono delle posizioni assunte in principio dalla Chiesa. Già xxx Xxxxxxx, infatti, ammette che ulteriori fattori determinano il “giusto prezzo”, chiarendo che i beni implicati nello scambio vengono gerarchizzati e valutati nella sfera economica46. Xxx Xxxxxxx spiega che l‟accordo sui rapporti di cambio, sia nel baratto che nello scambio indiretto, è determinato dall‟indigentia, che è una quantificazione del bisogno o della domanda. Nell‟accettare l‟indigentia come fattore determinante del prezzo, la pratica di rivendere a prezzo maggiorato è giustificata non solo se nel trasporto o nel migliora- mento materiale si generano rischi od ulteriori costi, ma anche se i prezzi cambiano a seconda del luogo e del tempo (quello che oggi è definito flut- tuazione di mercato).
3. IL DIRITTO COMMERCIALE ALLE ORIGINI.
La vita economica, con lo sviluppo di traffici commerciali, an- che a livello internazionale, esige, non solo visioni più aperte sul commercio, ma anche tecniche giuridiche alle quali il diritto ro- mano comune e il diritto canonico risultano inadeguati; questa nuova società fondata sulla ricchezza mobiliare e sulla libera ini- ziativa commerciale, necessita così della creazione di un nuovo sistema di norme. Da qui l‟affermarsi di un autonomo diritto a- vente per oggetto la disciplina di questi nuovi interessi e rapporti economici, che si pone, di conseguenza, in rapporto di concorren- za con gli altri diritti particolari47.
Il diritto commerciale è in origine ius mercatorum: «diritto creato direttamente dalla classe mercantile, senza mediazione del- la società politica, diritto imposto nel nome di una classe, non già nel nome dell‟intera collettività»48, necessario al solo fine di rego- lare l‟attività dei mercanti. Le fonti di questo nuovo diritto sono la
45 ROLL E., op. cit., 37.
46 LANGHOLM O., op. cit., 61 e ss.
47 FERRI G., op. cit., 921; XXXXXXX F., Storia del diritto commerciale,
cit., 39.
48 XXXXXXX F., Storia del diritto commerciale, cit., 37.
consuetudine mercantile, la giurisprudenza della curia dei mer- canti e gli statuti delle corporazioni49.
L‟affermazione di un diritto commerciale distinto dal diritto civile comune è in buona parte dovuta alla giurisdizione autono- ma, che assicurò alle consuetudini dei mercanti una tutela effica- ce; «si ebbe, così, una vera giurisdizione consolare, da cui lo svi- luppo autonomo del diritto commerciale trasse notevole impulso. Le decisioni dei consoli, infatti, non solo servivano a dar forma concreta alle consuetudini, ma, mediante il lavoro di interpreta- zione e di adattamento delle varie norme, consuetudinarie e legi- slative, vigenti, concorrevano efficacemente alla formazione e alla evoluzione degli istituti giuridici commerciali»50. Affermandosi come diritto autonomo di classe, frutto della emancipazione dalla economia curtense, creato dalla consuetudine dei mercanti e con una giurisdizione speciale fondata sull‟autonomia corporativa, il diritto commerciale è applicabile secondo un criterio soggettivo51; infatti, le sue caratteristiche sono da individuarsi nell‟autonomia – essendo composto da regole che gli stessi mercanti si davano per
49 Cfr. anche ASCARELLI T., Corso di diritto commerciale, cit., 8; SPADA P., Diritto commerciale, I, Parte Generale, Padova, 2004, 4; PADOA- SCHIOPPA A., Il diritto nella storia d’Europa, cit., 228 e ss.; XXXXX A., op. cit., 10 e ss.; «Negli statuti confluivano vari materiali normativi: il giura- mento dei mercanti, eletti consoli dalla corporazione, contenete il pro- gramma del loro mandato; le deliberazioni del consiglio formato dai mer- canti anziani, quelle dell‟assemblea generale dei mercanti, e ancora i prin- cipi consolidati della consuetudine e della giurisprudenza mercantile, men- tre una apposita magistratura di mercanti, detti statutari, provvedeva alla compilazione degli statuti e al loro aggiornamento. Le consuetudini nasce- vano dalla costante pratica contrattuale dei mercanti: il modo di contrattare da essi reputato vantaggioso diventava diritto, le clausole contrattuali si tra- sformavano, una volta generalizzate, in contenuto legale del contratto. An- xxxx xxxxxxxx, designati dalla corporazione componevano i tribunali che decidevano le controversie commerciali», XXXXXXX F., Storia del diritto commerciale, cit., 38.
50 XXXXX X., op. cit., 11 e ss.
51 ASCARELLI T., Corso di diritto commerciale, cit., 9.
proteggere i propri interessi – e nel formalismo – essendo applica- to solamente a coloro che esercitavano il commercio52.
L‟originario mercante, che rompe l‟immobilità dell‟economia feudale sollecitando scambi e baratti fra prodotti acquistati in luo- ghi diversi, viene poco per volta sostituito dal mercante che orga- nizza la stessa produzione; esistono così due categorie di mercan- ti: il piccolo mercante, che nella sua bottega vende al minuto ad una clientela ristretta, ed il grande mercante che vuole partecipare con il proprio capitale al traffico internazionale. Il grande mercan- te e il commercio internazionale comportano l‟esigenza della con- tinua disponibilità di denaro e l‟insorgere dei flussi finanziari, nonché la necessità dell‟affidamento dei rapporti contrattuali e delle prime organizzazioni di xxxxxxx00. Xxxxxx, soprattutto, la nozione stessa di ricchezza: essa non è più misurata in base ai
52 Solo i commercianti che avessero fatto dichiarazione solenne di ade- sione alla Corporazione, ottenendo l‟iscrizione al registro delle imprese dei mercanti abilitati (detto matricula mercatorum) potevano adire alla magi- stratura mercantile, secondo un criterio soggettivo. Proprio i limiti di com- petenza di questa magistratura fanno sì che il diritto commerciale prenda quel requisito di specialità nei confronti del diritto comune. I consoli, infat- ti, inizialmente, avevano il potere di decidere solo le controversie sorte fra i commercianti iscritti alla matricula e pertanto il diritto commerciale era applicabile solo a quest‟ultimi. Cfr. XXXXXXXXX X., Corso di diritto com- merciale, cit., 7 e SPADA P., op. cit., 4.
53 XXXXXXXX B., op. cit., 1; XXXXXXX C., op. cit., 228; LUZZATTO G., Sto-
ria economica d’Italia. Il Medioevo, cit., 230 e ss. Si veda anche XXXXXXX F., Storia del diritto commerciale, cit., 33, il quale sottolinea che «alla cre- scente potenza economica del capitale commerciale si accompagna, all‟interno del comune, l‟ascesa politica della classe mercantile. […] La po- litica del comune è, in ogni caso, resa funzione alle esigenze di accumula- zione del capitale commerciale (della quale rende partecipe, dove è neces- sario, la classe nobiliare): alla nuova istituzione politica si domanda, so- prattutto, di mantenere ferme le condizioni obbiettive della accumulazio- ne».
possedimenti terrieri, ma è valutata in denaro o in beni valutabili in denaro54.
La maggiore consistenza economica e sociale che via via ac- quisisce il commercio e l‟industria, portano alla creazione di cor- porazioni artigiane e mercantili le quali si dettano regole per l‟accesso al settore con minuziose discipline interne55. La corpo- razione dei mercanti, con i propri statuti, stabilisce una regola- mentazione normativa dei rapporti commerciali, la quale finisce col tempo per diventare vincolante non solo per i propri membri – inclusi gli artigiani – ma anche per i terzi (anche non mercanti) che vengono in contatto con essa56. Le fiere e la diffusione in ogni paese degli agenti delle compagnie mercantili, d‟altro canto, con- tribuiscono nel dare al diritto dei mercanti un carattere internazio- nale uniforme57.
Le esigenze dell‟attività mercantile fanno sì che il nuovo diritto commerciale innovi profondamente la disciplina fino ad allora dettata per il contratto e per le obbligazioni nascenti da contratto; d‟altra parte, lo sviluppo dei contratti commerciali ha una rilevan- za decisiva nella storia del commercio58. Per il diritto romano, ba- sato sulla conservazione della ricchezza, il diritto di proprietà è stato lo strumento principe ed il contratto un mezzo – attraverso la
54 XXXXXXX H., Le città del Medioevo, cit., 148 e LUZZATTO G., Storia economica d’Italia. Il Medioevo, cit., 117.
55 Secondo alcuni storici il fattore originario idoneo a spiegare il feno- meno corporativo fu di natura egoistica. Sarebbero stati gli stessi artigiani a creare, agendo come un cartello, le corporazioni al fine di eliminare la con- correnza. In ogni caso sono tutti concordi nel negare ogni continuità tra i collegia dell‟epoca romana e le corporazioni, che furono una creazione del basso Medioevo, cfr. XXXXXXXX X., op. cit., 285 e ss. e anche XXXXXXXXXX R., op. cit., 30. ASCARELLI T., Corso di diritto commerciale, cit., 5 e ss.
56 XXXXXXX F., Storia del diritto commerciale, cit., 37; PADOA SHIOPPA A., Saggi di storia del diritto commerciale, Milano, 1992, 11-62.
57 ASCARELLI T., Corso di diritto commerciale, cit., 10.
58 XXXXX R., op. cit., 94. Ma vedi anche XXXXXXXXX V. - LUMINOSO L.
(a cura di), Contratti d’impresa, Milano, 1993, 61 e ss.; XXXXXXXX X. - XXXXXXX X., Xxxxxxxxx xxxxxxxxxxx, Xxxxxx, 0000.
disposizione del patrimonio – per raggiungere la stabilità e la si- curezza economica mediante l‟acquisto e il godimento dei beni, soprattutto quelli immobili; per lo ius mercatorum, basato invece sulla accumulazione, il contratto serve per ricercare il profitto. Il contratto, in questa nuova ottica, ha la funzione di soddisfare non tanto il diritto di proprietà, quanto l‟affare: l‟esigenza del mercan- te, infatti, non è quella di utilizzare il proprio patrimonio per au- mentare i propri possedimenti, ma quella di utilizzare il denaro per ricavarne altro59.
In questo periodo nascono nuovi tipi di contratto o vengono ri- presi quelli del diritto greco-romano, come il prestito marittimo, nel quale, al pari del prestito ordinario, viene data in prestito una somma di denaro comportante un tasso di interesse; la durata del contratto è limitata al solo viaggio e la restituzione della somma viene esclusa qualora la spedizione non vada a buon fine – in caso di naufragio o attacco nemico – ma, in caso contrario, è previsto un premio. La liceità di tale istituto viene giustificata sostenendo che l‟interesse nel prestito marittimo non è usura, ma quello che oggi noi chiamiamo premio assicurativo. Dal prestito marittimo, nasce poi il moderno contratto di assicurazione, che inizia ad es- sere praticato già nel XIII secolo60. Le esigenze del commercio, successivamente, richiedono una collaborazione più stretta tra co- lui che fornisce il capitale e colui che si impegna nell‟attività commerciale; questa esigenza viene soddisfatta dai contratti asso- ciativi, come la commenda, che consentiva di unire i vantaggi del prestito marittimo (durata limitata, nessuna responsabilità nei con- fronti dei terzi di colui che forniva il capitale) al contratto di so- cietà (divisione dei profitti e delle perdite); da questo contratto de- riva l‟associazione in partecipazione e la società in accomandita semplice61. I contratti menzionati – e quelli trascurati tra cui la rogadia, con cui un mercante si impegnava a trasportare e, a vol-
59 XXXXXXX F., Storia del diritto commerciale, cit., 40 e ss.
60 XXXXX X., op. cit., 98, XXXXXXX G., op. cit., 211 e ss. e XXXXXXXXX X.,
Corso di diritto commerciale, cit., 9.
61 Vedi nota precedente e anche CIPOLLA C., op. cit., 228-229.
te, vendere le merci di un altro mercante, a cui fece seguito il con- tratto di commissione, e la compagnia, una specie di società in nome collettivo62 – sono tutti contratti che prevedono un‟operazione creditizia; da ciò si deduce che il credito comincia ad avere, nel sistema economico, una posizione sempre più rile- vante rispetto al passato.
Lo sviluppo dell‟attività mercantile richiede che, sul terreno degli atti, il formalismo tipico dell‟economia agraria ceda il passo alla libera creazione del contratto e alla libertà di forme, progres- sivamente semplificando il procedimento di formazione dell‟affare63. Si afferma, innanzitutto, la regola della sufficienza dell‟accordo per vincolare giuridicamente le parti64; alla formalità del diritto si preferisce l‟immediatezza data dalla libertà di forma. Il nudo patto, in ogni caso, è vincolante solo a condizione che es- so sia socialmente credibile: dall‟esigenza di distinguere tra patti vincolanti e non scaturiscono la nozione e la dottrina della causa del contratto65. La necessità sempre più frequente di utilizzare contratti aventi per oggetto merci assenti porta al superamento della traditio – formalità alla quale il diritto romano subordinava il trasferimento della proprietà – favorendo l‟introduzione del principio consensualistico66.
Altro derivato della rivoluzione commerciale, come accennato, è la nascita dell‟organizzazione creditizia, la quale, come ramo specializzato degli affari, fu piuttosto lenta, soprattutto per la mancata distinzione tra prestito commerciale e usura. I tribunali ecclesiastici, infatti, proteggevano tutti i mutuatari che restituiva-
62 Per un approfondimento su questi contratti XXXXX X., op. cit., 94-100. Sull‟origine della società in nome collettivo cfr. XXXXXXX F., Storia del di- ritto commerciale, cit., 46 e ss. e CIPOLLA C., op. cit., 230 e ss.
63 XXXXXXXX B., op. cit., 2.
64 Nel diritto romano tale regola era circoscritta a soli quattro contratti tipici consensuali: emptio-venditio, locatio-conductio, mandatum e socie- tas.
65 ASCARELLI T., Corso di diritto commerciale, cit., 14, XXXXXXX F.,
Storia del diritto commerciale, cit., 42 e SPADA P., op. cit., 5.
66 ASCARELLI T., Corso di diritto commerciale, cit., 15.
no ai banchieri la sola somma mutuata e non anche gli interessi pattuiti. Se i banchieri di professione non ebbero immediato suc- cesso, i grandi mercanti internazionali ottennero più fortuna, eser- citando l‟attività creditizia come attività secondaria67. I mercanti, infatti, potevano legittimamente svolgere le attività proprie del banchiere, purché connesse al loro commercio: anche se non regi- strati come titolari di una banca, avevano la possibilità di accetta- re depositi ad interesse, concedere prestiti fruttiferi, utilizzare i ti- toli di credito e le lettere di cambio, senza incorrere nella censura della Chiesa.
La lettera di cambio, o meglio, la cambiale tratta, pur non a- vendo ancora la facilità di circolazione che sarà assicurata dalla girata (introdotta, secondo tradizione largamente accettata, tra la fine del Cinquecento e gli inizi del Seicento), raggiunge un lar- ghissimo uso nel commercio internazionale, già alla fine del XIII secolo. La cambiale, infatti, diventa uno dei più importanti mezzi di pagamento in sostituzione della moneta: rappresenta un credito per la vendita di merci in un luogo diverso da quello del paga- mento o, più frequentemente, un credito per la concessione di un prestito che deve essere pagato in un luogo diverso. Il fine princi- pale a cui si mira è, apparentemente, quello di fornire una certa somma di moneta straniera, senza correre il rischio di portarla con sé durante il viaggio, tuttavia essa, celando un prestito ad interes- se68, è utilizzata anche per eludere i divieti canonici contro l‟usura. Nonostante l‟uso che a volte occultava, la cambiale dà vi- ta ad una forma di circolazione fiduciaria che spesso supera la cir- colazione della moneta effettiva69.
67 XXXXX R., op. cit., 133.
68 La moneta locale, infatti, veniva pagata immediatamente, mentre la restituzione era differita fino al momento in cui la cambiale giungeva a de- stinazione: il servizio svolto da colui che cambiava la moneta era a paga- mento, cosicché quello che appariva un semplice rapporto di cambio, era, a volte, il tasso di interesse sulla somma prestata.
69 Sull‟uso della cambiale ASCARELLI T., Corso di diritto commerciale, cit., 15 e ss., XXXXX R., op. cit., 133 e ss. e LUZZATTO G., Storia economica d’Italia. Il Medioevo, cit., 290 e ss.; v. anche FELLONI G., op. cit., 214 e ss.
Il credito assume, quindi, una posizione sempre più importante nell‟economia e, le norme dettate dal diritto canonico, improntate ad una eccessiva indulgenza nei confronti del debitore, ostacolano i nuovi interessi economici di quel periodo. La rigidità del dogma canonico relativamente al divieto di usura va così incontro al declino.
Durante il periodo agricolo medievale non vi fu un credito commerciale propriamente detto; tuttavia l‟istituto del credito non scomparve, perché fu esso che permise di resistere alla frequenti ondate di carestie. Era la Chiesa, nell‟alto Medioevo, che distribuiva il denaro, in quanto l‟unica detentrice di beni mobili ed immobili, capaci di farne una potenza finanziaria di prim‟ordine, ed i monasteri costituivano veri e propri istituti di credito: an- ticipavano le somme richieste ricevendo in pegno un possedimento fondia- rio che garantisse il debito. Fino al XIII secolo il credito serviva per prestiti al consumo e, la proibizione dell‟usura, da parte della Chiesa, risparmiò la piaga dei debiti alimentari70.
La condanna dell‟usura fece parte della generale condanna dello scam- bio ingiusto71. Nell‟alto Medioevo la proibizione della Chiesa era applicata solo al clero72, poiché l‟assenza di un‟economia monetaria e dell‟opportunità di investimenti lucrativi resero inutile una proibizione più generale. La Chiesa, in un epoca in cui ai signori e ai re i diritti feudali vengono principalmente pagati in natura, rimane l‟unica istituzione che possiede ingenti somme di denaro. Nel basso Medioevo, invece, lo svilup- po monetario e l‟incremento di transazioni monetarie fanno nascere due tendenze. La prima è la diffusione della pratica secolare di prestiti a inte- resse, giustificata con riferimenti al diritto romano; la seconda è l‟ampliamento dell‟originaria proibizione, che la Chiesa, allarmata da que- sto sviluppo, rende più rigida ed universale73. Nelle opere di san Xxxxxxx
70 Per un‟analisi dettagliata del credito e commercio del danaro e del ruolo della Chiesa, XXXXXXX H., Storia economica e sociale del Medioevo, Milano, 1985, 133 e ss.
71 In generale sul divieto di usura nella dottrina ecclesiastica e sulla fun- zione unificatrice della Chiesa, anche XXXXXX X., op. cit., 133 e ss;
72 Verso il 300, il concilio di Xxxxxx vieta agli ecclesiastici spagnoli di prestare denaro a interesse; nel 325, il concilio ecumenico di Nicea sanci- sce l‟esclusione dalle file del clero di chiunque presti ad interesse.
73 Al grande concilio del Laterano del 1179 fu decreta la prima parte di una lunga serie di severe proibizioni dell‟usura, ROLL E., op. cit., 38.
la condanna dell‟usura è fondata non solo sulle Scritture74, ma anche sulla dottrina aristotelica della natura della moneta75. La concezione del denaro di Xxx Xxxxxxx, e altri canonisti, è interamente materiale: il denaro non deve avere un valore fluttuante ma deve essere il più possibile stabile, serve allo scambio con altri beni naturali, non con lo stesso denaro. Il denaro è sterile in senso morale: se genera altro denaro, lo genera innaturalmente e, quindi, immoralmente; pertanto, chiedere un interesse in aggiunta alla somma prestata significa procurarsi un vantaggio ingiusto in quanto innatu- rale76.
La rinascita commerciale, rivelando le possibilità dei capitali mobili di dare profitto, comporta l‟esigenza e, di conseguenza, la pratica di esigere un interesse sulle somme di denaro, favorendo la nascita del credito com- merciale77. Già nel XIV secolo le autorità laiche si preoccupano sempre più della regolamentazione piuttosto che della proibizione dell‟interesse, ema- nando decreti che fissano i saggi massimi di interesse. Nel XV e XVI seco- lo, con la scoperta di nuove terre, l‟esigenza di investimenti che dessero un profitto crescono a tal punto che le dottrine dei canonisti divengono del tut- to inadeguate alla realtà economica78. È in questa fase che nascono negozi giuridici che cercano di eludere il divieto dell‟usura, come il prestito marit- xxxx, la lettera di cambio e la commenda, il contratto “trino”79.
Le nuove esigenze economiche comportano importanti modificazioni al- la teoria dell‟usura, come era già accaduto per il “giusto prezzo”. Ma la riti- rata del principio del diritto canonico è lenta e procede con la concessione di eccezioni piuttosto che con l‟abbandono tout court del divieto. La più importante di queste eccezioni è la dottrina del danno emergente: san Tommaso80 lo riconosce nei casi in cui il denaro è ottenuto o trattenuto ille-
74 Xxxx, XX, 35 «Prestare senza sperare niente in cambio, e la vostra ri- compensa sarà grande» ed Esodo XXII, 25 «Se presti denaro a qualcuno del mio popolo… non esigerai da lui alcun interesse».
75 La moneta, secondo Xxxxxxxxxx, nasce come mezzo per facilitare lo scambio legittimo (quello a soddisfazione dei bisogni dei consumatori); conseguenza che ne deriva è la sterilità della moneta. L‟usura rende la mo- neta fruttifera ed è quindi innaturale; XXXXXXXX H. - COLANDER D., op. cit., 52; XXXXXXXXXX R., op. cit., 38.
76 LANGHOLM O., op. cit., 72 e ss.
77 ROLL E., op. cit., 39.
78 Ibidem.
79 Su alcuni tipi di contratto al fine di eludere il divieto dell‟usura A-
XXXXXXXX T., Corso di diritto commerciale, cit., 18 e ss.
80 LANGHOLM O., op. cit., 78.
citamente, oppure nel caso in cui il debitore ritardi nella restituzione del prestito originario; il periodo di mora, tuttavia, diviene sempre più breve cosicché si arriva a dispensare dall‟obbligo della gratuità prestiti, qualun- que ne fosse la durata81. Anche la teoria relativa al lucro cessante, rifiutata però da xxx Xxxxxxx, contribuisce alla caduta del divieto: l‟esigenza di reperire capitali per intraprendere iniziative economiche porta a dimostrare che colui che prestava moneta va incontro al rischio di perdere il prestito fatto e per questo può richiedere un compenso. La proibizione permane an- cora a lungo per i prestiti che non prevedono alcun rischio o per i prestiti al consumo, per i quali la Chiesa continua a condannare chi si avvantaggia dello stato di bisogno altrui. Le eccezioni al divieto e la sempre più impel- lente necessità di praticare prestiti onerosi aprono così la strada alla riscos- sione dell‟interesse ed eliminano dalla cultura medievale il timore del dogma teologico che ostacola il progresso economico.
Gli insegnamenti della Chiesa vanno così pian piano a indebolirsi rispet- to all‟espansione commerciale, fino a trovarsi di fronte all‟assoluta impos- sibilità di regolare la vita economica. Con la fine del diritto canonico, o meglio del suo carattere universale, si gettano le basi per una scienza laica dell‟economia, e un altro diritto inizia ad avere un carattere universale uni- forme, quello commerciale82.
