indice
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Introduzione alla Ricerca 3
GLI OPERAI, QUESTI FANTASMI. LE RAGIONI DELLA RICERCA FIOM 3
Xxxxxxxxx Xxxxx 3
Per ritornare visibili 3
Le condizioni di lavoro dei metalmeccanici 3
E la contrattazione aziendale? 4
La ricerca della FIOM 4
Ringraziamenti 4
1. Primo Capitolo 5
LE DIMENSIONI DELLA CONTRATTAZIONE NELL’INDUSTRIA METALMECCANICA VICENTINA 5
Xxxxxxxxx Xxxxx 5
1.1. Dimensioni e contesto di riferimento 5
1.2. Qualche considerazione di fondo 6
Prima Sezione 11
LE RELAZIONI INDUSTRIALI TRA IL DIRE E IL FARE: LA PROSPETTIVA DEI
DELEGATI FIOM VICENZA 11
Le fonti utilizzate 11
Un breve profilo delle aziende coinvolte nella ricerca 11
2. Secondo Capitolo 13
ALLA RICERCA DEL BUON LAVORO. COME SI LAVORA IN FABBRICA, E QUANTO SI
IMPARA 13
Xxxxx Xxxxxxx 13
2.1. Partendo da (molto) lontano 13
2.2. Xxxxx che vai, ambiente di lavoro che trovi 13
2.3. Cosa contiene il lavoro?. 16
2.4. Innovazione dovrebbe far rima con formazione. È così? 18
2.5. Ma allora, che fare per avere un buon lavoro? 21
3. Terzo Capitolo 25
LE RELAZIONI INDUSTRIALI: INFORMALITÀ, REGOLE E PERFORMANCE 25
Xxxxx Xxxxxxxx 25
3.1. Gli attori: i sindacati 25
3.2. Forme di intervento delle associazioni imprenditoriali 26
3.3. Conflittualità e scioperi 27
3.4. L’andamento delle relazioni industriali 30
3.5. Contrattazione e regolazione a confronto 31
3.6. Contrattazione scritta e regolazione informale 37
3.7. L’impatto delle relazioni industriali sulle condizioni di lavoro 39
3.8. Conclusioni 41
Seconda Sezione 45
LA CONTRATTAZIONE DI SECONDO LIVELLO: APPROCCI, CONTENUTI,
RISULTATI 45
Le fonti utilizzate 45
Caratteristiche degli accordi e intensità contrattuale 45
4. Xxxxxx Xxxxxxxx 00
LA CONTRATTAZIONE DELLA PRESTAZIONE LAVORATIVA 47
Xxxxx Xxxxxxxx 47
4.1. Le contrattazione decentrata: approcci emergenti 47
4.2. Gestione degli organici e tematiche organizzative 53
4.3. Gli orari di lavoro e le flessibilità 54
4.4. La formazione professionale 56
4.5. Salute e sicurezza 58
5. Xxxxxx Xxxxxxxx 00
LA CONTRATTAZIONE DEL SALARIO 61
Xxxxx Xxxxxxxx 61
5.1. La contrattazione del premio di risultato 61
5.2. Il riconoscimento della professionalità 69
5.3. Le altre voci salariali 69
5.4. Salario di risultato e profili aziendali 71
6. Xxxxx Xxxxxxxx 00
PRENDERE O LASCIARE? DENTRO I PREMI DI RISULTATO 75
Xxxxx Xxxxxxx e Xxxxxx Xxxxxxx 75
6.1. Non solo per denaro (ma anche) 75
6.2. Contrattare il premio di risultato: che fare? 76
6.3. Contrattiamo il premio di risultato? La realtà vicentina. 78
6.4. Di nuovo in marcia 82
Allegati e Appendici 87
STRUMENTI DI INDAGINE, TABELLE AGGIUNTIVE
INDICI E BIBLIOGRAFIA 87
A cura di Xxxxx Xxxxxxxx, Xxxxx Xxxxxxx e Xxxxxx Xxxxxxx 87
Premessa 87
Instant Survey 87
Il questionario della ricerca 88
Altre tabelle relative al terzo capitolo 93
Altre tabelle relative al quarto capitolo 99
Altre tabelle relative al quinto capitolo 103
Altre tabelle relative al sesto capitolo 106
I Premi di risultato in formula 108
Indice delle tabelle 113
Indice delle figure 115
Indice dei Box 115
Bibliografia 116
Introduzione alla Ricerca
Gli operai, questi fantasmi.
Le ragioni della ricerca FIOM
Xxxxxxxxx Xxxxx
Per ritornare visibili
Veniamo da anni in cui il lavoro dipendente ed in particolare il lavoro operaio manuale, pur riguardando in Italia milioni di persone, sono stati socialmente e culturalmente dimenticati dai grandi mezzi di informazione di massa.
Questo spiega il fatto che, come sostiene Xxxx Xxxxxxxxx: “La tragedia di Torino ha riacceso i fari sulla “questione operaia”, evocata da vari giornali con il termine adoperato agli albori del movimento operaio, quando si trattava di riconoscere l’esistenza di un soggetto diventato ormai visibile” (“Il Mese”, in Rassegna Sindacale, n. 3/2008).
È accaduto cioè che l’opinione pubblica, scioccata dalle immagini e dal racconto dei superstiti di un’orribile strage nella quale sono morti sette operai, improvvisamente ha ri-aperto gli occhi ed ha ri-conosciuto una realtà che per anni era stata, appunto, completamente rimossa.
Nonostante i nostri sforzi per impedirlo, ogni lavoratore che perde la vita sul lavoro è una sconfitta sindacale, così come lo è la gigantesca indifferenza sociale e culturale rispetto alle oltre mille vite umane rubate ogni anno sul lavoro nel nostro paese.
Quel profondo processo di cambiamento che ha visto il declino delle grandi fabbriche fordiste, l’irrompere della globalizzazione economica liberista e delle conseguenti pesantissime destrutturazioni e riorganizzazioni del nostro apparato industriale, il diffondersi del lavoro sempre più frammentato e disperso, e infine l’aumento progressivo della precarietà nel lavoro, sulla spinta di interventi legislativi di stampo liberista, ha “...cospirato contro la visibilità degli operai, rendendone problematico il profilo e opaca l’immagine” (Xxxxxxxxx, 2008).
Le condizioni di lavoro dei metalmeccanici
Se è innegabile una certa ripresa di interesse dell’opinione pubblica rispetto al tema degli infortuni mortali sul lavoro e, complice l’aumento del caro vita, anche della questione del livello troppo basso delle retribuzioni dei lavoratori dipendenti in Italia, ancora molto scarsi sono l’attenzione e l’interesse rispetto alle condizioni materiali di lavoro, in particolare di quello operaio.
Per indagare questa realtà nel settore metalmeccanico del nostro paese, nel corso del 2007 la FIOM Nazionale ha condotto una specifica ricerca, che ha permesso di raccogliere 96.607 questionari compilati da lavoratrici e da lavoratori metalmeccanici di tutti i comparti e di tutte le regioni. Gli uomini risultano il 78% degli intervistati, gli operai sono il 70%, il 37% ha meno di 35 anni, poco più del 3% sono migranti ed il 56% è iscritto al sindacato.
Lo spaccato che emerge fa davvero riflettere: il salario medio netto mensile per gli operai risulta di 1.170 Euro (1.370 per gli impiegati), il 41% delle famiglie degli operai vive con un reddito complessivo inferiore a 1.900 Euro netti al mese, 2 famiglie su 3 devono pagare ogni mese l’affitto per la casa (il 21 %) oppure sostenere la spesa per la rata del mutuo per la casa (il 42%), il 10% ha un contratto non a tempo indeterminato (per gli operai sotto i 35 anni questa percentuale sale al 16% e per le donne operaie sotto i 35 anni si arriva al 21%), il 33% degli operai è inquadrato al 3° livello, il 26% lavora mediamente più di 40 ore settimanali, solo il 17% ha partecipato a corsi di formazione aziendali, la maggioranza degli operai e degli impiegati non ha margini di autonomia nel lavoro (le donne meno ancora) anche se nel contempo vengono richieste responsabilità e attenzioni continue che producono una maggior fatica ed un aumento dello stress, la metà degli operai lamenta problemi ambientali dovuti a rumori, vibrazioni, vapori, fumi, polveri, sostanze chimiche, alte o basse temperature, posizioni disagiate e movimenti brevi ripetuti troppo spesso (afferma questo il 65% delle donne), il 40% ritiene che il lavoro svolto comprometta la propria salute, il 30% teme che la situazione lavorativa possa ulteriormente peggiorare e, come non bastasse, il 34% considera a rischio il proprio posto di lavoro.
E la contrattazione aziendale?
Se questi sono i tratti della condizione lavorativa, per un sindacato che come diceva Xxxxx Xxxxxxx: “...non perda il suo compito e vocazione storica di liberazione del lavoro umano”, diventa non eludibile la domanda che è emersa nel corso del convegno nazionale della CGIL sulla contrattazione decentrata nei settori dell’industria svoltosi a Roma il 17 novembre del 2005: “Esiste un futuro per la contrattazione, cioè per una contrattazione che sia in grado di incidere concretamente sulla prestazione lavorativa, che è il senso stesso della contrattazione?” (vedi il supplemento al n. 4/2006 di Rassegna Sindacale).
Lo stesso Xxxxxxx riteneva che il “...conflitto sociale non potesse essere ridotto ad un’azione puramente distributiva”, in quanto il rischio era di “...assumere come immutabili le forme con cui sono organizzate produzioni e lavoro” (appunti su La città del lavoro di Xxxxx Xxxxxxx, di Cesco Chinello, in Osservatorio Veneto, n. 34).
Sappiamo bene quanto importanti e difficili siano per noi questi interrogativi, ma ci incoraggiano ancora le parole di Trentin: “Credo che la liberazione del lavoro umano resti una meta che non sarà mai conseguita fino in fondo. Ma credo anche che si tratti di un percorso che ha infinite possibilità di progresso”.
La ricerca della FIOM
Per cercare di rispondere alla domanda sollevata sul futuro della contrattazione aziendale di secondo livello è necessario un lavoro di analisi della contrattazione che riusciamo concretamente a realizzare nelle aziende, per rilevarne i risultati normativi ed economici, per osservarne valori e qualità e per farne emergere luci ed eventuali ombre e conseguentemente l’elaborazione di linee guida per la contrattazione, allo scopo di consolidare ed estendere i risultati positivi e di cercare di colmare le lacune emerse.
Per dare un contributo in questa direzione si è deciso come FIOM del Veneto e vicentina, due anni fa, avvalendosi dell’IRES del Veneto, di condurre una ricerca sulla contrattazione aziendale che la nostra categoria ha esercitato nell’industria metalmeccanica della Provincia di Vicenza nel periodo che va dal 2000 al 2005.
È iniziato così un grosso lavoro che ha coinvolto l’IRES e la Segreteria ed i delegati della FIOM di Vicenza e che ci ha permesso in primo luogo di raccogliere gli accordi aziendali firmati nel periodo sopra evidenziato (167 accordi relativi a 93 imprese metalmeccaniche vicentine) ed in secondo luogo di somministrare agli RSU e funzionari/e territoriali della FIOM di queste industrie un questionario strutturato appositamente predisposto.
Il questionario aveva lo scopo di indagare vari aspetti riguardanti le caratteristiche delle aziende (le dimensioni, il profilo societario, i prodotti e la loro qualità, il profilo tecnologico, l’andamento economico, la propensione innovativa e l’occupazione); le condizioni di lavoro (la sicurezza, la fatica e lo stress, le retribuzioni, l’inquadramento, l’autonomia, gli orari e le flessibilità, i contratti di assunzione presenti e la formazione) ed infine la sindacalizzazione e le relazioni sindacali (il numero di iscritti, l’adesione agli scioperi, il grado di coinvolgimento degli RSU e delle organizzazioni sindacali, e la quantità e qualità delle relazioni industriali).
L’insieme dei dati ci ha permesso non solo di descrivere gli esiti concreti della contrattazione aziendale prodotta a Vicenza, ma anche di cercare il grado di rispondenza di questa rispetto alle condizioni di lavoro concrete, nonché di individuare possibili relazioni tra caratteristiche delle aziende, relazioni sindacali e risultati della contrattazione, in termini quantitativi e qualitativi.
Ringraziamenti
Desidero infine ringraziare i ricercatori ed i collaboratori dell’IRES Veneto, a partire da Xxxxxxx Xxxxxxxxx, Xxxxx Xxxxxxxx e Xxxxx Xxxxxxx, la FIOM del Veneto, i componenti della Segreteria provinciale e gli RSU della FIOM di Vicenza.
Abbiamo voluto e creduto in questo lavoro di ricerca convinti che per migliorare la contrattazione aziendale occorre anche l’umiltà ed il coraggio di rendere manifesta quella finora realizzata, di osservarla criticamente e di farne un’onesta valutazione collettiva.
1. Primo Capitolo
Le dimensioni della contrattazione nell’industria metalmeccanica vicentina
Xxxxxxxxx Xxxxx
1.1. Dimensioni e contesto di riferimento
La Provincia di Vicenza si caratterizza per una forte presenza del settore manifatturiero e per un tessuto produttivo formato prevalentemente da piccole e piccolissime imprese, capillarmente sparse ovunque nel territorio e riconducibili ad alcuni distretti produttivi e ad alcune specializzazioni di prodotto o di lavorazioni.
L’industria metalmeccanica nella Provincia di Vicenza occupa oltre 40.000 lavoratrici e lavoratori dipendenti, ai quali si applica il contratto nazionale di FEDERMECCANICA (a circa 30.000 di essi) oppure quello della CONFAPI (ai rimanenti circa 10.000).
Sei aziende superano i 500 dipendenti: ACCIAIERIE VALBRUNA, BAXI, LOWARA, ACCIAIERIE BELTRAME, SALVAGNINI e MARELLI MOTORI, ed un’altra cinquantina supera i 150 dipendenti. Di rilievo è poi la presenza di stabilimenti locali facenti parte di grandi multinazionali straniere o gruppi italiani: ITT, FKI, GRUNDFOS, ALFA LAVAL, ATLAS COPCO, EBARA PUMPS, BAXI, XXXX, SCM
XXXXXXX, SILTAL, NEWCOSMIT, ASI, FOMAS... In provincia hanno infine sede diverse importanti aziende che hanno stabilimenti anche altrove in Italia e/o all’estero: ACCIAIERIE VALBRUNA, ACCIAIERIE BELTRAME, FIAMM, SALVAGNINI, GEMMO IMPIANTI, CALPEDA, FORGITAL...
Circa 300 aziende locali fanno parte del distretto, costituitosi in base alla legge regionale n. 8 del 4 aprile 2003, della cosiddetta “meccatronica”, comprendente produzioni che si collocano nell’area di confine tra la meccanica, l’elettronica e l’informatica (macchine, macchine utensili, elettropompe, motori, alternatori, automazione industriale e ottimizzazione dei processi di produzione).
Fattori politici, sociali e culturali di lungo corso
Per meglio valutare gli esiti della contrattazione è importante non dimenticare quei fattori di lungo corso che hanno sicuramente influenzato non solo i caratteri dello sviluppo produttivo locale, ma anche i tratti del contesto sociale, politico e culturale. Questi fattori, analizzati da un’ampia letteratura e tipici della “sub- cultura bianca”, sono: prevalente occupazione nel settore primario e povertà diffusa fino alla seconda guerra mondiale; presenza di un’agricoltura basata soprattutto sulla piccola proprietà diffusa; emigrazione consistente verso altre regioni o stati; industrializzazione antica secondo un modello autoritario e paternalistico (MARZOTTO, ROSSI, PELLIZZARI, CECCATO); successiva e recente nascita di piccole attività produttive (“capitalismo molecolare”), per “gemmazione” da quelle più grandi e spesso a conduzione famigliare; forte peso e presenza della Chiesa Cattolica (Vicenza veniva definita la “sacrestia d’Italia”); forte radicamento e ruolo egemone assunto per molti anni dal partito della Democrazia Cristiana e dalle organizzazioni a questa ed alla Chiesa collaterali; limitato radicamento e debole presenza dei partiti della sinistra storica; significativa diffusione di una sindacalizzazione di matrice “bianca” (CISL); sentimento diffuso di distacco/lontananza dallo stato centrale; rapidissima e forte crescita di attività economiche nel dopoguerra in assenza di regolazione politica; forte immigrazione negli ultimi 20 anni; attuale forte prevalenza di un orientamento politico, anche tra gli operai, favorevole ai partiti di centro-destra (in particolare alla Lega Nord).
Il peso delle Associazioni datoriali vicentine
La maggior parte delle aziende industriali dove la FIOM ha iscritti è affiliata a Federmeccanica, sezione di maggiore peso dell’Associazione Industriali di Vicenza, che è la terza associazione datoriale provinciale in Italia per numero di aziende associate.
Questi numeri spiegano, assieme ad una esplicita volontà di protagonismo politico, il peso ed il ruolo rilevante svolto da Federmeccanica nelle relazioni sindacali e quindi nella contrattazione aziendale effettuata nel vicentino, oltre a spiegare ad esempio il fatto che negli ultimi anni il Presidente di Federmeccanica Nazionale è stato un imprenditore vicentino.
La FIOM vicentina
La FIOM vicentina ha iscritti in oltre 550 aziende ed è il secondo sindacato di categoria nel vicentino per numero di associati (il primo è la FIM CISL). Il tasso di sindacalizzazione complessivo di FIM FIOM UILM nell’industria metalmeccanica vicentina supera il 30%; un risultato discreto, se si tiene conto dell’elevato livello di polverizzazione del tessuto industriale.
La FIOM di Vicenza ha un apparato composto da 6 funzionari e 2 funzionarie a tempo pieno, ha un Comitato Direttivo composto da 122 delegati e conta su una rete di circa 280 tra RSU, RLS e semplici delegati, eletti dai lavoratori in circa 160 aziende.
Le dimensioni della contrattazione aziendale
La FIOM è presente, organizza e contratta, da sola oppure assieme alla FIM e/o alla UILM, prevalentemente nelle aziende con maggior numero di dipendenti, ma non mancano casi di accordi aziendali sottoscritti anche in piccole realtà produttive.
La contrattazione aziendale complessivamente finora realizzata nell’industria metalmeccanica della nostra provincia riguarda circa 180 aziende, dove lavorano oltre 19.000 lavoratori dipendenti, pari al 48% dei dipendenti della stessa.
Il ciclo economico
La contrattazione aziendale oggetto della ricerca riguarda il periodo 2000-2005, arco temporale nel quale il settore industriale metalmeccanico è stato investito, attraversato ed in taluni casi devastato da un sommovimento profondo che noi abbiamo definito “declino industriale” e che altri hanno invece preferito indicare con il termine “metamorfosi”. Comunque lo si voglia denominare è indubbio che dopo il 2001 il sistema industriale vicentino ha vissuto un momento di grandissima difficoltà, nel quale sono venuti allo scoperto alcuni precisi fattori di criticità: piccole dimensioni delle aziende, cronica sottocapitalizzazione delle stesse, assenza di politiche di governo dello sviluppo territoriale e delle sue risorse, difficoltà di ricambio generazionale, cattivo rapporto con il credito, scarsa innovazione dei prodotti, pochissimi investimenti nella ricerca, poca formazione dei lavoratori, incapacità di “fare sistema” e assenza di politiche industriali nazionali o locali.
Per quanto riguarda il settore metalmeccanico vicentino, nel periodo citato ci sono state chiusure di stabilimenti, delocalizzazioni produttive ed un progressivo aumento delle ore di Cassa Integrazione Guadagni (ordinaria prima e poi anche straordinaria) e delle procedure di Mobilità. Per citare un dato, le ore di Cassa Integrazione Ordinaria nell’industria meccanica vicentina autorizzate dall’INPS nel 2005 sono state oltre il 1.000% in più di quelle autorizzate nel 2000!
Questa prolungata congiuntura economica negativa ha indubbiamente ostacolato l’allargamento della contrattazione aziendale, ha reso più difficile il rinnovo degli integrativi aziendali e ne ha condizionato i risultati economici e normativi.
La situazione economica ha iniziato a mutare verso la seconda metà del 2005 e ha cambiato decisamente di segno nel corso del 2006, Questa ripresa, è bene sottolinearlo con forza, è dovuta però prevalentemente alla positiva congiuntura economica complessiva e solo in parte al superamento di quei fattori specifici di debolezza, sopra elencati, che espongono e mettono a rischio la tenuta del tessuto produttivo vicentino all’interno della competizione che avviene nei mercati globali.
Occorrerà adesso capire come il sistema industriale vicentino saprà affrontare la fase economica che si va profilando, segnata dalla crisi dell’economia statunitense, dalla crescita esponenziale del prezzo del petrolio e delle altre materie prime, dalla debolezza del Dollaro sull’Euro, dalla concorrenza dei paesi emergenti e dalle incertezze che permangono nelle aree di crisi e di guerra.
Su alcuni di questi temi, si sofferma la prima sessione della ricerca.
1.2. Qualche considerazione di fondo
L’estensione della contrattazione aziendale
La contrattazione aziendale si è sicuramente estesa in provincia dopo l’Accordo Interconfederale del 1993 (che tra le altre cose ha previsto due livelli di contrattazione e ha regolamentato l’elezione nei luoghi di lavoro delle RSU) ed il rinnovo del CCNL del 1994, che ha introdotto l’istituto del Premio di Risultato.
È bene ricordare però che questo è avvenuto essenzialmente grazie alla pressione delle lotte sindacali, in quanto le associazioni datoriali vicentine hanno sempre cercato di affermare in modo netto il principio della “prassi negoziale”, che concretamente significa fare la contrattazione aziendale solo nelle aziende dove storicamente esistono già accordi sindacali di secondo livello. Registriamo anche oggi infatti un
atteggiamento di ostilità delle aziende verso la contrattazione collettiva e la netta preferenza di un rapporto diretto ed individuale con i propri dipendenti, in una logica di puro scambio paternalistico: riconoscimento economico in cambio di disponibilità. Questa “disponibilità” si può esprimere in diverse forme: di orario e flessibilità (straordinari), di responsabilità e di attaccamento all’impresa; ma a volte anche di pura subordinazione al comando aziendale, di accettazione delle condizioni ambientali e di lavoro e infine della mai ufficialmente ammessa tacita rinuncia all’iscrizione sindacale oppure alla richiesta di intervento del sindacato territoriale, salvo quando, spesso troppo tardi, si rompe questo “cordone ombelicale” tra impresa e lavoratore.
Anche in ragione di questi atteggiamenti ed orientamenti ideologici è un dato di valore l’essere comunque riusciti nel corso degli anni ad estendere la contrattazione aziendale locale ed in generale a rinnovare gli accordi in scadenza.
Ruolo degli RSU
Fino al 1994 la contrattazione aziendale riguardava prevalentemente la definizione del Premio di Produzione Collettivo, cioè di un istituto economico aziendale “fisso”, in quanto non legato a nessun indicatore dell’andamento economico-produttivo aziendale.
Dal 1994 si è cominciato a negoziare soprattutto il Premio di Risultato, previsto dal sopra citato accordo del luglio 1993 e dal CCNL dell’Industria Metalmeccanica Privata del 1994, Si tratta di un nuovo istituto contrattuale aziendale che nella interpretazione di Federmeccanica (da noi sempre contestata) è “variabile”, in quanto viene erogato solo se si raggiungono determinati obiettivi fissati negli accordi stessi.
Questo profondo cambiamento ha reso più complessa e difficile la contrattazione aziendale e ha comportato un maggior protagonismo dei funzionari sindacali territoriali ed una inevitabile conseguente riduzione dell’autonomia e quindi del ruolo degli RSU in azienda.
Dopo l’accordo separato di FIM e UILM del 2001, in occasione del rinnovo del biennio economico del CCNL Industria Metalmeccanica, ripetuto due anni dopo in occasione del rinnovo del CCNL nella sua interezza, si è aperta nella nostra categoria una fase di forte ed aspra conflittualità da un lato con FIM e UILM e dall’altro con le controparti.
In una provincia dove Federmeccanica è davvero radicata e presente e dove la FIOM non è il sindacato maggioritario, abbiamo dovuto aumentare il coordinamento e la collaborazione con i nostri RSU e la presenza nelle aziende dei nostri funzionari territoriali, per fare in modo che su materie quali gli orari di lavoro ed il mercato del lavoro, e su nodi come le regole per l’elezione delle RSU e la validazione degli accordi sindacali, non prevalessero impostazioni da noi non condivise.
Occorre però rilevare che l’imprevedibilità e la variabilità dei mercati internazionali determinano sempre di più la necessità delle parti di negoziare di volta in volta per rispondere ai problemi che continuamente sorgono e necessitano di puntuali risposte. Questa dinamica, al contrario delle vicende di cui sopra, di fatto aumenta il ruolo degli RSU e li costringe ad un nuovo protagonismo, che si esercita quasi quotidianamente. Mi pare quindi evidente la necessità di un forte investimento sui nostri RSU, RLS e delegati. E’ necessario un investimento di tipo politico al fine di riconoscere autonomia, ruolo e responsabilità a chi rappresenta anche la nostra organizzazione nei luoghi di lavoro, evitando in tutti i modi il rischio di una deriva sindacale corporativo/aziendalista; di tipo formativo allo scopo di creare le competenze tecniche e politiche necessarie ed infine di cura organizzativa (vicinanza dell’organizzazione e sviluppo di senso di appartenenza e di identità), tutti interventi fondamentali per favorire una militanza motivata e consapevole e soprattutto per non lasciare in solitudine quanti cercano di “fare giustizia assieme”.
I rapporti con le altre organizzazioni sindacali
Tranne rarissimi casi, non esistono a Vicenza accordi aziendali separati, cioè intese raggiunte non in modo unitario.
I rapporti con FIM e UILM sono stati però profondamente segnati dalla stagione degli accordi separati di categoria del 2001 e del 2003 e dalle divisioni tra le rispettive confederazioni in occasione della firma del Patto per l’Italia, nel 2002, non sottoscritto dalla sola CGIL.
In quegli anni le divisioni scatenate a livello nazionale da questi accordi separati si sono via via sedimentate fino ad arrivare nei territori e quindi nei luoghi di lavoro, provocando confronti e discussioni tra sindacalisti, tra RSU e tra iscritti, che in taluni casi sono degenerati fino ad arrivare allo scontro ed all’insulto.
La FIOM ha dovuto fare i conti con quella situazione ed organizzarsi per reggere, nelle fabbriche e nel territorio. Nel 2004, FIM e UILM di Vicenza hanno addirittura inoltrato a Federmeccanica vicentina una piattaforma propria per dar vita ad una contrattazione territoriale provinciale di secondo livello, alternativa alla contrattazione aziendale, da applicarsi in tutte le aziende prive di accordi interni, minacciando azioni di
lotta in caso di non accoglimento della richiesta. Essa non venne accolta, ma nessuna azione di lotta venne mai organizzata a sostegno di quella richiesta.
Anche in quei momenti difficili la FIOM di Vicenza ha saputo cercare il consenso tra i lavoratori, tessere il rapporto con le RSU, interloquire comunque con FIM e UILM e sostenere le proprie posizioni nelle assemblee e nelle trattative, continuando cioè a svolgere la propria funzione sindacale anche quando gli altri l’accusavano di “far politica” contro il Governo Xxxxxxxxxx.
Dopo quella stagione, in categoria sono arrivate le piattaforme unitarie, le regole democratiche unitariamente sancite e le intese unitarie, sul biennio economico nel 2006 e sul CCNL nel 2008, Anche a Vicenza i rapporti con FIM e UILM sono sicuramente migliorati, ma permangono profonde, anche se legittime, differenze su alcuni temi per noi strategici quali la natura del sindacato, gli assetti contrattuali, la rappresentanza e la democrazia sindacali, il mercato del lavoro. Altre questioni dove a volte emergono approcci e comportamenti diversi sono ad esempio le crisi aziendali, le riorganizzazioni, le procedure di riduzione del personale, la gestione delle flessibilità e la stabilizzazione degli atipici.
Per quanto riguarda gli altri sindacati, l’UGL metalmeccanici di Vicenza, pur avendo iscritti in talune aziende ed in qualche caso anche degli RSU, solitamente incontra le direzioni aziendali separatamente, mantiene un atteggiamento di critica ed a volte di aspro attacco nei confronti di FIM FIOM UILM e comunque svolge un’azione quasi esclusivamente vertenziale, per dirimere eventuali controversie di lavoro di propri singoli associati.
Nei primi anni del decennio scorso, approfittando del fortissimo consenso elettorale locale del partito della LEGA NORD – LIGA VENETA, il SINPA, un sindacato di diretta emanazione di questo partito, aveva iniziato a svolgere attività sindacale nei luoghi di lavoro, a raccogliere adesioni, a partecipare alle elezioni per i rinnovi delle RSU ed a darsi una struttura territoriale con propri funzionari a tempo pieno. Le posizioni propagandate nei loro volantini e sostenute nelle assemblee erano di feroce attacco nei confronti di CGIL CISL UIL, delle loro scelte e di tutti gli accordi che sottoscrivevano. In taluni casi, dopo qualche nostro iniziale sbandamento, si arrivò a duri scontri nelle assemblee e nei comunicati affissi nelle bacheche sindacali aziendali, ma dopo le due grandi manifestazioni nazionali organizzate nel 1997 da CGIL CISL UIL contro il progetto secessionista della LEGA, svolte a Venezia ed a Milano, nel giro di un paio d’anni questo “sindacato” scomparve dalle fabbriche.
Democrazia sindacale: chi decide sugli accordi?
Per la FIOM quello della democrazia è un tema centrale, che è divenuto dirimente dopo aver subito gli accordi separati nel 2001 e nel 2003, intese che non vennero mai sottoposte al voto segreto e vincolante dei lavoratori.
In particolare da quel momento abbiamo cercato di affermare ovunque la prassi del voto dei lavoratori, attraverso apposito referendum con voto segreto, sulle piattaforme e sulle ipotesi di accordo.
Dopo aver con FIM e UILM nazionali sancito questa prassi in occasione del rinnovo del Biennio Economico del CCNL dell’Industria Metalmeccanica Privata nel 2005 e nuovamente nell’ultimo rinnovo del CCNL, a maggio 2007 sulla Piattaforma Unitaria ed a febbraio 2008 sull’ipotesi di accordo, possiamo affermare che nonostante FIM e UILM non considerino strategico lo strumento del referendum, questa pratica di democrazia sindacale è ormai un patrimonio dei metalmeccanici. Il referendum svolto a febbraio sull’ipotesi di accordo per il rinnovo del CCNL ha visto a Vicenza il coinvolgimento dei dipendenti di 242 aziende, dove lavorano circa 23.500 persone, e la partecipazione al voto di 12.210 lavoratori, rispetto ai circa 19.100 coinvolti.
La lezione del 2003
Dopo l’ennesimo accordo separato subito dalla FIOM nel rinnovo del CCNL dell’Industria Metalmeccanica Privata, accordo da noi ritenuto insoddisfacente sul piano degli aumenti salariali e dannoso in tema di mercato del lavoro e di orario di lavoro, in quanto affidava a due apposite commissioni nazionali la regolamentazione di alcuni aspetti che la nuova legislazione in materia prodotta dal Governo Xxxxxxxxxx, che tutta la CGIL giudicava molto negativamente e cercava di opporvisi, rinviava alla contrattazione collettiva. A fronte di quella situazione la FIOM decise di lanciare da sola una strategia di mobilitazione articolata, nelle fabbriche, tesa in qualche modo a riconquistare quel CCNL che non aveva sottoscritto attraverso la negoziazione di accordi aziendali migliorativi del nuovo contratto nazionale, definiti “precontratti”.
Anche a Vicenza, nonostante i numeri non giocassero a nostro favore, convocammo come FIOM le assemblee di organizzazione, facemmo votare le piattaforme dai lavoratori ed aprimmo da soli una quindicina di vertenze precontrattuali nelle quali chiedevamo un aumento salariale fisso mensile, garanzie circa la non applicazione della nuova legislazione sull’orario e sul mercato del lavoro e la stabilizzazione dei
contratti a termine dopo un anno di lavoro, e iniziammo gli scioperi a sostegno delle vertenze. La risposta delle aziende, coordinate da Federmecanica fu di nettissimo rifiuto; ricordo ancora la telefonata del responsabile del servizio sindacale dell’Associazione Industriali di Vicenza: “A Vicenza non pianterete neanche una bandierina!”. Si fecero diversi scioperi articolati ed uno sciopero provinciale con presidio davanti la sede di Confindustria, ma vuoi per i rapporti di forza, vuoi per una situazione di mercato non favorevole che vanificava gli scioperi e vuoi forse il fatto che non ovunque vennero aperte le vertenze, di fatto si conquistarono solo due intese precontrattuali. Ma quel movimento non fu vano. Le commissioni nazionali non regolamentarono le normative sopra citate e le piattaforme unitarie per il rinnovo degli accordi aziendali delle maggiori aziende del vicentino, presentate nel corso del nuovo anno, contenevano richieste simili a quelle che erano state da noi e da soli avanzate precedentemente. Vuoi il volgere al bello della congiuntura economica, vuoi il fatto che trattasi di aziende grandi e di consolidata sindacalizzazione, vuoi la non volontà delle aziende di affrontare altri scontri e di subire altri scioperi, vuoi la forza di piattaforme unitarie, rimane il fatto che in queste importanti aziende si sono ottenuti aumenti salariali fissi o comunque “certi”, l’assunzione a tempo indeterminato dei contratti a termine o in somministrazione dopo un periodo prefissato, impegni di non effettuare assunzioni con contratti atipici diversi da quelli citati senza previe intese/confronto con le RSU e conferma delle intese esistenti in materia di orari di lavoro.
Quella è stata certamente una fase sindacale molto dura per la FIOM. Abbiamo sostenuto una battaglia in difesa del contratto nazionale e per affermare una contrattazione aziendale in grado di incidere sulle condizioni di lavoro. Non sempre e non ovunque abbiamo raggiunto i risultati sperati, ma sicuramente abbiamo interpretato un sindacato che vuole essere soggetto contrattuale, democratico e radicato nei luoghi di lavoro.
I contenuti: la qualità della contrattazione
L’estensione della contrattazione aziendale è sicuramente un dato importante ed un grande obiettivo sindacale. Questa nostra priorità, avvalorata dalle considerazioni sopra espresse, non deve però in alcun modo impedirci di fare un serio lavoro di analisi e verifica dei contenuti degli accordi che riusciamo a raggiungere, economici e normativi, osservati sia da un punto di vista quantitativo che da quello qualitativo. La ricerca che abbiamo condotto ci consente di fare questo prezioso lavoro analitico, anche perché il confronto tra i risultati prodotti dagli accordi di aziende diverse ci rivela l’esistenza di differenze a volte enormi, sia rispetto alle quantità economiche in gioco e sia rispetto ai temi toccati negli accordi (la seconda sezione della ricerca illustra analiticamente tutti questi aspetti).
Mi pare utile segnalare che qualche accordo aziendale riguarda solo la negoziazione del Premio di Risultato e non affronta nessun aspetto normativo, che talvolta il Premio di Risultato erogato ai lavoratori è molto modesto, che si verificano anche casi nei quali, a fronte di un premio che non produce quanto atteso, le parti firmatarie hanno trovato soluzioni alternative per comunque erogare tutto od in parte il premio, che ci sono premi legati solo a parametri di redditività e che spesso sono presenti indicatori o meccanismi di riparametrazione individuale dei premi riguardanti le assenze per malattia.
Laddove invece la contrattazione collettiva ha radici consolidate, le aziende sono competitive ed i rapporti di forza sono favorevoli, i temi normativi che vengono disciplinati a livello aziendale, migliorando il CCNL o la legislazione, sono molteplici (orari, flessibilità, inquadramento e professionalità, formazione continua, salute e sicurezza, mercato del lavoro, permessi aggiuntivi, anticipo del TFR in azienda, diritti sindacali, trattamento in caso di malattia, diritto allo studio, indumenti di lavoro, mensa, incontro tra RSU e nuovi assunti...) e che per quanto riguarda i trattamenti economici collettivi contrattati in azienda (14^ mensilità, Preferiale, Premio di Risultato, Premio di Produzione, maggiorazioni orarie, disagi e indennità varie), aggiuntivi a quelli contrattualmente dovuti su scala nazionale, essi arrivano anche a superare i 5.000 Euro lordi annui.
Esistono in sostanza alcuni casi di contrattazione aziendale che possiamo a ragione e da diversi versanti considerare “eccellente”, in quanto capace di intervenire e di migliorare la condizione lavorativa, retributiva e sociale dei lavoratori, a fianco di altri casi nei quali invece essa opera solo un minimo di redistribuzione della ricchezza prodotta.
Un’analisi più approfondita degli esiti della contrattazione esercitata a Vicenza, se da un lato conferma la presenza di contenuti importanti su temi decisivi quali il consolidamento del salario variabile, la sicurezza sul lavoro e la gestione degli orari e delle flessibilità, dall’altro ci rivela la difficoltà di raggiungere risultati significati e generalizzati sui temi della salute e della sicurezza, della stabilizzazione degli assunti con contratti atipici, della formazione continua, dell’inquadramento, dei diritti dei migranti e della costituzione dei Comitati Aziendali Europei (o comunque di un coordinamento con le organizzazioni sindacali degli altri eventuali stabilimenti dell’azienda) e infine l’assenza di temi quali il controllo e l’intervento degli RSU
sull’intero ciclo produttivo, sull’organizzazione del lavoro, sugli appalti, sugli investimenti (prodotto, processo, mercati, acquisizioni...), sui rapporti con le università ed i centri di ricerca, sulla responsabilità sociale dell’impresa, sulle pari opportunità, sull’inserimento lavorativo di persone disabili e sull’impatto ambientale del processo produttivo. Si tratta di aspetti rilevanti dove, per produrre risultati, sicuramente occorrerà costruire nostre competenze, acquisire consenso tra i lavoratori e sviluppare un’azione negoziale più forte verso le imprese. Infine non risultano casi di sperimentazione di una “contrattazione di sito”, cioè di applicazione degli accordi aziendali anche ai dipendenti delle ditte esterne che operano all’interno del sito produttivo.
Le sfide da affrontare
I risultati della ricerca e le conseguenti riflessioni che abbiamo potuto fare, ci permettono oggi di individuare le sfide che occorre affrontare per andare oltre alla contrattazione aziendale che oggi riusciamo ad esercitare e di ragionare su come attrezzarci per riuscirvi.
La prima sfida è quella della conoscenza. Abbiamo bisogno di osservare e di conoscere bene il lavoro, le sue forme, la sua organizzazione ed i suoi processi di trasformazione.
La seconda sfida riguarda la sindacalizzazione delle aziende dove oggi non siamo presenti, perchè l’esperienza ci insegna che la contrattazione aziendale si esercita solo se ci sono iscritti, RSU, assemblee sindacali, partecipazione dei lavoratori e rapporti di forza sufficienti.
La terza sfida riguarda la necessità di estendere la contrattazione aziendale, che a Vicenza copre oggi meno del 50% dei lavoratori occupati nell’industria metalmeccanica.
La quarta sfida è quella di costruire/formare/supportare RSU in grado di svolgere il proprio ruolo in modo adeguato ed autonomo e di negoziare in azienda in modo efficace ed in un’ottica non aziendalista.
La quinta sfida riguarda i contenuti della contrattazione. E’ necessario aumentare le quantità economiche previste mediamente negli accordi, aumentare il numero di temi negoziati e migliorare in generale la qualità dei contenuti degli accordi. I possibili miglioramenti riguardano, nella parte economica ad esempio la scelta degli indicatori dei premi di risultato, il controllo sindacale dei dati ad essi relativi e la negoziazione delle parti fisse o delle quote di consolidamento degli stessi, e nelle parti normative ad esempio la sicurezza, il mercato del lavoro, l’organizzazione del lavoro, la formazione continua, l’inquadramento ed i diritti dei lavoratori migranti.
La sesta sfida è quella di cercare, a partire dalle aziende dove esistono le condizioni, di negoziare temi attualmente quasi assenti dagli accordi, quali gli investimenti in ricerca ed innovazione, il controllo sull’intero ciclo produttivo, gli appalti, il coordinamento con gli RSU di stabilimenti esteri dell’azienda o del gruppo (Comitati Aziendali Europei), la responsabilità sociale dell’impresa, l’inserimento delle persone disabili, il delegato sociale, le pari opportunità e l’impatto ambientale dell’attività produttiva.
L’ultima sfida tocca il tema della democrazia sindacale: occorre coinvolgere maggiormente gli iscritti, favorire la partecipazione dei lavoratori e generalizzare la prassi del voto degli stessi sulle piattaforme e sulle ipotesi di accordo.
L’ultima sfida riguarda infine la necessità di esperimentare, laddove possibile, la contrattazione di sito, con l’obiettivo di unificare il lavoro disperso dai processi di esternalizzazione.
Prima Sezione
Le relazioni industriali tra il dire e il fare:
la prospettiva dei delegati FIOM Vicenza
Le fonti utilizzate
In questa sezione vengono riportati i risultati emersi da una ricerca condotta su 93 imprese metalmeccaniche della provincia di Vicenza.
Lo studio è stato realizzato tra la fine del 2006 e la metà del 2007, attraverso un questionario strutturato composto da 30 domande, suddivise in 4 sezioni:
• capacità innovativa e formazione, che analizza dimensioni chiave della strategia delle imprese, la propensione all’innovazione e le attività formative delle imprese;
• condizioni di lavoro e relazioni industriali, che analizza la qualità delle relazioni industriali, i temi del confronto tra sindacato e impresa, l’entità del conflitto e il clima complessivo delle relazioni industriali a livello d’impresa;
• andamenti dell’impresa, occupazione e forme flessibili dei contratti di lavoro, che analizza le tipologie di regolazione del lavoro utilizzate;
• alcune informazioni sull’azienda, che fornisce un profilo più approfondito delle imprese studiate (vedi Il questionario della ricerca, p. 88).
