Contratto part time: come funziona
Contratto part time: come funziona
> Business Pubblicato il 18 luglio 2018
Rapporto di lavoro a tempo parziale: in quali casi è permesso, orario minimo, lavoro supplementare, clausole elastiche, ferie, Legge 104.
Complice la crisi che ormai da tempo colpisce il nostro Paese, assieme alle crescenti esigenze di flessibilità, sono sempre più numerosi i lavoratori assunti con contratto part time, o che sono passati al tempo parziale. L’orario ridotto, difatti, consente all’azienda di diminuire notevolmente i costi, mentre il lavoratore ha il vantaggio di riuscire a conciliare più facilmente la carriera con la vita privata. I lavoratori con orario a tempo parziale hanno gli stessi diritti dei dipendenti assunti a tempo pieno, anche se “in proporzione” all’attività lavorativa prestata; di recente, poi, i lavoratori part time hanno ottenuto importanti riconoscimenti, come la spettanza dei permessi Legge 104 per intero per chi presta servizio per oltre la metà delle giornate lavorative settimanali; inoltre, per chi presta lavoro supplementare (ossia per delle ore aggiuntive rispetto a quelle stabilite nel contratto di lavoro part time, ma non superiori all’orario ordinario) il Jobs act ha riconosciuto, nella generalità dei casi, il diritto alla maggiorazione. Ma procediamo per ordine e facciamo il punto della situazione sul contratto part time: come funziona, chi ha il diritto di convertire il contratto a tempo parziale, qual è il trattamento in caso di ferie, malattia, Legge 104, quali sono le regole previste e gli adempimenti obbligatori.
Indice
• 1 Che cos’è il contratto part time?
2 Orario di lavoro ridotto: part time orizzontale, verticale e misto 3 Qual è l’orario minimo part time?
4 Come funziona il lavoro supplementare part time? 5 Si può modificare l’orario part time?
6 Come funzionano le clausole elastiche?
7 A quante giornate di ferie hanno diritto i lavoratori part time? 8 Ai lavoratori part time spettano tredicesima e quattordicesima? 9 Un lavoratore può avere più contratti part time?
10 Il lavoratore autonomo può avere un contratto part time? 11 Quando è obbligatorio concedere il part time?
12 I lavoratori part time maturano meno contributi per la pensione?
13 Come funziona l’opzione part time per i lavoratori vicini alla pensione? 14 Il dipendente part time ha diritto ai permessi Legge 104?
15 Il dipendente che rifiuta il part time può essere licenziato?
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Che cos’è il contratto part time?
Il contratto part time è un contratto di lavoro subordinato il cui orario, anziché coincidere con quello ordinario (solitamente 40 ore, se non stabilito in misura minore dal contratto collettivo), o full time, risulta ridotto.
I lavoratori con contratto part time hanno comunque gli stessi diritti dei dipendenti a tempo pieno, ma in proporzione alla quantità di lavoro prestata: pertanto, il fatto che la retribuzione di un lavoratore a tempo parziale risulti ridotta, rispetto a quella di un lavoratore full time, non costituisce una discriminazione, in quanto la paga è parametrata sulle ore di attività.
La riduzione dell’orario è convenzionalmente espressa in percentuale: ad esempio, se il contratto collettivo applicato dall’azienda prevede 40 ore quale orario normale e il dipendente ne lavora 20, l’orario corrisponde al 50%.
Orario di lavoro ridotto: part time orizzontale, verticale e misto
Il contratto part time, a seconda della modalità di collocazione dell’orario di lavoro, può essere di tre
tipi: orizzontale, verticale e misto.
Nel part time orizzontale l’attività è prestata in tutte le giornate lavorative, ma per un numero minore di ore (ad esempio, anziché 8 ore dal lunedì al venerdì, 4 ore negli stessi giorni).
