COLLEGIO DI NAPOLI
COLLEGIO DI NAPOLI
composto dai signori:
(NA) XXXXXXXX Presidente
(NA) MAIMERI Membro designato dalla Banca d'Italia
(NA) BLANDINI Membro designato dalla Banca d'Italia
(NA) XXXXXXXXX Membro designato da Associazione rappresentativa degli intermediari
(NA) CAMPOBASSO Membro designato da Associazione rappresentativa dei clienti
Relatore XXXXX XXXXXXXXXX
Nella seduta del 14/03/2017 dopo aver esaminato:
- il ricorso e la documentazione allegata
- le controdeduzioni dell’intermediario e la relativa documentazione
- la relazione della Segreteria tecnica
FATTO
Le contestazioni e domande avanzate in ricorso sono integralmente fondate sulle risultanze di una perizia svolta da un esperto appositamente incaricato dalla società ricorrente. Il perito riferisce innanzitutto che il contratto di conto corrente oggetto dell’analisi è stato acceso in data 20/12/2010 presso la banca resistente; in pari data, quest’ultima concedeva alla cliente un fido ordinario per l’importo di € 30.000,00, poi incrementato a € 35.000,00 a far data dal 5/6/2012. Afferma poi di avere svolto le proprie rilevazioni sulla base degli estratti conto, disponibili a far data dal IV trimestre 2010, e in assenza del contratto originariamente stipulato, non prodotto dalla banca resistente.
Tanto premesso, il consulente rileva innanzitutto l’applicazione al rapporto di interessi in misura superiore al tasso soglia. Nella ripetuta indisponibilità del contratto, asserisce la mancata pattuizione del tasso ultralegale e propugna il ricalcolo degli interessi in linea con il rendimento dei BOT, ai sensi dell’art. 117 TUB.
In subordine, il perito lamenta:
- l’applicazione di interessi anatocistici. Consapevole, tuttavia, che il conto corrente è stato acceso in data successiva all’emanazione della Delibera CICR del 9 febbraio 2009, pare limitare le proprie contestazioni al periodo successivo al 1° gennaio
2014, quando - modificato l’art. 120 TUB – è stata de facto ripristinata “l’inderogabilità dell’art. 1283 c.c.”: l’esponente conclude pertanto per l’illegittimità della capitalizzazione periodica degli interessi passivi, a far data dal I° trimestre 2014.
- l’applicazione di commissioni e costi ulteriori agli interessi, non specificamente pattuiti nella misura e nella periodicità e che, in ogni caso, risultano privi di causa e indeterminati nelle modalità di calcolo. L’esponente si sofferma, in particolare, sulla commissione di istruttoria veloce, addebitata nel periodo in osservazione per un importo complessivo di € 20.850,00: richiama in proposito la giurisprudenza dell’ABF, che non ha mancato di sottolineare come la CIV costituisca remunerazione di una specifica attività della banca e debba quindi essere onere di quest’ultima dimostrare di avere compiuto l’istruttoria veloce per ogni singolo sconfinamento;
- l’applicazione di “interessi” in misura eccedente le soglie vigenti trimestre per trimestre, fissate ai sensi della legge n. 108/1996. Al riguardo, il perito disserta sulle modalità di calcolo dell’indice di costo, rilevando come anche la Cassazione penale abbia ritenuto valida la formula che rapporta tutti gli oneri, interessi e commissioni, all’utilizzato; nondimeno, dichiara di avere adottato nelle verifiche eseguite, in relazione al conto corrente della società ricorrente, la metodologia indicata nelle istruzioni per la rilevazione del TEGM, dettate dalla Banca d’Italia, riportando a denominatore, per la parte commissioni, l’accordato, anziché i numeri debitori. L’analisi svolta ha certificato, in ogni caso, che, per tutti i trimestri dal 31/3/2012 al 31/12/2015, il rapporto è stato connotato da deficienze usurarie, con un “debordo” quantificato complessivamente in € 16.768,00. A comprova, l’esponente produce elaborazioni sintetiche effettuate su foglio di calcolo.
Sulla base di ciò il ricorrente si rivolge all’Arbitro per ottenere la restituzione degli interessi e delle competenze illecitamente addebitate, che nella perizia quantifica in € 49.926,70.