Le questioni etiche sollevate dalla scolastica hanno comunque una certa rilevanza anche oggi: l‟attenzione per la giustizia nel sistema dei prezzi è applicabile anche all‟attuale sistema economico; sono previste leggi che fissano il tetto massimo dei saggi di interesse; per gli agricoltori sono pre- visti degli sgravi fiscali, e particolari tutele sono previste per la proprietà agraria; il divieto di patto commissorio è uno strumento a tutela del debito- re contro l‟approfittamento del creditore.
In questo primo periodo il sistema del diritto commerciale e quello di diritto civile sono agli antipodi: le fonti di produzione sono diverse, l‟applicazione del diritto è devoluta a giurisdizioni separate, le regole sono applicate secondo un sistema soggettivo, comportando in sostanza l‟esistenza di due autonomi ordinamenti
81 XXXXXXXXXX R., op. cit., 42, il quale brevemente introduce il pensie- ro di Sant‟Xxxxxxx sulla perdita subita o il guadagno sfumato e ROLL E., op. cit., 40 e ss.
82 XXXXXXX F., Storia del diritto commerciale, cit., 52-53.
ispirati «uno al tecnicismo dei dotti, l‟altro al senso pratico degli operatori giuridici»83.
Tuttavia, già in questa fase, l‟applicazione di questo diritto consuetudinario viene espandendosi; con l‟aumento del potere delle corporazioni, si afferma il principio per il quale poteva adire alla giurisdizione consolare – per una controversia mercantile – anche colui che non è iscritto alla corporazione, quando una delle parti – non importa se attore o convenuto – è un commerciante i- scritto alla matricula mercatorum84. Successivamente si stabilisce che i consoli possono applicare il diritto commerciale, nel dirime- re le controversie insorte fra commercianti, anche quando manca l‟iscrizione, ritenendo iscritti tutti coloro che esercitano di fatto il commercio85. L‟espediente per applicare il diritto e la giurisdizio- ne della corporazione dei mercanti anche al di là del suo iniziale ambito è la fictio iuris: si presume mercante, senza che sia am- messa prova contraria, chiunque avesse trattato con un mercan- te86. Il diritto commerciale acquista in questa fase quel carattere di specialità e di autonomia che lo accompagna per molti secoli: prevalenza di questo diritto sugli altri – quello comune e quello canonico – quando esiste il presupposto soggettivo della sua ap- plicazione, coesistenza, invece, negli altri casi; in particolar mo- do, il diritto comune si applica sia agli stessi mercanti nell‟ambito
83 FERRI G., op. cit., 921.
84 XXXXXXX F., Storia del diritto commerciale, cit., 38: «il non mercan- te, o lo straniero, che si fosse rifiutato di sottoporsi alla giurisdizione mer- cantile perdeva, per il futuro, il diritto di invocare a proprio favore il ius mercatorum e la giurisdizione mercantile: in alcune città subiva l‟interdizione da qualsiasi commercio con i membri della corporazione mercantile». XXXXXXXXX X., Xxxxx xx xxxxxxx xxxxxxxxxxx, xxx., 0; XXXXX X., op. cit., 18 e ss..
85 XXXXXXX F., Storia del diritto commerciale, cit., 37 e ss., NAVARRINI U., Trattato elementare di diritto commerciale, cit., 16 e ss. e PADOA SHIOPPA A., Saggi di storia del diritto commerciale, cit., 44 e ss.
86 XXXXXXX F., Storia del diritto commerciale, cit., 38, XXXXX X., op. cit., 18 e VIVANTE C., Trattato di diritto commerciale, Torino, 1902, 6.
della loro vita non professionale, sia nei casi in cui è richiamato dallo stesso ius mercatorum come fonte integratrice87.
La progressiva affermazione del diritto commerciale anche al di là dell‟ambito chiuso della corporazione, viene giustificata con la capacità di questo diritto – nato come di classe – di elaborare principi ed istituti suscettibili di applicazione generale, ponendosi come uno strumento giuridico valido in astratto a favorire un ge- nerale sviluppo della ricchezza e non solo di interessi di catego- ria88.
4. IL DIRITTO COMMERCIALE NEL PERIODO MERCANTI- LISTA.
Con l‟inizio del XV secolo, si chiude il primo capitolo89 dell‟esperienza giuscommercialitica e si apre un secondo periodo che si fa terminare con la rivoluzione francese. In questa fase, ca- ratterizzata dalla formazione dello Stato nazionale e dalla monar- chia assoluta, la vita economica si sposta dalle città italiane – le quali avevano avuto un ruolo fondamentale nel precedente perio- do – verso occidente e con essa si sposta anche il centro di pro- pulsione del diritto commerciale90. La partecipazione italiana allo
87 XXXXXXX F., Storia del diritto commerciale, cit., 40.
88 ASCARELLI T., Corso di diritto commerciale, cit., 21 e ss.
89 La sua storia si può dividere in tre periodi: il primo si apre con l‟inizio del XII secolo e si chiude con il 1550, con la scoperta dell‟America; il se- condo si conclude con la codificazione napoleonica, la quale segna l‟inizio del terzo periodo, ASCARELLI T., Lezioni di diritto commerciale, Milano, 1955, 20 e ss. La prima sistemazione teorica del diritto commerciale, inve- ce, si ritrova nel De mercatura di Xxxxxxxxx Xxxxxxx del 1553. Nel primo periodo si formano tutti i principali istituti strettamente commercialistici (contratto di assicurazione, contratto di cambio, società in nome collettivo) e tale sviluppo è accompagnato da una elaborazione dottrinaria particolar- mente viva in Italia.
90 ASCARELLI T., Corso di diritto commerciale, cit., 27; XXXXX G., op. cit., 922; XXXXX X., op. cit., 20; SPADA P., op. cit., 11.
sviluppo degli istituti di diritto commerciale cede il passo allo svi- luppo economico delle monarchie occidentali, quali la Francia, l‟Inghilterra, la Spagna e il Portogallo.
Nel corso del 1300 tutta l‟Europa è coinvolta in un processo di trasfor- mazione dovuta ad una serie di accadimenti che sembrano quasi l‟annuncio di una nuova età di barbarie: l‟arresto dell‟espansione agricola, i disordini sociali, le lunghe guerre tra Francia e Inghilterra, lo scardinamento delle autorità religiose e la trasformazione dei quadri ideologici e culturali pos- sono far pensare a un decadimento irreversibile. Questa età, che è stata de- finita il “crepuscolo del Medioevo”, non solo segna la fine di un mondo ma rappresenta anche l‟aurora di un età nuova, il Rinascimento91. Tra la fine del Trecento e il primo Quattrocento comincia a delinearsi nella coscienza collettiva una maggiore attenzione nei confronti dell‟uomo singolo, che non è più soltanto il frammento di un tutto omogeneo, ma un‟individualità precisa di cui il potere dei nascenti meccanismi statali deve tenere conto. Il Rinascimento, pur non rompendo con gli insegnamenti della Chiesa, ne mette in discussione l‟autorità morale e intellettuale. Tali mutamenti se- gnano la fine della concezione medievale di una cristianità unificata sotto l‟egida della Chiesa il cui potere è diminuito anche dai nuovi Stati che af- fermano la loro indipendenza. Sul piano economico, il tentativo tomista di controllare il mercato attraverso un sistema di norme morali (come il “giu- sto prezzo”), miranti ad inquadrare i comportamenti individuali, viene vani- ficato dallo sviluppo del commercio, della finanza e dell‟industria92.
Anche se è indubbio che nell‟Europa moderna sopravvivono molti con- cetti dell‟economia medievale, è altrettanto certo che tra la vita economica del XII secolo e quella del XV e XVI secolo vi è un profondo divario93. Nel Medioevo, l‟universalità della Chiesa e del Sacro Romano Impero, sono accompagnate dalla individualità degli uomini che vivono in piccoli gruppi. Sebbene questa non sia del tutto scomparsa, con il delinearsi delle monar- chie assolute nell‟Età moderna, le piccole unità locali sono subordinate allo Stato, il quale per nuove necessità della sua finanza, è costretto ad occupar- si della vita economica di tutta la xxxxxxx00.
91 ASCARELLI T., Corso di diritto commerciale, cit., 24-25.
92 ROLL E., op. cit., 46.
93 XXXXXXX F., Storia del diritto commerciale, cit., 69 e ss.
94 XXXXXXXX X., Storia economica dell’età moderna e contemporanea, Padova, 1955-1958, parte prima, 5 e ss.
La nascita delle città, nel corso dell‟XI secolo, e l‟incremento demogra- fico che ne deriva, modificano profondamente la costituzione politica dell‟Europa. Già nel corso del XIII secolo, alcune nazioni come la Francia e l‟Inghilterra, per impulso dei loro sovrani, cercano, seppur con difficoltà, di superare le condizioni caotiche e particolaristiche della società feudale in cui il sovrano era tale più di nome che di fatto, e di affermare l‟autorità del potere centrale avvantaggiandosi anche della crisi del sistema feudale già da tempo in atto. In tal modo, nelle nazioni dell‟Occidente, sia pure con modalità diverse, le monarchie (a volte alleandosi con la borghesia cittadi- na e la piccola nobiltà, come è accaduto in Francia) aspirano a impossessar- si sempre più saldamente del meccanismo amministrativo, che viene ora commissionato non più a nobili feudatari o funzionari provenienti dalla Chiesa, ma a uomini provenienti dalla borghesia, contrastando così il pote- re della grande nobiltà laica ed ecclesiastica95. Pur faticosamente, si va de- lineando la pratica di un‟aggregazione politica che fa perno su un potere unico ed imparziale che è solo l‟embrione di quello che alcuni secoli più tardi sarà lo Stato moderno. In Italia e in Germania, per un complesso di cause tra cui la presenza dell‟Imperatore e del Pontefice, non si raggiunge l‟unità nazionale, ma si arriva a qualcosa di simile: i Comuni e le repubbli- che marinare, sia pure in proporzioni ridotte, seguono un‟analoga via di sviluppo delle istituzioni96. Le corporazioni medievali volgono verso il de- clino, perdendo a poco a poco la loro autonomia economica e giuridica; ve- dendo in esse uno strumento per la propria politica e una fonte di entrate, lo Stato accentratore fa sì che esse e i suoi membri siano un‟emanazione stata- le, senza ricondurle, però, al diritto comune97.
La fine del XV secolo segna l‟epoca delle grandi scoperte, favorite dai progressi della navigazione, e l‟Europa, ripiegata su se stessa durante il Medioevo, si lancia alla conquista del mondo. A partire dal XVI secolo, la conquista si concretizza con la colonizzazione da parte di spagnoli e porto- ghesi, a cui si aggiungono, in un secondo tempo, francesi, inglesi e olande- si. I flussi di scambio si modificano ed intensificano, sviluppandosi il commercio transatlantico che porta in Europa non solo nuovi prodotti, ma
ss.
95 XXXXXXX X., Storia d’Europa dalle invasioni al XVI secolo, cit., 181 e
96 XXXXXXXX X., Storia economica dell’età moderna e contemporanea,
cit., parte prima, 11 e ss.
97 Ibidem, 14 e ss. e XXXXXXX H., Storia d’Europa dalle invasioni al XVI secolo, cit., 378 e ss.
anche oro e argento. Il centro di gravità del commercio si sposta dal Medi- terraneo all‟oceano Atlantico98.
Lo sviluppo del commercio e delle tecniche finanziarie, già descritto nel precedente paragrafo, è ora arricchito dall‟abbondanza di moneta, grazie all‟afflusso di metalli preziosi provenienti dall‟America; l‟aumento delle disponibilità liquide provoca una diminuzione dei tassi d‟interesse e un aumento dei prezzi, dando così un nuovo impulso al commercio che si tra- duce in uno sviluppo degli scambi99. Il moltiplicarsi delle occasioni di affa- ri, la più rapida accumulazione della ricchezza, il maggiore utilizzo di capi- tali per la produzione e gli scambi, porta a una trasformazione della menta- lità economica. La monetizzazione dell‟economia europea, in altre parole, consolida e sviluppa ulteriormente la classe dei mercanti. Questo cambia- mento è dovuto anche alla rivoluzione scientifica che si verifica in questo periodo, la quale, attraverso le nuove scoperte ed invenzioni, comporta un cambiamento nel mondo chiuso del Medioevo; l‟Umanesimo italiano, già affermatosi nella prima metà del Quattrocento, è espressione dell‟ideologia borghese mercantile e tale rimane quando si diffonde in altri paesi europei; l‟importanza e la funzione di questo movimento culturale risiede nel fatto che esso, rifiutando il vecchio criterio gerarchico della società medievale, dà valore al singolo individuo, affermando la sostanziale uguaglianza spiri- tuale degli uomini. Gli umanisti, inoltre, pur ereditando dal mondo classico e dallo stesso cristianesimo un‟immagine ideale dell‟uomo capace di tra- scendere dai suoi bisogni materiali, disancorati dai tradizionali schemi teo- logici, non esaltano le sole attività contemplative, ma anche le attività pra- tiche, come l‟arte, la tecnica e la politica.
Se l‟Italia resta al centro per l‟attività culturale100, la sua posizione eco- nomica nel Quattrocento, e ancor di più nel Cinquecento, non è più quella
98 CIPOLLA C., op. cit., 000, XXXXXXXX X., Xxxxxx economica dell’età moderna e contemporanea, cit., parte prima, 37 e ss. e XXXXXXX H., Storia d’Europa dalle invasioni al XVI secolo, cit., 376 e ss.
99 CIPOLLA C., op. cit., 332-334 e XXXXXXX H., Storia d’Europa dalle in- vasioni al XVI secolo, cit., 378 e ss.
100 CIPOLLA C., op. cit., 346 e ss. e XXXXXXX H., Storia d’Europa dalle invasioni al XVI secolo, cit., 364 e ss.; quest‟ultimo autore spiega che l‟influenza italiana negli altri paesi è dovuta al fatto che «in Italia, le autori- tà tradizionali che si imponevano tanto alla vita sociale quanto a quella in- tellettuale, perdono vigore o scompaiono molto prima che nel resto d‟Europa. E questo, è in gran parte conseguenza dello straordinario svilup- po della vita urbana. All‟inizio, la nobiltà che vive in città, vi trascinata dai continui conflitti della borghesia, ma senza che ce ne si renda conto, prende
che aveva occupato uno o due secoli prima, e le ragioni di questa decaden- za economica sono da ricercare, anche, nello spostamento delle vie com- merciali dal Mediterraneo all‟Atlantico e nei disordini politici interni101.
In questo periodo, le fonti legislative e consuetudinarie del di- ritto commerciale sono meno floride rispetto ai secoli precedenti, e ciò è dovuto all‟intervento dello Stato nel campo del diritto e dell‟organizzazione corporativa102.
Leggi intese a proteggere lo scambio mercantile si possono far risalire ad ogni tipo di governo, e la stessa vita mercantile del me- dioevo non è mai del tutto indipendente da impostazioni ed inter- venti pubblici o pseudo-pubblici, ma è solo con l‟affermazione degli Stati nazionali del XVI secolo che il diritto commerciale è investito da connotazioni pubblicistiche103. La diffusa tendenza alla statalizzazione del diritto commerciale è strettamente connes-
anche l‟abitudine di interessarsi al commercio, tanto che, a poco a poco, la distinzione così netta che altrove separa il nobile dal non-nobile si cancella e avvicina una comunanza di costumi e di interessi. […] E mentre il nobile si spoglia dei caratteri specifici di classe, una trasformazione analoga si compie in seno alla ricca borghesia. Il risultato dei progressi dell‟organizzazione economica, dello sviluppo delle società commerciali, del perfezionamento degli strumenti di credito, è prima di tutto quello di pretendere dal banchiere o dall‟uomo di affari una formazione intellettuale che non si rileva nei mercanti del nord».
101 CIPOLLA C., op. cit., 363 e ss., LUZZATTO G., Storia economica dell’età moderna e contemporanea, cit., parte prima, 56 e ss. e ss. e PIREN- NE H., Storia d’Europa dalle invasioni al XVI secolo, cit., 378 e ss.; XXXXX X., op. cit., 20 e ss.
102 XXXXX X., op. cit., 21, il quale osserva che «per compenso divenne considerevole il contributo della dottrina e della giurisprudenza. Appunto nel secolo XVI ebbe inizio una vera letteratura del diritto commerciale. Mentre, nei secoli antecedenti, gli scrittori erano o teorici, principalmente canonisti, che esponevano un diritto commerciale di scuola, non quello vi- vo e vigente, o commercianti, che si occupavano più della tecnica commer- ciale che del diritto, col Cinquecento si aprì la serie dei giuristi che espose- ro ed elaborarono veramente il diritto commerciale».
103 ASCARELLI T., Corso di diritto commerciale, cit., 29; XXXXXXX F.,
Storia del diritto commerciale, cit., 71 e ss.
sa con l‟affermarsi dell‟indirizzo mercantilista: lo Stato nazionale rivendica sempre più il controllo sulla vicenda mercantile. Le corporazioni alla produzione e al commercio si conservano, ma sono integrate nell‟amministrazione statale, diventando uffici de- centrati104; le norme create dai mercanti non vengono soppresse o modificate, ma accade che la regolazione statale si sovrappone a- gli usi e alle consuetudini elaborate dalle corporazioni, consoli- dandoli in testi scritti di emanazione sovrana105. Anche la giuri- sdizione mercantile cessa di essere fatto proprio dei commercian- ti106. Come ben espresso da Spada, «il diritto dei mercanti, nato
104 Per un maggiore dettaglio sulle corporazioni nel periodo dell‟assolutismo monarchico cfr. XXXXXXXX X., (voce) Corporazione sto- ria, in Enciclopedia del diritto, X , Milano , 1962, 657, il quale descrive la fioritura delle corporazioni al tempo di Xxxxxxx.
105 La più importante dal punto di vista evolutivo è l‟Ordonnance géné- rale de commerce, promulgata da Xxxxx XXX nel 1673, ordinanza anche detta “colbertina” dal nome del ministro delle finanze del tempo Xxxxxxx. Nel testo erano fissate le condizioni normative necessarie per l‟esercizio le- cito del commercio e si prevedeva che solo chi vantasse un certo numero di anni di iscrizione alla Corporazione di appartenenza era abilitato a com- merciare. Nel 1681, sempre ad opera di Xxxxxxx, all‟ordinanza sul commer- cio terrestre, si affianca quella sul commercio marittimo e nel 1699 viene emanata l‟ordinanza sul processo civile. Per un approfondimento sull‟Ordonnance du commerce XXXXXXX F., Storia del diritto commercia- le, cit., 57 e ss. Sull‟opera svolta da Xxxxxxx si rimanda a LUZZATTO G., Sto- ria economica dell’età moderna e contemporanea, cit., parte prima, 326 e ss.
L‟unificazione del diritto nazionale, già compiuta in Inghilterra alla fine del XV secolo, si trascina nell‟Europa continentale fino all‟epoca delle co- dificazioni; tuttavia l‟esigenza di unificazione si afferma intensamente in Francia già agli inizi del XVI secolo e si compie per il diritto commerciale nel XVII secolo attraverso l‟emanazione delle ordinanze sopra ricordate; per l‟unificazione del diritto civile si dovrà, invece, attendere il codice na- poleonico. Questa circostanza «ha contribuito a mantenere e a dare un par- ticolare accento alla dicotomia tra diritto civile e diritto commerciale nella tradizione francese», ASCARELLI T., Corso di diritto commerciale, cit., 31.
106 XXXXXXXX B., op. cit., 4; XXXXXXXXX T., Corso di diritto commerciale, cit., 29 e ss. La giurisdizione mercantile, diventa, dal XVI secolo, emana-
“autonomo” […] diventa, così, “eteronomo”, diventa diritto pub- blico, quanto alla fonte […] e diventa strumento di una politica economica centralizzata, anticompetitiva e protezionista nota co- me “mercantilismo”»107.
Il termine mercantilismo, coniato dagli economisti tedeschi alla fine del XIX secolo, deriva dalla locuzione “sistema mercantile” usata da Xxxx Xxxxx per denunciare quelle che considera pericolose confusioni da parte dei suoi predecessori108. Nella storiografia contemporanea il mercantilismo comprende sia il pensiero che la politica economica attuata in molti Stati europei tra la fine del XVI secolo e gli inizi del XVIII secolo. Il mercantili- smo, come pensiero economico, elaborato – a differenza della scolastica – da mercanti e uomini di affari, non costituisce un sistema rigoroso, perché gli autori definiti tali si differenziano a seconda del luogo e dell‟epoca in cui scrivono; tuttavia essi manifestano atteggiamenti e preoccupazioni co- muni che li distinguono sia dalla dottrina tomista del Medioevo, sia dalla dottrina classica che si sviluppa fino alla fine del XVIII secolo109.
Il mercantilismo nasce come reazione intellettuale ai problemi dell‟epoca: il declino del feudalesimo e l‟affermazione dello Stato naziona- le, conducono a ricerche politiche idonee a favorire la potenza e la ricchez- za della nazione; gli autori mercantilisti, abbandonando la prospettiva usata dagli autori del Medioevo di trattare le questioni economiche dal punto di vista della morale divina, cercano di fornire criteri per consolidare e au- mentare il potere e la ricchezza economica che si stava sviluppando e af- frontano tali questioni sotto due nuove angolazioni: quella dell‟arricchimento dei mercanti e della potenza dello Stato110. Il metodo di
zione della giurisdizione dello Stato, con l‟istituzione di Tribunali speciali i quali applicano le norme di diritto commerciale. La giurisdizione mercanti- le cessa di essere un portato dell‟autonomia corporativa e il diritto com- merciale ritrova la sua fonte non solo nella consuetudine, ma anche negli interventi legislativi.
107 SPADA P., op. cit., 11 e XXXXXXX F., Storia del diritto commerciale,
cit., 56.
108 XXXXXXXX X., Storia economica dell’età moderna e contemporanea, cit., parte prima, 294 e ss..
000 XXXXXXXX H. - COLANDER D., op. cit., 65 e ss., XXXXXXXXXX X., op.
cit., 44 e ss. e XXXX E., op. cit., 52 e ss.
110 XXXXXXXX X., Storia economica dell’età moderna e contemporanea, cit., parte prima, 295.
approccio è essenzialmente pragmatico: partendo dalla medesima ipotesi fatta dagli scolastici che la ricchezza globale fosse fissa, i mercantilisti concludono che il commercio comporta necessariamente che una parte guadagna mentre l‟altra perde111. A differenza degli scolastici, le attività commerciali vengono messe in valore dai mercantilisti, i quali cercano di dimostrare una profonda affinità di interessi tra il sovrano e i mercanti del regno. Al fine di aumentare la potenza politica ed economica di uno Stato alle spese di un altro, i mercantilisti si concentrano sul ruolo del commercio internazionale come strumento per favorire la crescita economica112.
