GIURISPRUDENZA COMMERCIALE
GIURISPRUDENZA COMMERCIALE
Anno XLV Fasc. 2 - 2018
ISSN 0390-2269
Xxxxxx Xxxxxx
POLIZZE CLAIMS MADE, RISERVE TECNICHE, RISCHIO OPERATIVO E TRASPARENZA CONTRATTUALE
Estratto
Milano • Xxxxxxx Editore
Polizze claims made, riserve tecniche, rischio operativo e trasparenza contrattuale
SOMMARIO: 1. La recente giurisprudenza in tema di clausole claims made. — 2. Xxxxxxxx claims made, costruzione del premio e appostazione delle riserve tecniche. — 3. Xxxxxxxx claims made e trasparenza contrattuale. — 4. L’incremento del rischio operativo per le imprese derivante dalla possibile riqualificazione giudiziale delle claims made “impure”; prevedibili conseguenze e possibili rimedi.
1. La recente giurisprudenza in tema di clausole claims made. — Le Sezioni unite della Cassazione Civile sono state recentemente chiamate (con due pronunce a Sezioni unite del 6 maggio 2016, n. 9140, e del 2 dicembre 2016, n. 24645) a dirimere i principali problemi in tema di clausole assicurative claims made inserite nei contratti di assicurazione della responsabilità civile (1).
Prima dell’intervento delle Sezioni unite, gli orientamenti interpretativi (tanto in giurisprudenza, quanto in dottrina) erano, come noto, diversi, anche a fronte della varietà delle clausole conosciute dal mercato. Le claims made sono, comunque, essenzialmente riconducibili a due tipi: le clausole c.d. “pure”, destinate ad indennizzare tutte le richieste risarcitorie inoltrate dal xxxxx xxx- neggiato all’assicurato e poi da questi all’impresa assicurativa nel periodo di efficacia della polizza, indipendentemente dalla data di commissione del fatto illecito, e le clausole c.d. “miste” o “impure”, che contemplano la copertura assicurativa solamente quando tanto il fatto illecito quanto la richiesta risarcito- ria intervengano nel periodo di efficacia del contratto (2).
(1) La prima sentenza è pubblicata, tra l’altro, in Banca, borsa, tit. cred., 2016, II, 656 ss., con commento di CORRIAS, La clausola claims made al vaglio delle sezioni unite: un’analisi a tutto campo, e in Resp. civ. prev., 2016, 861 ss., con nota di VERNIZZI, Le Sezioni Unite e le coperture assicurative
«retroattive»; in Riv. dir. banc., 2016, 1 ss., con commento di XXXXXXX, Le polizze claims made al vaglio delle Sezioni Unite: osservazioni a margine; è commentata anche da FACCI, Le clausole claims made e la meritevolezza di tutela, in Resp. civ. prev., 2016, 1136 ss.; XXXXXXXXX, Le clausole claims made c.d. miste tra giudizio di vessatorietà e giudizio di meritevolezza, ibidem, 1238 ss.; PARDOLESI, Le sezioni unite sulla clausola claims made: a capofitto nella tempesta perfetta, in Foro it., 2016, 2026 ss.; XXXXXXXX, Polizze claims made: bandito il controllo di vessatorietà, ibidem, 2032 ss.; XXXXXXX, Le clausole claims made al vaglio delle sezioni unite: gran finale di stagione o prodromo di una nuova serie?, ibidem, 2036 ss.; XXXXXXXXX, La clausola claims made nella sentenza delle Sezioni Unite, in Contr., 2016, 753 ss.; XXXXXXX, La copertura assicurative claims made: origine, circolazione del modello e sviluppi normativi, in Eur. dir. priv., 2016, 1 ss.; XXXXXXXXXX, Le Sezioni Unite e la clausola claims made, in Riv. trim. dir. ec., 2016, II, 53 ss.; XXXXX, Xxxxxxxx claims made fra meritevolezza e abuso secondo le Sezioni Unite, in Corr. giur., 2016, 927 ss.; sulla seconda sentenza v. in particolare PAPANICE, Xxxxxxxx “claims made”: le sezioni unite non cambiano idea, in Dir. giust., 2016, 96, 3 ss. Le successive citazioni nel testo si riferiscono alla sentenza n. 9140.
(2) In dottrina si vedano, con varietà di posizioni (oltre agli Autori citati alla nota precedente), in particolare, recentemente: MONTICELLI, La clausola claims made tra abuso del diritto ed immerite-
Tutte queste clausole, prevedendo che la richiesta di indennizzo venga presentata nel periodo di stretta vigenza del contratto (la copertura opera, infatti, a condizione che la “richiesta [sia] fatta” entro il termine di polizza), o in un periodo successivo ma espressamente convenuto, si distaccano dallo schema tipico denominato loss occurrence (da “insorgenza del danno”) delineato dall’ar- ticolo 1917 c.c., per cui la copertura opera in relazione a tutte le condotte generatrici di domande risarcitorie insorte nel periodo di efficacia della polizza, indipendentemente dalla data di presentazione all’impresa assicuratrice della richiesta di xxxxxxxxxx.