In sede di controdeduzioni, la banca resistente si oppone, con ampie argomentazioni, alle contestazioni relative alla presunta violazione del divieto di anatocismo. Puntualizza innanzitutto che il contratto a suo tempo stipulato prevede espressamente una clausola in forza della quale i rapporti di dare e avere sono chiusi contabilmente alla fine di ogni trimestre e con le medesime scadenze vengono liquidati e capitalizzati – in piena conformità alle norme dettate dalla Delibera CICR del 9 febbraio 2009 – gli interessi attivi e passivi.
Per il periodo successivo alla modifica dell’art. 120 TUB, intervenuta con legge n. 143/2013 e poi emendata con legge n. 49/2016, la resistente sostiene che la norma primaria non fosse immediatamente applicabile e necessitasse di attuazione con apposito provvedimento del CICR. In tale attesa, avrebbe dovuto, secondo quanto sostenuto nelle controdeduzioni, trovare applicazione ultrattiva la normativa secondaria dettata con la Delibera del 9 febbraio 2009, secondo quanto statuito dall’art. 161 TUB.
In merito agli ulteriori rilievi mossi dalla ricorrente, la banca si limita a dichiarare di non condividere le metodologie utilizzate dal perito di parte.
La resistente chiede pertanto all’Arbitro di non accogliere il ricorso.
DIRITTO
La questione sottoposta all’Arbitro concerne l’asserita illegittimità di addebiti operati dalla banca a titolo di commissioni e interessi su un conto corrente affidato, in violazione della disciplina di trasparenza, nonché in tema di usura e di anatocismo.
Preliminarmente, pare opportuno rilevare che la resistente produce agli atti il contratto di conto corrente, debitamente sottoscritto dalla cliente, e il relativo documento di sintesi, non l’accordo sulla base del quale è stata concessa l’apertura di credito. Ne deriva che, come pure contestato dalla parte ricorrente, non risulta la pattuizione per il tasso applicato al fido, né risultano contrattualizzati l’importo massimo del fido e le altre condizioni economiche applicate, in specie la commissione per la disponibilità fondi; il documento di sintesi relativo al conto corrente, invece, specifica solo il tasso di interesse e le commissioni applicate in caso di sconfinamento, in misura, peraltro, ovviamente superiore a quella effettivamente praticata per il rapporto di credito, oggetto di contestazione.
Occorre pertanto valutare l’eventuale nullità delle pattuizioni relative ai tassi debitori ed alle commissioni praticate per violazione della forma scritta richiesta dall’art. 117 d.lgs. 385/1993 (TUB).
Al riguardo, è da osservare che il vincolo della forma scritta costituisce il cardine della disciplina della trasparenza dei contratti bancari a cui è collegata la speciale nullità “relativa” delle rispettive clausole prevista dall’art. 127, 2° comma, TUB («Le nullità previste dal presente titolo operano solo a vantaggio del cliente e possono essere rilevate d’ufficio dal giudice) a tutela del diritto del cliente di conoscere le condizioni praticate e per impedire che la determinazione degli oneri sia rimessa a completa discrezione della banca. È bensì vero che la disciplina la normativa di attuazione della Banca d’Italia, a tanto autorizzata dal C.I.C.R., ha sempre previsto, pur nel variare dei testi normativi, che non fosse richiesta la forma scritta per i contratti relativi ad operazioni e servizi già previsti in contratti redatti per iscritto, tra cui il contratto di conto corrente (così, per la versione vigente all’epoca dei fatti: Banca d’Italia, Disposizioni in materia di trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari provv. 29-7-2009, sez. III, § 2 : «La forma scritta non è obbligatoria per: a) le operazioni e i servizi effettuati in esecuzione di contratti redatti per iscritto». Le norma è rimasta immutata nelle nuove disposizioni emanate con provv. del 30/9/2016). Sulla base di ciò è stato ritenuto che il vincolo della forma scritta non è richiesto a pena di nullità per un contratto di apertura di credito previsto e regolato da un contratto di conto corrente: contratto che può quindi essere concluso anche per fatti concludenti (Collegio Napoli, decisione n. 3668/13) in quanto «costituisce sufficiente garanzia per il cliente che il contenuto normativo del contratto sia redatto per iscritto, mentre poi la sua concreta stipulazione, alle condizioni riportate nel contratto scritto, potrà avvenire in altra forma nel rispetto delle esigenze di celerità ed operatività che taluni tipi di contratti esigono» (Cass., 15 settembre 2006, n. 19941).