I mercantilisti elaborano, anche, una analisi monetaria che viene chia- mata in modo dispregiativo “bullonismo” (amore per il lingotto, dall‟inglese bullions) o “crisoedonismo” (atteggiamento che fa dipendere direttamente la felicità dal possesso di oro)113. Il punto di partenza di quest‟analisi risiede nell‟idea secondo la quale la potenza del sovrano si ba- sa su una vasta disponibilità di metalli preziosi. Dal momento in cui la ri- scossione delle imposte permette di alimentare le casse dello Stato, essa è tanto più agevole, quanto più abbondante è la circolazione monetaria del regno. Tuttavia, l‟Europa scarseggia di miniere d‟oro e la fonte di approv- vigionamento di metalli preziosi è costituita, a partire dal XVI secolo, dalle miniere americane, monopolizzate per un certo periodo dalla Spagna. Al fine di assicurarsi tale abbondanza con altri mezzi, i mercantilisti notano che un mezzo efficace è quello di avere una bilancia commerciale attiva114, cioè far in modo che il valore delle esportazioni sia superiore a quello delle importazioni, limitando anche il consumo interno. Le transazioni interna-
111 XXXXXXXXXX R., op. cit., 53.
000 XXXXXXXX H. - COLANDER D., op. cit., 67.
113 XXXXXXXXXX R., op. cit., 48; ROLL E., op. cit., 60 e ss., il quale os- serva che una prima teoria mira a proteggere le riserva di metalli preziosi attraverso un controllo del loro movimento, per mezzo di una regolamenta- zione del traffico monetario internazionale, con l‟ovvia conseguenza politi- ca di impedirne l‟esportazione. Ma questi controlli e restrizioni non duraro- no a lungo per le esigenze di sviluppo del commercio internazionale; l‟attività dei mercanti annullò i tentativi di controllare le fluttuazioni dei prezzi e l‟uso della cambiale, divenendo un diffuso mezzo di pagamento, rese difficile garantire l‟efficacia delle misure di regolamentazione locale.
000 X. XXXXXXXX H. - COLANDER D., op. cit., 68, per il concetto di bilan- cia commerciale e 75 e ss. per i contribuiti di alcuni autori. ROLL E., op. cit., 66 e ss., il quale riporta anche le idee di Xxxxxxx Xxxxx espresse nel suo Breve trattato delle cause che possono far abbondare li regni d’oro e d’argento del 1613.
zionali vengono, infatti, pagate in monete d‟oro o d‟argento, e, quindi, la bilancia commerciale è attiva quando i flussi di entrata dei metalli preziosi superano i flussi di uscita, cosicché la riserva d‟oro e d‟argento in circola- zione nel paese aumenta. Per ottenere un tale risultato è, di conseguenza, necessario favorire l‟attività dei mercanti. La politica economica dei mer- cantilisti ritiene, infine, che i salari devono essere bassi perché sia favorita una competitività maggiore rispetto agli altri paesi, e perché sia evitato che salari sopra la sussistenza conducano a una contrazione della produzione nazionale115.
Le soluzioni raccomandate dai mercantilisti sono di tipo chiaramente protezionistico116. Favorevoli all‟attività dei mercanti, i mercantilisti non sono tuttavia fautori del liberalismo economico, teoria che si svilupperà so- lo nel XVIII secolo. Essi hanno il merito di aver sostenuto l‟intervento del- lo Stato nell‟attività economica del paese al fine di stimolarla ed orientarla nella direzione giusta attraverso diversi tipi di incentivi117. Tali provvedi- menti rispecchiano, peraltro, il carattere profondamente nazionalistico del pensiero del tempo. Il nazionalismo, nel campo economico, è spesso forte- mente intriso di competitività dal momento che il commercio estero è con- cepito come una continua guerra nei confronti delle potenze rivali. L‟idea che lo sviluppo del commercio internazionale possa essere mutuamente vantaggioso è estranea ai mercantilisti.
Va precisato che alcuni autori dell‟ultimo periodo del mercantilismo ri- dimensionano il valore dato al commercio estero e alla moneta nel ruolo dell‟economia; tuttavia, è indubbio che una delle caratteristiche principali di questo pensiero è che i fattori monetari, piuttosto che quelli reali, sono determinati per il livello di attività economica e per la sua crescita. Solo con Xxxx Xxxxx e le successive teorie economiche si avrà un‟inversione di tendenza118.
Il diritto commerciale, con la fine dell‟autonomia corporativa dalla quale era nato, passa ad essere diritto dello Stato. Nonostan-
115 XXXXXXXXXX R., op. cit., 51.
116 XXXXXXXXXX R., op. cit., 52.
117 Ad esempio: limitazione delle importazioni e incentivi all‟esportazione di manufatti ma non dei prodotti agricoli o di quelli non lavorati; provvedimenti che favoriscano i commercianti e gli armatori na- zionali nel commercio estero del paese; incentivi allo sviluppo delle indu- strie.
000 XXXXXXXX H. - COLANDER D., op. cit., 71.
te avvenga questa statalizzazione, il criterio di applicazione delle norme rimane comunque soggettivo, cioè è applicabile solo in presenza di un commerciante; il diritto commerciale continua ad essere diritto speciale e di classe, soprattutto, per la permanenza di una giurisdizione affidata a Tribunali speciali – seppur istituiti
dallo Stato – composti da commercianti affiancati da magistra- ti119.
Anche il diritto commerciale fronteggia l‟influenza dell‟espansione coloniale, la quale, data la complessità e l‟entità delle operazioni, rende necessaria la raccolta di ingenti capitali120; l‟impronta statale si afferma su queste grandi operazioni commer- ciali poiché spesso l‟iniziativa è del sovrano, sebbene a volte mo- tivata da istanze politiche o di prestigio piuttosto che economiche, e parte del finanziamento necessario è di origine pubblica121.
In questo periodo si trovano nuove forme di recepimento del capitale di rischio tra le quali l‟appello al risparmio anonimo: con la creazione delle società dotate di personalità giuridica si favori- sce l‟investimento da parte di soggetti privati, ai quali viene ga- rantita la possibilità di smobilitare il proprio finanziamento senza che quest‟ultimo venga, però, sottratto alle risorse dell‟impresa.
119 ASCARELLI T., Corso di diritto commerciale, cit., 31.
120 «La colonizzazione divenne un‟arma importante per mitigare i rischi del commercio. Gli sforzi da parte dei mercanti e delle compagnie per otte- nere il controllo dei lontani paesi con cui commerciavano erano raramente sufficiente a raggiungere il loro scopo. Questi sforzi privati dovettero esse- re integrati dall‟esercizio del potere dello Stato a rafforzare il quale i mer- canti contribuivano in larga misura. In tal modo i legami tra interessi com- merciali e Stato furono rinsaldati; e l‟attività politica dello Stato si rivolse in misura sempre maggiore verso i problemi del commercio», ROLL E., op. cit., 48.
121 L‟impresa coloniale comporta la necessità di ricorrere a nuove forme associative dalle quali si sviluppò la moderna società di capitali. La più im- portante società costituita a questi fini è la “Compagnia delle Indie Orienta- li” – sorta in Olanda nel 1602 – alla quale viene attribuita, con riconosci- mento dello Stato, la personalità giuridica, XXXXXXX F., Storia del diritto commerciale, cit., 61 e ss.
Sorge e si perfeziona il diritto di partecipazione azionaria122, che consente il decollo di mercati paralleli a quelli del denaro e delle merci, nei quali vengono scambiati diritti che danno accesso alla ricchezza (mercati oggi detti finanziari), cosicché si può affermare che «impresa produttiva e banca nascono e crescono in una sorta di simbiosi nella quale è il capitale finanziario, pur spesso meno appariscente, a condizionare i movimenti economici»123.
L‟economia di questo periodo, rispetto al precedente, è ancor più caratterizzata dall‟essere volta al credito, e l‟elaborazione giu- ridica si accentra attorno ai problemi di esso e della sua circola- zione, affievolendosi sempre più il divieto canonico delle usu- re124: nascono i primi biglietti di banca, si afferma la moneta a corso fiduciario, le banche assumono sempre di più una maggiore funzione di intermediazione del credito, la cambiale, da mezzo di pagamento internazionale, assume la funzione di strumento di mobilizzazione del credito; anche gli interessi generalmente ac-
122 L‟incorporazione del diritto di partecipazione in un titolo – l‟azione – idoneo alla circolazione e la contrattazione avente ad oggetto tali titoli, consentì il decollo dei mercati azionari, portando alla nascita della Borsa; la prima sorge a Burges ma è quella di Amsterdam del XVII secolo che essa si presenta con caratteristiche moderne. Lo sviluppo delle compagnie colo- niali e delle società per azioni si collegherà con lo sviluppo di altre borse, quali quella di Londra e di Parigi, nel XVII e XVIII secolo. X. XXXXX P., op. cit., 13 e ss.; XXXXXXXXX T., Corso di diritto commerciale, cit., 34 e ss.; FOURQUIN G., op. cit., 316 e ss.; CIPOLLA C., op. cit., 260: «I termini “ban- ca” e “banchiere” compaiono per la prima volta nei cartulari notarili geno- vesi dei secoli XII e XIII, e si riferiscono ai cambiavalute. Data l‟estrema molteplicità di pezzi monetali delle varie città e stati esistente a quel tempo l‟attività del cambio era un‟attività di notevole importanza nelle maggiori piazze mercantili. Inoltre questi banchieri-cambiavalute operavano come intermediari tra il pubblico e le zecche. Con la fine del secolo XIII, però, nelle piazze maggiori i cambiavalute non si limitarono più alla sola attività del cambio manuale delle specie metalliche, ma cominciarono a raccogliere depositi e a effettuare pagamenti per conto dei depositanti». Si veda anche XXXXX X., op. cit., 101 e più ampiamente 132 e ss.
123 XXXXXXXX B., op. cit., 2
124 ROLL E., op. cit., 59 e ss.
cettati in Olanda e in Inghilterra vengono largamente ammessi ovunque nella legislazione civile125. La partecipazione azionaria, la sua contrattazione nei mercati commerciali, la corsa agli inve- stimenti e la speculazione in borsa – accompagnata dalle contrat- tazioni speciali – non sono più riservate a coloro che facevano parte delle corporazioni e fin dagli inizi emerge la necessità di proteggere il risparmiatore (come il Bubble Act inglese del 1720)126.
L‟Italia, anche per la mancata formazione dello stato nazionale, non ebbe lo stesso sviluppo economico del resto dell‟occidente, ma la dottrina commerciale, che nel nostro paese fiorì rigogliosa, continuò ad avere risonanza internazionale.
5. IL PASSAGGIO AD UN SISTEMA OGGETTIVO.
L‟ambito di applicazione del diritto commerciale, dopo aver subito un ampliamento dovuto al continuo superamento del rigo- rismo corporativistico e alla diminuzione della specialità del dirit- to commerciale rispetto al diritto civile, è destinato ad un‟ulteriore estensione dovuta alla Rivoluzione francese; la liberazione della
125 ASCARELLI T., Corso di diritto commerciale, cit., 40 e ss.; XXXXX G.,
op. cit., 922.
126 XXXXXXXX B., op. cit., 5. Il Bubble Act è una storica legge inglese, ap- provata dal parlamento di Gran Bretagna dopo il crollo della borsa del 1720, avvenuta in seguito alle forti speculazioni sui titoli della South Sea Company. Emesso nello stesso anno, il Bubble Act subordinava la creazio- ne delle società per azioni alla concessione del parlamento o della corona, impedendo la formazione delle Bubbles, cioè società per azioni finanziate da risparmiatori sulla base di progetti spesso ingannevoli e disonesti. Que- ste società, entrando nel mercato finanziario inglese, esercitavano una forte concorrenza alla South Sea Company e alle compagnie maggiori. Nel crollo delle azioni South Sea Company rimasero pesantemente coinvolti migliaia di risparmiatori. Il Bubble Act fu abolito nel 1825 dal parlamento del Regno Unito e la libera costituzione di società a capitale azionario nuovamente ammessa dalla legge inglese. XXXXX X., Il sistema finanziario globale: Dal 1750 ad oggi, Milano, 2000, 14 e ss.
società civile dagli oneri feudali ed ecclesiastici, dai privilegi pro- fessionali e dal limitato accesso al mercato provoca una profonda innovazione del diritto, in particolare di quello commerciale127. Fino alla metà del Settecento, la classe mercantile è stata una classe volontariamente chiusa, e il sistema soggettivo del diritto commerciale è stato lo strumento per mantenere tale preclusione in risposta, nel Medioevo, alla necessità della politica monopoli- stica delle corporazione e, nel periodo mercantilista, alla esigenza del controllo politico sull‟attività dei mercanti128.
Riprendendo l‟idea dei fisiocratici del lassiez faire, si introduce il principio del liberalismo economico e la soppressione delle corporazioni (sciolte in Francia nel 1791 e in Toscana già nel 1770) è solo una parte delle trasformazioni a cui andrà incontro il diritto commerciale129; in questo periodo si verifica, infatti, la uni- ficazione delle fonti di produzione, cosicché diritto commerciale e diritto civile iniziano a far parte dello stesso ordinamento.
127 Il senso della codificazione civile risiede negli ideali propri della Ri- voluzione francese: un diritto uguale per tutti, senza distinzione di classe e
«la libertà di accesso al mercato ha come riflesso appunto che chiunque, per avere operato nel commercio, sia assoggettato alle leggi commerciali», XXXXXXXX B., op. cit., 6. ASCARELLI T., Corso di diritto commerciale, cit., 47 e ss.
128 XXXXXXX F., Storia del diritto commerciale, cit., 87. Sulla crisi delle corporazioni si rinvia a LUZZATTO G., (voce) Corporazione storia, cit., 675. 129 «L‟accentramento monarchico – scrive XXXXXXX F., Storia del dirit-
to commerciale, cit., 71 – era stato, essenzialmente, un accentramento am- ministrativo, attuato con la graduale sostituzione di appartati burocratici pe- riferici, dipendenti dall‟esecutivo centrale, alle giurisdizioni della nobiltà feudale. Nel campo del diritto l‟accentramento monarchico aveva messo capo al principio, mai integralmente attuato, della statualità e, quindi, della nazionalità del diritto, e dato avvio a un processo, rimasto incompiuto, di statualizzazione delle fonti di produzione giuridica. La borghesia al potere prosegue e porta a compimento questo processo: con il code Napoléon di- venta diritto dello Stato anche il diritto civile, fino ad allora vissuto come “diritto di ragione” o “diritto naturale”, come tale sottratto all‟arbitrio del sovrano, oppure come diritto particolare di classi o di terre, garantito dalle superstiti immunità di origine feudale».
La duplicazione dei codici, tuttavia, riflette ancora la divisione tra ricchezza fondiaria e ricchezza basata sul commercio: il codice civile è il codice del ceto che costruisce il proprio patrimonio sul- le rendite derivanti dalla proprietà sia urbana che rurale; nel codi- ce civile non è contemplata l‟impresa, ma solo la proprietà ed in particolare quella immobiliare. Il codice del commercio, invece, rimane il diritto della borghesia commerciale e della nascente borghesia industriale130.
La differenza tra i due sistemi, abbandonato il sistema sogget- tivo, è quindi posta su basi oggettive, e il rapporto è riferibile a quello che intercorre tra diritto generale e diritto speciale131.
Il terzo periodo della storia del diritto commerciale, che inizia con la Rivoluzione francese e finisce con l‟unificazione dei due codici nel 1942, vede il trionfo dell‟industria, che è da considerare un fenomeno più econo- mico che tecnico132. Lo sviluppo della grande industria, che trova nella ra- pida riproduzione e mobilizzazione del capitale il suo presupposto fonda- mentale, non sarebbe stato possibile senza il continuo e progressivo aumen- to del mercato, perché è necessario per l‟industriale poter mirare a una va- sta clientela al fine di beneficiare dei bassi costi dati dalla produzione di prodotti uniformi133. Come per le altre rivoluzioni che si sono verificate nella storia, anche la Rivoluzione industriale è il risultato di una serie di presupposti di varia natura, ed essa stessa, a sua volta, si è rivelata in grado di indurre trasformazioni altrettanto nuove. La Rivoluzione industriale sca- turisce da progressi tecnologici, quali l‟aumento dell‟uso delle macchine in sostituzione della forza dell‟uomo, l‟uso di nuovi materiali, l‟introduzione e
130 XXXXXXX F., Storia del diritto commerciale, cit., 81 e ss.
131 FERRI G., op. cit., 922. «L‟oggettivazione del diritto risponde a sua volta alla formazione dello Stato nazionale che afferma la sua sovranità nei confronti dei particolarismi dei vari ordini e si ispira al principio di ugua- glianza dei cittadini, essendo perciò ostile ad una differenziazione di disci- plina giuridica secondo qualifiche oggettive», XXXXXXXXX T., Corso di dirit- to commerciale, cit., 59.
132 L‟influenza dell‟industrializzazione di massa sul diritto commerciale è ben descritta in ASCARELLI T., Corso di diritto commerciale, cit., 95 e ss.
133 XXXXXXXX X., Storia economica dell’età moderna e contemporanea, cit., parte seconda, 4-5; DETTI T. - XXXXXXX X., Storia contemporanea, Mi- lano, 2000, 25 e ss.
la diffusione di un nuovo metodo di produzione134. Lo sviluppo messo in atto dalla Rivoluzione industriale non crea solo delle nuove classi sociali – gli industriali e i salariati – ma permette anche lo sviluppo del mercato per l‟impresa capitalistica.
Anche l‟analisi fatta dagli economisti di questo periodo favorisce il cambiamento provocato dallo sviluppo delle industrie; se nella pratica il dominio spetta ancora al mercantilismo, nella teoria comincia a farsi strada, tra la fine del Seicento e l‟inizio del Settecento, una nuova corrente di pen- siero che, pur traendo le sue origini dalle dottrine allora dominanti, affronta i cambiamenti della vita economica. Poiché la grande industria patisce l‟eccessiva regolamentazione in campo economico e la ristrettezza del mer- cato, imposta dal protezionismo doganale, il nuovo pensiero economico in- voca la libertà di commercio interno e la libertà di esportazioni. Gli effetti di tale richiesta iniziano ad arrivare verso la fine del XVII secolo, quando la regolamentazione statale della vita economica comincia a svanire: molte delle restrittive prescrizioni relative alla industria nazionale, ai salari, all‟apprendistato, alla produzione, diventano inoperanti con lo sviluppo del sistema delle fabbriche; le regolamentazioni relative al mercato estero vol- gono verso il declino seppur più lentamente, il cui primo sintomo è la de- cadenza dai monopoli e lo sviluppo della concorrenza135.
Il pensiero economico, prendendo in considerazione i mutamenti pro- dotti dalla Rivoluzione industriale, sposta l‟attenzione dal commercio alla
134 DETTI T. - XXXXXXX X., op. cit., 12 e ss.; ma ciò che cambia in modo radicale rispetto al periodo precedente è l‟introduzione del sistema di fab- brica. Anche nell‟epoca preindustriale si faceva uso di macchine per la produzione manifatturiera: queste macchine erano, però, molto complesse e il processo lavorativo era ancora basato sull‟abilità dell‟uomo. Nelle fab- briche, invece, il lavoro dell‟uomo è al servizio della macchina, la quale scandisce il ritmo del lavoro. Ma il nuovo sistema modificò anche il ruolo dell‟imprenditore: nell‟industria domestica questo era stato più che altro un mercante che comprava la materia prima e vendeva il prodotto finito; ora il centro della sua attività diventa la produzione. V. anche CIPOLLA C., op. cit., 411 e ss. e LUZZATTO G., Storia economica dell’età moderna e con- temporanea, cit., parte seconda, 88 e ss.; cfr. anche XXXXXXX F., Storia del diritto commerciale, cit., 97, il quale sottolinea che «la “commercializza- zione” dei rapporti civili procede a misura che si compie quella profonda, decisiva trasformazione economico-sociale che va sotto il nome di rivolu- zione industriale».
135 XXXXXXXX X., Storia economica dell’età moderna e contemporanea, cit., parte seconda, 55 e ss.; ROLL E., op. cit., 84 e ss.
produzione, mettendo in discussione il problema dei prezzi e del valore; il problema, fino a quel momento, era stato visto nei termini dello scambio: per gli scolastici era stato un problema di giustizia elaborato con la teoria del “giusto prezzo”; per i mercantilisti lo scambio doveva portare al profitto del mercante al fine di ottenere moneta e così aumentare la ricchezza della nazione. Con l‟espansione dell‟industria, l‟interesse primario degli econo- misti è rivolto al laissez faire proprio dei fisiocratici, come strumento per sostenere la crescita e lo sviluppo della nazione136. Il punto di partenza per capire quello che viene definito il pensiero economico classico, di cui A- xxx Xxxxx viene definito il capostipite, è che per gli autori di questa cor- rente di pensiero, esiste un immanente ordine naturale superiore a qualun- que opera dell‟uomo e, pertanto, l‟intervento dello Stato è visto come dan- noso: se si lascia che ogni uomo agisca liberamente per massimizzare il suo profitto, si ottiene il bene comune. Xxx Xxxxx lo Stato ha pochi compiti: la difesa dalle aggressioni straniere, l‟amministrazione della giustizia e del si- stema educativo, il mantenimento di istituzioni che non possono essere af- fidate a singoli individui o a gruppi di individui per mancanza di un profitto adeguato (come, ad esempio la manutenzione delle vie di comunicazione). Applicando l‟idea dell‟ordine naturale nel campo dell‟economia, gli eco- nomisti classici diventano strenui oppositori di qualunque ingerenza statale nelle attività riguardanti l‟industria e il commercio, in quanto sostengono che l‟equilibrio naturale opera al massimo proprio nell‟ambito economico. Xxxxx, partendo dal fatto che gli imprenditori non sono spinti da fini altrui- stici ma dalla ricerca del profitto, dimostra che il capitalista considera il mercato in termini di beni finali e pertanto produce quei beni che sono ri- chiesti al fine di incrementare i propri guadagni; la concorrenza svolge, poi, un ruolo importante perché permette che i beni vengano prodotti a un costo che garantisce al produttore di percepire un guadagno appena sufficiente a coprire i costi di produzione. Infatti, se un settore dell‟economia dà un pro- fitto superiore a quello normale, sorgeranno nuove imprese che produrran- no quel bene cosicché, di conseguenza, si avrà un calo del prezzo fino ai li- velli ordinari. I consumatori, infine, con il loro potere di acquisto mutano l‟andamento dei prezzi a seconda delle loro preferenze137. La conclusione a
000 XXXXXXXX H. - COLANDER D., op. cit., 111 e ss.; ROLL E., op. cit., 137 e ss.
137 «Lo scopo che passa ad essere dominate (e col quale si coordina ap- punto il libero gioco delle forze economiche e così la rottura dei vincoli tramandati dal medio evo come dall‟interevento mercantilista) è quello dell‟interesse del consumatore; la battaglia instaurata tra produttori o com- mercianti si deve svolgere nell‟interesse dei consumatori, onde appunto il
cui giunge il liberalismo economico è quello che il mercato non regolamen- tato è in grado di allocare ottimamente le risorse solo attraverso la concor- renza138.