Il questionario è stato somministrato a RSU e delegati FIOM di Vicenza. I risultati commentati nei Capitoli di questa sezione, quindi, sono espressione del punto di vista del sindacato.
Ad aprile 2007, inoltre, è stata realizzata una Instant Survey nel corso di un Direttivo provinciale FIOM, che ha coinvolto 82 delegati (vedi il testo dell’Instant Survey, p. 87).
Un breve profilo delle aziende coinvolte nella ricerca
L’organico medio delle imprese del campione è pari a 209 (159 uomini e 42 donne1), ma presenta una varianza molto elevata (si va da 970 a 11 dipendenti). Per tale motivo, il campione è stato diviso in tre segmenti in base alla classe di organico:
• Imprese Grandi (>250)
• Imprese Medie (100-249)
• Imprese Piccole (<100) (Tabella 1).
Tabella 1 Segmentazione del campione in base alla classe di organico
CLASSE DI ORGANICO | V.A. | % |
Imprese Grandi (>250) | 19 | 27,1% |
Imprese Medie (100-249) | 24 | 34,3% |
Imprese Piccole (<100) | 23 | 32,9% |
Dato mancante | 4 | 5,7% |
70 | 100,0% |
Fonte: La Contrattazione Aziendale nella Metalmeccanica in Provincia di Vicenza, 2007
Il 94,6% delle imprese applica il contratto Federmeccanica (87 imprese), mentre il restante 5,4% (5 imprese) applica quello Confapi (Tabella 2).
Per alcune aziende non è stato possibile raccogliere i dati in modo analitico, per cui tutti i commenti si riferiranno a 70 questionari compilati in modo completo.
1 Non tutte i questionari riportavano la ripartizione tra uomini e donne.
Tabella 2 Profilo strutturale delle 92 imprese analizzate
CONTRATTO APPLICATO | ASSETTI ORGANIZZATIVI (RISPOSTE MULTIPLE) | ||||
Federmeccanica | 87 | 94,6% | Altre unità Italia | 42 | 46% |
Confapi | 5 | 5,4% | Altre unità Estero | 31 | 34% |
Quota soggetti finanziari | 12 | 13% | |||
Quotazione borsa | 13 | 14% |
Fonte: La Contrattazione Aziendale nella Metalmeccanica in Provincia di Vicenza, 2007
Oltre che in relazione all’organico, il campione è stato segmentato anche considerando la propensione all’innovazione, che influenza in modo rilevante l’ambiente nel quale si concretizzano le relazioni industriali. Questa variabile è stata stimata in base al tipo di innovazione compiuta: nessuna, solo innovazioni incrementali, innovazioni incrementali e radicali (Tabella 3).
Tabella 3 Segmentazione del campione in base alla classe di organico
PROPENSIONE ALL’INNOVAZIONE | V.A. | % |
Nessuna innovazione | 22 | 31,4% |
Solo innovazioni incrementali | 29 | 41,4% |
Innovazioni incrementali e radicali | 19 | 27,1% |
70 | 100,0% |
Fonte: La Contrattazione Aziendale nella Metalmeccanica in Provincia di Vicenza, 2007
2. Secondo Capitolo
Alla ricerca del buon lavoro.
Come si lavora in fabbrica, e quanto si impara
Xxxxx Xxxxxxx
2.1. Partendo da (molto) lontano
Le condizioni di lavoro rappresentano uno dei fattori che più influenzano l’esperienza professionale, di ogni ordine e grado. Xxxx si intende per qualità del lavoro? Attorno a questo concetto esiste sempre un velo di sublime vaghezza.
Le leggi e la contrattazione collettiva indicano le condizioni minime che il luogo di lavoro deve rispettare (dalla sicurezza, all’igiene, alle modalità di organizzazione delle mansioni e degli orari). Anche altre variabili, come ad esempio le caratteristiche personali, le aspettative professionali, i bisogni propri o della famiglia, impattano sulla percezione della qualità del lavoro.
Al di sopra di standard minimi socialmente definiti e accettati, questo concetto assume connotati specifici dentro ogni singola organizzazione e, nei limiti del possibile, va progettato e gestito considerando che la qualità del lavoro è influenzata anche dalle relazioni che si sviluppano con i colleghi e dalle mutevoli esigenze che si presentano nelle varie fasi del ciclo di vita professionale.
La capacità di organizzare e gestire ambienti di lavoro gradevoli, vivibili e che soddisfano i lavoratori è un fattore che influenza positivamente i risultati della prestazione2.
Nei paragrafi seguenti, la qualità del lavoro viene riassunta nel modo seguente:
• qualità intesa in senso statico, come insieme delle concrete condizioni nelle quali il lavoratore si trova quotidianamente;
• qualità intesa in senso dinamico, come portafoglio di opportunità di formazione che vengono proposte al lavoratore.
2.2. Xxxxx che vai, ambiente di lavoro che trovi
Le condizioni di lavoro nel periodo 2000-2005 hanno subito un’erosione asimmetrica, che presenta alcuni elementi su cui è opportuno riflettere.
Per facilitare l’analisi, i fattori rilevati sono stati aggregati in tre categorie:
• ambiente di lavoro, riferito al contesto nel quale si eroga la prestazione lavorativa;
• contenuto del lavoro, riferito alle condizioni soggettive nelle quali la prestazione professionale viene erogata;
• meccanismi di incentivazione. Sinteticamente, si verifica:
• un sostanziale peggioramento della qualità dell’ambiente di lavoro, ad eccezione delle condizioni relative alla salute e sicurezza del lavoro;
• un sostanziale miglioramento della ricchezza della mansione;
• un andamento ambiguo dei meccanismi di incentivazione. In Tabella 4 sono riportati in modo analitico i valori rilevati.
2 Lo dimostrano le periodiche ricerche del Great Place to Work Institute, che da alcuni anni stila anche per l’Italia la classifica delle aziende con i migliori ambienti organizzativi. La classifica relativa al 2006 è stata pubblicata da Il Sole 24 Ore il 16 dicembre 2006, Per un approfondimento sul metodo per misurare il livello di fiducia e la qualità delle relazioni che ci sono tra dipendenti il management, si può utilmente consultare il sito xxxx://xxx.xxxxxxxxxxxxxxxx.xx.
Tabella 4 Condizioni di lavoro: meglio o peggio nel periodo 2000-2005? (n=70)
FATTORI CHE SONO PEGGIORATI | TIPOLOGIA DI VARIABILE | FATTORI CHE SONO MIGLIORATI |
Intensità della prestazione lavorativa (+0,61) Stress derivante dal lavoro (+0,63) Stabilità del lavoro! (-0,19) | AMBIENTE DI LAVORO | Salute e sicurezza sul posto di lavoro (+0,22) |
Influenza sulle decisioni prese dai quadri/dirigenti (-0,01) | CONTENUTO DEL LAVORO | Professionalità e competenze dei dipendenti (+0,23) Informazioni a disposizione dei dipendenti (+0,14) Autonomia e controllo dei dipendenti sul lavoro svolto (+0,19) |
Incentivi non economici (formazione, carriera, ecc) (-0,04) | MECCANISMI DI INCENTIVAZIONE | Incentivi economici (individuali e collettivi) (+0,20) |
Fonte: La Contrattazione Aziendale nella Metalmeccanica in Provincia di Vicenza, 2007
Box 1 Come si interpretano i valori della Tabella 4?
La domanda del questionario era formulata nel modo seguente: nel periodo 2000-2005, come sono cambiate nell’unità locale le condizioni di lavoro? Le alternative disponibili erano tre: diminuito, invariato, aumentato. I valori riportati in Tabella 4sono stati calcolati in questo modo. È stato attribuito valore 0 alla scelta “invariato”, valore 1 alla scelta “aumentato” e valore -1 alla scelta “diminuito”.
Il significato organizzativo delle varie condizioni non è strettamente dipendente dal valore assoluto della media. È evidente che l’aumento dello stress derivante dal lavoro ha segno negativo in termini organizzativi e non positivo. L’aumento dell’autonomia, viceversa, ha segno positivo in termini organizzativi.
I dati relativi al peggioramento dell’ambiente di lavoro sono un déjà vu. È noto infatti che l’accelerazione delle dinamiche competitive e la necessità per le imprese di:
• tagliare il time to market,
• ridurre i costi,
• aumentare i ritmi dell’innovazione,
si sono spesso tradotti in un aumento dell’intensità della prestazione lavorativa e, più in generale, in una persistente riorganizzazione delle condizioni di lavoro.
Per impostare in modo adeguato l’analisi, è quindi opportuno capire quali sono i fattori contingenti che
impattano sui tre fattori chiave:
• intensità della prestazione lavorativa,
• stress derivante dal lavoro e
• stabilità del lavoro,
assumendo che la salute e sicurezza sul posto di lavoro si possano considerare come elementi sui quali non si deve nemmeno discutere.
Ambiente di lavoro e dimensione aziendale
I dati della Figura 1 sono loquaci. La direzione aziendale è decisamente più esigente nelle imprese di maggiori dimensioni, che richiedono ai lavoratori un maggior impegno e generano maggiore stress (0,78 e 0,83 su scala da -1 a +1).
L’informazione più utile che il sindacato può trarre dalla Figura 1, tuttavia, è ciò che viene dato in “cambio” della richiesta di prestazioni più intense. Xx è qui che si annida il nocciolo della questione. Dai dati sembra emergere che la contropartita non si traduce in un aumento della stabilità del lavoro, che rimane sostanzialmente costante. È vero che salute e sicurezza tendono a migliorare, ma è altrettanto vero che si tratta di condizioni sulle quali (ragionevolmente) non si negozia.
Più diminuisce la dimensione più il lavoro diventa (in apparenza) meno invasivo. Meglio lavorare nelle piccole imprese? Non proprio, visto che in queste realtà peggiora in modo significativo la stabilità del lavoro (-0,43). Anche questa informazione è rilevante per il sindacato, anche alla luce del fatto che nella contrattazione di secondo livello, le tematiche della salute e sicurezza sono affrontate solo in un numero ridotto di aziende.
Figura 1 Le condizioni di lavoro nel periodo 2000-2005, in base alla dimensione dell’impresa (n=70)
Fonte: La Contrattazione Aziendale nella Metalmeccanica in Provincia di Vicenza, 2007
Ambiente di lavoro e imprese innovative
Anche la Figura 2 è capace di parlare da sola. Le imprese che hanno una maggiore propensione a innovare, in termini sia incrementali sia radicali, sono quelle nelle quali le condizioni di lavoro si deteriorano di meno. Come si vede, infatti, l’aumento dell’intensità del lavoro e dello stress derivante dal lavoro è leggermente inferiore a quanto si verifica tra le imprese che non innovano e tra quelle che fanno solo innovazioni di tipo radicale. Nel segmento innovazioni radicali e incrementali, inoltre, c’è una maggiore attenzione alla salute e sicurezza sul posto di lavoro.
Dall’altra parte, emerge una evidente zona di pericolo, rappresentata dalle imprese che non innovano e che, come ci fanno capire i numeri:
• scaricano poi sulle condizioni di lavoro tutte le loro inefficienze: aumentando l’intensità richiesta e generando maggiore stress;
• “risparmiano” (anche) sulle basilari condizioni di salute e sicurezza, e rendono più incerto il futuro perché non sono capaci di dare stabilità all’impiego.
Figura 2 Le condizioni di lavoro nel periodo 2000-2005, in base alla propensione all’innovazione dell’impresa (n=70)
Fonte: La Contrattazione Aziendale nella Metalmeccanica in Provincia di Vicenza, 2007
Un altro spunto di riflessione suggerito dalla Figura 2 riguarda il fatto che la stabilità del lavoro è maggiore quando le imprese fanno innovazioni incrementali, rispetto a quando si fanno anche innovazioni di tipo radicale.
Le innovazioni incrementali sono il frutto della combinazione di fattori di prodotto, processo e di tipo organizzativo, che si sviluppano in modo non programmato e generano miglioramenti minimi. Le innovazioni radicali, invece, riguardano processi di cambiamento puntuali e discontinui, che solitamente prendono forma da attività di ricerca deliberata di più attori (imprese, istituzioni, centri di ricerca), e che
comportano una rottura con i prodotti o processi esistenti, con origine in alcuni casi di nuove industrie o segmenti di mercato.
Prestare attenzione al primo tipo di innovazioni (incrementali) è doppiamente utile.
Da un lato, alcuni studi hanno dimostrato che i maggiori benefici economici e sociali dei processi innovativi sono generati dai miglioramenti incrementali e dalle piccole migliorie e modifiche tecniche di prodotti e processi preesistenti, piuttosto che dalle innovazioni radicali. Si tratta di risultati di processi informali e cumulativi, che permettono di valorizzare la conoscenza tacita acquisita dai lavoratori e sintetizzano complessi processi di apprendimento by doing, by using o by interacting.
Dall’altro lato (e come conseguenza del punto precedente), è necessario considerare che non sempre l’innovazione incrementale viene registrata come “attività di ricerca e sviluppo”. Soprattutto nei settori tradizionali (molto presenti nell’economia italiana e vicentina) la ricerca formalizzata rappresenta solo una parte delle attività innovative alla base della competitività tecnologica e della capacità di introdurre nuovi prodotti. In questi settori le attività non formalizzate e, quindi, difficilmente misurabili come il design, la progettazione, l’introduzione di nuovi materiali e nuove prestazioni nei prodotti stessi, possono ricoprire addirittura un ruolo più importante della ricerca di laboratorio.
In termini operativi per l’azione sindacale, queste riflessioni suggeriscono due punti di attenzione:
• non è l’innovazione in sé, che assicura il futuro al lavoratore e all’impresa, ma la capacità di sviluppare un portafoglio di innovazioni complementari e che gestiscano in modo virtuoso quelle di tipo incrementale e quelle di tipo radicale;
• non tutte le innovazioni fanno bene al lavoro. Le innovazioni radicali possono annullare la professionalità dei lavoratori. Conseguentemente, non c’è buona innovazione senza formazione.
Il tema della relazione tra innovazione e formazione verrà ripreso più avanti.
2.3. Cosa contiene il lavoro?
Come si è già detto, un’altra componente della qualità del lavoro è data dai contenuti dell’attività svolta, misurati da:
• professionalità e competenze dei dipendenti, e autonomia e controllo dei dipendenti sul lavoro svolto, che dicono quanto lavoro qualificato viene richiesto;
• influenza sulle decisioni prese dai quadri/dirigenti e informazioni a disposizione dei dipendenti, che dicono quanto contano il parere e l’intelligenza di chi lavora.
Le Figura 3 e Figura 4 indicano chiaramente che il lavoro a maggiore contenuto non dipende tanto dalla dimensione delle imprese, quanto dalla loro propensione all’innovazione. La relazione tra innovazione e contenuto del lavoro è di facile comprensione, visto che sempre più spesso le tecnologie sulle quali si basa il vantaggio competitivo delle imprese sono di tipo effusivo: si tratta cioè di innovazioni che non si basano tanto sulle macchine, ma sulle persone che sanno far funzionare le macchine, o che sanno trattare informazioni e simboli, o più semplicemente sanno pensare e decidere in autonomia.
Ma c’è di più.
Le imprese con una maggiore propensione all’innovazione (radicali e incrementali contemporaneamente) non sono solo quelle che creano le condizioni per dare al lavoro un maggiore contenuto.
Dalla Tabella 5 emerge chiaramente che tali imprese hanno andamenti sistematicamente superiori a quelle delle imprese che non innovano. Coerentemente con quanto detto nel paragrafo precedente a proposito della differenza tra innovazioni di tipo incrementale e radicale, si verifica che:
• su alcuni parametri di capacità economica nel breve periodo (fatturato, produttività del lavoro, redditività aziendale), sono più performanti le aziende che hanno fatto solo innovazioni incrementali;
• su altri parametri di tenuta nel tempo (investimenti fissi e immateriali, investimenti in ricerca e sviluppo) sono più performanti le imprese che hanno fatto innovazioni sia radicali, sia incrementali.
La relazione tra dimensione aziendale e andamento dell’impresa appare ancora più marcata, visto che le imprese più grandi sono quelle che:
• hanno maggiore produttività e redditività;
• fanno più investimenti;
• delocalizzano di meno.
Figura 3 Il contenuto del lavoro nel periodo 2000-2005, in base alla dimensione dell’impresa (n=70)
Fonte: La Contrattazione Aziendale nella Metalmeccanica in Provincia di Vicenza, 2007
Figura 4 Il contenuto del lavoro nel periodo 2000-2005, in base alla propensione all’innovazione dell’impresa (n=70)
Fonte: La Contrattazione Aziendale nella Metalmeccanica in Provincia di Vicenza, 2007
Tabella 5 Andamento dell’impresa e propensione all’innovazione (da -3 a +3; dove 0 vuol dire stabilità)
PARAMETRO | PROPENSIONE ALL’INNOVAZIONE | TOTALE | ||
NESSUNA INNOVAZIONE | INNOVAZIONI INCREMENTALI | INNOVAZIONI RADICALI E INCREMENTALI | ||
Fatturato | 0,76 | 1,48 | 1,26 | 1,20 |
Produttività del lavoro | 0,90 | 1,34 | 1,26 | 1,19 |
Utili/redditività aziendale | 0,29 | 0,93 | 0,58 | 0,63 |
Investimenti fissi e immateriali | 0,76 | 1,17 | 1,53 | 1,14 |
Quota sui mercati internazionali | 0,90 | 1,03 | 1,06 | 1,00 |
Ricorso a subfornitura / outsourcing | 0,52 | 0,71 | 1,16 | 0,78 |
Delocalizzazione di fasi all’estero | 0,19 | 0,55 | 0,50 | 0,43 |
Delocalizzazione all’estero di interi processi | 0,00 | 0,28 | 0,29 | 0,19 |
Investimenti in ricerca e sviluppo | 0,24 | 0,97 | 2,00 | 1,03 |
Fonte: La Contrattazione Aziendale nella Metalmeccanica in Provincia di Vicenza, 2007
Tabella 6 Andamento dell’impresa e dimensione aziendale (da -3 a +3; dove 0 vuol dire stabilità)
PARAMETRO | DIMENSIONE | TOTALE | ||
GRANDE (>250) | MEDIA (000-000) | XXXXXXX (<100) | ||
Fatturato | 1,78 | 1,33 | 0,43 | 1,20 |
Produttività del lavoro | 1,67 | 1,33 | 0,74 | 1,19 |
Utili/redditività aziendale | 1,17 | 0,75 | 0,05 | 0,63 |
Investimenti fissi e immateriali | 1,61 | 1,29 | 0,65 | 1,14 |
Quota sui mercati internazionali | 1,39 | 0,92 | 0,67 | 1,00 |
Ricorso a subfornitura / outsourcing | 0,94 | 0,92 | 0,50 | 0,78 |
Delocalizzazione di fasi all’estero | 0,41 | 0,67 | 0,26 | 0,43 |
Delocalizzazione all’estero di interi processi | 0,00 | 0,42 | 0,13 | 0,19 |
Investimenti in ricerca e sviluppo | 1,39 | 1,33 | 0,48 | 1,03 |
Fonte: La Contrattazione Aziendale nella Metalmeccanica in Provincia di Vicenza, 2007
2.4. Innovazione dovrebbe far rima con formazione. È così?
Preambolo
Nei paragrafi precedenti si è fatto riferimento a due aspetti relativi alle dinamiche non sempre scontate nei processi di innovazione:
• all’impatto ambiguo dell’innovazione sulle competenze dei lavoratori, sottolineando che le innovazioni radicali possono spiazzare il lavoratore, facendogli perdere parte della sua professionalità;
• al maggiore impatto positivo delle innovazioni radicali sulle condizioni di continuità e sviluppo delle imprese.
Nel loro insieme, questi fattori generano una forte pressione sulla formazione dei lavoratori, perché non è pensabile che le innovazioni siano sempre coerenti con le competenze possedute dai lavoratori, e anche perché non si può avere lavori con maggiore contenuto professionale e di autonomia senza dotare i lavoratori delle competenze necessarie.
I dati
Per affrontare in modo adeguato il tema della propensione delle imprese alla formazione, è opportuno partire dalla Tabella 7, che lancia numerosi segnali:
• seconda colonna (imprese che non fanno formazione) – è abbastanza evidente che sono prevalentemente le imprese più grandi che fanno formazione (o, che è lo stesso: tra le imprese più grandi è più basso il numero di imprese che non fa alcuna formazione), non si ravvisa invece una maggiore disponibilità a mettere i lavoratori in formazione da parte delle imprese con maggiore propensione all’innovazione;
• parte relativa alle imprese piccole – emerge in modo chiaro che è l’affiancamento sul lavoro una delle forme più diffuse tra le imprese più piccole, forse perché è alla loro portata in termini sia economici (costi), sia organizzativi (facilità di trasferire le conoscenze tacite);
• riga relativa ai lavoratori con contratti non permanenti – in ogni sezione, questi lavoratori primeggiano quando non si fa formazione e quando la formazione si fa per affiancamento. In tutto gli altri casi di formazione cosiddetta strutturata, questi lavoratori sono sempre messi alla porta.
L’approccio del sindacato alla formazione deve partire dalle considerazioni testè esposte, perché dietro queste considerazioni ci sono tutti i grandi temi del buon lavoro:
• primo tema: chi paga la formazione?
• secondo tema: come far uscire le piccole imprese dal circolo vizioso del non avere le risorse per fare la formazione?
• terzo tema: perché i lavoratori non permanenti sono sempre figli di un dio minore?
Nessuna formaz | Affianc | Corsi interni | Corsi esterni | |
FC dipendenti TD | 27 | 14 | 30 | 13 |
Form neoassunti (T.Ind, Appr, CFL) | 18 | 34 | 17 | 5 |
Form dipendenti contratti non perm | 33 | 20 | 8 | 1 |
NEL CAMPIONE GENERALE | Xxxxxxx formaz | Affianc | Corsi interni | Corsi esterni |
FC dipendenti TD | 38,6% | 20,0% | 42,9% | 18,6% |
Form neoassunti (T.Ind, Appr, CFL) | 25,7% | 48,6% | 24,3% | 7,1% |
Form dipendenti contratti non perm | 47,1% | 28,6% | 11,4% | 1,4% |
NELLE IMPRESE GRANDI | Nessuna formaz | Affianc | Corsi interni | Corsi esterni |
FC dipendenti TD | 15,8% | 31,6% | 52,6% | 31,6% |
Form neoassunti (T.Ind, Appr, CFL) | 5,3% | 52,6% | 42,1% | 15,8% |
Form dipendenti contratti non perm | 31,6% | 42,1% | 26,3% | 5,3% |
NELLE IMPRESE PICCOLE | Nessuna formaz | Affianc | Corsi interni | Corsi esterni |
FC dipendenti TD | 52,2% | 21,7% | 26,1% | 13,0% |
Form neoassunti (T.Ind, Appr, CFL) | 47,8% | 30,4% | 0,0% | 4,3% |
Form dipendenti contratti non perm | 60,9% | 17,4% | 4,3% | 0,0% |
NELLE IMPRESE CON MAGGIORE PROPENSIONE Nessuna formaz | Affianc | Corsi interni | Corsi esterni | |
FC dipendenti TD | 36,8% | 15,8% | 47,4% | 15,8% |
Form neoassunti (T.Ind, Appr, CFL) | 15,8% | 57,9% | 26,3% | 5,3% |
Form dipendenti contratti non perm | 42,1% | 31,6% | 10,5% | 0,0% |
Tabella 7 Le attività di formazione (n=70)
ALL’INNOVAZIONE
Fonte: La Contrattazione Aziendale nella Metalmeccanica in Provincia di Vicenza, 2007
Il sindacato alle prese con il finanziamento della formazione
Quando si affronta il tema della formazione continua dei lavoratori, bisogna sempre partire dal fatto che gli investimenti in formazione rimangono di proprietà del lavoratore e quindi egli se li porta con sé. Detto in altri termini, quando l’impresa fa formazione e il sindacato è in grado di negoziare in modo adeguato gli investimenti in formazione (Box 2), implicitamente essa contribuisce anche ad aumentare il valore potenziale del patrimonio individuale del lavoratore.
Questo aspetto della questione è intrigante per il sindacato. Ma non è privo di insidie.
Dalla prospettiva dell’impresa, ci sarà tutto l’interesse a mettere in formazione le persone che danno maggiori garanzie di prestazioni migliori. L’impresa, e non potrebbe essere altrimenti, pensa al cosiddetto return on investment delle somme spese in formazione. Questo porta con sé il rischio che vengano progressivamente marginalizzati proprio i lavoratori che avrebbero maggiore necessità di fare la manutenzione delle proprie competenze. Aiutare le RSU a fare l’analisi dei fabbisogni formativi e a tradurre queste esigenze in progetti formativi da presentare alle aziende diventa quindi una priorità improcrastinabile:
• che ha un significato intrinseco, perché tutela i lavoratori più esposti al rischio di espulsione;
• ma che ha anche un significato economico, perché i saperi spesso taciti dei lavoratori maturi sono quelli più difficili da trasferire, ma che possono diventare utili soprattutto quando le imprese seguono percorsi di innovazione incrementali (che, come si è detto, non annullano, ma valorizzano le esperienze passate).
Box 2 Quando il sindacato sa negoziare la formazione
«Ho una interessante esperienza di contrattazione della formazione a metà degli anni ’80: eravamo nel periodo del contratto di formazione e lavoro e facemmo una delle esperienze più interessanti di vera formazione professionale dei lavoratori. Negli ultimi anni, abbiamo più volte avviato iniziative finalizzate a creare occasioni di apprendimento per i lavoratori, evitando lavori ripetitivi e ampliando le competenze dei lavoratori. Noi dobbiamo assicurare a tutti i lavoratori uguali possibilità di apprendere e di formarsi, anche se non tutte rispondono alle esigenze delle imprese».
«Ho avuto un’esperienza significativa in una importante azienda dove, nel 1997, è stato fatto un accordo innovativo su piani formativi, percorsi di carriera e inquadramento professionale, che ha visto coinvolti circa 350 lavoratori. Come segretario di categoria ho contrattato modalità e funzioni di tutor, e procedure di valutazione. Abbiamo ottenuto circa 500 passaggi di livello in due anni. Un’altra esperienza significativa la sto facendo con gli artigiani: si tratta di un percorso formativo che implica un’analisi dei fabbisogni dell’azienda mirato ad ottenere il riconoscimento professionale per chi partecipa alla formazione. Ho avuto, però, anche esperienze con esito negativo: parecchie aziende non credono nella formazione, o, meglio, ci credono se la formazione corrisponde alle loro necessità».
Tratto da Xxxxxxxx X. Xxxxxxx P., Xxxxxxx N., 2006, Sindacato e formazione continua, in AgForm (a cura di), La rete per la formazione,
Supplemento a Venetolavoro, anno XV, n. 30
Come aiutare le piccole imprese a fare la formazione
Immaginare che le imprese di piccola dimensione accedano da sole alle risorse per fare la formazione è sostanzialmente velleitario.
Una possibile soluzione è spostare la concertazione della formazione dalla singola impresa al territorio in senso fisico (il distretto, la provincia o altra area) o al territorio competitivo (ad esempio, la filiera).
Sempre più spesso, infatti, si parla di competizione tra filiere. Se questo è vero, allora, la grande impresa che fa formazione avrà tutto l’interesse a portare con sé le imprese più piccole con le quali ha rapporti stabili di fornitura o di collaborazione. Al sindacato, spetta il compito di aiutare questo fenomeno di trascinamento che potrebbe concretamente aiutare le imprese più piccole ad uscire dal circolo vizioso dell’impossibilità di fare formazione.
L’idea di altri luoghi (diversi dalla singola impresa) per concertare la formazione non è puramente teorica. Dalla Figura 5 risulta chiaramente che non è facile negoziare la formazione nella singola impresa. La voce che spicca con maggiore frequenza, infatti, è nessun confronto su ciascuna delle tre opzioni relative a temi che hanno a che fare con la formazione: percorsi di crescita e mobilità interna, formazione specialistica, formazione per innovazioni tecnologiche e organizzative.
Figura 5 Il sindacato alle prese con la negoziazione della formazione (n=70)
Fonte: La Contrattazione Aziendale nella Metalmeccanica in Provincia di Vicenza, 2007
Il sindacato alle prese con la precarietà
Le considerazioni appena compiute creano i presupposti per dare un significato al fatto che i lavoratoti non permanenti vengano sistematicamente esclusi dai processi formativi.
Le attività formative creano capitale umano, che è costituito dalle competenze delle persone, nelle loro diverse componenti e articolazioni, il cui valore può essere amplificato (o ridotto) dall’ambiente organizzativo in cui sono inserite, dalla capacità di utilizzarle in contesti diversi e di riorientarle, trasformarle e integrarle anche con le risorse e i beni complementari esterni all’impresa. Questo capitale è di proprietà del lavoratore.
La formazione, strutturata e non, l’ambiente organizzativo e il contesto di lavoro sono le premesse per creare capitale relazionale, che fa riferimento al valore generato dal complesso delle relazioni che il lavoratore dinamicamente attiva nel proprio contesto e con gli attori esterni (clienti, fornitori, concorrenti, finanziatori, partner, istituzioni di ricerca). Tali relazioni si trasformano in una forma di capitale nel momento in cui non si limitano a compensare temporaneamente la mancanza di risorse, ma diventano un mezzo per sostenere la formazione di conoscenza collettiva, in una logica di apprendimento reciproco. Anche questo capitale è di proprietà del lavoratore e della rete a cui appartiene.
È evidente che entrambi questi aspetti spingono le imprese a escludere i lavoratori non permanenti dai processi formativi, in quanto esse corrono i rischio concreto di fare investimenti in formazione di cui poi si approprieranno altre imprese. È uno dei tanti paradossi della flessibilità.
Box 3 Perché i precari sono sempre ultimi nei progetti di formazione?
Escluse le attività di puro addestramento che hanno immediati effetti sulla prestazione del lavoratore, in tutti gli altri casi esiste sempre un più o meno lungo arco di tempo tra il momento in cui un lavoratore acquisisce nuove conoscenze per effetto di interventi formativi e il momento l’impresa osserva l’impatto in termini di miglioramento della produttività e delle prestazioni [Tronti, 2003, p. 264]. In contesti caratterizzati da elevato tasso di innovazione tecnologica (quelle che noi abbiamo chiamato innovazioni radicali), è possibile che non si presentino occasioni professionali nelle quali le conoscenze possono essere applicate. Si arriva addirittura a parlare di “danni educativi”, errori che possono produrre frustrazione negli individui, in quanto è palese il gap tra il contesto formativo e il contesto del lavoro [Xxxxxxxxx 1997]. Quando si sperimenta elevata mobilità interaziendale (e questo è tipico per i lavoratori non permanenti), può succedere che gli investimenti compiuti durante la permanenza presso un’impresa si trasformino in valore economico quando il lavoratore si troverà a lavorare presso un’altra impresa. In tal caso, si parla di doppia esternalità, in quanto non solo lo scambio di conoscenze può avere effetti economici su agenti terzi rispetto alla transazione (esternalità in senso proprio), ma può avere effetti economici sugli stessi agenti dello scambio (o su terzi) anche a una rilevante distanza di tempo dalla transazione (secondo tipo di esternalità) [Tronti, 2003, p. 265].
Da queste considerazioni consegue il secondo elemento di complicazione nella gestione dei lavoratori che appartengono a questo segmento: la funzione di utilità dell’impresa e del lavoratore tenderanno ad essere sempre meno coincidenti, in quanto la prima percepisce (e sperimenta) il rischio di investire in formazione senza potersi successivamente appropriare (in termini di maggiori prestazioni lavorative) dei vantaggi dell’investimento. È possibile che in simili circostanze, l’impresa rinunci ad inserire tali lavoratori in percorsi formativi e addirittura di semplice addestramento3.
2.5. Ma allora, che fare per avere un buon lavoro?
Il quadro che emerge dalle considerazioni compiute nei paragrafi precedenti, come si è detto in apertura, si può riassumere affermando che l’ambiente di lavoro e il contenuto del lavoro nelle imprese metal- meccaniche del vicentino hanno subito una erosione asimmetrica.
L’oggettiva difficoltà del sindacato di incidere sulle dinamiche dell’innovazione e della formazione pone seriamente il tema di come incidere su queste variabili.
Progettare il buon lavoro non è semplice. Ma è urgente, per due ragioni.
La prima ha a che fare con le determinanti della competizione. La Figura 6 dimostra che le imprese del campione tendono a competere su un ampio numero di basi. Il fatto che nel quinquennio considerato l’ampiezza sia cresciuta va trattato con molta cautela (linea tratteggiata della Figura 6). È possibile, infatti, che i delegati che hanno compilato i questionari siano più propensi a ricordare le basi competitive attuali, rispetto a quelle di 5 anni prima: le basi competitive erano mediamente 2,8 nel 2000 e salgono 4,0 nel 2005 (su 7 disponibili).
In ogni caso, è bene ricordare che un numero eccessivo di basi competitive può rendere oltremodo stressante il lavoro e aumentare (a volte a dismisura) l’intensità della prestazione lavorativa richiesta, in quanto è la stessa direzione aziendale che non sempre ha una chiara focalizzazione delle cose che sono veramente importanti.
L’analisi per dimensione dell’organico e propensione all’innovazione indica che le strategie competitive diventano più ampie al crescere della dimensione e della propensione all’innovazione. Il fenomeno non è per
3 Per la verità, esiste anche un terzo fenomeno che può aiutare a ridurre la polarizzazione e, se si vuole, ad aumentare le opportunità di accesso alla formazione e della gestione dell’employability. Esso è connesso alle mutevoli aspettative ed esigenze delle persone nel corso della vita professionale, familiare e sociale. Tali aspettative possono essere in conflitto tra loro [Xxxxxxxxxxx, 2004, pp. 283], a seguito di una tipica situazione di incoerenza temporale: il raggiungimento di un obiettivo di breve periodo (ad esempio, lavorare più intensamente per avere un reddito mensile più elevato, invece che frequentare un corso di formazione) porterà a un mutamento delle proprie preferenze, tanto da rendere irraggiungibile un secondo obiettivo, che è più lontano nel tempo ma che è ugualmente importante (ad esempio, mantenere l’occupabilità durante tutto il ciclo di vita professionale, anche attraverso la partecipazione a corsi di formazione). Gli economisti definiscono questa situazione “paternalismo di Xxxxxx”: un soggetto chiede nel proprio interesse che venga ridotta la propria libertà di scelta. Il riferimento è all’episodio dell’Odissea, in cui Xxxxxx incontra le sirene. Xxxxxx ha due obiettivi, che sono tra loro incompatibili in assenza di un aiuto esterno: nel breve periodo, vuole ascoltare il canto delle sirene; nel medio periodo, vuole tornare a Itaca. Xxxxxx, però, sa bene che una volta raggiunto il primo obiettivo (ascoltare il canto delle sirene), le sue aspettative e i suoi desideri subiranno un cambiamento irreversibile (sarà vinto dal canto) e gli sarà impossibile raggiungere anche il secondo obiettivo, cioè tornare a Itaca. È per questo motivo che Xxxxxx ordina ai suoi uomini di legarlo all’albero della nave (rinuncia alla propria libertà) e di non obbedirgli qualora egli ordinasse loro di scioglierlo prima di essersi allontanato all’isola delle sirene. Alcune ricerche empiriche dimostrano che i lavoratori che non sanno gestire questa incoerenza temporale sono tendenzialmente quelli meno giovani e meno qualificati. I primi hanno una via d’uscita, che è il ritiro anticipato dal mercato del lavoro a fronte della percezione di non essere in grado di adattarsi al cambiamento [Xxxxxx, Xxxxxx e Xxxxx 2005]. Gli older worker, pur se per ragioni diverse rispetto agli skill workers, riescono ad entrare nel segmento dei salvati. I lavoratori meno qualificati e che non possono godere della via d’uscita, in assenza di adeguate policy pubbliche vanno ad ingrossare la schiera dei dannati.
nulla scontato e può avere impatti non solo sull’ambiente e sul contenuto del lavoro (per le ragioni viste sopra), ma anche sulla conduzione delle relazioni industriali (per le ragioni che diremo).
L’ampiezza delle basi competitive influenza le performance dell’impresa? Le relazioni sembrano piuttosto deboli, ad eccezione di:
• produttività del lavoro: 0,22;
• investimenti fissi e immateriali: 0,21;
• quota sui mercati internazionali: 0,29 (Tabella 9).
In altri termini, la percezione dei delegati che lavorano in imprese che hanno investito di più, hanno innalzato la produttività del lavoro e hanno aumentato la presenza sui mercati internazionali siano quelle che presentano un numero più elevato di basi competitive.
Figura 6 Strategie competitive (n=70)
Fonte: La Contrattazione Aziendale nella Metalmeccanica in Provincia di Vicenza, 2007
Tabella 8 Numero medio di strategie competitive, dimensione e innovazione (n=70)
CLASSE DI ORGANICO | PROPENSIONE ALL’INNOVAZIONE | ||
Imprese Grandi (>250) | 4,6 | Nessuna innovazione | 3,7 |
Imprese Medie (100-249) | 4,4 | Solo innovazioni incrementali | 4,4 |
Imprese Piccole (<100) | 3,9 | Innovazioni incrementali e radicali | 4,9 |
Fonte: La Contrattazione Aziendale nella Metalmeccanica in Provincia di Vicenza, 2007
Tabella 9 Correlazione tra ampiezza delle basi competitive 2005 e indicatori di prestazione 2000-2005
VARIABILE | VARIABILE | ||
Fatturato | 0,17 | Utili/redditività aziendale | 0,05 |
Produttività del lavoro | 0,22 | Investimenti fissi e immateriali | 0,21 |
Quota sui mercati internazionali | 0,29 | Ricorso a subfornitura / outsourcing | -0,04 |
Delocalizzazione di fasi all’estero | 0,06 | Delocalizzazione all’estero di interi processi | -0,11 |
Investimenti in ricerca e sviluppo | ,02 |
Fonte: La Contrattazione Aziendale nella Metalmeccanica in Provincia di Vicenza, 2007
Figura 7 Mercati di sbocco (n=70)
Fonte: La Contrattazione Aziendale nella Metalmeccanica in Provincia di Vicenza, 2007
La seconda ragione riguarda il sindacato.
Ad aprile 2007, nel corso di un direttivo FIOM a Vicenza è stata sottoposta ai delegati una Instant Survey che conteneva alcune affermazioni tratte dai primi risultati della ricerca. La Tabella 10 riassume i risultati emersi. Alcuni sono coerenti con i risultati della ricerca. Altri fanno emergere alcuni punti di vista diversi sulle medesime problematiche. La dialettica, ovviamente, è un valore. Ma è altrettanto vero che avere la medesima idea su come girano le cose facilita l’adozione di comportamenti e azioni tra loro coerenti, e soprattutto coerenti con i fini dell’organizzazione.
Box 4 Come si interpretano i valori della Tabella 10?
A ciascun delegato è stato chiesto di esprimere un parere su 15 affermazioni che riguardano il lavoro e i lavoratori, le imprese e le loro strategie, il sindacato e il suo ruolo.
Per ciascuna di tali affermazioni, si richiedeva di esprimere il grado di accordo o disaccordo su scala 1-7, in cui: 1 – in totale disaccordo, l’affermazione è sbagliata
2-3 – in parziale disaccordo 4 – d’accordo
5-6 – molto d’accordo
7 – completamente d’accordo, perché è proprio così
Tabella 10 Il rapporto sindacato-impresa con gli occhi dei delegati (n=82, delegati)
CONDIZIONI GENERALI DELLE IMPRESE | MEDIA | VARIANZA |
I risultati delle imprese della provincia negli ultimi anni possono dirsi mediamente stabili | 3,14 | 1,64 |
La tecnologia è una variabile più importante del costo per competere sul mercato globale | 4,99 | 2,94 |
La propensione all’innovazione è molto diffusa tra le imprese della provincia | 2,79 | 1,50 |
CONDIZIONI DI LAVORO | MEDIA | VARIANZA |
Il lavoro è più stabile se l’impresa fa innovazioni di tipo “incrementale” | 4,33 | 2,38 |
Le imprese più innovative in genere fanno più formazione per i lavoratori | 4,65 | 2,80 |
L’autonomia dei lavoratori è maggiore nelle imprese più piccole | 3,45 | 3,64 |
RELAZIONI INDUSTRIALI | MEDIA | VARIANZA |
I rapporti con la direzione aziendale sono migliori nelle imprese più grandi | 3,80 | 2,91 |
I rapporti con le altre sigle sindacali sono in generale collaborativi, con occasionali divergenze | 3,28 | 2,44 |
Nei processi di riorganizzazione e ristrutturazione aziendale, le imprese sono sempre assistite dalla loro associazione di categoria | 4,36 | 3,76 |
RUOLO DEL SINDACATO | MEDIA | VARIANZA |
La definizione della flessibilità degli orari è materia usualmente negoziata con il sindacato | 3,77 | 2,28 |
Indennità e maggiorazioni vengono praticamente sempre fissate con l’intervento del sindacato | 3,01 | 2,84 |
La sicurezza sul lavoro è una materia sulla quale il sindacato è sempre coinvolto | 3,78 | 3,07 |
Il sindacato viene sempre convocato quando ci sono da gestire degli esuberi | 4,29 | 3,30 |
La definizione dei percorsi di crescita professionale e di mobilità interna è un’area di crescente intervento del sindacato | 3,48 | 2,25 |
È normale che il sindacato contratti l’intensità della prestazione lavorativa | 4,50 | 3,38 |
Fonte: La Contrattazione Aziendale nella Metalmeccanica in Provincia di Vicenza, 2007
3. Terzo Capitolo
Le relazioni industriali: informalità, regole e performance
Xxxxx Xxxxxxxx
3.1. Gli attori: i sindacati
La presenza delle diverse organizzazioni sindacali è un primo indicatore di grande rilievo, anche se soggetto a una rilevante distorsione in quanto la fonte è la Fiom-Cgil, che riporta informazioni sulla contrattazione nelle aziende dove essa è presente e con maggiore facilità laddove non solo sottoscrive accordi aziendali, ma la sua presenza è di un certo significato e riesce ad eleggere propri esponenti nelle Rsu.