Per una prima linea interpretativa (di matrice essenzialmente giurispruden- ziale) le clausole in questione sono nulle: le claims made contrastano con la causa del contratto assicurativo, definito come l’accordo con cui si assicura il con- traente dal rischio derivante dall’esercizio dell’attività e non dal diverso rischio rappresentato dalla richiesta risarcitoria, e stravolgono, dunque, “lo schema tipico dell’assicurazione per i danni, in quanto [dirette] ad escludere l’efficacia della garanzia in relazione a tutti quei sinistri, avvenuti durante la vigenza del contratto per i quali non sia pervenuta la richiesta di risarcimento durante la vigenza del contratto stesso” (3).
Per un secondo orientamento, all’opposto, le claims integrano un contratto non soltanto pienamente valido, ma anche tipico, quale “specifica e diretta applicazione dell’art. 1917 c.c., dove il sinistro — il «fatto accaduto» di cui all’art. 1917, comma 1, c.c., dalle cui conseguenze dannose tenere indenne l’assicurato — è delimitato ed individuato dal medesimo contratto” (4).
Una terza corrente ritiene che le clausole claims made “non rientr[ino] nello schema normativo di cui all’art. 1917 c.c., ma costituisc[ano] un contratto atipico, in linea generale lecito ai sensi dell’art. 1322 c.c.” (5).
volezza, in Danno e resp. 2013, 701 ss.; XXXXXXX, Xxxxxxxx “claims made”, professionisti e “terzo contratto”, ibidem, 2013, 717 ss.; XXXXXXX, Validità ed efficacia dell’assicurazione della responsa- bilità civile claims made, in Contr. impr., 2013, 401 ss.; XXXXXXX, Profili di invalidità della clausola “claims made”, in Riv. dir. comm., 2014, II, 587 ss.; DE LUCA, Act committed, loss occurrence e claims made nelle assicurazioni dei rischi professionali. Anche la Cassazione è giudice monocratico?, in Banca, borsa, tit. cred., 2015, 721 ss.; MAGNI, Le nuove prospettive del “claims made” nei contratti di assicurazione per la responsabilità civile, in Corr. giur., 2015, 1066 ss.; XXXXXXX, Clausole claims made e determinazione unilaterale dell’oggetto nel B2B: l’equilibrio giuridico del contratto negli obiter dicta della cassazione, in N. leggi civ. comm., 2016, 545 ss.; XXXXXXX, L’assicurazione di responsabilità civile professionale, Xxxxxx, Xxx, 0000; XXXXXXX, L’assicurazione della responsabilità civile professionale e la clausola claims made, in Resp. civ. prev., 2017, 275 ss.; FACCI, Le clausole claims made ed i c.d. « fatti noti » nella successione di polizze, ibidem, 2017, 760 ss.
(3) X. Xxxx. Xxxx, 0 febbraio 2016, reperibile su xxxxxx.xx; cfr. anche Trib. Genova, 8 aprile 2008, in Dir. ec. assicur., 2010, 784 ss., con nota di XXXXXXXXXXX, Ancora in tema di clausola claims made: due pronunce a confronto.
(4) Così Trib. Milano, 18 marzo 2010, in Dir. econ. ass., 2010, 778 ss.; in Assicurazioni, 2010, 673 ss., con nota di PARTENZA, Assicurazioni di r.c. delle aziende ospedaliere e clausole claims made: un equivoco senza fine; in Corr. merito, 2010, 1054 ss., con nota di XXXXXXX, Clausola claims made: un minoritario (e condivisibile) indirizzo giurisprudenziale; in N. giur. civ. comm., 2010, I, 864 ss., con nota di XXXXXXX, La travagliata storia delle clausole claims made: le incertezze continuano; Trib. Milano, 10 gennaio 2012, in Resp. civ. e prev., 2012, 916 ss., con nota di BUGIOLACCHI, I mobili confini del tipo assicurativo: considerazioni in tema di assicurazione della r.c. con clausola claims.
(5) Cfr. Cass., 22 marzo 2013, n. 7273, in Contratti, 2013, 886 ss. e in Guida al diritto 2013, 22, 57; Cass., 15 marzo 2005, n. 5624, in Danno e resp., 2005, 1071 ss., con nota di XXXXXX,
Su un diverso piano si collocano, infine, le opinioni che, da un lato, considerano le clausole valide, ma vessatorie, in quanto dirette a delimitare la responsabilità dell’impresa assicurativa (6) e, dall’altro lato, non le considerano tali, perché limitative del solo oggetto del contratto (7).
In questo quadro articolato si inseriscono le due citate sentenze delle Sezioni unite (già seguite da altra giurisprudenza della stessa Corte (8) e dei giudici di merito (9)). In estrema sintesi (per quanto rileva ai fini del presente articolo) le stesse hanno espresso tre principi.
