CAMPO APERTO:
CAMPO APERTO:
AZIONI DI CONTRASTO
ALLO SFRUTTAMENTO DEGLI IMMIGRATI IN AGRICOLTURA
Xxxxxxxxxx Xxxxxxx Xxxxxxxxxx Xxxxxxxxxx Xxxxxxxxx Xxxxxxx
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Nato il 1° dicembre 2016 a seguito della trasformazione dell’Isfol e vigilato dal Ministero del Lavoro e delle politiche sociali, l’Ente ha un ruolo strategico - stabilito dal decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 150 - nel nuovo sistema di governance delle politiche sociali e del lavoro del Paese. Inapp fa parte del Sistema statistico nazionale (SISTAN) e collabora con le istituzioni europee. Da gennaio 2018 è Organismo Intermedio del PON Sistemi di politiche attive per l’occupazione (SPAO) per svolgere attività di assistenza metodologica e scientifica per le azioni di sistema del Fondo sociale europeo ed è Agenzia nazionale del programma comunitario Erasmus+ per l’ambito istruzione e formazione professionale. È l’ente nazionale all’interno del consorzio europeo XXXX-ESS che conduce l’indagine European Social Survey. Presidente: Xxxxxxxxxx Xxxxx Direttore generale: Xxxxx Xxxxx Xxxxxx Xxxxxxxxxxx Xxxxx x’Xxxxxx, 00 00000 Xxxx Tel. +39.06.85447.1 Contatti: xxxxxxxx@xxxxx.xxx La collana Inapp Paper è a cura di Xxxxxxx Xxxxx. | Il paper, che si inserisce nelle attività di ricerca del Progetto Strategico Inapp Integrazione dei migranti (Resp. Xxxxxxxxx Xxxxxxxxx), introduce una panoramica sul lavoro degli stranieri in agricoltura e sulle condizioni di sfruttamento che esso assume in determinate realtà del Paese. Questo testo è stato sottoposto con esito favorevole al processo di peer review interna curato dal Comitato tecnico scientifico dell’Istituto. Autori Xxxxxxxxxx Xxxxxxx, Inapp (Cap. 2) Xxxxxxxxxx Xxxxxxxxxx, Inapp (Cap. 3) Xxxxxxxxx Xxxxxxx, Inapp (Introduzione, Cap. 1, Conclusioni) Testo chiuso: ottobre 2020 Pubblicato: novembre 2020 Coordinamento editoriale Xxxxx Xxxxx Editing grafico e impaginazione Xxxxxxxxx Xxxxxxxxx Xx opinioni espresse in questo lavoro impegnano la responsabilità degli autori e non necessariamente riflettono la posizione dell’Ente. Alcuni diritti riservati [2020] [INAPP] Quest’opera è rilasciata sotto i termini della licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Condividi allo stesso modo 4.0. Italia License. (xxxx://xxxxxxxxxxxxxxx.xxx/xxxxxxxx/xx-xx-xx/0.0/) ISSN 2533-2996 ISBN 978-88-543-0142-9 |
INAPP PAPER n.27-2020
Campo aperto: azioni di contrasto allo sfruttamento degli immigrati in agricoltura
Abstract |
Campo aperto: azioni di contrasto allo sfruttamento degli immigrati in agricoltura |
Il lavoro intende rinnovare l’attenzione sul complesso, problematico e sempre attuale rapporto tra immigrazione e lavoro in agricoltura in Italia e sui due principali ambiti di contrasto al caporalato e al lavoro sommerso: quello propriamente politico-istituzionale, che coinvolge i livelli nazionale e regionale, e quello che prende forma dalla società civile, dall’associazionismo, rappresentato dall’agricoltura sociale. Se infatti nel settore primario permangono, soprattutto per larghe fasce di immigrati, condizioni di lavoro caratterizzate da una diffusa ed esasperata stagionalità a cui si accompagnano, soprattutto in determinate realtà del Paese, condizioni anche drammatiche di vero e proprio sfruttamento lavorativo, alimentate da stringenti logiche di mercati sempre più globalizzati, dall’altra non mancano gli sforzi diretti a limitare gli effetti iniqui che questo sistema produce. Accanto ai tradizionali strumenti legislativi, programmatici e finanziari affinati negli ultimi anni, anche grazie al costante interessamento dell’Unione europea, si assiste infatti allo sviluppo dell’agricoltura sociale, che dalla pratica locale sperimentata sui territori e a diretto contatto con le realtà degli immigrati, promuove l’adozione di modelli di integrazione sociale e modalità di produzione agricola alternative a quello che possiamo indicare come il modello tradizionale adottato nelle filiere della produzione e distribuzione agricole. |
Parole chiave: agricoltura sociale, lavoro sommerso, sfruttamento del lavoro |
Overview of measures to combat the exploitation of immigrants in agriculture |
This paper aims to describe the difficult conditions of immigrants in the agricultural labour market and the forms of exploitation of which they are victims, in a system of agricultural production now globalized. The present work sets out the main levers of intervention aimed at combating undeclared work and the gangmaster system: the legislative instrument typical of the policies and the instrument of the practices activated in local contexts from active associations that promote the social agriculture, which can represent an alternative model of agricultural production and forms of integration of immigrants. |
Keywords: social farming, undeclared work, labour exploitation |
Per citare il paper: Cornice A., Innamorati A., Xxxxxxx F. (2020), Campo aperto: azioni di contrasto allo sfruttamento degli immigrati in agricoltura, Inapp Paper n.27, Roma, INAPP |
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INDICE
1 I lavoratori stranieri in agricoltura 7
1.1 Il mercato del lavoro agricolo tra stagionalità e irregolarità 7
1.2 Il ruolo della Grande distribuzione organizzata e i flussi migratori 12
2 Gli strumenti di contrasto al caporalato 17
2.1 La dimensione giuridica dell’intermediazione illecita e dello sfruttamento lavorativo: dal reato penale a una legge di contrasto ad hoc 18
2.2 Dalla repressione alla prevenzione: il Piano triennale e la governance multilivello 20
2.3 Le azioni di contrasto in ambito regionale 24
2.4 L’emergenza sanitaria da Covid-19: gli effetti sul lavoro agricolo 28
3 L’agricoltura sociale come possibile mezzo di contrasto allo sfruttamento degli immigrati nel settore primario 30
3.1 L’agricoltura sociale: cenni storici e normative correlate 30
3.2 Agricoltura sociale e immigrazione 31
INTRODUZIONE
I giorni in cui viene redatto questo rapporto sono quelli dell’emergenza sanitaria mondiale legata al diffondersi del virus Covid-19. Sono i giorni del distanziamento sociale, della sospensione di molte attività produttive, delle misure straordinarie del Governo, delle difficoltà in cui si trovano a operare le Regioni e i Comuni e sono quelli in cui si stanno dibattendo le modalità per affrontare la crisi economica che inevitabilmente seguirà a questo periodo.
In questo scenario destinato a incidere anche sugli ambiti che sono oggetto di questa trattazione, un fatto assume l’eloquenza di una fotografia: come conseguenza dei blocchi delle frontiere, disposti da diversi Paesi d’immigrazione verso l’Italia, si concretizza il rischio del mancato arrivo dei lavoratori agricoli stagionali che, seguendo flussi periodici annuali, giungono dall’estero nel nostro Paese, fornendo una significativa quota delle giornate di lavoro necessarie al settore1.
Quello dell’occupazione straniera nel settore primario si presenta dunque come un tema complesso, radicato — secondo la felice formula di Xxxxxxxxx (2005) — nella ‘geografia economica e sociale del Paese’, e inevitabilmente correlato ai grandi processi di globalizzazione, ma anche ricco di implicazioni di ordine etico, per la diffusa e talvolta grave componente di irregolarità che sfocia in situazioni di vero e proprio sfruttamento.
A partire dalla modellizzazione usata da Xxxxxxxxx per descrivere le modalità di inserimento socio- lavorativo degli immigrati, due dei quattro modelli che risultano direttamente connessi a specificità territoriali, sono quelli ancora maggiormente diffusi nel settore agricolo: il primo, presente soprattutto al Sud, in contesti particolarmente informali, vede il lavoro agricolo (ma anche gli ambiti dell’assistenza, delle pulizie, delle attività turistico-alberghiere) svolgersi in condizioni lavorative fortemente irregolari e inserito in condizioni sociali spesso demoralizzanti. Il secondo, invece, rinvenibile in alcune realtà del Centro-Nord, rileva la condizione nella quale il lavoro degli stranieri ha caratteristiche temporanee, di tipo stagionale, ma è svolto in condizioni di sostanziale regolarità2.
È proprio su queste seconde realtà che la chiusura delle frontiere disposte da molti Paesi UE a partire dallo scorso marzo, rischia di impattare fortemente: quei ‘distretti agricoli’ più diffusi al Nord, ma presenti anche al Sud, dove i lavoratori immigrati rappresentano una componente mediamente integrata nel tessuto economico e sociale.
1 Secondo i dati diffusi dalla Coldiretti, si tratterebbe di 370 mila braccianti agricoli che soddisfano il 27% delle ore della domanda di lavoro (Coldiretti 2020a e 2020b).
2 A mero titolo conoscitivo, tra gli altri due modelli individuati da Ambrosini, uno è quello dei sistemi produttivi diffusi, connotati da aree di piccola impresa e dai distretti industriali, rintracciabile essenzialmente in alcune province lombarde, ma soprattutto nel Veneto e in Friuli. Qui gli immigrati, regolari per il titolo di soggiorno ma anche sotto il profilo lavorativo, hanno trovato impiego principalmente come operai, ma anche nel terziario e nel domestico-assistenziale, e hanno goduto di maggiori opportunità anche nell’avvio di autoimpiego nei settori del commercio, dei servizi di pulizia e nelle costruzioni. L’altro modello è quello invece tipico delle realtà metropolitane, caratterizzato dalla manodopera immigrata impiegata nel terziario di basso livello e nell’edilizia, con mansioni meno qualificate, poco remunerative e più precarie, come le figure delle collaboratrici familiari e addette all’assistenza domiciliare.
L’attualità stessa richiama, dunque, l’attenzione sui modelli di produzione agricola, sugli andamenti dei flussi migratori e sul persistere di sistemi di reclutamento e utilizzo della manodopera nel settore primario improntati a logiche di informalità e talvolta di inaccettabile sfruttamento: tematiche, queste, che appaiono fortemente connesse tra loro.
A fronte di questo quadro, variamente critico, sono duplici gli obiettivi di questa trattazione: da un lato quello di richiamare l’attenzione dei decisori politici e dell’intera comunità sociale sulla complessità e complementarità delle questioni in gioco nell’ambito di queste tematiche; dall’altro, quello di riportare lo stato dell’arte di quelle che possiamo definire le risposte, sia sul piano politico, che su quello sociale, a questi fenomeni.
Il presente contributo, dunque, si articola in tre parti: nella prima (cap. 1) vi è un richiamo alle dinamiche del mercato del lavoro agricolo e delle inique regole che storicamente lo hanno sempre presidiato, fino alle drammatiche ricadute sulle condizioni di vita di molti immigrati; nella seconda parte (cap. 2) vengono descritte e analizzate le politiche di contrasto al caporalato e al lavoro sommerso in agricoltura, attraverso una rassegna dei principali strumenti normativi, legislativi e programmatici, messi in campo da parte dei diversi livelli istituzionali fino dalle recentissime norme sulla ‘regolarizzazione’ introdotte nel c.d. Decreto Rilancio; mentre nella terza (cap. 3) viene proposta una breve rassegna di alcune esperienze riconducibili alla cosiddetta agricoltura sociale, ambito nel quale vanno riconoscendosi un numero crescente di aziende agricole che ‘dal basso’ si fanno promotrici di iniziative a livello locale, sperimentando forme di integrazione sociale degli immigrati e modelli di organizzazione del lavoro in agricoltura alternativi a quello che possiamo considerare come il modello predominante nella realtà produttiva; modello che, come vedremo, si presenta indissolubilmente legato alla Grande distribuzione alimentare e alle stringenti logiche di mercati ormai globalizzati.