La prima informazione di rilievo è il tasso di sindacalizzazione complessivo: viene ritenuta “bassa” se nelle imprese questa si colloca sotto il 20%, “alta” se oltre il 40% e “media” se compresa fra questi due valori. Nel posizionare queste grandezze, si è preso come riferimento tanto la distribuzione della sindacalizzazione nel nostro universo, compresa fra il 2,7% e il 90%, anche se in ben 70 aziende su 75 è compresa fra il 10% e il 66,7%. Di queste aziende, circa metà sono inserite fra quelle a “media” sindacalizzazione, il 22,7% fra quelle a bassa sindacalizzazione mentre il 28% fra quelle ad alta (Tabella 11). Fra queste, solo in 8 (poco più del 10%) la sindacalizzazione supera il 50%: poiché vi è una forte componente consuetudinaria nell’iscrizione al sindacato (Xxxxxx e Checchi, 2004, Xxxxxxxx e Xxxxxx, 2005 fra gli altri), riassumibile nella battuta “mi iscrivo al sindacato perché c’è”, si può ritenere che questa propensione ben di rado è ampiamente condivisa.
Tabella 11 Il tasso di sindacalizzazione
V.A. | % | |
Bassa | 17 | 22,7 |
Media | 37 | 49,3 |
Alta | 21 | 28,0 |
Totale | 75 | 100,0 |
Fonte: La Contrattazione Aziendale nella Metalmeccanica in Provincia di Vicenza, 2007
Come conseguenza della fonte utilizzata, la Fiom-Cgil è sempre presente, mentre la Fim-Cisl è assente nel 38,2%, la Uilm in tre quarti di aziende, mentre gli altri sindacati in oltre il 93% (tab. 6,2). Si sono individuate tre fasce di presenza: quando meno del 5% dei dipendenti è iscritto a un’organizzazione sindacale, la presenza di quest’ultima viene classificata come “bassa”, quando gli iscritti sono compresi fra il 5 e il 15% viene ritenuta “media”, quando infine oltre il 15% dei dipendenti sono iscritti a un’organizzazione sindacale, la presenza di quest’ultima viene considerata “alta”.
Data questa distorsione all’origine – in qualche misura inevitabile – non deve stupire che la presenza Fiom sia alta in circa il 70% delle aziende, mentre quella Fim sia prevalentemente “media” (poco meno di metà delle aziende in cui è presente) e la Uilm registra una presenza medio-bassa. Infine, delle 5 aziende in cui sono presenti altri sindacati, in un solo caso è alta (Tabella 12).
Nella Tabella 85 si analizza la sindacalizzazione in rapporto alle caratteristiche dell’impresa: la proprietà (intesa come appartenenza a gruppi) appare scarsamente rilevante, se non nel caso degli altri sindacati, ma con una significatività statistica inadeguata. La percentuale di personale non operaio appare sostanzialmente ininfluente sul tasso di sindacalizzazione, che tende a diminuire in modo sostanzialmente univoco al crescere della presenza femminile, tanto per la Cgil quanto soprattutto per la sindacalizzazione in generale. Nel primo caso, questo risultato può dipendere da un effetto diretto – e cioè che nei settori esposti alla competizione anche le figure tecniche e impiegatizie necessitano di tutela, non meno degli operai sia pure in forme diverse, ed anche per queste il ruolo di riferimento del sindacato è importante, confermando la tesi di Xxxxxx (2003) – quanto da un effetto indiretto, e cioè al crescere della componente “terziaria” delle imprese, il più basso tasso di sindacalizzazione degli impiegati e dei tecnici è compensato da livelli di sindacalizzazione più elevati fra gli operai. Vi è infine una terza spiegazione in termini di diverse propensioni alla sindacalizzazione, che potrebbe essere più bassa nelle aree amministrative e commerciali e più elevata in quelle tecniche e più legate al governo del processo produttivo: queste ultime tendono ad espandersi maggiormente al crescere della terziarizzazione dell’impresa.
Nel secondo caso emerge una vera e propria “questione femminile” per il sindacato, tanto in termini di rappresentanza che di contrattazione (Xxxxxxx, 2003). Accanto a ragioni squisitamente sociologiche e legate a tradizioni (operai di mestiere e nelle fonderie/acciaierie, a dominanza maschile e fortemente sindacalizzate, piuttosto che impiegate amministrative donne con atteggiamento opposto) si può evidenziare uno spazio sottoutilizzato dalla contrattazione collettiva, di cui si discuterà nei prossimi capitoli.
Infine, la sindacalizzazione tende a declinare con la dimensione d’impresa come esito di due spinte contrapposte, statisticamente significative, è cioè il declino della presenza della Cgil al crescere della dimensione d’impresa, controbilanciata dalla crescita delle altre sigle sindacali. Questo dato dovrebbe valere in forma generalizzata nel settore privato: nelle piccole e medio-piccole imprese molto di frequente è presente una sola organizzazione sindacale, evidenziando che la bassa sindacalizzazione nelle piccole imprese discende dallo scarso numero di aziende in cui il sindacato è presente, e che laddove è riuscito a insediarsi, i lavoratori tendono ad iscriversi in larga misura anche per la relativa omogeneità delle domande espresse. Oltre una certa dimensione aziendale, la varietà delle domande espresse dalla forza lavoro aumenta, differenziandosi per rapporti di lavoro, qualifiche, famiglie professionali e genere da un lato, dall’altro aumenta la distanza fra rappresentanti e rappresentati, che la possibile conflittualità fra sigle sindacali accentuerebbe in misura vistosa. Dal canto suo, l’azienda fronteggia questa varietà segmentando la forza lavoro e ponendo in essere vere e proprie strategie di marketing delle risorse umane, lasciando alcune figure alla regolazione collettiva ed altre attuando politiche individuali.
Questi temi sono in parte investigati analizzando i tassi di iscrizione fra le diverse organizzazioni e fra queste e il tasso di sindacalizzazione (Tabella 86): si nota che al crescere della presenza di uno dei tre sindacati confederali, aumenta al sindacalizzazione complessiva: questo dato è più forte nel caso della Cgil per la distorsione campionaria esistente. Inoltre fra Cisl, Uil ed altri sindacati ci sono correlazioni positive e statisticamente significative (in parte per ragioni di distorsione campionaria), mentre Cgil e Cisl si pongono in una situazione di alternatività. Questo conflitto fra organizzazioni – inevitabile sul piano delle adesioni – si è in passato trasferito anche a livello di azione sindacale (Xxxxxxxxx, 2002, Giaccone, 2005a).
Tabella 12 Sindacalizzazione per organizzazione sindacale
CGIL | CISL | UIL | ALTRI SINDACATI | |||||
V.A. | % | V.A. | % | V.A. | % | V.A. | % | |
Assente | 29 | 38,2 | 59 | 75,6 | 74 | 93,7 | ||
Bassa | 5 | 6,4 | 6 | 7,9 | 10 | 12,8 | 4 | 5,1 |
Media | 18 | 23,1 | 26 | 34,2 | 9 | 11,5 | ||
Alta | 55 | 70,5 | 15 | 19,7 | 1 | 1,3 | ||
Totale | 78 | 100,0 | 76 | 100,0 | 78 | 100,0 | 79 | 100,0 |
Fonte: La Contrattazione Aziendale nella Metalmeccanica in Provincia di Vicenza, 2007
3.2. Forme di intervento delle associazioni imprenditoriali
Tutte le aziende prese in considerazione risultano iscritte a un’associazione di rappresentanza (Confindustria o Confapi) ma in un terzo dei casi queste ultime non intervengono mai, in poco meno del 50% dei casi intervengono nella sottoscrizione di un accordo integrativo aziendale, che tuttavia è l’intervento più “visibile” nelle relazioni industriali, seguito dalle vertenze individuali (Tabella 13). In questi quattro dati si può riassumere il tipo di intervento delle associazioni di rappresentanza nelle relazioni industriali: per un’azienda provvista di rappresentanza sindacale, è normale aderire a un’associazione di rappresentanza, ma questo non implica automaticamente intervenire nella regolazione collettiva aziendale.
Tabella 13 Forme di intervento delle associazioni imprenditoriali in azienda
V.A. | % | |
Contratto integrativo aziendale | 33 | 48,5 |
Processi di riorganizzazione | 16 | 23,5 |
Ristrutturazione e gestione esuberi | 16 | 23,5 |
Formazione professionale | 3 | 4,3 |
Salute sul lavoro, Ambiente e sicurezza | 3 | 4,3 |
Vertenze individuali | 21 | 30,9 |
Non interviene mai | 23 | 33,8 |
Totale | 68 | 100 |
Fonte: La Contrattazione Aziendale nella Metalmeccanica in Provincia di Vicenza, 2007
La relazione dell’azienda con l’associazione di rappresentanza può essere catturata attraverso l’analisi fattoriale, che individua tre atteggiamenti dominanti (Tabella 87).
Secondo il primo, più marcato, l’intervento dell’associazione di rappresentanza è fortemente associato a una situazione di crisi aziendale, dove l’azienda necessita non tanto di competenze legali quanto delle competenze di mediazione politica e di una garanzia esterna all’azienda sugli esiti del processo regolativo: in qualche caso si può ritenere che l’associazione datoriale si attivi nella ricerca di soci/acquirenti, finanziatori o clienti.
Il secondo stile è fortemente associato al contratto integrativo aziendale e alla contrattazione in materia di salute e sicurezza. Trattandosi di due ambiti provvisti di un solido apparato regolativo-normativo, ma anche di grande delicatezza nella loro gestione, si può definire questo atteggiamento di supervisione/controllo.
Il terzo stile si caratterizza per l’intervento in materia di formazione professionale e nelle vertenze individuali: in questi casi l’associazione di rappresentanza non fornisce tanto (e solo) i propri servizi tradizionale di rappresentanza, ma servizi su domanda individuale, offrendo la terza dimensione della propria dimensione associativa (Lanzalaco, 1998).
È interessante notare che questi stili relazionali non presenta relazioni significative con alcuna variabile strutturale, salvo una relazione positiva fra il terzo stile e il tasso di femminilizzazione della forza lavoro, portatrice in misura maggiore degli uomini di una domanda regolativa individualizzata. Allo stesso modo, non si osserva alcuna relazione significativa con la sindacalizzazione, né a livello aggregato né di singola organizzazione. Pertanto, in ultima analisi è la direzione aziendale che sceglie lo stile della relazione con la propria associazione di rappresentanza.
3.3. Conflittualità e scioperi
Gli scioperi nazionali
Il periodo preso in esame si caratterizza per l’alta conflittualità, anche fra organizzazioni sindacali e una varietà di scioperi nazionali (di categoria, confederali, unitari, separati) che trova pochi riscontri nell’Italia repubblicana.
Ordinando questi scioperi per tasso di adesione (Tabella 14), gli scioperi per il contratto nazionale vedono oltre il 90% di partecipazione “media” o “alta”, mentre gli scioperi a difesa dell’art. 18 e quindi contro il Patto per l’Italia vedono la presenza maggiore di “alta” adesione (63,1%). Gli scioperi contro le leggi finanziarie e la riforma previdenziale e contro la legge 30 hanno registrato livelli di adesione simili, con poco più del 70% di aziende con adesione “media”, o “alta”. Per contro, lo sciopero contro il declino industriale, proclamato dalla sola Cgil, vede oltre il 56% di aziende con “bassa o nulla” adesione, ed appena il 15,2% di aziende con “alta” adesione.
Si può osservare che i livelli di adesione – che nel modo in cui si è formulata la domanda contiene un elemento di soggettività rilevante – tendono a decrescere man mano che i due elementi della “tangibilità” e del “valore simbolico” della posta in palio declinano: è pertanto massima per il contratto nazionale e per l’art. 18 – più diffusa nel primo caso – mentre è minima nel caso dello sciopero contro il declino industriale, che non poneva al centro un qualcosa da ottenere o da difendere ben identificabile dai lavoratori come “urgente” e irrinunciabile, oltre ad essere stato proclamato da una sola confederazione sindacale, la Cgil.
Tabella 14 Livelli di adesione agli scioperi nazionali
CONTRATTO NAZIONALE | LEGGE 30 | DECLINO INDUSTRIALE | LEGGI FINANZIARIE E RIFORMA PREVIDENZA | ART. 18 E PATTO PER L’ITALIA | ||||||
V.A. | % | V.A. | % | V.A. | % | V.A. | % | V.A. | % | |
Bassa o nulla | 4 | 6,1 | 18 | 27,7 | 37 | 56,1 | 19 | 28,8 | 10 | 15,4 |
Media | 29 | 43,9 | 29 | 44,6 | 19 | 28,8 | 32 | 48,5 | 14 | 21,5 |
Alta | 33 | 50 | 18 | 27,7 | 10 | 15,2 | 15 | 22,7 | 41 | 63,1 |
Totale | 66 | 100 | 65 | 100 | 66 | 100 | 66 | 100 | 65 | 100 |
Fonte: La Contrattazione Aziendale nella Metalmeccanica in Provincia di Vicenza, 2007
È interessante osservare le divisioni sindacali attraverso i tassi di sindacalizzazione alle singole organizzazioni (Tabella 88). Tutti gli scioperi mostrano una relazione positiva e statisticamente significativa con il tasso di iscrizione alla Fiom-Cgil ma non è statisticamente significativa nel caso degli scioperi in difesa dell’art. 18 e contro il Patto per l’Italia, sia pur positiva. Inoltre si registra una correlazione positiva e statisticamente significativa con il tasso di iscrizione alla Uil nel caso del contratto nazionale.
Infine, nel caso degli scioperi in difesa dell’art. 18 e contro il Patto per l’Italia la relazione con la sindacalizzazione in generale è molto debole, mentre è positiva e statisticamente significativa negli altri casi, salvo lo sciopero contro la legge 30 che non è statisticamente significativo in misura adeguata: infatti, quanto più la correlazione con la sindacalizzazione è debole, quanto più si è trattato di uno sciopero condiviso. Pertanto, gli scioperi in difesa dell’art. 18 hanno goduto di un largo seguito anche fra i non iscritti, quello contro la legge 30 ha visto una forte adesione fra iscritti Cgil e non iscritti, mentre quelli per il contratto nazionale fra gli iscritti Cgil e Uil.
Si potrebbe infine obiettare che si aderisce a scioperi nazionali in presenza di migliori condizioni economiche aziendali (Tabella 89. Due soli fattori sono significativi: vi è una relazione positiva fra redditività aziendale e sciopero per il contratto nazionale, e relazione negativa fra sciopero contro il declino industriale e delocalizzazione di fasi all’estero, e cioè la situazione più rischiosa per il lavoratore. Viceversa, è coerente con questa impostazione anche se non significativa la correlazione positiva fra redditività aziendale e scioperi in difesa dell’art. 18, mentre è pure non significativa ma interessante la correlazione negativa fra scioperi contro le manovre governative e le imprese che investono i ricerca e sviluppo, che sono quelle che guardano maggiormente al futuro.
Gli scioperi aziendali
La conflittualità aziendale si esprime in varie forme di dissenso: da forme puramente dimostrative e circoscritte alla dimensione comunicativa, come i volantini, a forme che comportano un impegno del “corpo” dei lavoratori, con varie forme di sciopero, azioni dimostrative presso le istituzioni, come incontri e sit-in, oppure per il funzionamento della vita di un territorio, come i blocchi stradali e ferroviari. Queste azioni eccedono le normali forme di confronto dentro l’azienda, per la presenza di canali ben collaudati di comunicazione fra le parti, in particolare attraverso le rappresentanze e le organizzazioni sindacali sul versante dei lavoratori e la direzione del personale e la direzione di produzione sul versante aziendale, quando non è l’imprenditore stesso.
Nell’ambito della dialettica aziendale, il ricorso allo sciopero è in linea di massima un segnale di insufficienza dei canali esistenti per la risoluzione di una vertenza, attraverso il quale le parti – in particolare quella sindacale che lo proclama – misurano i rispettivi rapporti di forza per dimostrare se le esigenze poste al tavolo negoziale corrispondono alle effettive esigenze dei lavoratori. Si può ritenere che la probabilità di ricorso allo sciopero aumenti da un lato al crescere della gravità del dissenso sulla materia del contendere, dall’altro al diminuire della capacità di governo del conflitto attraverso i canali adeguati e le strutture regolative a disposizione, formali ed informali. D’altro canto, la proclamazione dello sciopero è scoraggiata in situazioni che fanno avvertire le circostanze particolarmente minacciose, come un alto tasso di lavoratori a termine che rischiano di perdere il corrente impiego o retribuzioni basse, che fanno percepire come grave ogni perdita di retribuzione.
Un primo dato di notevole interesse è che sono stati proclamati scioperi a livello aziendale in poco meno di metà delle aziende (Tabella 15): in assenza di dati comparativi in tempi relativamente recenti, non si può mancare di rilevare che si tratta di un livello piuttosto elevato in presenza di un quadro di relazioni industriali, codificato dal protocollo del 23 luglio 1993, che dovrebbe favorire la risoluzione dei conflitti.
La Tabella 16 riporta le diverse motivazioni di sciopero e l’intensità del conflitto, misurata in ore proclamate. Per semplicità, non si è investigato il tasso di adesione, ma ai nostri fini (la valutazione della qualità del sistema regolativo) non è molto rilevante. Il rinnovo del contratto integrativo è la motivazione più frequente (poco meno di un’azienda su quattro), seguita da vertenze gestionali (poco più di una su cinque) e da casi di crisi/ristrutturazioni (un caso su otto), meno frequente la proclamazione di uno sciopero per eventi eccezionali (gravi incidenti sul lavoro, ad esempio). Nel complesso, si tratta di 40 motivazioni in 31 aziende, circa 1,3 motivazioni.
Se si valuta la loro intensità, in quasi tre casi su quattro si traducono in meno di 10 ore di sciopero (nel qual caso la finalità è poco più che dimostrativa), mentre solo in un caso su otto si eccede le 40 ore, che individua vertenze con un duro scontro fra le parti e di difficile ricomposizione. Nelle situazioni di crisi/ristrutturazione solo in un caso si siano eccedute le 10 ore di sciopero: la finalità appare pertanto dimostrativa non solo (e forse non tanto) nei confronti dell’azienda quanto nei confronti degli attori territoriali, con uno “slittamento” del livello di ricomposizione del conflitto dall’azienda a livelli sovraordinati, da quello subprovinciale a quello nazionale (Regalia, 1984).
Tabella 15 Casi di assenza di scioperi
V.A. | % | |
No | 31 | 48,4 |
Sì | 33 | 51,6 |
Totale | 64 | 100 |
Fonte: La Contrattazione Aziendale nella Metalmeccanica in Provincia di Vicenza, 2007
Tabella 16 Motivi e intensità dei conflitti aziendali
MENO DI 10 ORE | 10-40 ORE | 10-40 ORE | ||||
V.A. | % | V.A. | % | V.A. | % | |
Contratto integrativo | 10 | 15,6 | 3 | 4,7 | 2 | 3,1 |
Vertenze gestionali | 9 | 14,1 | 2 | 3,1 | 2 | 3,1 |
Ristrutturazioni | 7 | 10,9 | 1 | 1,6 | ||
Eventi eccezionali | 3 | 4,7 | 1 | 1,6 | ||
Totale eventi | 29 | 72,5 | 6 | 15,0 | 5 | 12,5 |
Fonte: La Contrattazione Aziendale nella Metalmeccanica in Provincia di Vicenza, 2007
Passando alle caratteristiche aziendali (Tabella 90), al crescere delle dimensioni aziendali cresce il ricorso a scioperi dimostrativi per contratti integrativi e soprattutto vertenze gestionali, rivelando un loro utilizzo “tattico” per rivelare informazioni riservate sul proprio potere contrattuale, mentre non è significativa la riduzione con scioperi per ristrutturazioni aziendale fra le 10 e le 40 ore. Il tasso di occupazione femminile riduce la probabilità di scioperi per eventi eccezionali e per vertenze gestionali di natura “dimostrativa”, e di vertenze integrative “dure”, anche se quest’ultima grandezza non è significativa.
Emerge pertanto un ulteriore problema di genere per la regolazione aziendale: la presenza femminile non solo è propensa a una regolazione individuale dei propri problemi, ma rifugge dall’utilizzo dello sciopero in quanto ne teme maggiormente i costi, economici ma soprattutto non economici in termini di discriminazione (come se non ce ne fosse già abbastanza…). Non è solo un problema di sensibilizzazione, ma di una domanda di maggiore impegno negoziale: sarebbe interessante vedere se questo è associato a una maggiore domanda di “istituzioni partecipative” oppure a forme di regolazione più fluide.
Passiamo infine all’influenza della sindacalizzazione (Tabella 91). La probabilità di scioperare sembra aumentare con il tasso di adesione alla Uil e, in forma più debolmente significativa, con la sindacalizzazione in generale e con la presenza di altri sindacati, anche se in misura statisticamente non significativa. La sindacalizzazione, complessiva e di organizzazione, è ininfluente sulle vertenze per gli accordi integrativi ed è debolmente significativa per quelli proclamati a fronte di eventi eccezionali, rivelando che in queste circostanze gli scioperi sono proclamati a prescindere dal potere contrattuale ma per ragioni più o meno “impellenti”, mentre la probabilità di scioperi inferiori alle 10 ore in occasione di vertenze gestionali aumenta fortemente con il tasso di iscrizione tanto alla Uil, mentre diminuisce con il tasso di iscritti alla Cgil e aumenta con quelli iscritti alla Cisl nelle vertenze gestionali con scioperi fra 10 e 40 ore.
Da questi dati emerge che la diversificazione della rappresentanza di organizzazione tende ad aumentare il ricorso allo sciopero: è basso in presenza di monopolio della rappresentanza da parte di un’organizzazione, tanto per ragioni dimensionali quanto per il controllo della propria base; tende ad aumentare quando le organizzazioni sono due, in coincidenza con imprese maggiori, e la concorrenza fra sindacati è reciprocamente controllabile, mentre al di sopra di tale soglia è sempre possibile che l’organizzazione (o le organizzazioni) più debole “alzi la posta”, costringendo le egemoni a un atteggiamento apparentemente meno “responsabile” per il timore di trovarsi spiazzate, anche se a questo non corrisponde necessariamente un miglior esito negoziale.
Infine, come discusso sopra per gli scioperi nazionali, la propensione allo sciopero dovrebbe aumentare con la performance aziendale: questo è vero con gli scioperi “dimostrativi” per gli integrativi (quote di mercato e investimenti in ricerca e sviluppo) e per eventi eccezionali (produttività del lavoro e redditività), ma non per gli scioperi “duri”, evidenziando che dove le risorse sono più abbondanti le opportunità di ricomposizione migliorano. Per le vertenze gestionali, viceversa, la propensione allo sciopero si riduce a fronte tanto di ristrutturazioni quanto di andamenti aziendali positivi – il che è comprensibile – ed aumenta a fronte di scelte aziendali di delocalizzazione per vertenze gestionali ed eventi eccezionali “duri”, rivelando un conflitto non ricomponibile perché non si ritiene accettabile per la forza lavoro perdere lavoro in presenza di condizioni aziendali non sfavorevoli.
Nel complesso, abbiamo un ricorso abbastanza diffuso ma contenuto allo sciopero per ragioni legate alla condizione lavorativa in azienda, evidenziando al contempo malessere fra i lavoratori e una debolezza di fondo nel perseguire le proprie rivendicazioni per timori legati tanto alla congiuntura economica quanto al timore di essere estromessi attraverso operazioni di delocalizzazione/outsourcing o sostituzione con personale precario.
3.4. L’andamento delle relazioni industriali
La valutazione dell’andamento delle relazioni industriali risente di numerosi fattori. I casi in cui sono quanto meno “buone” (22,8%) sono ben 10% di meno delle situazioni “difficili” (Tabella 17). Appare pertanto maggioritario un prudente “discrete” (44,3%) che segnala anche precarietà per molti fattori.
Nonostante le gravi turbolenze nazionali, è comunque interessante registrare una sostanziale stabilità, dimostrando la tenuta dell’azienda ed anche la sua “autonomia strategica” nella gestione del personale e nelle relazioni industriali (Tabella 18). Queste, pur non certo idilliache a livello nazionale nel periodo, appaiono “collaborative” in metà dei casi dove ci sono più organizzazioni: il dato della competizione è comunque molto diffuso, riguardando circa il 30% delle aziende con più organizzazioni (Tabella 19). Nondimeno (Tabella 20), i segnali di peggioramento (un terzo dei casi) prevalgono nettamente su quelli di miglioramento (un decimo).
Tabella 17 Valutazione relazioni industriali 2005
V.A. | % | |
Pessime | 1 | 1,4 |
Difficili | 22 | 31,4 |
Discrete | 31 | 44,3 |
Buone | 15 | 21,4 |
Ottime | 1 | 1,4 |
Totale | 70 | 100 |
Fonte: La Contrattazione Aziendale nella Metalmeccanica in Provincia di Vicenza, 2007
Tabella 18 Andamento della qualità delle relazioni industriali 2000-2005
V.A. | % | |
Peggiorate | 12 | 17,1 |
Invariate | 45 | 64,3 |
Migliorate | 13 | 18,6 |
Totale | 70 | 100 |
Fonte: La Contrattazione Aziendale nella Metalmeccanica in Provincia di Vicenza, 2007
Tabella 19 Relazioni tra le organizzazioni sindacali 2005
V.A. | % | |
Competitive/conflittuali | 15 | 22,1 |
Collaborative | 31 | 45,6 |
Altalenanti | 10 | 14,7 |
Una sola organizzazione | 12 | 17,6 |
Totale | 68 | 100 |
Fonte: La Contrattazione Aziendale nella Metalmeccanica in Provincia di Vicenza, 2007
Tabella 20 Andamento qualità relazioni tra le organizzazioni sindacali 2000-2005
V.A. | % | |
Peggiorate | 19 | 33,3 |
Invariate | 32 | 56,1 |
Migliorate | 6 | 10,5 |
Totale | 57 | 100 |
Fonte: La Contrattazione Aziendale nella Metalmeccanica in Provincia di Vicenza, 2007
È interessante investigare le relazioni fra queste grandezze (Tabella 93), tenendo conto che la relazione attuale fra sindacati non può essere computata in quanto le risposte proposte non possono essere ordinate su una scala. Sono fortemente positive e statisticamente significative le relazioni fra la valutazione delle relazioni industriali e il loro andamento, e quella fra l’andamento delle relazioni industriali e delle relazioni fra le parti. Mentre la seconda relazione conferma un’evidenza di buon senso – e cioè che le relazioni azienda-sindacato migliorano se le migliorano le relazioni fra organizzazioni sindacali – la prima evidenzia che la qualità delle relazioni industriali è condizionata in misura molto marcata dall’impegno che le parti ci mettono nel periodo precedente.
In linea di principio, si può ipotizzare che le relazioni industriali peggiorano al crescere della conflittualità: questo ovviamente dipende dalla ragione che fa sorgere il conflitto, se cioè è di natura tattica, come parte di un gioco strategico, oppure riflette un autentico conflitto di difficile ricomposizione.
Dalla Tabella 94, relazioni peggiori sono associate a oltre 40 ore di sciopero per il rinnovo del contratto integrativo, ma la relazione non è statisticamente significativa. Se si analizzano i cambiamenti delle relazioni industriali, queste migliorano in misura statisticamente significativa in caso di oltre 40 ore di sciopero per vertenze gestionali, mentre altre relazioni non adeguatamente significative statisticamente appaiono contraddittorie. Infine, le relazioni fra organizzazioni peggiorano in misura statisticamente significative in caso di meno di 10 ore di sciopero per vertenze gestionali, quando probabilmente si sono innescate spinte alla competizione che si sono sommate alle tensioni a livello nazionale.
Infine, prendendo in considerazione le dinamiche competitive aziendali, le performance economico- reddituali non presentano impatti degni di nota, mentre sono i cambiamenti macrorganizzativi ad impattare significativamente. La qualità delle relazioni industriali è peggiore nel caso di delocalizzazione all’estero di interi processi e in caso di aumento del ricorso alla subfornitura (quest’ultima non statisticamente significativa) e migliorano al crescere degli investimenti in ricerca e sviluppo: si evidenzia pertanto una forte relazione positiva con l’impegno aziendale nel sito produttivo. Infine, le relazioni fra organizzazioni peggiorano in caso di delocalizzazione/outsourcing, a fronte di possibili divergenze causate da una diversa concentrazione della propria base di iscritti in diverse aree aziendali interessate in misura diversa dalle esternalizzazioni.
3.5. Contrattazione e regolazione a confronto
La regolazione della prestazione lavorativa
Come si vedrà nei prossimi capitoli, gli accordi scritti costituiscono la parte codificata dell’insieme di regolazioni e transazioni che avvengono quotidianamente in azienda: una parte di queste transazioni – oggetto di indagine delle relazioni industriali - sono frutto di una negoziazione con soggetti dotati di un qualche potere di rappresentanza collettiva, eletta da chi ci lavora e/o nominata dalle organizzazioni sindacali esterne.
Una delle domande del questionario investigava l’attività regolativa in una serie di voci, mutuate da Pini et al. (2007), che giocano un ruolo chiave nel definire la “qualità” delle relazioni industriali, intesa come importanza nel complesso delle regolazioni della prestazione lavorativa che intervengono in azienda, nel duplice senso di intensità negoziale e di estensione (Xxxxx, 1984). Le forme regolative previste erano “nessun confronto”, “informazione”, “consultazione”, “contrattazione individuale senza sindacato”, “contrattazione individuale con sindacato”, “regolazione collettiva”, su una scala da 0 a 5.
Queste modalità non erano reciprocamente esclusive – fatta salva “nessun confronto” – in quanto una stessa grandezza poteva essere regolata tanto in forma individuale che collettiva, tanto oggetto di contrattazione quanto di informazione o consultazione. Obiettivo esplicito è provare a catturare l’esistenza e le forme di quella regolazione informale che passa sotto il nome di “microconcertazione appartata”, avanzata da Xxxxxx (1991), in contrapposizione con la nozione di “interessi microsezionali” avanzata da Castegnaro (1987) per quanto riguarda il Veneto. Infine, ci si propone di controllare se la regolazione individuale si poggia sulla regolazione collettiva o meno, come afferma Xxxxxx (2003).
Ovviamente, data la sperimentalità del metodo e del numero limitato di osservazioni, questo paragrafo è da ritenersi prima di tutto un esercizio analitico.
Per la molteplicità di risposte possibili, si è proceduto alla riclassificazione delle possibili combinazioni (Tabella 21) in modo da costruire scale ordinali sufficientemente semplificate. Si è preferito questa soluzione alla possibile alternativa di ordinare per intensità regolativa le combinazioni regolative osservate in quanto non risultano “equidistanti” su una scala ordinale.
Tabella 21 Riclassificazione delle combinazioni regolative
0 | Nessun Confronto | 0 | Nessun Confronto |
1 | Informazione | 2 | Informazione |
2 | Consultazione | 4 | Consultazione |
3 | Contrattazione Indiv Senza Sindac | 1 | Regolazione Individuale |
4 | Contrattazione Indiv Con Sindac | 5 | Regolazione Individuale Assistita |
5 | Contrattazione Collettiva | 6 | Regolazione Collettiva |
12 | Info + Consult | 4 | Consultazione |
13 | Info + Contratt.Individuale | 1 | Regolazione Individuale |
15 | Info + Contr. Collettiva | 6 | Regolazione Collettiva |
23 | Consult + Contratt Indiv | 3 | Competizione Individuale/Collettiva |
25 | Consult + Contratt.Collett | 6 | Regolazione Collettiva |
35 | Contratt Indiv + Contratt Coll | 3 | Competizione Individuale/Collettiva |
45 | Contratt Indiv Con Sindac + Contratt Coll | 7 | Regolazione Individuale E Collettiva |
125 | Info + Consult + Contratt Coll | 6 | Regolazione Collettiva |
134 | Info+ Contr Indiv Con/Senza Sindac | 3 | Competizione Individuale/Collettiva |
345 | Contratt Indiv Con/Senza Sindac + Contr Coll | 7 | Regolazione Individuale E Collettiva |
1245 | Info + Consult + Contratt Indiv Sindac + Contr Coll | 8 | Pervasività Concertativa |
Fonte: La Contrattazione Aziendale nella Metalmeccanica in Provincia di Vicenza, 2007
La Tabella 22 sintetizza per ciascuna voce valor medio e varianza: è evidente che al crescere del valore medio, aumentano tanto la complessità regolativa quanto la rilevanza della regolazione collettiva.
I valori più bassi (inferiori a 1) si registrano per la regolazione delle assunzioni e per la formazione per commissioni paritetiche: nel primo caso si rivela la sostanziale unilateralità del processo di selezione del personale, nel secondo il loro numero limitato.
Seguono, con valore compreso fra 1 e 2, le politiche di formazione specialistica, l’assunzione dei lavoratori precari e la formazione a fronte di innovazione tecnologico-organizzativa, quindi, sempre con valore compreso fra 1 e 2, si collocano la gestione del part-time, la stabilizzazione dei lavoratori precari e la regolazione dell’intensità del lavoro: queste materie permettono di identificare il disegno organizzativo aziendale. Si evidenzia la sostanziale unilateralità aziendale nelle scelte organizzative di fondo, che riguardano il disegno e il grado di riconoscimento delle mansioni, laddove le innovazioni introdotte richiedano una ridefinizione delle competenze teoriche detenute, difficilmente di regolazione esclusivamente individuale e con un certo grado di informazione da parte aziendale: tuttavia, la più elevata dispersione per l’intensità del lavoro e la stabilizzazione dei precari segnalano l’esistenza di casi in cui queste materie sono oggetto quanto meno di regolazione collettiva.
Su valori compresi fra 2 e 3, dove le prassi informative si intrecciano con una competizione fra regolazione individuale e collettiva, si collocano lo sviluppo organizzativo, l’innovazione tecnologica, la regolazione degli esuberi, gli inquadramenti e superminimi e le relazioni industriali partecipative. Com’è noto, la gestione degli esuberi è il solo terreno dove si sia consolidato un obbligo legale a trovare un accordo e che, per ragioni di coesione sociale, ci sia una considerevole attenzione non solo da parte dei lavoratori ma anche della comunità territoriale. Tuttavia, dall’analisi della dispersione si può apprezzare che nel caso dell’innovazione tecnologica e dei percorsi di sviluppo organizzativo la regolazione si incentra sulla dimensione informativa, mentre per le altre variabili c’è una maggiore polarizzazione fra aziende dove questa materia non è oggetto di confronto e aziende dove, per ragioni diverse, il confronto è assai intenso a livello collettivo, anche nelle ricadute individuali.
Salari, indennità e orari collettivi presentano un valore medio fra 3 e 4: mentre le prime due sono polarizzate fra l’assenza di confronto e la regolazione collettiva, nel caso degli orari la regolazione collettiva è di gran lunga prevalente, mentre per le materie con i valori più elevati (salute e sicurezza, verifiche salario per obiettivi e flessibilità degli orari) la regolazione collettiva costituisce l’epicentro del sistema regolativo aziendale.
Questi andamenti sono ripercorsi in dettaglio nella Tabella 96 e nella Tabella 97.
Tabella 22 Forme di regolazione per materia: valore medio e dispersione
MEDIA | DEVIAZIONE STD | |
Regolazione Innovazioni Organizzative | 1,71 | 2,01 |
Regolazione Intensità Del Lavoro | 1,82 | 2,30 |
Regolazione Innovazione Tecnologica | 2,24 | 2,05 |
Regolazione Sviluppo Organizzativo | 2,04 | 2,12 |
Regolazione Assunzioni | 0,97 | 1,71 |
Regolazione Esuberi | 2,71 | 2,96 |
Regolazione Inquadramenti Superminimi | 2,50 | 2,45 |
Regolazione Indennità | 3,00 | 2,75 |
Regolazione Salario Fisso | 3,44 | 2,88 |
Regolazione E Verifiche Salario Per Obiettivi | 4,76 | 2,36 |
Regolazione Salute E Sicurezza | 4,03 | 2,32 |
Regolazione Relaz Industriali Partecipative | 2,75 | 2,64 |
Regolazione Formazione Comm Paritetiche | 0,53 | 1,32 |
Regolazione Formazione Innovazione | 1,34 | 1,85 |
Regolazione Formazione Specialistica | 1,16 | 1,83 |
Regolazione Part Time | 1,50 | 2,15 |
Regolazione Stabilizzazione Precari | 1,65 | 2,24 |
Regolazione Assunzione Precari | 1,28 | 1,94 |
Regolazione Flessibilità Orari | 4,18 | 2,21 |
Regolazione Orari Impianti | 3,88 | 2,30 |
Fonte: La Contrattazione Aziendale nella Metalmeccanica in Provincia di Vicenza, 2007
Organizzazione del lavoro, sicurezza e coinvolgimento
Nella Figura 8 si analizza l’insieme degli interventi che caratterizzano le organizzazioni ad alta performance, e cioè le tematiche organizzative, della salute e sicurezza sul lavoro e il grado di coinvolgimento nelle relazioni industriali.
I temi dell’organizzazione del lavoro, della sicurezza e dell’innovazione sono affrontati in larghissima misura fuori dalla contrattazione: nell’ordine, salute e sicurezza (85,5%), innovazione organizzativa (71%) e sviluppo organizzativo (60,9%). I valori particolarmente elevati in materia di salute e sicurezza, con un’intensità di poco superiore alla consultazione, sono chiaramente l’effetto degli obblighi previsti dal dlgs 626/94, Lo scarto fra relativa diffusione della trattazione delle tematiche organizzative e grado di coinvolgimento sindacale mediamente basso (poco più che informativo) trova un riscontro in una diffusione e intensità regolativa delle forme di coinvolgimento delle rappresentanze sindacali inferiore a quello della contrattazione: pertanto, informazione e consultazione sono spesso più un fatto istituzionale, circoscritto a momenti quasi “rituali”, che una risorsa essenziale affinché le parti possano discutere le metodologie opportune per un guadagno di efficienza e competitività aziendale in forme che siano sostenibili per il lavoratore, tanto per la loro salute che per la loro vita sociale.
Figura 8 Organizzazione del lavoro e relazioni industriali: contrattazione, forme ed intensità della regolazione
90
80
70
60
50
40
30
20
10
0
85,5
71
60,9
53,6
64,5
58
47,8
17,2
3,3
5,4
0
3,3
8
7
6
5
4
3
2
1
0
innovazioni intensità del innovazione sviluppo salute e relaz organizzative lavoro tecnologica organizzativo sicurezza industriali
partecipative
% regolazione % contrattazione indice di regolazione
Fonte: La Contrattazione Aziendale nella Metalmeccanica in Provincia di Vicenza, 2007
La flessibilità degli orari
Nella Figura 9 si sintetizza la regolazione degli orari. Per comodità, si è deciso di distinguere le flessibilità in favore dell’azienda (straordinari, turni, flessibilità) da quelle a beneficio del lavoratore (entrata/uscita flessibile, banca ore, ecc.) e, con tutta evidenza, ci sono imprese che presentano contrattazione di entrambe le voci.
La gestione e la flessibilità degli orari sono, insieme a salute e sicurezza e al salario di risultato, il tema di più frequente ed intensa regolazione, sia nella gestione aziendale (rispettivamente 83,8% e 89,9%, mediamente come consultazione), sia nella contrattazione, che si contrappone allo scarso spazio dedicato dalla contrattazione agli orari di funzionamento, che in genere presentano variazioni in caso di profonde innovazioni aziendali, mentre viceversa presta ampia attenzione alla contrattazione delle flessibilità tanto in favore dell’azienda quanto a beneficio del lavoratore (28% per entrambe), rilevandosi l’area dove più frequentemente si realizza un effettivo scambio negoziale e riconoscimento delle rispettive esigenze.
Infine, non si può mancare di osservare che il part-time viene regolato con frequenze non altissime, tanto in azienda che dalla contrattazione, e spesso con un accesso diretto del lavoratore/lavoratrice alla direzione aziendale.
Figura 9 Gli orari di lavoro: contrattazione, forme ed intensità della regolazione
% regolazione % contrattazione indice di regolazione | |
100
90
80
70
60
50
40
30
20
10
0
83,8
89,9
44,9
28
28
7,5
9,7
8
7
6
5
4
3
2
1
0
part time orari impianti flessibilità orari flessibilità azienda flessibilità
lavoratore
Fonte: La Contrattazione Aziendale nella Metalmeccanica in Provincia di Vicenza, 2007
Il mercato del lavoro
Il mercato del lavoro è un argomento particolarmente “caldo” per il sindacato per la molteplicità dei contratti di lavoro precari moltiplicatosi proprio nel periodo in esame.
Tuttavia, mentre la gestione degli esuberi registra una frequenza di contrattazione inferiore alle aspettative per il periodo (poco meno del 10%, segnalando possibili mancati accordi o più semplicemente la mancata inclusione di alcuni accordi difensivi), la loro regolazione appare più frequente (oltre il 50%) e con un’intensità molto alta (mediamente contrattazione collettiva). Se spicca dalla contrattazione una diffusa previsione di assunzione dei lavoratori precari (oltre il 20% delle aziende) tuttavia la frequenza della loro regolazione e, soprattutto, la loro intensità appaiono più basse, gestite dalle aziende in forma individualistica con il singolo lavoratore in competizione con la regolazione collettiva (Figura 10).