Nel part time verticale l’attività giornaliera è prestata con orario pieno, ma solo in alcune giornate, settimane o mesi. Il part time misto, invece, contiene le caratteristiche di entrambe le tipologie: pertanto, il dipendente lavora con orario giornaliero ridotto, e per un minor numero di giornate.
Qual è l’orario minimo part time?
La legge non prevede un orario part time minimo al di sotto del quale non si può scendere: un numero di ore minimo, però, può essere previsto dal contratto collettivo applicato. Ad esempio, il contratto collettivo del commercio prevede un minimo di 16 ore settimanali. Se il datore di lavoro non rispetta l’orario minimo previsto dagli accordi collettivi, è sanzionabile da parte dell’ispettorato del lavoro, con diffida ad adeguarsi, anche se sono stati firmati accordi individuali col dipendente interessato. Gli accordi individuali, allora, devono essere certificati (presso una commissione di certificazione), per convalidare l’effettiva volontà del lavoratore di svolgere l’attività per un numero di ore più basso rispetto al minimo e non essere esposti al rischio di sanzioni.
A proposito dell’orario minimo, bisogna però osservare che ci sono dei contratti collettivi nazionali che non prevedono un monte ore minimo per il tempo parziale:
• il ccnl intersettoriale commercio, terziario, servizi, pubblici esercizi e turismo di Cifa e Confsal;
• il ccnl alimentare e panificazione;
• il ccnl acconciatura-estetica- centri benessere;
• il ccnl artigiani e pmi.
Mancando una disciplina del lavoro a tempo parziale che consente l’assenza di un orario minimo, sarebbe possibile assumere un dipendente anche per farlo lavorare soltanto un giorno alla settimana, oppure soltanto per alcune settimane nel mese, o, ancora, per alcuni mesi nell’anno. Tuttavia, a tal proposito occorre la massima prudenza: vale la regola generale per cui, se il contratto collettivo applicato risulta sfavorevole, nei confronti del lavoratore, rispetto al corrispondente contratto collettivo firmato dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative, l’azienda può essere sanzionata.
Come funziona il lavoro supplementare part time?
Se un dipendente lavora per un numero di ore superiore a quelle previste dal suo contratto a tempo parziale, ma inferiore all’orario full time, parliamo di lavoro supplementare. Si parla di lavoro straordinario, invece, quando si supera il normale orario di 40 ore, o quello inferiore previsto dal contratto collettivo. Perché possa essere richiesta una prestazione di lavoro supplementare occorre la stipula di un accordo col lavoratore: in mancanza, l’attività extra non può essere pretesa dal datore.
Il Testo unico dei contratti di lavoro [1] prevede che se non esiste, nel contratto collettivo, alcuna previsione in merito al lavoro supplementare, questo deve essere retribuito con una maggiorazione pari al 15% (della retribuzione globale oraria di fatto), e non può essere effettuato per oltre il 25% dell’orario contrattuale settimanale concordato.
Si può modificare l’orario part time?
All’interno del contratto part time devono essere indicate le ore di lavoro in maniera precisa e puntuale, con riferimento al giorno, alla settimana, al mese o all’anno. Il datore di lavoro non ha la possibilità, pertanto, di modificare a suo piacere la collocazione temporale della prestazione lavorativa, a meno che non esistano dei preventivi accordi, le cosiddette clausole elastiche; queste clausole possono essere anche previste nel contratto collettivo.
Come funzionano le clausole elastiche?
Le clausole elastiche sono delle pattuizioni che consentono al l’azienda di aumentare l’orario lavorativo o di variarlo (precedentemente le clausole che consentivano di variare la collocazione dell’orario, senza aumentarlo, si chiamavano elastiche, ora assorbite dalla nuova nozione di clausole flessibili).