Le clausole claims made non sono di per sé nulle. Per quanto una linea di pensiero le ritenga — come si è visto — invalide per contrasto con la causa del contratto assicurativo, questa interpretazione non può essere seguita poiché l’art. 1932 c.c. non richiama tra le norme inderogabili l’art. 1917 c.c. (che fa espresso riferimento al “fatto accaduto durante il tempo dell’assicurazione”) e consente, dunque, “alle parti di modulare, nella maniera ritenuta più acconcia, l’obbligo del garante di tenere indenne il garantito «di quanto questi, in conseguenza del fatto accaduto durante il tempo dell’assicurazione», deve pagare a un terzo”. Di conseguenza le parti possono liberamente scegliere se l’impresa assicurativa debba indennizzare l’assicurato al verificarsi, nel periodo di polizza, del solo fatto produttivo del danno, della sola richiesta di risarcimento oppure di entrambi gli eventi. La tesi della Suprema Corte appare estensiva, in quanto adotta una nozione ampia di rischio indennizzabile e consente alle parti di ricondurre alla copertura del contratto fatti diversi e destinati ad accadere in periodi anche molto lontani tra loro, al di fuori del periodo di stretta vigenza della polizza.
Il secondo principio affermato dalla Corte attiene, viceversa, al pericolo che con tali clausole le imprese assicurative giungano a delimitare eccessivamente il rischio assicurato, a danno del contraente. Secondo la Cassazione, “al fondo della
Assicurazione claims made, sinistro (latente) e dilatazione (temporale) della responsabilità civile ed ancora ivi, 2005, 1084 ss., con nota di XXXXXXX, Xxxxxxxx claims made: legittime ma vessatorie; in Resp. e risarc., 2005, 9 ss., con nota di DE XXXXXXX, XXXXXXX, XXXXXXX, XXXXXXXX; in Dir. econ. ass., 2005, 711 ss., con nota di MONTI, In tema di liceità della clausola claims made nel contratto di assicurazione della responsabilità civile; in Assicurazioni, 2006, II, 2 ss., con nota di XXXXXXX, La clausola claims made è vessatoria?; in Nuova giur. civ. comm., 2006, I, 153 ss., con nota di XXXXXXXXX, Xxxxxx e norma nel contratto di assicurazione: la clausola claims made; in Danno e resp., 2009, 103 ss., con nota di CARASSALE, La nullità della clausola claims made nel contratto di assicurazione della responsabilità civile; quest’ultima sentenza conferma App. Napoli, 28 febbraio 2001, sempre in Dir. econ. ass., 2005, 711 ss.; Trib. Bari, 3 febbraio 2017, reperibile su xxxxxx.xx.
(6) Cfr. ad es. Cass., 13 febbraio 2015, n. 2872, in Corr. giur., 2015, 1057 ss.; Cass., 10 novembre 2015, n. 22891, in Resp. civ. e prev., 2016, 528; Cass., 13 febbraio 2015, n. 2872, in Corr. giur., 2015, 1057 ss., con nota di XXXXX, Le nuove prospettive del claims made nei contratti di assicurazione per la responsabilità civile; Cass., 17 febbraio 2014, n. 3622, in Resp. civ. prev., 2014, 380 ss., con nota di XXXXXXXXX, Xxxxxxxx claims made, rischio e successione di polizze; Trib. Bologna, 5 maggio 2014, reperibile su xxxxxx.xx.
(7) V. ad es. Cass., 22 marzo 2013, n. 7273 (nt. 5).
(8) Cfr. Cass., 11 gennaio 2017, n. 417, in Guida dir., 2017, 12, 90; Cass., 28 aprile 2017, n.
10506, in Dir. & giust., 2 maggio 2017; Cass., 28 aprile 2017, n. 10509, reperibile all’indirizzo
xxxxxx.xx.
(9) Cfr. App. Torino, 14 luglio 2016; Trib. Udine, 3 maggio 2017; Trib. Bari, 3 febbraio 2017, n. 640; Trib. Bologna, 12 agosto 2016; Trib. Monza, 5 luglio 2016; Trib. Napoli, 20 giugno 2016; Trib. Milano, 17 giugno 2016, tutte reperibili su xxxxxx.xx. V. anche Trib. Livorno, 27 luglio 2016, in N. giur. civ. comm., 2016, 1140 ss. [e Trib. Napoli, 20 giugno 2016 e Trib. Milano, 14 aprile 2017, citate da FACCI (nt. 2), alla note 18 e 20].
manifesta insofferenza per una condizione contrattuale che appare pensata a tutto vantaggio del contraente forte, c’è la percezione che essa snaturi l’essenza stessa del contratto di assicurazione per responsabilità civile, legando l’obbligo di manleva a una barriera temporale che potrebbe scattare assai prima della cessazione del rischio che ha indotto l’assicurato a stipularlo”.
Se così è si impone un’“indagine sulla meritevolezza [che] deve necessaria- mente essere condotta in concreto, con riferimento, cioè, alla fattispecie nego- ziale di volta in volta sottoposta alla valutazione” del giudice, il quale è chiamato a verificare, tra l’altro, se sussista o meno “il rapporto di corrispettività fra il pagamento del premio e il diritto all’indennizzo”.