Figura 10 Il mercato del lavoro: contrattazione, forme ed intensità della regolazione
60
8
50,7
50
46,4
7
40,6
6
40
34,8
5
30
4
20,4
20
3
9,7
2
10
4,3
5,4
1
0
0
assunzioni esuberi stabilizzazione precari assunzione precari
% regolazione % contrattazione indice di regolazione
Fonte: La Contrattazione Aziendale nella Metalmeccanica in Provincia di Vicenza, 2007
La formazione professionale
La formazione professionale appare una delle sfide strategiche per il futuro della competizione, specie in interazione con l’introduzione di pratiche innovative in grado di incrementare significativamente la produttività totale dei fattori (Leoni, 2008). Tuttavia, mentre la previsione di interventi formativi – una clausola abbastanza generica e formale che permette alle aziende di avere accesso ai fondi categoriali senza una contrattazione di dettaglio - è abbastanza diffusa nella contrattazione (30,1% delle aziende) la frequenza con cui il tema è trattato non è certo delle più elevate, e nettamente inferiore agli interventi organizzativi illustrati in figura 3. Anche in questo caso, dimensione aziendale ed inserimento in gruppi hanno un impatto positivo sulla loro contrattazione.
D’altro canto, se solo la contrattazione specialistica riceve una qualche menzione nella contrattazione (8,6% delle aziende), l’intensità della regolazione appare in generale molto bassa, di poco superiore all’informativa aziendale (Figura 11).
Figura 11 La formazione professionale mirata: contrattazione, forme ed intensità della regolazione
50
45
40
35
30
46,4
8
39,1
7
6
5
25
20
15
10
5
0
4
18,8
3
8,6
2
1
1,1
3,2
0
formazione comm paritetiche formazione innovazione formazione specialistica
% regolazione % contrattazione indice di regolazione
Fonte: La Contrattazione Aziendale nella Metalmeccanica in Provincia di Vicenza, 2007
Salario e riconoscimento della professionalità
La regolazione del salario fisso e del riconoscimento professionale si presenta in circa due imprese su tre: tuttavia, la loro contrattazione appare notevolmente meno frequente per la diffusa presenza della contrattazione individuale, che fa da contraltare a quella collettiva (Figura 12). Similmente, si può osservare come la regolazione delle indennità sia attività ricorrente della regolazione aziendale, mentre la loro contrattazione sia di gran lunga meno diffusa e concentrata sulle indennità, sugli orari asociali/particolari e sulle trasferte (Figura 13).
Figura 12 Salario fisso e salario di professionalità
80
70
60
50
40
30
20
10
0
66,7
63,8
24,7
25,8
12,9
7,5
superminimi salario inquadramenti regolazione aumento salario fisso professionale inquadramenti salario
e superminimi aziendale fisso
Fonte: La Contrattazione Aziendale nella Metalmeccanica in Provincia di Vicenza, 2007
Figura 13 Le indennità
70
60,9
60
50
40
30
20
14
10
8,6
1,1
1,1
3,2
0
reperibilità
altre forme
trasferte
indennità
indennità
indennità
rischio/nocività turni/festivo
Fonte: La Contrattazione Aziendale nella Metalmeccanica in Provincia di Vicenza, 2007
Salario per obiettivi
Il salario per obiettivi è di gran lunga la materia più contrattata, in oltre 3 aziende su quattro, con meccanismi di gestione e verifica spesso lasciati all’informalità: non è un caso che la distanza fra pratica regolativa e contrattazione scritta sia minima e la distanza fra modalità di gestione e contrattazione (contrattazione collettiva) di fatto coincidano (Figura 14). È da notare che i meccanismi di verifica sono molto spesso informali, e in meno di un caso su due ne sono definite le cadenze. Fra gli indicatori, i più diffusi sono quelli legati alla produzione e alla qualità, seguiti da assenteismo (spesso come correttore degli altri indicatori) e la redditività. Nel complesso, il quadro appare statico e caratterizzato da forti inerzie, accompagnato da frequenti accordi transattivi in caso di mancato raggiungimento degli obiettivi, che ne depotenziano il carattere di misuratore delle performance aziendali in favore di una finalità redistributiva.
90
80
70
76,4
82,6
60
50
40
30
20
10
0
47,2
34,8
38,2
41,6
36
25,8
9
Figura 14 Salario per obiettivi: contrattazione e gestione
redditività
produzione
esenza assenteismo
qualità
nfortuni
efficienza/efficacia
importi
verifica
regolazione e verifiche
pr
i
Fonte: La Contrattazione Aziendale nella Metalmeccanica in Provincia di Vicenza, 2007
3.6. Contrattazione scritta e regolazione informale
Nella Tabella 23 si è proceduto, attraverso la tecnica dell’analisi fattoriale, a “ridurre” i processi regolativi a un numero inferiore di stili regolativi (o atteggiamenti), la cui intensità è misurata dall’entità della correlazione su una scala da 0 ad 1: in via esemplificativa, una correlazione positiva fra due variabili dello 0,1 equivale a un’intensità regolativa superiore del 10% rispetto alla media generale relativa a quella materia. Si possono identificare sei stili regolativi, di cui i primi due con un forte potere esplicativo:
• “innovazione e inclusione”, positivamente associato con forme più complesse di regolazione delle innovazioni organizzative, dell’impatto delle innovazioni tecnologiche, dello sviluppo organizzativo, delle assunzioni, della regolazione della professionalità (inquadramenti e superminimi), della formazione per l’innovazione, e della regolazione del personale precario, tanto come governo delle assunzioni quanto della loro stabilizzazione: Si tratta di grandezze dove il valore medio generale dell’intensità regolativa è di norma basso, dominato cioè dalla dimensione informativa o circoscritto nella sua regolazione a pochi casi;
• “salario e salute”, che spiega poco più dell’8% della varianza totale, è positivamente correlato con la regolazione salariale, in particolare indennità e verifiche del salario per obiettivi, e la salute e sicurezza: sono temi sui quali l’intensità regolativa è mediamente alta e qui ricevono ulteriore attenzione;
• “ritmi e qualificazione”, che spiega poco più del 5% della varianza, correlata positivamente in particolare con l’intensità del lavoro e la formazione, specie quella specialistica: come nello stile “regolazione e inclusione”, si tratta di temi di norma sottoregolati;
• “formazione commissioni paritetiche”, che spiega il 4,6% della varianza, correlata in misura particolarmente alta con la regolazione della formazione per commissioni paritetiche, e in misura più blanda con l’innovazione tecnologico-organizzativa e con la formazione: anche in questo caso si tratta di temi normalmente a debole intensità (o diffusione) regolativa;
• “crisi ristrutturazione”, correlato soprattutto con la gestione degli esuberi, del part-time e delle relazioni industriali partecipative: accanto a materie decisamente poco diffuse (gli esuberi), altre (le relazioni industriali partecipative) sono oggetto di una regolazione attorno a valori mediani;
• infine “ gestione orari”, tanto in termini di utilizzo impianti quanto di flessibilità degli orari, che presta particolare attenzione a temi già regolati con una certa intensità e che vengono pertanto integrati da una gestione fortemente personalizzata.
Gli ultimi tre spiegano meno del 5% della varianza complessiva: sono pertanto stili regolativi che possono essere considerati “marginali”, ma non per questo meno significativi.
Tabella 23 Stili regolativi dall’analisi fattoriale
INNOVAZIONE E INCLUSIONE | SALARIO E SALUTE | RITMI E QUALIFIICAZIO NE | FORMAZIONE COMMISSIONI PARITETICHE | CRISI RISTRUTTURAZ IONE | GESTIONE ORARI | |
Innovazioni Organizzative | 0,503 | 0,274 | 0,354 | 0,349 | ||
Intensità Del Lavoro | 0,570 | |||||
Innovazione Tecnologica | 0,687 | 0,282 | ||||
Sviluppo Organizzativo | 0,463 | 0,330 | 0,263 | 0,298 | ||
Assunzioni | 0,762 | |||||
Esuberi | 0,629 | |||||
Inquadramenti Superminimi | 0,424 | 0,369 | ||||
Indennità | 0,291 | 0,536 | 0,315 | |||
Salario Fisso | 0,374 | 0,363 | ||||
Verifiche Salario Per Obiettivi | 0,750 | |||||
Salute E Sicurezza | 0,683 | 0,389 | ||||
Relaz Industriali Partecipative | 0,272 | 0,288 | 0,414 | |||
Formazione Comm Paritetiche | 0,809 | |||||
Formazione Innovazione | 0,535 | 0,346 | 0,292 | |||
Formazione Specialistica | 0,641 | 0,340 | 0,255 | |||
Part Time | 0,388 | 0,487 | ||||
Stabilizzazione Precari | 0,687 | |||||
Assunzione Precari | 0,809 | 0,269 | 0,282 | |||
Flessibilità Orari | 0,311 | 0,672 | ||||
Orari Impianti | 0,558 | |||||
Varianza Spiegata | 31,375 | 8,124 | 5,012 | 4,598 | 4,048 | 3,018 |
Rotazione Varimax, metodo ULS
Fonte: La Contrattazione Aziendale nella Metalmeccanica in Provincia di Vicenza, 2007
Nella Tabella 98, il profilo “innovazione e inclusione” è più diffuso al crescere delle dimensioni aziendali fra aziende inserite in gruppi industriali, in particolare quelli esteri e/o con unità produttive all’estero, i quali inevitabilmente presentano una qualche forma di apertura del capitale a soci finanziari o in borsa: hanno pertanto un modello gestionale fortemente orientato alla competizione e alla performance. Lo stile regolativo “salario e salute” caratterizza le aziende di grandi dimensioni, con altre unità produttive in Italia e ad alta componente operaia. Lo stile “ritmi e qualificazione” è più diffuso nelle aziende con più personale femminile, al quale si aggiungono, nello stile “formazione per commissioni paritetiche” la presenza di soggetti finanziari e la percentuale di operai. Lo stile “crisi ristrutturazione” è più diffuso fra le aziende di dimensioni maggiori, come pure quello “gestione orari” al quale si aggiunge la percentuale di donne impiegate.
Le relazioni con le dimensioni strutturali evidenziano che la regolazione inclusiva dell’innovazione si caratterizza per processi di crescita aziendale che hanno due impatti distinti sulle condizioni di lavoro: il primo imperniato su una strategia di “management by stress” (Coriat, 1995) fondato sull’intensificazione dei ritmi di lavoro, compensati da una gestione inclusiva del fattore lavoro, il secondo sullo sviluppo di una organizzazione orientata all’apprendimento (“learning organization”) in cui l’inclusione è una strategia organizzativa e non di tipo compensativo-risarcitorio, differenziandosi dallo stile “ritmi e qualificazione” che appare associato a una strategia di nicchia di riposizionamento puntando sul miglioramento delle condizioni di lavoro, associato a investimenti.
Lo stile regolativo “salute e sicurezza” si riferisce a un’azienda “tradizionale” a forte caratterizzazione operaia e, anche se tali correlazioni non sono significative, in crescita e associato a dimensioni crescenti.
Le innovazioni avvenute delineano con chiarezza la geografia degli stili regolativi nella metalmeccanica vicentina. Gli stili regolativi “ritmi e qualificazione” e “innovazione e inclusione” sono entrambi correlati positivamente con innovazioni incrementali di processo e negativamente con “nessuna innovazione”, inoltre il secondo stile presenta una correlazione positiva con le innovazioni incrementali di prodotto. Infine, mentre lo stile “gestione degli orari” si intensifica in corrispondenza di innovazioni radicali sia di prodotto e, in misura statisticamente significativa, di processo, lo stile “crisi ristrutturazione” è associato all’introduzione di innovazioni radicali di prodotto in misura statisticamente significativa.
Infine, l’impatto con le performance aziendali (Tabella 100) identifica una sola correlazione significativa fra crescita aziendale in termini di fatturato e lo stile regolativo “innovazione e regolazione”.
Passando all’impatto sulle relazioni industriali, il profilo regolativo “innovazione ed inclusione” è positivamente correlato, e in misura significativa, con la presenza di sindacati non confederali. Si osserva che i tassi di adesione alla Cgil e, in misura ancora più sensibile, la sindacalizzazione complessiva sono
negativamente correlati con il profilo “ritmi e qualificazione” e “gestione orari”, confermando la difficoltà sindacale a raccogliere seguito nei contesti ad alta presenza femminile portatrice di proprie domande e laddove il riposizionamento aziendale predilige la ricerca della nicchia produttiva rispetto alla crescita dimensionale (Tabella 101).
Infine, con la Tabella 102 si tenta di rispondere alle domande “cosa sono le buone relazioni industriali” e “dove migliorano le relazioni industriali?”.
Una definizione abbastanza generica di “buone” relazioni industriali rinvia all’esistenza di forme di regolazione collettiva dotate di una certa intensità (in cui la dimensione della “profondità” viene qui proiettata anche in una dimensione temporale, non solo di dettaglio e ricchezza regolativa), il cui impatto viene percepito dalla forza lavoro – e non solo dai gruppi di riferimento delle organizzazioni sindacali – come positivo. Questa dimensione si impernia tanto su una valutazione di efficacia quanto su una valutazione di tipo processuale, molto vicina alle varie nozioni di “razionalità economica”: il loro limite principale è la loro natura “statica”.
Tuttavia, la Tabella 102 ci rinvia a un’altra dimensione di “buone” relazioni, ed implicitamente di “razionalità”: le relazioni fra le parti sono migliori – e tendono a migliorare nel tempo - laddove entrano nel confronto in modo quanto meno estensivo e non solo a titolo informativo temi quali l’innovazione, la formazione professionale, le politiche di reclutamento e in particolare, fra queste, la gestione del personale precario, oltre alla regolazione dell’intensità della prestazione lavorativa.
Questi temi entrano nell’agenda negoziale nelle aziende dove si è affermato uno stile di “innovazione e inclusione”, tanto nella variante “snella” che in quella “apprendente” di derivazione scandinava (neo- artigianale, a dirla con Xxxxxxx, 1994), che ha come effetto non secondario un miglioramento delle relazioni fra organizzazioni sindacali, in quanto sposta il confronto sul terreno concreto del governo dell’innovazione, e in quelle che rinnovano il modello della “specializzazione flessibile”, fondato su regolazione dell’intensità del lavoro e della qualificazione professionale attraverso la formazione specialistica vista come rigeneratrice di quelle competenze informali. In sostanza, si tratta di aziende dove le relazioni industriali si caratterizzano per uno stile di tipo “microconcertativo” (Regini, 1991), contrapponendosi a quelle tipicamente “redistributive”, imperniate sul salario e sugli accomodamenti di orario, e cioè a determinazione unilaterale da parte dell’imprenditore o del management: da questo punto di vista, le aziende in esame si presentano profondamente spaccate.
Non è un caso, questi stili regolativi si combinano con strategie di innovazione incrementale, sia di prodotto che di processo, e cioè a fare meglio quello che già si sa fare bene: nondimeno, poiché l’impatto dell’andamento della qualità delle relazioni industriali è inferiore in entrambi i casi alla valutazione delle relazioni industriali nel 2005, non si può non sottolineare che in entrambi i casi il clima di relazioni industriali era già buono in partenza.
3.7. L’impatto delle relazioni industriali sulle condizioni di lavoro
L’analisi dei cambiamenti delle condizioni di lavoro avvenute nel periodo 2000-2005 fa emergere tre strategie di ristrutturazione industriale (Tabella 24):
• Una prima strategia punta sul lavoro di qualità, per la combinazione di forte miglioramento della salute e sicurezza sul lavoro, dell’autonomia sul lavoro, delle informazioni a disposizione e della professionalità, che corrisponde ai modelli di organizzazione ad apprendimento continuo (“learning organisation”) descritte da Xxxxxxx e Lorentz (2003) e si produzione diversificata di qualità (Xxxxxxx, 1987)
• Una seconda strategia si caratterizza per intensificazione senza coinvolgimento o, a dirla con Coriat (1995), management by stress, con un forte aumento dell’intensità del lavoro e dello stress e diminuzione della possibilità di influenzare le decisioni aziendali, oltre che un peggioramento della salute e sicurezza sul lavoro, che corrisponde al modello della produzione snella, denominata da Xxxxxxx (1987) produzione di massa diversificata;
• Infine, il terzo modello si caratterizza per il mix incentivi e sicurezza, con un forte aumento degli incentivi economici e non, delle informazioni fornite dall’azienda e delle garanzie di stabilità del lavoro, secondo un modello abbastanza “tradizionale” di consenso fondato sulle dimensioni “primarie” della scala motivazionale, rinnovando il patto tradizionale dell’impresa veneta che trova spazio nelle nicchie della produzione flessibile.
Tabella 24 Stili manageriali e condizioni di lavoro
LAVORO DI QUALITÀ | INTENSIFICAZIONE SENZA COINVOLGIMENTO | INCENTIVI E STABILITÀ | |
Intensità della prestazione lavorativa | 0,797 | ||
Salute e sicurezza sul posto di lavoro | 0,612 | -0,258 | 0,333 |
Stabilità del lavoro | 0,804 | ||
Professionalità e competenze | 0,855 | ||
Informazioni a disposizione dei dipendenti | 0,561 | -0,445 | 0,418 |
Autonomia e controllo dei dipendenti sul lavoro svolto | 0,784 | ||
Influenza sulle decisioni prese dai quadri dirigenti | -0,611 | 0,214 | |
Incentivi economici (individuali e collettivi) | 0,435 | 0,636 | |
Incentivi non economici (formazione, carriera, ecc) | 0,373 | 0,509 | |
Stress derivante dal lavoro | 0,867 | ||
var spiegata (%) | 24,2 | 20,4 | 17 |
Fonte: La Contrattazione Aziendale nella Metalmeccanica in Provincia di Vicenza, 2007
La Tabella 25 illustra le relazioni fra stili manageriali e contrattazione concentrandosi su cinque aree, vale a dire relazioni industriali, contrattazione dell’organizzazione del lavoro e della salute, contrattazione degli orari, contrattazione della formazione e contrattazione salariale.
Le aziende che si caratterizzano per una focalizzazione verso “lavoro di qualità” presentano un numero minore di organizzazioni sindacali che sottoscrivono gli accordi aziendali e minori informazioni in favore delle commissioni paritetiche nella prima area, per la contrattazione della mobilità interna e dei temi della salute nella seconda, per la gestione in termini di scambio negoziale degli orari, anche con una loro personalizzazione, nella terza, per la previsione del diritto allo studio nell’area formazione ed infine per la contrattazione degli importi e dei meccanismi di verifica del salario per obiettivi e del salario professionale. Le aziende che si caratterizzano per l’intensificazione della prestazione presentano accordi più frequenti nella sfera delle relazioni industriali, contrattazione della mobilità interna nell’organizzazione del lavoro (con un evidente impatto sulle saturazioni) risarcita con la contrattazione di riduzioni degli orari di lavoro e di part-time nella sfera degli orari, per la previsione di attività formative in via del tutto generale, e per una contrattazione salariale diversificata tanto come salario per obiettivi (importi ed indicatori di produzione e di efficienza), quanto come salario professionale, maggiorazioni ed anticipi sul TFR.
Infine, le aziende più “tradizionali” che puntano su incentivi e stabilità del lavoro si caratterizzano per il maggior numero di accordi difensivi e un numero minore di organizzazioni sindacali firmatarie, mentre sul piano tematico per l’assenza dei seguenti temi: condizioni in favore dei lavoratori atipici, permessi di cura e reperibilità, e formazione per relazioni industriali.
Tabella 25 Stili manageriali e contrattazione
lavoro di qualità | intensificazione senza coinvolgimento | Incentivi e stabilità | |
Relazioni industriali | Firme OoSs (-) informazioni (-) Commissioni bilaterali | Frequenza accordi | Accordi difensivi Firme OoSs (-) |
Organizzazione | Mobilità interna Salute: ergonomia, clima e prevenzione | Mobilità interna | Regolazione atipici (-) |
Orari | Gestione orari, personalizzazione e reperibilità | Rol e part-time | Permessi di cura (-) reperibilità (-) |
Formazione | Diritto allo studio | Generale | Formazione RI (-) |
Salario | Salario per obiettivi: importi e verifica Salario professionale | SpO: produzione, efficienza, importi Salario professionale maggiorazioni anticipi |
Fonte: La Contrattazione Aziendale nella Metalmeccanica in Provincia di Vicenza, 2007
Dalla Tabella 26 si evidenziano un nesso positivo fra gli stili regolativi “innovazione e inclusione” e “ritmi e qualificazione” con i mutamenti delle condizioni di lavoro incentrati su “incentivi e sicurezze” e “qualità del lavoro”, mentre emerge una relazione positiva più debole fra lo stile regolativo “salario e salute” e il cambiamento delle condizioni di lavoro “intensificazione senza coinvolgimento”.
Partiamo da quest’ultimo. Laddove l’azienda punta all’intensificazione unilaterale dei ritmi di lavoro, il sindacato ha come unico spazio di azione una maggiore attenzione sulla salute – per i rischi associati alla salute dall’intensificazione dei ritmi – e sul salario, tanto in termini di verifica del premio di risultato quanto
di adeguatezza e corretta attribuzione delle indennità. È un gioco sostanzialmente “di rimessa” sui soli spazi consentiti in seguito alla restrizione degli spazi di manovra perseguiti dall’azienda.
La strategia regolativa “innovazione e inclusione” si presenta in congiunzione con uno stile “tradizionale” di coinvolgimento, che perpetua i fattori di successo della piccola impresa della “Terza Italia” descritti da Brusco e Fiorani (1996) in un memorabile saggio, e cioè i tre patti di verità (l’informazione deve sempre essere corretta perché io lavoratore ti creda per fornirti quando hai bisogno di una prestazione “eccezionale”, qui riportata dall’aumento delle informazioni a disposizione dei dipendenti) e partecipazione (se le cose ti vanno bene non mi puoi negare l’aumento che ti chiedo, qui rappresentata dal miglioramento degli incentivi monetari e non) e di sobrietà, qui rappresentata da un miglioramento delle condizioni di salute e sicurezza. L’interazione fra regolazione e miglioramenti più importanti delle condizioni di lavoro sembra incentrarsi sul rafforzamento delle sicurezze in senso lato, evidenziando un’evoluzione dall’ “individuale” al “collettivo” di questi patti, attraverso l’intervento sindacale, in imprese che non sono più così piccole e non è detto siano rimaste in mano agli imprenditori che le hanno fondate. Lo stesso impatto sulle condizioni di lavoro si ritrova più debolmente con lo stile regolativo “ritmi e qualificazione”, dove appare essersi stabilito uno scambio fra intensità del lavoro, dato un impegno a una buona qualità dell’ambiente di lavoro, contro qualificazione e incentivi sulla base di adeguati flussi informativi.
Lo stile regolativo “innovazione e inclusione” presenta una combinazione ancora più forte con uno stile manageriale “qualità del lavoro”, incentrato su decisi miglioramenti nelle condizioni di salubrità sul lavoro, nell’autonomia, nella professionalità e nelle competenze dei lavoratori: in questo caso sembrerebbe esserci tanto un’intensa concertazione sul nesso organizzazione del lavoro (specie nelle sue ricadute in termini di salute sul lavoro) e professionalità, con un deciso incremento dei margini di manovra individuali – e con tutta probabilità anche collettivi - che qui sembra giocarsi sul governo dell’innovazione, favorita da architetture partecipative consolidate e buone relazioni industriali. La combinazione fra un esito “qualità del lavoro” e “ritmi e qualificazione” appare ancora più forte laddove l’asse portante è l’incremento della professionalità, perseguita con una formazione specialistica non incentrata sulle sole figure chiave ma abbastanza estesa da ridisegnare gli assetti organizzativi verso una crescente autonomia. Se nel primo caso la migliore qualità del lavoro è perseguita attraverso il governo del mutamento organizzativo, nel secondo è il governo del contenuto professionale del lavoro a dare esiti di notevole rilievo. Il fatto che nel secondo caso il fattore dimensione (inteso tanto come numero di addetti quanto come inserimento in un gruppo) sia più debole evidenzia come un approccio partecipativo al cambiamento organizzativo nella medio-grande impresa abbia un equivalente funzionale nella gestione consensuale della rigenerazione del circuito della conoscenza nella piccola e media impresa di nicchia, dove si forma una “comunità di pratica”.
Tabella 26 Stili regolativi e mutamenti delle condizioni di lavoro
INNOVAZIONE E INCLUSIONE | SALARIO E SALUTE | RITMI E QUALIFICAZIONE | FORMAZIONE COMMISSIONI PARITETICHE | CRISI RISTRUTTURAZIONE | GESTIONE ORARI | |
Intensificazione senza coinvolgimento | 0,196 | |||||
Incentivi e sicurezze | 0,261(*) | 0,22 | ||||
Qualità del lavoro | 0,329(**) | 0,507(**) |
* significativo al 5% ** significativo all’1%
Fonte: La Contrattazione Aziendale nella Metalmeccanica in Provincia di Vicenza, 2007
3.8. Conclusioni
In questo capitolo si è investigato il nesso fra relazioni industriali, competitività, innovazioni e qualità del lavoro sul quale solo in tempi recenti si sono condotti studi di un certo rigore in Italia (Xxxx et al., 2004, 2007; Xxxxx et al., 2003, 2005; Xxxxx 2006, 2007).
Dal paragrafo 1.5, possiamo intanto osservare che dimensioni e proprietà influenzano notevolmente tanto la contrattazione quanto le relazioni industriali, al punto da introdurre una vera e propria frattura fra medie e grandi imprese inserite in gruppi, specie esteri, che si distinguono dalle altre imprese per la scelta di introdurre pacchetti integrati di pratiche ad alta performance: gli esiti sono una redditività superiore, una maggiore crescita e relazioni industriali migliori e in continuo miglioramento, ed innovazioni di natura incrementale, che si riflettono in retribuzioni più elevate. Poiché in queste imprese le rappresentanze sindacali sono in grado di contrattare i processi di accesso dei lavoratori precari, di fatto sono in grado di intervenire nel governo degli organici il che consente, coerentemente con la teoria economica (XxxXxxxxx, Xxxxx, 1984), di raggiungere un livello di efficienza superiore attraverso la contrattazione.
In queste imprese la formalizzazione per iscritto diventa una necessità per avere delle regole di riferimento, che tuttavia possono essere riscritte alla bisogna, mentre nelle altre imprese la contrattazione scritta su alcune
tematiche (tipicamente salario, orari ed informazioni) è alla base della legittimazione delle rappresentanze sindacali ad essere coinvolte nelle questioni organizzative.
Viceversa, dalla Figura 9 e dalla Figura 10 emerge con chiarezza nelle altre imprese un modello negoziale in cui il sindacato non contratta gli organici aziendali sia in forma diretta (assunzioni e tipologie di rapporti di lavoro) che indiretta (organizzazione di lavoro e carichi di lavoro), al massimo ha accesso alle informazioni. Questa limitazione si riflette, fra l’altro, in orari flessibili a vantaggio dei lavoratori: sintomatica è infatti l’assenza di ogni regolazione in materia di conciliazione fra lavoro e cura, cioè con soluzioni diverse dal part-time orizzontale al 50%, che è indubbiamente penalizzante per la donna che vi deve far ricorso.
Il profilo delle relazioni industriali si caratterizza per una scarsa regolazione bilaterale della gestione del mercato del lavoro, in particolare le assunzioni e il governo dei contratti atipici, dell’innovazione e delle sue ricadute organizzative e sull’intensità del lavoro, oltre che della formazione professionale, in parte smentendo la diffusa presenza negli accordi aziendali di previsioni di formazione professionale, tanto diffuse quanto generiche e scarsamente vincolanti, mentre appare abbastanza diffusa anche se poco “personalizzata” la regolazione del salario e degli orari. Emerge inoltre che i sindacati hanno come riferimento una manodopera maschile, non sempre operaia: la vera criticità non risulta tanto il rapporto con le figure impiegatizie, specie quelle connesse con la gestione del ciclo produttivo, quanto quello con le donne, che richiedono una regolazione personalizzata delle regole contrattuali e trovano maggiori soddisfazioni nel rapporto diretto con le direzioni aziendali. Emerge pertanto un profilo fortemente redistributivo delle relazioni industriali, con una scarsa propensione alla regolazione della prestazione del lavoro e forme di coinvolgimento della forza lavoro al più a livello informale e di gestione operativa di reparto: i caratteri identificati da Pini et al. (2004, 2007) e confermati da vari studi sulla qualità del lavoro in Italia appaiono confermati.
Tuttavia, similmente a quanto riscontrato da Xxxx, anche nella metalmeccanica vicentina le imprese che hanno innovato con successo hanno sviluppato sistemi di relazioni industriali partecipativi, confermando vari studi condotti in altri paesi europei, introducendo “pacchetti multidimensionali” di innovazioni, tanto sul piano tecnologico-organizzativo quanto sulle relazioni industriali, a conferma dell’ampia letteratura internazionale sulle pratiche lavorative ad alta performance (“high performance work practices”).
La dimensione aziendale, specie se accompagnata dall’inserimento in gruppi industriali, nazionali e ancor più esteri, contribuisce in misura fortemente significativa a sanare questa debolezza regolativa, confermando la sua centralità per una competitività di lungo periodo (Traù, 1997), assumendo qui una sua precisa declinazione: è la necessità di una transizione da una dimensione comunitaria alla razionalizzazione (Franchi, Xxxxxx, 1991) che richiede un approccio manageriale per far fronte a una competizione globale fondata sulla conoscenza. Infatti, solo le aziende che eccellono nella “specializzazione flessibile”, che operano in nicchie produttive rispondendo a una domanda fortemente personalizzata ed hanno dimensioni più contenute, riescono a godere di “quasi rendite” che permettono di perpetuare nel tempo questo stile altamente informale sul quale si sono costituite: le altre saranno costrette a “subire” la razionalizzazione attraverso dolorosi processi di chiusura-delocalizzazione oppure saranno inglobati in gruppi, sempre più spesso internazionali.
Tuttavia, a differenza di vari studi svolti in Xxxxxx-Romagna e Toscana (Pini et al., 2004, Giaccone, 2001) dove si registra una maggiore diffusione di pratiche di regolazione della prestazione lavorativa e delle flessibilità organizzative nelle aziende minori, ben descritta dalla nozione di “microconcertazione appartata” avanzata da Regini (1991), si osserva che in Veneto è condivisa una sostanziale unilateralità dell’imprenditore nelle decisioni tecnologiche ed organizzative – e non solo quelle “classicamente” imprenditoriali – lasciando al lavoratore – se qualificato - margini di gestione della propria prestazione lavorativa. Trova pertanto conferma la tesi della diversità dei contesti sociali in cui le aziende sono inserite e delle diversità subculturali all’interno della cosiddetta “Terza Italia”, avanzata da Xxxxxxxxx (1998).
Rimane l’interrogativo del perché solo la medio-grande impresa risulti dotata di un sistema regolativo che riconosce alcuni spazi di gestione consensuale in forma collettiva della forza lavoro. Si possono avanzare due ipotesi: la prima è che la dimensione d’impresa imponga l’interposizione di un management professionale, il cui potere è crescente al crescere della distanza della proprietà, che essendo orientato al risultato è consapevole del valore aggiunto fornito dal coinvolgimento strutturale della rappresentanza sindacale; la seconda è che si sia prodotta una sorta di “selezione della specie” nella medio-grande impresa, dove quelle a gestione paternalistica non hanno retto alle turbolenze competitive seguite agli shocks petroliferi, al contrario di quelle più “aperte”, e che sono state cedute in un momento successivo dalla proprietà locale. In questi casi, la nozione di “buone” relazioni industriali non pare essere inficiata dalla conflittualità non solo nazionale – comprensibile per la fase turbolenta, specie nella metalmeccanica – ma anche aziendale: questo significa che in alcuni casi tentativi manageriali di mettere in discussione gli
equilibri regolativi preesistenti sfruttando le tensioni fra le organizzazioni sindacali sono rientrati, spiegando anche perchè nelle aziende che “vanno bene” si sciopera di meno.
Passando a considerare il nesso innovazioni-relazioni industriali-performance, nel caso dell’industria metalmeccanica vicentina, emergono alcuni elementi di un certo interesse:
• esiste una forte componente “incrementale” sul mix innovazioni-relazioni industriali-competitività: la coerenza fra queste diverse dimensioni evidenzia la forza del dispositivo sociale consolidatosi in azienda, e che questo è un fattore di competitività;
• le aziende più piccole e a sindacalizzazione più debole che raggiungono analoghi esisti in termini di innovazione incrementale e qualità del lavoro hanno identificato nel governo della formazione specialistica e delle sue ricadute sull’organizzazione del lavoro un equivalente funzionale di assetti partecipativi nella gestione dell’innovazione e delle sue ricadute;
• solo le performance nel fatturato mostrano una relazione positiva con una stile di regolazione consensuale delle trasformazioni organizzative, mentre si osserva una più alta conflittualità nelle aziende che hanno optato per il decentramento e la delocalizzazione;
• nelle aziende dove l’innovazione è di carattere discontinuo – e spesso associata a delocalizzazione e riposizionamento del sito vicentino – la regolazione si incentra sulla gestione degli esuberi oppure degli orari: in quest’ultimo caso, la presenza femminile è maggiore.
Ovviamente, molti quesiti rimangono aperti e una migliore comprensione di queste dinamiche sarebbe possibile tanto raccogliendo su questi temi la posizione delle direzioni aziendali, quanto analizzando quelle aziende in cui la Fiom-Cgil non è presente.
Seconda Sezione
La contrattazione di secondo livello:
approcci, contenuti, risultati
Le fonti utilizzate
Questa sezione illustra il profilo della contrattazione della prestazione lavorativa nell’industria metalmeccanica in provincia di Vicenza nel periodo 2000-2005 sulla base di 167 accordi aziendali sottoscritti in 93 aziende.
Il periodo in esame è stato particolarmente critico in quanto ha coinciso con la vigenza dell’unico contratto nazionale (CCNL) separato dei metalmeccanici della storia dell’Italia repubblicana, non essendo stato sottoscritto dalla Fiom-Cgil, l’organizzazione maggiore.
Caratteristiche degli accordi e intensità contrattuale
Circa 7 aziende su 8 sviluppano una contrattazione a livello di unità produttiva (Tabella 27) , a cui va aggiunto un accordo su scala provinciale per i diversi centri di assistenza tecnica - mentre gli accordi di gruppo sono presenti in un’azienda su nove. Tale modalità appare più frequente fra i gruppi italiani non locali (41,7%) mentre i gruppi locali e soprattutto esteri prediligono il livello aziendale (rispettivamente 72,7% e 82,4%, Tabella 28).
Tabella 27 Distribuzione degli accordi per livello ed aziende
ACCORDI | % | AZIENDE | % | ACCORDI/AZIENDA | |
Gruppo | 19 | 11,4 | 11 | 11,8 | 1,7 |
Azienda/unità locale | 146 | 87,4 | 81 | 87,1 | 1,8 |
Provincia | 2 | 1,2 | 1 | 1,1 | 2,0 |
Totale | 167 | 100 | 93 | 100 | 1,8 |
Fonte: La Contrattazione Aziendale nella Metalmeccanica in Provincia di Vicenza, 2007
Tabella 28 Livello della contrattazione per appartenenza a gruppi
NO | LOCALE | ITALIA | ESTERO | TOTALE | |
Gruppo | 0,0% | 18,2% | 41,7% | 17,6% | 11,2% |
Azienda/unità locale | 100,0% | 72,7% | 58,3% | 82,4% | 87,6% |
Provincia | 0,0% | 9,1% | 0,0% | 0,0% | 1,1% |
Totale | 55,1% | 12,4% | 13,5% | 19,1% | 100,0% |
Fonte: La Contrattazione Aziendale nella Metalmeccanica in Provincia di Vicenza, 2007
Dalla Tabella 29 si evince che il 37,3% degli accordi sono stati sottoscritti in aziende con meno di 100 dipendenti, il 38,7% in aziende fra i 100 e 250 dipendenti, mentre poco meno di uno su quattro nelle aziende con più di 250 dipendenti. Poco più di metà degli accordi sono stati sottoscritti in aziende non inserite in gruppi, il 13,3% in gruppi locali, il 14,7% in gruppi nazionali e il 18,7% in aziende appartenenti a gruppi esteri.
Al crescere delle dimensioni si riduce il numero di accordi sottoscritti in aziende non inserite in gruppi (da poco meno di due su tre a poco più di una su quattro), mentre aumentano notevolmente gli accordi sottoscritti in aziende inserite in gruppi nazionali (da poco più del 10% al 16,7%) e soprattutto estere (da circa il 10% a poco meno del 40%).
Tabella 29 Le aziende del campione (numeri e %)
ORGANICO | NO GRUPPI | APPARTENENZA A GRUPPI | TOTALE | ||
LOCALE | ITALIA | ESTERO | |||
Fino a 100 | 64,3 | 14,3 | 10,7 | 10,7 | 37,3% |
100-249 | 58,6 | 10,3 | 17,2 | 13,8 | 38,7% |
Oltre 250 | 27,8 | 16,7 | 16,7 | 38,9 | 24,0% |
Totale | 53,3 | 13,3 | 14,7 | 18,7 | 100,0% |
Fonte: La Contrattazione Aziendale nella Metalmeccanica in Provincia di Vicenza, 2007
La numerosità degli accordi nel periodo considerato è un indicatore chiave delle relazioni industriali. Come si è già detto nel Terzo Capitolo, gli accordi scritti costituiscono un atto di codifica più o meno esteso delle regole di governo del lavoro, la cui frequenza varia fortemente con i caratteri specifici delle aziende. Un elevato numero di accordi sottoscritti su un determinato arco temporale può essere dovuto in linea di principio a fasi di intensa ristrutturazione o innovazione, piuttosto che ad uno stile aziendale “aperto”, con strutture organizzative meno gerarchiche o una complessità organizzativa maggiore, od infine un riconoscimento più elevato del ruolo della rappresentanza collettiva del lavoro da parte della direzione aziendale.
Il 58,1% delle aziende presenta un solo accordo, mentre il 25,8%, ne presenta due, il 12,9% ne presenta fra 3 e 5 accordi, ed infine 3 ne presentano più di cinque.
Si può pertanto osservare una forte differenziazione, con un’elevata dispersione attorno al valor medio di 1,8 accordi per azienda, le cui caratteristiche possono essere meglio comprese indagando altre variabili esplicative (Tabella 27).
Tabella 30 Accordi sottoscritti per azienda
V.A. | % | |
1 | 54 | 58,1 |
2 | 24 | 25,8 |
Da 3 a 5 | 12 | 12,9 |
6 ed oltre | 3 | 3,3 |
Numero medio di accordi | 1,79 | 100,0 |
Fonte: La Contrattazione Aziendale nella Metalmeccanica in Provincia di Vicenza, 2007
4. Quarto Capitolo
La contrattazione della prestazione lavorativa
Xxxxx Xxxxxxxx
4.1. Le contrattazione decentrata: approcci emergenti
Seguendo una classificazione ormai consolidata del CNEL, si sono distinti gli accordi in:
• “integrativi”, quando costituiscono un rinnovo delle norme aziendali in materia di prestazione e controprestazione;
• “difensivi” quando si interviene in casi di crisi aziendali seguendo le prescrizioni di legge in materia di esuberi;
• “gestionali” quando si regola l’implementazione di un istituto contrattuale.
A questa tripartizione, si è aggiunta la tipologia “proroga integrativo”, e cioè accordi che prolungano la vigenza del contratto integrativo aziendale in scadenza.
Gli accordi integrativi costituiscono poco meno di due terzi degli accordi presi in esame (64,2%) e sono stati sottoscritti nell’83,9% delle aziende interessate, gli accordi gestionali il 15,8% interessando il 22,6% delle aziende, le proroghe degli integrativi il 12,7% (20,4% delle aziende) ed infine gli accordi difensivi il 7,3% (11,8% delle aziende). Il contratto integrativo – normativo è pertanto la modalità regolativa prevalente, mentre il ricorso alla contrattazione gestionale non solo è circoscritto a un numero contenuto di imprese (meno di una su quattro) ma ne segnala piuttosto un carattere mediamente non “sistematico” (Tabella 31).
Prendendo come unità di analisi l’azienda, il modello regolativo aziendale viene qui definito:
• “gestionale”, “difensivo” o di “proroga dell’integrativo” se presenta solo accordi di queste tipologie,
• “integrativo” se presenta almeno un accordo integrativo accompagnato, al più, da sue proroghe o da accordi difensivi, segnalando che la codifica normativa avviene solo nel contratto integrativo aziendale;
• “integrativo e gestionale” se presenta accordi almeno di entrambi i tipi.
In due aziende su tre la contrattazione è di carattere eminentemente integrativo, intensità negoziale di poco inferiore a 1,5 accordi per azienda. In alcune aziende la contrattazione integrativa è assente: in 6 è esclusivamente gestionale con 1,17 accordi per azienda, in 4 sono stati sottoscritti solo accordi difensivi mentre in 5 si è “andati avanti” con proroghe di precedenti integrativi, con un solo accordo per azienda in entrambi i casi, segnalando un evidente stato di precarietà delle relazioni industriali. Infine, 15 aziende presentano accordi integrativi e gestionali, con una media di 3,87 accordi per azienda, segnalando una complessità regolativa che richiede l’emersione della contrattazione informale in forma più o meno estesa (Tabella 32).