Dal 25 giugno 2015 (data di entrata in vigore del testo unico dei contratti), non è più possibile, per l’azienda, indicare nei contratti part time le clausole elastiche, se queste non sono previste nel contratto collettivo applicato, anche di secondo livello, o non sono state concordate col lavoratore. Per quanto concerne l’accordo col lavoratore, questo deve essere convalidato davanti ad una commissione di certificazione (vi sono commissioni attive presso l’Ispettorato territoriale del Lavoro, in sede sindacale e anche presso i consigli provinciali dei consulenti del lavoro).
L’aumento delle ore lavorative nell’accordo, inoltre, deve prevedere una maggiorazione della paga oraria, per il dipendente, pari almeno al 15% della retribuzione oraria globale di fatto: non ci può essere dunque nessun aumento del carico di lavoro, se non è previsto un aumento della paga oraria.
Secondo la fondazione studi consulenti del lavoro, inoltre, la maggiorazione oraria deve essere applicata anche nelle ipotesi di sola variazione della collocazione della prestazione, senza aumento delle ore.
A quante giornate di ferie hanno diritto i lavoratori part time?
Le ferie, per i lavoratori con contratto part time orizzontale, maturano allo stesso modo dei lavoratori a tempo pieno. Ricordiamo che le ferie minime che maturano in un anno sono pari, per legge [2], a 4 settimane: ogni mese matura dunque un rateo pari a 2,167 giornate (a meno che il contratto collettivo non preveda una misura maggiore), sia per i lavoratori full time, che per quelli con contratto part time orizzontale (l’unica differenza consiste nel fatto che ad ogni giornata di ferie corrisponde un minor numero di ore).
Il calcolo delle ferie spettanti è differente per chi ha un contratto part time verticale o misto: in questo caso, bisogna aver riguardo alle disposizioni previste negli accordi collettivi applicati; generalmente, si procede a una riduzione delle giornate di ferie spettanti, rispetto a chi presta servizio in tutte le giornate lavorative.
Ai lavoratori part time spettano tredicesima e quattordicesima?
Per la maturazione della tredicesima e della quattordicesima sono normalmente valide le osservazioni esposte in merito alla maturazione delle ferie: pertanto, col contratto di part time orizzontale i ratei delle mensilità aggiuntive maturano per intero, anche se l’importo da liquidare risulta, logicamente, corrispondente all’orario effettuato, poiché la base di calcolo è la retribuzione in essere, già riproporzionata all’effettivo orario di lavoro.
Per il part time verticale o misto, bisogna aver riguardo alle disposizioni previste negli accordi collettivi applicati; generalmente, si procede a una proporzione delle giornate lavorate rispetto alla totalità delle giornate lavorative.
Un lavoratore può avere più contratti part time?
Un dipendente può svolgere più prestazioni lavorative in regime di part time contemporaneamente: tuttavia, devono essere rispettati i limiti di orario ed i riposi minimi previsti dal Decreto sull’orario di lavoro [2].
In particolare, il dipendente può prestare servizio per un massimo di 48 ore settimanali, come media in un arco di tempo pari a 4 mesi (ad esempio, in una settimana del periodo di riferimento è possibile lavorare per 52 ore, se in un’altra settimana dello stesso periodo si lavora per 44 ore, o meno).
Per quanto riguarda i riposi, devono essere rispettati:
• il riposo minimo settimanale, pari ad almeno 24 ore consecutive ogni 7 giorni (inteso come media da
rispettare nell’arco di 14 giorni);
• il riposo giornaliero, pari ad 11 ore consecutive ogni 24 ore (in questo caso non è possibile considerare
alcuna media).
Il datore di lavoro, però, se il lavoratore non ha comunicato l’ammontare delle ore in cui può prestare la propria attività e le ulteriori informazioni utili al riguardo [3], non è passibile di sanzione.
Per quanto riguarda le maggiorazioni dovute per il lavoro supplementare e straordinario, invece prendere a riferimento il solo orario svolto presso ciascun datore e non la somma delle ore lavorate nel complesso.