Questa disamina non è evidentemente “passibil[e] di risposte univoche”: la clausola può essere dichiarata nulla — afferma la Corte — ove essa “determin[i], a carico del consumatore, un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto; la relativa valutazione, da effettuarsi dal giudice di merito, è incensurabile in sede di legittimità, ove congruamente motivata”.
In caso di accertamento della nullità della clausola, trova applicazione “lo schema legale del contratto di assicurazione della responsabilità civile, e cioè della formula «loss occurence»”, che assicura la copertura a ogni sinistro (inteso sia come fatto che come domanda di risarcimento) avvenuto nel periodo di vigenza della polizza. E ciò — sostiene sempre la Corte — “tanto sull’abbrivio degli spunti esegetici offerti dall’art. 1419 x.x., xxxxx 0, xxxxxx xxx xxxxxxxxx, ormai assurto a diritto vivente, secondo cui il precetto dettato dall’art. 2 Cost.,
«che entra direttamente nel contratto, in combinato contesto con il canone della buona fede, cui attribuisce vis normativa», consente al giudice di intervenire anche in senso modificativo o integrativo sullo statuto negoziale, qualora ciò sia necessario per garantire l’equo contemperamento degli interessi delle parti e prevenire o reprimere l’abuso del diritto”.
Con gli argomenti illustrati la Suprema Corte giunge, quindi, ad affermare, da un lato, che è legittimo che le parti convengano l’assunzione da parte dell’impresa dei rischi più ampi possibili (riconoscendo tendenziale validità alle clausole claims made “pure”, senza limitazioni temporali) e, dall’altro lato, che ove le parti giungano a delimitare eccessivamente il rischio a svantaggio dell’as- sicurato (con le clausole claims made “impure”), la previsione può essere giudicata nulla e sostituita con una più favorevole all’assicurato, che copra anche il sinistro avvenuto al di fuori dei termini previsti dalla polizza (tipicamente che indennizzi anche nel caso in cui, nonostante la polizza prevedesse che la denuncia di sinistro doveva intervenire nel periodo regolato dal contratto, la richiesta di indennizzo sia presentata dopo la scadenza).
Infine, la Corte di Cassazione ha ribadito un terzo principio: le clausole claims made non sono vessatorie, poiché sono dirette a circoscrivere l’oggetto del contratto e non a stabilire una limitazione di responsabilità.
2. Xxxxxxxx claims made, costruzione del premio e appostazione delle riserve tecniche. — Intendo esaminare i primi due principi affermati dalla Cassazione — validità delle claims made “pure”, possibilità di invalidare le claims made “impure” al verificarsi di squilibri contrattuali — dal punto di vista
(non tanto della disciplina sul contratto, ma) della normativa sull’impresa assicurativa e, più particolarmente, sulla formazione del premio e sull’apposta- zione delle riserve tecniche.
Quanto al premio, esso è nella sua accezione tecnica, “un corrispettivo calcolato sulla base di elementi probabilistici, in relazione ad una massa di rischi omogenei” (10). Come noto, l’attività assicurativa opera a ciclo produttivo inver- xxxx; l’impresa, nello stabilire le proprie tariffe, deve poter essere sicura che i premi incassati oggi saranno sufficienti a far fronte ai sinistri futuri. Per superare questa mancanza di certezza dei costi dovuta all’inversione del ciclo, è necessario ricorrere a tecniche attuariali che consentano di prevedere il costo dei sinistri futuri.
L’elemento base per procedere a tali stime è dato dalle statistiche, che evidenziano come è variata nel recente passato la sinistrosità dei rischi assicurati e consentono di effettuare previsioni sulla sua evoluzione futura. Il punto di partenza per costruire il prodotto assicurativo (il contratto ed il relativo prezzo) è, quindi, rappresentato dalle statistiche, che evidenziano i sinistri e gli importi che un numero sufficientemente ampio di fatti, con caratteristiche simili, ha provocato in un determinato periodo di tempo. Al premio così determinato (c.d. premio “puro”) si aggiungono i “caricamenti” per le spese di gestione e i pagamenti delle provvigioni.
Le riserve tecniche costituiscono l’altra faccia del premio: esse rappresen- tano la parte dei premi complessivamente incassata dai clienti che va accantonata per indennizzare i futuri sinistri.
La Direttiva c.d. “Solvency II” (2009/138/CE) ha radicalmente modificato le modalità di calcolo delle riserve tecniche e, quindi, dei premi. Tale disciplina si occupa principalmente di “quanto” debba essere appostato a riserva, al fine di coprire i sinistri futuri, e di come debbano essere poi investiti gli attivi a copertura delle riserve.