Tabella 31 Distribuzione degli accordi per tipologie ed aziende
V.A. | % | N. AZIENDE INTERESSATE | % SU AZIENDE | INDICE FREQUENZA | |
Integrativo | 106 | 64,2 | 78 | 83,9 | 1,36 |
Gestionale | 26 | 15,8 | 21 | 22,6 | 1,24 |
Difensivo | 12 | 7,3 | 11 | 11,8 | 1,09 |
Proroga integrativo | 21 | 12,7 | 19 | 20,4 | 1,11 |
Totale | 165 | 100 | 93 | 100,0 | 1,79 |
Fonte: La Contrattazione Aziendale nella Metalmeccanica in Provincia di Vicenza, 2007
Tabella 32 Le tipologie contrattuali prevalenti nelle aziende
V.A. | % | N. MEDIO ACCORDI | |
Integrativo | 63 | 67,7 | 1,46 |
Gestionale | 6 | 6,5 | 1,17 |
Difensivo | 4 | 4,3 | 1,00 |
Proroga integrativo | 5 | 5,4 | 1,00 |
Integrativi e gestionali | 15 | 16,1 | 3,87 |
Totale | 93 | 100 | 1,79 |
Fonte: La Contrattazione Aziendale nella Metalmeccanica in Provincia di Vicenza, 2007
L’evoluzione temporale della contrattazione viene rappresentata dalla Figura 15.
Nel 2000, subito dopo la conclusione del contratto nazionale, si registra come di consueto un elevato volume di accordi integrativi (36), accompagnata da una quota significativa di proroghe degli integrativi precedenti, un po’ per prendere tempo. Nel 2001 si osserva un forte declino, con una restrizione della contrattazione ad integrativi e gestionali, seguita da una lieve ripresa nel 2002 proseguita nel 2004, pur restando sotto la soglia dei 20 accordi complessivi. Dal 2004 il numero di accordi torna rilevante (fra i 35 e i 40) con una ripresa per tutte le tipologie contrattuali. Talune crisi di grandi gruppi, emerse negli anni precedenti, vengono gestite in forma più organica e sistematica, mentre la scadenza degli integrativi in vigore porta le aziende a scegliere fra il rinnovo o la proroga della loro vigenza. Infine, la ripresa della contrattazione gestionale è da addebitarsi alle ricadute organizzative tanto delle crisi quanto degli investimenti nelle imprese che si sono ristrutturate.
Figura 15 La contrattazione nel periodo 2000-2005
50
45
40
35
30
25
20
15
10
5
0
2000
2001
2002
2003
2004
2005
integrativo gestionale difensivo proroga integrativo
Fonte: La Contrattazione Aziendale nella Metalmeccanica in Provincia di Vicenza, 2007
Intensità negoziale e tipologie contrattuali sono spiegate dall’appartenenza a gruppi e dalla dimensione aziendale, che approssimano in prima battuta la complessità organizzativa al loro interno e il potere di mercato sul mercato dei beni.
Mentre le aziende non inserite in gruppi presentano valori di poco inferiori alla media (1,65 accordi per azienda), quelle inserite in gruppi italiani presentano valori nettamente più bassi (1,23 accordi per azienda). Infine, i gruppi locali e quelli di proprietà estera presentano valori sensibilmente più elevati (rispettivamente 2,08 e 2,18), anche se l’intensa contrattazione connessa con la crisi del principale gruppo locale, la Fiamm, ne influenza valore e significato (Tabella 33).
Si può pertanto ritenere che mentre i gruppi nazionali privilegiano la definizione di condizioni contrattuali uniformi sull’intero territorio nazionale rispetto alla valorizzazione delle specificità, centralizzando la contrattazione, nel secondo caso si sottolinea implicitamente che la loro crescita è avvenuta per linee esterne puntando all’acquisizione di nicchie produttive che richiedono soluzioni gestionali specifiche.
Tabella 33 Numero degli accordi sottoscritti per azienda per appartenenza ai gruppi
NO | LOCALE | ITALIA | ESTERO | TOTALE | |
1 | 57,1% | 54,5% | 83,3% | 35,3% | 56,2% |
2 | 28,6% | 27,3% | 8,3% | 35,3% | 27,0% |
Da 3 a 5 | 14,3% | 9,1% | 8,3% | 17,7% | 13,5% |
Oltre 5 | 0,0% | 9,1% | 0,0% | 11,8% | 3,3% |
Totale | 55,1% | 12,4% | 13,5% | 19,1% | 100,0% |
Media | 1,65 | 2,08 | 1,23 | 2,18 | 1,74 |
Numero osservazioni: 93 aziende
Fonte: La Contrattazione Aziendale nella Metalmeccanica in Provincia di Vicenza, 2007
Il fattore dimensione ha un impatto molto più netto. L’intensità negoziale cresce regolarmente: da 1,31 accordi nelle aziende fino a 100 dipendenti a 1,62 accordi nelle medie imprese (100-249 dipendenti) per raddoppiare (3,22 accordi) nelle imprese oltre i 250 addetti (
Altre tabelle relative al quarto capitolo Tabella 103).
L’incidenza dei diversi tipi di accordi appare chiaramente sensibile al fattore dimensione: mentre nelle piccole aziende con meno di 100 dipendenti è massima, è minima nella classe dimensionale 100-249 dipendenti (60%), dove la contrattazione gestionale raggiunge i suoi valori massimi (24,4%).
Prendendo l’azienda come unità di osservazione, nelle piccole imprese domina una contrattazione di tipo integrativo (oltre l’80%); mentre nelle grandi imprese la contrattazione integrativa o in proroga prevale leggermente sul modello “integrativo e gestionale” (Tabella 34).
Tabella 34 Stili contrattuali egemoni per dimensione aziendale
FINO A 000 | 000-000 | OLTRE 250 | TOTALE | |
Integrativo | 82,1% | 65,5% | 50,0% | 68,0% |
Gestionale | 10,7% | 10,3% | 0,0% | 8,0% |
Difensivo | 3,6% | 0,0% | 0,0% | 1,3% |
Proroga integrativo | 3,6% | 6,9% | 5,6% | 5,3% |
Integrativi e gestionali | 0,0% | 17,2% | 44,4% | 17,3% |
Totale | 37,3% | 38,7% | 24,0% | 100,0% |
Si conferma così una regolarità delle relazioni industriali, e cioè che la contrattazione scritta aumenta al crescere della dimensione d’impresa e dell’inserimento in organizzazioni più complesse, operanti secondo logiche manageriali e con un orizzonte territoriale più ampio, con un peso crescente degli accordi gestionali. Si registra un vero e proprio balzo nelle imprese oltre i 250 dipendenti. Si conferma inoltre l’egemonia del modello di relazioni industriali fondato sulla contrattazione integrativa, mentre nelle grandi si affianca un approccio di tipo “combinato” (Tabella 104).
La sindacalizzazione appare rilevante sulle tipologie di contrattazione: laddove è “media” o “bassa” (e cioè sotto il 40%), la contrattazione è eminentemente integrativa in poco meno di 3 aziende su 4, mentre nelle aziende ad alta sindacalizzazione la contrattazione gestionale e mista hanno un peso del tutto equivalente a quello della contrattazione integrativa.
Si possono così identificare due “soglie” della sindacalizzazione sulle relazioni industriali:
• la prima è quel “livello minimo” di iscritti ed attività sindacale che permette di accedere all’elezione di una Rsu e quindi all’esercizio dei poteri di cui è titolare, inclusa la sottoscrizione di contratti;
• la seconda è il disporre di un seguito sufficientemente ampio, fatto non solo di iscritti ma anche di reputazione presso le figure professionalizzate – operai e non – che attribuiscono un potere contrattuale tale da rendere conveniente per l’azienda la condivisione di aspetti gestionali più o meno estesi codificali per iscritto.
4.1.1. Gli attori della contrattazione
Le associazioni di rappresentanza imprenditoriali hanno firmato nel complesso 61 accordi aziendali, pari al 36,5% del totale degli accordi, relativi a 43 aziende (46,2%). Sono fortemente presenti nella sottoscrizione di accordi difensivi (83,3%) che sottostanno a procedure precise da rispettare, a reciproca garanzia delle parti, mentre sottoscrivono circa il 30% degli accordi integrativi e gestionali (Tabella 106). Un riscontro si ritrova negli stili contrattuali aziendali: le associazioni imprenditoriali hanno sottoscritto almeno un accordo nel 38,1% delle aziende caratterizzate dalla contrattazione integrativa, mentre sono sempre presenti dove si sono sottoscritti solo accordi difensivi ed hanno sottoscritto almeno un accordo nel 73,3% delle aziende con contrattazione tanto integrativa che gestionale (Tabella 107).
Tabella 35 Firma delle associazioni industriali
V.A. | % | |
Nessuna associazione | 50 | 53,8 |
Locale | 43 | 46,2 |
- di cui: Federmeccanica | 39 | 41,9 |
- di cui: Unionmeccanica | 4 | 4,3 |
Totale | 93 | 100 |
Fonte: La Contrattazione Aziendale nella Metalmeccanica in Provincia di Vicenza, 2007
Sul versante sindacale, mentre la RSU è una presenza costante salvo casi particolari, la presenza delle organizzazioni sindacali varia significativamente a seconda della tipologia di accordi. Quasi un accordo su
tre è firmato da Cgil e Cisl, seguito da quelli che non vedono la firma delle organizzazioni sindacali (uno su quattro) e da Cgil Cisl e UIl unitariamente (24%). Uno su otto è firmato dalla sola Fiom, mentre le altre casistiche raccolgono quote minori.
Tuttavia cambiano le firme esterne a seconda della tipologia di accordi. Gli accordi integrativi seguono a un dipresso la distribuzione generale (un po’ più bassa la firma Cgil-Cisl, un po’ più alta quella della sola Cgil); gli accordi gestionali registrano una diffusa assenza del sindacato esterno, presente nel 42,3% degli accordi; gli accordi difensivi vedono la presenza almeno delle due organizzazioni maggiori, in coerenza con gli obblighi di legge, mentre le proroghe vedono la prevalenza della firma congiunta delle stesse due organizzazioni (45,2%); accordi con una sola firma evidenziano una minore complessità del sistema di rappresentanza.
Tabella 36 Organizzazioni sindacali firmatarie per tipologia di accordo
NESSUNA FIRMA | CGIL CISL UIL | CGIL CISL | CGIL UIL | CGIL | CISL | ALTRO | TOTALE | |
Integrativo | 25,2 | 25,2 | 29,0 | 5,6 | 15,0 | 0,0 | 0,0 | 64,1 |
Gestionale | 42,3 | 15,4 | 26,9 | 0,0 | 11,5 | 0,0 | 3,8 | 15,6 |
Difensivo | 0,0 | 41,7 | 58,3 | 0,0 | 0,0 | 0,0 | 0,0 | 7,2 |
Proroga integrativo | 18,2 | 18,2 | 45,5 | 4,5 | 9,1 | 4,5 | 0,0 | 13,2 |
Totale | 25,1 | 24,0 | 32,9 | 4,2 | 12,6 | 0,6 | 0,6 | 100,0 |
Fonte: La Contrattazione Aziendale nella Metalmeccanica in Provincia di Vicenza, 2007
Le aziende a basso tasso di terziarizzazione (qui definite “ancillari”) appaiono maggiormente associate ad aziende dove sono presenti tutte e tre le sigle (grandi aziende “storiche”) oppure con una sola organizzazione
- nel nostro caso, la Fiom – spesso di dimensioni medie relativamente piccole o di recente sindacalizzazione. Al crescere della terziarizzazione, si presentano tipicamente due eventi: le organizzazioni non partecipano oppure – più marcatamente – firmano Fim e Fiom. Questa seconda eventualità caratterizza aziende particolarmente dinamiche ma anche relativamente giovani.
Tabella 37 Organizzazioni sindacali firmatarie per incidenza della manodopera non operaia
ANCILLARE | MEDIO | DOMINANTE | TOTALE | |
Nessuna firma | 18,2% | 17,4% | 22,2% | 18,6% |
cgil cisl uil | 27,3% | 13,0% | 11,1% | 16,3% |
cgil cisl | 9,1% | 60,9% | 66,7% | 48,8% |
cgil uil | 0,0% | 4,3% | 0,0% | 2,3% |
cgil | 36,4% | 4,3% | 0,0% | 11,6% |
Totale | 25,6% | 53,5% | 20,9% | 100,0% |
Fonte: La Contrattazione Aziendale nella Metalmeccanica in Provincia di Vicenza, 2007
4.1.2. La contrattazione delle relazioni industriali
In poco più di metà delle aziende gli accordi prevedono la fornitura di informazioni regolari alle RSU e alle organizzazioni sindacali quanto meno una volta l’anno, mentre si prevedono forme di consultazione nel 41,9% delle aziende (Tabella 38). Sono infine previste commissioni bilaterali in appena quattro aziende. Tenendo conto che vi è una correlazione positiva fra clausole che prevedono diritti di informazione, possiamo individuare tre tipologie aziendali (Tabella 39):
• aziende che non coinvolgono in alcun modo le rappresentanza sindacali, che costituiscono poco più di un terzo del nostro universo
• aziende che si limitano a informare (20,4%)
• aziende che consultano ed implicitamente informano, anche se non è regolata questa prassi dalla presente tornata contrattuale, che costituiscono un gruppo ovviamente minoritario (11,8%)
• aziende dove si prevede l’esercizio dei diritti di informazione e forme di consultazione regolare, incluse le commissioni bilaterali, che costituiscono il 30,1% del nostro universo.
Tabella 38 Flussi informativi per il sindacato
V.A. | % | |
Informazioni | 47 | 50,5 |
Consultazione | 39 | 41,9 |
Commissione bilaterale solo PdR | 1 | 1,1 |
Commissione bilaterale Pdr e/o al | 3 | 3,2 |
Totale | 93 | 100 |
Fonte: La Contrattazione Aziendale nella Metalmeccanica in Provincia di Vicenza, 2007
Tabella 39 Forme di coinvolgimento praticate
V.A. | % | |
Nessuna pratica di coinvolgimento | 33 | 35,5 |
Solo informazioni | 19 | 20,4 |
Solo consultazione | 11 | 11,8 |
Entrambe | 28 | 30,1 |
Solo CAE | 2 | 2,2 |
Fonte: La Contrattazione Aziendale nella Metalmeccanica in Provincia di Vicenza, 2007
La contrattazione delle tre forme di coinvolgimento è positivamente associata alla dimensione aziendale, salvo i Comitati aziendali europei (CAE), che sono regolati in aziende di piccole e medio-piccole dimensioni, probabilmente a seguito di processi di acquisizione (Tabella 108).
Le imprese che non regolano in alcun modo forme di coinvolgimento sono più frequentemente non inserite in alcun tipo di gruppo, di piccole dimensioni e a chiara dominanza maschile (Tabella 109).
Le imprese che si sono limitate a codificare i diritti di informazione sono in misura superiore alla media gruppi locali o italiani, con meno di 100 addetti e con una composizione per genere della forza lavoro di tipo “integrato”, con una composizione cioè abbastanza equilibrata fra i generi.
La previsione di forme di consultazione caratterizza tanto le imprese non inserite in gruppi quanto le imprese di proprietà estera, ed è associata positivamente con le dimensioni aziendali e con il grado di presenza femminile. Infine, la regolazione della consultazione nella forma delle commissioni bilaterali vede valori superiori alla media per tutti i gruppi, in particolare quelli di proprietà estera, nelle imprese oltre i 250 dipendenti e nelle imprese “integrate” dal punto di vista del genere. Pertanto, le piccole imprese non coinvolgono oppure si limitano ad informare, nelle medie prevale lo stile consultivo anche se una su tre non coinvolge, mentre nelle grandi le forma di consultazione sono più diffuse e strutturate (Tabella 110, Tabella 111).
Tenendo conto dei fattori esplicativi delle relazioni industriali (Tabella 40), l’assenza di forme di coinvolgimento appare associata alle aziende caratterizzate da contrattazione gestionale o difensiva, mentre stili informativi si riscontrano in misura superiore alla media nelle aziende caratterizzate da contrattazione difensiva e di proroga degli integrativi – proprio per lo stato di sospensione se non di vera e propria incertezza – mentre la regolazione della consultazione si riscontra in misura maggiore nelle imprese caratterizzate dalla contrattazione integrativa, coerente con uno stile di “regolazione gestionale informale” che caratterizza il modello della “microconcertazione appartata”, anche se al crescere della sindacalizzazione questa tende a declinare. Infine, la regolazione delle commissioni bilaterali è fortemente associata con la contrattazione integrativa e gestionale.
Tabella 40 Forme di coinvolgimento per stile contrattuale egemone
INTEGRATIVO | GESTIONALE | DIFENSIVO | PROROGA INTEGRATIVO | INTEGRATIVI E GESTIONALI | TOTALE | |
Nessun coinvolgimento | 33,3% | 83,3% | 75,0% | 20,0% | 20,0% | 35,5% |
Solo informazioni | 22,2% | 0,0% | 25,0% | 40,0% | 13,3% | 20,4% |
Consultivo | 44,4% | 16,7% | 0,0% | 40,0% | 40,0% | 39,8% |
Commissioni bilaterali | 0,0% | 0,0% | 0,0% | 0,0% | 26,7% | 4,3% |
Totale | 67,7% | 6,5% | 4,3% | 5,4% | 16,1% | 100,0% |
Fonte: La Contrattazione Aziendale nella Metalmeccanica in Provincia di Vicenza, 2007
4.2. Gestione degli organici e tematiche organizzative
4.2.1. La contrattazione degli organici
La contrattazione degli organici è, secondo la teoria economica, una delle variabili chiave insieme alla negoziazione del salario che identifica il modello di sindacato esistente. Questo può avvenire i forma diretta, contrattando ingressi ed uscite, o indiretta, contrattando i vari aspetti dell’organizzazione del lavoro e, di conseguenza, quantità e qualità degli organici necessari al funzionamento dell’azienda e al soddisfacimento delle domande di produzione (XxxXxxxxx e Xxxxx, 1981, Xxxxxxx, 1987).
Nel caso della metalmeccanica vicentina, la contrattazione delle dinamiche occupazionali aggregate interessa appena il 15% delle aziende: di queste, oltre due terzi regola le uscite in conseguenza di difficoltà aziendali che richiedono esuberi che eccedono il normale turnover, dove ci sono degli obblighi di legge (Tabella 41). Sul versante dei flussi in entrata, si tratta in prevalenza di informazioni aziendali e non di vera e propria contrattazione.
Tabella 41 La contrattazione delle dinamiche occupazionali
V.A. | % | |
No | 79 | 84,9 |
Esuberi | 9 | 9,7 |
Espansione permanenti | 1 | 1,1 |
Espansione precari | 3 | 3,2 |
Contratto solidarietà | 1 | 1,1 |
Totale | 93 | 100 |
Fonte: La Contrattazione Aziendale nella Metalmeccanica in Provincia di Vicenza, 2007
Tabella 42 La contrattazione per l’ingresso dei lavoratori non permamenti
V.A. | % | |
No | 68 | 73,1 |
Previsione | 19 | 20,4 |
Priorità richiamo | 1 | 1,1 |
Stabilizzazione | 5 | 5,4 |
Totale | 93 | 100 |
Fonte: La Contrattazione Aziendale nella Metalmeccanica in Provincia di Vicenza, 2007
Le assunzioni avvengono in forma crescente nel tempo facendo ricorso a rapporti di lavoro non permanenti, concepiti ora per far fronte a picchi produttivi, ora come periodo di prova lunga. In oltre un quarto delle aziende (26,9%) si prevede che le rappresentanze sindacale vengano quanto meno informate del loro andamento, anche se nella stragrande maggioranza dei casi non si va oltre (20,4%) mentre in 5 casi l’azienda riconosce diritti di stabilizzazione ed in uno di priorità di richiamo al raggiungimento di determinati requisiti di anzianità (Tabella 42).
Clausole di questo tipo, pur non frequenti, si concentrano nelle aziende oltre i 250 dipendenti e nei gruppi industriali, a testimonianza di una complessità organizzativa e di bisogno di equità condivisa su un tema così delicato.
4.2.2. Le tematiche organizzative
La contrattazione dell’organizzazione del lavoro gioca un ruolo chiave e determina il segno di molte altre partite, in primo luogo orari, sviluppi professionali e loro ricadute salariali, e infine salute sul lavoro.
Le tematiche organizzative appaiono trattate in un numero contenuto di aziende: il più menzionato – ma nemmeno sempre negoziato - è la mobilità interna per garantire all’azienda la saturazione del personale (il caso di indicazione generica infraimpianto, 7,5% delle aziende) oppure fra unità produttive diverse per far fronte a diversi andamenti di mercato delle produzioni sviluppate da ciascuno di essi. Solo in due aziende si definiscono delle procedure di gestione di tali processi, mentre in 5 aziende si negoziano pause e cadenze produttive. Pure le innovazioni organizzative hanno poca familiarità con la negoziazione scritta: un caso di negoziazione della polivalenza, due dei gruppi di lavoro – entrambi fra figure o aree omogenee – 3 casi rispettivamente di contrattazione di percorsi di crescita professionale e sviluppo organizzativo per
determinate figure e di riprogettazione organizzativa, connessa anche alle certificazioni. In questi ultimi casi è difficile distinguere la dimensione informativa da quella negoziale (Tabella 43).
La trattazione delle tematiche più classicamente organizzative (distribuzione organici, tempistiche del lavoro, gruppi di lavoro) appare appannaggio esclusivo delle aziende oltre i 250 dipendenti, preferibilmente di proprietà estera ad alta sindacalizzazione e con stile negoziali “integrativo gestionale” (Tabella 112, Tabella 113, Tabella 114).
La contrattazione aziendale identifica pertanto le seguenti caratteristiche per le imprese che perseguono politiche innovative secondo un modello industrial relations driven [Xxxxxxxxx, Xxxx, 1993; Xxxx et al., 2004; Xxxx e Del Soldato, 2005]: dimensioni medio-grandi, proprietà estere e pertanto con valutazione del management sulla base delle performance ottenute, alta sindacalizzazione e con diffusa regolazione scritta.
Tabella 43 Contrattazione dell’organizzazione del lavoro
DISTRIBUZIONE ORGANICI | V.A. | % |
No | 90 | 96,8 |
Distribuzione organici | 2 | 2,2 |
Disegno organizzativo | 1 | 1,1 |
Totale | 93 | 100 |
MOBILITÀ INTERNA | V.A. | % |
No | 81 | 87,1 |
Generica infraimpianto | 7 | 7,5 |
Procedure di gestione | 2 | 2,2 |
Interimpianti | 3 | 3,2 |
Totale | 93 | 100 |
ORGANIZZAZIONE PRODUZIONE | V.A. | % |
No | 88 | 94,6 |
Pause | 2 | 2,2 |
Metriche | 3 | 3,2 |
Totale | 93 | 100 |
INNOVAZIONI ORGANIZZATIVE | V.A. | % |
Job rotation | 1 | 1,1 |
Sviluppo organizzativo | 3 | 3,2 |
Certificazioni | 2 | 2,2 |
Riprogettazione organizzativa | 1 | 1,1 |
Gruppi di lavoro omogeneo aziendale | 2 | 2,2 |
Fonte: La Contrattazione Aziendale nella Metalmeccanica in Provincia di Vicenza, 2007
4.3. Gli orari di lavoro e le flessibilità
4.3.1. La contrattazione delle flessibilità per le aziende
Per ragioni di comodità, si può ripartire la contrattazione degli orari in istituti che recepiscono istanze aziendali ed istituti a beneficio dei lavoratori, che in qualche caso fanno da “pendant” alle esigenze produttive ed aziendali. La contrattazione del calendario annuo, fino agli anni ’80 una delle voci “prìncipi” della contrattazione integrativa aziendale, è presente in appena il 3,2% delle aziende, segnalando al contempo il suo carattere routinario da non richiedere più la previsione in forma scritta e, dall’altro, la crescente “proceduralizzazione” della contrattazione aziendale. Più diffusa invece la contrattazione dei turni (8,6%) e delle flessibilità contrattuali a beneficio dell’azienda (oltre il 20%), mentre solo in un caso si contrattano i tempi di preavviso per i cambi turno, di notevole impatto sulla salute dei lavoratori (Tabella 44).
Il CCNL dei metalmeccanici prevede un ammontare di ore di straordinario che il lavoratore deve prestare qualora richiesto dall’azienda (Tabella 45): la sua prestazione a livello individuale viene contrattata qualora se ne modifichino i termini (7,5% delle aziende) – spesso al rialzo – o richiedano la prestazione degli organici al completo della squadra o del reparto (un caso, così come le limitazioni).
Tabella 44 La contrattazione degli orari
V.A. | % | |
Calendario | 3 | 3,2 |
Turni | 8 | 8,6 |
Flessibilità annua | 10 | 10,8 |
Flessibilità giornaliera o settimanale | 9 | 9,7 |
Aumento utilizzo impianti | 5 | 5,4 |
Riduzione utilizzo impianti | 1 | 1,1 |
Totale | 93 | 100 |
Fonte: La Contrattazione Aziendale nella Metalmeccanica in Provincia di Vicenza, 2007
Tabella 45 La contrattazione dello straordinario
V.A. | % | |
No | 84 | 90,3 |
Straordinario individuale | 7 | 7,5 |
Straordinario di Squadra | 1 | 1,1 |
Limitazioni allo straordinario | 1 | 1,1 |
Totale | 93 | 100 |
Fonte: La Contrattazione Aziendale nella Metalmeccanica in Provincia di Vicenza, 2007
Al crescere della dimensione d’impresa aumenta sensibilmente la contrattazione dei turni (oltre un’azienda oltre i 250 dipendenti su quattro) e delle flessibilità collettive per far fronte alle esigenze aziendali (il 50%), ma con diversi profili. Se turnistica, calendario annuo e gestione degli straordinari compaiono nelle aziende oltre i 100 dipendenti, la contrattazione delle flessibilità compaiono in quelle con almeno 50 dipendenti, con valori superiori alla classe dimensionale immediatamente superiore (Tabella 115, Tabella 116).
Questi istituti sono negoziati con intensità diversa fra i vari stili contrattuali. Se nelle aziende dove la regolazione si focalizza sugli integrativi la gestione degli orari si registra nell’8% dei casi, quella degli straordinari nel 4,8% e le flessibilità per l’azienda sono contrattate nel 12,7% dei casi, laddove la contrattazione è solo gestionale o difensiva si contratta solo la flessibilità giornaliera, e infine si registra un caso di limitazione degli straordinari (Tabella 117, Tabella 118). La contrattazione degli orari risulta ovviamente più frequente nella gestione degli orari: in primo luogo la flessibilità annua (40% dei casi) seguita dalla turnistica (33,3%), dalla flessibilità giornaliera o settimanale e dallo straordinario individuale (26,7% entrambi) (Tabella 119, Tabella 120).
4.3.2. La contrattazione delle flessibilità per i lavoratori
La gamma delle flessibilità a beneficio dei lavoratori è composta da un cospicuo numero di strumenti, la cui finalità è ridurre i disagi per il lavoratore, con un impatto positivo sulla sua salute e per un rapporto equilibrato fra lavoro e vita privata. Questi ultimi, un tempo affrontati in via pressoché esclusiva con la riduzione dell’orario di lavoro (ROL), oggi guadagnano di importanza per la crescita degli orari di fatto, ormai stabilmente eccedenti gli orari contrattuali, e per la necessità di una loro flessibilizzazione da parte delle aziende.
Possiamo individuare tre assi (Tabella 46):
• misure compensative di flessibilità in favore dell’azienda: tempi di preavviso del cambio turni (un caso) e banca ore (11,8% delle aziende), che appare la misura più frequente.
• riduzione dell’orario di lavoro finanziata dall’azienda, e cioè a parità di paga, che si osserva nell’8,6% delle aziende, solo in due casi riservata ai soli lavoratori turnisti;
• riduzione dell’orario di lavoro finanziata dal lavoratore/trice, che può essere strutturale (part time, contrattato solo in forma orizzontale nel 7,5% delle aziende), oppure di temporanea uscita dall’azienda (permessi, 9,7%)
• personalizzazione degli orari, con margini di autogestione concordati con l’azienda, prevista in 3 aziende.
A ciascuna di queste modalità possiamo associare un modello di scambio. Nel primo caso il risarcimento avviene nella sfera degli orari; nel secondo può essere l’esito di una diversa organizzazione dei tempi di lavoro – orari, ma anche saturazioni e pause – frutto di interventi di natura tecnologica e/o organizzativa che aumentano la produttività e quindi la capacità di pagare aziendale, a cui si può aggiungere – nel caso della riduzione riservata ai turnisti – uno scambio nella stretta sfera degli orari. Nel terzo caso lo scambio, che provoca una riduzione salariale notevole al lavoratore – ma molto più frequentemente alla lavoratrice – , è la
salvaguardia del posto di lavoro a fronte di necessità personali di breve periodo (permessi) oppure di medio- lungo periodo (part-time). Infine, la personalizzazione degli orari – che va ben oltre l’entrata/uscita flessibile diffusa nel mondo impiegatizio - segue un aumento della responsabilizzazione di chi ne beneficia e quindi una transizione da una supervisione fondata sul tempo trascorso sul lavoro (face time) a una fondata sui risultati (Xxxxxxxxx et al., 2003).
La scarsa presenza di quest’ultima tipologia segnala due fenomeni: la contrattazione si limita a regolare in termini di “regolazione positiva” la dimensione prevalentemente collettiva – intesa come “uniforme” – dello stare sul lavoro, mentre dà spazio alle istanze individuali in termini prevalentemente di “non lavoro”, a dirla con Xxxxxx (2003).
Tabella 46 Le flessibilità degli orari
V.A. | % | |
Preavviso cambio turno | 1 | 1,1 |
Banca ore | 11 | 11,8 |
Part time orizzontale | 7 | 7,5 |
Politiche di genere | 1 | 1,1 |
Permessi per cura | 9 | 9,7 |
Orari personalizzati | 3 | 3,3 |
ROL conpermessi aggiuntivi | 2 | 2,2 |
ROL giornaliera/settimanale | 4 | 4,3 |
ROL solo per turnisti | 2 | 2,2 |
Totale | 93 | 100 |
Fonte: La Contrattazione Aziendale nella Metalmeccanica in Provincia di Vicenza, 2007
La dimensione aziendale è un fattore significativo nello spiegare la diffusione della contrattazione degli orari in favore del lavoratore (o meglio lavoratrice) – come vedremo, non è che questo non avvenga in forma individuale –, ed altrettanto l’appartenenza a gruppi. Gli orari personalizzati contraddistinguono grandi imprese di proprietà estera, anche se comunque minoritari, mentre anche fra le imprese locali –strutturate in gruppi o meno – si rileva un’introduzione non marginale della banca ore (9,8% fra le aziende non appartenenti a gruppi e l’8,3% fra quelle locali strutturate come gruppi) e, soprattutto, dei permessi per cura, anche se non retribuiti (Tabella 121, Tabella 122).
In linea di principio, alcune misure sono più orientate in termini di genere di altre: in linea di principio, le riduzioni di orario appaiono lo strumento più neutrale mentre i permessi per cura quelli maggiormente orientati alle donne, se si adotta un’ottica individuale. Tuttavia, assumendo il punto di vista delle regolazione collettiva (Tabella 47), le cose cambiano: osserviamo che solo l’introduzione della banca ore e di orari personalizzati sono positivamente associati con il grado di terziarizzazione - e cioè di funzioni impiegatizie - della forza lavoro, in particolare la prima, regolata in un’azienda su tre fra quelle a dominanza impiegatizia (oltre il 50% della forza lavoro complessiva). Entrambe introducono opportunità di personalizzazione degli orari, sia pure di grado diverso, per il loro disaccoppiamento dai sincronismi produttivi: se questo conferma che la riduzione degli orari complessivi è una misura sostanzialmente neutra, l’introduzione di permessi non retribuiti e del part-time, e cioè le misure finanziate da chi le richiede, si rivelano le misure cardine di risposta alle esigenze della forza lavoro laddove i reparti produttivi sono preponderanti e la forza lavoro femminile deve adeguarsi a tempi “maschili” delle cadenze produttive, per essere affiancate da altre misure al crescere della loro presenza fino ad assumere un carattere complementare nelle aziende con una parte amministrativa dominante, dove l’espletamento dei compiti ha margini di individualizzazione dei tempi di lavoro ben più elevati
Tabella 47 La contrattazione degli orari in favore del lavoratore per tasso di terziarizzazione della forza lavoro
ANCILLARE | MEDIO | DOMINANTE | TOTALE | |
Banca ore | 0,0% | 8,7% | 33,3% | 11,6% |
Orari personalizzati | 0,0% | 4,3% | 11,1% | 4,7% |
Totale | 25,6% | 53,5% | 20,9% | 100,0% |
Fonte: La Contrattazione Aziendale nella Metalmeccanica in Provincia di Vicenza, 2007
4.4. La formazione professionale
La contrattazione della formazione professionale è un importante indicatore delle strategie di sviluppo delle risorse umane da parte delle imprese, del modello di innovazione adottato (se di iniziativa strettamente manageriale o trainato dalle relazioni industriali) e dei destinatari, se cioè si tratta di una platea ampia, secondo una logica “organizzativa”, oppure se si tratta di un nucleo ristretto di destinatari selezionati
secondo la logica delle “figure chiave”, in combinazione con logiche paternalistiche note come “figli e figliastri”.
Oltre un terzo delle aziende comunica o concorda con le rappresentanze sindacali la previsione di attività di formazione professionale: il 30,1% in termini di previsione generica, con indicazione di macroaree ma senza entrare in ulteriori dettagli, mentre nel 3,2% dei casi l’accordo diventa l’occasione per definire o prevedere la negoziazione di un piano formativo più dettagliato ed in un caso aggiunge a questi la definizione di strumenti gestionali, che ne governino l’implementazione dal lato dell’azienda con opportunità di monitoraggio da parte sindacale. Questi dati sono coerenti con quanto accertato nella contrattazione nell’industria agroalimentare veneta in un periodo analogo (Giaccone, 2005)
La contrattazione/informazione – il confine spesso non è chiaro negli stessi testi – della formazione va oltre in un numero più limitato di aziende: nell’8,6% si prevedono progetti formativi specifici, rivolti a particolari figure professionali piuttosto che a determinate aree dell’azienda oppure per l’acquisizione di competenze più specifiche, mentre nel 3,2% gli interventi formativi sono associati a misure di innovazione tecnologica ed organizzativa, ed in un solo caso è rivolta ad aumentare la competenza delle parti in materia di relazioni industriali, confidando in un suo ruolo trainante per l’innovazione e la competitività aziendale (Tabella 48).
Tabella 48 la contrattazione della formazione professionale
V.A. | % | |
prev generica | 28 | 30,1 |
piano formativo | 3 | 3,2 |
strumenti gestionali | 1 | 1,1 |
formazione specifica | 8 | 8,6 |
formazione per innovazione | 3 | 3,2 |
formazione relazioni industriali | 1 | 1,1 |
Totale | 93 | 100 |
Fonte: La Contrattazione Aziendale nella Metalmeccanica in Provincia di Vicenza, 2007
La contrattazione delle diverse modalità di formazione professionale cresce sia con la dimensione aziendale (Tabella 50) che con l’appartenenza a gruppi produttivi (Tabella 50). La previsione generica passa da un’azienda su sei fra quelle con meno di 50 addetti a quasi un’azienda su due in quelle oltre i 250 dipendenti, dove si concentra peraltro la formazione a fronte di innovazioni tecnologiche ed organizzative, mentre la formazione specifica viene contrattata nel 3,6% delle aziende fino a 100 addetti fino a raggiungere il 22,2% in quello oltre i 250 (Tabella 49).
Poco più del 23% delle aziende non inserite in gruppi oppure in gruppi di proprietà italiana non locale prevedono attività formative in generale, percentuale che sale al 35% nelle aziende di proprietà estera ed al 58,1% dei gruppi di proprietà locale. I piani formativi sono previsti tuttavia sono in aziende di proprietà non locale, sia italiana che estera, mentre per la formazione specifica si osserva una concentrazione superiore alla media per i gruppi di proprietà estera, dove si registra l’unico caso di formazione nel campo delle relazioni industriali (Tabella 50).
Tabella 49 La contrattazione della formazione professionale per dimensione aziendale
FINO A 000 | 000-000 | OLTRE 250 | TOTALE | |
Prev generica | 28,6% | 37,9% | 44,4% | 34,7% |
Piano formativo | 0,0% | 3,4% | 11,1% | 4,0% |
Strumenti gestionali | 0,0% | 0,0% | 5,6% | 1,3% |
Formazione specifica | 3,6% | 10,3% | 22,2% | 10,7% |
Formazione per innovazione | 0,0% | 0,0% | 16,7% | 4,0% |
Totale | 37,3% | 38,7% | 24,0% | 100,0% |
Fonte: La Contrattazione Aziendale nella Metalmeccanica in Provincia di Vicenza, 2007
Tabella 50 La contrattazione della formazione professionale per appartenenza a gruppi
NO | LOCALE | ITALIA | ESTERO | TOTALE | |
Prev generica | 23,5% | 58,3% | 23,1% | 35,3% | 30,1% |
Piano formativo | 2,0% | 0,0% | 7,7% | 5,9% | 3,2% |
Strumenti gestionali | 0,0% | 0,0% | 0,0% | 5,9% | 1,1% |
Formazione specifica | 3,9% | 8,3% | 7,7% | 23,5% | 8,6% |
Formazione per innovazione | 0,0% | 8,3% | 0,0% | 11,8% | 3,2% |
Formazione relazioni industriali | 0,0% | 0,0% | 0,0% | 5,9% | 1,1% |
Totale | 54,8% | 12,9% | 14,0% | 18,3% | 100,0% |
Fonte: La Contrattazione Aziendale nella Metalmeccanica in Provincia di Vicenza, 2007
Al crescere della quota di impiegati aumenta la diffusione dell’uso della formazione professionale, passando dal 18,2% nelle aziende dove meno del 20% della manodopera è impiegata in mansioni non operaie al 26,1% in quelle dove questa quota è compresa fra il 20 e il 50% per balzare a oltre il 77% in quelle dove le figure impiegatizie sono oltre il 50% della forza lavoro. Questo dato evidenzia che nelle imprese a dominanza impiegatizia le competenze sono più codificate e basate in misura più contenuta sull’esperienza. Tuttavia, il governo delle politiche formative appare più strutturato nelle imprese a media terziarizzazione, dove una presenza maggioritaria ma non preponderante delle “tute blu” – possibilmente ben professionalizzate – si salda con le esigenze delle figure tecniche – ma non solo (Tabella 123, Tabella 124, Tabella 125).
È infine da notare che la contrattazione della formazione appare decrescere al crescere della sindacalizzazione. A questo contribuisce in primo luogo un effetto composizione – e cioè nell’industria gli impiegati presentano un tasso di sindacalizzazione normalmente inferiore agli operai, e spesso di gran lunga
– ma non può sfuggire che strumenti di pianificazione e governo delle politiche formative si concentrino nelle aziende a bassa sindacalizzazione, dove comunque il sindacato può esercitare al più una pressione debole sulla direzione aziendale. Tuttavia, nonostante questa debolezza apparente, le forme più innovative di formazione professionale (quelle per l’innovazione e per le relazioni industriali) si concentrano nelle aziende dove le relazioni industriali sono più evolute e complesse.
4.5. Salute e sicurezza
La contrattazione dei temi della salute e sicurezza sul lavoro risente della distinzione formale fra RSU e Rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza (RLS). La specializzazione delle attività degli RLS ha da un lato reso più diretto il confronto fra azienda e lavoratori, dall’altro ha comportato la sua sostanziale fuoriuscita, già osservata con il recepimento della direttiva comunitaria 391/89 a metà anni Novanta (Giaccone, 1996, 1997), dalla contrattazione scritta. Scompaiono quasi totalmente, infatti, clausole su argomenti quali visite mediche, verifiche periodiche degli ambienti di lavoro, abiti da lavoro ed attrezzature antinfortunistiche, che erano fra le più frequenti della contrattazione integrativa aziendale fino ai primi anni ’90, spesso nella “parte bassa” degli accordi.
Pertanto, la regolare interazione fra responsabili della sicurezza delle due parti causa una sostanziale bipartizione della regolazione: da un lato viene assorbita dalla produzione documentale che l’azienda è tenuta a produrre per i soggetti pubblici titolari della materia – in primo luogo gli Spisal – passando dalla sfera contrattuale privata a quella dell’obbligo legale, dall’altro si è “immersa” – per usare il ben noto schema di Nonaka e Takeuchi (1995) in una regolazione “implicita” ma non “tacita”.
Nel complesso, le tematiche della salute e sicurezza sono affrontate in 16 aziende, pari al 17,2% del nostro universo. In metà di queste (8,6% del totale) si prevedono verifiche periodiche ed indagini ambientali, mentre nel 5,4% si prevedono interventi ergonomici; valori minori si riscontrano per visite mediche, indagini climatiche, nocività e sostanze chimiche e informazione sui rischi (Tabella 51).
L’inserimento di queste tematiche nella contrattazione integrativa o gestionale, pertanto, rappresenta un’anomalia, che si può ipotizzare risponda a due situazioni limite: la prima di grave carenza dei soggetti specializzati, la seconda di volontà delle parti di attribuire un’enfasi alle interazioni fra salute e sicurezza e regolazione della produzione, in termini tanto organizzativi che di orari, ben oltre le regole legali consolidatesi con il dlgs 626/94. Poiché si osserva una forte concentrazione di queste previsioni nelle aziende oltre i 250 dipendenti che presentano contrattazione tanto integrativa che gestionale, la seconda delle ipotesi sopra avanzate appare nettamente prevalente (Tabella 52, Tabella 53).