La libertà di iniziativa economica suscita, però, il problema di individuare i destinatari del diritto commerciale, dato che chiun- que può diventare mercante e non solo coloro che sono iscritti alla corporazione o in possesso di patente regia139. Si diventa, così, commerciante quoad actum140, e, pertanto, è sottoposto alla giuri- sdizione speciale anche colui che compie atti di commercio isolati e non solo colui che è iscritto alla matricola mercatorum141; la
carattere d‟ordine pubblico della libertà di concorrenza. Il premio concesso dal successo economico deve, nel gioco della concorrenza, ridursi al mini- mo necessario, perché venga compiuta una iniziativa utile; ad una politica che diremmo oggi autarchica, quale quella del mercantilismo, si contrap- pongono iniziative liberali sempre più vivaci con un grande sviluppo degli scambi internazionali», XXXXXXXXX T., Corso di diritto commerciale, cit., 52 e anche 110 e ss.
000 XXXXXXXX H. - COLANDER D., op. cit., 118-127; ROLL E., op. cit., 141-149. Successivamente nel pensiero economico viene superata l‟idea che il sistema possa autoregolarsi e l‟attività economica privata viene sot- toposta a una disciplina pubblicistica con l‟assunzione da parte dello stato o di enti pubblici di gestione delle imprese, sul punto cfr. ASCARELLI T., Cor- so di diritto commerciale, cit., 111.
139 XXXXXXX F., Storia del diritto commerciale, cit., 86; SPADA P., op. cit., 15.
140 L‟atto di commercio, che nel linguaggio contemporaneo potrebbe de- finirsi un‟attività, è un modello di comportamento, il quale si lascia scom- porre in più comportamenti rilevanti; qualora un comportamento è confor- me al modello dell‟atto di commercio, la relativa lite è devoluta ai Tribuna- li di commercio. «Tuttavia la distinzione non è sempre agevole perché mentre l‟operazione commerciale in senso economico è sempre commer- ciale in senso giuridico, le operazioni di beni o servizi sono commerciali solo se assumono la veste di stabili organizzazioni produttive», SPADA P., op. cit., 16.
141 ASCARELLI T., Lezioni di diritto commerciale, cit., 53.
commercialisation du droit privé – secondo la formula di Xxxxxx Xxxxxx000 – ha così inizio.
In Francia, il diritto commerciale viene codificato come era già stato fatto per il diritto civile, sulla scia dei nuovi movimenti ispi- rati alla uguaglianza giuridica, propria della Rivoluzione francese, e alla libera iniziativa economica, dovuta alla Rivoluzione indu- striale. L‟esistenza dei due codici trova la sua ragion d‟essere sia per la considerazione che tale periodo ha del commercio e sia per il fatto che l‟unificazione nazionale del diritto commerciale era già avvenuta, attraverso le ordinanze sul commercio marittimo e terrestre. Con la codificazione, che si basa su un sistema oggetti- vo, il diritto commerciale cessa di essere diritto di classe143; il principio generale secondo cui le norme di commercio sono ap- plicabili a determinati atti comporta varie conseguenze: in primo luogo, l‟adozione di un sistema che permetta di distinguere quali siano le caratteristiche di questi atti di commercio144; in secondo luogo, nonostante la fusione del diritto commerciale nel diritto comune, residuano, nel corpo di quest‟ultimo, discipline che si applicano solo a coloro che compiano atti di commercio, e ciò non per esigenze di una classe, ma per quelle dovute alla natura e alla funzione degli stessi atti di commercio145. Sopravvivono, in- fatti, alcune caratteristiche del periodo precedente, e, in particola- re, perdura la giurisdizione speciale per le controversie in materia di commercio: il code Napoléon del 1807, sancita l‟oggettivazione del diritto commerciale, dispone, all‟art. 631, che
142 XXXXXX X., Aspects juridiques du capitalisme, Xxxxx, 0000.
143 ASCARELLI T., Corso di diritto commerciale, cit., 48-49.
144 Il codice di commercio di Xxxxxxxxx classificava, negli artt. 632 e 633, quattordici categorie di atti che dovevano ritenersi commerciali, indi- pendentemente dalla persone che li ponevano in essere. Inoltre, si riteneva che le controversie tra negozianti, mercanti e banchieri, relative alla obbli- gazioni e transazioni tra essi concluse, erano di competenza fissa dei Tri- bunali di Commercio, non tanto perché si trattasse di controversie tra commercianti, ma perché le obbligazioni tra i soggetti sopra citati si pre- sumevano atti obbiettivi di commercio.
145 FERRI G., op. cit., 923.
le controversie relative agli atti di commercio sono di competenza dei Tribunali di commercio, qualunque siano le presone tra le quali sono sorte146.
Le invasioni francesi introducono anche in Italia il code Napo- xxxx, dal quale traggono ispirazione le varie codificazioni degli Stati Italiani, dopo la fine del dominio francese. Con l‟unità d‟Italia, l‟opera di unificazione investe anche la legislazione commerciale: nel 1865 viene promulgato il codice di commercio, modellato su quello Albertino del 1842, che a sua volta si rifà al modello francese. Il primo codice di commercio ha, tuttavia, vita breve, poiché presto si avverte l‟esigenza di una sua riforma; il nuovo codice di commercio del 1882, pur rimanendo fedele all‟impostazione francese, trae spunto anche dalle legislazioni te- desca e belga147.
Anche in Italia, fino al 1888, i Tribunali di Commercio restano l‟ultimo residuo del sistema soggettivo ormai superato; in tale an- no, con legge speciale, le controversie commerciali sono devolute ai Tribunali ordinari – pur persistendo alcune differenze tra il pro- cesso commerciale e quello civile148.
È, tuttavia, importante sottolineare che, nonostante la codifica- zione, permane l‟autonomia del diritto commerciale rispetto al di- ritto civile la quale si ritrova nella gerarchia delle fonti149: la nor- ma di diritto commerciale – sia scritta che consuetudinaria – pre- vale su quella di diritto civile che disponga diversamente.
L‟estensione dell‟ambito di applicazione delle norme di diritto commerciale va ricercato, secondo Ascarelli, «nella progressiva oggettivazione del diritto commerciale, che a sua volta trova cor- rispondenza in una generale oggettivazione del diritto. Il diritto si applica agli atti oggettivamente considerati prescindendo dalla
146 ASCARELLI T., Corso di diritto commerciale, cit., 55.
147 ASCARELLI T., Xxxxx xx xxxxxxx xxxxxxxxxxx, xxx., 00-00; NAVARRINI U., Trattato elementare di diritto commerciale, cit., 22.
148 ASCARELLI T., Corso di diritto commerciale, cit., 73.
149 FERRI G., op. cit., 923.
qualifiche oggettive; a diritti diversi secondo le varie classi si so- stituisce un diritto uniforme per i soggetti»150.
6. LA COMMERCIALIZZAZIONE DEL DIRITTO PRIVATO E I RAPPORTI TRA IL CODICE CIVILE DEL 1865 E IL CODICE DI COMMERCIO DEL 1882.
Il codice del 1882, rispetto al precedente, accentua l‟oggettività del sistema: gli atti di commercio, arricchiti di nuove figure, ven- gono disciplinati indipendentemente dalla funzione di individuare la competenza dei tribunali di commercio151.
Nell‟art. 3 vengono elencati gli atti considerati oggettivamente commerciali, indipendentemente dalle persone che li hanno posti in essere. All‟articolo 4, si suppongono commerciali, salvo prova contraria, tutti gli atti compiuti da un commerciante a meno che non risultino atti essenzialmente civili (detti anche atti di com- mercio soggettivi). Alcuni Autori152, avanzano, così, l‟ipotesi che il sistema del codice di commercio del 1882 non è completamente oggettivo, ma che si tratti di un sistema misto.
Nel nuovo codice di commercio si trovano, accanto ad istituti disciplinati esclusivamente dal diritto commerciale, altri istituti regolati dal diritto commerciale e dal diritto civile. La duplicità di sistemi normativi riproduce «l‟antica duplicità di sistemi di diritto privato, concorrenti fra loro nella disciplina delle medesime mate- rie, un conflitto di norme e di giurisdizioni, che è l‟espressione di
150 ASCARELLI T., Corso di diritto commerciale, cit., 59.
151 ASCARELLI T., Corso di diritto commerciale, cit., 63.
152 NAVARRINI U., Trattato teorico-pratico di diritto commerciale, Tori- no, 1913, 28 e ss.;. MARGHIERI A., Trattato di diritto commerciale, Torino, 1910, vol. 1, 79 e XXXXXXX X., Commentario al codice di commercio, Mila- no, 1900, 51. Per la ricostruzione del particolarismo del diritto commerciale si rinvia a GROSSI P., Note introduttive: vocazione corporativa e vocazione globale del diritto commerciale, in ROSSI S. - STORTI C. (a cura di), Le ma- trici del diritto commerciale tra storia e tendenze evolutive, Varese, 2009, 12 e ss.
un sottostante conflitto di classe, fra borghesia fondiaria (e super- stite, o nuova nobiltà terriera) e borghesia mercantile, fra ragioni della rendita e quelle del profitto»153.
Il conflitto tra norme viene in rilievo per gli atti misti in cui l‟atto era civile per una parte e commerciale per l‟altra; il codice di commercio italiano del 1882 risolve la contrapposizione stabi- lendo che l‟unilaterale commercialità del negozio comporta che esso sia completamente disciplinato dal diritto commerciale (artt. 54 e 870 c. comm.)154. L‟art. 1 del codice di commercio, pone, in- fine, il diritto civile come fonte subordinata di diritto commercia- le, disponendo che in materia di commercio si devono osservare le leggi commerciali e gli usi, solo in mancanza dei primi due si fa ricorso al diritto civile.
Sulla base di queste indicazioni normative la dottrina del tem- po discusse della posizione del diritto commerciale di fronte al di- ritto civile. Il carattere di diritto eccezionale, da sempre conferito al diritto commerciale, nei confronti i quello civile è messo in di- scussione da parte della dottrina155. Si nota come il diritto com- merciale sia in espansione e in grado di assorbire le norme del di-
153 XXXXXXX F., Storia del diritto commerciale, cit., 88.
154 Se da un lato, l‟assicurazione, le società anonime, la cambiale sono disciplinate esclusivamente dal diritto commerciale, nonostante a volte lo scopo sia civile, dall‟altro, alcuni istituti, come la vendita e il mutuo sono disciplinati ora dal diritto civile ora dal diritto commerciale. L‟applicazione della disciplina commerciale o civilistica è fatta dipendere, nel sistema dei due codici, da requisiti che non attengono al tipo di atto ma ai motivi, all‟accessorietà giuridica o alla connessione economica. Tutti gli atti com- piuti da commerciante si presumono commerciali, salvo prova contraria o salvo che si trattasse di atti necessariamente civili, come i rapporti di fami- glia; ASCARELLI T., Corso di diritto commerciale, cit., 71 e ss.; XXXXXXX F., Storia del diritto commerciale, cit., 89.
Il codice di commercio del 1882, inverte lo stato delle cose previsto dal precedente codice del 1865, il quale disponeva che le obbligazioni nascenti dal contratto sono commerciali o civili a seconda della persona del conve- nuto.
155 FERRI G., op. cit., 923.
ritto delle obbligazioni; ma si avanza anche la preoccupazione156 che, se davvero il diritto commerciale è un diritto speciale, biso- gna escludere la sua applicazione analogica, secondo quanto pre- visto dall‟art. 4 delle disposizioni preliminari al codice civile del 1865.
Per giustificarne l‟ampia applicazione analogica, alcuni Auto- ri157 configurano il diritto commerciale come un tertium genus tra diritto comune e diritto speciale. Un‟altra corrente della dottri- na158, invece, ritiene che è necessario, fare una distinzione tra le norme di diritto commerciale: una categoria di esse si trova nel codice di commercio solo occasionalmente e, pertanto, queste norme possono avere portata generale non essendo altro che svi- luppi di principi del diritto civile (come ad es. art. 36 del cod. comm.); un‟altra categoria di norme, invece, si deve considerare diritto eccezionale in quanto deviazione ai principi generali di di- ritto civile. Queste norme, benché eccezionali, devono ritenersi organicamente riunite in un sistema autonomo, basato su propri principi che sono, all‟interno del sistema commerciale, principi generali. Si conclude, così, che anche le norme di diritto commer- ciale, nell‟ambito del sistema autonomo sono suscettibili di appli- cazione analogica.
La disputa, come osserva Navarrini159, era più di termini che di sostanza. Il risultato finale è, infatti, univoco nonostante fosse raggiunto per due vie diverse: il diritto commerciale costituisce un sistema distinto e autonomo nei confronti del diritto civile, a- vendo proprie fonti normative e una propria sfera di applicazione nella quale i rapporti venivano regolati da principi diversi da quel- li di diritto civile.
156 FRANCHI, op. cit., cit., 4
157 FRANCHI, op. cit. 3 e XXXXXX, X. Xxxxx di diritto commerciale, Mila- no, 1900-08, 93.
158 NAVARRINI U., Trattato teorico-pratico di diritto commerciale, cit.,
55. XXXXX X., op. cit., 57-58.
159 NAVARRINI U., Trattato teorico-pratico di diritto commerciale, cit.,
55
Questa distinzione di sistemi normativi, secondo un‟autorevole dottrina comunemente accettata160, trova la propria giustificazione nella realtà economica e nella profonda diversità di esigenze della materia di commercio rispetto a quelle della materia civile: si ri- porta, cioè, alle naturali differenze di struttura esistenti tra eco- nomia industriale e commerciale, disciplinate dal diritto commer- ciale, ed economia agraria, compresa nell‟ambito del diritto civile, i termini della questione161.
L‟idea che il codice civile e il codice di commercio dovessero essere separati si poggia anche sulla considerazione che i rapporti civili, spesso fortemente connotati da un carattere pubblicistico, come in tema di stato e capacità delle persone, hanno una regola- mentazione necessariamente diversa nei vari Stati e hanno un cer- to grado di stabilità. Il diritto commerciale, invece, necessita di essere modificato frequentemente anche per rispondere ad una u- niformità sovranazionale162.
Questo stato di cose non è condiviso però da tutti, ed in parti- colare da Xxxxxx Xxxxxxx il quale osserva che la divisione fra di- ritto commerciale e diritto civile appare faticosa ed incerta, poiché i principali istituti commercialistici sono divenuti nella pratica strumenti ordinari di diritto civile. La separazione, inoltre, reche-
160 XXXXX X., op. cit., 65 e ss.; NAVARRINI U., Trattato teorico-pratico di diritto commerciale, cit., 55.
161 FERRI G., op. cit., 924. Xxxxxxx ASCARELLI T., Corso di diritto com- merciale, cit., 74: «Piuttosto che a una posizione peculiare dell‟attività commerciale, si finiva in realtà per far capo, nell‟ambito del diritto delle obbligazioni, a una peculiare posizione dell‟agricoltura che traeva dalle sue origini un accento che la faceva avvicinare alle attività di godimento e di consumo, contrapponendola all‟attività “speculativa” del commerciante, facendo così quasi passare in seconda linea la destinazione dei suoi prodotti di mercato».
162 XXXXXXX F., Storia del diritto commerciale, cit., 100; XXXXXXXXXXX L., Storia universale del diritto commerciale, cit., 13, il quale scrive: un di- ritto commerciale cosmopolita è concepibile, mentre il diritto civile non può in generale superare un certo confine territoriale». Sulla confutazioni a tali critiche si veda VIVANTE C., Trattato di diritto commerciale, cit., 28 e ss.
rebbe pregiudizio alla certezza del diritto, perché spesso è dubbio se una causa deve essere considerata civile o commerciale163. Si afferma, poi, che il dominio del diritto commerciale sull‟intera at- tività giuridica di un individuo, costringe il non commerciante a subire le norme di un codice di classe, fatto esclusivamente per favorire i commercianti, e soprattutto, a subire gli usi commerciali che, formati dai commercianti nel loro esclusivo interesse, po- trebbero essere ignorati dal colui che commerciante non è (chia- mato da Vivante anche consumatore)164.
In altri termini, l‟oggettivazione del diritto commerciale, se- condo Vivante, avrebbe creato solo la parvenza di un sistema giu- ridico basato sull‟uguaglianza e sull‟unità del soggetto di diritto. Il fatto che al privato cittadino è applicata una legge diversa a se- conda che contratti con un commerciante o meno, fa tramontare il mito della legge uguale per tutti proprio della Rivoluzione france- se. Le codificazioni dell‟Ottocento fanno, da un alto, così rivivere un diritto profondamente disuguale con la rinascita di un nuovo particolarismo giuridico di fonte ora statuale e, dall‟altro, compor-
tano che il diritto commerciale torni ad essere un diritto di clas- se165.
163 VIVANTE C., Trattato di diritto commerciale, cit., 18.
164 VIVANTE C., Trattato di diritto commerciale, cit., 17, il quale osserva che «il legislatore ha fatto di più favore ai commercianti, poiché ha delega- to ad essi una parte del proprio potere legislativo, scrivendo nel codice un articolo che dice: gli usi commerciali varranno come legge per tutti quelli che contrattano coi commercianti. E siccome fra questi usi ve n‟ha molti in- trodotti d‟accordo fra i commercianti all‟ingrosso per gabbare i consumato- ri, così questi son costretti a farsi gabbare in forza della legge che consacra la consuetudine».
165 «Siccome il codice di commercio contiene esclusivamente le norme che il commercio, specie il grande commercio, si è venuto creando per pro- teggere i propri interessi così si costringono tutti i cittadini che contrattano coi commercianti (art. 54) a subire una legge che è fatta a favore di questa classe, infinitamente meno numerosa. Il nostro legislatore chiamò a compi- lare il nuovo codice gli industriali, i banchieri, gli assicuratori, i rappresen- tanti delle grandi società ferroviarie, le Camere di commercio, tutrici, anch‟esse, del grande commercio, gli uomini che nella professione,
Su queste critiche si basa la proposta di un codice unico delle obbligazioni, sull‟esempio del codice svizzero del 1881, un codi- ce che fosse in grado di ricomporre il conflitto tra i due codici e di ristabilire l‟uguaglianza tra i consociati. La proposta suscita una vasta polemica, la quale sembra essere superata con i primi pro- getti di riforma del codice di commercio che seguono l‟impostazione di quello del 1882 e che si chiuse definitivamente con la conversione di Vivante alla tesi della necessità di un diritto commerciale autonomo166.
7. L’UNIFICAZIONE LEGISLATIVA DEL CODICE CIVILE E DEL CODICE DI COMMERCIO.
Si sviluppa, invece, un nuovo movimento dottrinario che, sem- pre criticando il sistema vigente, porta nel 1940 alla stesura di un nuovo progetto di codice di commercio. La critica principale al codice vigente è rivolta all‟atto obiettivo di commercio: inteso quale atto isolato di speculazione, esso non sembra più adeguato alla nuova struttura organizzativa che aveva assunto l‟attività commerciale: quella di impresa167. Si ritiene, quindi, che il com- mercio dovesse essere rilevante solo quando fosse organizzato
nell‟insegnamento erano abituati a difenderne gli interessi, e poi disse ai consumatori: ecco il codice che deve valere anche per voi. Quindi, n‟è usci- ta una legge di classe, che lascia senza sufficiente tutela chi tratta coi com- mercianti»,VIVANTE C., Trattato di diritto commerciale, cit., 14. Sul punto cfr. anche XXXXXXX F., Storia del diritto commerciale, cit., 91.
166 VIVANTE C., L’autonomia del diritto commerciale e i progetti di ri- forma, in Riv. dir. comm., 1925, I, 572. Sul codice del commercio del 1882 si rinvia a PADOA SHIOPPA A., Saggi di storia del diritto commerciale, cit., 157 e ss. e a XXXXXXX A., Il movimento di riforma del codice di commercio a cavallo tra i due secoli, in AA.VV., 1882-1982 – Cento anni dal codice del commercio, Milano, 1984, 233.
167 Sul punto si veda in particolare MOSSA L., I problemi fondamentali del diritto commerciale, in Riv. dir. comm., 1926, I, 233 e ss. e ID., Per il nuovo Codice di commercio, in Riv. dir. comm., 1928, I, 16 e ss.
nella forma dell‟impresa e il diritto commerciale, di conseguenza, dovesse essere diritto delle imprese. La base organizzativa unita- ria su cui ricostruire il diritto commerciale è, per tale dottrina, il concetto di impresa, tanto da ricomprendervi anche le imprese a- gricole se organizzate commercialmente; il diritto civile, invece, rimane destinato a regolare tutti gli atti non organizzati ad impre- sa.
Il progetto di codice di commercio del 1940, rifacendosi a que- ste idee, impronta il diritto commerciale sull‟attività di impresa; tuttavia questo codice non entrò mai in vigore, in quanto tutta la disciplina relativa ai rapporti privati viene riunita in un unico testo legislativo, il codice civile del 1942.
Il dato peculiare consiste nel fatto che l‟unificazione non è sta- ta un accostamento tra la materia civile e quella commerciale, ma l‟unificazione è stata anche normativa, estendendo i principi pro- pri del diritto commerciale a tutta la materia delle obbligazioni e del contratto in generale. La generalizzazione dei principi, delle norme e degli istituti del diritto commerciale, nota anche come commercializzazione del diritto privato, ha portato così alla sop- pressione della duplicità di disciplina dello stesso atto riscontrata nel sistema previgente.
L‟unificazione dei codici non è dovuta a motivi scientifici, ma a ragioni di carattere politico e ideologico. Il carattere classista del codice di commercio – denunciato da Xxxxxxx – mal si concilia con le posizioni ideologiche del fascismo, che proclama di voler superare ogni conflitto di classe168. Il favor espresso dal legislato- re nei confronti dalla commercializzazione del diritto privato, è
168 XXXXXXX F., Storia del diritto commerciale, cit., 103 e ss., il quale sottolinea che l‟unificazione dei codici ha, di nuovo, solo formalmente cre- ato una legge uguale per tutti: con la commercializzazione del diritto priva- to si è accentuata la subordinazione degli interessi della proprietà a quelli dell‟impresa, sancendo così la sconfitta delle classi fondiarie. Cfr. anche VALERI G., Manuale di diritto commerciale, cit., 8; SPADA P., op. cit., 25; OPPO G., Codice civile e diritto commerciale, cit., 227. PADOA-SCHIOPPA A., Dal code napoléon al codice civile del 1942, in Riv. dir. civ., 1993, I, 543 e ss.
dovuto anche a ragioni di ordine economico: il forte ritardo dello sviluppo capitalistico in Italia. Nel nostro paese, infatti, il capitali- smo non si era formato spontaneamente ma su spinta dello Stato, il quale, attraverso la politica economica (commesse dello Stato, incentivazione della produzione, nazionalizzazione di imprese), aveva iniziato il processo di accumulazione capitalistica. La crea- zione di un codice unico, improntato su quello del commercio, vuole, quindi, raggiungere l‟obiettivo di capitalizzare «la società italiana, in ogni sfera di rapporti, civili oltre che commerciali»169.