Lo svolgimento di più contratti part time contemporaneamente non fa venir meno il divieto di concorrenza: pertanto, se le attività risultano concorrenti, per evitare il rischio di essere licenziato il lavoratore deve essere esplicitamente autorizzato dai datori in merito.
Il lavoratore autonomo può avere un contratto part time?
Il problema dell’orario di lavoro massimo non si pone nel caso in cui il dipendente part time svolga contemporaneamente un’attività di lavoro autonomo, occasionale o con partita Iva. Per questo tipo di attività, difatti, non è vincolato ad alcun orario lavorativo, dunque relativamente ad orario massimo e riposi viene preso a riferimento il solo lavoro dipendente (che potrebbe dunque essere anche full time).
Quando è obbligatorio concedere il part time?
L’azienda, in generale, non ha l’obbligo di concedere il part time al lavoratore che ne fa richiesta, così come non può convertire il rapporto da tempo pieno a tempo parziale senza il consenso del dipendente: vi sono però delle eccezioni, delle quali alcune obbligano il datore alla trasformazione in part time ed altre a riconoscere al dipendente una priorità nella conversione.
In particolare, si ha l’obbligo di concedere il tempo parziale:
• in luogo del congedo parentale;
• se il dipendente è affetto da una malattia oncologica o da gravi patologie cronico degenerative, per cui
risulta notevolmente ridotta la capacità lavorativa;
• se la lavoratrice risulta inserita in un percorso di protezione relativo alla violenza di genere (se esistono posti disponibili in organico);
Per approfondire: Diritto al part time.
Nel caso in cui il lavoratore assista il coniuge, un figlio o un genitore con gravi patologie oncologiche o cronico degenerative, una persona convivente con handicap grave invalida al 100% e con necessità di accompagnamento, oppure abbia un figlio convivente di età non superiore a 13 anni o un figlio convivente portatore di handicap, ha diritto di priorità nella conversione del contratto in part time.
I lavoratori part time maturano meno contributi per la pensione?
I lavoratori con contratto di lavoro part time, avendo una retribuzione inferiore a quella dei dipendenti a tempo pieno, hanno diritto a un minore accredito di contributi previdenziali, che diminuisce l’ammontare della pensione.
In certe ipotesi, i bassi versamenti di contributi possono anche influire negativamente sul diritto alla pensione: è il caso non solo del part time verticale e misto, che prevedono dei periodi non lavorati e, logicamente, non coperti da contribuzione, ma anche del part time orizzontale, se la retribuzione è inferiore al minimale.
Il minimale è il limite minimo di stipendio da rispettare per permettere l’accredito dei contributi, cioè lo “stipendio minimo” sul quale vanno calcolati i contributi (tramite l’applicazione dell’aliquota prevista): se l’imponibile risulta inferiore al valore minimale determinato dall’Inps, i contributi si calcolano su quest’ultimo valore e gli accrediti sono diminuiti in proporzione.
Il minimale settimanale per l’accredito dei contributi obbligatori e figurativi per i lavoratori dipendenti ammonta al 40% del trattamento minimo di pensione in vigore al 1° gennaio di ogni anno: dunque, nel 2018, dato che il trattamento minimo è pari a 507,42 euro, il minimale settimanale su cui calcolare i contributi è pari a 202,97 euro, mentre quello annuale è pari a 10.554,34 euro (202,97 moltiplicato per 52 settimane).
I contributi settimanali calcolati sul minimale, per i dipendenti del settore privato, sono dunque pari a 66,98 euro (202,97 per 33%, l’aliquota complessiva previdenziale dovuta all’Inps), mentre quelli annuali devono risultare almeno pari a 3.482,97 euro (cioè 66,98 per 52).
Se risulta accreditata nell’anno una retribuzione imponibile corrispondente alla cifra indicata, il dipendente risulta assicurato per tutte e 52 le settimane. In caso contrario, i periodi coperti sono ridotti in base a quanto versato, dividendo lo stipendio per il minimale settimanale.