Tabella 51 La contrattazione di ambiente e sicurezza sul lavoro
V.A. | % | |
Visite mediche | 2 | 2,2 |
Verifica periodica | 8 | 8,6 |
Interventi ergonomici | 5 | 5,4 |
Caldo-freddo | 3 | 3,2 |
Nocività e sostanze chimiche | 3 | 3,2 |
Informazione rischi | 2 | 2,2 |
Altro | 2 | 2,2 |
Totale | 93 | 100 |
Fonte: La Contrattazione Aziendale nella Metalmeccanica in Provincia di Vicenza, 2007
Tabella 52 La contrattazione di ambiente e sicurezza per dimensione aziendale
FINO A 50 | 50-99 | 100-249 | OLTRE 250 | TOTALE | |
Verifica periodica | 8,3% | 0,0% | 0,0% | 38,9% | 10,7% |
Interventi ergonomici | 0,0% | 0,0% | 3,4% | 22,2% | 6,7% |
Informazione rischi | 0,0% | 0,0% | 0,0% | 11,1% | 2,7% |
Altro | 0,0% | 0,0% | 3,4% | 5,6% | 2,7% |
Totale | 16,0% | 21,3% | 38,7% | 24,0% | 100,0% |
Fonte: La Contrattazione Aziendale nella Metalmeccanica in Provincia di Vicenza, 2007
Tabella 53 La contrattazione di ambiente e sicurezza per stile contrattuale egemone
INTEGRATIVO | GESTIONALE | DIFENSIVO | PROROGA INTEGRATIVO | INTEGRATIVI E GESTIONALI | TOTALE | |
indagini ambientali | 4,8% | 0,0% | 0,0% | 0,0% | 33,3% | 8,6% |
Totale | 67,7% | 6,5% | 4,3% | 5,4% | 16,1% | 100,0% |
Fonte: La Contrattazione Aziendale nella Metalmeccanica in Provincia di Vicenza, 2007
5. Quinto Capitolo
La contrattazione del salario
Xxxxx Xxxxxxxx
5.1. La contrattazione del premio di risultato
Dai numerosi studi condotti tanto su base locale che nazionale da oltre un ventennio (Biagioli e Cardinaleschi, 1991, tra i primi), la contrattazione del salario costituisce la voce più diffusa della contrattazione aziendale, in particolare di quella integrativa. Molti studi concordano nel ritenere che il protocollo del 23 luglio 1993, abbia favorito la diffusione della contrattazione di secondo livello ed aziendale, in particolare grazie alla definizione di una rappresentanza dei lavoratori in azienda (RSU) e di un salario aziendale dai caratteri non irreversibili, in particolare il salario per obiettivi (SpO nel seguito) concordati fra le parti, ridistribuendo in tal modo i guadagni di produttività a livello aziendale.
Si possono individuare quattro ambiti di negoziazione del salario a livello aziendale:
• il salario per obiettivi di risultato, in particolare la definizione dei meccanismi premianti, gli importi di riferimento, le clausole di esclusione e i meccanismi di verifica;
• le revisioni a livello aziendale delle indennità a fronte di disagi;
• il salario legato alla professionalità, che si sovrappone all’inquadramento;
• le eventuali voci in cifra fissa.
A queste vanno aggiunte, come parte del pacchetto delle compensazioni, quelle voci di welfare (dalla mensa e/o buono pasto al diritto allo studio alle casse aziendali fino alla previdenza integrativa) che assumono un significato ambivalente, fra beneficio economico e sviluppo di senso di condivisione o di appartenenza all’azienda, con un evidente impatto sulla motivazione.
5.1.1. Il salario per obiettivi di risultato
L’analisi del salario per obiettivi di risultato può essere condotta sotto due punti di vista, e cioè prendendo rispettivamente come unità di riferimento gli accordi e le aziende. Questi due punti di vista coincidono se si prende in esame la sola contrattazione integrativa su un periodo di tempo che risulta uguale per entrambi i livelli negoziali. Non essendo questo il nostro caso e le caratteristiche del periodo in esame, entrambi gli aspetti vanno presi in considerazione, focalizzando nel primo caso i meccanismi premianti intrinseci, nel secondo i nessi con le caratteristiche strutturali delle aziende.
Il salario per obiettivi sulla base degli accordi
La contrattazione del premio di risultato dovrebbe essere associata alla contrattazione integrativa, essendone l’elemento centrale. Dalla Tabella 54 possiamo osservare che è così in poco più del 90% degli accordi integrativi; esistono infatti alcuni casi di aziende medio-grandi che, per l’intensa attività negoziale, presentano numerosi accordi dedicati a una specifica problematica che, dopo le dovute sperimentazioni, ricodificano un intero istituto, assumendo pertanto una natura normativa e quindi il rango di contratto integrativo. Si può osservare che in qualche caso la contrattazione gestionale interviene in sede di rimodulazione di importi ed indicatori (7,7% degli accordi gestionali) mentre di frequente gli accordi di proroga dei contratti integrativi richiamano la struttura degli indicatori (59,1% dei casi) – con eventuali correzioni dei pesi – e, più frequentemente, definizione degli importi nell’attesa di una ridefinizione dell’intero meccanismo (81,8%). Dalla Tabella 55 si può inoltre notare una presenza maggiore delle Associazioni industriali in sede di definizione degli importi rispetto alla definizione degli indicatori.
Tabella 54 La contrattazione del salario per obiettivi per tipologia di accordi
CONTRATTAZIONE INDICATORI | CONTRATTAZIONE IMPORTI | TOTALE ACCORDI | ||||
V.A | % | V.A | % | V.A | % | |
Integrativo | 97 | 90,7 | 77 | 72,0 | 107 | 64,1 |
Gestionale | 2 | 7,7 | 2 | 7,7 | 26 | 15,6 |
Difensivo | 0 | 0,0 | 0 | 0,0 | 12 | 7,2 |
Proroga integrativo | 13 | 59,1 | 18 | 81,8 | 22 | 13,2 |
Totale | 112 | 67,1 | 97 | 58,1 | 167 | 100,0 |
Fonte: La Contrattazione Aziendale nella Metalmeccanica in Provincia di Vicenza, 2007
Tabella 55 L’intervento delle associazioni industriali nella contrattazione del salario per obiettivi
CONTRATTAZIONE INDICATORI SPO | CONTRATTAZIONE IMPORTI SPO | TOTALE ACCORDI | ||||
V.A | % | V.A | % | V.A | % | |
No | 73 | 65,2 | 56 | 57,7 | 106 | 63,5 |
Locale | 39 | 34,8 | 41 | 42,3 | 61 | 36,5 |
Totale | 112 | 67,1 | 97 | 58,1 | 167 | 100,0 |
Fonte: La Contrattazione Aziendale nella Metalmeccanica in Provincia di Vicenza, 2007
Gli indicatori dagli accordi aziendali: un’analisi descrittiva
Gli indicatori nel premio di risultato forniscono importanti indicazioni sul mix strategico. Si può osservare che (Tabella 56), nell’ordine, i più contrattati sono gli obiettivi di produzione (54,5% degli accordi), di qualità (43,7%), di redditività (40,2%), di presenza/assenteismo (34,8%), di efficienza/efficacia (27,7%), con una media di 2,17 indicatori per accordo. Per la notevole diversificazione delle tipologie d’impresa, è da attendersi una forte diversificazione dei profili: non si può mancare di rilevare che la buona diffusione degli indicatori legati alla qualità si accompagna ad indicatori mediamente più “semplici” ed “economici” da gestire come gli obiettivi produttivi, la redditività e la presenza che non richiedono sistemi di contabilità industriale e di controllo di gestione particolarmente accurati. Non è da escludere che in alcuni casi la scelta di indicatori “semplici” sia più “politica” che vincolata dai sistemi di monitoraggio interni all’azienda. È quanto si vedrà nel seguito della discussione.
Tabella 56 Rilevanza degli indicatori
V.A | % | |
Redditività | 45 | 40,2% |
Produzione | 61 | 54,5% |
Presenza assenteismo | 39 | 34,8% |
Qualità | 49 | 43,7% |
Infortuni | 9 | 8,0% |
Efficienza/produttività/efficacia | 31 | 27,7% |
Totale | 112 | 100,0% |
Fonte: La Contrattazione Aziendale nella Metalmeccanica in Provincia di Vicenza, 2007
Il numero di indicatori per accordo costituisce una prima informazione di rilievo: ben un terzo degli accordi prevede un solo indicatore sulla base del quale calcolare il salario per obiettivi, mentre un altro terzo ne prevede due e poco più di un quarto (27,7%) ne presentano tre. Appare evidente la combinazione di significato “politico” e sistemi di rendicontazione semplificati, tipici di imprese a conduzione familistica anche se non necessariamente di piccola dimensione.
Tabella 57 Numero di indicatori per accordo
V.A. | % | |
1 | 37 | 33 |
2 | 37 | 33 |
3 | 31 | 27,7 |
4 | 5 | 4,5 |
5 | 2 | 1,8 |
Totale | 112 | 100 |
Numero medio indicatori | 2,17 |
Fonte: La Contrattazione Aziendale nella Metalmeccanica in Provincia di Vicenza, 2007
La Tabella 58 evidenzia che, al crescere del numero degli indicatori, questi si spostano da famiglie di indicatori di semplice misurazione (redditività, produzione) a indicatori di calcolo più complesso, tratti dalla contabilità industriale. Fa eccezione l’indicatore di presenza/assenteismo, che peraltro non entra come indicatore a sé stante ma come forma di personalizzazione del premio stesso. Questo slittamento è in relazione con la dimensione aziendale. Pertanto, negli accordi dove il premio di risultato si fonda su un solo obiettivo, questo ha un valore spesso simbolico, di facile misurazione e/o dimostrazione, prevalentemente orientato al prodotto più che alla spartizione di un beneficio per l’azienda (redditività) o alla presenza. Questi ultimi tratti tendono ad accentuarsi negli accordi con due obiettivi, perdendo tuttavia tratti “politici” in favore di quelli “operativi”.
Negli accordi che legano il salario per obiettivi a tre parametri si osservano tre fenomeni: innanzi tutto, gli obiettivi di produzione cedono il passo ad obiettivi di efficienza, produttività ed efficacia, associati con la presenza e temperati, quando non corretti, dalla qualità che diventa l’indicatore più diffuso. Come evidenziato da Da Villa et al. (1997), la combinazione produttività/assenteismo è tipica di una diretta filiazione dai sistemi di contabilità industriale, che rappresentano le due facce dell’efficienza produttiva: è evidente la leadership aziendale in questa tipologia d’impresa. Negli accordi, infine, con oltre 3 indicatori declina ulteriormente il peso attribuito alla produttività ma al contempo la pluralità di indicatori fa comunque percepire l’intenzione di tenere sotto controllo il processo produttivo sotto una molteplicità di punti di vista.
Tabella 58 Indicatori di salario per obiettivi per numero degli indicatori
1 | 2 | 3 | PIÙ DI 3 | TOTALE | |
Redditività | 29,7% | 43,2% | 48,4% | 42,9% | 40,2% |
Produzione | 35,1% | 67,6% | 54,8% | 85,7% | 54,5% |
Presenza assenteismo | 13,5% | 24,3% | 61,3% | 85,7% | 34,8% |
Qualità | 18,9% | 43,2% | 64,5% | 85,7% | 43,7% |
Infortuni | 0,0% | 5,4% | 9,7% | 57,1% | 8,0% |
Efficienza/produttività/efficacia | 2,7% | 16,2% | 61,3% | 71,4% | 27,7% |
33,0% | 33,0% | 27,7% | 6,3% | 100,0% |
Fonte: La Contrattazione Aziendale nella Metalmeccanica in Provincia di Vicenza, 2007
La Tabella 59 descrive i meccanismi premianti per ciascun indicatore, fornendo qualche segnale su una natura prevalentemente incentivante piuttosto che distributiva, che tuttavia può essere pienamente apprezzata solo a livello aziendale con un’analisi specifica di come i valori sono posizionati: se questi sono “comodi”, prevale il connotato redistributivo, viceversa se sono “impegnativi” prevale quello incentivante. Gli indicatori di tipo 0/1 presentano una diffusione più elevata negli indicatori di produzione e di qualità, nel secondo caso spesso legato al mantenimento delle certificazioni, ed appare prevalente fra gli indicatori legati al numero degli infortuni, sotto la forma di raggiungimento dell’obiettivo “zero infortuni” oppure di riduzione del loro numero. Questa famiglia di indicatori segnala un sistema di controllo “a vista”, nel secondo è evidente il significato quasi “politico”, di reciproca garanzia essendo di norma non particolarmente problematico il mantenimento della certificazione di qualità facendo condividere un segnale di “saper stare” sul mercato. Gli indicatori del tipo 0-max (cioè non esiste un valore minimo per accedere il premio) sono piuttosto rari ed assumono un qualche rilievo solo in rapporto alla presenza e alla qualità, dove assumono la funzione di “riduttori” dell’importo del premio, calcolato sulla base di altri indicatori, segnatamente di produzione ed efficacia/efficienza.
Gli indicatori del tipo “minimo-massimo” (e cioè con una soglia di godimento minima da parte del lavoratore) sono decisamente maggioritari fra gli indicatori di produzione (poco meno del 50% dei casi) e soprattutto di redditività (oltre il 55%), contro circa un quarto degli altri indicatori, evidenziando un diffuso carattere redistributivo di questi indicatori che si accompagna, spesso prevalendo, su quello incentivante.
Gli indicatori 0-min-max prevedono una soglia minima dell’indicatore per accedere al premio, o a quella componente: appare maggiormente diffusa nell’indicatore di presenza/assenteismo, che spesso accompagna indicatori di qualità ed efficienza/produttività. Infine, il meccanismo “punto medio con scostamenti” appare poco diffuso fra tutti i parametri.
Tabella 59 Caratteristiche dei meccanismi premianti per indicatori
0/1 | 0-MAX | MIN-MAX | 0-MIN-MAX | PUNTO O MEDIO CON SCOSTAMENTI | TOTALE | |
Redditività | 2,4% | 1,8% | 15,0% | 6,0% | 1,8% | 40,2% |
Produzione | 12,0% | 18,0% | 5,4% | 1,2% | 12,0% | 54,5% |
Presenza assenteismo | 4,8% | 3,6% | 6,0% | 8,4% | 0,6% | 34,8% |
Qualità | 9,6% | 4,2% | 7,8% | 7,2% | 0,6% | 43,7% |
Infortuni | 3,0% | 0,6% | 1,2% | 0,6% | 8,0% | |
Efficienza/produttività/efficacia | 2,4% | 3,6% | 4,8% | 7,2% | 0,6% | 27,7% |
Fonte: La Contrattazione Aziendale nella Metalmeccanica in Provincia di Vicenza, 2007
L’evoluzione temporale del mix degli indicatori è riassunto nella Figura 16. L’incidenza degli indicatori di redditività conoscono un significativo declino dal 2000 al 2001 (dal 41% al 25%) e quindi raggiungere il suo valore massimo nel 2004 (55%). Gli indicatori di produzione – i più diffusi – aumentano significativamente nel 2001 (da 62,5% al 75%) per declinare fino al 30% del 2003 e quindi assestarsi al 55% del 2004-2005, non meno oscillante l’incidenza degli indicatori di presenza ed assenteismo, che nel 2000, 2001 e 2003 si colloca attorno al 40% per ridursi al 20% nel 2002 e nel 2004, Viceversa, gli indicatori di qualità sono presenti stabilmente nel 40-50% degli accordi, salvo il 2004, anno in cui scendono al 30%. Gli indicatori legati agli infortuni hanno un certo rilievo nel 2002 e nel 2005, mentre gli indicatori di efficienza, produttività ed efficacia presentano i valori minimi nel biennio 2000 (circa il 20%) per risalire fino al 40% nel biennio 2002-2203 e quindi attestarsi attorno al 30% nel biennio successivo.
Gli indicatori legati a obiettivi di produzione appaiono i più erratici, registrano i valori minimi nella fase più critica del ciclo (il biennio 2002-2003).
Figura 16 Evoluzione del mix degli indicatori 2000-2005
redditività
presenza assenteismo infortuni
produzione qualità
efficienza/produttività/efficacia
80%
70%
60%
50%
40%
30%
20%
10%
0%
2000
2001
2002
2003
2004
2005
Fonte: La Contrattazione Aziendale nella Metalmeccanica in Provincia di Vicenza, 2007
5.1.2. Gli indicatori per azienda: il fallimento del premio di risultato?
Si è visto che la contrattazione degli indicatori passa per la contrattazione integrativa, sia pure in qualche caso nelle proroghe, mentre la contrattazione degli importi può avvenire anche in sede di contrattazione gestionale, transando eventuali situazioni di criticità. Viceversa, la contrattazione degli importi in alcuni casi sfugge alla stessa contrattazione integrativa, lasciando interrogativi sull’effettività del meccanismo che meritano di essere investigati.
Tabella 60 Titolo della tabella
CONTRATTAZIONE INDICATORI SPO | CONTRATTAZIONE MPORTI SPO | TOTALE AZIENDE | ||||
V.A | % | V.A | V.A | % | ||
Integrativo | 60 | 78,9% | 50 | 73,5% | 62 | 69,7% |
Gestionale | 0 | 0,0% | 1 | 1,5% | 6 | 6,7% |
Difensivo | 0 | 0,0% | 0 | 0,0% | 1 | 1,1% |
Proroga integrativo | 3 | 3,9% | 4 | 5,9% | 5 | 5,6% |
Integrativi e gestionali | 13 | 17,1% | 13 | 19,1% | 15 | 16,9% |
76 | 82,6% | 68 | 76,4% | 89 | 100,0% |
Fonte: La Contrattazione Aziendale nella Metalmeccanica in Provincia di Vicenza, 2007
Si può osservare che al diminuire del numero di indicatori utilizzati, questi tendono ad essere rinegoziati più frequentemente rilevando un aumento del rischio che le avversità congiunturali oppure una non corretta taratura producano forme di scontento nella forza lavoro. Questo induce aziende e rappresentanze sindacali a rinegoziare il meccanismo stesso oppure a riposizionare i valori chiave o a transare gli importi: la conseguenza è la loro sterilizzazione, trasformando il salario per obiettivo in mero salario aleatorio dal quale non si può escludere una finalità elusiva. In qualche caso le parti, consapevoli di ciò, stabiliscono infatti una durata dell’accordo più breve di quella prevista per l’integrativo (quattro anni).
Tabella 61 Numero degli indicatori di salario per obiettivi per azienda
V.A. | % | |
1 | 19 | 25,0% |
2 | 24 | 31,6% |
3 | 26 | 34,2% |
4 | 5 | 6,6% |
5 | 2 | 2,6% |
totale | 76 | 100,0% |
Fonte: La Contrattazione Aziendale nella Metalmeccanica in Provincia di Vicenza, 2007
Pertanto, nel mappare i meccanismi premianti per il numero di indicatori impiegati appare molto più marcato il fenomeno di slittamento da indicatori “semplici”, in prevalenza di natura sintetica, a indicatori complessi di natura analitica, descritto nella Tabella 59, fenomeno che appare particolarmente evidente nel caso degli indicatori di efficienza/produttività o efficacia (Tabella 62).
Tabella 62 Famiglie di indicatori secondo la numerosità
1 | 2 | 3 | PIÙ DI 3 | TOTALE | |
Redditività | 36,8% | 33,3% | 42,3% | 71,2% | 40,8% |
Produzione | 31,6% | 66,7% | 50,0% | 100,0% | 55,3% |
Presenza assenteismo | 21,1% | 33,3% | 61,5% | 85,7% | 44,7% |
Qualità | 10,5% | 50,0% | 61,5% | 100,0% | 48,7% |
Infortuni | 0,0% | 8,3% | 19,2% | 14,3% | 10,5% |
Efficienza/produttività/efficacia | 0,0% | 8,3% | 65,4% | 57,2% | 30,3% |
25% | 31,6% | 34,2% | 9,2% |
Fonte: La Contrattazione Aziendale nella Metalmeccanica in Provincia di Vicenza, 2007
Tabella 63 Importi ed indicatori del premio di risultato
REDDITIVITÀ | PRODUZIONE | ASSENTEISMO | QUALITÀ | INFORTUNI | EFFICIENZA | TOTAL | NUMERO MEDIO INDICATORI | |
Importo non contrattato | 33,3% | 25,0% | 33,3% | 50,0% | 25,0% | 25,0% | 15,8% | 1,92 |
Fino a 250 € | 0,0% | 50,0% | 50,0% | 0,0% | 50,0% | 0,0% | 2,6% | 1,50 |
250-500€ | 40,0% | 60,0% | 40,0% | 50,0% | 0,0% | 10,0% | 13,2% | 2,00 |
500-1000€ | 38,7% | 64,5% | 38,7% | 51,6% | 6,5% | 25,8% | 40,8% | 2,26 |
1000-2000€ | 52,6% | 63,2% | 63,2% | 47,4% | 10,5% | 52,6% | 25,0% | 2,90 |
oltre 2000€ | 0,0% | 0,0% | 100,0% | 100,0% | 0,0% | 100,0% | 1,3% | 3,00 |
Monte salari | 100,0% | 0,0% | 0,0% | 0,0% | 0,0% | 0,0% | 1,3% | 1,00 |
40,8% | 55,3% | 44,7% | 48,7% | 10,5% | 30,3% | 100,0% | 2,30 |
Fonte: La Contrattazione Aziendale nella Metalmeccanica in Provincia di Vicenza, 2007
La Tabella 63 descrive come variano gli indicatori - per tipologia e per numero - al crescere degli importi massimi concordati nelle aziende. Laddove gli importi non sono concordati – e cioè i casi di rinegoziazione degli indicatori o dei loro meccanismi di calcolo senza intaccare gli importi – il loro numero medio è pari a 1,92, con una frequenza maggiore per gli indicatori di qualità (50%) e quindi di redditività e assenteismo (una su tre). Si osserva un solo caso di fissazione di un monte salari da ripartire fra i dipendenti, il cui indicatore è una percentuale dei profitti aziendali.
Al crescere degli importi, il numero degli indicatori aumenta: da 1,5 nelle aziende con importi sotto i 250 € a poco meno di 3 indicatori per importi oltre i 1000 €.
Nelle aziende con importi inferiori a 250€ sono associati a indicatori di presenza, produzione e infortuni: si tratta di pochi casi e possono essere associati ad aziende “marginali”. Nelle aziende con importi compresi fra i 250 e i 500 € sono maggiormente presenti indicatori di produzione (60%), quindi di qualità (50%) e redditività/assenteismo (40%).
Nelle aziende dove si contrattano importi massimi compresi fra i 500 e i 1000 € sono di gran lunga prevalenti gli indicatori di produzione (64,5%) e quindi di qualità (51,6%) mentre quelli di redditività e assenteismo sono presenti nel 38,7% di questo gruppo di aziende.
In presenza di importi massimi compresi fra i 1000 e 2000 € si osservano più frequentemente obiettivi di produzione ed assenteismo (poco meno di due su tre), quindi di redditività ed efficienza (52,6%) ma anche qualità (47,4%), e pertanto con indicatori più complessi. Infine, l’azienda che contratta importi oltre i 2000 € presenta indicatori di efficienza/produttività e qualità, commisurati alla presenza individuale.
Si possono pertanto raggruppare le imprese in tre fasce di erogazione massima che presentano comportamenti abbastanza simili. La prima è costituita dalle aziende dove si negoziano importi inferiori ai 250€, caratterizzate da sistemi di rendicontazione e controllo di gestione poco sviluppati per la presenza di indicatori molto “visivi” e immediati, proprio di imprese piccole e/o marginali. La seconda è caratterizzata dalle imprese con importi compresi fra i 250 e i 1000€, dove accanto a situazioni con sistemi di gestione poco strutturati convivono aziende più strutturate con una capacità di pagare limitata. La terza fascia è costituita dalle aziende dove si contrattano importi superiori ai 1000 €, combinando sistemi di controllo di gestione e contabilità analitica sufficientemente sviluppati, con una buona capacità di pagare, con indicatori prevalentemente analitici e dove il legame con la presenza ha ragioni multiple, tanto di natura “politica”, riconducibili a Federmeccanica, quanto suggerite dalla contabilità industriale e fondate sul confronto fra tempi assegnati e tempi effettivi, riconducibile a una logica gestionale di “management by stress”.
Com’era facilmente intuibile dalla discussione sopra fatta, la complessità dei meccanismi premianti cresce al crescere della dimensione aziendale. Oltre il 55% delle aziende fino a 100 dipendenti prevede un solo indicatore, il 46,7% delle aziende comprese fra 50 e 99 dipendenti prevede 3 indicatori, mentre meccanismi premianti con almeno 4 indicatori sono presenti solo nelle aziende con almeno 100 dipendenti.
Tabella 64 Numero indicatori SPO per dimensioni aziendali
1 | 2 | 3 | 4 E PIÙ | ||
fino a 100 | 41,7% | 20,8% | 37,5% | 0,0% | 37,5% |
100-249 | 13,6% | 40,9% | 36,4% | 4,5% | 34,4% |
oltre 250 | 11,1% | 27,8% | 38,9% | 16,7% | 28,1% |
23,4% | 29,7% | 37,5% | 6,3% | 100,0% |
Fonte: La Contrattazione Aziendale nella Metalmeccanica in Provincia di Vicenza, 2007
Se consideriamo l’importo massimo del premio di risultato come una proxy dell’ability to pay, è evidente dalla Tabella 65 come questa sia correlata con la dimensione aziendale. Le aziende con meno di 50 addetti sono sovrarappresentate per importi inferiori ai 500€, mentre le medio-piccole (50-99 addetti) registrano una forte concentrazione per importi massimi compresi fra i 500 e i 1000€. Infine, le imprese con oltre 100 dipendenti sono sovrarappresentate in caso di importi oltre i 1000€.
Tabella 65 Importi SpO per classe dimensionale
FINO A 000 | 000-000 | OLTRE 250 | TOTALE | |
Fino a 250 € | 0,0% | 0,0% | 0,0% | 3,4% |
250-500€ | 12,5% | 16,7% | 13,3% | 15,3% |
500-1000€ | 56,3% | 50,0% | 46,7% | 52,5% |
1000-2000€ | 6,3% | 33,30% | 33,30% | 27,10% |
Oltre 2000€ | 0,0% | 0,0% | 6,7% | 1,7% |
33,9% | 40,7% | 25,4% | 100,0% |
Fonte: La Contrattazione Aziendale nella Metalmeccanica in Provincia di Vicenza, 2007
Infine, la numerosità degli accordi aziendali fornisce informazioni interessanti sulla complessità del meccanismo premiante. Si confermano casi di frequente rinegoziazione nel caso si preveda un solo indicatore, mentre si può osservare una notevole dispersione, sia pure tendente alla crescita, al crescere del numero degli accordi: in generale, gli accordi raggiungono il loro valore minimo con due indicatori, per poi riprendere a crescere. In quest’ultimo caso si tratta di contrattazione non salariale, di carattere tipicamente gestionale fino alla ricodifica per materia.
Infine, si osserva una chiara relazione positiva fra complessità del meccanismo premiante e ampiezza e strutturazione del coinvolgimento delle rappresentanze. Laddove non si osserva nessun coinvolgimento non si registrano meccanismi con più di tre indicatori, mentre laddove sono presenti commissioni bilaterali il meccanismo premiante è composto da almeno tre indicatori.
Tabella 66 Indicatori per numero di accordi
1 | 2 | 3 | 4 | ||
1 | 52,6 | 66,7 | 53,8 | 0,0 | 52,6 |
2 | 36,8 | 25,0 | 15,4 | 71,3 | 28,9 |
3 | 5,3 | 4,2 | 19,2 | 0,0 | 9,2 |
4 | 5,3 | 0,0 | 7,7 | 0,0 | 3,9 |
5 o più | 0,0 | 4,2 | 0,0 | 28,3 | 5,2 |
25,0 | 31,6 | 34,2 | 9,2 | 100,0 | |
Media accordi | 1,24 | 1,54 | 2,04 | 2,5 | 2,08 |
Fonte: La Contrattazione Aziendale nella Metalmeccanica in Provincia di Vicenza, 2007
Tabella 67 Grado di coinvolgimento
1 | 2 | 3 | 4 E PIÙ | ||
Nessun coinvolgimento | 31,6% | 37,5% | 19,2% | 0,0% | 26,3% |
Solo informazioni | 26,3% | 20,8% | 19,2% | 14,1% | 21,1% |
Consultivo | 42,1% | 41,7% | 53,8% | 57,1% | 47,4% |
Commissioni bilaterali | 0,0% | 0,0% | 7,7% | 28,3% | 5,3% |
25,0% | 31,6% | 34,2% | 6,6% | 100,0% |
Fonte: La Contrattazione Aziendale nella Metalmeccanica in Provincia di Vicenza, 2007
Meccanismi distributivi, esclusioni e verifiche
Le forme di godimento e il sistema di monitoraggio costituiscono la dimensione “sociale” del salario per obiettivi, nel senso che individuano le regole distributive, costituendone la parte “terminale”.
In poco più del 20% delle aziende con salario per obiettivi, questo viene assegnato uguale per tutti.
Il consolidamento del salario per obiettivi è oggetto non solo di conflitto “politico” fra le controparti, ma anche di stili gestionali per la presenza di indicatori “saturati”, ormai stabilizzati con margini di miglioramento pressoché nulli, in contrasto con il principio della “piena variabilità” di questo istituto salariale, surrettiziamente corretto con incrementi progressivi dei valori massimi e una pratica che tende a garantirne l’erogazione, salvo in situazione di grave difficoltà aziendale. Questo duplice conflitto lo rende una pratica ampiamente minoritaria e proprio per questo i 4 casi registrati sono degni di nota.
Infine, nel 14,7% delle aziende con contrattazione del salario per obiettivi, l’erogazione di quest’ultimo è subordinata a un risultato reddituale positivo o, in qualche caso, pari al suo monte salari complessivo. Questo meccanismo sembra caratterizzare le aziende più fragili, tanto sotto il profilo economico quanto sotto quello delle relazioni industriali. Tuttavia, l’assenza di regolazione non implica esclusione tout court: la definizione delle inclusioni può essere avvenuta in precedenti accordi, oppure concordata informalmente o, infine, non se ne è avvertita la necessità per assenza di neoassunti e/o lavoratori atipici.
Nella Tabella 69 si riportano le esclusioni per neoassunti e lavoratori atipici, totali o parziali, dal godimento del salario per obiettivi. Si può osservare che si tende a considerare come criterio più diffuso di restrizione lo status contrattuale piuttosto che l’anzianità, tenuto conto della diffusione del lavoro somministrato come contratto di ingresso: mentre in tre quarti dei casi non vi è alcuna esclusione per i neoassunti, si scende al 35,3% per i lavoratori atipici. Le esclusioni parziali, specie quelle legate all’anzianità, sono più diffuse di quelle totali, che tuttavia riguardano nel 5,9% i neoassunti e nel 23,5% gli atipici.
Tabella 68 Criteri distributivi aziendali
V.A. | % | |
Uguale per tutti | 14 | 20,6 |
Parametrato | 31 | 45,6 |
Consolidamento SPO | 4 | 5,9 |
Sbarramenti reddituali | 10 | 14,7 |
Fonte: La Contrattazione Aziendale nella Metalmeccanica in Provincia di Vicenza, 2007
Tabella 69 Esclusioni
ATIPICI | NEOASSUNTI | |||
V.A. | % | V.A. | % | |
Nessuna esclusione | 24 | 35,3 | 51 | 75 |
Parziali anzianità (6-12 mesi) | 23 | 33,8 | 10 | 14,7 |
Parziale indicatori/importi | 5 | 7,4 | 3 | 4,4 |
Totali anzianità | 16 | 23,5 | 4 | 5,9 |
Totale | 68 | 100 | 68 | 100 |
Fonte: La Contrattazione Aziendale nella Metalmeccanica in Provincia di Vicenza, 2007
La presenza di meccanismi di verifica del premio di risultato non sono indicate in ben il 57,4% delle aziende che lo prevedono. Fra le rimanenti, prevale la verifica annuale (22,1%), mentre cadenze più serrate (al massimo trimestrali, incluse quelle continue) si aggirano attorno al 10%. Laddove le verifiche sono annuali, il meccanismo premiante vede prevalere un connotato di tipo redistributivo, mentre cadenze fitte da un lato tendono a far emergere un prevalente connotato incentivante, dall’altro un’attenzione delle parti a tenere alta l’attenzione sulle performances aziendali.
Tabella 70 Verifica salario per obiettivi
V.A. | % | |
Non indicata | 39 | 57,4 |
Annuale | 15 | 22,1 |
Max semestrale | 7 | 10,3 |
Max trimestrale | 6 | 8,8 |
Pressoché continua | 1 | 1,5 |
Totale | 68 | 100 |
Fonte: La Contrattazione Aziendale nella Metalmeccanica in Provincia di Vicenza, 2007
La Tabella 126 illustra le relazioni fra indicatori dei meccanismi premianti, importi, modalità di distribuzione e verifica, limitandosi a presentare quelle statisticamente significative, che misurano la probabilità che le due grandezze messe in relazione siano presenti contemporaneamente
Si osserva una forte interazione positiva fra gli indicatori di efficienza/produttività da una parte e presenza/assenteismo e qualità (rispettivamente un premio su tre e poco più di un premio su quattro) dall’altra, con importi più alti del 36,7%. Inoltre, se da un lato la presenza compare in questi casi come correttore della produttività, la qualità spesso è presente come scala “autonoma”. Infine, l’inclusione degli atipici è positivamente associata tanto con indicatori di produttività/efficienza (oltre un accordo su quattro), mentre l’importo del premio di risultato è più elevato del 31,2% rispetto ai valori medi. Queste interazioni positive evidenziano da un lato il carattere incentivante, dall’altro lo stretto legame degli indicatori di produttività/efficienza dalla contabilità industriale: entrambi si possono ricondurre ad organizzazioni più strutturate e “razionalizzate” con performance e produttività decisamente più elevate. Inoltre l’assunzione di lavoratori non standard non ha una funzione di compressione dei costi, ma funzionale ad esigenze produttive e/o di selezione del personale, al punto da non ritenere giustificata la loro esclusione dal godimento del salario aziendale.
L’interazione positiva fra la differenziazione per livelli di inquadramento con la presenza di indicatori di produzione, di indicatori sbarramento, e cioè che in caso di mancato superamento della soglia minima si azzera il premio, e di esclusioni per i neoassunti, delinea una seconda tipologia di premio. Le politiche premianti collettive, in questo caso, appaiono fondarsi su un solo strumento, il salario di risultato, proprie di ambienti organizzativo-gestionali semplici, e non attraverso strumenti differenziati propri di contesti aziendali più strutturati, dall’altro di imprese che mirano a comprimere il costo della contrattazione.
Gli indicatori saracinesca sono pure associati con esclusioni più blande per i neoassunti, mentre si riscontra una interazione positiva fra gradi crescenti di inclusione dei lavoratori atipici nel godimento del salario per obiettivi da un lato e meccanismi più “sofisticati” di calcolo (tipicamente lo 0-min-max) dell’efficienza/produttività e ad importi più elevati del premio di risultato, segnalando una più elevata capacità di pagare che viene ripartita fra una platea più ampia di beneficiari.
5.2. Il riconoscimento della professionalità
La contrattazione della professionalità può avvenire a tre livelli:
• La verifica di congruità delle mansioni svolte da ciascun lavoratore con le declaratorie contrattuali,
• modifiche dell’architettura, modificando i criteri di passaggio da un livello all’altro previsti dal CCNL e/o introducendo posizioni professionali supplementari – di solito intermedie fra i livelli – e i relativi criteri di accesso;
• la previsione di un salario professionale vero e proprio, che può essere legato al possesso di determinati requisiti professionali o a una posizione che presenta peculiarità di mansione, oppure al grado di possesso/utilizzo di determinati livelli di competenza eccedenti la prestazione “normale” per lo specifico inquadramento.
Solo in un’azienda si definiscono specifici profili o criteri professionali, mentre in 6 aziende si prevedono forme di monitoraggio dell’inquadramento del personale in forma generalizzata, anche solo nel personale operaio. Questi dati appaiono in netto declino rispetto al 40% della contrattazione aziendale degli anni ’80 e ’90 (Giaccone, 1994), ed in linea con quanto osservato nell’industria agroalimentare veneta, da quasi il 40% nel periodo 1997-2001 a poco più del 15% nella tornata successiva (Giaccone 2005). Questo andamento appare sorprendente a fronte di una sostanziale stabilità tecnologica a fine anni ’90-primissimi 2000, seguita da un’intensa ristrutturazione: probabilmente la verifica annuale degli inquadramenti è diventata un fatto acquisito e pertanto non è più necessario rinegoziarla.
Tabella 71 Inquadramenti professionali
V.A. | % | |
No | 86 | 92,5 |
Monitoraggio | 6 | 6,5 |
Definizione profili/criteri | 1 | 1,1 |
Totale | 93 | 100 |
Fonte: La Contrattazione Aziendale nella Metalmeccanica in Provincia di Vicenza, 2007
Tabella 72 Salario professionale
V.A. | % | |
No | 70 | 75,3 |
Posizione/requisiti | 6 | 6,5 |
Competenza | 8 | 8,6 |
Altro | 9 | 9,7 |
Totale | 93 | 100 |
Fonte: La Contrattazione Aziendale nella Metalmeccanica in Provincia di Vicenza, 2007
5.3. Le altre voci salariali
Nei paragrafi precedenti si è osservato che molti aspetti del premio di risultato (forme di gestione, rinegoziazioni, slittamenti retributivi) fanno ritenere che le parti convengano nel gestire il premio di risultato come un elemento retributivo con un margine di variabilità abbastanza contenuto che viene meno solo in presenza di gravi crisi aziendali, durante le quali il premio si azzera per la natura del suo disegno oppure se ne concorda la sospensione.
Tuttavia, la contrattazione del salario in azienda avviene anche in altre forme, in particolare incrementi delle indennità e maggiorazioni contrattuali, senza tuttavia dimenticare le opportunità di aumenti certi.
Dalla Tabella 73, si può osservare che in oltre un’impresa su quattro si concordano aumenti del salario aziendale in cifra fissa, mentre in poco più di una su otto superminimi. Il loro significato è indubbiamente diverso, dato che nel secondo l’incremento è per singoli o per gruppi di lavoratori: la contrattazione di
aumenti del salario aziendale in cifra fissa è a tutti gli effetti la seconda voce in materia salariale dopo il salario di risultato, e preceduta per diffusione anche da clausole relative alla fornitura di informazioni, forme di consultazione e previsione generica di formazione professionale, vale a dire clausole di carattere procedurale oppure di politica generale. Si tratta di un indubbio segnale di quella “questione salariale” esplosa negli ultimi anni.
Nella Tabella 74 sono riassunte tutte le indennità che hanno a che fare con una prestazione lavorativa non standard, e cioè difforme da un luogo di lavoro prestabilito rispondente ai normali requisiti di salubrità e secondo l’orario contrattuale. In ordine di frequenza, sono molto diffuse incrementi nelle maggiorazioni per lo straordinario (21,5% delle aziende), nelle indennità per lavoro notturno (10,8%), nelle trasferte (8,6%) e anche in alcuni casi di indennità di rischio o nocività.
È infatti noto che nell’industria manifatturiera c’è un vivace “mercato dello straordinario”, oggetto di contrattazione individuale, dovuto tanto a carenza dell’offerta di personale e alla tendenza aziendale a tenere gli organici leggermente sottodimensionati come strumento di contenimento del rischio, quanto a una forte domanda, specie da parte dei lavoratori maschi, di salario aggiuntivo al punto da diventare quasi “istituzionalizzato”: è evidente che un ritocco delle maggiorazioni dello straordinario, e cioè delle regole collettive, è una sorta di “meccanismo di consenso” per far fronte tanto ad inefficienze organizzative quanto alle imprevedibilità del mercato.
Tabella 73 Voci retributive certe
V.A. | % | |
Superminimi | 12 | 12,9 |
Anzianità stagionali | 1 | 1,1 |
Anzianità stagionali altri riconoscimenti | 1 | 1,1 |
Aumento salario aziendale fisso | 24 | 25,8 |
Sospensione salario aziendale fisso | 1 | 1,1 |
Totale | 93 | 100 |
Fonte: La Contrattazione Aziendale nella Metalmeccanica in Provincia di Vicenza, 2007
Tabella 74 Indennità e maggiorazioni
V.A. | % | |
Reperibilità | 1 | 1,1 |
Altre forme di disponibilità | 1 | 1,1 |
Trasferte | 8 | 8,6 |
Maggiorazioni straordinario | 20 | 21,5 |
Premi/bonus straordinario | 1 | 1,1 |
indennità rischio/nocività | 3 | 3,2 |
Notturno | 10 | 10,8 |
Week-end | 1 | 1,1 |
Entrambi | 2 | 2,2 |
Fonte: La Contrattazione Aziendale nella Metalmeccanica in Provincia di Vicenza, 2007
Nella Tabella 127, che riassume le interazioni statisticamente significative fra queste voci, si osservano correlazioni positive e statisticamente significative fra anzianità stagionali e indennità di rischio/nocività (come in Valbruna), fra maggiorazioni dello straordinario e indennità in orari antisociali (notturni e/o festivo), che individuano una interazione ancora più forte di quanto appena detto sul “mercato dello straordinario”, fra maggiorazioni per lo straordinario e salario professionale e fra superminimi e trasferte, per far fronte alle carenze di manodopera ad alta specializzazione.
Le politiche retributive possono essere meglio inquadrate nelle connessioni fra componenti legate ad obiettivi aziendali e componenti legate alla prestazione oppure di pura compensazione senza nessi espliciti con fattori organizzativi, riassunte nella Tabella 128 che, anche in questo caso, presenta le sole interazioni statisticamente significative.
La negoziazione di indennità di reperibilità è più frequente in presenza di esclusione dei neoassunti dal premio di risultato e, più debolmente, in presenza di differenziazione per livello del salario per obiettivi.