8. LA QUESTIONE DELL’AUTONOMIA DEL DIRITTO COM- MERCIALE: CENNI.
Sia durante la preparazione che dopo la promulgazione dell‟attuale codice civile, la dottrina si chiese se potesse ancora
169 XXXXXXX F., Storia del diritto commerciale, cit., 106; FRANCE- SCHELLI R., Imprese e imprenditori, Milano, 1970, 6 e ss.; ASQUINI A., Il diritto commerciale nel sistema della nuova codificazione, in Riv. dir. comm., I, 1941, 431: «A differenza quindi dell‟unificazione del diritto civi- le e commerciale operata in altri paesi, che è stata guidata da uno spirito conservatore e che perciò ha compromesso, se non sacrificato, i principi in- formatori del diritto commerciale (caratteristico l‟esempio del codice sviz- zero delle obbligazioni), la rifusione nel nuovo codice civile italiano della materia civile e commerciale è avvenuta secondo uno spirito molto più prossimo a quello del diritto commerciale, che a quello del diritto civile. Sarebbe certamente erroneo interpretare la riforma come una semplice commercializzazione del codice civile; perché il piano e lo spirito del nuo- vo codice sono il piano e lo spirito del nuovo ordinamento corporativo. Ma sarebbe non meno erroneo considerare la riforma come una eclissi dei prin- cipi informatori del diritto commerciale. Nel sistema del nuovo codice civi- le, questi principi rivivono su un piano più alto, dominando con la loro li- nea tutta la materia del nuovo diritto dell‟economia». Si rinvia anche al re- cente studio di XXXXXXX L., L’autonomia del diritto commerciale, in Riv. dir. comm., 2002, I, 421.
considerare il diritto commerciale come un diritto dotato di auto- nomia170.
Alcuni Autori sostengono che anche con la nuova codificazio- ne, il diritto commerciale può essere considerato come un sistema autonomo ricostruendo la sua autonomia attorno alla nozione di impresa, essendo eliminato solo l‟atto oggettivo di commercio171. La materia del diritto commerciale, anche con la nuova codifica- zione manterrebbe la sua organicità, comprendendo la disciplina dell‟impresa commerciale e delle società; dell‟azienda commer- ciale e della concorrenza; dei contratti tipici dell‟impresa com- merciale. Anche se è vero che con l‟unificazione dei codici si è perso il carattere dell‟eccezionalità, permane il carattere della
170 Favorevoli alla tesi dell‟autonomia del diritto commerciale sono, sia pure in vario senso: VALERI G., Manuale di diritto commerciale, cit. 8 e ID., Autonomia e limiti del nuovo diritto commerciale, in Riv. dir. comm., 1943, I, 24; ASQUINI A., Il diritto commerciale nel sistema della nuova codifica- zione, cit., 429; ASQUINI A. - CARNELUTTI F. - MOSSA L., Sulle nuove posi- zioni del diritto commerciale, in Riv. dir. comm., I, 1942, 65; LA LUMIA I., L’autonomia del nuovo diritto delle imprese commerciali, in Riv. dir. comm., I, 1942, p. 1; MOSSA L., La nuova scienza del diritto commerciale, in Riv. dir. comm., 1941, I, p. 439; MESSINEO F., Manuale di diritto civile e commerciale, Milano 1952, vol. 1, 7. Contrari all‟autonomia del diritto commerciale, FERRARA F. jr., op. cit., 14 e ss.; ASCARELLI T., Lezioni di di- ritto commerciale, cit., 89 e ss.; GRECO P., Il diritto commerciale tra l’autonomia e la fusione, in Riv. dir. comm., 1947, I, 1, ID., Aspetti e ten- denze odierne del diritto commerciale, in Riv. dir. comm., 1934, I, 337; FERRI G., Revisione del Codice civile e autonomia del diritto commerciale, in Riv. dir. comm., 1945, I, 96 e ss.
Sul pensiero di tali Autori si rinvia a COTTINO G., L’impresa nel pensie- ro dei Maestri degli anni Quaranta, in Giur. comm., I, 2005, 5.
171 Cfr. ASQUINI A., Il diritto commerciale nel sistema della nuova codi- ficazione, cit., 432: «Il settore commerciale nel sistema del nuovo codice civile, non può essere dunque ricercato nel sistema degli atti, isolatamente considerati, ma va ricercato nella sfera della disciplina professionale dell‟impresa».
specialità che giustifica ancora l‟autonomia del diritto commercia- le172.
Parzialmente diversa è l‟opinione di altri Autori, i quali riten- gono che il diritto commerciale non sia diritto dell‟impresa ma una parte del diritto civile, la quale, al pari della materia delle successioni e del diritto di famiglia, ha le sue norme regolatrici: le norme di carattere eccezionale (che disciplinano esclusivamente i rapporti commerciali e derogano al diritto comune); le norme spe- ciali (che pur non derogando al diritto comune di disciplinano e- sclusivamente i rapporti e gli istituti di carattere commerciale); le norme di prevalente carattere commerciale (che si applicano prin- cipalmente ai rapporti commerciali ma che talvolta trovano appli- cazione anche ne i rapporti civili). Il contenuto di tale complesso di norme costituisce comunque per tale dottrina un sistema auto- nomo con propri principi fondamentali, che lo distaccherebbe dal diritto civile173.
La tesi dell‟autonomia giuridica del diritto commerciale è stata, però, duramente criticata. Si è osservato che la ricerca delle nor- me specificamente destinate alla disciplina dell‟attività commer- ciale non porta alla costruzione di sistema organico di norme ca- ratterizzato da principi propri174. Per poter parlare di autonomia di
172 Cfr. ASQUINI A., Il diritto commerciale nel sistema della nuova codi- ficazione, cit., 438.
173 Tra i principali sostenitori di tale xxxx XXXXXX G., Autonomia e limiti del nuovo diritto commerciale, cit., 31 e ss.; ID., Manuale di diritto com- merciale, cit. 10, ove si legge: «L‟adottata tripartizione delle norme regola- trici del diritto commerciale chiarisce già di per sé, quale sia la posizione sistematica del diritto commerciale di fronte al diritto civile. Il diritto civile, la branca principale e più vasta del diritto privato, contiene le norme appli- cabili ai rapporti fra privati in quanto tali, ossia ha valore di diritto privato generale. È naturale chiamare il diritto commerciale, e noi lo abbiamo chiamato (n. 6), diritto privato speciale: esso disciplina, infatti, una deter- minata serie di rapporti fra privati, in quanto cioè si tratta di rapporti com- merciali».
174 FERRI G., Revisione del Codice civile e autonomia del diritto com- merciale, cit., 97.
un sistema occorre che esso si basi su principi differenti da quelli che presiedono altre norme: la diversità di principi non deve solo risedere nell‟oggetto della materia, ma deve portare alla possibili- tà di far pervenire, da quei principi, metodi di interpretazione e di integrazione che siano in contrasto con i principi generali175; tale caratteristica mancherebbe alle norme relative all‟impresa com- merciale, le quali sono norme poste da una legge generale. Si ne- ga così l‟autonomia del diritto commerciale.
Nell‟ordinamento attuale, il diritto commerciale è quindi con- siderato come un complesso di norme che si differenziano solo per la specialità della materia trattata. Pur essendo discussa l‟autonomia giuridica del diritto commerciale sotto il profilo for- male, in dottrina è generalmente ammessa l‟autonomia scientifica e didattica176. La distinzione tra diritto commerciale e diritto civi- le va ricercata nel metodo di studio: nel secondo i rapporti sono studiati sotto il profilo statico, mentre nel primo vengono studiati sotto il profilo dinamico.
Ma recentemente, il diritto commerciale sembra rivivere, pur sotto altre sembianze, l‟antica specialità177: nei rapporti contrat- tuali la presenza di un imprenditore o, meglio il fatto che il rap- porto si insinui nell‟attività di impresa, comporta con sempre maggiore intensità, il bisogno che le regole proprie del diritto ci- vile ormai commercializzato siano abbandonate per favorire, non tanto i traffici giuridici, ma la stabilità del mercato in cui quei
175 XXXXXXX X. xx., op. cit., 15 e GRECO P., Il diritto commerciale tra l’autonomia e la fusione, cit., 5.
176 FERRI G., op. cit., 925; XXXXXXX F., Storia del diritto commerciale, cit., 12, il quale osserva che la dottrina commercialistica continua, come in passato, ad elaborare separatamente le proprie categorie.
177 XXXXXXXXX V., Le nuove frontiere del diritto commerciale, Napoli, 2006, 13 «la massa normativa postcodicstica regolante settori disciplinati non solo per tradizione, ma anche in questo caso per comune opinione, in- quadrabili nell‟ambito del diritto commerciale, è di tale corposità, e da un punto di vista qualitativo e da un punto di vista metamente quantitativo, da costruire, pur mantendo le sembianze della “specialità legislativa”, un vero e proprio novello codice di commercio».
rapporti si svolgono, tanto che, si è parlato di ricommercializza- zione del diritto commerciale178.
L‟indagine di questa nuova tendenza deve pertanto proseguire prendendo in considerazione uno aspetti che sembra avere un‟ulteriore specialità nell‟ampia materia del diritto commerciale, quello della contrattazione di impresa.
178 PORTALE G.B., Tra responsabilità della banca e «ricommercializza- zione» del diritto commerciale, in Jus, 1981, 142.
INQUADRAMENTO E STORIA NORMATIVA DEI CONTRATTI DI IMPRESA
SOMMARIO: 1. Criteri di inquadramento della contrattazione di impresa. – 2. La materia dei contratti nel rigore del codice di commercio del 1882 e del codice civile del 1865. – 3. Il codice civile del 1942 e l‟individuazione della categoria dei contratti commerciali all‟interno del sistema unitario del codice civile. – 4. La riemersione dei contratti di impresa. Fonti e cause. – 4.1. La legislazione speciale. – 4.2. La legisla- zione internazionale e comunitaria. – 4.3. Il codice dei consumatori. Cenni. – 4.4. La lex mercatoria. – 4.5. I principi di Unidroit. – 4.6. Il di- ritto europeo dei contratti. Cenni. – 5. Prime considerazioni.
1. CRITERI DI INQUADRAMENTO DELLA CONTRATTAZIO- NE DI IMPRESA.
Ancora oggi in molti manuali di diritto commerciale1 si trova una sezione dedicata ai contratti di impresa che raggruppa, secon-
1 Comprendono la contrattazione di impresa all‟interno della più ampia trattazione del diritto commerciale: XXXXXXX F., Diritto Commerciale. L’imprenditore. Impresa Contratti d’impresa. Titoli di credito. Fallimento, Bologna, 2008; CAMPOBASSO G.F., Diritto commerciale, 3, Diritto dell’impresa, Torino, 2008; PRESTI G. - XXXXXXXX M., Xxxxx xx xxxxxxx xxxxxxxxxxx, Xxxxxxx, 0000; XXXXXXXXX X. (x xxxx xx), Xxxxxxx xx xxxxxxx xxxxxxxxxxx, Xxxxxx, 0000; COTTINO G., Diritto commerciale, II, Padova, 1996; FERRI G.B., Manuale di diritto commerciale, Torino, 1993; sui con- tratti commerciali in genere si rinvia a: CAGNASSO O. - COTTINO G., Con- tratti commerciali, Padova, 2009; BREGOLI A., I contratti di impresa, in Giur. comm., 2008, I, 140; CAPO G., (voce) Contratti d’impresa (evoluzio- ne recente), in Enc. Giur. Treccani, Roma, 2008, 1; FALZEA A., Il diritto europeo dei contratti di impresa, in Xxx. xxx. xxx., 0000, X, 0; CIAN G., Con- tratti civili, contratti commerciali e contratti di impresa: valore sistemati- co-ermeneutico delle classificazioni, in Riv. dir. civ., 2004, 849; OPPO G., I
do un orientamento tradizionale, «una pluralità di contratti quali- ficati dal fatto di realizzare (o di concorrere a realizzare) la espli- cazione di quella attività umana che è l‟attività di impresa (e par- ticolarmente, d‟impresa commerciale)»2.
Il fatto stesso che, anche dopo l‟unificazione del codice civile e di quello commerciale, in molte opere sia prevista una parte riser-
contratti d’impresa tra codice civile e legislazione speciale, in Riv. dir. civ., 2004, I, 841; ID., Note sulla contrattazione di impresa, in Riv. dir. civ., 1995, I, 629; COTTINO G. (a cura di), Contratti commerciali, in Trattato di diritto commerciale e di diritto pubblico dell’economia, diretto da Xxxxxxx X., XXX, Xxxxxx, 0000; XXXXXXXXX V., Contrattazione d’impresa e nuove categorie contrattuali, Milano, 2000; XXXXXXXXX V. - LUMINOSO L. (a cu- ra di), Contratti d’impresa, Milano, 1993; DALMARTELLO A., I contratti delle imprese commerciali, Padova, 1962;
2 DALMARTELLO A., (voce) Contratti di impresa, in Enc. Giur. Treccani, Roma, 1988, 1. Nel proseguo del presente scritto si utilizza la locuzione contratti d’impresa nel senso più ampio – riferendosi sia ai contratti in cui è presente un imprenditore sia ai contratti funzionali per lo svolgimento dell‟attività d‟impresa – prescindendo dalla distinzione tra contratti d’impresa e di contratti delle imprese, presente nello scritto di Xxxxxxxxxxx appena citato secondo cui «il confronto fra le due locuzioni rende evidente che, mentre quest‟ultima (contratti “delle imprese”) fa perno sul solo fatto della partecipazione di un imprenditore al contratto – considerata, a questo proposito, la parola “impresa” come sinonimo di “imprenditori”, nel profilo soggettivo del termine, secondo la metonimia segnalata da Xxxxxxx – la lo- cuzione contratti “d’impresa” fa perno sul fatto che sono contratti caratte- rizzati non solo dalla partecipazione dell‟imprenditore, ma anche (e più re- strittivamente) del fatto che attraverso essi si esplica e realizza la specifica e oggettivamente qualificante attività d‟impresa; perciò rientranti – come più circoscritto sotto gruppo (per il quale era stata proposta la denomina- zione di “contratti qualificativi”) – nel più vasto raggruppamento dei con- tratti “delle imprese”: comprensivo, come tale, anche di altri sotto-gruppi, e segnatamente di quelli attinenti alla costituzione e alla organizzazione della impresa, al ordinamento della sua attività con quella di altra imprese e alla crisi dell‟impresa». Sull‟utilizzo della locuzione contratti commerciali co- me contratti conclusi nell‟esercizio delle imprese commerciali si rinvia a VALERI G., Brevi note per lo studio del nuovo diritto commerciale, in Riv. dir. comm., 1943, I, 137. Per l‟utilizzo di altre espressioni, invece, si rinvia a OPPO G., Note sulla contrattazione di impresa, cit. 630.
vata alla trattazione dei contratti d’impresa, permette fin da subito di dare risposta positiva ad un quesito preliminare: se sia utile, anche nel diritto vigente, una considerazione d‟insieme dei con- tratti che svolgono un ruolo importante nell‟attività di impresa.
Pertanto, parte della dottrina, ha indirizzato i suoi sforzi per studiare la disciplina di quei contratti che individua come com- merciali, cioè dei contratti che presuppongono la presenza di un imprenditore o che sono funzionali per lo svolgimento dell‟attività di impresa3. La contrattazione di impresa, quindi, è un fenomeno alquanto vasto, poiché i suoi confini non sono segnati da termini oggettivi ma dal fatto che il contratto è utilizzato dall‟imprenditore per la sua attività, cioè tenendo conto della fun- zione che il contratto svolge nell‟ampio contesto dell‟attività d‟impresa4.
La scelta di raggrupparli e di definirli di impresa, trova la sua ragion d‟essere non solo nell‟idea di reputare utile il loro studio in relazione alla disciplina dell‟impresa stessa, ma anche di ritenere che tali contratti possano avere il ruolo di categoria; attraverso argomentazioni di carattere sistematico e normativo, alcuni Auto- ri5, di conseguenza, si sono proposti di individuare norme e prin- cipi comuni caratteristici della contrattazione di impresa, al fine di applicare tali regole ai contratti d‟impresa innominati o di colmare le eventuali lacune legislative6.
3 CAGNASSO O. - COTTINO G., op. cit., 1. Si tratta di quei contratti attra- verso i quali l‟imprenditore da un lato «si procura la disponibilità di fattori (umani e materiali) di produzione o di scambio e, dall‟altro, offre diretta- mente sul mercato i beni e i servizi prodotti o ne promuove la circolazione attraverso catene distributive integrate», XXXXXXXXX V. (a cura di), Ma- nuale di diritto commerciale, cit., 893.
4 CAGNASSO O. - COTTINO G., op. cit., 2.
5 Vedi nota 1.
6 CIAN G., Contratti civili, contratti commerciali e contratti di impresa, cit., 853: «le categorie di cui ci stiamo occupando possono risultare idonee
– come ho appena accennato – ad individuare e a comprendere in sé una se- rie di fenomeni e di vicende della vita sociale, riguardo ai quali è dato ri- scontrare che l‟ordinamento prevede un complesso di regole e di principi
Altri autori, ad esempio Ferri, pur includendo nella trattazione del diritto commerciale una sezione relativa agli atti degli im- prenditori, ritengono che «una differenziazione tra atti connessi all‟esercizio dell‟impresa e atti estranei a tale esercizio non sussi- ste e appare pertanto impossibile costruire, sulla base della disci- plina positiva, una categoria di atti commerciali in contrapposto ad una categoria di atti civili. Ciò naturalmente non importa che il collegamento economico che sussiste tra i vari atti sia privo di qualunque rilevanza per il diritto: anche quando non costituisca un presupposto tecnico dell‟atto singolo, il collegamento econo- mico esplica la sua influenza, determinando particolari atteggia- menti e particolari diritti dei quali naturalmente il diritto tiene conto»7. In altri termini, secondo questa tesi, l‟esistenza di norme particolari non è idonea a giustificare un sistema di diritto in quanto, non è tanto il fatto che l‟atto sia inserito nell‟esercizio dell‟impresa a rendere la disciplina speciale, ma essa è speciale perché si inserisce in tale contesto; prova di ciò è data dalla con- siderazione che la disciplina speciale si applica anche quando l‟atto è posto al di fuori dell‟esercizio di impresa.
L‟orientamento che, all‟opposto, riconosce una distinzione di disciplina nel momento in cui il contratto è inserito nell‟organizzazione di impresa non intende con ciò ripristinare il dualismo presente sotto la vigenza del vecchio codice civile e di quello commerciale, ma, rivendicando la legittimità e l‟utilità del- la categoria, si pone l‟obbiettivo di valorizzare i tratti identificati-
particolari, ispirati ad una logica comune, alla cui stregua, quindi, l‟interprete possa, secondo regole ermeneutiche proprie dell‟ordinamento, procedere e alla migliore determinazione del significato delle disposizioni dettate dal legislatore, e, soprattutto, all‟integrazione delle lacune, sia pro- prie che improprie delle discipline in discussione». Cfr. anche XXXXXXXXX
V. (a cura di), Manuale di diritto commerciale, Torino, 2006, 828; SIRENA P., L’integrazione del diritto dei consumatori nella disciplina generale del contratto, in Riv. dir. civ., 2004, I, 787.
7 FERRI G.B., op. cit., 659
vi comuni ai contratti di impresa8. È, infatti, comunemente rico- nosciuto che l‟unificazione delle due legislazioni nel codice del 1942 ha eliminato qualunque discriminazione sotto il profilo ap- plicativo9: la costruzione di una categoria in termini non dissimili a quelli vigenti sotto l‟imperio dei due codici, si porrebbe in con- trasto con la caratteristica principale del nuovo diritto delle obbli- gazioni consistente nella «indifferenza, rispetto alle qualità del soggetto (imprenditore o non imprenditore, soggetto pubblico o privato) e alla materia regolata (attività d‟impresa o di consumo, di scambio o di godimento)»10.
Ma è innegabile il fatto che il contratto, quando diviene ele- mento dello svolgimento dell‟attività d‟impresa, non si limita a regolamentare un rapporto giuridico isolato, passando così da una dimensione statica ad una dimensione dinamica. Il mutamento di prospettiva, quindi, mette in luce il fatto che la disciplina generale e speciale dei contratti presenta regole particolari che si applicano solo quando la vicenda contrattuale sia inserita nel contesto dell‟impresa11.
Con l‟evoluzione economica e sociale, a partire dagli anni Ot- tanta, la legislazione ha accentuato la specialità e l‟autonomia dei contratti che vedono coinvolti un imprenditore e, i significativi mutamenti relativi alla disciplina di tali contratti, hanno messo in
8 XXXXXXXXX V. - LUMINOSO L., cit., 16; XXXXXXXXXXX A., (voce)
Contratti di impresa, cit., 2.
9 CAGNASSO O. - COTTINO X., op. cit., 2.
10 INZITARI B., L’impresa nei rapporti contrattuali, in L’impresa, in Trattato di diritto commerciale, diretto da Xxxxxxx, XX, Xxxxxx, 0000, 319. Questa la ragione ha portato XXXXXXX F., I contratti di impresa, i titoli di credito, il fallimento, Bologna 1980, 1, a ritenere che la categoria dei con- tratti d’impresa nel nostro ordinamento possa avere solo la qualifica di “ca- tegoria convenzionale”, rilevando che «nel nostro sistema giuridico, ... una speciale categoria di contratti, denominati come “contratti d‟impresa”, non ha ufficiale diritto di cittadinanza».
11 PRESTI G. - XXXXXXXX M., op. cit., 93.
rilievo nuove prospettive per una sua distinta configurazione12. L‟emanazione di una copiosa normativa speciale, anche di fonte comunitaria, per regolare alcuni particolari settori economici, sin- gole fattispecie negoziali, ovvero specifiche figure professionali, ha causato la diffusione di nuove figure contrattuali, di nuove prassi commerciali e di nuovi usi.
Si è così evidenziata «la spiccata tendenza alla creazione di re- gole speciali extracodicistiche […] che paiono relegare il cod. civ. a un ruolo residuale»13 e delineare i contorni e i contenuti di «un diritto speciale dei contratti di impresa, che comincia a giustap- porsi in maniera appariscente sul diritto comune dei contratti»14.
Le cause, che altro poi non sono che le stesse fonti, dell‟emersione di questo nuovo diritto speciale costituito da rego- le specifiche destinate ai contratti in cui sia parte un imprenditore, sono molteplici, e tra esse si possono menzionare: la tendenza a creare regole distinte a seconda che l‟altra parte sia un soggetto debole; l‟inclinazione del legislatore a costruire le singole fatti- specie contrattuali tenendo conto del fatto che sia presente un im-
12 XXXXXXXXX V. (a cura di), Manuale di diritto commerciale, cit., 828. Sul punto si veda anche CIAN G., Contratti civili, contratti commerciali e contratti di impresa, cit., 850 e ss. e ID., Diritto civile e diritto commerciale oltre il sistema dei codici, in Riv. dir. civ., 1974, I, 549 e ss.; CAGNASSO O.
- COTTINO G., op. cit., 5.
13 PRESTI G. - XXXXXXXX M., op. cit., 95.
14 XXXXXXXXX V. (a cura di), Manuale di diritto commerciale, cit., 828; sul tema si veda anche XXXXX X., Parte generale del contratto e norme di settore nelle codificazioni, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2008, 735; BUONO- CORE V., Le nuove frontiere del diritto commerciale, Napoli, 2006, 20; XXXXXXX A., Le fonti del diritto commerciale tra memorie storiche e sce- nari futuri, in Riv. soc., 2001, 855; ALPA G., Modificazioni del codice civile e nuove leggi speciali, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1997, 789; FALZEA A., A chiusura delle celebrazioni cinquantenarie del codice civile, in Riv. dir. civ., 1993, I, 213; XXXXXXXXXXX P., Codice civile e sistema civilistico: il nu- cleo codicistico ed i suoi satelliti, in Riv. dir. civ., 1993, I, 403; TABUCCHI A., Il codice civile di fronte alla normativa comunitaria, in Riv. dir. civ., I, 1993, 703.
prenditore; la propensione a creare regole per un diritto europeo dei contratti.