Tali considerazioni non valgono tuttavia nel presente caso, per la semplice ragione che il
contratto di conto corrente esibito dalla resistente non prevede né regola la concessione di apertura di credito. Infatti non contiene alcuna previsione in merito alle condizioni economiche da praticare nell’ipotesi di concessione di affidamenti sul conto.
Il Collegio ritiene pertanto che nel presente caso debba trovare applicazione l’art. 117, 7° comma, d.lgs. 395/1993, secondo cui, in mancanza di indicazione dei tassi e degli altri oneri contrattuali, si applicano: «a) il tasso nominale minimo e quello massimo, rispettivamente per le operazioni attive e per quelle passive, dei buoni ordinari del tesoro annuali o di altri titoli similari eventualmente indicati dal Ministro dell'economia e delle finanze, emessi nei dodici mesi precedenti la conclusione del contratto o, se più favorevoli per il cliente, emessi nei dodici mesi precedenti lo svolgimento dell'operazione. b) gli altri prezzi e condizioni pubblicizzati per le corrispondenti categorie di operazioni e servizi al momento della conclusione del contratto o, se più favorevoli per il cliente, al momento in cui l'operazione è effettuata o il servizio viene reso; in mancanza di pubblicità nulla è dovuto».
Nel contempo, il Collegio rileva che l’intermediario, nel rideterminare gli interessi passivi entro il limite fissato dal sopra esposto art. 117, 7° comma, non dovrà applicare a partire dal 1/1/2014 la clausola di capitalizzazione trimestrale degli stessi, essendo fondata l’eccezione di invalidità sopravvenuta della convenzione di anatocismo contenuta nel contratto di conto corrente a seguito dell’entrata in vigore delle modifiche apportate all’art. 120, 2° comma, T.u.b. dall’art. 1, comma 629, legge 147/2013.
A tal proposito è necessario preliminarmente precisare che il Collegio non può valutare l’originaria validità delle clausole contrattuali relative alla capitalizzazioni degli interessi, trattandosi nel caso di specie di un conto corrente acceso anteriormente al 1/1/2009, limite temporale fissato alla giurisdizione dell’ABF dalla disciplina vigente (par. 4, sez. I, delle Disposizioni sui sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di operazione e servizi bancari e finanziari). Il Collegio può invece accertare se le pattuizioni intervenute tra le parti siano affette da illiceità sopravvenuta per effetto della mutazione delle norme di riferimento, come peraltro chiede il ricorrente.
In particolare, il citato art. 1 comma 629 L. 27.12.2013 n.147 ha modificato l’art. 120, 2° comma, T.u.b., con efficacia dal 1.1.2014, introducendo un radicale divieto per le banche di praticare interessi anatocistici («Il CICR stabilisce modalità e criteri per la produzione di interessi nelle operazioni poste in essere nell'esercizio dell'attività bancaria, prevedendo in ogni caso che: […] b) gli interessi periodicamente capitalizzati non possano produrre interessi ulteriori che, nelle successive operazioni di capitalizzazione, sono calcolati esclusivamente sulla sorte capitale»). L’intermediario contesta che tale modifica fosse operativa prima dell’emanazione della relativa disciplina secondaria di attuazione e sostiene che nelle more restassero transitoriamente valide le clausole di capitalizzazione trimestrale degli interessi redatte in conformità della delibera C.i.c.r. del 9.2.2000.
La questione è stata oggetto di esame da parte del Collegio di coordinamento nella decisione n. 7854/2015, il quale invece è pervenuto ad affermare la natura immediatamente precettiva del nuovo art. 000 X.x.x. Xx consegue l’immediata invalidità sopravvenuta delle clausole contrattuali che, in linea con la precedente formulazione della norma e con la delibera C.i.c.r. del 9.2.2000, prevedevano la produzione di interessi anatocistici a condizione che fosse rispettata la stessa periodicità di capitalizzazione per gli interessi attivi e passivi. Nello stabilire questo principio di diritto, il Collegio di coordinamento ha negato l’ultrattività della normativa secondaria emanata in attuazione della previgente disciplina; nel contempo, però, ha riconosciuto che non spetta all’Arbitro Bancario (ma all’Autorità amministrativa competente) il potere-dovere di rivolgere agli operatori bancari indicazioni generali di tecnica contabile e contrattuale. Il Collegio ha pertanto concluso che, fino all’emanazione della nuova delibera Cicr gli intermediari avrebbero dovuto adottare le opportune prassi contabili per renderle coerenti con il divieto di addebito di interessi anatocistici.