1 I LAVORATORI STRANIERI IN AGRICOLTURA
1.1 Il mercato del lavoro agricolo tra stagionalità e irregolarità
Un primo sintomo della complessità del tema della presenza degli stranieri nel mercato del lavoro agricolo è rappresentato proprio dai numeri che dovrebbero descriverlo: in questo ambito si sconta non solo la ricorrente discrasia tra fonti amministrative e fonti statistiche, ma ci sono aspetti specifici che invariabilmente rendono arduo l’obiettivo dei sistemi di rilevazione.
Il primo fattore di cui tener conto è rappresentato dalla ‘meccanica’ propria del mercato del lavoro agricolo, per cui il ricorso a manodopera straniera in agricoltura è senza dubbio correlato alla diffusa adozione, in molte aree d’Italia come in molti altri Paesi, di quello conosciuto come il ‘modello californiano’ di produzione agricola: un modello imperniato su caratteristiche di stagionalità, che richiede il massiccio e quasi esclusivo ricorso a impieghi temporanei e scarsamente qualificati, ma fisicamente molto esigenti, inevitabilmente soddisfatto da lavoratori migranti, particolarmente esposti al rischio di sfruttamento3.
Proprio queste peculiarità aumentano il rischio per cui larga parte del lavoro svolto in agricoltura non venga pienamente intercettato e di essere sottostimato dalle rilevazioni statistiche.
In secondo luogo, va segnalato come, in ambito agricolo, diversamente che in altri settori, la non trascurabile presenza di aziende a gestione prevalentemente familiare, soprattutto al Sud, implica un coinvolgimento continuo dei titolari d’azienda e dei loro familiari a prescindere dagli orari contrattuali e dai giorni lavorativi. In molti casi la famiglia del titolare contribuisce all’agricoltura in modo informale, come attività secondaria, in base alle esigenze legate al ciclo di produzione4.
Un ulteriore fattore distorsivo è rappresentato, infine, dalle c.d. registrazioni fittizie a cui sono collegate alcune prestazioni sociali, con una conseguente sovrastima dell’effettivo input di lavoro; per converso la previsione di un numero minimo di giornate lavorative come condizione per l’accesso alle prestazioni sociali può rappresentare un disincentivo alla regolarità contrattuale per i lavoratori stagionali, come lo è stato tradizionalmente per gli autoctoni, con conseguente sottostima del fabbisogno di lavoro.
Fatte le dovute premesse, posto l’obiettivo di richiamare le principali caratteristiche del mercato del lavoro degli stranieri in agricoltura, con particolare attenzione al Mezzogiorno, in quanto realtà maggiormente interessata da fenomeni di irregolarità e sfruttamento del lavoro straniero5, è utile segnalare la scelta, qui adottata, di riferirsi ai dati Istat e in particolare alla Rilevazione continuativa
3 L’enucleazione del concetto di modello californiano si deve a J.P. Berlan (2001): partendo dall’analisi storica dell’agricoltura in California ne ha colto ed evidenziato alcuni tratti tipizzanti e costanti che definiscono un sistema per gran parte comparabile con gli attuali assetti dell’agricoltura europea e, nel nostro caso specifico, italiana.
4 Nonostante il calo della manodopera familiare registrato nei primi dieci anni del Duemila (-13% a fronte di un aumento del lavoro extra-familiare del 7,5%), il 92,8% delle aziende è tuttora gestito con l’impiego di sola manodopera familiare, mentre il 6,4% fa uso di lavoro salariato: il coltivatore diretto copre il 50% delle giornate di lavoro totali e la manodopera familiare corrisponde nel complesso ai due terzi della manodopera totale.
5 In effetti mentre il lavoro nero vero e proprio risulta più ampiamente diffuso al Sud, forme di lavoro c.d. grigio, strettamente legate all’ormai strutturale precarietà, in agricoltura, appaiono più diffuse al Centro-Nord (European Employment Policy Observatory 2016).
delle forze lavoro (RCFL): scelta adottata in ragione dell’ampia disponibilità di dati (soprattutto per quanto concerne le variabili utilizzate nelle analisi del mercato del lavoro) e del fatto che la componente straniera del campione statistico risulta sufficientemente rappresentata rispetto alla presenza straniera nel nostro Paese. Aspetto decisivo quest’ultimo al fine di tratteggiare alcune tendenze generali, pur nella consapevolezza dei limiti impliciti di questa rilevazione6.
Cominciamo col dire che a fronte di una sensibile crescita della presenza straniera nel nostro Paese (attualmente corrispondente al 8,7% della popolazione residente), la partecipazione degli stranieri al mercato del lavoro in generale mostra dati non proprio confortanti.
Tradizionalmente, l’inserimento degli immigrati nel mercato del lavoro si è da sempre attenuto a un trade-off tra un basso rischio di disoccupazione per gli stranieri (con tassi di occupazione analoghi, se non addirittura superiore ai nativi) da un lato e condizioni di impiego prossime alla segregazione dall’altro, in special modo in alcuni settori. Modello, questo, storicamente più diffuso nelle realtà mediterranee rispetto a quelle nordeuropee e caratterizzato da occupazioni ‘riservate’ agli immigrati, con mansioni di bassissimo livello, per lo più dipendenti dall’ampia richiesta di lavoro a bassa qualificazione, quasi totalmente soddisfatta dai lavoratori immigrati e non dalla forza lavoro locale.
Ora, stando ai dati ufficiali, quel trade-off può considerarsi solo apparentemente superato, se si guardano gli andamenti dei tassi di occupazione e di disoccupazione.
Il tasso di occupazione degli stranieri a livello nazionale — e ancora di più nel Sud — è andato gradualmente scendendo negli ultimi dieci anni7, a fronte di una sostanziale continuità per quanto riguarda i numeri riferiti agli autoctoni. Tendenza, questa, accompagnata anche dall’aumento significativo della disoccupazione straniera, come mostrato dall’andamento dei tassi di disoccupazione soprattutto nel Mezzogiorno, dove tradizionalmente invece la disoccupazione degli autoctoni è sempre stata superiore rispetto a quella degli stranieri: alla fine del 2019 il tasso di disoccupazione degli stranieri risulta superiore di un +8,2% rispetto a dieci anni prima, raggiungendo per la prima volta il tasso di disoccupazione degli autoctoni al 17,6% (tabella 1). Dati particolarmente significativi, anche in considerazione dell’aumento assoluto degli occupati stranieri negli ultimi dieci anni.
6 Il principale limite della Rclf, rispetto alle nostre esigenze conoscitive, è rappresentato dal fatto che si tratta di un’indagine campionaria che coinvolge unicamente gli individui che risultano iscritti alle anagrafi comunali, con l’esclusione delle c.d. convivenze (come gli istituti religiosi, le strutture di accoglienza, ecc.) che raccolgono molti migranti. Per altro verso, invece, la Rcfl è in grado di intercettare anche parte dell’irregolarità lavorativa, laddove ricomprende tra gli occupati anche coloro la cui prestazione lavorativa prescinde dall’esistenza di un contratto e viene svolta sulla base di un accordo informale col datore. Sui limiti delle fonti di origine statistica e sulle difficoltà di accedere a fonti di carattere amministrativo cfr. Xxxxxxx (2018).
7 Con un vero e proprio crollo registrato tra il 2008 e il 2009, quando il tasso di occupazione degli stranieri in Italia è sceso di 3 punti percentuali in un solo anno.
Tabella 1 Andamento dei tassi di occupazione e disoccupazione di italiani e stranieri
Tasso occupazione | Variazione 09-19 | Tasso disoccupazione | Variazione 09-19 | ||
Italia | Italiani | 56,8 | 7,4 | ||
Stranieri | 64,3 | 11,2 | |||
2009 | |||||
Italiani | 44,2 | 12,6 | |||
Mezzogiorno | |||||
Stranieri | 58,3 | 9,4 | |||
Italia | Italiani | 58,8 | +2 | 9,5 | +2 |
Stranieri | 61,0 | -3,3 | 13,8 | +2,6 | |
2019 | |||||
Italiani | 44,4 | - | 17,6 | +5 | |
Mezzogiorno | |||||
Stranieri | 53,0 | -5,3 | 17,6 | +8,2 |
Fonte: dati Istat-Rcfl, elaborazione Inapp
Probabilmente, invece, non va trascurato il fatto che, oltre all’aumento di un’immigrazione non direttamente riconducibile a motivi economici (in gran parte legata ai ricongiungimenti familiari e a motivi umanitari) assistiamo in questi anni a un nuovo, allarmante, diffondersi di lavoro informale e irregolare, sia in settori ‘nuovi’ (commercio, trasporti, servizi in generale e alla persona, ristorazione, strutture ricettive), che in quelli, come le costruzioni e l’agricoltura, dove la manodopera straniera ha tradizionalmente trovato maggior impiego.
Proprio in agricoltura il peso della componente straniera è andato affermandosi con maggior incisività come riportato nella tabella 2. Mantenendo la comparazione decennale prescelta, possiamo osservare come, nel settore agricolo, la quota di stranieri equivale quasi a un quinto della totalità su base nazionale (18,2%, con un incremento relativo del 12,2% rispetto al 2008) e rappresenta circa il 16% nel Mezzogiorno (con un parallelo incremento relativo del 11,8%, rispetto al 2008).
In particolare, il fatto che nel Mezzogiorno il numero di lavoratori stranieri in agricoltura si attesti su percentuali inferiori rispetto al dato nazionale, testimonia la compresenza di due aspetti che talvolta si intrecciano tra loro, contribuendo ad alimentare una diffusa informalità intorno al sistema di produzione agricola: la persistenza significativa di un modello di gestione familiare delle imprese agricole8 e una quota significativa di lavoro irregolare, che riguarda per lo più immigrati e si presenta sotto diverse forme e gradi, che vanno dal grigio al nero vero e proprio, fino ad assumere forme di drammatico sfruttamento non solo lavorativo, soprattutto in alcune aree dove, sul piano produttivo, vengono praticate colture intensive e, sul piano sociale, persistono contesti fortemente condizionati da logiche di tipo mafioso.
Per quanto concerne, poi, la quota degli stranieri occupati in agricoltura, rispetto alla totalità degli stranieri occupati, si può osservare (tabella 2) come questa sia da sempre maggiore nel Mezzogiorno, rispetto a quella rilevata a livello nazionale e abbia raggiunto nel 2019 una percentuale praticamente doppia: al Sud, se nel 2009 ogni 100 lavoratori stranieri occupati appena 12 erano impegnati nel
8 L’incidenza del lavoro familiare nell’agricoltura è testimoniata peraltro dalle elevate percentuali di lavoro non salariato che vede l’Italia al terzo posto in Europa subito dietro la Romania e la Polonia. Interessante notare l’esigua percentuale di lavoro agricolo non salariato nei Paesi di tradizione socialista come la Repubblica Ceca, la Slovacchia e l’Estonia o nei Paesi nordici, dove la produzione agricola è fortemente collegata a tradizionali modelli organizzativi di tipo industriale e cooperativo (Crea 2020a e 2020b), cfr. nota 4.
settore agricolo, oggi rappresentano il 18,8%, avendo visto aumentare il proprio peso del 6,8%, in dieci anni.