«Lo scenario normativo che si presenta alle soglie del terzo millennio registra quindi una linea di sviluppo in controtendenza rispetto a quella che aveva condotto all‟assorbimento del codice di commercio all‟interno del codice civile»15. La trattazione, quindi, procederà, prima ancora di analizzare le cause che hanno portato alla riemersione del fenomeno della contrattazione di im- presa, con un raffronto tra il codice di commercio del 1882 e il codice vigente, per proseguire poi con l‟analisi di questi nuovi fattori che sembrano far riemergere aspetti più simili a quelli esi- stenti quando ancora la materia commerciale e quella civile erano contenute in due corpus normativi diversi.
2. LA MATERIA DEI CONTRATTI NEL RIGORE DEL CODICE DI COMMERCIO DEL 1882 E DEL CODICE CIVILE DEL 1865.
Il tema dei contratti commerciali, generale e particolare, riceve per la prima volta in maniera organica una sistemazione nel codi- ce di commercio del 1882, per il dichiarato proposito, da un lato, di riparare alle omissioni del codice civile e dello stesso codice di commercio del 1865 e, dall‟altro, di codificare usi già in vigore per alcuni contratti commerciali16.
15 XXXXXXXXX V. (a cura di), Manuale di diritto commerciale, cit., 829, dove si prosegue rilevando che «mentre la unificazione dei codici muoveva dal desiderio di privare rilevanza, ai fini della disciplina applicabile al con- tratto, le qualità delle parti e di privilegiare soluzioni più favorevoli al ceto mercantile, ora la tendenza è quella di dare rilievo agli status dei contraenti, e inoltre assicurare una particolare protezione al consumatore (come indi- viduo e come partecipante alla associazioni di categoria) – considerato dal- la legge, in modo tipico e astratto, “contraente debole” – nei rapporti nego- ziali intercorrenti tra lo stesso e un operatore professionale».
16 XXXXXXXXX V., Contrattazione d’impresa e nuove categorie contrat- tuali, cit., 8; SANTINI G., Le obbligazioni e i contratti commerciali, in A-
Secondo il codice di commercio, come visto anche nella prima parte di questo capitolo, l‟impresa e i contratti di impresa sono atti oggettivi di commercio; gli altri atti compiuti dall‟imprenditore sono considerati atti “soggettivi” di commercio. Entrambe le ca- tegorie sono sottoposte alla regole dettate per le obbligazioni commerciali17. Il codice di commercio del 1882, oltre ad accentu- are l‟oggettività del sistema, arricchisce gli atti di commercio di nuove figure18.
Relativamente alla parte generale delle obbligazioni commer- ciali, il codice del 1882 disciplina la conclusione del contratto tra assenti, adottando il criterio della conoscenza dell‟accettazione19; prevede che la disciplina speciale prevista da alcune norme del codice civile del 1865 si estenda all‟intero campo delle obbliga- zioni, come l‟art. 39, cod. comm., dettato per le obbligazioni in moneta estera, che replica quanto previsto dal codice civile in ma- teria di cambiale e assicurazione; codifica alcuni principi fonda- mentali per l‟intero settore del commercio, come quelli sulla natu- ra fruttifera dei debiti commerciali e sulla presunta solidarietà del- le obbligazioni commerciali. Anche la parte dei singoli contratti è nutrita da significativi interventi: la vendita, la cui principale di- sciplina era dettata dal codice civile e solo poche norme speciali erano contenute nel codice di commercio del 1865, viene arricchi- ta di nuovi articoli che disciplinano figure particolari, dichiarando valide, ad esempio, la vendita commerciale di cosa altrui, la ven- dita commerciale senza determinazione del prezzo; il contratto di riporto viene per la prima volta codificato e disciplinato come una
A.VV., 1882-1982 – Cento anni dal codice del commercio, Milano, 1984, 153 e ss.
17 OPPO G., Note sulla contrattazione di impresa, cit., 631.
18 Per maggiore compiutezza si rinvia a XXXXXXXXX V., Contrattazione d’impresa e nuove categorie contrattuali, cit., 9-15 e a SANTINI G., op. cit., 154-170.
19 oggetto di acceso dibattito nella dottrina francese e tedesca per defini- re se il momento della conclusione del contratto fosse quello della spedi- zione, dell‟accettazione al proponente o quello della conoscenza da parte di quest‟ultimo dell‟avvenuta accettazione
doppia compravendita; il contratto di conto corrente ordinario ri- ceve maggiore disciplina; vengono rivisti i contratti di mandato commerciale, di trasporto e di assicurazione.
Le innovazioni introdotte dal codice di commercio del 1882, lette20 sincronicamente confermano che la riforma ha raggiunto i suoi obbiettivi: introdurre un corpus legislativo in grado di appa- gare i bisogni della società civile nel settore del commercio, anche al fine di superare le lacune del codice del 1865; offrire agli ope- ratori una sorta di testo unico delle loro consuetudini ispirato all‟esigenza di certezza del diritto, attraverso la consacrazione di usi consolidati; delimitare il campo di applicazione della discipli- na legislativa, sia definendo degli istituti nati e regolati dalla pras- si, sia generalizzando i principi applicabili all‟intera materia del commercio e del singolo contratto.
La lettura diacronica della riforma del 1882, in confronto a quella del 1942, mette in evidenza il fatto che non vi sono state significative divergenze d‟impostazione, in particolare, con rife- rimento ai contratti. In altri termini è mancato un diverso orienta- mento ideologico: la riforma del 1882 non ha fatto altro che, co- me più volte detto, seguire l‟impostazione precedente semplice- mente incrementando la sfera di influenza del codice di commer- cio.
Si deve, inoltre, sottolineare che in entrambe le riforme sono stati enunciati «principi validi anche al di là della materia com- merciale, sia perché codificati in assenza di una corrispondente disciplina civilistica con la coscienza della loro ultrattività, sia perché suscettibili, prima o dopo, di divenire diritto comune per- ché assunti dall‟intera società civile»21. La c.d. commercializza- zione del diritto civile, almeno nel settore delle obbligazioni e dei contratti, non sembra essere il risultato delle riforme legislative
20 Si propone lo schema proposto da Xxxxxxx, adottato anche da BUONO- CORE V., Contrattazione d’impresa e nuove categorie contrattuali, cit., 15, il quale distingue tra lettura sincronica o diacronica della riforma del 1882, XXXXXXX X., op. cit., 170 e ss.
21 XXXXXXX X., op. cit., 171.
ma il semplice passaggio al diritto civile delle consuetudini del di- ritto commerciale, passaggio codificato dal legislatore in sede di ogni riforma22.
«Il che non significa affatto che il legislatore del „42 abbia re- cepito tutti interi contenuto e sistematica del codice di commercio del 1882, avendone, anzi, “fagocitato una sola parte”. È piuttosto vero che, valutando compiutamente l‟intero secolo, la metaboliz- zazione delle norme introdotte dai commercianti e collaudate dal tempo tanto da venire accettate e subite dalla stessa società civile non ha decretato la morte o la scomparsa del corpus di regole proprie della società mercantile, perché questa continua a produr- ne di nuove “surrogando alle perdite per civilizzazione gli acqui- siti normativi per nuova generazione”»23. Questa conclusione, pe- raltro, vale anche per la contrattazione di impresa la quale, oltre ad aver ricevuto nuovi fasti per merito di recenti indagini dedicate al tema, è una categoria viva in tutta Europa.
3. IL CODICE CIVILE DEL 1942 E L’INDIVIDUAZIONE DEL- LA CATEGORIA DEI CONTRATTI COMMERCIALI ALL’INTERNO DEL SISTEMA UNITARIO.
Si è soliti affermare che il legislatore del 1942, disciplinando insieme contratti civili e contratti commerciali, ha unificato la ma- teria dell‟obbligazione e del contratto che trovavano disciplina separata nel codice civile del 1865 e nel codice di commercio del 1882. Tuttavia, l‟unificazione non sembra aver spazzato via un problema di inquadramento dei contratti: è ancora possibile, pas- sando in rassegna le norme sul contratto in generale e i singoli
22 XXXXXXX X., op. cit., 171. Aderiscono a queste considerazioni D‟XXXXXXXXXX X., Relazione di sintesi, AA.VV., 1882-1982 – Cento anni dal codice del commercio, Milano, 1984, 291 e XXXXXXXXX V., Contratta- zione d’impresa e nuove categorie contrattuali, cit., 16.
23 XXXXXXXXX V., Contrattazione d’impresa e nuove categorie contrat- tuali, cit., 16.
contratti regolati dal codice civile, distinguere tra contratti in or- dine ai quali ci si può chiedere se essi siano configurabili come contratti civili o commerciali e contratti neutri per i quali un pro- blema di inquadramento non è nemmeno proponibile24. Lo stesso codice civile usa in più di un articolo le locuzioni “contratti relati- vi all‟azienda” o “contratti relativi all‟impresa” (come ad esempio negli artt. 2112, 2558, 2610).
Utilizzando un criterio normativo25 si possono individuare, in- fatti, dei contratti (come il mandato, i contratti diretti a costituire una garanzia, i contratti destinati a dirimere una lite) che sono in- dirizzati allo svolgimento di una funzione subordinata ad altri rapporti obbligatori e per i quali un inquadramento all‟interno del- la categoria di contratti civili o commerciali non ha alcun senso, potendo svolgere la loro funzione sia in relazione all‟uno che all‟altro tipo di rapporto.
Per altri contratti, come il contratto di lavoro subordinato, il contratto di deposito, il contratto di assicurazione, i contratti ban- cari, il contratto di appalto, la «inserzione nell‟impresa assurge a presupposto dell‟atto stesso e quindi assume rilevanza giuridica. […] Tuttavia anche in questa categoria di rapporti una distinzione appare necessaria tra quegli atti in cui la esistenza di un organiz- zazione costituisce semplicemente un elemento della fattispecie, rientrante quindi nella previsione della norma, […] e quegli atti in cui la esistenza di un‟organizzazione costituisce un presupposto tecnico e, soltanto di riflesso, giuridico dell‟atto»26; mentre nel primo caso, la legge prevede che la connessione all‟impresa non è intrinsecamente necessaria, ma quando sussiste è produttiva di particolari esigenze giuridiche, nel secondo caso, invece, ragioni tecniche impongono la connessione dell‟atto con l‟organizzazione dell‟impresa. Per fare due esempi: il contratto di deposito rientra
24 XXXXXXXXX V., Contrattazione d’impresa e nuove categorie contrat- tuali, cit., 28, il quale ritiene che questa distinzione costituisca la base per tutte le altre distinzioni possibili.
25 DALMARTELLO A., (voce) Contratti di impresa, cit., 2
26 XXXXX G.B., op. cit., 661; XXXXXXXXX V. - LUMINOSO L., op. cit., 19.
nella prima categoria, in quanto esso può aversi anche al di fuori dell‟impresa, ma è soggetto a una particolare disciplina quando è stipulato all‟interno della organizzazione imprenditoriale, si pensi al deposito nei magazzini generali o al deposito in albergo; i con- tratti bancari, di assicurazione o di appalto, invece, non vengono concepiti anche al di fuori dell‟impresa, e quindi l‟organizzazione di impresa diventa elemento giuridicamente rilevante27.
Ci sono poi altri “fatti normativi” presenti nel nostro codice che non riguardano disposizioni che regolano singole species con- trattuali, ma che dettano per la generalità dei contratti una disci- plina specifica che si applica quando una parte del contratto è un imprenditore.
Si possono portare come esempi l‟art. 1330, che impedisce la caducazione degli effetti della proposta e dell‟accettazione fatte dagli imprenditori, nonostante la sopravvenuta incapacità o morte degli stessi; l‟art 1368, il quale riconsacra gli usi commerciali, di- sponendo che nei contratti in cui una delle parti è imprenditore si interpretano secondo ciò che si pratica generalmente nel luogo in cui è sede l‟impresa; l‟art. 1400, il quale sottrae alla disciplina della rappresentanza in generale le speciali forme di rappresen- tanza nelle imprese agricole e commerciali; l‟art. 1722, n. 4, il quale stabilisce che il mandato non si estingue per la morte, l‟incapacità o l‟inabilitazione del mandante se ha per oggetto il compimento di atti relativi all‟esercizio di un‟impresa; l‟art. 2558, il quale comporta la successione automatica del cessionario dell‟azienda in tutti i contratti stipulati per l‟esercizio dell‟azienda stessa (anche nei rapporti di lavoro e nei debiti da questo derivan- ti, art. 2112 cod. civ.).
Fin qui si sono viste le norme in cui la partecipazione dell‟imprenditore, o meglio, l‟inserzione del contratto nell‟attività di impresa, è necessaria per il configurarsi della fattispecie. Al fi-
27 FERRI G.B., op. cit., 661-662.
ne di segnalare questa caratteristica si parla di contratti “necessa- riamente” d‟impresa28.
Tuttavia nel codice civile è presente anche una serie di altri contratti che non rientrerebbero, alla stregua del criterio normati- vo, tra i contratti commerciali: quelli per cui la formazione codici- stica non richiede il presupposto tecnico dell‟esistenza di un‟organizzazione imprenditoriale, né considera tale organizza- zione come elemento della fattispecie. Si tratterebbe di quei con- tratti che possono essere posti in essere da qualunque soggetto di diritto ma che di norma sono posti in essere da un imprenditore; la dottrina definisce tali contratti “naturalmente” o “funzionalmente” d‟impresa.
Tale espressione si suole riferire a quei contratti per i quali il legislatore ha riprodotto la normativa adottata nel codice del commercio abrogato: solo alla stregua di un criterio formale, non possono dirsi d‟impresa perché non vi è nelle norme regolatrici alcun riferimento all‟impresa e perché non sono contratti riservati all‟imprenditore, nonostante il rilievo socio-economico del feno- meno29. Il discorso riguarda contratti quali la commissione (art. 1731 cod. civ.), la spedizione (art. 1737 cod. civ.), l‟agenzia (art. 1742 cod. civ.), la mediazione (art. 1754 cod. civ.) e in misura più affievolita, il contratto estimatorio (art. 1556 cod. civ.), la sommi- nistrazione (art. 1559 cod. civ.), e alcune figure speciali della vendita (artt. 1510-1536 cod. civ.).
28 Distinguono tra contratti necessariamente commerciali e naturalmen- te commerciali XXXXXXXXX V. (a cura di), Manuale di diritto commerciale, cit., 830; XXXXXXXXX V. - LUMINOSO L., op. cit., 25 e ss; OPPO G., I con-
tratti d’impresa tra codice civile e legislazione speciale, cit., 84; XXXXXX X., op. cit., 137; .
29 XXXXXXXXX V., Contrattazione d’impresa e nuove categorie contrat- tuali, cit., 38, che riporta l‟idea di SPADA P., (voce) Impresa, in Dig. disc. priv. sez. comm., VII, Torino, 1992, 67, il quale per marcare la differenza fra istituti, distingue tra quelli che possono essere inclusi nello statuti dell‟imprenditore perché a questi riservati e istituti che, pur mutando la loro rilevanza per la circostanza di essere operativi nel mondo delle imprese, non sono esclusivi dell‟imprenditore.
Dal punto di vista storico, infatti, la maggior parte dei contratti speciali richiamati è stata pensata per l‟imprenditore e la loro di- sciplina assume una luce diversa quando questi sono riferiti all‟impresa; in altri termini, la disciplina dei contratti naturalmen- te d‟impresa è applicabile solo in via analogica a chi li pone in es- sere non professionalmente30.
Dal quadro legislativo sopra esposto sembra esistere nel codice un gruppo di contratti definibili d’impresa perché la presenza di un‟organizzazione commerciale diviene elemento rilevante della fattispecie normativa. «In ordine a tali contratti, perciò, non a- vrebbe pregio alcuno l‟obiezione – pezzo forte, soprattutto un tempo, di coloro che consideravano l‟unificazione come momento abrogante della distinzione in parola – della “inutilità” di una classificazione fondata sull‟inesistenza di norme applicabili solo ed esclusivamente ad essi. Può, oggi, scriversi che, alla stregua delle norme contenute nel codice civile, questi contratti non sor- gono se nella fattispecie non c‟è l‟impresa»31.
Il legislatore del 1942, dettando, nel corpus unitario del codice civile, regole speciali applicabili solo se alla fattispecie partecipa un imprenditore nell‟esercizio della propria attività – e la cui
30 XXXXXXXXX V., Contrattazione d’impresa e nuove categorie contrat- tuali, cit., 45.
31 XXXXXXXXX V., Contrattazione d’impresa e nuove categorie contrat- tuali, cit., 35. Si veda anche CIAN G., Contratti civili, contratti commerciali e contratti di impresa, cit., 856; OPPO G., I contratti d’impresa tra codice civile e legislazione speciale, cit. 841 e ID., Note sulla contrattazione di im- presa, cit. 631.
Sulla centralità del concetto di impresa nel nostro ordinamento si rinvia a SPADA P., (voce) Impresa, cit., 32 e ss; FERRI G.B., Dai codici della pro- prietà al codice dell’impresa, in Europa e dir. priv., 2005, 401; OPPO G., Le ragioni del diritto: il diritto commerciale, in Riv. dir. civ., 1995, I, 507, il quale ritiene che «le ragioni del diritto commerciale vanno dunque ricer- cate e colte sul piano degli interessi coinvolti nei rapporti interni dell‟impresa, sul piano degli interessi coinvolti nella sua azione di mercato e anzitutto sul piano del rapporto con gli interessi generali della collettività con i quali devono confrontarsi tutti gli interessi che chiedono tutela all‟ordine giuridico».
mancanza porterebbe alla applicazione di altre norme di carattere generale – avrebbe riconosciuto implicitamente l‟esistenza del principio generale dagli “atti relativi all‟esercizio dell‟impresa”. Da tali norme, e soprattutto da quelle in cui la presenza dell‟impresa è un presupposto tecnico, la dottrina32 ricava due principi: quello della insensibilità dei contratti posti in essere dall‟imprenditore alle proprie vicende personali e quello della ambulatorietà, intesa come trasferimento automatico del contratto in capo al cessionario senza il consenso del contraente ceduto in caso di trasferimento di azienda.
I principi della insensibilità e della ambulatorietà nascono dal- la stessa impostazione del codice, il quale non ha utilizzato come principio informatore della nuova normativa l‟impresa sotto il profilo soggettivo, ma ha identificato l‟imprenditore come sogget- to dell‟attività di impresa e l‟impresa come attività organizzata33, suscettibile di continuazione; in questa realtà il contratto, necessa- riamente da imputare all‟imprenditore quale unico soggetto capa- ce di assumere la veste di parte contrattuale, essendo un atto che concorre a realizzare l‟attività di impresa, trae dalla sua “funzione strumentale oggettiva” la capacità di conservarsi e di transitare al soggetto che subentra. Queste caratteristiche, in altri termini, de- rivano dalla funzione oggettiva del contratto di impresa: il con- tratto, nella realtà globale dell‟impresa, è un valore nella dinamica dell‟azienda (con riguardo al suo avviamento) essendo necessario per realizzare l‟attività stessa 34.
La funzione svolta dal contratto nell‟attività d‟impresa è causa del fatto che esso ha una propria disciplina relativa alla sua ces-
32 XXXXXXXXX V., Contrattazione d’impresa e nuove categorie contrat- tuali, cit., 37; DALMARTELLOA., (voce) Contratti di impresa, cit., 3. CIAN G., Diritto civile e diritto commerciale oltre il sistema dei codici, in Riv. dir. civ., 1974, I, 545.
33 Sul punto si rinvia a ASQUINI A., Profili dell’impresa, in Riv. dir. comm., 1943, I, 7; XXXXXXXXX V., Le nuove frontiere del diritto commer- ciale, cit., 19 e a OPPO G., Realtà giuridica globale dell’impresa nell’ordinamento italiano, in Xxx. xxx. xxx., 0000, X, 000.
34 DALMARTELLOA., (voce) Contratti di impresa,cit., 3.
xxxxx, che deroga alla disciplina generale prevista agli artt. 1406 e ss. del codice civile; quest‟ultima richiede quale presupposto ne- cessario il consenso del contraente ceduto, mentre è previsto l‟automatico trasferimento del contratto in capo al cessionario con il solo temperamento del recesso per giusta causa (art. 2558 cod. civ.). Essa spiega inoltre perché i contratti conclusi da un impren- ditore nell‟esercizio dell‟impresa presentino divergenze anche nella fase precontrattuale, restando l‟imprenditore vincolato alle sue dichiarazioni dirette alla conclusione del contratto, nonostante sopravvenga la sua morte o la sua incapacità (art. 1330)35.
Una prima conclusione che si può trarre da queste considera- zioni, quindi, è quella che anche nel codice civile vigente esiste una categoria di contratti che presuppone per la sua funzionalità l‟esistenza dell‟impresa e ai quali si applicano norme in deroga a quelle sancite per la generalità dei contratti, rivelando che il legi- slatore del 1942, non utilizzando volontariamente quale criterio informatore la soggettività dell‟impresa, ha attuato una oggettiva- zione del contratto di impresa: in tal modo si è collegato il con- tratto più all‟impresa che al soggetto36, con la conseguenza che la partecipazione di un imprenditore al contratto non è criterio ido- neo né a definire se un contratto possa dirsi di impresa, né a giu- stificare l‟esclusività normativa se non è diretta all‟esercizio dell‟attività di impresa37.
4. LA RIEMERSIONE DEI CONTRATTI DI IMPRESA. FONTI E CAUSE.
Il diritto dei contratti, e di quelli di impresa in particolare, ha innegabilmente subito un‟evoluzione rispetto al momento in cui è
35 DALMARTELLOA., (voce) Contratti di impresa, cit., 4.
36 XXXXXXXXX V., Contrattazione d’impresa e nuove categorie contrat- tuali, cit., 37; DALMARTELLOA., (voce) Contratti di impresa, cit., 5.
37 CAGNASSO O. - COTTINO X., op. cit., 2.
entrato in vigore l‟attuale codice civile, sul quale abbiamo fino ad ora posto le basi della presente trattazione.
Tuttavia, se si raffronta il codice civile del 1942 con il testo at- tuale, emerge con chiarezza che tra i due non vi sono modifiche di rilievo per quanto riguarda il libro delle obbligazioni; il dato ri- portato però è poco significativo, in quanto si limita a comparare i mutamenti avvenuti all‟interno del codice. Si giunge a risultati notevolmente divergenti se si raffronta la materia regolata da tale libro con la legislazione speciale.
A partire dalla fine degli anni Xxxxxxx fra gli studiosi italiani del contratto si sviluppa un dibattito – strettamente connesso a quello avviatosi dieci anni prima con le riflessioni di Xxxxxxxx Xxxx sui processi di “decodificazione” del diritto privato38 – sui rappor- ti tra parte generale e parte speciale del contratto in cui era discus- sa l‟ipotesi se la disciplina di parte generale fosse in fase regressi- va rispetto alla disciplina di parte speciale connotata da una mag- giore forza propulsiva e, quindi, la migliore candidata su cui fon- dare lo sviluppo dei contratti39.