La normativa precedente era ispirata a principi prudenziali nel calcolo delle riserve e poneva precisi limiti alla possibilità di investimenti. Per limitarsi ai principi di calcolo delle riserve, il codice delle assicurazioni (così come in precedenza i decreti legislativi 194 e 195/1995) e la disciplina dell’IVASS richiedevano — prima del recepimento della direttiva — di calcolare le riserve “separatamente per ciascun contratto”; in alternativa, tuttavia, le imprese pote- vano (a certe condizioni) determinare le riserve con metodi forfettari ed empirici; era poi imposta (a riprova dell’esigenza di effettuare accantonamenti aggiuntivi in via prudenziale) la costituzione di una riserva c.d. di “perequazione”, com- prensiva di tutte le somme accantonate allo scopo di perequare le fluttuazioni del tasso dei sinistri negli anni futuri o di coprire rischi particolari (cfr. l’art. 36 del
c.a. nella versione previgente e il Regolamento 16/2008 Ivass, spec. agli artt. 8, 11 e 40).
(10) Cfr. per tutti X. XXXXX PUTZOLU, Manuale di diritto delle assicurazioni11, Milano, Xxxxxxx, 2015, 109.
Ne derivava, quindi, che — pur dovendo e potendo le imprese assicurative considerare le riserve (e quindi i premi) su basi standardizzate — era pur sempre possibile inserire degli elementi di correzione, volti a prevenire, in via pruden- ziale (“generica” e “perequativa”), il verificarsi di eventi imprevisti.
La Direttiva Solvency II ha — come anticipato — modificato significativa- mente le modalità di calcolo delle riserve e quindi dei premi. In modo chiaro i considerando della Direttiva (in particolare i numeri 54, 55 e 58) stabiliscono, da un lato, che i principi e le metodologie attuariali e statistiche alla base del calcolo di tali riserve tecniche devono essere armonizzati in tutta la Comunità al fine di ottenere una migliore comparabilità e trasparenza e, dall’altro, che “il calcolo delle riserve tecniche dovrebbe essere coerente con la valutazione delle attività e delle altre passività [dell’impresa], in linea con il mercato e con gli sviluppi internazionali in materia di contabilità e di vigilanza”. Conseguentemente “il valore delle riserve tecniche dovrebbe corrispondere all’importo che un’impresa di assicurazione o di riassicurazione dovrebbe pagare se trasferisse immediata- mente i suoi diritti e le sue obbligazioni contrattuali ad un’altra impresa”.
Ne deriva che “il valore attuale atteso delle passività assicurative” va
“calcolato sulla base di informazioni attuali e credibili e di ipotesi realistiche, [...] in modo tale da poter fornire una valutazione economica delle obbligazioni di assicurazione”.
L’art. 36-bis c.a. dispone oggi — in linea con i principi della Direttiva — che l’impresa deve detenere riserve tecniche per un valore corrispondente all’importo attuale che la stessa dovrebbe pagare se dovesse trasferire immediatamente i propri impegni assicurativi ad un’altra impresa; per il calcolo delle riserve tecniche vanno utilizzate le informazioni fornite dai mercati finanziari e l’impresa deve calcolare le riserve tecniche in modo, oltre che prudente, soprattutto “affidabile ed obiettivo”.
L’art. 36-ter c.a. impone all’impresa di detenere “riserve tecniche per un valore corrispondente alla somma della migliore stima e del margine di rischio”: “la migliore stima corrisponde al valore attuale atteso dei flussi di cassa futuri”; l’impresa calcola la migliore stima “sulla base di informazioni aggiornate e attendibili nonché su ipotesi realistiche, utilizzando metodi attuariali e statistici che siano adeguati, applicabili e pertinenti”.
Quanto al margine di rischio, l’impresa lo misura “in modo tale da garantire che il valore delle riserve tecniche equivalga all’importo di cui l’impresa mede- sima dovrebbe disporre per assumere e onorare gli impegni assicurativi e riassicurativi”.
Il metodo di appostazione delle riserve tecniche (e, quindi, della miglior stima e del margine di rischio) viene poi ulteriormente definito dal Regolamento Ivass 18 del 2016.
La materia si fa a questo punto molto complessa (anche per effetto del rinvio da parte dello stesso codice delle assicurazioni ad un Regolamento Comunitario, il 35/2015, per la disciplina del calcolo delle riserve), ma ciò che deve essere qui evidenziato — a livello di quadro d’insieme — è che la valutazione dei rischi da parte dell’impresa deve avvenire nel modo più preciso e obiettivo possibile,
tendenzialmente senza margini di imprevedibilità o di impossibilità di adeguata ponderazione.
3. Xxxxxxxx claims made e trasparenza contrattuale. — Prima di procedere oltre, occorre ricordare che le imprese assicurative sono assoggettate a stringenti obblighi informativi nei confronti dei potenziali clienti (11).
Il Titolo XIII del c.a. (rubricato “trasparenza delle operazioni e protezione dell’assicurato”) contiene una serie di disposizioni sulla pubblicità dei prodotti assicurativi e sulle condizioni contrattuali.
L’art. 185 c.a. stabilisce che le imprese devono consegnare al contraente, prima della conclusione del contratto ed unitamente alle condizioni di assicura- zione, una nota informativa, che contiene le informazioni necessarie affinché il contraente possa pervenire a un fondato giudizio sui diritti e sugli obblighi contrattuali; l’IVASS è stato poi chiamato dalla stessa norma a disciplinare con regolamento il contenuto della nota informativa “in modo tale che siano previste, oltre alle indicazioni relative all’impresa, le informazioni sul contratto con particolare riguardo alle garanzie e alle obbligazioni assunte dall’impresa, alle nullità, alle decadenze, alle esclusioni e alle limitazioni della garanzia e alle rivalse, ai diritti e agli obblighi in corso di contratto”.