Tabella 2 Componente straniera tra gli occupati in agricoltura (%)
Stranieri occupati in agricoltura/ totali occupati in agricoltura | Stranieri occupati in agricoltura/ totali stranieri occupati | ||
2009 | Italia | 7,9 | 3,7 |
Mezzogiorno | 6,2 | 12,0 | |
2019 | Italia | 18,2 (+10,3) | 6,6 (+2,9) |
Mezzogiorno | 16 (+9,8) | 18,8 (+6,8) |
Fonte: dati Istat-Rcfl, elaborazione Inapp
Quanto alla ripartizione etnica dei lavoratori agricoli in Italia, a occupare il primo posto con largo margine di vantaggio sugli altri sono i rumeni, seguiti dai marocchini, dagli indiani e dagli albanesi. Altri gruppi importanti sono i senegalesi, i polacchi, i tunisini, i bulgari, i macedoni, i pakistani e i nigeriani9. Guardando alle statistiche ufficiali, dunque, se la componente straniera è diventata una caratteristica strutturale dell’occupazione agricola italiana, quasi una ‘rivoluzione antropologica’, essa si accompagna a una diffusa stagionalità10 e a una diffusa irregolarità, aspetti che spesso si intrecciano nell’ambito di quel ‘modello californiano’ prima menzionato.
In questo modello il lavoro degli immigrati si configura come una necessità strutturale i cui caratteri tipizzanti prevedono da un lato una schiacciante disponibilità dei lavoratori a essere impiegati quando richiesto dalle esigenze della produzione — che non sono programmabili, in quanto mutevoli nel tempo e soggette a variabili non determinabili — e dall’altro che i loro costi debbano essere contenuti entro limiti definiti e programmati, quindi una riserva di manodopera disponibile a lavorare solo quando serve e pronta ad accettare ‘sottosalari’: l’incertezza circa i profitti rende essenziale il controllo da parte degli agrari di poter controllare le spese investite, riducendole al minimo.
Considerando poi come la concorrenza spinga a investire in modo cospicuo in tecnologie e nella modernizzazione degli impianti, l’unico costo su cui si finisce per intervenire è quello del lavoro: il salario insomma è ancora una volta considerato, unanimemente o quasi, come l’unica variabile d’aggiustamento in termini di costi.
9 Elaborazione Coldiretti su dati Idos (2019).
10 Nonostante su un piano sistematico, la disciplina giuridica dell’occupazione stagionale degli stranieri si configuri come derogatoria rispetto al modello generale dell’ingresso in Italia per lavoro subordinato, come regolamentato dall’art. 22 TUI, è innegabile come nella realtà la presenza nel mercato del lavoro degli stagionali stranieri sia divenuta la vera “regola” dell’immigrazione economica nel nostro Paese. Come emerge dalla Nota trimestrale sulle tendenze dell’occupazione IV trimestre 2019 diffusa dal MLPS, dall’analisi dei flussi di attivazioni, cessazioni e trasformazioni dei rapporti di lavoro basate sulle Comunicazioni obbligatorie (Cob), l’agricoltura registra flussi intensi tra attivazioni e cessazioni, concentrate nelle posizioni di lavoro a tempo determinato, per effetto del lavoro stagionale e discontinuo. In particolare, nel settore agricolo le assunzioni a tempo determinato rappresentano l’esclusiva modalità di attivazione contrattuale, incidendo del 99% sul totale delle attivazioni (tenendo conto che sono esclusi da questi dati il lavoro a chiamata, la somministrazione, le collaborazioni), che seguono una considerevole variabilità delle durate nei quattro trimestri dell’anno dovuta alla rilevante incidenza del lavoro stagionale o concentrato in alcuni periodi dell’anno. Sotto questo aspetto, in agricoltura, sono tre le tipologie di contratti a termine che detengono l’assoluta maggioranza sul totale delle attivazioni: se la maggior incidenza spetta ai contratti con durate previste da due a sei mesi (34,3%), il 29,5% dei contratti attivati in agricoltura hanno una durata settimanale (per la precisione una durata prevista dai due ai sette giorni), seguiti da quelli con durata prevista da 31 a 60 giorni (26,8%).
In questo scenario, dunque, il lavoro a giornata o a cottimo è la regola e il salario minimo sindacale non rappresenta la base di partenza della contrattazione, ma il massimo percepibile da parte di una forza lavoro straniera che versa in una situazione di stabile disoccupazione, cui si accompagna un manifesto disagio esistenziale11.
In posizione complementare a questa condizione di esasperata precarietà e da essa stessa alimentata, sopravvive il lavoro sommerso e una diffusissima irregolarità lavorativa.
Il peso di tutto il lavoro irregolare in Italia12 sul PIL è diminuito di mezzo punto percentuale dal 2014 al 2017, passando dal 5% al 4,5%, anche se le unità di lavoro irregolari risultarono nel 2017 circa 3 milioni 700 mila, in crescita di circa 25 mila unità rispetto al 2016. A crescere è stata essenzialmente la componente del lavoro non regolare dipendente (+80 mila unità che corrisponde al 3,1%), mentre si è ridotta quella indipendente (-55 mila unità, quindi -5,2%).
In agricoltura il valore dell’intera economia sommersa è assorbito dal lavoro irregolare che in agricoltura incideva sul valore aggiunto, nel 2017, quasi per il 17%; solo negli ‘altri servizi’, l’incidenza del lavoro irregolare sul valore aggiunto è maggiore e, sempre nel 2017, costituiva il 22,7%.
Spostandoci sul piano occupazionale, i dati più recenti, ci dicono che il tasso di irregolarità in agricoltura è passato dal 20,9% del 2008, a fronte di un tasso totale medio del 12,2, al 23,8% (+2,9%) del 2019, a fronte di un tasso totale medio del 13,1 (Istat 2020).
Se dunque l’agricoltura è il settore maggiormente interessato dalla piaga del lavoro informale o non dichiarato e da gravi forme di sfruttamento dei lavoratori, non solo in Italia (Ocse 2012) e se nello stesso settore il numero di occupati stranieri non solo è già significativo ma è in crescita, è pleonastico ribadire l’esistenza di una correlazione forte tra questi due fenomeni, come spesso testimoniato anche da gravi fatti di cronaca, che quasi quotidianamente si manifestano come punte di iceberg di una diffusa condizione di grave sfruttamento lavorativo.
Secondo l’Osservatorio Xxxxxxx Xxxxxxxx (2018) il tasso di irregolarità si aggirerebbe intorno al 39% dei rapporti di lavoro in agricoltura; più di 300 mila lavoratori lavorano meno di 50 giornate su l’intero anno. Sono più di 400 mila i lavoratori agricoli esposti al rischio di un ingaggio irregolare e sotto caporale e più di 130 mila coloro i quali sono in condizione di grave vulnerabilità sociale e forte sofferenza occupazionale.
11 Vale la pena ricordare come l’atteggiamento politico generale e le prassi amministrative sottostanti scontano un grave ritardo, anche rispetto all’opportunità di favorire e agevolare forme di insediamento stabile, soprattutto nei contesti rurali. Al contrario, in gran parte degli ordinamenti europei, si è proceduto per lungo tempo a limitare la presenza stabile, prevedendo un’autorizzazione limitata nel tempo a soggiornare, non convertibile in permessi stabili (cfr. il permesso OMI in Francia, o il permesso di tipo A per i trabajadores de temporada in Spagna). D’altronde in Italia si è giunti a prevedere la conversione del permesso da lavoro stagionale a lavoro subordinato solo in tempi recenti (con la modifica dell’art. 24, comma 10, TUI, da parte del D.Lgs. 203/2016).
12 Istat (2019): è bene ricordare come il lavoro irregolare faccia parte dell’economia sommersa. L’altra componente dell’economia sommersa è rappresentata dalla sottodichiarazione (ossia il valore aggiunto occultato). L’economia sommersa, a sua volta, è una macro- componente dell’insieme rappresentato come Economia Non Osservata (NOE), che ricomprende anche il valore aggiunto delle attività criminali.
Per quanto concerne il lavoro sommerso, il Crea (2020) stima in 405 mila i lavoratori stranieri in agricoltura (regolari e irregolari), di cui il 16,5% ha un rapporto di lavoro informale e il 38,7% una retribuzione non sindacale.
Di fronte a evidenze così serie, a un quadro così infausto, non possiamo non chiamare in causa fattori generali che hanno giocato un ruolo ‘di sistema’ nel favorire questa situazione e dunque le trasformazioni profonde che hanno interessato la produzione e il mercato nel comparto agricolo, fortemente interconnessi con i sistemi della Grande distribuzione.
1.2 Il ruolo della Grande distribuzione organizzata e i flussi migratori
La ristrutturazione del settore agricolo negli ultimi decenni ha sostanzialmente inserito le aziende agricole dentro sistemi di produzione ad alta intensità di capitale, seguendo un processo che, dalla fine degli anni Settanta, si è velocizzato e intensificato negli ultimi tempi, a causa dalla crescente competitività delle catene agroalimentari nel contesto ormai ampliato dalla globalizzazione dei mercati e da questi ispirato a modelli liberisti, o meglio neoliberisti. Questo processo, attuato attraverso lo sviluppo di reti, ordinate in modo gerarchico ed egemonizzate dalle grandi imprese, ha condotto verso l’incontrollata variabilità dei prezzi e la conseguente riduzione dei ricavi per i produttori. Tramite una ripartizione sempre più iniqua dei rischi, dei costi e dunque dei profitti lungo l’arco dell’intera filiera, le industrie alimentari di trasformazione e i grandi distributori hanno sfruttato la posizione oligopolistica di fatto assunta dentro le lunghe filiere della produzione e distribuzione dei prodotti agricoli, avvantaggiandosi in sede negoziale sul mercato, per imporre prezzi e condizioni agli agricoltori.
In linea con le dinamiche di riorganizzazione su scala globale dei processi di produzione, esattamente a quanto avvenuto precedentemente in altri Paesi, negli ultimi vent’anni le catene della Distribuzione organizzata si sono affermate come principale canale distributivo e le catene agroalimentari italiane sono sempre più buyer-driven, con le imprese clienti che rivestono un ruolo centrale nella definizione e nella gestione di una vasta rete di fornitori selezionati sui quali basare i sistemi di distribuzione13. La crescente complessità di gestione delle reti di approvvigionamento ha accentrato il controllo delle catene del valore nelle mani di un numero limitato di grandi gruppi della distribuzione, anche se nel panorama italiano si registra una minore concentrazione.14
13 Nel settore ortofrutticolo, le aste al ribasso sono sempre più diffuse. Alcune catene della Grande distribuzione si avvalgono di questo metodo tramite piattaforme online specifiche per la gestione delle forniture, ma attuano anche un secondo livello di contrattazione basato sul prezzo determinato dopo la prima fase di negoziazione. Questa pratica d’asta elettronica in due fasi esercita un’efficace pressione sui fornitori e aumenta il rischio che il taglio dei costi si ripercuota sui lavoratori. Le catene discount ricorrono a questa pratica per il 50% circa delle forniture, mentre questa percentuale è leggermente inferiore nel caso dei supermercati tradizionali (Ciconte e Liberti 2019). Il 28 giugno 2017 il Ministero dell’Agricoltura italiano ha sottoscritto un accordo con Federdistribuzione, l’organismo di rappresentanza della Grande distribuzione organizzata, e Conad (Consorzio Nazionale Dettaglianti), uno dei maggiori raggruppamenti nel settore della distribuzione organizzata, per bandire le “doppie aste” negli acquisti di prodotti agricoli e agroalimentari; tuttavia alcuni operatori ricorrono ancora a questa pratica.
14 In Italia, il settore della Grande distribuzione organizzata (comprendente sia la Grande distribuzione, che la Distribuzione organizzata) occupa una quota più bassa rispetto a quanto avviene in altri Paesi europei: i primi tre gruppi (Coop Italia, Conad, Selex) contano il 36,1% del mercato, mentre in altri Paesi la quota detenuta dai primi tre gruppi è più alta (61% in Gran Bretagna e Germania, 54% in
Va detto come l’espansione della Grande distribuzione abbia promosso la modernizzazione della distribuzione, ma dall’altro indebolito considerevolmente il potere e i margini di profitto del settore agroindustriale, visto che le catene della Grande distribuzione organizzata (GDO) fanno sempre più dell’abbassamento dei prezzi al consumatore il principale elemento della propria strategia di marketing (Ciconte e Liberti 2017).