Per coprire la contribuzione mancante, il dipendente può comunque chiedere l’autorizzazione ai
versamenti volontari [4], se i periodi di part time sono successivi al 31 dicembre 1996. Per approfondire: Contributi minimi per la pensione.
Come funziona l’opzione part time per i lavoratori vicini alla pensione?
Normalmente, convertire il contratto da part time a full time negli ultimi anni di lavoro comporta una penalizzazione non indifferente nell’ammontare della pensione, tanto più grave quanto è maggiore la quota di trattamento calcolata col sistema retributivo: questo sistema di calcolo, difatti, non si basa sui contributi versati, ma sulla media degli ultimi stipendi. Pertanto, minore è l’orario di lavoro, più la media delle ultime retribuzioni si abbassa, penalizzando il lavoratore.
Per evitare questo problema, la Legge di Stabilità 2016 [5] ha introdotto la possibilità, per chi raggiunge l’età per la pensione di vecchiaia entro il 31 dicembre 2018, di domandare il part time senza alcuna penalizzazione sulla pensione. L’Inps, difatti, accredita i contributi figurativi in misura piena, come se la retribuzione corrispondesse al full time; il datore di lavoro, inoltre, riconosce un premio in busta paga pari alla contribuzione non versata.
Per aderire all’opzione part time, è necessario che l’Inps certifichi il possesso dei requisiti (raggiungimento dell’età pensionabile entro il 31 dicembre 2018 e possesso di 20 anni di contributi alla data della domanda); firmato il nuovo contratto a tempo parziale, l’azienda deve poi domandare un’apposita autorizzazione all’Ispettorato territoriale del lavoro ed inoltrare la domanda di agevolazione all’Inps.
Il dipendente part time ha diritto ai permessi Legge 104?
Chi ha un contratto part time orizzontale, cioè chi lavora tutti i giorni, ma per un numero di ore
inferiori all’orario giornaliero ordinario, ha ugualmente diritto a 3 giorni di permesso al mese.
In relazione a ogni giornata, ovviamente, le ore di permesso spettanti sono di meno, così come sono di meno le ore lavorate: questa non è una discriminazione, considerando che il diritto non viene tolto, ma viene riproporzionato in base alla quantità del lavoro prestato.
Per quanto riguarda i lavoratori con part time verticale, cioè che prestano la propria attività soltanto per alcune giornate la settimana, o per alcuni periodi dell’anno, il calcolo dei permessi Legge 104 spettanti è differente.
Nella generalità dei casi, il numero dei giorni di permesso retribuito va ridimensionato in proporzione alle giornate di lavoro prestate, arrotondando.
Se, però, il dipendente presta servizio per oltre la metà delle giornate lavorative settimanali, ad esempio se lavora almeno 4 giorni su 6, i 3 giorni di permesso Legge 104 spettano per intero e non devono essere riproporzionati.
Questo per riconoscere, come chiarito dalla Cassazione, l’importanza degli interessi coinvolti e l’esigenza di effettività di tutela del disabile.
Il dipendente che rifiuta il part time può essere licenziato?
Il dipendente che rifiuta la conversione del contratto da tempo pieno in part time non può essere licenziato: lo ha stabilito, con una recente sentenza [6], la Corte di Cassazione. Perché il licenziamento possa risultare legittimo, è necessaria l’esistenza di obiettive esigenze aziendali che impediscano di utilizzare proficuamente la prestazione lavorativa a tempo pieno: non basta, cioè, un semplice pregiudizio economico in capo all’azienda, ma bisogna dimostrare che il lavoro full time, oltre a comportare una maggiore spesa, non è proficuo.
note
[1] D.lgs 81/2015.
[2] D.lgs 66/2003.
[3] Circ. Min. Lav. N.8/2005. [4] Art.3, D.lgs 278/1998. [5] L. 208/2015.
[6] Xxxx. sent. 21875/15.
( da xxx.xxxxxxxxxxxxxxx.xx )