Il Regolamento IVASS 35/2010 integra poi tali previsioni, con norme di ulteriore dettaglio, stabilendo, tra l’altro, che l’impresa è comunque tenuta ad inserire “informazioni supplementari rispetto a quelle previste dagli schemi”, ove sia ravvisata “l’esigenza di rendere pienamente comprensibili le caratteristiche del contratto” (art. 8).
L’IVASS è dotata di significativi poteri di intervento, sia a livello sanziona- torio, sia preventivo. In particolare, l’art. 187 c.a. stabilisce che l’IVASS può in ogni momento chiedere all’impresa di apportare modifiche alla nota informativa utilizzata ove occorra fornire informazioni ulteriori e necessarie per la protezione degli assicurati.
Per tornare alle clausole claims made, evidenzio, dunque, che esiste un piano ben preciso ove dovrebbe attestarsi l’equilibrio tra le parti (impresa e con- traente), che è quello della trasparenza e dell’esigenza di tendenziale piena comprensione, da parte dell’assicurato, delle clausole del contratto assicurativo, comprese le clausole claims made (12). Questa trasparenza va incentivata ed imposta dalla stessa autorità di vigilanza.
4. L’incremento del rischio operativo per le imprese derivante dalla possi- bile riqualificazione giudiziale delle claims made “impure”; prevedibili conse- guenze e possibili rimedi. — Come si è evidenziato all’inizio del discorso, la Corte
(11) Cfr. per una ricognizione GILI, Regolamento Isvap n. 35 del 26 maggio 2010 sulla “trasparenza” dei prodotti assicurativi vita e danni, in Dir. ec. assicur., 2011, 1375 ss.; D’ANGELO, La protezione dell’assicurato e la trasparenza precontrattuale nelle assicurazioni non vita, in Resp. civ. prev., 2007, 1775 ss.
(12) Su questa linea di pensiero v. anche FACCI (nt. 2).
di Cassazione considera valide — causalmente tipiche e in linea con l’attività assicurativa — le clausole claims made.
Le imprese assicurative, quindi, possono — qualora si riputino in condizione di farlo, dal punto di vista del calcolo del rischio, dei premi e delle riserve — stipulare un contratto che (per mezzo delle claims made “pure”) giunga a coprire eventi che si sono verificati molto prima, o che possono verificarsi molto dopo, il periodo di stretta durata della polizza.
Prendendo atto di questa tendenza, a livello normativo, ad esempio, il recente D.M. Giustizia 22 settembre 2016 (che disciplina le “condizioni essen- ziali e massimali minimi delle polizze assicurative a copertura della responsabilità civile e degli infortuni derivanti dall’esercizio della professione di avvocato”) stabilisce, ad esempio, che “l’assicurazione deve prevedere, anche a favore degli eredi, una retroattività illimitata e un’ultrattività almeno decennale per gli avvocati che cessano l’attività nel periodo di vigenza della polizza”.
D’altro lato, però, la Suprema Corte non ritiene che possano essere sempre le stesse parti ad accordarsi in modo opposto, restringendo liberamente i limiti di operatività della copertura assicurativa mediante l’inserimento di clausole claims made “impure”. In particolare, non deve reputarsi consentito alle parti di prevedere clausole particolarmente squilibrate, tali da denotare “una mancanza di corrispettività tra pagamento del premio e diritto all’indennizzo”.
A ben vedere, tuttavia, qualora le parti si accordino in questa seconda direzione, esse effettuano (quantomeno in astratto) la medesima valutazione compiuta per estendere la copertura oltre i normali limiti (con le clausole “pure”) e non operano — o non dovrebbero operare, in base alla disciplina sulla trasparenza — in condizioni di asimmetria contrattuale diverse da quelle che caratterizzano la stipula di tutti i contratti assicurativi (compresi quelli conte- nenti clausole “pure”).
Quanto all’impresa, essa è tenuta ad effettuare il medesimo calcolo delle riserve tecniche, “sulla base di informazioni attuali e credibili e di ipotesi realistiche, in modo tale da poter fornire una valutazione economica delle obbligazioni di assicurazione”.
La soluzione adottata dalla recente giurisprudenza conduce, invece, ad un sistema in cui — per quanto il contratto sia valido sin dall’origine (e costruito tenendo conto di determinati assetti economici, tradotti, per l’impresa, nel complesso delle riserve tecniche) — “l’ultima parola spetta al giudice” (13), cui è consentito “di intervenire anche in senso modificativo o integrativo sullo statuto negoziale, qualora ciò sia necessario per garantire l’equo contemperamento degli interessi delle parti e prevenire o reprimere l’abuso del diritto”.