Questo Collegio intende dare continuità all’orientamento manifestato dalla richiamata
decisione del Collegio di coordinamento e ritiene che i principi ivi affermati restino validi nel caso di specie, nonostante l’ulteriore modifica subita nel frattempo dall’art. 120, 2° comma, T.u.b. ad opera della legge 8.4.2016, n. 49 in sede di conversione del d.l. 14/2/2016, n. 18.
Il nuovo art. 120 T.u.b. dispone che: «Il CICR stabilisce modalità e criteri per la produzione di interessi nelle operazioni poste in essere nell'esercizio dell’attività bancaria»; nel definire i principi della normativa di attuazione (in seguito emanata con D.M., 3/8/2016, n. 343), l’attuale formulazione dell’articolo conferma il principio di uguale periodicità nel conteggio degli interessi, ma precisa che il periodo deve essere « comunque non inferiore ad un anno; gli interessi sono conteggiati il 31 dicembre di ciascun anno e, in ogni caso, al termine del rapporto per cui sono dovuti». Per quanto riguarda specificamente gli interessi
debitori, la nuova norma conferma che in via di principio gli stessi « non possono produrre interessi ulteriori, salvo quelli di mora, e sono calcolati esclusivamente sulla sorte capitale». Tuttavia, si precisa che «per le aperture di credito regolate in conto corrente e in conto di pagamento, per gli sconfinamenti anche in assenza di affidamento ovvero oltre il limite del fido: 1) gli interessi debitori sono conteggiati al 31 dicembre e divengono esigibili il 1º marzo dell'anno successivo a quello in cui sono maturati; nel caso di chiusura definitiva del rapporto, gli interessi sono immediatamente esigibili; 2) il cliente può autorizzare, anche preventivamente, l'addebito degli interessi sul conto al momento in cui questi divengono esigibili; in questo caso la somma addebitata è considerata sorte capitale; l'autorizzazione è revocabile in ogni momento, purché prima che l'addebito abbia avuto luogo».
Il Collegio è consapevole che l’attuale disciplina concede nuovo spazio alla produzione di interessi anatocistici limitatamente alle aperture di credito e agli sconfinamenti non autorizzati in c/c. Osserva tuttavia che tale reintroduzione di pratiche anatocistiche può essere convenuta fra banca e cliente solo per il periodo successivo all’entrata in vigore della legge 49/2016, e cioè dal 15/04/2016, ed a condizione che sussistano le ulteriori condizioni previste dall’art. 120, 2° comma, T.u.b.: 1) che la capitalizzazione avvenga con cadenza annuale; 2) che sia espressamente autorizzato dal cliente l’addebito degli interessi passivi sul conto corrente. In mancanza di tali condizioni, e comunque per il periodo in cui è stata in vigore la versione dell’art. 120, 2° comma, T.u.b. introdotta dalla legge 147/2013 l’addebito di interessi anatocistici è illecito.
Ne consegue, pertanto, che a partire dal 1/1/2014 e fino all’eventuale adeguamento degli accordi con il cliente in conformità alle previsioni del nuovo art. 120, 2° comma, T.u.b. (come da ultimo modificato dalla legge 49/2016) e relativa normativa di attuazione, l’intermediario non potrà procedere ad una capitalizzazione periodica degli interessi passivi.
P.Q.M.
In parziale accoglimento del ricorso, il Collegio dichiara l’intermediario tenuto alla restituzione di interessi e costi eccedentari rispetto al co. 7 dell’art. 117 TUB nonché degli ulteriori interessi anatocistici a partire dal 1° gennaio 2014 nei sensi di cui in motivazione.
Il Collegio dispone inoltre, ai sensi della vigente normativa, che l’intermediario corrisponda alla Banca d’Italia la somma di € 200,00 quale contributo alle spese della procedura e al ricorrente la somma di € 20,00 quale rimborso della somma versata alla presentazione del ricorso.
IL PRESIDENTE
firma 1