Infatti, la catena del valore ha presentato un forte squilibrio a favore degli attori a valle della filiera che detengono una posizione dominante.
Rilevante, in questo contesto, è poi il ruolo giocato dalle organizzazioni criminali, le ‘agromafie’, in grado di penetrare, soprattutto in alcune aree a grande vocazione agricola, nei gangli della produzione agricola, imponendo logiche di irregolarità anche nelle fasi di immagazzinamento, conservazione, confezionamento ed etichettatura, imballaggio e spedizione (Fanizza 2020).
A ciò si aggiungano le debolezze ataviche delle aziende agricole specificamente nell’Italia meridionale, come la frammentarietà della produzione, la mancanza di cooperazione interna e la scarsa integrazione all’interno della catena di approvvigionamento.15
Inoltre, tra le logiche che presiedono al mercato dei prodotti agricoli e il sottostante mercato del lavoro, il fenomeno del caporalato rappresenta la manifestazione prima del grave sfruttamento in agricoltura. Il mercato del lavoro agricolo ha storicamente rappresentato una sorta di anomalia nell’economia italiana: l’accentuata stagionalità, la caratteristica di settore rifugio per le fasce sociali più deboli e il dualismo territoriale ne sono le principali caratteristiche.
Le politiche di liberalizzazione hanno ridato spazio a questa forma di intermediazione: l’ampia disponibilità di forza lavoro migrante e la loro condizione di segregazione sociale e spaziale (molti lavoratori e lavoratrici vivono in baraccopoli, in casolari abbandonati e isolati) hanno recentemente rafforzato questo sistema, sempre più connotato in termini nazionali ed etnici: spesso i lavoratori migranti fungono anche da capi-squadra, sfruttando l’esperienza acquisita nel corso degli anni e il caporalato è diventato di fatto l’unico sistema di intermediazione e reclutamento in grado di garantire in modo efficiente la quota significativa di disponibilità just-in-time di manodopera non qualificata, consentendo una riduzione considerevole del costo del lavoro16.
Diventa allora importante capire fino a che punto il ricorso al lavoro degli stranieri sia la conseguenza fisiologica dei cambiamenti sociodemografici subiti dal Paese negli ultimi anni e quanto, invece, sia
Spagna, 53% in Francia). Così come il mercato italiano resta ancora relativamente poco penetrato dalle grandi catene distributive non italiane, come Auchan, Carrefour e Lidl, che occupano rispettivamente il 6,3, il 6,1 e il 3,1% del mercato.
15 Nomisma-Unaproa (2016): un ottimo esempio è la catena del valore dei pomodori in cui, insieme al grado ridotto di meccanizzazione delle attività di raccolta, l’inefficacia delle organizzazioni di produttori dell’Italia meridionale è ritenuta uno dei maggiori limiti strutturali: troppo piccole e lontane dai campi, le suddette organizzazioni non sono riuscite a negoziare prezzi di acquisto sostenibili, con inevitabili conseguenze sui salari dei lavoratori.
16 Non è questa la sede per affrontare il tema dei centri per l’impiego e il ruolo da essi giocato nei mercati locali del lavoro, tuttavia il reclutamento di lavoratori stranieri in agricoltura (ma anche in altri settori) si sviluppa in modo informale e la specializzazione etnica in determinati ambiti e aree dimostra come operino vere e proprie filiere transnazionali che sfuggono alle logiche locali e regolari di intermediazione.
frutto di una strategia di breve periodo che punta solo a ridurre il costo del lavoro, per rimanere competitivi sul mercato.
L’aver fino a qui descritto i fattori che inducono le aziende agricole a ricorrere ai lavoratori migranti in modo irregolare, approfittando della loro condizione di vulnerabilità, non vuole sminuire il ruolo dei datori agrari in questa logica di sfruttamento del lavoro, né intende fornire la sponda ideale a pratiche paternalistiche, nelle quali si vengono a instaurare insoliti e ambigui rapporti di collaborazione e legittimazione reciproca tra i datori e gli sfruttati.
L’impressione, piuttosto, è che l’intero sistema viva su un equilibrio che può essere migliorato, ma non stravolto e rovesciato, se non intervenendo in modo profondo sulle logiche di mercato.
Il complesso sistema di interessi, che ha plasmato il sistema di produzione agricolo avvantaggiando determinati livelli e svantaggiandone altri, fino all’ultimo e più fragile anello della catena, può contare (dopo il massiccio abbandono delle terre e delle zone rurali da parte degli italiani nel secondo dopoguerra)17 su un’offerta di lavoro alimentata da continue e sovrapposte dinamiche di immigrazione, a dimostrazione del fatto che qui si intrecciano indissolubilmente ragioni economiche, ragioni di mercato agricolo e del lavoro e logiche migratorie.
Schematicamente si sono sviluppate due traiettorie che si sono incrociate e alimentate a vicenda: da una parte la ristrutturazione del settore agricolo, favorita dall’ampliamento dei mercati, ma anche da strategie politiche soprattutto europee, che ha legato sempre di più la produzione agricola a filiere nelle quali i produttori/fornitori si sono trovati, come ampiamente argomentato, in condizioni di debolezza davanti ai clienti/distributori; dall’altra logiche migratorie, sia interne che esterne come abbiamo appurato, che hanno messo a disposizione del sistema una ‘formidabile’ offerta di lavoro, rafforzando il sistema della domanda.
È fin troppo evidente come l’informalità in generale e l’irregolarità lavorativa rappresentino un pull factor per l’immigrazione in Italia, soprattutto per quella clandestina, come espressamente riconosciuto nella Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo sulla revisione intermedia dell’Agenda europea sulla migrazione, nel settembre 201718.
Il Mezzogiorno si è configurato a lungo come un’area di primo insediamento e di transito verso altre destinazioni. Soprattutto le aree rurali hanno da sempre rappresentato un contesto favorevole per i nuovi arrivati, in grado di fornire loro un accesso immediato ai mezzi di sostentamento primari e opportunità, sia pur minime di occupazione, nonché contesti di informalità che, per un verso, oltrepassano lo status legale degli immigrati, ma dall’altro spianano la strada a pratiche irregolari e situazioni di grave sfruttamento.
Nell’esperienza di moltissimi immigrati, il passaggio attraverso la condizione di irregolarità è probabilmente considerata un’esperienza normale, magari lunga, faticosa, ma comunque sostenibile, e
17 È con l’avvento del c.d. boom economico che questo processo si fece addirittura impetuoso e il 1958 è l’anno in cui si consumò, in Italia, il sorpasso degli addetti all’industria sugli occupati in agricoltura.
18 Nel documento si afferma che “(…) Una parte della nostra economia continua a contare sul lavoro dei migranti irregolari, cosa che crea un fattore di richiamo e mina lo sviluppo di una politica per la mobilità del lavoro basata su regimi di migrazione legale (…)”.
inevitabile: ‘forche caudine’ che è indispensabile attraversare per poter aspirare a quell’integrazione economica e sociale per cui sia valsa la pena emigrare in un Paese c.d. avanzato. In questa prospettiva, quella dell’irregolarità, e forse anche dello sfruttamento lavorativo, non è altro che una fase iniziale e ‘staminale’ a cui dovrebbe seguire, prima o poi, in un modo o nell’altro, la possibilità di mettersi in regola e di cercare un lavoro nel mercato formale; passaggio, questo, che si è manifestato anche con l’ingrossarsi delle rotte verso l’Italia settentrionale o altri Paesi europei, dove era possibile trovare migliori opportunità di lavoro e di inclusione sociale.
Tuttavia, la crisi economica del 2008 ha interrotto, e in un certo senso invertito, questo meccanismo quasi consolidato di transizione dal lavoro irregolare al lavoro regolare. Invece l’ondata di licenziamenti, che ha interessato in primo luogo la componente migrante della popolazione, ha spinto migliaia di lavoratori a tornare nelle campagne e al lavoro agricolo. L’avvento della crisi economica si è inserita in questo contesto imprimendo una nuova dinamica alle migrazioni, rovesciandone le traiettorie e rinforzandone nuove, come dimostrano i cambiamenti all’andamento dei permessi di soggiorno collegati ai flussi migratori più recenti (Corrado 2018).
Nello stesso senso si possono leggere l’aumento delle istanze di permesso di soggiorno per motivi familiari, come i ricongiungimenti, e quello relativo alle richieste di protezione internazionale e umanitaria, che hanno superato di gran lunga quelli per motivi economici legati a un contratto di lavoro19.
La percentuale contenuta di concessioni di protezione internazionale, a cui è associato un sistema di protezione umanitaria in funzione ‘suppletiva e complementare’ a termine, lascia comunque aperta la questione del lavoro per tutti coloro che non riescono a entrare o fuoriescono dai sistemi di protezione internazionale e umanitaria. Questa sovrapposizione in agricoltura tra vecchi e nuovi cicli migratori si è tradotta in un aumento considerevole della percentuale di lavoratori migranti, che non trova paragoni in altri settori produttivi. Probabilmente è in questa nuova prospettiva, dentro questa particolare congiuntura, che possiamo rintracciare le cause di un fenomeno che non solo produce effetti distorsivi nell’economia, ma non rende onore al nostro Paese.
Ma se lo scenario fin qui tratteggiato pone dunque in essere sfide fondamentali perché chiama in causa l’intero sistema economico e sociale, è bene riconoscere come vada diffondendosi sempre di più anche una coscienza sociale su questi aspetti, in grado di orientare l’attenzione della politica e di farsi talvolta portatrice essa stessa di modelli alternativi, capace di contemperare le esigenze della produzione agricola che resta strategica nel nostro Paese e il rispetto della dignità dei lavoratori in quel settore20.
19 Si veda ad esempio l’andamento delle richieste di permesso di soggiorno dei cittadini nigeriani nel 2017, dove si evidenzia la netta prevalenza dei permessi per richiesta asilo, motivi umanitari, pari all’85,6% del totale, in aumento del 32,7% rispetto all’anno precedente. I motivi familiari rappresentano la seconda motivazione di ingresso per la comunità in esame, coprendo una quota pari al 10,7% dei titoli rilasciati nel 2017. Del tutto esigua e pari allo 0,2% la quota di permessi rilasciati per motivi di lavoro a cittadini nigeriani, in sensibile calo rispetto al 2016 (-33,7%). Motivazioni di residenza elettiva, religione e salute riguardano il 3,1% dei nuovi titoli rilasciati nel 2017 a cittadini della comunità in esame, mentre i permessi rilasciati per studio rappresentano lo 0,5% del totale.
20 Tanto per citare un esempio concreto, si veda la recentissima esperienza del Contratto di rete del pomodoro del Sud Italia, promosso da Funky Tomato e Oxfam Italia, che ha coinvolto diversi produttori di pomodori dell’area tra cui La Fiammante.
I due capitoli che seguono sono dedicati proprio all’analisi delle politiche di contrasto al caporalato e alla descrizione di quel ‘movimento’ dell’agricoltura sociale che, come anticipato, riveste un ruolo sempre più incisivo nel proporre modalità di produzione agricola rispettose dei diritti dei lavoratori e finalizzate all’inclusione sociale.
Dalla crescente attenzione verso le condizioni lavorative in agricoltura trova poi origine e sviluppo anche il tema della responsabilità sociale delle imprese; tema che non viene affrontato in questo specifico contesto ma, come verrà mostrato nel capitolo successivo, che trova un preciso riconoscimento anche nel recente Piano triennale di contrasto allo sfruttamento lavorativo in agricoltura e al caporalato 2020 - 2022, approvato il 20 febbraio 2020, laddove tra le misure si prevede il potenziamento della Rete del lavoro agricolo di qualità.