Anche a considerare solamente le decisioni della giurisprudenza successive alle due sentenze delle Sezioni unite, appare evidente, anzitutto, la difficoltà di individuare “indici di squilibrio” univoci: in alcuni casi i giudici — per negare una
(13) Cfr. XXXXXXXXX, La clausola “claims made” non è vessatoria: ma l’ultima parola spetta al giudice, in Dir. & giust., 2016, 22, 9 ss.
simile situazione — hanno valorizzato, oltre all’entità del premio (14), “la con- dizione di favore per l’assicurato rappresentata dall’estensione della garanzia ai fatti dannosi verificatisi prima della conclusione del contratto” (15), in altri casi
— per affermare all’opposto la sussistenza di uno sbilanciamento in pregiudizio dell’assicurato — hanno avuto riguardo all’“inevitabile discrasia temporale tra l’esecuzione della prestazione e la manifestazione del danno [per cui sarebbe] pressoché impossibile che in uno stesso anno si verifichi sia la condotta (o l’omissione) del professionista che la richiesta risarcitoria da parte del terzo danneggiato” (16).
Vi è, tuttavia, da chiedersi, in primo luogo, se l’autorità giudiziaria (anche con l’ausilio di consulenti tecnici) sia sempre in grado di ricostruire una situa- zione di oggettivo squilibrio e, in particolare, di valutare concretamente “il rapporto di corrispettività fra il pagamento del premio e il diritto all’indennizzo”, atteso che una simile valutazione richiede l’accesso a dati di fatto indisponibili e soprattutto conoscenze tecniche anche molto complesse, alla luce della modalità di costruzione del premio e del calcolo delle riserve.
In secondo luogo, occorre valutare se sia coerente con i principi che regolano l’attività assicurativa che la prestazione tipica dell’impresa possa essere riquali- ficata ex post dall’autorità giudiziaria (17), considerato che questa soluzione è inevitabilmente destinata a generare un incremento del rischio operativo per le imprese, con conseguente necessità per le stesse di integrazione del requisito
(14) Cfr. ad es. Trib. Bologna, 12 agosto 2016, (nt. 9): non “emergono dagli atti ulteriori profili di nullità, tanto più alla luce della entità del premio (sensibilmente inferiore a quello previsto dalla abbinata polizza di assicurazione della responsabilità civile verso terzi, secondo la quale sinistro è il fatto dannoso per il quale è prestata assicurazione, a parità di massimale) in relazione al massimale”.
(15) Cfr. Cass., 11 gennaio 2017, n. 417, (nt. 17); App. Torino, 14 luglio 2016, (nt. 9); Trib. Bologna, 12 agosto 2016, (nt. 9); Trib. Napoli, 20 giugno 2016, (nt. 9). Molto esplicita è anche Xxxx., 28 aprile 2017, n. 10506, (nt. 8) di cui si riportano alcuni passaggi: “la clausola claims made che escluda le richieste postume appare immeritevole di tutela, in quanto attribuisce all’assicuratore un vantaggio ingiusto e sproporzionato, senza contropartita. La clausola claims con esclusione delle richieste postume riduce infatti il periodo effettivo di copertura assicurativa, dal quale resteranno verosimilmente esclusi tutti i danni causati dall’assicurato nella prossimità della scadenza del contratto. È infatti praticamente impossibile che la vittima d’un danno abbia la prontezza e il cinismo di chiederne il risarcimento illico et immediate al responsabile”; “la clausola claims made che escluda le richieste postume appare immeritevole di tutela, in quanto pone l’assicurato in una posizione di indeterminata soggezione rispetto all’altra”; “la clausola c. d. claims made [...] è un patto atipico immeritevole di tutela ai sensi dell’art. 1322 c.c., comma 2, in quanto realizza un ingiusto e sproporzionato vantaggio dell’assicuratore, e pone l’assicurato in una condizione di indeterminata e non controllabile soggezione”.
(16) Cfr. Trib. Milano, 17 giugno 2016, cit.; si osservi che il Tribunale ha concluso per l’illegittimità di una clausola che prevedeva una retroattività di tre anni dalla stipula della polizza, estendendo la copertura a dieci anni a favore di un architetto; di contro, il Tribunale di Napoli nella sentenza del 20 giugno 2016 (cit. alla nota precedente) ha considerato legittima una clausola del tutto simile (retroattività di tre anni), respingendo la domanda di garanzia avanzata da un ente ospedaliero verso il proprio assicuratore.
(17) Il punto è colto anche da XXXXXXXXX (nt. 1): “la Corte evoca l’entità del premio pagato come ulteriore tassello da valutare nel giudizio di meritevolezza; [q]uesta serie di criteri di giudizio concreti, evocati dalla Corte, tranquillizza l’interprete contro il pericolo di eventuali arbitri interpre- tativi”; si tratta, tuttavia, “di un orientamento che può comportare talvolta il pericolo di destabilizzare la certezza dei rapporti contrattuali e di sovvertire la stessa attività assicurativa, che [...] ha bisogno di sapere con precisione sino a quando sarà tenuta a manlevare il garantito, e ad appostare in bilancio le somme necessarie per far fronte alle relative obbligazioni e a quantificare il premio assicurativo”.
patrimoniale di solvibilità e quale effetto indiretto per i clienti l’aumento dei premi su base generalizzata.