La contrattazione delle indennità di trasferta è più frequente in presenza di indicatori di produttività ed efficienza e con gli importi del salario per obiettivi e, più debolmente, in presenza degli indicatori di presenza o assenteismo. La contrattazione dei supermini appare invece positivamente correlata con indicatori
di produttività ed efficienza e negativamente con l’inclusione degli atipici al godimento del premio di risultato, entrambe tuttavia non sono statisticamente significative.
L’introduzione di un salario professionale è più frequente in presenza di indicatori di redditività, e con criteri redistributivi uguali per tutti e, più debolmente, con indicatori di produzione: queste interazioni caratterizzano contesti organizzativi dove la performance non può essere adeguatamente definita in termini fisici e vi è una chiara distinzione fra remunerazione della performance collettiva, che per il suo carattere collettivo è uguale per tutti, e remunerazione della professionalità detenuta da ciascun lavoratore.
Forme di riconoscimento dell’anzianità degli stagionali e dei lavoratori a termine in generale sono più frequenti quando il salario per obiettivi è differenziato per livello e, più debolmente, include indicatori di redditività.
Maggiorazioni per lo straordinario sono più frequenti con indicatori di produttività ed efficienza e con gli importi del premio di risultato, mentre non sono statisticamente significative le correlazioni positive con la differenziazione per livello, la presenza di indicatori saracinesca e la frequenza della verifica del PdR, delineando un impianto fortemente “efficientista”.
Le indennità di disagio o nocività sono più frequenti in presenza di indicatori di qualità, distribuzione differenziata per livelli, presenza di indicatori saracinesca e indicatori per neoassunti e, più debolmente, con il consolidamento.
Infine, il lavoro in orari disagiati è più frequente con la verifica e gli importi del salario per obiettivi e, più debolmente, con le relazioni con gli indicatori di redditività, qualità, la riduzione degli importi e le inclusioni degli atipici.
Da questa mappa delle interazioni fra le varie voci delle politiche retributive, si possono identificare tre variabili fulcro:
• il salario professionale, che caratterizza un’azienda razionalizzata in senso manageriale, con chiara distinzione delle diverse aree e comportamenti da premiare
• le indennità “estensive”, in primo luogo indennità di trasferta e turno, che integrano importi del salario per obiettivi superiori alla media;
• i profili esclusivi, che concentrano le voci salariali collettive su chi dà la propria reperibilità, oppure si lavora in ambienti lavorativi rischiosi.
5.4. Salario di risultato e profili aziendali
In questa sezione si analizza il rapporto fra le caratteristiche del premio di risultato e i principali fattori che caratterizzano le organizzazioni aziendali e le performance aziendali, condensata nella Tabella 129 e nella Tabella 130.
Al crescere della presenza femminile si riscontra una minore presenza di indicatori legati alla redditività aziendale, mentre la maggiore presenza di indicatori di qualità appare debolmente significativa. Si può pertanto desumere che la forza lavoro femminile sia difficilmente motivabile, generando attaccamento all’azienda, attraverso la condivisione del rischio d’impresa.
Al crescere della componente non operaia aumenta la presenza di indicatori legati alla redditività e, in caso di crisi aziendale, della probabilità di accettazione di una riduzione degli importi del premio, mentre appaiono insufficientemente significative tanto la relazione positiva con gli importi del premio quanto la relazione negativa con la presenza di indicatori legati ai tassi di infortunio professionale. Questi dati sono di un certo interesse: poiché solitamente tassi più elevati di presenza non operaia segnalano una maggiore complessità aziendale – e quindi indirettamente delle dimensioni – oppure un peso maggiore delle funzioni indirette di progettazione, commercializzazione e di governo della filiera di subfornitura, possiamo ipotizzare che approssimi il potere di mercato di un’azienda, e quindi la capacità di catturare rendite e quindi di remunerare il fattore lavoro. Se da un lato si potrebbe ipotizzare una maggiore propensione al rischio del personale impiegatizio, non si può negare che un’azienda con un buon potere di mercato è in grado di meglio controllare il rischio d’impresa, come ad esempio scaricare sui subfornitori parte di questi eventi avversi sul prezzo, evidenziando una minore variabilità del dato reddituale rispetto ad aziende che “subiscono” il mercato. Infine, non è infrequente il loro inserimento in gruppi, dove il dato della redditività è un riferimento comune, specie in caso di prodotti differenziati fra i diversi siti.
Passando ai fattori organizzativi, consideriamo innanzi tutto il fattore dimensionale. Si evidenziano correlazioni significative e positive sia con indicatori di produttività ed efficienza ma soprattutto con indicatori di qualità, mentre non appare adeguatamente significativo che al crescere della dimensione aziendale crescano gli importi massimi concordati: prevale pertanto la qualità del controllo di gestione rispetto alla capacità di pagare. Viceversa, l’inserimento in gruppi industriali non presenta correlazioni
significative per le diverse configurazioni dei gruppi stessi e in particolare del posizionamento dello stabilimento vicentino nel gruppo.
Passando all’analisi degli assetti organizzativi, le aziende con altre unità in Italia presentano importi del premio di risultato significativamente superiori, mentre non risultano significative le relazioni positive con l’eventualità di una riduzione o sospensione degli importi e con la presenza di indicatori di produzione, né quella negativa con indicatori di qualità. Dal canto loro, le aziende con siti all’estero si caratterizzano per una relazione negativa significativa con indicatori legati agli infortuni e per una relazione positiva, ma non significativa, con forme di consolidamento del premio di risultato.
Passando agli indicatori di natura finanziaria, la presenza nella compagine azionaria di soggetti puramente finanziari riduce la probabilità degli indicatori di redditività, mentre la quotazione in borsa aumenta la probabilità che si contratti la riduzione/sospensione degli importi in caso di crisi aziendale, e che siano presenti indicatori di redditività. Infine, le aziende che non presentano nessuna di queste caratteristiche di apertura al mercato (dei beni o dei capitali) presentano importi più bassi del premio di risultato, anche se debolmente significativa.
Possiamo raggruppare le relazioni fra sistema premiante e struttura aziendale distinguendo i fattori finanziari, legati agli assetti proprietari, da quelli macro-organizzativi. Rispetto ai primi, è evidente il diverso impatto delle due forme di finanziarizzazione: la quotazione in borsa costringe il sindacato a una maggiore esposizione al rischio d’impresa a carico dei lavoratori non compensata da importi maggiori del salario per obiettivo, che rivela una logica gestionale di breve periodo, mentre le aziende con soci finanziari ma non quotate sembrano mostrare una logica di più lungo periodo, anche se non si può escludere che la remunerazione della loro partecipazione passi attraverso altre logiche (remunerazione dei servizi prestati piuttosto che di ulteriore capitale a prestito).
Sul versante organizzativo emerge con chiarezza la migliore qualità gestionale della grande impresa, che si riflette in meccanismi incentivanti di derivazione più stretta dalla contabilità analitica, mentre le posizioni assunte dai siti vicentini nelle logiche di gruppo sono troppo diversificate per trarre delle indicazioni omogenee.
Infine, il tasso di sindacalizzazione non influenza apprezzabilmente alcuna voce del premio di risultato e pertanto non appare in grado di orientare direttamente e in forma partecipativa le leve della competitività aziendale, così come auspicato dal protocollo del 23 luglio. Pertanto, il potere contrattuale sindacale, che secondo la teoria economica è correlato alla sindacalizzazione, rimane del tutto teorico, a meno di un impatto indiretto su altre variabili più squisitamente organizzative, incluso il mercato del lavoro. Questo punto richiederebbe analisi più approfondite che risultano problematiche per le dimensioni del nostro universo.
Com’è noto, il salario per obiettivi dovrebbe riflettere le leve competitive aziendali. Nel nostro caso, per lo sfasamento temporale delle due banche dati a nostra disposizione, gli andamenti aziendali si riferiscono a un periodo successivo al disegno del salario per obiettivi: pertanto le correlazioni andranno lette come possibile impatto del disegno retributivo, in senso quasi “istituzionale”, su esiti e scelte aziendali successive.
Prendendo in esame l’andamento del fatturato, si osserva una correlazione positiva significativa con la presenza di indennità a livello aziendali per il lavoro a turni e/o festivo, mentre non risultano sufficientemente significative le correlazioni positive con gli obiettivi di produzione, produttività/efficienza, gli importi e le maggiorazioni per lo straordinario: si tratta di tutte le clausole che favoriscono una flessibilità “estensiva”, specie le indennità che compensano la richiesta di maggior utilizzo degli impianti in orari antisociali.
L’andamento della produttività del lavoro si accompagna con importi crescenti del meccanismo premiante; mentre le relazioni positive con indicatori di produttività/efficienza e frequenza della verifica, e quella negativa con la presenza di indicatori saracinesca sono più deboli statisticamente. Gli investimenti appaiono maggiori in presenza di maggiorazioni dello straordinario, indicatori di produzione, salario professionale e salario fisso e con criteri distributivi del salario per obiettivi differenziati, ma solo il primo appare statisticamente significativo: appare pertanto un profilo abbastanza “tradizionale” di regolazione. L’andamento della quota sui mercati internazionali tende a essere migliore in presenza di indennità per orari antisociali (turni e lavoro festivo).
Mentre i processi di delocalizzazione, di fase o di intero processo, non presentano alcun nesso significativo con la contrattazione del salario, il ricorso a subfornitura e outsourcing è più frequente in presenza di indicatori di produzione e di forme di consolidamento del salario per obiettivi, anche se quest’ultima relazione è più debole. Infine, gli investimenti in ricerca e sviluppo tendono ad essere più elevati in presenza di indicatori di produzione e di salario aziendale in cifra fissa. Le correlazioni fra retribuzioni e questi ultimi andamenti evidenziano la necessità di offrire certezze retributive in vista di cambiamenti profondi del mix di prodotti e processi, rendendo di fatto inutile la messa a punto di nessi fra performance e salario.
Pertanto, se da un lato i fattori macro-organizzativi tendono a delineare delle relazioni più nitide con il salario per obiettivi, gli andamenti della competitività mostrano una certa divaricazione fra approcci “estensivi”, focalizzati sugli investimenti in capitale fisico e politiche salariali più tradizionali, ed approcci “intensivi” fondati sulla razionalizzazione e lo sviluppo organizzativo in corrispondenza di strategie salariali più orientate a compensare tanto i risultati, in termini di maggiore efficienza, quanto lo sviluppo delle competenze con forme di salario professionale.
6. Sesto Capitolo
Prendere o lasciare? Dentro i Premi di Risultato
Xxxxx Xxxxxxx e Xxxxxx Xxxxxxx
6.1. Non solo per denaro (ma anche)
Nella Tabella 4 del secondo Capitolo si era detto che nel quinquennio 2000-2005 erano peggiorati gli incentivi non economici (come ad esempio formazione e carriera), mentre erano migliorati gli incentivi economici (individuali e collettivi).
Quale ruolo gioca il sindacato nella partita degli incentivi?
Il quinto Capitolo ha esaminato in modo approfondito le logiche che stanno dietro la contrattazione di secondo livello, rispondendo implicitamente alla domanda.
In questo capitolo, invece, si entra nella gestione delle dinamiche che stanno dentro la contrattazione di secondo livello.
Si tratta di prospettive complementari, che si integrano reciprocamente e forniscono al sindacato strumenti di azione per contrattare.
Anche per un buon clima aziendale
La contrattazione di secondo livello si inserisce in uno specifico contesto organizzativo e ne viene influenzata in modo rilevante, come emerge anche da alcuni passaggi del primo Capitolo.
Una buona proxy del contesto organizzativo è la qualità delle relazioni industriali. Nel periodo considerato essa appare caratterizzata da due fattori sostanzialmente positivi:
• discreta: 3,17 su scala 1-5 e
• stabile: 2,0 su scala 1-3 (seconda riga della Tabella 75).
A volte si dice che, al di là delle legittime differenze di ruolo, la qualità delle relazioni industriali dipende anche dallo stato di salute dell’impresa. È ragionevole immaginare, infatti, che sia più semplice trovare un accordo quando le risorse disponibili sono maggiori, o quando le prospettive di sviluppo e crescita dell’impresa sono più consolidate.
Per quanto detto nel secondo Capitolo, le prestazioni economico-finanziarie dell’impresa e le sue condizioni di competitività duratura sono influenzate dall’ampiezza delle basi competitive, dalla propensione all’internazionalizzazione, dalla dimensione aziendale e dalla propensione all’innovazione.
Queste variabili influenzano per davvero la qualità delle relazioni industriali?
La correlazione tra il numero di basi competitive e la qualità delle relazioni industriali è di segno positivo, ma piuttosto debole. Infatti:
• la correlazione tra il numero di strategie competitive e la qualità delle relazioni tra sindacati/RSU e direzione aziendale è pari a 0,17 (l’indicatore oscilla da -1 a +1)
• ovvero, al crescere del numero di basi competitive aumenta moderatamente la qualità delle relazioni con la direzione aziendale.
Resta da verificare se la correlazione diventi più intensa nei diversi segmenti individuati in base alla dimensione e alla propensione all’innovazione. La Tabella 75 evidenzia una certa differenza nella qualità delle relazioni: migliore nelle grandi imprese (4,09) rispetto alle piccole (2,76); leggermente migliore nelle aziende che innovano in modo incrementale (3,40).
Tabella 75 Qualità delle relazioni tra sindacati/RSU e direzione aziendale
VARIABILE | TOTALE | DIMENSIONE | INNOVAZIONE | ||||
GRANDI | MEDIE | PICCOLE | NESSUNA | INCREMENTALE | INCREMENTALE E RADICALE | ||
Qualità relazioni con direzione aziendale (1-5) | 3,17 | 4,09 | 3,01 | 2,76 | 2,74 | 3,40 | 3,29 |
Andamento relazioni periodo 2000-2005 (1-3) | 2,0 | 2,0 | 2,2 | 2,0 | 2,0 | 2,1 | 2,0 |
Fonte: La Contrattazione Aziendale nella Metalmeccanica in Provincia di Vicenza, 2007
Ma anche per la giusta busta paga
È evidente che agli occhi dei lavoratori ciò che veramente conta (oltre alle opportunità di formazione, di cui si è ampiamente discusso nel secondo Capitolo) è l’impatto della mediazione sindacale in busta paga.
Rispetto a questo aspetto, si verifica che il portafoglio di voci retributive è sbilanciato sul premio di produzione (68,6%) e sul premio feriale (34,3%). La voce retributiva meno presente è costituita dal salario di professionalità e competenza aziendale, fermo al 15,78% (Tabella 76).
Tabella 76 Voci retributive presenti in azienda (n=70)
VOCE RETRIBUTIVA TOTALE
DIMENSIONE INNOVAZIONE
GRANDI MEDIE PICCOLE NOINN INCR INCRRAD
Premio produzione | 68,6% | 72,5% | 60,9% | 62,6% | 71,5% | 66,9% | 59,2% |
Quattordicesima (mensilità piena) | 17,1% | 38,9% | 13,2% | 4,8% | 4,8% | 25,9% | 17,7% |
Premio feriale | 34,3% | 38,5% | 47,8% | 23,8% | 28,6% | 29,6% | 52,9% |
Quote salariali fisse ex PDR (di mantenimento) | 17,1% | 27,8% | 8,8% | 14,3% | 23,8% | 7,5% | 23,5% |
Zoccolo garantito/ consolidamento PDR | 31,4% | 38,9% | 39,4% | 9,5% | 23,8% | 26,2% | 41,2% |
Salario di professionalità/ competenza aziendale | 15,7% | 27,9% | 8,7% | 9,7% | 9,8% | 14,8% | 17,7% |
Fonte: La Contrattazione Aziendale nella Metalmeccanica in Provincia di Vicenza, 2007
Per quanto riguarda infine la capacità del sindacato di sostenere la stabilità del lavoro, come ci si poteva attendere, emerge un incremento sostenuto dei tempi determinati (media 2,1 su scala 1-3) e dello staff leasing e del lavoro interinale (2,7 su scala 1-3) (Tabella 131). È vero che gli organici delle imprese studiate rimangono saldamente ancorate al lavoro a tempo indeterminato (93,7%, vedi Tabella 132)
La tendenza alla flessibilizzazione dei rapporti è oggetto di dibattito, di trattativa e di conflitto. In questa sede, però, l’unica cosa che conta è capire come un delegato può gestire questa dinamica, anche alla luce delle aree di impiego dei lavoratori flessibili, che come emerge dalla Figura 18 si estendono a tutte le aree aziendali.
6.2. Contrattare il premio di risultato: che fare?
Se in generale la qualità del coinvolgimento del sindacato in azienda appare debole, d’altro canto anche grazie alla rivoluzione determinata dall’accordo interconfederale del 1993, il sindacato è istituzionalmente coinvolto nella contrattazione di secondo livello, e in particolare nella determinazione del premio di risultato. Come ci si può muovere su questo tema?
Non esiste una one best way univoca da seguire, perché ogni settore segue dinamiche almeno in parte diverse. La decisione circa gli indicatori da utilizzare nei meccanismi premianti influenza in modo non indifferente gli schemi di suddivisione del rischio tra le parti. La scelta di utilizzare principalmente indicatori di produttività e di qualità riduce il rischio della variabilità degli importi concordati, e allo stesso tempo funge in alcuni casi da incentivo ad una maggiore partecipazione ed impegno alla riduzione delle inefficienze del sistema produttivo.
Indicatori di produttività
La produttività è sempre (o quasi) presente negli accordi presi in considerazione e vi è una forte attenzione nel ricercare legami causa-effetto fra unità organizzative e risultati ottenuti. In generale, tali indicatori fanno riferimento a quantità fisiche, misurano l’efficienza della manodopera e/o degli impianti e sono ricavabili da un’attenta analisi del processo produttivo in essere. Sono in genere legati al concetto di “produzione fisica” ed hanno lo scopo di coinvolgere i lavoratori nel raggiungimento di obiettivi produttivi o nella realizzazione di risparmi di tempo. Quelli più diffusi si basano sul rapporto fra produzione ed ore impiegate e sono misurati scegliendo un anno base e valutando le variazioni che intervengono nei periodi successivi. Tra gli indicatori più importanti e più utilizzati vi sono gli indicatori di produttività del lavoro, basati sul rapporto tra una misura del volume di attività dell’impresa (nel tempo, per prodotto e/o per impianto) ed il numero dei dipendenti impiegati. Alcuni esempi: produzione reparto/ore effettivamente lavorate, numero di pezzi prodotti al giorno, ore versate/ore lavorate, ecc.
Indicatori di redditività
Fanno riferimento a valori di bilancio e sono indicativi dell’andamento economico dell’azienda, espresso in termini di risultato conseguito rispetto ad un periodo precedente assunto come base. I dati di bilancio cui si fa più spesso riferimento sono quelli che esprimono i risultati economici delle “attività caratteristiche” dell’azienda. I parametri più frequentemente utilizzati sono: il fatturato misurato nel suo importo; il valore aggiunto, calcolato sottraendo dal fatturato ciò che è stato acquistato per la produzione (materie prime, semilavorati, servizi, ecc); il margine operativo lordo (MOL), calcolato sottraendo dal valore aggiunto il costo del lavoro; il risultato operativo, calcolato sottraendo dal margine operativo lordo anche gli ammortamenti, gli accantonamenti per rischi e gli oneri diversi di gestione. Altri indicatori hanno lo scopo di illustrare la relazione tra risultati economici generati dalla gestione caratteristica e dalla gestione finanziaria, e massa di risorse impiegate per conseguire tali risultati (ROI, XXX). Per un negoziatore risulta quindi evidente l’importanza della capacità di padroneggiare un bilancio. Dal canto suo il sindacato tende a voler escludere le voci di bilancio che riguardano scelte di natura finanziaria e patrimoniale. Tali voci possono infatti essere frutto di scelte sulle quali i lavoratori non hanno influito in alcun modo. Spesso vengono usati indicatori di redditività composti da quelli sopra citati come ad esempio MOL/fatturato e MOL/valore aggiunto. Indipendentemente dal fatto che un risultato sia stato conseguito rispetto ad un periodo precedente oppure rispetto ad un dato di budget, dal punto di vista sindacale bisogna sempre ricordarsi che può essere difficile migliorare ulteriormente un precedente forte progresso e quindi il loro solo mantenimento potrà configurarsi come obiettivo. In tal caso gli scaglioni dei parametri del premio dovranno essere diminuiti adeguatamente in modo da non mettere in crisi la credibilità dell’istituto del PdR.
Indicatori di qualità
A caratterizzare il settore metalmeccanico è la frequenza di utilizzo di indicatori di qualità che in molti casi viene ritenuta un elemento di competitività dipendente dall’operato degli addetti, e per il miglioramento della quale si richiede una loro migliore partecipazione. La mancanza di qualità dà luogo a costi aggiuntivi per le imprese; il miglioramento della qualità aumenta la competitività dell’impresa sia perché aumenta di fatto la produttività, sia perché essa è alla base di una diversa “reputazione” verso i clienti. Per qualità si intende sia quella interna sia quella esterna. La prima esprime la qualità dell’output del processo produttivo (per esempio la riduzione degli scarti), mentre la seconda fa riferimento al mercato, ovvero alla percezione che il cliente ha del prodotto e del servizio (per esempio la riduzione dei reclami dei clienti e la puntualità delle consegne contemplata nei contratti). A tale proposito bisogna precisare che gli indicatori di qualità riferiti alla soddisfazione del cliente, sono in minoranza rispetto agli indicatori di qualità interna. Questi ultimi, anche se con qualche forzatura, sono assimilabili alla produttività, intesa in quest’ottica come una riduzione dei costi di non qualità. La qualità non dipende solo dalla tecnologia del processo di produzione, ma anche dalla professionalità degli addetti e dalla loro partecipazione. Il PdR viene utilizzato in alcuni casi per incentivare i lavoratori a mettere a disposizione non solo il proprio lavoro “fisico” ma anche la propria intelligenza e professionalità per aumentare la qualità della produzione. L’utilizzo degli indicatori di qualità è stato facilitato dalla diffusione della certificazione ISO 9000. Per ottenerla le imprese hanno dovuto sottoporre a particolari controlli i processi produttivi, coinvolgendo i dipendenti attraverso la diffusione dei dati relativi ad indicatori di qualità. In tal caso è stato conveniente basare una parte del PdR su dati in grado di evidenziare le relazioni causa-effetto fra impegno e professionalità dei dipendenti da una parte, e risultati ottenuti dall’altra.
Altri indicatori
Tra questi indicatori vanno subito menzionati gli indicatori di presenza. La presenza effettiva sul posto di lavoro è il più semplice di tutti i possibili indici di prestazione del lavoratore ed anche per questo motivo è utilizzato principalmente nelle piccole imprese. Una prima tipologia di tale indicatore riguarda l’erogazione di un certo importo per ogni giornata effettiva sul posto di lavoro. Una seconda tipologia di indicatori di presenza assume, invece, un valore mensile per la presenza in tutto il mese del lavoratore e prevede una penalizzazione più che proporzionale in caso di assenze. Altri indicatori degni di nota riguardano aspetti relativi alla sicurezza come, l’indicatore “safety” del contratto che rapporta il numero degli infortuni alle ore lavorate. Esistono inoltre sistemi di valutazione individuale dei lavoratori. Ogni dipendente viene valutato dal diretto superiore in base a dei criteri che tengono in considerazione aspetti riguardanti la turnistica, il clima aziendale e la disponibilità a collaborare dei lavoratori.
6.3. Contrattiamo il premio di risultato? La realtà vicentina
I parametri utilizzati nei Premi di risultato
Un sistema di premio per obiettivi deve essere progettato per rispondere in modo efficace alle attese dell’aziende e dei lavoratori. Il raggiungimento di tale obiettivo richiede che si dedichi una particolare attenzione al processo di costruzione del sistema, perché vi sia coerenza tra il ruolo attribuito ai fattori tecnici critici e le caratteristiche dell’ambiente sociale dell’impresa. Se la costruzione del sistema comporta che vadano analizzati gli aspetti critici delle realtà aziendale, non meno importanza assumono le decisioni relative alle attività di gestione del sistema, cioè quelle attività che servono a mantenere la funzionalità dello strumento introdotto [Xxxxx Xxxxxx, Soli 2003].
L’analisi che ha come focus il PdR del campione di accordi integrativi dell’industria metalmeccanica vicentina, mette alla luce molteplici indicatori, che vengono riuniti in categorie riassuntive per comodità di lettura, e per facilitarne la comprensione.
La prima categoria riguarda gli indicatori inerenti l’ambiente di lavoro, che pur non trovando un grande riscontro a livello nazionale, qui colgono una certa utilizzazione, consistendo in tre ambiti: infortuni, malattia, e sicurezza.
Tabella 77 Indicatori relativi all’ambiente di lavoro
PARAMETRO DESCRIZIONE
n. infortuni/ore lavorate totali dagli operai
Infortuni
ore infortunio/ore lavorate dal personale operai rapporto n. infortuni e le ore totali degli operai
n. di infortuni
Malattia n. eventi
Sicurezza rispetto delle normative vigenti
Fonte: La Contrattazione Aziendale nella Metalmeccanica in Provincia di Vicenza, 2007
Il raggruppamento che riguarda l’efficienza (a sua volta suddiviso tra efficienza interna ed esterna) porta a vari spunti operativi.
L’utilizzo degli indicatori di efficienza è motivato dalla necessità di ottenere un miglioramento delle prestazioni passando attraverso una più soddisfacente combinazione dei fattori professionali, tecnici, produttivi ed organizzativi. Non si pone il problema di ottenere un semplice incremento delle prestazioni, ma si adopera per l’introduzione di meccanismi di incentivazione che favoriscano un adattamento delle combinazioni produttive in modo che la performance derivi da un utilizzo ottimale delle risorse. Un indicatore di efficienza appare in grado di mettere sotto controllo, e incentivare ad un migliore risultato, quelle prestazioni che collegano le potenzialità intrinseche all’innovazione delle soluzioni tecnico- organizzative con la valorizzazione oculata delle competenze professionali dei lavoratori. Si tratta di indicatori che devono essere progettati in modo appropriato, tenendo conto degli obiettivi e del contesto operativo. Nella loro applicazione richiedono che vi sia disponibilità a produrre modificazioni organizzative e flessibilità di risposta dei soggetti [Xxxxx Xxxxxx, Soli 2003].
Tabella.78 Indicatori relativi all’efficienza
PARAMETRO DESCRIZIONE
ore a preventivo/ore a consuntivo
costo standard del venduto/media annua dipendenti valori di direct cost margin
efficienza della manodopera diretta
ore prodotte a ciclo/ore dirette produttive
Efficienza interna
Efficienza esterna
miglioramento dei tempi di produzione ore versate/ore lavorate
incidenza costi di ogni centro di costo sulle vendite totali spese generali/ricavi netti
rapporto tempo standard/tempo effettvo
materie prime pro capite standard/materie prime pro capite prodotte al netto degli investimenti
ore preventivate per ciascuna commessa/somma ore consuntivate capacità di soddisfare le attese dei clienti
miglioramento del rispetto dei termini di consegna delle commesse assoggettate a penale capacità di evasione degli ordini nel mese di prevista consegna
delivery accuracy
Fonte: La Contrattazione Aziendale nella Metalmeccanica in Provincia di Vicenza, 2007
La categoria inerente il parametro Fatturato, inteso come volume di ricavi si presenta in forme diverse, secondo i bisogni delle differenti imprese.
Tabella 79 Indicatori relativi al fatturato
PARAMETRO DESCRIZIONE
valori di fatturato
ammontare globale dell’esercizio precedente confonto con valori a budget
Fatturato
fatturato contabilizzato/organico medio giro d’affari
incrementi rispetto l’anno precedente
insorgere diel valore minimo stabilito di fatturato
Fonte: La Contrattazione Aziendale nella Metalmeccanica in Provincia di Vicenza, 2007
Il raggruppamento che riguarda il parametro Presenza è sufficientemente variegato, e anche qui pur non essendo molto utilizzato a livello nazionale, è stato suddiviso in due sotto categorie per l’importanza, e il suo impiego costante negli accordi.
Tabella 80 Indicatori relativi alla presenza
PARAMETRO DESCRIZIONE
ore ordinarie di effettiva presenza assiduità
Presenza
Assenteismo
ore malattia/ore lavorabili all’anno
ore effettivamente lavorate/ore lavorative
premio complessivo/giorni lavorabili complessivi x giorni di presenza individuale miglioramento dell’assenteismo medio complessivo
ore assenza/ore lavorabili assenteismo globale
n. assenze
Fonte: La Contrattazione Aziendale nella Metalmeccanica in Provincia di Vicenza, 2007
La categoria Produttività è la più utilizzata in assoluto. Gli indicatori sono numerosi, e recano in sé varie valutazioni.
Con questi indicatori si tende a misurare l’attivazione di una quantità di lavoro incrementale, che comporta un maggior sforzo, un’intensità di prestazione più rigorosa, una riduzione dei tempi d’esecuzione. La scelta
di focalizzare degli obiettivi di aumento della produttività si pone in modo ricorrente alle imprese: essa può essere collegata all’introduzione di nuovi impianti o alla necessità di migliorare la combinazione dei fattori produttivi. Un sistema di premio con indicatori volti ad incentivare l’ottimizzazione dei fattori che modificano l’intensità della prestazione, si trova ad operare con possibilità di incremento della prestazione limitati: se la condizione aziendale giustifica la volontà di premiare l’aumento dell’intensità delle prestazioni, questo può normalmente avvenire per frazioni di miglioramento limitate; nello stesso tempo, si deve tener conto che un concentrazione eccessiva su questo tipo di interventi, porta ad un rischio che perdano rapidamente efficacia i meccanismi di incentivazione per gli aspetti qualitativi. Gli indicatori di produttività sono, generalmente semplici e di immediata comprensione, ma tendono a focalizzare l’attenzione sul risultato di prestazioni contraddistinte da un incremento dello sforzo fisico e dalla saturazione del tempo di lavoro [Xxxxx Xxxxxx, Soli 2003].
Tabella.81 Indicatori relativi alla produttività
PARAMETRO DESCRIZIONE
produttività media/n. lavoratori dedicati alla produzione tasso utilizzo impianti
unità prodotte/ore complessive lavorate in stabilimento raggiungimento di valori di produzione
indice OEE unità prodotte
ore impiegate/ore ciclo
quantità prodotte/ore sviluppate produttività operativa
indice OTP
produzione media pro capite annua
Produttività
quantità prodotto versta a magazzino ore marcia/ore consuntivate
pezzi buoni prodotti/ore lavorate in produzione
pezzi stampati effettivamente versati a magazzino e il numero di pezzi teorici)
produzione versata a magazzino/ore lavorate ricavi netti/n. medio dipendenti
rendimento medio ponderato rendimento di stabilimento valore della produzione
miglioramento tempi di produzione tempo standard e tempo effettivo
quantità di produzione di prima scelta prodotta/ore consuntivate
Fonte: La Contrattazione Aziendale nella Metalmeccanica in Provincia di Vicenza, 2007
Il raggruppamento secondo il parametro Qualità è stato suddiviso in ulteriori due sotto classi in modo da fornire una lettura più completa.
La Qualità può essere considerata un fattore largamente intangibile, che prevede notevoli difficoltà di misurazione e identificazione, ma i cui effetti sono molto rilevanti per le performance aziendali.
La scelta di indicatori in grado di percepire i miglioramenti di qualità deve tener conto di alcuni vincoli: gli obiettivi di qualità sono perseguibili solo in presenza di condizioni organizzative e di lavoro idonee. La richiesta di una performance di miglioramento qualitativo, infatti, deve poter contare su situazioni di cura delle condizioni di lavoro, di attenzione alle relazioni, di valorizzazione delle forme di autonomia e di responsabilità operativa. Gli aspetti motivazionali sono in questo contesto assolutamente centrali, e la loro assenza può consentire il rispetto di parametri di qualità limitatamente alle sole prestazioni dell’impianto [Della Libera, Soli 2003].
Tabella 82 Indicatori relativi alla qualità
PARAMETRO DESCRIZIONE
diminuzione degli scarti
riduzione costi materiali di consumo scarti/fatturato
scarti/quantità spedite
costi di mancata qualità/Costo standard del Venduto recupero del costo del prodotto
indice medio di conformità
Qualità interna
Qualità esterna
n. scarti
mantenimento certificazione qualità di processo
quantità scartate/quantità prelevate in produzione costo non conformità interne e valore della produzione unità prodotte non conformi/unità lavorate raggiungimento degli obiettivi del manuale qualità acquisizione certificazione qualità
n. ri-lavorazioni resi da clienti,
segnalazioni da Clienti
pezzi resi /totale pezzi venduti tempi di consegna
n. reclami
Fonte: La Contrattazione Aziendale nella Metalmeccanica in Provincia di Vicenza, 2007
La categoria concernente il parametro Redditività è stato scomposto in due sotto categorie, e gli indicatori si presentano piuttosto variegati.
Per Redditività si intende la capacità di produrre in maniera duratura redditi sufficienti a remunerare i portatori dei fattori produttivi. Ma ciò non è sufficiente.
Esistono diverse nozioni di redditività: ci si può riferire all’intera attività aziendale (misurata dall’utile), oppure alla sua gestione caratteristica (misurata dal Margine Operativo Lordo o dal Risultato Operativo); si può calcolare la redditività dei capitali investiti nell’impresa (Roi), oppure la redditività dei capitali apportati dai soci/azionisti (Roe). In generale, gli indicatori di redditività vengono ottenuti confrontando valori tratti dal Conto Economico (Risultato Operativo), con valori tratti dallo Stato Patrimoniale, o dallo stesso Conto Economico (il totale vendite) [Xxxxx Xxxxxx, Soli 2003].
Tabella 83 Indicatori relativi alla redditività
PARAMETRO DESCRIZIONE
valore prodotto pro-capite al netto del tasso d’inflazione costi diretti di produzione - valore della produzione Mol/fatturato
Mol/valore aggiunto
valore Ebt del gruppo di appartenenza
Redditività intermedia
Redditività finale
incidenza % Mol su vendite
margine lordo - costi vivi di produzione
xxxxxx xxxxx – costi non derivanti da diretta attività aziendale risultato lordo > 0
totale valore della produzione - totale costi della produzione valore aggiunto/ricavi netti
indice Economic Value Added entità dell’utile lordo utilelordo/fatturato
utile realizzato
Fonte: La Contrattazione Aziendale nella Metalmeccanica in Provincia di Vicenza, 2007
Infine sono presenti altri indicatori, che in via minoritaria hanno contribuito a determinare il Premio di Risultato nel campione degli accordi analizzati.
Tabella 84 Altri indicatori
PARAMETRO DESCRIZIONE
Altri indicatori
anni di servizio professionalità
Fonte: La Contrattazione Aziendale nella Metalmeccanica in Provincia di Vicenza, 2007
In Appendice sono riportati alcuni esempi di formule emergenti dall’analisi dei contratti e che possono aiutare nell’azione sindacale.
6.4. Di nuovo in marcia
L’analisi della contrattazione di secondo livello con riferimento alla negoziazione del premio di risultato ha fatto emergere un quadro in parte scontato e in parte nuovo.
È scontato che non esistano modelli e formule valide indipendentemente dallo specifico contesto organizzativo, sociale e competitivo in cui si svolge la contrattazione. È (almeno in parte) nuovo il tentativo di estrapolare le formule che sintetizzano il pensiero dell’azione del sindacato e delle associazioni imprenditoriali.
È scontato che i rapporti di forza tra le parti influenzino i margini di manovra e le performance della contrattazione del premio di risultato. È (almeno in parte) nuovo il tentativo di portare a sistema tutte queste forze.
Vediamo come.
Dalla ricerca appare chiaro che per definire il contesto all’interno del quale si muovono le relazioni industriali, è opportuno considerare [Xxxxxxx et Xxxx, 2007]:
• due variabili esplicative,
• quattro variabili contingenti,
• due variabili di sfondo,
• che si riassumono in quattro modelli stilizzati.
Le variabili esplicative, contingenti e di sfondo hanno i confini sfumati nella realtà, ma possono essere descritte in modo sufficientemente preciso.
Le componenti del modello Le variabili esplicative
Le variabili che influenzano l’efficacia e l’efficienza dei processi decisionali sottesi alle vertenze collettive
sono:
• l’orientamento temporale, che porta a distinguere:
✓ atteggiamenti reattivi, ovvero avvio di consultazioni solo dopo l’emersione della questione, vuoi attraverso una esplicita richiesta dell’impresa, vuoi a seguito di un palese peggioramento della situazione economica e finanziaria dell’impresa;
✓ atteggiamenti proattivo, ovvero presenza di occasioni di informazione tra le Parti Sociali, che in modo più o meno strutturato portano a conoscenza del sindacato la situazione competitiva e gestionale dell’impresa, declinando in alcuni casi anche in momenti di “partecipazione” su alcune scelte di gestione;
• l’ampiezza della concertazione, che porta a distinguere:
✓ concertazione ristretta, ovvero coinvolgimento solo della parte sindacale e datoriale (oltre che naturalmente della parte pubblica);
✓ concertazione allargata, ovvero coinvolgimento anche di altri stakeholder non direttamente coinvolti nella gestione e nello sviluppo dell’impresa, ma che hanno un qualche interesse nel territorio di riferimento (tale interesse, a volte è relativo alla “rappresentanza”, come succede quando vengono coinvolti parlamentari locali, o allo “sviluppo”, come succede quando si coinvolgono istituzioni collettive e bilaterali o multilaterali attive nel territorio).
Le variabili contingenti
Le variabili contingenti riguardano invece i fattori di contesto (congiunturali o strutturali) che influenzano l’adozione di un certo orientamento temporale o l’ampiezza del processo concertativo:
• la posizione competitiva dell’impresa, che porta a distinguere i casi in cui l’impresa possiede asset (fisici, reputazionali o di competenze) che la pongono in una posizione di “relativa” forza sul mercato, dai casi in cui invece si trova in una posizione di “relativa” debolezza;
• le prospettive di sviluppo e crescita del settore, che porta a distinguere i settori in crescita, settori stabili e settori in declino, con conseguenze sulle reali opzioni strategiche esercitabili molto differenti tra loro;
• la proprietà dell’impresa, che porta a distinguere le imprese con proprietà straniera da quelle con proprietà italiana, con conseguenze rilevanti non tanto (ovviamente) sulle normative applicabili, quanto sulle convezioni di comportamento che gli attori adottano;
• l’appartenenza a un gruppo, che porta a distinguere le imprese in indipendenti, capogruppo e partecipate, e che influenza la possibilità di fare degli arbitraggi sulle politiche gestionali.
Le variabili di sfondo
Le variabili di sfondo, infine, sono:
• la storia delle relazioni industriali, intesa sia in termini di atteggiamenti delle Parti Sociali nel corso del tempo, sia in termini di sindacalizzazione;
• il grado di internazionalizzazione della filiera a cui appartiene l’impresa, che influenza la capacità delle Parti Sociali di prendere decisioni effettivamente sostenibili nel tempo (ad esempio, se si opera in un settore tradizionalmente sviluppato solo in una determinata area, perché al suo interno sono presenti tutte le risorse, lavoratori e servizi di supporto, gli spazi di manovra sono diversi da quelli che si hanno nel caso di attività che possono essere facilmente trasferite in diverse aree dello stesso Paese o di altri continenti)4.
6.4.1. I modelli emergenti
Incrociando le due variabili esplicative si ottengono quattro modelli:
• il modello funzionale, che si presenta quando l’orientamento temporale è di tipo reattivo e la concertazione coinvolge solo le parti direttamente coinvolte nei destini dell’impresa (e dei suoi lavoratori);
• il modello tattico, che si presenta quando l’orientamento temporale è di tipo reattivo e la concertazione comprende anche gli stakeholder che hanno interesse (di vario tipo) nel territorio in cui opera l’impresa;
• il modello gestionale, che si presenta quando l’orientamento temporale è di tipo proattivo e la concertazione coinvolge solo le parti direttamente coinvolte nei destini dell’impresa (e dei suoi lavoratori);
• il modello strategico, che si presenta quando l’orientamento temporale è di tipo proattivo e la concertazione comprende anche gli stakeholder che hanno interesse (di vario tipo) nel territorio in cui opera l’impresa;
Figura 17 I modelli emergenti
Fonte: Xxxxxxx et Xxxx, 2007
4 Su questo tema, visto in chiave strategica e organizzativa, si può utilmente vedere Economia e Società Regionale, n. 2/2005, in cui sono stati pubblicati alcuni articoli relativi al futuro dell’industria veneta tra globalizzazione e frammentazione della produzione
Il modello funzionale
Questo modello è stato riscontrato nei casi in cui le parti sociali adottano modelli di azione fondati su una netta ripartizione delle funzioni svolte, tanto da impostare le vertenze sostanzialmente su relazioni di potere. Ciascuna delle parti adotta comportamenti finalizzati ad ottimizzare i propri obiettivi, e tentando contemporaneamente di ridurre i margini di manovra della controparte, per far valere le proprie ragioni o i propri (legittimi) interessi all’altra. In questa contesto, le vertenze tendono ad avere un elevato grado di conflitto e ad essere ispirate da una reciproca sfiducia (che va oltre la legittima esigenza di rappresentare in modo adeguato la propria parte).
Nel modello funzionale, anche per effetto dell’avvio tardivo (rispetto alla necessità emergente) delle comunicazioni o delle consultazioni, c’è uno spazio limitato per l’avvio di azioni “evolute”. Ciò si verifica anche quando esistono problemi di “comunicazione” tra le parti, vuoi perché la direzione o la proprietà non hanno esperienza nelle relazioni industriali locali, vuoi perché le funzioni obiettivo degli attori sono tra loro configgenti.