Da questo punto di vista appare evidente come la possibilità reale di modificare il quadro, vista la complessità dei fenomeni solo superficialmente qui descritti, imponga il ricorso a una pluralità di strumenti, inevitabilmente azionati da una pluralità di attori, pubblici – nazionali (e internazionali) e locali – ma anche privati, consapevoli e aperti verso la reciproca legittimazione e soprattutto chiamati a operare in modo sinergico.
2 GLI STRUMENTI DI CONTRASTO AL CAPORALATO
Come accennato nei paragrafi precedenti, il caporalato appare oggi un fenomeno sempre più complesso per le implicazioni multifattoriali sia come fatto illecito nella dimensione giuridica che come variabile distorsiva di dumping sociale nel mercato del lavoro, in particolare, nella filiera del settore agroalimentare. Ciò spiega, in parte, l’approccio diversificato e frammentario nel tempo delle azioni di contrasto al suo manifestarsi (con una preoccupante e progressiva espansione) in molteplici aree geografiche del Paese (Osservatorio sulla criminalità nell’agricoltura e sul sistema agroalimentare et al 2019) e in altri settori produttivi come l’edilizia e i servizi, sebbene in quest’ultimo comparto le dinamiche che sovraintendono al rapporto di lavoro sembrano assumere le caratteristiche di quella che viene conosciuta come gig economy. Dal secondo dopoguerra a oggi la censura al reclutamento irregolare di manodopera si è esplicitata attraverso vari istituti: dapprima e per lungo tempo con il monopolio pubblicistico dell’intermediazione della domanda/offerta di lavoro21; successivamente con il regime autorizzatorio delle licenze ad altri soggetti giuridici privati22 introdotto con la riforma Biagi, quindi con le disposizioni repressive del codice penale e con quelle sanzionatorie del sistema giuslavoristico, laddove si è voluto colpire il lavoro sommerso attraverso le diverse discipline della maxi- sanzione sui datori di lavoro che si avvalgono di prestazioni non contrattualizzate23. Sebbene con una visione più orientata a esigenze securitarie, altre censure in tal senso si rilevano nelle policy in materia di immigrazione. Gli artt. 22, comma 12-12 quinquies e 24, comma 15 del Testo Unico Immigrazione (TUI)24 prevedono sanzioni per il datore di lavoro che occupa alle proprie dipendenze stranieri irregolarmente soggiornanti e, nei casi in cui il lavoratore versi in gravi condizioni di sfruttamento e cooperi nel procedimento penale instaurato nei confronti del datore di lavoro, il rilascio di un permesso
21 L. n.264/1949: l’art. 7 stabilisce che l’avviamento al lavoro è funzione pubblica mentre l’art. 27 punisce la violazione dell’intermediazione pubblica (presso gli Uffici di collocamento provinciali) con l’ammenda e con il sequestro del mezzo di trasporto utilizzato nell’attività illecita; L. n.1369/1960: gli artt. 1 e 2 estendono il divieto alla esternalizzazione della manodopera sotto forma di appalto e subappalto.
22 D.Lgs. n.276/2003. Si tratta delle Agenzie di intermediazione di manodopera, di ricerca e selezione del personale, di ricollocazione del personale, iscritte in un apposito albo presso il Ministero del Lavoro previo accertamento dei requisiti economici e giuridici richiesti dal medesimo decreto. Sono previsti altresì ulteriori soggetti che possono operare sul mercato dell’intermediazione quali le università pubbliche e private; le scuole secondarie di secondo grado statali e paritarie; le Camere di Commercio; i Comuni; i consulenti del lavoro; le associazioni sindacali e dei datori di lavoro; le associazioni di rilevanza nazionale aventi come oggetto sociale la tutela e l’assistenza delle attività imprenditoriali, del lavoro o della disabilità; gli enti bilaterali. La disciplina contravvenzionale dell’intermediazione illecita è invece contenuta negli artt. 27 e 28 (somministrazione irregolare, somministrazione fraudolenta). Dette fattispecie si ravvisano quando il contratto di somministrazione di manodopera avviene al di fuori dei limiti e delle condizioni disciplinate dagli artt. 20 e 21 del medesimo decreto. Pertanto, il D.Lgs. n.276/2003 pur estendendo le possibilità di ricorso al lavoro interinale ha introdotto due nuovi divieti che devono leggersi a tutela del corretto funzionamento del mercato del lavoro.
23 La prima maxi-sanzione è stata introdotta dal D.L. n.12/2002, art. 3, comma 3, convertito in L. n.73/2002. Il testo originario disponeva che, ferma restando l’applicazione delle sanzioni previste, l’impiego di lavoratori dipendenti non risultanti dalle scritture o altra documentazione obbligatoria, andava, altresì, soggetto alla sanzione amministrativa dal 200% al 400% dell’importo, per ciascun lavoratore irregolare, del costo del lavoro, calcolato sulla base dei vigenti contratti collettivi nazionali, per il periodo compreso tra l’inizio dell’anno e la data di constatazione della violazione. Nel corso degli anni gli interventi del legislatore hanno portato alla riformulazione dello strumento sanzionatorio: tra le svariate modifiche della disciplina si segnalano la L. n. 183/2010 (Collegato lavoro); l’art. 22 del D.Lgs. n.151/2015 (attuativo Jobs Act); la L. n.145/2018 (Legge di Bilancio 2019).
24 D.Lgs. n. 286/1998.
di soggiorno per motivi umanitari (ex art. 5, comma 6 TUI), attualmente denominato, dopo la L. n.132/1825, permesso di soggiorno per casi speciali.
2.1 La dimensione giuridica dell’intermediazione illecita e dello sfruttamento lavorativo: dal reato penale a una legge di contrasto ad hoc
Nella copiosa stratificazione normativa della fattispecie delittuosa, gli strumenti di contrasto più incisivi si ravvisano nell’art. 12 del D.L. n.138/2011, convertito in L. n.148/2011, che ha introdotto nel Codice penale il reato di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro e nella L. n.199/2016 recante Disposizioni in materia di contrasto ai fenomeni del lavoro nero, dello sfruttamento del lavoro in agricoltura e di riallineamento retributivo nel settore agricolo. La previsione contenuta nell’art. 603-bis
c.p. ha consentito di colpire in maniera più specifica la pratica del caporalato che nel quadro normativo previgente non risultava adeguatamente perseguita poiché le più gravi fattispecie rubricate agli articoli 600 e 601 (riduzione in schiavitù o assoggettamento continuativo; tratta di persone), sebbene riferibili (anche) allo svolgimento di attività lavorative, non si prestavano all’applicazione concreta nei casi caratterizzanti il fenomeno. In tal modo sono state identificate tutte quelle condotte distorsive che, nell’incontro tra domanda/offerta di manodopera, oltre a incidere negativamente sulle dinamiche del mercato sul piano della concorrenza, esplicitavano la violazione delle regole sull’avviamento al lavoro, finanche in materia fiscale e delle prestazioni sociali, e nel contempo costituiscono una grave violazione della dignità umana e della libertà di scelta dell’individuo. Nella sua originaria previsione la punibilità del reato richiedeva il verificarsi di tre condizioni: lo svolgimento in forma organizzata dell’attività di intermediazione; lo sfruttamento con violenza, minaccia e intimidazione; l’approfittarsi dello stato di bisogno e di necessità del lavoratore. Gli indici di sfruttamento indicati dalla norma si rifanno alla violazione dei contenuti essenziali del rapporto di lavoro quali la retribuzione, l’orario di lavoro, la fruizione di ferie, permessi e aspettative, l’igiene e la sicurezza, con l’ulteriore elemento caratterizzato dalla presenza di condizioni di lavoro e modalità alloggiative particolarmente degradanti.
Nel 2016 la L. n.19926 ha esteso il campo di applicazione dell’art. 603-bis c.p. superando le rigidità della prima formulazione, la più macroscopica delle quali consistente nella sola punibilità del caporale. L’intermediazione illecita diventa così una condotta autonoma, riconoscendosi come fatto illecito ascrivibile a due diversi soggetti, l’utilizzo di manodopera reclutata illegalmente (dal caporale) e impiegata in condizione di sfruttamento lavorativo dal datore di lavoro.
Delineando una norma a più fattispecie (Xxxxxxxxx e Xxxxxxx 2019), gli interventi correttivi apportati dalla novella legislativa hanno disgiunto, e poi sanzionato, la condotta di “colui che recluta manodopera allo scopo di destinarla al lavoro presso terzi in condizioni di sfruttamento, approfittando dello stato di bisogno dei lavoratori”, e quella di chi “utilizza, assume, impiega manodopera, anche (e non solo)
25 L. n.132/2018 di conversione con modificazioni del D.L. n.113/2018, in materia di Disposizioni urgenti in materia di protezione internazionale e immigrazione, sicurezza pubblica, nonché misure per la funzionalità del Ministero dell'interno e l'organizzazione e il funzionamento dell'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata. Delega al Governo in materia di riordino dei ruoli e delle carriere del personale delle Forze di polizia e delle Forze armate.
26 Per un approfondimento sugli istituti introdotti dalla L. n.199/2016 si veda D’Xxxxxx e de Xxxxxxx (2018).
mediante l’attività di intermediazione sottoponendo il lavoratore a condizioni di sfruttamento”. L’intervento del legislatore ha inoltre semplificato le tipizzazioni richieste per l’applicazione delle misure repressive: l’intermediazione non deve essere necessariamente organizzata attraverso strutture complesse e, la condotta lesiva del datore di lavoro in difformità della contrattazione collettiva territoriale, da sistematica è sufficiente che si risolva in reiterata. Il fatto illecito si svincola anche dalle modalità attraverso le quali si realizza, non richiedendosi più quale condizione qualificante l’utilizzo della violenza, della minaccia o dell’intimidazione. Modalità che, qualora rilevabili, costituiscono una condizione aggravante.
A completamento dell’impianto repressivo, la L. n.199/2016 ha introdotto le attenuanti del delitto di caporalato (art. 603-bis.1 c.p.) nei casi di efficace collaborazione nell’individuazione di altri responsabili, nel recupero delle somme e di altre utilità trasferite, nonché l’ipotesi di confisca obbligatoria (art. 603- bis.2) delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato salvi i diritti della persona offesa alle restituzioni e al risarcimento del danno. Nelle more del procedimento penale, a titolo di misura cautelare reale, interviene il controllo giudiziario dell’azienda attraverso gli amministratori nominati dal giudice. In conseguenza, infine, della responsabilità amministrativa degli enti di cui al D.Lgs. n.231/2001 viene posta a carico della persona giuridica responsabile del reato di caporalato la sanzione pecuniaria tra le 400 e le 1000 quote.
L’emanazione di una legge ad hoc sullo sfruttamento lavorativo in agricoltura non si è limitata (almeno nelle intenzioni dei relatori) alla sola riscrittura dell’impianto repressivo e delle misure risarcitorie nei confronti delle vittime: la novella legislativa ha inteso delineare una strategia di policy volta a orientare la competitività degli attori economici sul piano dell’innovazione tecnologica, della qualità dei prodotti e della sostenibilità distributiva del valore sulla filiera. In linea con i dettami della L. n.116/2014, che tra le varie disposizioni delineava l’avvio di una filiera produttiva di qualità, eticamente orientata e sostenibile attraverso aziende agricole che non avessero pendenze giudiziarie e misure contravvenzionali in materia di diritto del lavoro, legislazione sociale e diritto tributario, la nuove disposizioni di contrasto al caporalato hanno posto in capo alla governance centrale delle amministrazioni interessate27 la definizione di un Piano di azione per il collocamento, il trasporto e l’accoglienza dei lavoratori impiegati nel settore agricolo. Piano che, insieme al riallineamento retributivo e a una più equa distribuzione del valore lungo tutta la filiera, dovrebbe tendere all’obiettivo sotteso di superare i meccanismi distorsivi e purtroppo sistemici che caratterizzano i rapporti tra i diversi soggetti economici28.