Xxxxxxx, infatti, che gli artt. 101 e 106 della Direttiva Solvency II, da un lato, dispongono che il requisito patrimoniale di solvibilità dell’impresa è chiamato a coprire sia il rischio di sottoscrizione che il rischio operativo e che quest’ultimo include tipicamente “i rischi giuridici” (18) e, dall’altro, introducono un requisito patrimoniale aggiuntivo per il rischio operativo, che deve riflettere questo genere di rischio qualora lo stesso non sia già coperto in altri moduli (questi principi sono ora riflessi nella disciplina del codice delle assicurazioni agli artt. 1, lett. vv-bis.5, 45-ter, 45-quinquies e 45-decies c.a.) (19).
La gestione del rischio operativo è regolata anche dagli “Orientamenti sul Sistema di Governance” dell’EIOPA (EIOPA-BoS-14/253 IT), che prevedono che l’impresa è tenuta ad istituire processi atti a individuare, analizzare e segnalare gli eventi correlati al rischio operativo (paragrafo 21), con conseguenti riflessi in termini di incremento delle dotazioni di personale e di adozione di nuove procedure.
Concludo, infine, proponendo di considerare se — a fronte degli evidenziati limiti cognitivi dell’autorità giudiziaria nel valutare l’“equilibrio” delle polizze e i calcoli sottostanti e delle maggiori difficoltà e dei prevedibili costi conseguenti all’adozione di simili linee interpretative (con possibili riverberi sull’aumento dei premi) — non risulti più efficiente spostare la tutela dei clienti sul piano (più che della riqualificazione giudiziale delle clausole) dell’imposizione alle imprese di obblighi più stringenti a livello di informazione precontrattuale, di trasparenza sull’effettivo contenuto giuridico delle clausole claims made e di valutazione di adeguatezza delle polizze (obblighi peraltro già contemplati dall’attuale disci- plina), favorendo — in caso di loro mancata osservanza — un intervento più ri- goroso da parte dell’autorità di vigilanza nei confronti delle imprese inadempienti.
(18) Il Solvency II Glossary pubblicato dal Comité Européen des Assurances (CEA) e dal Groupe Consultatif Actuariel Européen (Groupe Consultatif), reperibile su xxxx://xx.xxxxxx.xx/ internal_market/insurance/docs/solvency/impactassess/annex-c08d_en.pdf, identifica il rischio le- gale, che collega al rischio operativo, nella “possibility that lawsuits, adverse judgements from courts, or contracts that turn out to be enenforceable, disrupt or adversely affect the operations or condition of an insurer” ed aggiunge che “the result may lead to unplanned additional payments to policyhol- ders or that contracts are settled on an unfavourable basis, e.g. unrecoverable reinsurance”. Per un recente studio che riconduce il rischio legale (compreso quello derivante dalla mancata previsione di possibili inadempimenti contrattuali) all’area del rischio operativo x. XXXXX & YOUNG, Legal risk 2.0: show you’re in control, 2016, reperibile all’indirizzo: xxxx://xxx.xx.xxx/xxxxxxxxxxx: “because legal risk overlaps with other risk areas, and organizations in [financial services] are usually very complex, to manage it effectively you need to integrate with operational risk frameworks and support the development of dashboards, predictive legal risk models and near real-time Key Risk Indicators from current operational risk data sets”. Per approfondimenti sul calcolo del rischio operativo nelle imprese assicurative x. XXXXXX-XXXXXX-XXXXXXXXXX, Impact of insurance for operational risk: is it worthwhile to insure or be insured for severe losses?, reperibile all’indirizzo xxxxx://xxxxxx.xxxx.xxx/ sol3/xxxxxx.xxx?abstract_id=2980441, ove altri riferimenti.
(19) Cfr. in argomento già DREASSI - MIANI, Il requisito di capitale per il rischio operativo: confronto nel mercato assicurativo italiano fra le metodologie proposte per Solvency II, in Dir. ec. assicur., 2008, 699 ss.
Abstract
The granting of credit is the most distinctive banking activity. Under the same are conducted simultaneously the fundamental duties of the company directors: on the one hand, the duty of care (in this case, in the granting of loans) and, secondly, the duty of construct and evaluate the organizational, administrative and accounting structure of the company (in order to grant and manage credits diligently).
This activity gives life to a very complex process which has to be divided into multiple phases: assessment of the client, granting of the loan, performance control, classification of exposures, management of the problematic ones, impairment, etc..
The complex of these tasks is carried out by the bank’s directors — as well as through the adoption of timely decisions related to individual loans (usually those with a higher value)
— especially by establishing principles and rules that set forth the governance and processes of the credit risk management, as well as through the appointment of various people that have to collaborate in such activity, within their functions and corporate structures.
The essay deals with the duty of care of directors in granting and managing loans (especially at the non-performing stage, in the light of the more recent trends set forth by the principle IFRS 9 and the Guidelines of the European Banking Authority and the Bank of Italy) and applying to this activity the business judgment rule.