38 IRTI N., L’età della decodificazione, Milano, 1989.
00 XX XXXX X., Xxx xxxxxxxx tra disciplina generale dei contratti e di- sciplina dei singoli contratti, in Contratto e Impresa, 1988, 327; XXXXXXX F., La categoria del contratto alla soglie del terzo millennio, in Contratto e impresa, 2000, 919; MONATERI P.G., Ripensare il contratto: verso una ver- sione antagonista del contratto, in Riv. dir. civ., 2003, I, 409; XXXXXXXX GUASTALLA E., Sul rapporto tra parte generale e parte speciale della di- sciplina del contratto, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2004, 379 e 821; VETTO- RI G., La disciplina generale del contratto nel tempo presente, in Riv. dir. priv., 2004, 313; XXXXXXXXX E., L’operazione economica nella teoria del contratto, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2009, 905; XXXXX X., Parte generale del contratto e norme di settore nelle codificazioni, cit., 735.
L‟idea del declino del contratto come categoria generale, così prospetta- ta, è stata in ogni caso respinta, con convincente fermezza, da una impor- tante parte della dottrina, la quale ha riaffermato l‟utilità ed il valore di uno schema unitario astratto, come quello fornito dalla figura generale del con- tratto, che, quale categoria logica e formale, mantiene ancora oggi un ruolo centrale nel quadro degli atti di autonomia privata. Sul punto si rinvia a FERRI G.B., Contratto e negozio: da un regolamento per categorie generali
Questo dibattito prende spunto dalle numerose e profonde mo- difiche che la parte del contratto in generale ha patito: in primo luogo, il ridimensionamento subito dall‟autonomia contrattuale sancita dall‟art. 1322 cod. civ. per il diffondersi della contratta- zione per condizioni generali e, in determinati settori, per la legi- slazione speciale che, per proteggere una delle parti deboli del rapporto contrattuale, detta in maniera puntigliosa il contenuto del contratto (si pensi alla testo unico in materia bancaria e creditizia ed in particolare all‟art. 124 del d.lgs. 385/93 o al decreto legisla- tivo a tutela degli acquirenti degli immobili da costruire e in par- ticolare all‟art. 6 relativo al contenuto del contratto preliminare)40; in secondo luogo, la progressiva divaricazione tra l‟art. 1323 del codice civile e le norme sui contratti speciali, dovuta a una ten- denziale disciplina dei nuovi singoli contratti sempre più lontana dalla disciplina generale41.
Ma anche altri fattori, quali la nuova disciplina dettata per con- tratti appartenenti a determinati settori di particolare importanza, la modifica di alcune vicende che riguardano la formazione, l‟invalidità o lo scioglimento del contratto, la riemersione della
verso una disciplina per tipi?, in Riv. dir. comm., 1988, I, spec., 428; ID., La “cultura” del contratto e le strutture del mercato, in Riv. dir. comm., 1997, I, 843; XXXXXXX P., Parte generale e parte speciale nella disciplina dei contratti, in Contr. Impr., 1988, 805; XXXXXXXXX X., La categoria gene- rale del contratto, in Riv. dir. civ., 1991, I, 669; XXXXXXXX P., (voce) Con- tratto. In generale, in Enc. giur. Treccani, Roma, IX, 1988, 2.
40 Sull‟autonomia negoziale si rinvia a XXXXXXXX P., Note sulla atipicità contrattuale (a proposito dei integrazione dei mercati e nuovi contratti di impresa), in Contr. Impr., 1990, 43, DI MAJO A., Libertà contrattuale e dintorni, in Riv. crit. dir. priv., 1995, 5; VETTORI G., Autonomia privata e contratto giusto, in Riv. dir. priv., 2000, 20; XXXXXXX F., Revisione del contratto e autonomia privata, in Riv. dir. priv., 2007, 347.
41 DE NOVA G., op. cit., 333: «si è riaperta la forbice tra contratti privati e contratti d‟impresa. Si è xxxxxxx xxxxxxxx consapevolezza della distin- zione tra contratti individuali – oggetto di trattativa – e contratti di serie per adesione. Si è aperta la forbice tra contratti tra imprese e contratti con il consumatore. Si è aperta la forbice tra contratti domestici e contratti inter- nazionali». Sul punto si veda anche XXXXXXX P., op. cit., 807
qualità dei contraenti, hanno portato alla frantumazione del diritto dei contratti e alla perdita del ruolo svolto dalla negoziazione42, tanto da parlare di “nuovo paradigma contrattuale”43.
In questo contesto generale segnato da un riscoperto particola- rismo, si inserisce il tema della vicenda dei contratti di impresa, che proprio dalla creazione di nuovi contratti e da regole che de- rogano alla disciplina del contratto in generale, trae nuova linfa essendo riconducibile solamente a contratti che presuppongono l‟impresa quale elemento della fattispecie contrattuale44.
4.1. LA LEGISLAZIONE SPECIALE.
Il diritto dei contratti è stato modificato dalla legislazione spe- ciale per il presentarsi di quattro ragioni, la cui prima è da indivi- duarsi nella creazione di nuovi tipi contrattuali45.
La creazione di nuovi tipi contrattuali assume significato per il fatto che in queste nuove fattispecie l‟esistenza dell‟impresa as- surge a presupposto dell‟atto stesso, sia nel senso che l‟esistenza di un‟organizzazione costituisce elemento della fattispecie, sia nel senso che costituisce presupposto tecnico dell‟atto stesso.
42 VETTORI G., op. cit., 313 e GITTI G., La «tenuta» del tipo contrattuale e il giudizio di compatibilità, in Xxx. xxx. xxx., 0000, X, 000.
43 XXXXX X., Il contratto del duemila, Torino, 2002, IX il quale sottoli- nea che questi sconvolgimenti dovuti alla normativa di settore consegne- rebbero oggi alla riflessione degli interpreti un istituto in gran parte rimo- dellato rispetto agli schemi della tradizione, anche se si avverte che tale pa- radigma «che s‟intravede dietro la crisi del vecchio, è tutt‟altro che com- piutamente definito: esso riflette una realtà ancora magmatica, allo stato nascente».
44 XXXXXXXXX V., Contrattazione d’impresa e nuove categorie contrat- tuali, cit., 55 e ss.
45 Sul rapporto tra contrattazione di impresa e legislazione speciale si rinvia a XXXXXXXXX V., Contrattazione d’impresa e nuove categorie con- trattuali, cit., 58 e ss. e a CAPO G., op. cit., 2.
Emblematico è l‟esempio fornitoci dal contratto di subfornitura introdotto dalla legge n. 192 del 1998, la cui natura di contratto normativamente d‟impresa si desume dall‟articolo 1, che defini- sce la subfornitura il contratto con il quale «un imprenditore si impegna a effettuare per conto di un‟impresa committente lavori su prodotti semilavorati o su materie prime fornite dalla commit- tente medesima, o si impegna a fornire all‟impresa prodotti o ser- vizi destinati a essere incorporati o comunque ad essere utilizzati nell‟ambito dell‟attività economica del committente o nella pro- duzione di un bene complesso»46.
Anche il contratto di affiliazione commerciale, introdotto con la legge 6 maggio 2004, n. 129, rientra in questa categoria.
Il secondo elemento prodotto dalla legislazione speciale è da individuarsi nella creazione di nuovi gruppi di contratti, accen- tuando le discipline settoriali: anche in questo caso l‟impresa as- surge a condizione di esistenza e funzionalità delle singole specie rientranti nel gruppo. Come esempio ci si può limitare a citare il testo unico in materia bancaria e creditizia (d.lgs. 385/1993 – TUB) e il testo unico in materia di intermediazione finanziaria (d.lgs. 58/1998 – TUF). Relativamente al primo si può notare che è la stessa legge, all‟art. 10, a decretare che l‟attività bancaria,
46 Il contratto di subfornitura presenta un‟analitica disciplina che presen- ta alcune delle significative novità presenti anche in altri contratti tra im- prese e delle quali si tratterà nel terzo capitolo. In particolare: la forma scritta a pena di nullità, deroghe alla disciplina della nullità prevista del co- dice civile, disapplicazione dell‟art. 1341, regole per il contenuto del con- tratto. Inoltre la tutela apprestata all‟imprenditore in posizione di inferiorità non è solo per il contratto di subfornitura, di cui la presente legge fornisce una definizione, ma si ritiene che possa essere applicata anche ad altre si- tuazioni analoghe.
Sul contratto di subfornitura si rinvia a XXXXX G. - CALIA G., La subfor- nitura in Italia: sette anni di applicazione della legge 18 giugno 1998, n. 192, in Riv. dir. priv., 2006, 99; FRIGNANI A., Disciplina della subfornitura nella legge n. 192/1998: problemi di diritto sostanziale, in Contratti, 1999, 189; CASO R. - PARDOLESI R., La nuova disciplina di subfornitura (indu- striale): scampolo di fine millennio o prodromo di tempi migliori, in Riv. dir. priv., 1998, 712.
consistente nella raccolta di risparmio tra il pubblico e nell‟esercizio del credito, ha carattere di impresa. Il provvedi- mento, con tale precisazione, intende chiarire che il corpus nor- mativo presente nello stesso comporta una disciplina differenziata rispetto a quella contenuta nel codice civile sul contratto in gene- rale e che la sola partecipazione della banca al contratto presup- pone la disciplina di settore, cosicché è possibile rintracciare una disciplina dei contratti bancari retta da regole proprie47.
Anche per il TUF, che da un lato introduce la figura dell‟impresa di investimento, e dall‟altro riserva ai soli soggetti abilitati l‟esercizio professionale nei confronti del pubblico dei servizi e delle attività di investimento, si può affermare che la presenza di determinati soggetti comporta l‟applicazione della di- sciplina di settore, la quale prevede norme di comportamento de- gli investitori finanziari durante la fase precontrattuale e quella successiva, uniformando modelli contrattuali già in uso nella prassi (art. 1, comma 2, che elenca gli “strumenti finanziari”).
All‟interno di questo gruppo si possono ricordare anche le norme sui contratti di assicurazione privata, oggi contenute nel codice delle assicurazioni private (d.lgs. 209/2005) e le disposi- zioni in materia di accordi di ristrutturazione dei debiti e di piani di risanamento, entrambi relativi alla composizione negoziale del- le crisi d‟impresa e introdotte nella legge fallimentare in virtù del
47 Sulla disputa ormai sopita tra chi postulava l‟esistenza di contratti og- gettivamente bancari e chi escludeva la possibilità di ricercare un‟autonoma categoria si veda MESSINEO F., Caratteri giuridici comuni, concetto e clas- sificazione dei contratti bancari, in Banca, borsa e tit. cred., 1960, I, 321; ID., Ancora sul concetto di contratto bancario, in Banca, borsa e tit. cred., 1962, I, 481; XXXXXXXXX G., Impresa bancaria e contratti bancari, in Ban- ca, borsa e tit. cred., 1966, I, 261; XXXXXXXXXX C., Diritto privato genera- le e diritti secondi. Responsabilità civile e impresa bancaria, in Jus, 1981, 158; XXXXXXXXX V., I rapporti tra banca e clientela. Asimmetria e condotte abusive, Padova, 2008, 3 e ss. Sulla moltiplicazione di norme di parte gene- rale settoriale che indivdua principi validi solo per una ristretta cerchia di tipi si veda XXXXX G., Verso la tipizzazione dei contratti bancari, in Con- tratti, 1995, 327.
d.l. 14 marzo 2005, n. 35, convertito in legge 4 maggio 2005, n. 80.
La legislazione speciale ha modificato, ed è questo il terzo a- spetto, l’assetto normativo di alcuni contratti disciplinati dal co- dice civile, accentuandone gli elementi di commercialità. Un pri- mo esempio di questo fatto è rappresentato dal contratto di tra- sporto48, il quale, relativamente al trasporto di cose per conto di terzi, è stato diversificato dalla disciplina contenuta nel codice ci- vile dalla legge 6 giugno 1974, n. 298 (successivamente modifica- to dal d.l. 82/1993, convertito in legge 162/1993): in primo luogo, il trasporto di cose per conto di terzi viene definito attività im- prenditoriale, facendo uscire il contratto di trasporto, almeno per questa singola figura, dalla categoria dei contratti naturalmente di impresa per inserirla in quella dei contratti normativamente d‟impresa; in secondo luogo, la prescrizione di iscrizione in appo- sito albo come condizione necessaria per l‟esercizio di autotra- sporto (art. 1, comma 3), l‟assoggettamento a tariffe obbligatorie (art. 50), speciali nullità (art. 1), limitazioni al risarcimento dei danni, creano un corpus normativo che presenta un paradigma ben diverso da quello contenuto nel codice civile.
Un secondo esempio è il contratto d‟agenzia la cui disciplina nell‟ultimo decennio ha subito rilevanti modifiche a seguito della legge 3 maggio 1985, n. 204, successivamente modificata e inte- grata dell‟attuazione della direttiva comunitaria 18 dicembre 1986, n. 653, relativa al coordinamento dei diritti degli Stati Membri concernenti gli agenti commerciali indipendenti, alla quale è stata data attuazione, a più riprese, tramite l‟emanazione del decreto legislativo 10 settembre 1991, n. 303, e del decreto le- gislativo 15 febbraio 1999, n. 65, i quali hanno innovato il codice civile in merito agli istituti della forma del contratto (richiedendo la forma scritta ad probationem), della provvigione, dell‟esclusiva, dell‟indennità di fine rapporto e del patto di non
48 Per un‟illustrazione del trasporto nel codice civile e nella legislazione speciale XXXXXXXXX V. - LUMINOSO L. (a cura di), Contratti d’impresa, cit., I, 445 e ss; CAGNASSO O. - COTTINO G., op. cit., 473 e ss.
concorrenza dopo la cessazione del contratto. Successivamente, la legge comunitaria 21 dicembre 1999, n. 526 ha radicalmente mo- dificato la disciplina della clausola dello “star del credere” e la legge comunitaria 29 dicembre 2000, n. 422, è intervenuta ulte- riormente sul patto di non concorrenza49.
Ai nostri fini occorre segnalare che la legge 204/1985, stabi- lendo all‟art. 1 che «l‟attività degli agenti di commercio si intende esercitata da chiunque venga stabilmente incaricato da una o più imprese di promuovere la conclusione di contratti in una o più zone determinate», introduce nella disciplina il concetto di attività che evoca la figura dell‟imprenditore. Inoltre, anche l‟art. 9, comma 1, della legge in commento, accentua il profilo d‟impresa del contratto di agenzia stabilendo che è vietato a chi non è iscrit- to al ruolo esercitare l‟attività di agente o di rappresentante di commercio50. Va peraltro ricordato che prima della decisione del- la Corte di Giustizia del 1998 la giurisprudenza riteneva che fosse nullo il contratto di agenzia concluso da un agente non iscritto al ruolo; a seguito di tale sentenza non pare più possibile subordina- re la validità di un contratto di agenzia all‟iscrizione dell‟agente di commercio in un apposito albo51.
49 CAGNASSO O. - COTTINO X., op. cit., 263 e ss.; XXXXXXXXXX F. - MO-
SCA C., La nuova disciplina dell’agente commerciale, Xxxxxx, 0000;
50 Lo stesso è accaduto per il contratto di mediazione con la legge 3 feb- braio 1989, n. 39, la quale ha reso la mediazione attività protetta ed esclu- siva. Sul punto XXXXXXXXX V. - LUMINOSO L. (a cura di), Contratti d’impresa, cit., II, 1053 e ss.; XXXXXXXX P., Note a margine dell’ultima leg- ge in tema di mediazione, in Riv. dir. comm., 1991,
51 L‟intervento richiamato della Corte di Giustizia delle Comunità euro- pee che ha fatto chiarezza in relazione alla disciplina nazionale relativa al difetto di iscrizione al ruolo da parte degli agenti di commercio è quello del 30 aprile 1998, causa C-215/97 – X.Xxxxxxx c. Yokohama s.p.a. (a com- mento di tale pronuncia x. XXXXXXXXXX F., Contratto di agenzia e mancata iscrizione nel ruolo dei rappresentanti e degli agenti di commercio: effetti civilistici – Il ruolo della nullità nell’attuale ordinamento, in Nuova giur. civ., 1999, I, 163; CODINANZI M., Agenti di commercio italiani e direttive comunitarie, in Contr. Impr. Eur., 1998, 871). Con ordinanza 16 aprile 1997 il Tribunale di Bologna sottoponeva alla Corte di Giustizia europea,
ai sensi dell‟art. 177 del Trattato CE, una questione pregiudiziale concer- nente l‟interpretazione della Direttiva del Consiglio 18 dicembre 1986, 86/653/CEE, relativa al coordinamento dei diritti degli Stati membri con- cernenti gli agenti commerciali indipendenti. La vicenda processuale nasce dalla decisione del giudice di primo grado di escludere che l‟agente com- merciale potesse agire giudizialmente reclamando le provvigioni e le in- dennità relative all‟attività svolta in quanto non iscritto al ruolo per gli a- genti e i rappresentanti di commercio, iscrizione obbligatoria prevista dall‟art. 2 e 9 della legge italiana 3 maggio 1985, n. 204 e di dichiarare la nullità del contratto di agenzia per violazione della norma imperativa.
Il giudice d‟appello ha ritenuto che si ponesse un problema di diritto comunitario laddove le norme nazionali che subordinano i diritti degli a- genti all‟obbligo di iscriversi all‟apposito ruolo potevano porsi in contrasto con la direttiva 86/653/CEE, la quale non prevede l‟istituzione di tale ruolo. Di qui la sospensione del giudizio e la relativa formulazione della questione pregiudiziale alla Corte di Giustizia se la direttiva 86/653/CEE sia incom- patibile con gli artt. 2 e 9 della legge interna italiana n. 204 del 3 maggio 1985, che condizionano la validità dei contratti di agenzia all‟iscrizione de- gli agenti di commercio in apposito albo. Premettendo che la direttiva la- sciava ai singoli stati la facoltà di imporre l‟iscrizione in un apposito albo per rispondere a talune esigenze di carattere amministrativo, il problema sollevato dal Tribunale di Bologna riguardava non tanto l‟obbligo di iscri- zione nel ruolo ma la subordinazione della validità del contratto di agenzia a tale incombente.
La Corte dichiarò l‟incompatibilità della normativa italiana con la diret- tiva 86/653/CEE, evidenziando come la direttiva riguardi la tutela delle persone che, ai sensi delle sue disposizioni, ricoprono la qualifica di agente commerciale. Dall‟art. 1, n. 2, della direttiva che riconosce tale qualifica, risulta evidente come non venga richiesto il requisito dell‟iscrizione ad un apposito albo per poter beneficiare della direttiva.
Effetto della decisione della Corte di giustizia risulta essere l‟abbandono delle interpretazioni sostenute negli ultimi decenni dalla giurisprudenza e dalla dottrina in merito, le quali, salvo casi del tutto eccezionali (ci si riferi- sce a Xxxx. 7 aprile 1981, n.1979, in Mass. giur. it., 1981, col. 538, per la quale l‟iscrizione nel ruolo degli agenti costituisce un mero adempimento amministrativo, ininfluente per la validità del contratto), affrontavano il problema dell‟eventuale tutela dell‟agente abusivo partendo dal presuppo- sto della nullità del contratto, rinvenendola o nell‟illiceità della causa e dell‟oggetto (Cass. sez. un., 12 novembre 1983, n. 6730, in Foro it., 1984, I, 92, con nota di PARDOLESI R.; Cass. sez. un., 12 novembre 1983, n.6729,
Altro contratto che ha subito una ricommercializzazione è il contratto di locazione, come dimostrato dalla legge 27 luglio 1978, n, 392. Le norme derogatrici al codice civile di questa leg- ge, infatti, sono indirizzate a coloro che esercitano attività indu- striali, commerciali ed artigianali; tra queste norme si possono ri- cordare l‟art. 34 che prevede un‟indennità per la perdita dell‟avviamento in caso di cessazione del rapporto di locazione; l‟art. 36 il quale stabilisce, in deroga agli artt. 1406 e 1594 cod. civ., che il contratto di locazione può essere ceduto senza il con- senso del locatore se gli succedono altri professionisti, artigiani o commercianti; gli artt. 38-40 che introducono nuovi diritti di pre- lazione reale. Queste norme influiscono sul tema trattato in quan- to ripristinano una differenza di disciplina a seconda che l‟immobile locato sia destinato ad abitazione o a sede dell‟impresa.
L‟ultimo dei profili della legislazione speciale è costituito dal complesso di quei provvedimenti che non sono dettati per singoli contratti ma creano norme di carattere generale derogatorie ri- spetto a quelle contenute nel codice civile. Un primo esempio di provvedimento normativo che detta una disciplina di carattere ge- nerale applicabile a contratti stipulati per l‟esercizio dell‟impresa è la legge 21 febbraio 1991, n. 52 recante la Disciplina della ces- sione dei crediti di impresa. Tale legge, che non si può dire aver
in Giust. civ., 1984, I, 1546), o per contrarietà ad una norma imperativa (Cass. 4 novembre 1994, n.9063, in Contratti, 1995, 171, con nota di XXXXXXXXXXXXX).
Si segnala, sul medesimo argomento Corte di Giustizia delle Comunità Europee, sez. I, sentenza 13 luglio 2000, causa C-456/98, Soc. Centrosteel
c. Adipol GmbH, in Foro it., 2001, IV, 26, nella quale viene ribadito che
«la direttiva 86/653/XXX xxxx ad una normativa nazionale che subordini la validità di un contratto di agenzia all’iscrizione dell’agente di commercio in un apposito albo; il giudice nazionale, nell’applicare disposizioni del di- ritto nazionale anteriori o successive a tale direttiva, è tenuto ad interpre- tarle quanto più possibile alla luce del tenore e della finalità della stessa, in modo da consentirne un’applicazione conforme agli obiettivi di quest’ultima».
disciplinato in modo organico il contratto di factoring, rappresen- ta la disciplina «della cessione di un certo tipo di credito (…) fra un certo tipo di soggetti (…)»52 ed assume così un valore di ordi- ne generale.
La nuova normativa presenta quattro innovazioni: a) consente la cessione in massa dei crediti presenti e futuri anche se non è ancora stato stipulato il contratto da cui sorgeranno, alla sola con- dizione che tale contratto sia stipulato entro 24 mesi, e che sia in- dicato il debitore ceduto (art. 3); b) prevede come naturale la ga- ranzia del cedente della solvenza del debitore ceduto (art. 4); c) individua, nel pagamento con data certa (di una parte) del corri- spettivo, un nuovo criterio di opponibilità (art. 5); d) prevede una disciplina fallimentare speciale (art. 6, 7) 53.
Introducendo una distinzione tra cessione commerciale e ces- sione civile del credito «senza alcuna intenzione enfatizzatrice, si
00 XX XXXX X., Xxxxxxxxxx dell’acquisto dei crediti d’impresa: un dise- gno di legge, in Riv dir civ., 1987, I, 287. Sul punto anche RIVOLTA G.C.M., La disciplina della cessione dei crediti d’impresa, in Xxx. xxx. xxx., 0000, XX, 000.