27 L’art. 9 della L. n.199/2016 prevede la predisposizione congiunta da parte dei Ministeri del Lavoro, delle Politiche agricole e dell’Interno, di un apposito piano di interventi adottato previa intesa sancita in sede di Conferenza unificata, per l’attivazione di misure finalizzate alla sistemazione logistica e al supporto dei lavoratori, anche attraverso il coinvolgimento di regioni, province autonome e amministrazioni locali, delle rappresentanze dei datori di lavoro e dei lavoratori del settore e delle organizzazioni del terzo settore. La governance multilivello potrà realizzarsi anche attraverso idonee forme di collaborazione con le sezioni territoriali della Rete del lavoro agricolo di qualità anche ai fini della realizzazione di modalità sperimentali di collocamento agricolo modulate a livello territoriale.
28 In riferimento alla sperequazione del valore nella filiera cfr. Ciconte e Liberti (2016).
2.2 Dalla repressione alla prevenzione: il Piano triennale e la governance multilivello Il Piano triennale approvato il 20 febbraio 2020 (MLPS) è il risultato della concertazione multilivello avviata nel 2018 con il Tavolo tecnico di coordinamento29 per la definizione di una strategia nazionale declinabile a livello territoriale, volta a contrastare l’intermediazione illecita e la diffusione dei c.d. ghetti dello sfruttamento lavorativo. Partendo dalla mappatura dei territori e dei fabbisogni di manodopera agricola, il Piano affianca interventi emergenziali e interventi di sistema o di lungo periodo attraverso quattro assi strategici (prevenzione, vigilanza e contrasto, protezione e assistenza, reintegrazione socio- lavorativa), sei aree tematiche e tre ambiti trasversali, il tutto declinato in dieci azioni prioritarie, la maggior parte delle quali orientate a dare impulso attuativo ai meccanismi di prevenzione del fenomeno. In estrema sintesi, l’insieme di questo articolato di azioni, trasversali e complementari tra loro, può essere ricondotto a due pilastri fondamentali:
▪ in primis, sottrarre all’intermediazione irregolare e riportare nell’alveo pubblico, sia in esercizio diretto che mediante accreditamento di altri soggetti, l’incontro tra domanda/offerta di lavoro con tutti i servizi connessi relativamente all’alloggio e alle condizioni di trasporto;
▪ contestualmente, intervenire sulla filiera produttiva agroalimentare e sui prezzi dei prodotti agricoli e rafforzare la Rete del lavoro agricolo di qualità prevedendo meccanismi di premialità per le imprese che vi aderiscono, non soltanto in termini di affievolimento dei controlli30 da parte degli organi di vigilanza ma, come già sperimentato in alcune regioni, anche attraverso l’accesso al sistema di sussidi e finanziamenti programmati nell’ambito delle azioni dei rispettivi Programmi di sviluppo rurali (PSV).
La crucialità dell’intervento di policy nei due filoni appena descritti appare centrale nel Piano triennale delle azioni di contrasto al fenomeno, anche in considerazione delle ricadute auspicabili negli altri sotto- ambiti individuati. In particolare, ciò vale ancora di più per l’ambizioso obiettivo di ridare attrattività all’intermediazione dei Centri per l’impiego (CPI) sia per i lavoratori stagionali che per le imprese. Le azioni declinate in tale ambito saranno rafforzate anche da interventi sistemici per l’efficientamento complessivo dei CPI sia in termini strumentali che di risorse umane già oggetto, a livello centrale e regionale, del Piano straordinario di potenziamento dei Centri per l’impiego e delle politiche attive del lavoro. Nella specificità del settore agricolo sono previsti l’attivazione di una piattaforma per l’incontro tra domanda e offerta di lavoro; sportelli dedicati, sia fissi che mobili, per l’erogazione di servizi finalizzati all’inserimento lavorativo, gestiti in collaborazione con le parti sociali e le associazioni del
29 L’art. 25-quater del D.L. n.119/2018, convertito in L. n.136/2018 istituisce il Tavolo presso il Ministero del Lavoro e delle politiche sociali. Ne fanno parte i rappresentanti di vari Ministeri (Interno, Giustizia, Politiche agricole, Infrastrutture e dei trasporti), dell'Anpal, dell'Ispettorato nazionale del lavoro, dell'Inps, del Comando Carabinieri per la tutela del lavoro, del Corpo della Guardia di finanza, delle Regioni e delle Province autonome di Trento e di Bolzano e dell'Associazione nazionale dei comuni italiani (ANCI). Potranno partecipare alle riunioni del Tavolo anche i rappresentanti dei datori di lavoro e dei lavoratori del settore nonché delle organizzazioni del Terzo settore.
30 L’art. 6, comma 6 del Testo coordinato del D.L. n.91/2014 prevede che i controlli del Ministero del Lavoro e dell’Inps siano orientati prevalentemente sulle imprese non iscritte alla Rete del lavoro agricolo di qualità, fatti salvi gli ordinari controlli in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro.
Terzo settore; l’incremento del numero di CPI che partecipano all’attività delle sezioni territoriali della Rete del lavoro agricolo di qualità; il potenziamento del monitoraggio dei servizi di intermediazione privata.
Quanto al secondo pilastro, incentrato sugli interventi di miglioramento della filiera produttiva (coltivazione, raccolta, trasformazione, trasporto e commercializzazione), le azioni declinate nel Piano triennale intendono contrastare le pratiche di concorrenza sleale e di dumping sociale, nonché di perdita di valore del prodotto lungo la filiera. In particolare, si dovranno attuare le disposizioni della Direttiva (UE) 633/2019 e applicare il divieto delle aste elettroniche al doppio ribasso31 che depauperano il valore dei prodotti scaricando sugli anelli più deboli della filiera dei prezzi palesemente sotto i costi di produzione.
A sostegno della competitività delle aziende intervengono anche gli incentivi ai contratti di filiera e di distretto stipulati tra il Ministero delle Politiche agricole, alimentari e forestali (Mipaaf) e i soggetti del comparto per realizzare programmi di investimento a carattere interprofessionale integrato sia a livello territoriale che multiregionale32. A tali benefici si accompagnano altresì le misure volte a favorire l’accesso delle imprese agricole agli investimenti previsti dal Piano nazionale impresa 4.0 anche attraverso l’aggregazione dei produttori. Per ciò che concerne le priorità trasversali si segnalano lo sviluppo di un sistema informativo per la programmazione degli interventi del Piano e per il monitoraggio del mercato del lavoro agricolo; la protezione e l’assistenza delle vittime di sfruttamento lavorativo mediante percorsi basati sui bisogni individuali; l’attività di comunicazione istituzionale e sociale per i lavoratori stagionali, per le imprese e per i consumatori in ordine rispettivamente ai propri diritti (condizioni di lavoro e servizi), agli strumenti di premialità in contrapposizione alla concorrenza sleale e alla tracciabilità dei prodotti acquistabili che rispondano ai criteri di una filiera di qualità.
31 Sul meccanismo delle aste a doppio ribasso cfr. Ciconte e Liberti (2016, 30). Si rileva altresì che il D.D.L. relativo al divieto delle aste a doppio ribasso è stato approvato dalla Camera dei Deputati nel giugno 2019 ed è attualmente in corso di esame in Commissione al Senato (AS 1373).
32 Art. 4 del D.M. 8 gennaio 2016: “Il contratto di filiera deve favorire prassi di riorganizzazione dei rapporti tra i differenti soggetti della filiera: si fonda su un accordo di filiera sottoscritto da diversi soggetti operanti in un ambito territoriale multiregionale. L’accordo indica il soggetto proponente, gli obiettivi, le azioni, i tempi di realizzazione, i risultati attesi e gli obblighi reciproci dei soggetti beneficiari. Le agevolazioni consistono in contributi in conto capitale, ossia a fondo perduto, calcolate in percentuale delle spese ammissibili, ovvero in un finanziamento agevolato nel rispetto della normativa UE in materia di aiuti di Stato”.
Il Piano triennale 2020-2022
Assi strategici | |||
Prevenzione | Vigilanza e contrasto | Protezione e assistenza | Reintegrazione socio-lavorativa |
Priorità tematiche | |||||
Vigilanza e ispezione | Qualità filiera produttiva agroalimentare | Intermediazione e servizi per il lavoro | Potenziamento Rete lavoro agricolo di qualità | Trasporti | Alloggi e foresterie temporanee |
Azioni strategiche prioritarie | |||||
Azione 8 Rafforzamento delle attività di vigilanza e contrasto allo sfruttamento lavorativo | Azione 2 Interventi strutturali, investimenti in innovazione e valorizzazione dei prodotti agricoli | Azione 4 Pianificazione dei flussi di manodopera e il miglioramento dell'efficacia e della gamma dei servizi per l'incontro tra la domanda e l'offerta (CPI) di lavoro agricolo | Azione 3 Rafforzamento della Rete del lavoro agricolo di qualità, l'espansione del numero delle imprese aderenti e introduzione di misure per la certificazione dei prodotti per innalzare la trasparenza e le condizioni di lavoro del mercato del lavoro agricolo | Azione 6 Pianificazione e attuazione di soluzioni di trasporto per migliorare l'offerta di servizi adeguati ai bisogni dei lavoratori agricoli | Azione 5 Pianificazione e attuazione di soluzioni alloggiative dignitose per i lavoratori del settore agricolo in alternativa a insediamenti spontanei e altri alloggi degradanti |
Priorità trasversali | |||||
Sistema informativo | Protezione e assistenza | Informazione e sensibilizzazione | |||
Azioni strategiche prioritarie | |||||
Azione 1 Sistema informativo con calendario delle colture, dei fabbisogni di manodopera e altri dati e informazioni, sviluppato e utilizzato per la pianificazione, gestione e monitoraggio del mercato del lavoro agricolo | Azione 9 Pianificazione e attuazione di un sistema di servizi integrati (referral) per la protezione e prima assistenza delle vittime di sfruttamento lavorativo in agricoltura e rafforzamento degli interventi per la loro reintegrazione socio- lavorativa Azione 10 Realizzazione di un sistema nazionale per il reinserimento socio-lavorativo delle vittime di sfruttamento lavorativo in agricoltura | Azione 7 Campagna di comunicazione istituzionale e sociale per la prevenzione e sensibilizzazione sullo sfruttamento lavorativo e la promozione del lavoro dignitoso |
La governance multilivello per l’attuazione del Piano triennale è incardinata su una struttura che prevede l’utilizzo di vari strumenti di coordinamento interistituzionale. Il Tavolo tecnico nazionale è responsabile per l’indirizzo e la programmazione delle attività istituzionali, del monitoraggio dell’attuazione della L. n.199/2016 e di eventuali proposte normative in materia, avvalendosi del supporto dei Gruppi tematici e della Cabina di regia della Rete del lavoro agricolo di qualità. Il raccordo tra il Tavolo nazionale e i Tavoli tecnici regionali è garantito in sede di Conferenza unificata, mentre a livello territoriale si va dai protocolli d’intesa ai partenariati tra Regioni, Comuni, prefetture, parti sociali, Ispettorato nazionale del lavoro, Inps e associazioni datoriali. I soggetti pubblici territoriali, a loro volta, declinano le loro azioni attraverso i Piani di zona e i Piani multisettoriali che, nella circolarità del sistema di concertazione, andranno convogliati dalle Sezioni territoriali della Rete del lavoro agricolo di qualità alle Regioni per i loro ambiti di pertinenza, al Tavolo nazionale e alla Cabina di regia presso l’Inps.