Il modello funzionale non è un modello arcaico in senso assoluto. In alcuni dei casi analizzati, è emerso come una semplice necessità, per far fronte a situazioni di assoluta emergenza, ad esempio perché l’azienda era in una posizione competitiva debole o il settore attraversava un momento di crisi. In questi casi, nelle parole delle stesse Parti Sociali, è ammesso negoziare duro, perché è palese l’impraticabilità di altre soluzioni. Ciò non significa, tuttavia, che la vertenza proceda muro contro muro. Vuol dire invece che le Parti Sociali hanno come obiettivo prioritario, da un lato la sopravvivenza dell’impresa o il mantenimento delle residue opportunità di ripresa, dall’altro la garanzia delle giuste tutele per i lavoratori.
Il modello tattico
Il modello tattico è, per certi aspetti, una estensione del modello funzionale; questo modello porta alla moltiplicazioni delle sedi negoziali e, tendenzialmente, anche alla moltiplicazione delle istanze. I costi di questo modello sono evidenti, sia in termini di “tempi” che di “risorse”.
Nell’esperienza rilevata, però, esso ha alcuni interessanti vantaggi o punti di forza. Gli attori coinvolti nella ricerca di una soluzione si muovono in modo coordinato rispetto alle istituzioni pubbliche locali (che in molti casi sono componenti del network allargato) adottando logiche:
• pragmatiche, nel senso che l’atteggiamento negoziale è contingente orientato alla soluzione del problema, superando la logica “funzionale” del precedente modello;
• incrementali, nel senso che l’orizzonte temporale di concertazione favorisce comportamenti “conservatori”, piuttosto che orientati all’innovazione, che nel caso specifico facilitano la ricerca di una soluzione;
• negoziali “mature”, nel senso che la distribuzione del potere decisionale è solo in parte definita ex-ante, ma è più spesso legata al reale contributo che ciascun attore porta alla positiva conclusione della vertenza;
• partecipative, nel senso che non si assiste a una preventiva chiusura all’inclusione degli attori presenti nel territorio, al fine di generare consenso attorno a decisioni che in alcuni casi possono anche avere rilevanti impatti negativi sul territorio.
Una seconda ragione che porta all’adozione di questo modello anche in un secondo momento è la reciproca delegittimazione delle parti coinvolte. In altri termini, l’allargamento del network degli attori che partecipano alla soluzione della vertenza in alcuni casi deriva dal desiderio di una delle parti di avere una controparte affidabile: perché ha accesso a risorse che possono facilitare la soluzione della vertenza; perché ci sono esperienze pregresse di successo; oppure più semplicemente per fungere da arbitro (in senso organizzativo) o facilitatore dei processi decisionali.
Il modello gestionale
Il modello gestionale è quello più interessante sotto il profilo organizzativo, perché implica il superamento della logica funzionale. Simili comportamenti derivano dalla concezione dell’impresa come una coalizione di individui e gruppi, ciascuno dei quali è portatore di interessi specifici, che devono trovare una sintesi efficace, al fine di mantenere una struttura di collaborazione. In tale prospettiva, tanto i lavoratori quanto i sindacati sono considerati attori fondamentali del processo negoziale, e quindi emerge l’interesse delle imprese e delle associazioni di rappresentanza ad avere un rapporto stabile con loro.
Le caratteristiche di tale modello non sono sempre facilmente desumibili dalla sola analisi dei testi dei verbali di accordo, ma derivano dall’analisi anche della storia delle relazioni industriali della specifica realtà produttiva.
Questo modello è anche il più performante dal punto di vista dell’efficacia e dell’efficienza:
• l’efficacia negoziale può essere intesa almeno in due significati:
✓ il primo riguarda un’efficacia soggettiva, definita attraverso il grado di raggiungimento degli obiettivi posti da parte di ciascuna Parte, in termini sia positivi (affermazione dei propri obiettivi), che negativi (rigetto o spostamento degli obiettivi della controparte). L’efficacia in questa accezione è misurabile come “differenziale” tra la contenuti della piattaforma ed esito negoziale. Tale differenziale, proprio in virtù del flusso di comunicazioni e informazioni tendenzialmente non asimmetrico tende ad essere ridotto, con benefici effetti che, sempre nel rispetto dei ruoli, facilitano i processi decisionali;
✓ il secondo significato riguarda un’efficacia “oggettiva”, misurabile in termini di qualità dei
risultati della vertenza.
• l’efficienza del processo negoziale, invece, è definita dal rapporto tra risorse impiegate (tempo assorbito, azioni di pressione, mobilitazione politica) e risultati conseguiti. Anche l’efficienza negoziale può essere considerata in termini di funzione di utilità di ciascun attore negoziale, o in termini di utilità per il sistema nel suo complesso. Naturalmente le due misure hanno significati molto diversi, e presuppongono orientamenti degli attori e campi teorici ugualmente diversi. Anche su questo punto, il modello gestionale presenta esperienze di notevole interesse pratico (e teorico)5.
Il modello strategico
Il modello strategico è al contempo quello:
• più stimolante, perché è per definizione quello che dovrebbe supportare processi di sviluppo sociale ed economico;
• meno auspicabile, perché svuota le Parti Sociali, nel senso ristretto del termine, dai loro compiti primari.
Detto in altri termini, il modello strategico è un modello fittizio, che è stato volutamente inserito perché apre a un tema che sta investendo il dibattito economico e sociale: la governance territoriale.
Questo modello ipotizza un approccio deliberativo nella gestione delle relazioni industriali:
• che coinvolge la società locale in fase sia di progettazione sia di implementazione: processi negoziali allargati alla partecipazione di molti attori; il risultato della concertazione è solo una parte di un progetto di sviluppo locale più ampio, finalizzato all’integrazione tra beni per la competitività economica e sociale e tra esigenze inter-settoriali;
• e che può assumere due differenti declinazioni: concertazione tra attori collettivi privati e attori pubblici in contesti territoriali caratterizzati da ampio ricorso a relazioni di condivisione e meccanismi di coordinamento informali; concertazione polarizzata e centrata sul ruolo di alcune imprese grandi che assumono il ruolo di guida (più o meno esplicita) delle politiche locali.
Secondo alcuni si tratta del cosiddetto mesolivello che dovrebbe rendere più solido il sistema delle relazioni industriali italiane, sospeso tra alcune politiche rigidamente accentrate ed altre decentrate.
Per alcune attività, ad esempio per la concertazione dei piani formativi interaziendali, questo modello sembra funzionare. Ma su altre attività, più in generale le relazioni industriali “tradizionali”, auspicare un tale modello svuoterebbe di significato e responsabilità la contrattazione decentrata, senza adeguate garanzie che ci siano altri decisori capaci non solo di fare strategia, ma anche di interessarsi della gestione6.
5 La sistemazione delle testimonianze raccolte sul modello gestionale non sono rese note per evidenti ragioni di riservatezza. Il gruppo di ricerca si riserva di valutare con i diretti interessati eventuali forme di diffusione anonima o meno.
6 Sul tema si può utilmente vedere: BURRONI L., 2005, “Governance territoriale dell’economia in Xxxxxxx, Xxxxx Xxxxx x Xxxxxx”, Xxxxx & Xxxxxxx,00, xxxxxx, 000-000; CERRUTI G.C., 2002, “Networks concertativi e relazioni negoziali nelle politiche di regolazione locale”, paper presentato al convegno AIS-ELO “La regolazione concertata dell’economia globale/locale”, Trento, 25-26 gennaio 2002; TRIGILIA C., 2005, Sviluppo locale. Un progetto per l’Italia, Editori Laterza, Roma; XXXXXXX A., 2004, “Prassi di concertazione territoriale: spunti per una riflessione critica”, Lavoro e Diritto, 2, 335-ss. Per quanto riguarda la concertazione dei piani formativi interaziendali e aziendali, invece, si può fare riferimento alle recenti ricerche condotte (anche da questo gruppo di ricerca) nell’ambito delle attività di Fondimpresa.
Allegati e Appendici
Strumenti di indagine, tabelle aggiuntive, indici e bibliografia
A cura di Xxxxx Xxxxxxxx, Xxxxx Xxxxxxx e Xxxxxx Xxxxxxx
Premessa
Questa sezione contiene gli strumenti di indagine utilizzati nel corso della ricerca, nonché una serie di tabelle aggiuntive e di approfondimento.
Instant Survey
Nella tabella che segue trovi 15 affermazioni che riguardano il lavoro e i lavoratori, le imprese e le loro strategie, il sindacato e il suo ruolo.
Per ciascuna di tali affermazioni, segna il tuo grado di ACCORDO o di DISACCORDO
• 1 – in totale disaccordo, l’affermazione è sbagliata
• 2-3 – in parziale disaccordo
• 4 – d’accordo
• 5-6 – molto d’accordo
• 7 – completamente d’accordo, perché è proprio così
I risultati delle imprese della provincia negli ultimi anni possono dirsi mediamente stabili | 1 | 2 | 3 | 4 | 5 | 6 | 7 |
I rapporti con la direzione aziendale sono migliori nelle imprese più grandi | 1 | 2 | 3 | 4 | 5 | 6 | 7 |
Il lavoro è più stabile se l’impresa fa innovazioni di tipo “incrementale” | 1 | 2 | 3 | 4 | 5 | 6 | 7 |
Il sindacato viene sempre convocato quando ci sono da gestire degli esuberi | 1 | 2 | 3 | 4 | 5 | 6 | 7 |
La definizione della flessibilità degli orari è materia usualmente negoziata con il sindacato | 1 | 2 | 3 | 4 | 5 | 6 | 7 |
La tecnologia è una variabile più importante del costo per competere sul mercato globale | 1 | 2 | 3 | 4 | 5 | 6 | 7 |
I rapporti con le altre sigle sindacali sono in generale collaborativi, con occasionali divergenze | 1 | 2 | 3 | 4 | 5 | 6 | 7 |
Le imprese più innovative in genere fanno più formazione per i lavoratori | 1 | 2 | 3 | 4 | 5 | 6 | 7 |
La definizione dei percorsi di crescita professionale e di mobilità interna è un’area di crescente intervento del sindacato | 1 | 2 | 3 | 4 | 5 | 6 | 7 |
Indennità e maggiorazioni vengono praticamente sempre fissate con l’intervento del sindacato | 1 | 2 | 3 | 4 | 5 | 6 | 7 |
La propensione all’innovazione è molto diffusa tra le imprese della provincia | 1 | 2 | 3 | 4 | 5 | 6 | 7 |
Nei processi di riorganizzazione e ristrutturazione aziendale, le imprese sono sempre assistite dalla loro associazione di categoria | 1 | 2 | 3 | 4 | 5 | 6 | 7 |
L’autonomia dei lavoratori è maggiore nelle imprese più piccole | 1 | 2 | 3 | 4 | 5 | 6 | 7 |
È normale che il sindacato contratti l’intensità della prestazione lavorativa | 1 | 2 | 3 | 4 | 5 | 6 | 7 |
La sicurezza sul lavoro è una materia sulla quale il sindacato è sempre coinvolto | 1 | 2 | 3 | 4 | 5 | 6 | 7 |
A quale classe dimensionale appartengono le aziende che rappresenti e che ti hanno “suggerito” le risposte che hai dato alle affermazioni?
IMPRESE PICCOLE (MENO DI 100 LAVORATORI) IMPRESE MEDIE (100-249 LAVORATORI) IMPRESE GRANDI (PIÙ DI >250)
Il questionario della ricerca
A. Capacità innovativa e formazione
A.1 Secondo voi, quali delle seguenti strategie competitive sono adottate dall’impresa sul mercato e indicare per ognuna se è aumentata d’importanza (barrare le caselle ogni volta che si riscontra)
2000 | 2005 | AUMENTATO | |
Di costo | |||
Di prezzo | |||
Di qualità | |||
Di varietà | |||
Di marchio | |||
Di tecnologia | |||
Di soddisfazione del cliente |
A.2 Indicare approssimativamente la percentuale del fatturato nel 2000 e nel 2005 realizzato sul mercato
MERCATO | 2000 | 2005 |
1, Nazionale | ||
2, Internazionale | ||
Totale | 100 | 100 |
A.3 Se l’impresa esporta all’estero, per la collocazione del proprio prodotto avvale di: (possibili più risposte)
❑ 1, Stabilimento di produzione all’estero
❑ 2, Rete commerciale propria all’estero
❑ 3, Partecipazione in impresa estera
❑ 4, Accordi con rete commerciale estera
A.4 Attualmente (2005), il processo produttivo si caratterizza prevalentemente per (solo una risposta):
❑ 1, Produzione a flusso continuo di un bene di massa
❑ 2, Produzione in serie, con linee di assemblaggio e variabilità data da taluni componenti
❑ 3, Produzione non in serie con lotti di dimensione e caratteristiche variabili a seconda dell’ordine
❑ 4, Xx commessa con personalizzazione su domanda del cliente
❑ 5, Xxxxx (descrivere) ………………………………………….
A.5 Indicate se nel 2005 sono state realizzate innovazioni tecnologiche per le seguenti tipologie (sono possibili più risposte):
❑ 1, Innovazioni radicali di prodotto
❑ 2, Innovazioni radicali di processo
❑ 3, Innovazioni incrementali sul prodotto
❑ 4, Innovazioni incrementali sul processo
❑ 0, Nessuna innovazione rilevante è stata realizzata
A.6 Quali attività di formazione sono state realizzate per i dipendenti nel periodo 2001-2005? (barrare almeno una risposta per ogni riga) E SE NON C’E’ NESSUNO DEL 2° O 3° GRUPPO?
Tipologia di intervento | A. NESSUNA FORMAZIONE | B. AFFIANCAMENTO | X. XXXXX INTERNI | X. XXXXX ESTERNI |
1, Formazione continua per dipendenti a tempo indeterminato | ||||
2, Formazione per neoassunti (t. indeterminato, apprendisti e cfl) | ||||
3, Formazione per dipendenti con contratti non permanenti |
B. Condizioni di lavoro e relazioni industriali
B.1 Nel periodo 2000-2005, come sono cambiate nell’unità locale le condizioni di lavoro ? (barrare solo una cella per ogni riga)
CAMBIAMENTI | 1, DIMINUITO | 2, INVARIATO | 3, AUMENTATO |
1, Intensità della prestazione lavorativa | |||
2, Salute e sicurezza sul posto di lavoro | |||
3, Stabilità del lavoro! | |||
4, Professionalità e competenze dei dipendenti | |||
5, Informazioni a disposizione dei dipendenti | |||
6, Autonomia e controllo dei dipendenti sul lavoro svolto | |||
7, Influenza sulle decisioni prese dai quadri/dirigenti | |||
8, Incentivi economici (individuali e collettivi) | |||
9, Incentivi non economici (formazione, carriera, ecc) | |||
10, Stress derivante dal lavoro |
B.2 A quanto ammonta il salario aziendale in cifra fissa percepito nel 2005? (media mensile per l’operaio di 3,livello, inclusa eventuale quattordicesima, premi annuali, mensili, orari e indennità; includere nella media anche i turnisti)
❑ 1, Meno di 100 € al mese
❑ 2, Fra 100 e 250 € al mese
❑ 3, Fra 250 e 500 € al mese
❑ 4, Oltre 500 € al mese
B.3 A quanto ammonta il salario di risultato effettivamente percepito in media nel biennio 2004-2005?
❑ 1, Meno di 500 €
❑ 2, Fra 500 e 1000 €
❑ 3, Fra 1000 e 1500 €
❑ 4, Oltre 1500 €
B.4 Indicare per ciascuna delle seguenti voci se sono state oggetto di confronto fra le parti (barrare almeno una risposta per ogni riga)
Descrizione | 0, NESSUN CONFRONTO | 1, INFORMAZIONE | 2, CONSULTAZIONE | 3, CONTRATTAZIONE INDIVIDUALE SENZA SINDACATO | 4, CONTRATTAZIONE INDIVIDUALE SENZA SINDACATO | 5, CONTRATTAZIONE COLLETTIVA |
Innovazioni organizzative (Rotazione arricchimento mansioni, gruppi di lavoro) | ||||||
Intensità della prestazione lavorativa | ||||||
Innovazioni tecnologiche e ricadute organizzative | ||||||
Percorsi di crescita professionale e mobilità interna | ||||||
Gestione assunzioni | ||||||
Gestione esuberi | ||||||
Gestione orari e utilizzo impianti | ||||||
Flessibilità orari (individuali, collettive, straordinari) | ||||||
Assunzioni precari | ||||||
Stabilizzazione precari | ||||||
Part time e job sharing | ||||||
Formazione specialistica (o professionalizzante) | ||||||
Formazione per innovazioni tecnologiche e organizzative | ||||||
Formazione per commissioni paritetiche | ||||||
Inquadramenti e superminimi | ||||||
Indennità e maggiorazioni | ||||||
Salario aziendale fisso | ||||||
Salario per obiettivi: verifiche | ||||||
Salute e sicurezza sul lavoro | ||||||
Relazioni industriali e forme partecipative |
B.5 Come valutate nel complesso le relazioni tra sindacati/RSU e direzione aziendale per il 2005? (solo una risposta)
❑ 1, Pessime
❑ 2, Difficili
❑ 3, Discrete
❑ 4, buone
❑ 5, Ottime
B.6 Come sono cambiate nel complesso le relazioni tra sindacati/RSU e direzione aziendale nel periodo 2000-2005? (solo una risposta)
❑ 1, Peggiorate
❑ 2, Invariate
❑ 3, Migliorate
B.7 Come valutate nel complesso le relazioni tra le organizzazioni sindacali presenti in azienda nel 2005? (Solo una risposta)
❑ 1, Competitive/conflittuali
❑ 2, Collaborative con occasionali divergenze
❑ 3, Altalenanti
❑ 4, È presente una sola organizzazione
B.8 Come sono cambiate nel complesso le relazioni tra le organizzazioni sindacali presenti in azienda nel periodo 2000-2005? (solo una risposta)
❑ 1, Peggiorate
❑ 2, Invariate
❑ 3, Migliorate
B.9 L’associazione imprenditoriale è intervenuta nei seguenti processi negoziali nel periodo 2000-2005? (sono possibili più risposte)
❑ Contratto integrativo aziendale
❑ Processi di riorganizzazione
❑ Ristrutturazione e gestione esuberi
❑ Formazione professionale
❑ Salute sul lavoro, Ambiente e sicurezza
❑ Vertenze individuali
❑ Non interviene mai
❑ Azienda non associata
B.10 Come si distribuiscono (approssimativamente) gli iscritti ai sindacati fra le diverse organizzazioni e qualifiche’ (almeno una risposta per riga)
TOTALE | OPERAI | IMPIEGATI E QUADRI | TOTALE | ||||
UOMINI | DONNE | UOMINI | DONNE | UOMINI | DONNE | ||
Cgil | |||||||
Cisl | |||||||
Uil | |||||||
Altri sindacati | |||||||
Totale |
B.12 Nel periodo 2000-2005, qual è stata la partecipazione ai seguenti scioperi nazionali (almeno una risposta per riga)?
BASSA O NULLA | MEDIA | ALTA | |
Contratto nazionale | |||
Legge 30 | |||
Declino industriale | |||
Leggi finanziarie e riforma previdenziale | |||
ART. 18 e CONTRO Patto per l’Italia (2002) |
B.11 Nel periodo 2000-2005, sono stati proclamati scioperi aziendali (almeno una risposta per riga)?
(Media annua) | NESSUNO SCIOPERO | SI, CONTRATTO INTEGRATIVO | SI, VERTENZE GESTIONALI / MOTIVI AZIENDALI | SI, CRISI E RISTRUTTURAZIONI | SI, EVENTI ECCEZIONALI (INFORTUNI, LICENZIAMENTI ECC.) |
Fino a 10 ore | |||||
Fra 10 e 40 ore | |||||
Oltre 40 ore |
C. Andamenti dell’impresa, dell’occupazione e forme flessibili dei contratti di lavoro
C.1 Qual è stato nel periodo 2000-2005 l'andamento dell'impresa per quanto riguarda i seguenti indicatori ? (una risposta per riga, assegnare un punteggio da -3 a +3, con 0 “stabilità”, barrando il numero scelto)
INDICATORI | DIMINUITO <--------0 > AUMENTATO |
1, Fatturato | -3 -2 -1 0 +1 +2 +3 |
2, Produttività del lavoro | -3 -2 -1 0 +1 +2 +3 |
3, Utili/redditività aziendale | -3 -2 -1 0 +1 +2 +3 |
4, Investimenti fissi e immateriali | -3 -2 -1 0 +1 +2 +3 |
5, Quota sui mercati internazionali | -3 -2 -1 0 +1 +2 +3 |
6, Ricorso a subfornitura / outsourcing | -3 -2 -1 0 +1 +2 +3 |
7, Delocalizzazione di fasi all’estero | -3 -2 -1 0 +1 +2 +3 |
8, Delocalizzazione all’estero di interi processi | -3 -2 -1 0 +1 +2 +3 |
9, Investimenti in ricerca e sviluppo | -3 -2 -1 0 +1 +2 +3 |
C.2 Nel 2005, nell’unità locale quanti lavoratori sono stati impiegati (approssimativamente) con i seguenti contratti?
Tipologia | DIRIGENTI QUADRI | IMPIEGATI | OPERAI | TOTALE | |||||
TOTALE | UOMINI | DONNE | UOMINI | DONNE | DONNE | DONNE | UOMINI | DONNE | |
1, Tempo indeterminato full time | |||||||||
2, Tempo indeterminato part- time | |||||||||
3, Tempo determinato | |||||||||
4, Staff leasing / Interinale | |||||||||
5, Apprendistato/inserimento | |||||||||
6, Collaborazioni parasubordinati | |||||||||
7, Stagionale | |||||||||
Totale |
C.3 In quali reparti/attività dell’unità locale vengono impiegati i lavoratori flessibili ? (possibili più risposte)
❑ 1, In produzione
❑ 2, In amministrazione/contabilità/commerciale
❑ 3, In progettazione/sviluppo
❑ 4, In attività direttive/manageriali
❑ 5, In attività di manutenzione
❑ 6, In magazzino
C.4, Quale é stata la tendenza per i diversi rapporti di lavoro nell’unità locale nel periodo 2000-2005?
(barrare una risposta per ogni riga se la tipologia è utilizzata)
TIPOLOGIA | 1, DIMINUITI | 2, INVARIATI | 3, AUMENTATI |
1, A tempo indeterminato full time | |||
2, A tempo indeterminato part-time | |||
3, A tempo determinato | |||
4, Staff leasing / Interinale | |||
5, Apprendistato / inserimento | |||
6, Collaborazioni e parasubordinati | |||
7, Stagionale |
C.5 In quale percentuale i lavoratori precari, quando scadono i loro contratti, vengono assunti a tempo indeterminato ? (se non vi sono stati contratti precari lasciare vuota la cella)
QUALIFICA | 1- 24 % | 25-49 % | 50-74 % | 75-100 % |
1, Dirigenti e Quadri ! | ||||
2, Impiegati | ||||
3, Operai | ||||
Totale |
C.6 Distribuzione (approssimativamente) per livelli di inquadramento
1-3,LIVELLO | 4-5 LIVELLO | 6, -7, LIVELLO | OLTRE IL 7, | TOTALE | |
Operai | |||||
Intermedi, impiegati e quadri | |||||
Totale |
D. Alcune informazioni sull’azienda
D.1, Ragione sociale dell’impresa:
D.2, Localizzazione dell’unità locale dell’impresa in esame: Comune di … D.3, Indicare il prodotto principale dell’impresa
D.4, Indicare il contratto di lavoro applicato
❑ 1, Federmeccanica
❑ 2, Confapi
D.5 Indicare se la proprietà dell’impresa è:
❑ 1, Proprietà locale
❑ 2, Proprietà italiana non veneta
❑ 3, Proprietà estera
D.6 Indicare gli assetti organizzativi dell’impresa (sono possibili più risposte)
❑ 1, Ha altre unità produttive in Italia
❑ 2, Ha altre unità produttive all’estero
❑ 3, Nell’azienda hanno una quota dei soggetti finanziari
❑ 4, L’azienda o la capogruppo è quotata in borsa
Altre tabelle relative al terzo capitolo
Tabella 85 Sindacalizzazione caratteristiche dell’impresa
PROPRIETÀ | CLASSE DIMENSIONALE | PERC_DONNE | PERC_IMPIEGATI | |
% cgil | -,350(**) | -,350(**) | ||
% cisl | ,231(*) | |||
% uil | ,431(**) | -0,206 | ||
% altri sindacati | 0,187 | ,366(**) | ||
sindacalizzazione | -0,196 | -,436(**) | ||
N | 75 | 74 | 66 | 64 |
* significativo al 5% ** significativo all’1%
Fonte: La Contrattazione Aziendale nella Metalmeccanica in Provincia di Vicenza, 2007
Tabella 86 Le relazioni fra tassi di sindacalizzazione di organizzazione e globali
% CGIL | % CISL | % UIL | % ALTRI SINDACATI | SINDACALIZZAZIONE | |
% cgil | 1 | -0,221 | ,716(**) | ||
% cisl | 1 | ,434(**) | ,227(*) | ,396(**) | |
% uil | 1 | ,491(**) | ,282(*) | ||
% altri sindacati | 1 | ||||
sindacalizzazione | 0 | ||||
X | 00 |
* significativo al 5% ** significativo all’1%
Fonte: La Contrattazione Aziendale nella Metalmeccanica in Provincia di Vicenza, 2007
Tabella 87 Stili di rappresentanza imprenditoriale
CRISI - RISTRUTTURAZIONE | REGOLAZIONE LEGALE | SERVIZI | |
Contratto integrativo aziendale | ,862 | ||
Processi di riorganizzazione | ,839 | ||
Ristrutturazione e gestione esuberi | ,896 | ||
Formazione professionale | ,755 | ||
Salute sul lavoro, Ambiente e sicurezza | -,300 | ,589 | |
Vertenze individuali | ,803 | ||
Non interviene mai | -,440 | -,747 | -,299 |
Estrazione: componenti principali, metodo varimax.
Fonte: La Contrattazione Aziendale nella Metalmeccanica in Provincia di Vicenza, 2007
Tabella 88 Livelli di adesione agli scioperi nazionali per tassi di sindacalizzazione
PERC_CGIL | PERC_CISL | PERC_UIL | PERC_ALSINDAC | SINDACALIZ-ZAZIONE | |
Contratto nazionale | ,318(*) | ,299(*) | ,373(**) | ||
Legge 30 | ,483(**) | 0,248 | |||
Declino industriale | ,491(**) | ,356(**) | |||
Leggi finanziarie e riforma previdenziale | ,298(*) | ,320(*) | |||
ART. 18 e CONTRO Patto per l’Italia (2002) | 0,222 | ||||
61 | 61 | 63 | 64 | 61 |
* significativo al 5% ** significativo all’1%
Fonte: La Contrattazione Aziendale nella Metalmeccanica in Provincia di Vicenza, 2007
Tabella 89 Livelli di adesione agli scioperi nazionali per andamento aziendale
PRODUTTIVITÀ DEL LAVORO | UTILI/REDDITIVI TÀ AZIENDALE | INVESTIMENTI FISSI E IMMATERIALI | QUOTA SUI MERCATI INTERNAZIONAL I | RICORSO A SUBFORNITURA / OUTSOURCING | DELOCALIZZAZI ONE DI FASI ALL’ESTERO | INVESTIMENTI IN RICERCA E SVILUPPO | |
Contratto nazionale | ,275(*) | ||||||
Legge 30 | |||||||
Declino industriale | -,274(*) | ||||||
Leggi finanziarie e riforma previdenziale | -0,226 | ||||||
ART. 18 e CONTRO Patto per l’Italia (2002) | 0,195 |
* significativo al 5% ** significativo all’1%
Fonte: La Contrattazione Aziendale nella Metalmeccanica in Provincia di Vicenza, 2007
Tabella 90 Relazioni fra scioperi aziendali e caratteri strutturali dell’impresa
PROPRIETÀ | CLASSE DIMENSIONALE | PERC_DONNE | PERC_IMPIEGATI | |
Nessuno sciopero | ||||
Contratto integrativo - 10 ore | ,297(*) | |||
Contratto integrativo - 10-40 ore | ||||
Contratto integrativo - >40 ore | -0,214 | |||
Vertenze gestionali - 10 ore | ,367(**) | -,336(*) | ||
Vertenze gestionali - 10-40 ore | ||||
Vertenze gestionali - >40 ore | ||||
Ristrutturazioni - 10 ore | ||||
Ristrutturazioni - 10-40 ore | -0,204 | |||
Eventi eccezionali - 10 ore | -,296(*) | |||
Eventi eccezionali - >40 ore |
* significativo al 5% ** significativo all’1%
Fonte: La Contrattazione Aziendale nella Metalmeccanica in Provincia di Vicenza, 2007
Tabella 91 Ricorso agli scioperi aziendali e sindacalizzazione
PERC_CGIL | PERC_CISL | PERC_UIL | PERC_ALSINDAC | SINDACALIZZAZIONE | |
Nessuno sciopero | -,328(**) | -0,191 | -0,214 | ||
Contratto integrativo - 10 ore | |||||
Contratto integrativo - 10-40 ore | |||||
Contratto integrativo - >40 ore | |||||
Vertenze gestionali - 10 ore | 0,22 | ,504(**) | ,390(**) | ||
Vertenze gestionali - 10-40 ore | -,272(*) | ,283(*) | |||
Vertenze gestionali - >40 ore | |||||
Ristrutturazioni - 10 ore | |||||
Ristrutturazioni - 10-40 ore | |||||
Eventi eccezionali - 10 ore | 0,231 | 0,228 | 0,211 | ||
Eventi eccezionali - >40 ore | 0,225 |
* significativo al 5% ** significativo all’1%
Fonte: La Contrattazione Aziendale nella Metalmeccanica in Provincia di Vicenza, 2007
Tabella 92 Ricorso allo sciopero in azienda ed andamenti aziendali
PRODUTTIVITÀ DEL LAVORO | UTILI/REDDITIVI TÀ AZIENDALE | INVESTIMENTI FISSI E IMMATERIALI | QUOTA SUI MERCATI INTERNAZIONAL I | RICORSO A SUBFORNITURA / OUTSOURCING | DELOCALIZZAZI ONE DI FASI ALL’ESTERO | DELOCALIZZAZI ONE ALL’ESTERO DI INTERI PROCESSI | INVESTIMENTI IN RICERCA E SVILUPPO | |
Nessuno sciopero | ||||||||
Contratto integrativo - 10 ore | 0,205 | ,288(*) | -0,208 | ,286(*) | ||||
Contratto integrativo - 10-40 ore | -,288(*) | -,293(*) | -0,22 | 0,213 | ,380(**) | |||
Contratto integrativo - >40 ore | ||||||||
Vertenze gestionali - 10 ore | ,279(*) | ,296(*) | ||||||
Vertenze gestionali - 10-40 ore | -0,214 | |||||||
Vertenze gestionali - >40 ore | 0,229 | |||||||
Ristrutturazioni - 10 ore | -,326(**) | -,367(**) | -,303(*) | -,346(**) | -0,234 | |||
Ristrutturazioni - 10- 40 ore | ||||||||
Eventi eccezionali - 10 ore | ,357(**) | ,267(*) | 0,249 | |||||
Eventi eccezionali - >40 ore | -0,221 | -0,218 | -0,224 | -0,226 | . | ,269(*) | ,351(**) | -0,214 |
* significativo al 5% ** significativo all’1%
Fonte: La Contrattazione Aziendale nella Metalmeccanica in Provincia di Vicenza, 2007
Tabella 93 Le relazioni fra le valutazioni delle relazioni industriali
VALUTAZIONE RELAZIONI INDUSTRIALI 2005 | ANDAMENTO QUALITÀ RELAZIONI INDUSTRIALI 2000- 2005 | ANDAMENTO QUALITÀ RELAZIONI TRA SINDACATI 2000- 2005 | |
Valutazione relazioni industriali 2005 | 1 | ,477(**) | |
Andamento qualità relazioni industriali 2000-2005 | 1 | ,429(**) | |
Andamento qualità relazioni tra sindacati 2000-2005 | 1 |
* significativo al 5% ** significativo all’1%
Fonte: La Contrattazione Aziendale nella Metalmeccanica in Provincia di Vicenza, 2007
Tabella 94 Valutazione delle relazioni industriali e scioperi aziendali
VALUTAZIONE RELAZIONI INDUSTRIALI 2005 | ANDAMENTO RELAZIONI INDUSTRIALI 2000-2005 | ANDAMENTO RELAZIONI TRA ORGANIZZAZIONI SINDACALI 2000-2005 | |
Nessuno sciopero | |||
Contratto integrativo - 10 ore | |||
Contratto integrativo - 10-40 ore | 0,232 | ||
Contratto integrativo - >40 ore | -0,217 | 0,241 | |
Vertenze gestionali - 10 ore | -0,226 | -,376(**) | |
Vertenze gestionali - 10-40 ore | |||
Vertenze gestionali - >40 ore | ,285(*) | 0,214 | |
Ristrutturazioni - 10 ore | |||
Ristrutturazioni - 10-40 ore | -0,204 | ||
Eventi eccezionali - 10 ore | |||
Eventi eccezionali - >40 ore | 0,2 |
Fonte: La Contrattazione Aziendale nella Metalmeccanica in Provincia di Vicenza, 2007
Tabella 95 Valutazione delle relazioni industriali e performance economica
PRODUTTIVITÀ DEL LAVORO | UTILI /REDDITIVITÀ AZIENDALE | INVESTIMENTI FISSI E IMMATERIALI | QUOTA SUI MERCATI INTERNAZIONAL I | RICORSO A SUBFORNITURA / OUTSOURCING | DELOCALIZZAZI ONE DI FASI ALL’ESTERO | DELOCALIZZAZI ONE ALL’ESTERO DI INTERI PROCESSI | INVESTIMENTI IN RICERCA E SVILUPPO | |
Valutazione relazioni industriali 2005 | -0,187 | -,243(*) | ,262(*) | |||||
Andamento qualità relazioni industriali 2000-2005 | ||||||||
Andamento qualità relazioni tra le organizzazioni sindacali 2000-2005 | -,295(*) |
* significativo al 5% ** significativo all’1%
Fonte: La Contrattazione Aziendale nella Metalmeccanica in Provincia di Vicenza, 2007
Tabella 96 Forme di regolazione per materia – prima parte
NESSUN CONFRONTO | REGOLAZION E INDIVIDUALE | INFORMAZION E | COMPETIZION E INDIVIDUALE/ COLLETTIVA | CONSULTAZI ONE | ||||||
V.A. | % | V.A. | % | V.A. | % | V.A. | % | V.A. | % | |
regolazione innovazioni organizzative | 32 | 46,4 | 2 | 2,9 | 19 | 27,5 | 8 | 11,6 | ||
regolazione intensità del lavoro | 36 | 52,2 | 2 | 2,9 | 11 | 15,9 | 8 | 11,6 | ||
regolazione innovazione tecnologica | 20 | 29 | 3 | 4,3 | 27 | 39,1 | 8 | 11,6 | ||
regolazione sviluppo organizzativo | 27 | 39,1 | 3 | 4,3 | 17 | 24,6 | 2 | 2,9 | 10 | 14,5 |
regolazione assunzioni | 45 | 65,2 | 2 | 2,9 | 16 | 23,2 | 1 | 1,4 | ||
regolazione esuberi | 34 | 49,3 | 1 | 1,4 | 4 | 5,8 | 1 | 1,4 | ||
regolazione inquadramenti superminimi | 23 | 33,3 | 8 | 11,6 | 10 | 14,5 | 1 | 1,4 | 12 | 17,4 |
regolazione indennità | 27 | 39,1 | 2 | 2,9 | 6 | 8,7 | 2 | 2,9 | 4 | 5,8 |
regolazione salario fisso | 25 | 36,2 | 2 | 2,9 | 2 | 2,9 | 2 | 2,9 | 1 | 1,4 |
regolazione e verifiche salario per obiettivi | 12 | 17,4 | 1 | 1,4 | 1 | 1,4 | 1 | 1,4 | ||
regolazione salute e sicurezza | 10 | 14,5 | 2 | 2,9 | 10 | 14,5 | 1 | 1,4 | 11 | 15,9 |
regolazione relaz industriali partecipative | 29 | 42 | 5 | 7,2 | 2 | 2,9 | 11 | 15,9 | ||
regolazione formazione comm paritetiche | 56 | 81,2 | 9 | 13 | 2 | 2,9 | ||||
regolazione formazione innovazione | 37 | 53,6 | 4 | 5,8 | 16 | 23,2 | 1 | 1,4 | 6 | 8,7 |
regolazione formazione specialistica | 42 | 60,9 | 2 | 2,9 | 16 | 23,2 | 3 | 4,3 | ||
regolazione part time | 38 | 55,1 | 5 | 7,2 | 12 | 17,4 | 1 | 1,4 | 1 | 1,4 |
regolazione stabilizzazione precari | 37 | 53,6 | 2 | 2,9 | 15 | 21,7 | 4 | 5,8 | ||
regolazione assunzione precari | 41 | 59,4 | 1 | 1,4 | 18 | 26,1 | 1 | 1,4 | 1 | 1,4 |
regolazione flessibilità orari | 7 | 10,1 | 5 | 7,2 | 7 | 10,1 | 1 | 1,4 | 13 | 18,8 |
regolazione orari impianti | 11 | 16,2 | 2 | 2,9 | 10 | 14,7 | 13 | 19,1 |
N osservazioni: 69
Fonte: La Contrattazione Aziendale nella Metalmeccanica in Provincia di Vicenza, 2007
Tabella 97 Forme di regolazione per materia – seconda parte
REGOLAZIONE INDIVIDUALE ASSISTITA | REGOLAZIONE COLLETTIVA | REGOLAZIONE INDIVIDUALE E COLLETTIVA | PERVASIVITÀ CONCERTATIIVA | |||||
V.A. | % | V.A. | % | V.A. | % | V.A. | % | |
regolazione innovazioni organizzative | 2 | 2,9 | 6 | 8,7 | ||||
regolazione intensità del lavoro | 2 | 2,9 | 10 | 14,5 | ||||
regolazione innovazione tecnologica | 2 | 2,9 | 8 | 11,6 | 1 | 1,4 | ||
regolazione sviluppo organizzativo | 3 | 4,3 | 6 | 8,7 | 1 | 1,4 | ||
regolazione assunzioni | 1 | 1,4 | 3 | 4,3 | 1 | 1,4 | ||
regolazione esuberi | 2 | 2,9 | 23 | 33,3 | 3 | 4,3 | 1 | 1,4 |
regolazione inquadramenti superminimi | 2 | 2,9 | 8 | 11,6 | 5 | 7,2 | ||
regolazione indennità | 2 | 2,9 | 24 | 34,8 | 2 | 2,9 | ||
regolazione salario fisso | 1 | 1,4 | 35 | 50,7 | 1 | 1,4 | ||
regolazione e verifiche salario per obiettivi | 1 | 1,4 | 53 | 76,8 | ||||
regolazione salute e sicurezza | 3 | 4,3 | 31 | 44,9 | 1 | 1,4 | ||
regolazione relaz industriali partecipative | 2 | 2,9 | 19 | 27,5 | 1 | 1,4 | ||
regolazione formazione comm paritetiche | 2 | 2,9 | ||||||
regolazione formazione innovazione | 1 | 1,4 | 3 | 4,3 | 1 | 1,4 | ||
regolazione formazione specialistica | 1 | 1,4 | 5 | 7,2 | ||||
regolazione part time | 5 | 7,2 | 6 | 8,7 | 1 | 1,4 | ||
regolazione stabilizzazione precari | 1 | 1,4 | 9 | 13 | 1 | 1,4 | ||
regolazione assunzione precari | 6 | 8,7 | 1 | 1,4 | ||||
regolazione flessibilità orari | 2 | 2,9 | 32 | 46,4 | 2 | 2,9 | ||
regolazione orari impianti | 2 | 2,9 | 30 | 44,1 |
N osservazioni: 69
Fonte: La Contrattazione Aziendale nella Metalmeccanica in Provincia di Vicenza, 2007
Tabella 98 Stili regolativi e caratteri strutturali
INNOVAZIONE E INCLUSIONE | SALARIO E SALUTE | RITMI E QUALIFICAZIO NE | FORMAZIONE COMMISSIONI PARITETICHE | CRISI RISTRUTTURA ZIONE | GESTIONE ORARI | |
Percentuale donne | 0,244 | 0,223 | ,295(*) | |||
Percentuale impiegati | -,344(**) | -0,254 | ||||
Proprietà | ,243(*) | |||||
classe dimensionale | ,331(**) | 0,232 | 0,238 | 0,23 | ||
Altre unità Italia | 0,213 | -0,192 | ||||
Altre unità Estero | 0,203 | |||||
Quota soggetti finanziari | ,285(*) | |||||
Quotazione borsa | ||||||
nessuno di questi | -0,239 |
* significativo al 5% ** significativo all’1%
Fonte: La Contrattazione Aziendale nella Metalmeccanica in Provincia di Vicenza, 2007
Tabella 99 Stili regolativi e innovazione
INNOVAZIONE E INCLUSIONE | SALARIO E SALUTE | RITMI E QUALIFICAZIONE | FORMAZIONE COMMISSIONI PARITETICHE | CRISI RISTRUTTURAZIONE | GESTIONE ORARI | |
Innovazione radicale di prodotto | -0,219 | ,244(*) | 0,215 | |||
Innovazione radicale di processo | ,254(*) | |||||
Innovazione Incrementale di prodotto | ,389(**) | 0,198 | ||||
Innovazione incrementale di processo | ,249(*) | ,271(*) | ||||
Nessuna Innovazione | -,260(*) | -,307(*) |
* significativo al 5% ** significativo all’1%
Fonte: La Contrattazione Aziendale nella Metalmeccanica in Provincia di Vicenza, 2007