53 Non è certo, tuttavia, quando ricorra una “cessione di crediti d‟impresa”, soggetta in quanto tale alla legge n. 52/1991 e non (in parte) al- le norme del codice (artt. 1260-1267 c.c.), e ciò in ragione dell‟ambiguo di- sposto del suo art. 1, comma 1, indicante, appunto, i presupposti di applica- zione della disciplina speciale in discorso. Per la verità, dubbi non sorgono con riguardo ai requisiti soggettivi che devono essere posseduti da cedente e cessionario per l‟assoggettamento dell‟operazione da essi compiuta alle regole della legge speciale: ai sensi delle lett. a) e c) dell‟articolo sopra ci- tato, infatti, il primo non può che essere un imprenditore, mentre il secondo
«una banca o un intermediario finanziario disciplinato dal testo unico del- le leggi in materia bancaria e creditizia emanato ai sensi dell’art. 25, comma 2 o , della legge 19 febbraio 1992, n. 142, il cui oggetto sociale preveda l’esercizio dell’attività di acquisto dei crediti d’impresa». Decisa- mente problematica è invece l‟esatta delimitazione dei presupposti oggetti- vi di applicazione della legge, e in particolare l‟interpretazione delle previ- sioni secondo cui si ha riguardo alla “cessione dei crediti pecuniari verso corrispettivo”, i quali devono sorgere “da contratti stipulati dal cedente nell’esercizio dell’impresa” (art. 1, comma 1, lett. b).
può convenientemente scrivere che questa legge sembra costituire un inizio di riempimento di quella lacuna normativa di ordine ge- nerale che dalla maggioranza degli autori veniva evidenziata co- me ostativa alla giustificazione non meramente concettuale di un‟autonoma categoria di contratti di impresa»54.
Un secondo intervento legislativo di portata generale è quello relativo al credito al consumo (inizialmente regolato e istituito dalla legge 19 febbraio 1992, n, 192 e poi confluito nel TUB agli artt. 121-126), per il quale si «intende la concessione, nell‟esercizio di un‟attività commerciale o professionale, di credi- to sotto forma di dilazione di pagamento, di finanziamento o di al- tra analoga facilitazione» ed il cui esercizio è riservato alle ban- che, agli intermediari finanziari e agli altri soggetti autorizzati (in quest‟ultimo caso solo nella forma della dilazione di pagamento del prezzo).
La norma che presenta una divergenza con il codice civile è l‟art. 124 del T.U. bancario, il quale stabilisce che ai contratti di credito al consumo si applica l‟art. 117, comma 1 e comma 3, cioè la redazione per iscritto a pena di nullità della concessione del credito e l‟obbligo di consegnarne “un esemplare” al cliente e il secondo comma del medesimo articolo che si occupa della deter- minazione del contenuto minimo del contratto55.
54 XXXXXXXXX V., Contrattazione d’impresa e nuove categorie contrat- tuali, cit., 82.
55 E‟ stato rimarcato (XXXXXXX X., Il credito al consumo, in LIPARI N. (a cura di), Trattato di diritto privato europeo, Vol. IV, Padova, 2003, 89) che il carattere sostanziale del controllo contenutistico del contratto è riscontra- bile anche nella giurisprudenza che ha inteso rilevare d‟ufficio la nullità del contratto per l‟assenza di indicazione dei beni oggetto della compravendita finanziata, posto che la carenza informativa sulle caratteristiche del bene acquistato con il finanziamento non è suscettibile di integrazione attraverso i meccanismi di inserzione automatica di clausole. E‟ interessante notare che la rilevabilità d‟ufficio di una nullità relativa, quale è quella prevista dall‟art. 127 a tutela del cliente e/o debitore consumatore, è giustificata dal- la ricordata giurisprudenza in considerazione, da un lato, dello stesso carat- tere imperativo della disposizione, dall‟altro della sua ratio protettiva della
Altre sono poi le normative che derogano alla disciplina gene- rale in tema di obbligazione e di contratto, come il d.lgs. 15 gen- naio 1992, n. 50, in materia di contratti stipulati fuori dai locali commerciali o il d.lgs. 22 maggio 1999, n. 185 recante norme re- lative alla protezione dei consumatori in materia di contratti a di- stanza. Queste discipline sono però oggi confluite nel codice del consumo e pertanto, per quanto necessario alla presente trattazio- ne, si rinvia al paragrafo 4.3. del presente capitolo. Da ultimo va ricordato il d.lgs. 9 ottobre 2002, n. 231, relativo alla disciplina dei ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali, da cui e- merge una deroga alla disciplina contenuta nel codice civile rela- tivamente all‟inadempimento delle obbligazioni.
4.2. LA LEGISLAZIONE INTERNAZIONALE E COMUNITARIA.
Il secondo fattore che ha inciso sulla contrattazione di impresa è dato dalla legislazione internazionale e da quella comunitaria in particolare.
L‟importanza di queste due fonti è indubbiamente apparsa già da quanto esposto nel precedente paragrafo, in quanto la legisla- zione interna che ha inciso sulla disciplina dei contratti è legisla- zione di recepimento delle normativa internazionale, la quale all‟interno l‟ampio ambito del settore privatistico si è interessata maggiormente a quello commerciale.
Questo interesse è dovuto al fatto che il diritto dei traffici e de- gli affari, proprio della materia commerciale, è quello che ha maggiormente sentito la necessità dell‟uniformità e
parte più debole del rapporto (Pret. Bologna, 4 gennaio 1999, in Corriere giur., 1999, 600). Sul credito al consumo si rinvia a ALPA G., Il credito al consumo, in Il diritto dei consumatori, Roma-Bari, 1995; DONA M., Il co- dice del consumo, regole e significati, Torino, 2005; XXXXX C.A., Introdu- zione alla nuova disciplina del credito al consumo – Le novità della diretti- va 2008/48/ce del 22 maggio 2008 in materia «contratti di credito ai con- sumatori», in xxx.xxxxxx.xx
dell‟armonizzazione delle legislazioni nazionali56: è noto che tra gli obiettivi materiali della Comunità europea è presente la realiz- zazione di un c.d. mercato interno tra gli Stati comunitari57.
È necessario, però, tenere distinti l‟obbiettivo della armonizza- zione da quello della unificazione: mentre il primo, tramite le di- rettive comunitarie, incide sugli ordinamenti dei singoli Stati, il secondo, tramite progetti quali quello per la realizzazione di un “codice europeo dei contratti”, investe solo la disciplina dei rap- porti commerciali transazionali.
Tra le Convenzioni internazionali, utili ai fini della presente trattazione, meritano di essere ricordate; la Convenzione di Vien- na dell‟11 aprile 1980, ratificata con la l. 11 dicembre 1985, n. 765, sulla “vendita internazionale di beni mobili”, la quale, pur prescrivendo all‟art. 1, comma 3, che il carattere civile o commer- ciale delle parti o del contratto non sono presi in considerazione ai fini della applicazione della Convenzione stessa, all‟art. 2 stabili- sce che essa non si applica alle vendite di «beni mobili acquistati, per uso personale, familiare o domestico»; la Convenzione di Roma del 19 giugno 1980, ratificata con la l. 18 dicembre 1984,
n. 975, la quale costituisce uno strumento per evitare le possibili interpretazioni difformi da parte dei giudici nazionali, prevedendo all‟art. 18 che «nell’interpretazione e applicazione delle norme uniformi che precedono, si terrà conto del loro carattere interna- zionale e dell’opportunità che siano interpretate e applicate in modo uniforme».
56 ZENO-ZENCOVICH, Il diritto europeo dei contratti (verso la distinzione fra “contratti commerciali” e “contratti dei consumatori”), in Giur. it., 1993, IV, 59, il quale ricorda la Risoluzione del 26 maggio del 1989 del Parlamento europeo sul ravvicinamento del diritto privato degli Stati mem- bri della Comunità. Cfr. in proposito anche le considerazioni di BONELL M.J., (voce) Unificazione internazionale del diritto, in Enc. dir., XLV, Mi- lano, 1992, 720 e ss.
57 CARBONE S.M., Obiettivi di diritto materiale e tendenze del diritto in- ternazionale privato e processuale comunitario, in Il nuovo diritto europeo dei contratti: dalla Convenzione di Roma al regolamento “Roma I”, Mila- no 2007, 12.
La Convenzione di Roma, insieme alla Convenzione di Bruxel- les (trasformata nel Regolamento CE 44/2001 del Consiglio, del 22 dicembre 2000, concernete la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l‟esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale), costituisce il precedente logico e una prima concre- ta attuazione del disegno di fare del territorio comunitario uno spazio giuridico integrato per quel che concerne la materia civile e commerciale.
Ai fini della determinazione della legge applicabile, la Con- venzione si ispira a tre principi: il primo è quello dell‟autonomia della volontà, le parti, infatti, sono libere di designare la legge re- golatrice del contratto (art. 3); il secondo principio prevede che, in assenza di scelta, il contratto è sottoposto alla legge con cui pre- senta il collegamento più stretto (art. 4); il terzo principio è il fa- vor negotii, considerando valido il contratto se soddisfa i requisiti formali della legge che ne regola la sostanza o quelli della legge in cui il contratto è concluso.
Dalla lettura delle norme della Convenzione di Roma emerge chiaramente che il proprio fine è quello di favorire il suo utilizzo nel diritto degli affari, in quanto, lasciando alle parti la libertà di individuare la legge regolatrice del contratto, intende garantire lo- ro, nella massima misura possibile, la produzione degli effetti che hanno ricercato attraverso la stipulazione del contratto.
La scelta di lasciare ampio spazio all‟autonomia privata è, pe- rò, valida solo con riferimento ai rapporti contrattuali in cui le parti in causa si collocano su una posizione di tendenziale parità58.
58 CARBONE S.M., op. cit., 23, «In questo senso, pertanto, affidando alla volontà delle parti la scelta della legge applicabile, si è inteso favorire il lo- ro interesse materiale, non essendovi motivi per considerare la scelta di legge attribuita all‟autonomia privata “incompatibile con qualsiasi criterio materiale”, oppure inidonea nel “perseguire una politica materiale”. Infatti, l‟impiego dell‟autonomia internazionalprivatistica non si riduce a mera tecnica rivolta ad esprimere il legame più stretto con la sede di esecuzione delle prestazioni oggetto della fattispecie negoziale e/o la sua migliore lo- calizzazione, bensì soprattutto consente di garantire, nella massima misura possibile nell‟ottica delle parti, la produzione degli effetti di carattere mate-
Ma nel momento in cui tale parità viene meno, emerge la scelta del diritto comunitario di proteggere, anche attraverso tecniche di diritto internazionale privato o di diritto processuale civile inter- nazionale, le categorie sociali ritenute deboli, introducendo una disciplina specifica in loro favore, derogatoria dei principi genera- li, evitando che il maggior potere contrattuale della loro contro- parte vanifichi le tutele poste in loro favore.
Pertanto, anche nella Convenzione di Roma vengono distinte e separate le regole dell‟optio legis per quanto concerne i contratti in cui una delle parti sia un consumatore o un lavoratore (artt. 5 e 6 della Convenzione), stabilendo che la scelta non può avere co- me risultato quello di privare tali soggetti della protezione previ- sta dalle disposizioni imperative della legge che regolerebbe il contratto in caso di mancanza di scelta o in cui il contraente debo- le abitualmente risiede.
La tutela di protezione del contraente debole, ed in particolare del consumatore, è il principio ispiratore di molte direttive comu- nitarie, le quali, recepite dall‟ordinamento interno, hanno compor- tato la modifica o la creazione di nuovi principi generali in tema di contratti. L‟imponente normativa relativa al consumatore è ora racchiusa nel codice del consumo (d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206), il quale ha posto fine all‟ipertrofia e frammentazione legi- slativa che aveva sinora caratterizzato il diritto dei consumatori.
4.3. IL CODICE DEI CONSUMATORI. CENNI.
I contratti stipulati dai consumatori rappresentano una sottoca- tegoria dei contratti d‟impresa, in quanto le norme che li discipli-
riale secondo le ragioni economiche alla base dell‟operazione di cui il con- tratto costituisce la formalizzazione in termini giuridici. Da ciò consegue che il fine principale dell‟impiego internazionalprivatistico dell‟autonomia privata è da individuarsi in una specifica scelta politica di tutela degli inte- ressi materiali dei contraenti, che si identificano anche nella tutela del per- seguimento del loro identico scopo».
xxxx fanno riferimento solo ai contratti unilateralmente commer- ciali (in cui solo una parte agisce nello svolgimento della propria attività intellettuale).
Mentre si indugia sul riconoscimento di un‟autonoma categoria dei contratti di impresa, la dottrina individua nei contratti del con- sumatore il maggior punto di divaricazione tra la disciplina con- tenuta nel codice civile nel Titolo II del Libro IV e le norme a ca- rattere speciale derivanti dalla legislazione speciale, tanto da met- tere in crisi la stessa unitarietà del concetto e della categoria del contratto59.
La disciplina dei contratti business to consumer è stata intro- dotta nell‟ordinamento italiano grazie all‟attuazione di alcune di- rettive comunitarie emanate a partire dalla metà degli anni Ottanta ed oggi per la maggior parte confluite nel codice del consumo, il quale è per lo più costituito dalla semplice trasposizione delle norme previgenti60.
59 Il fenomeno del consumerism è importante perché ha contribuito a portare in maggior evidenza la categoria dei contratti di impresa, ma non esaurisce il fenomeno della contrattazione di impresa in quanto la categoria dei contratti di impresa è più ampia della categoria dei contratti dei consu- matori. Sul punto cfr. XXXXXXXXX V., Le nuove frontiere del diritto com- merciale, cit., 83 e ss.; XXXXXXX A., op. cit., 140; SIRENA P., La categoria dei contratti di impresa e il principio di buona fede, in Xxx. xxx. xxx., 0000, XX, 000.
60 Per un commento sul codice di consumo si rinvia a ALPA G., Il codice del consumo, in Contratti, 2005, 1047; XXXXXXXXXX E., La protezione del consumatore tra obiettivi di razionalizzazione normativa e costruzione del sistema nell’esperienza del codice del consumo, in Vita not., 2008, 1187; CALVO R., Il Codice del consumo tra consolidazione di leggi e autonomia privata, in Contr. Impr. Eur., 2006, 74; XXXXXXXXXX E., La protezione del consumatore tra obiettivi di razionalizzazione normativa e costruzione del sistema nell’esperienza del codice del consumo, in Vita not., 2008, 1187; DE CRISTOFARO G., Le disposizioni «generali» e «finali» del Codice del consumo: profili problematici, in Contr. Impr. Eur., 2006, 43; DE CRISTO- FARO G., Il “codice del consumo”: un’occasione perduta?, in Studium iu- ris, 2005, 1137; DI XXXXXX X., Codice del consumo, nullità di protezione e contratti del consumatore, in Riv. dir. priv., 2005, 837; PATTI S., Il codice
La parte prima del codice contiene le “Disposizioni Generali”, in cui sono confluite alcune norme della l. 281/98. Immutato è l‟elenco dei diritti dei consumatori (art. 2) così come identiche61 sono le definizioni di consu- matore o utente, di professionista e di associazione dei consumatori conte- nute nell‟art. 3; la nozione di consumatore, in particolare, continua ad esse- re limitata alla sola «persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale commerciale, artigianale o professionale eventualmente svolta». Non c‟è stato, quindi, l‟ampliamento della categoria dei consuma- tori teso a farvi rientrare anche le piccole imprese (specie le ditte individua- li) auspicato dalle associazioni di categoria.
Il professionista continua ad essere la «persona fisica o giuridica che agisce nell’esercizio della propria attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale, ovvero di suo intermediario».
È quasi pleonastico osservare che solo dalle definizioni dei contraenti emerge chiaramente che siamo nell‟ambito della contrattazione di impresa in quanto il codice prende in considerazione solo quei rapporti svolti in quell‟ambito.
La Parte Seconda del codice disciplina l‟educazione, l‟informazione e la pubblicità, ed accoglie norme tratte dalla legge 281/98, dalla legge 126/91 e dal decreto ministeriale 101/97.
Rispetto alla formulazione della citata disciplina previgente è stata ag- giunta una norma (art. 4) relativa all‟educazione del consumatore di cui vengono individuate le finalità nel favorire la consapevolezza dei diritti, lo sviluppo dell‟associazionismo, la partecipazione ai procedimenti ammini- strativi e la rappresentanza.
Il Titolo II, dedicato all‟informazione ai consumatori (già d.lgs. 84/2000), contiene poche aggiunte rispetto alla normativa precedente: viene specificato che ai fini delle norme sull‟informazione deve intendersi per consumatore «la persona fisica alla quale sono dirette le informazioni commerciali» (art. 5) senza riferimento alcuno alla natura professionale o meno del destinatario; viene aggiunto al contenuto minimo delle informa- zioni l‟indicazione del Paese di origine dei prodotti se situato fuori dall‟UE
civile e il diritto dei consumatori. Xxxxxxxx, in Nuova giur. civ. comm., 2005, II, 282;
61 salvo per l‟aggiunta delle parole “commerciale, artigianale” inserite ad opera del art. 3, comma 2, del d.lgs. 33 ottobre 2007, n. 221 nelle nozio- ni di consumatore e professionista.
(art. 6) ed è introdotto l‟obbligo per i distributori di carburanti di esporre in modo visibile dalla strada i prezzi praticati al consumo (art. 15).
Il Titolo III, relativo alla pubblicità (ex d.lgs. 74/1992 e d.lgs. 67/2000), che conteneva una ulteriore e diversa, nozione di consumatore, compren- dendo anche la persona fisica o giuridica cui sono dirette le comunicazioni commerciali o che ne subisce le conseguenze (art. 18), è stato modificato dal d.lgs. 2 agosto 2007, n. 146 e la nozione di consumatore è tornata ad es- sere quella di persona fisica che agisce per scopi estrani alla propria attività economica. Ciò è dovuto al fatto che la normativa sulle pratiche commer- ciali scorrette, in attuazione delle direttiva 2005/29/CE, è stata sdoppiata a seconda che disciplinasse la pubblicità ingannevole e comparativa e le sue conseguenze sleali nei rapporti tra imprenditori (d.lgs. 145/2007 che resta collocato in un corpus normativo separato dal codice del consumo) o che riguardasse le pratiche commerciali scorrette tra imprese e consumatori (d.lgs. 146/2007, confluito nel codice del consumo).
Dopo la normativa sulla pubblicità ingannevole e comparativa, la quale riguarda anche le pratiche commerciali aggressive, si trova nel Titolo IV la rinnovata disciplina (articoli 28-32) a tutela del consumatore in materia di televendite (l. 120/1998 e l. 39/2002).
La Parte Terza del codice disciplina il rapporto di consumo e si apre con la disciplina dei contratti del consumatore in generale (artt. 33-37), prece- dentemente contenuta nel codice civile (artt. 1469-bis - 1469-sexies).
L‟elencazione delle clausole vessatorie è rimasta pressoché invariata ma nella trasposizione dal codice civile al codice del consumo, la disciplina ha subito tre importanti modificazioni. In promo luogo il legislatore ha modi- ficato la sanzione prevista per le clausole di cui sia accertata la vessatorietà: mentre nella precedente formulazione venivano dichiarate inefficaci, nel nuovo codice sono invece dichiarate nulle, introducendo così una sanzione più incisiva rafforzando la tutela del consumatore. In secondo luogo, è stato precisato che solo le associazioni di consumatori iscritte nell‟elenco di cui all‟art. 137 cod. cons. sono legittimate ad esperire l‟azione inibitoria dell‟utilizzo di condizioni generali di contratto dal contenuto vessatorio. In terzo luogo, si è stabilito che solo ai giudizi promossi attraverso l‟esperimento dell‟azione inibitoria si applicano le disposizioni dell‟art. 140 del codice del consumo recante la disciplina processuale dei giudizi pro- mossi attraverso l‟esercizio dell‟inibitoria “generale” a tutela degli interessi collettivi dei consumatori. Il Titolo I si chiude poi con la disposizione, la quale, al fine di collegare la disciplina presente nel codice del consumo con le norme generali contenute nel codice civile, stabilisce che ai contratti
conclusi tra consumatori e professionisti si applicano, per quanto non pre- visto dalla disciplina dettata per i consumatori, le norme del codice civile.
L‟impatto che tali norme hanno avuto e continuano ad avere sulla disci- plina del contratto è ben noto e non resta altro che rinviare a quanto scritto in materia62.
Alla “parte generale” della disciplina dei contratti dei consumatori con- tenuta nel Titolo I, fa seguito il Titolo II, che comprende una novità: la norma generale dell‟art. 39, la quale prevede che le attività commerciali sono «improntate al rispetto dei principi di buona fede, di correttezza e di lealtà, valutati anche alla stregua delle esigenze di protezione delle catego- rie di consumatori». Segue poi la disciplina del Credito al Consumo, artt. 40-43 (già d.lgs. 63/2000 ed art. 125, commi 4 e 5 del d.lgs. 385/1993).
Il Titolo III della Parte Terza, relativo alle “modalità contrattuali”, rac- coglie agli artt. 45-49 le norme relative ai contratti negoziati fuori dei locali commerciali (d.lgs. 50/1992) ed agli articoli 50-61 quelle relative ai con- tratti a distanza (d.lgs.185/1999).
Entrambe le normative previgenti avevano ad oggetto la disciplina del
c.d. diritto di ripensamento del consumatore, ovvero il suo diritto a recede- re, entro termini e con modalità speciali stabilite dalla legge, dai contratti medesimi. La trasposizione delle citate norme nel codice è stata l‟occasione per alcune modifiche. In primo luogo è stata unificata la disciplina del dirit- to di recesso ora collocata nell‟autonoma sezione IV (artt. 64-68) adottando un unico termine per l‟esercizio del diritto di recesso che è ora, in ogni ca- so, di 10 giorni lavorativi generalizzando così la previsione più vantaggiosa
62 ALPA G., L’incidenza della nuova disciplina delle clausole vessatorie nei contratti dei consumatori sul diritto comune, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1997, 237; ID., Le clausole abusive nei contratti dei consumatori, in Corr. Giur., 1993, 639; XXXXXXXXX X., Tutela del consumatore e autonomia con- trattuale, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1998, 17; BIN M., Clausole vessato- rie: una svolta storica (ma si attuano così le direttive comunitarie?), in Contr. Impr. Eur., 1996, II, 437; XXXXXXXXX V., Contrattazione d’impresa e nuove categorie contrattuali, cit., 97 e ss.; XXXXX M., I contratti del con- sumatore tra legislazione speciale e disciplina generale del contratti, in Rass. dir. civ., 1998, 308; PARDOLESI R., Clausole abusive, pardon vessato- rie: verso l’attuazione di una direttiva abusata, in Riv. crit. dir. priv., 1995, 523; ID., Clausole abusive (nei contratti dei consumatori): una direttiva abusata?, in Foro it., 1995, V, 137; XXXXX X., La direttiva comunitaria sulle clausole abusive: prime considerazioni, in Contr. Impr., 1993, 71; XXXXX X., La nuova disciplina delle clausole abusive nei contratti tra imprese e consumatori, in Xxx. xxx. xxx., 0000, X, 000.