Gli attori della governance multilivello
MLPS - Promozione del lavoro regolare e dell'integrazione sociale, immigrazione
MIPAAF - Valorizzazione della filiera agroalimentare
Ministero Interno - Cultura della legalità, contrasto alla criminalità organizzata, immigrazione
Ministero Grazia e Giustizia - Procedimenti giudiziari per sfruttamento lavorativo
Ministero Infrastrutture e Trasporti - Erogazione servizi di trasporto in partenariato con Enti locali e Regioni
ANPAL - Coordinamento rete nazionale servizi per il lavoro e Albo nazionale agenzie accreditate, AgG Pon SPAO
INL - Vigilanza in materia di lavoro in collaborazione con CC e G.d.F.
INPS - Presiede cabina di regia Rete lavoro agricolo di qualità
Regioni - Trasporto regionale, FP e servizi per il lavoro di concerto
con Anpal, MLPS
Enti locali -
Alloggi
e trasporto locale
Relativamente alle risorse finanziarie del Piano, la mappatura degli strumenti disponibili ha permesso di identificare in via preliminare i seguenti finanziamenti:
▪ 89 milioni di euro PON Inclusione (finanziato da Fondo sociale europeo, Fondo asilo e migrazioni, Fondo nazionale politiche migratorie) per azioni di prevenzione del lavoro sommerso e contrasto al fenomeno dello sfruttamento lavorativo, con particolare riferimento a misure e servizi rivolti a cittadini di Paesi terzi legalmente presenti, vittime e potenziali vittime di sfruttamento lavorativo;
▪ 520 milioni di euro (Fondo sviluppo coesione, Fondo rotativo imprese) per interventi strutturali, investimenti in innovazione e valorizzazione dei prodotti, inclusi i contratti di filiera e di distretto;
▪ 94 milioni di euro PON Legalità per azioni prioritarie relative alla pianificazione dei flussi di manodopera, il miglioramento dei servizi domanda/offerta di lavoro agricolo, pianificazione e attuazione di soluzioni alloggiative dignitose e di trasporto da e per i luoghi di lavoro agricolo;
▪ 600 mila euro PON Spao (FSE) per la realizzazione di azioni di sistema e di sperimentazione di interventi a livello territoriale per il miglioramento dei servizi per il lavoro e il reinserimento socio-lavorativo delle vittime di sfruttamento lavorativo in agricoltura.
A completamento delle risorse sopra indicate, si segnalano somme aggiuntive per 250 milioni di euro che il Mipaaf ha chiesto di impegnare nell’ambito del Piano operativo agricoltura 2021-2027 come contributo a fondo perduto per il finanziamento dei Contratti di filiera e di distretto ai sensi del D.M. n.1192/2016 e del regime di Aiuto di Stato autorizzato dalla Commissione europea (S.A. 42821), unitamente a una erogazione ulteriore di 350 milioni di euro di finanziamenti agevolati a valere sul Fondo rotativo imprese della Cassa depositi e prestiti.
Infine, la sommaria disamina del quadro regolatorio e delle risorse messe in campo richiede di rilevare un ulteriore dispositivo normativo apparentemente a margine della questione caporalato (poiché posto in essere per altre finalità), ma tuttavia suscettibile di suggerire altre ‘piste’ di narrazione del binomio lavoro agricolo-immigrazione soprattutto in una visione di programmazione di lungo periodo che, ancor più alla luce dell’attuale momento di emergenza sanitaria, impone lo sforzo di ripensare nuovi modelli di produzione e di consumo orientati alla sostenibilità e alla perequazione sociale. La L. n.141/201533 recante disposizioni in materia di agricoltura sociale ha formalizzato il tracciato condiviso (e sperimentato attraverso le buone pratiche di lavoro agricolo/benessere individuale e benessere di comunità) tra l’agricoltura multifunzionale e i servizi socioassistenziali erogati a livello locale rivolti a persone in condizione di svantaggio, nell’ottica dell’inclusione sociale e lavorativa. È un approccio, insomma, che ben potrebbe essere applicato anche in riferimento alle azioni finalizzate al reinserimento socio-lavorativo delle vittime di sfruttamento in agricoltura.
2.3 Le azioni di contrasto in ambito regionale
I territori della penisola a maggiore vocazione agricola hanno in parte anticipato la tattica di contrasto enucleata nel Piano triennale 2020-2022. L’avvio di una strategia, per così dire dal basso o di territorio, va ricondotta all’azione congiunta di attori pubblici locali, associazioni datoriali, Parti sociali e Terzo settore, finalizzata ad arginare le sacche di lavoro sommerso e gli insediamenti informali ad alta
33 L’art. 1 ne individua la finalità nella promozione dell'agricoltura sociale, quale aspetto della multifunzionalità delle imprese agricole finalizzato allo sviluppo di interventi e di servizi sociali, socio-sanitari, educativi e di inserimento socio-lavorativo, allo scopo di facilitare l'accesso adeguato e uniforme alle prestazioni essenziali da garantire alle persone, alle famiglie e alle comunità locali in tutto il territorio nazionale e in particolare nelle zone rurali o svantaggiate.
marginalità sociale, sempre più spesso in relazione di stretta prossimità con l’illegalità e la criminalità organizzata. Nell’ultimo quinquennio lo strumento di concertazione dei vari Tavoli tecnici ha permesso di attivare protocolli di partenariato in funzione di contrasto del fenomeno. Tra i tanti a livello territoriale, il primo a rappresentare un impegno istituzionale di carattere interregionale è il Protocollo sperimentale contro il caporalato e lo sfruttamento lavorativo in agricoltura ‘Cura – Legalità – Uscita dal Ghetto’, sottoscritto il 27 maggio 2016 da cinque Regioni del Mezzogiorno.
Sul piano della regolazione formale34, invece, il tentativo di riportare all’interno di una cornice legale il lavoro bracciantile, sia esso di natura stanziale che temporanea legato alla stagionalità delle colture, è ascrivibile, ancor prima dell’entrata in vigore della L. n.199/2016, alle Regioni Puglia, Calabria e Basilicata35. In generale, gli interventi messi in campo in questi territori hanno inteso scardinare il ruolo del caporale sia nell’intermediazione della domanda/offerta di manodopera, sia nella fornitura dei servizi collaterali. Sebbene con esiti non all’altezza delle aspettative, è della Regione Puglia il primo tentativo, nel 2014, di avviare un sistema di certificazione dei prodotti realizzati bypassando il canale del lavoro non contrattualizzato mediante accesso alle liste di prenotazione dei CPI, grazie alla leva degli incentivi economici36. Sempre in Puglia a supporto dei lavoratori stagionali è stato attivato un sistema di trasferimenti ‘a sportello’ attraverso l’erogazione di buoni-trasporto da utilizzare presso un’azienda individuata con procedura a evidenza pubblica. Nel 2017 la Regione ha reso operative le prime foresterie37 destinate ai braccianti agricoli, per i quali sono stati attivati anche dei servizi di assistenza sanitaria e medicina preventiva, di orientamento socio-legale e sportelli mobili in materia di avviamento e sicurezza sul lavoro. In Calabria la L. n.13/2012 di contrasto al lavoro nero e irregolare ha previsto per il settore agricolo la predisposizione di elenchi presso i CPI per l’incrocio della domanda/offerta di manodopera nonché l’attivazione di modalità di trasporto — da e per i campi — mediante convenzione stipulata tra i Comuni, le aziende di trasporto pubblico locale e le associazioni dei produttori. Parimenti nel 2014 la Giunta regionale lucana ha istituito una task force finalizzata alla realizzazione di un piano operativo per garantire un’accoglienza dignitosa e un lavoro regolare ai lavoratori stagionali.
Quanto al resto della penisola, al di là delle specificità territoriali, può ritenersi comune a tutte le
Regioni l’approccio trasversale alla sanzionabilità dell’intermediazione illecita attraverso le discipline di
34 Sulle caratteristiche dei sistemi regionali di regolazione e sulle differenze dei modelli organizzativi si veda Pinto (2012).
35 Per la Puglia (L.R. n.28/2006) la Giunta regionale ha approvato gli strumenti di attuazione del Protocollo sperimentale contro il caporalato e lo sfruttamento lavorativo in agricoltura per le province di Taranto, Lecce e Foggia; per la Basilicata (D.G.R. n.627/2014), è stata istituita una task force finalizzata alla realizzazione di un piano operativo per un’accoglienza dignitosa e un lavoro regolare ai lavoratori stagionali; D.G.R. n.690/2014 Istituzione liste di prenotazione in agricoltura; Accordo-quadro 25 luglio 2016 per l’attuazione del Protocollo sperimentale contro il caporalato e lo sfruttamento lavorativo in agricoltura. L.R. n.13/ 2016 nell’ambito del coordinamento delle politiche per l’integrazione prevede, tra l’altro, la lotta al lavoro nero e al caporalato; per la Calabria L.R. n.13/2012.
36 D.G.R. n.1523/2014, ratifica del Protocollo di Intesa e il Disciplinare relativi al progetto Capo Free — Ghetto Off. Piano di azione sperimentale per un'accoglienza dignitosa e il lavoro regolare dei migranti in agricoltura — Istituzione della Certificazione etica regionale. Gli esiti della sperimentazione non sono stati all’altezza delle aspettative per la scarsa adesione degli imprenditori agricoli nell’attingere agli elenchi di prenotazione.
37 Casa Xxxxxxx che ospita mediamente 400 persone; in Capitanata l’azienda regionale Fortore che ne accoglie 300; le foresterie di Nardò e Turi per altri 300 braccianti agricoli; San Severo per ulteriori 400 unità.
settore: da quella relativa all’accoglienza degli stranieri sul proprio territorio, alle leggi in materia di occupazione e mercato del lavoro, fino agli interventi volti a valorizzare la responsabilità sociale dell’impresa38. Nello specifico del bracciantato in agricoltura, in Piemonte la L.R. n.12/2016 consente agli imprenditori che si avvalgono di manodopera stagionale di effettuare interventi di adeguamento igienico-sanitario nelle strutture esistenti non residenziali delle aziende, per la sistemazione temporanea degli stagionali, ovvero di istallare strutture prefabbricate per un periodo non superiore ai 180 giorni all’anno. In linea con il Protocollo nazionale sperimentale del 2016, la Giunta regionale ha siglato un analogo patto volto a garantire trasparenza e regolarità nell'incontro fra domanda e offerta di lavoro stagionale e ad affrontare in modo sistemico a tutti i livelli istituzionali le questioni di sicurezza, salute, legalità, trasporto e integrazione sociale e abitativa dei braccianti. Attenzione particolare è stata rivolta all'area del saluzzese, in provincia di Cuneo, dove in occasione della raccolta della frutta si concentra un'elevata presenza di lavoratori stranieri, in precarie condizioni abitative e igienico-sanitarie e con conseguenti preoccupazioni per l'ordine e la sicurezza.
Con l’ausilio dei CPI competenti, il protocollo sancisce l’avvio di una sperimentazione finalizzata a conoscere e definire il fabbisogno di manodopera, semplificare le procedure per i contratti, prevenire le irregolarità. Con delibera successiva, nel 2018, la Giunta ha approvato uno schema di accordo con il Comune di Saluzzo per l’allestimento di un immobile destinato a ospitare lavoratori stagionali. In Veneto l’azione di contrasto del lavoro sommerso passa attraverso l’accordo di partenariato39 siglato nel 2019 dalla Regione, le parti sociali e le associazioni datoriali. Tre i campi di intervento individuati: la creazione di una base informativa condivisa sulle dinamiche occupazionali nel settore agricolo per orientare la programmazione di politiche regionali mirate e specifiche; il potenziamento dei CPI nell’attività di incontro tra domanda/offerta di lavoro; il rafforzamento e il supporto delle attività di vigilanza e controllo su obiettivi sensibili più esposti alle dinamiche del caporalato e la diffusione delle iniziative di informazione e tutela dei diritti dei lavoratori, con particolare riferimento alle vittime di grave sfruttamento.
A dotarsi di una legge ad hoc sul caporalato è stata, invece, la Xxxxxxx Xxxxx00 a pochi mesi dall’avvio della sperimentazione effettuata nella provincia di Latina, uno dei territori più densamente caratterizzati dalla presenza di lavoratori agricoli stagionali per la maggioranza di nazionalità indiana41. Il Protocollo d’intesa42 siglato nel gennaio 2019 con la prefettura di Latina, le parti sociali e le associazioni di categoria prevedeva l’attivazione di un servizio di trasporto gratuito per i braccianti in possesso di un contratto di lavoro (sia italiani che stranieri), da usufruire nell’arco dell’intera giornata lavorativa, da e per i campi di raccolta di tutto l’Agro Pontino. Contestualmente, per rendere trasparente l’incontro tra la domanda/offerta di lavoro si è proceduto all’apertura di appositi sportelli dedicati all’agricoltura xxxxxx x
00 Xxxxxxxx L.R. n.34/2008; Veneto, L.R. n.3/2009; Liguria L.R. n.30/2007; FVG L.R. n.18/2005; Lombardia L.R. n.22/2006; Marche L.R. n.2/2005; Umbria L.R. n.11/2003; PA Trento L.P. n.13/2010; Toscana L.R. n.17/2006.
39 D.G.R. n.289/2019.
40 L.R. n.18/2019.
41 Per un approfondimento sulle condizioni di grave sfruttamento dei braccianti agricoli nell’Agro Pontino cfr. Omizzolo (2019).
42 Protocollo d’Intesa per un lavoro di qualità in agricoltura dell’8 gennaio 2019.
CPI di Formia, Latina, Fondi, Sezze e Cisterna. Nel corso dell’anno l’intermediazione pubblica è stata supportata anche dalla nuova applicazione Fair Labor. La legge sul caporalato approvata in agosto ripropone gli elenchi di prenotazione telematici e introduce l’individuazione degli indici di congruità, ossia di parametri oggettivi che, mettendo in rapporto la quantità e qualità della produzione con la quantità delle ore lavorate, consentirebbero di rilevare eventuali irregolarità per i contratti di lavoro stipulati. Le altre misure individuate si collocano nel solco della L. n.199/2016 laddove si prevede la costituzione di un osservatorio per il monitoraggio del settore, nonché la promozione della Rete del lavoro agricolo di qualità. Da rilevare invece, l’introduzione di meccanismi di premialità, ovvero benefici economici previsti nella legge stessa o in altre leggi regionali, per le aziende agricole iscritte nell’elenco delle imprese virtuose che aderiscono alla Rete del lavoro agricolo di qualità, che rispettano gli indici di congruità e che assumono i soggetti iscritti negli elenchi dedicati. Un orientamento analogo è stato adottato anche dalle Regioni Xxxxxx-Romagna e Toscana che hanno previsto la clausola di condizionalità, riconducibile all’iscrizione alla Rete, per l’accesso ai benefici dei rispettivi Piani di sviluppo rurale43. Stessa modalità anche per la Regione Puglia che ha subordinato l’accesso a specifici finanziamenti destinati alle aziende agricole contenuti nella propria legge di bilancio pluriennale e che ha peraltro anticipato di gran lunga la previsione di un parametro di congruità nella citata L. n.28/200644. Sugli indici di qualità (e non da ultimo sul criterio dei controlli pubblici quale garanzia imprescindibile di affidabilità di un marchio etico di qualità) è il caso di rilevare la L. n.14/2009 con la quale la Regione Campania ha definito un sistema di classificazione e di certificazione dell’Alta qualità del lavoro (AQL)45. In questo caso il legislatore regionale ha reso ben più stringente il possesso dei requisiti etici vincolanti l’accesso ai meccanismi di premialità e alle posizioni di vantaggio competitivo per le imprese (Xxxxxxxx 2008), assai prima che le successive L. n.116/2014 e L. n.199/2016 riducessero l’adesione alla Rete, a un ‘mero adempimento burocratico’ (D’Onghia e de Xxxxxxx 2018, 16) in considerazione del fatto che, con la disciplina nazionale, l’attività di vigilanza è stata maggiormente rivolta nei confronti delle aziende non iscritte, “fermo restando gli ordinari controlli in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro (…) e salvi i casi di richiesta di intervento proveniente dal lavoratore, dalle organizzazioni sindacali, dall’Autorità giudiziaria o da autorità amministrative” (art. 6, comma 6, Testo coordinato D.L. n.91/2014).
43 Per l’Xxxxxx-Romagna L.R. n.17/2005; per la Toscana L.R. n.17/2006.
44 L’art. 1, comma 8 stabilisce la dimostrazione degli indici di congruità quale condizione vincolante per l’accesso a qualsiasi beneficio economico e normativo, per la partecipazione ai bandi e gare di appalto, per il godimento di erogazioni da parte della Regione, a qualunque titolo, anche in forma indiretta, di fondi comunitari, nazionali e regionali. L’art. 5, comma 2 richiede altresì che il rapporto tra quantità e qualità dei beni e servizi offerti e la quantità delle ore lavorate misurato in un dato momento, abbia migliorato di almeno il 25% il rapporto registrato nell’anno precedente.
45 L.R. n.14/2009: la certificazione dell’eticità del processo produttivo è sancito all’art. 9, commi 5 e 6, laddove si prevede la verifica, da parte della Regione, del possesso e del mantenimento dei requisiti richiesti per l’ottenimento del certificato di AQL, mediante riscontri incrociati effettuati con i servizi ispettivi, le Asl, gli enti previdenziali e gli organi tributari, in modo tale da verificare la corrispondenza tra quanto dichiarato dall’impresa in sede di presentazione della domanda e quanto accertato dai vari organi di vigilanza. Si veda anche il Regolamento 8/2010 di attuazione della legge. Per ulteriori approfondimenti si segnala altresì Xxxxxxxx (2008).
2.4 L’emergenza sanitaria da Covid-19: gli effetti sul lavoro agricolo
Nel momento in cui scriviamo, l’emergenza sanitaria determinata dalla diffusione di Covid-19 sta mettendo a dura prova la tenuta di molti settori produttivi del made in Italy, tra i quali anche il comparto agroalimentare. Il grido d’allarme viene dalle associazioni di categoria, in particolare Coldiretti e Confagricoltura, secondo le quali il blocco delle frontiere e dei flussi di ingresso dei lavoratori stagionali metterebbe a repentaglio più di un quarto dei prodotti italiani da tavola raccolti da braccianti stranieri, la cui presenza rappresenta il 27% del totale delle giornate lavorate nel settore46. La tenuta della filiera agroalimentare, spiega Coldiretti, riguarda tutti i Paesi agricoli del vecchio continente, tanto da stimare il fabbisogno complessivo europeo di manodopera stagionale nella misura di un milione di lavoratori, la cui indisponibilità potrebbe compromettere l’autosufficienza alimentare e la bilancia commerciale europea. Dopo le Linee guida del 16 marzo scorso, la Commissione UE ha risposto alle preoccupazioni dei Paesi membri e delle imprese con una nuova comunicazione47 che invita gli Stati a facilitare gli spostamenti dei lavoratori transfrontalieri, soprattutto del personale medico e sanitario e di altre categorie di lavoratori per i quali è considerata essenziale la libera circolazione. Riconoscendo il peso sostanziale dei lavoratori stagionali nelle mansioni fondamentali di raccolta, impianto e cura delle colture, la Commissione ha esortato gli Stati membri ad applicare loro lo stesso trattamento riservato ai lavoratori che esercitano le cosiddette professioni critiche. Per quanto concerne l’Italia, tra i provvedimenti di immediata applicazione si rileva la proroga, sollecitata dal Mipaaf, dei permessi di soggiorno per lavoro stagionale in scadenza, al fine di evitare agli stranieri di dover rientrare nei Paesi di origine proprio con l’inizio della stagione di raccolta nelle campagne48. In tale ottica, tra gli strumenti operativi volti a favorire l’incrocio della domanda/offerta di lavoro si rileva l’applicazione restoincampo realizzata dall’Agenzia nazionale politiche attive del lavoro (ANPAL) in collaborazione con il Ministero del Lavoro per fronteggiare il fabbisogno di manodopera nell’emergenza Covid-19. Sul lungo periodo invece, il Ministero delle Politiche agricole ha delineato la necessità di intraprendere percorsi più strutturali finalizzati alla regolarizzazione degli immigrati presenti sul territorio, a facilitare i meccanismi di assunzione di quelli al momento inoccupati e, nel contempo, a prevedere la cumulabilità di prestazioni di sostegno al reddito per chi è titolare di un rapporto di lavoro. Le associazioni datoriali di categoria, dal canto loro, hanno sollecitato l’apertura dei corridoi verdi dall’Europa dell’Est e la reintroduzione dei voucher come misura temporanea per fronteggiare la crisi di settore (finanche applicabili ai lavoratori in cassa integrazione dei comparti in arresto produttivo), mentre Flai-Cgil
46 Sono 370 mila, spiega Coldiretti, i lavoratori stranieri impiegati in agricoltura in Italia. Tra i distretti agricoli che si avvalgono del loro contributo, l'associazione cita quelli della raccolta delle fragole e degli asparagi nel veronese, della preparazione delle barbatelle in Friuli, delle mele in Trentino, della frutta in Xxxxxx-Romagna, dell'uva, delle mele, delle pere e dei kiwi in Piemonte, dei pomodori, dei broccoli, cavoli e finocchi in Puglia fino agli allevamenti da latte e ai caseifici della Lombardia.
47 Commissione europea: Comunicazione 2020/C 102 I/03 del 30/03/2020 – Orientamenti relativi all’esercizio della libera circolazione dei lavoratori durante la pandemia di Covid-19.
48 La Circolare del 24 marzo 2020, n.3511 ha per oggetto la sospensione dei termini dei procedimenti amministrativi a seguito delle misure di contenimento dell’emergenza epidemiologica da Covid-19. La proroga dura fino al 15 giugno e riguarda i permessi di soggiorno in scadenza dal 31 gennaio al 15 aprile ai sensi dell’articolo 103 comma 2 del D.L. n.18/2020. La legge di conversione del decreto Cura Italia ha poi prorogato la validità dei suindicati permessi al 31 agosto 2020. Per quelli in scadenza al 31 maggio, invece, il termine di validità è fissato al 31 dicembre 2020.
insieme all’associazione Terra! e altri soggetti del Terzo settore hanno rivolto un appello al Capo dello Stato e alle ministre dell’Interno, del Mipaaf e del Ministero del Lavoro per la regolarizzazione dei lavoratori che vivono negli insediamenti informali, attraverso la stipula di un contratto di lavoro stagionale. Il dibattito particolarmente serrato sulla questione della regolarizzazione, caratterizzato da posizioni divaricate, ha comunque avuto il suo esito nell’art. 103 del D.L. 34/2020 (conosciuto come Decreto Rilancio). La disposizione ha introdotto due canali di emersione dal lavoro nero: l’autodenuncia del datore di lavoro e il permesso temporaneo per coloro a cui era già scaduto nella sua validità temporale. Nel primo caso, i datori di lavoro possono presentare domanda di sottoscrizione di un rapporto di lavoro subordinato con cittadini stranieri presenti sul territorio o per dichiarare l’esistenza di un rapporto non contrattualizzato in corso. L’istanza di emersione deve contenere la durata del contratto di lavoro e la retribuzione convenuta, non inferiore a quella prevista dal contratto collettivo di riferimento stipulato dalle organizzazioni sindacali e datoriali più rappresentative a livello nazionale. Nel secondo caso, gli stranieri con permesso di soggiorno scaduto il 31 ottobre 2019, non rinnovato o convertito in altro titolo, possono richiedere un permesso temporaneo di sei mesi, suscettibile di rinnovo in permesso per motivi di lavoro se nel corso del periodo di validità il cittadino straniero ottiene un contratto di lavoro subordinato, con la documentazione retributiva e previdenziale comprovante lo svolgimento dell’attività lavorativa. La regolarizzazione è applicabile solo per gli stranieri presenti sul territorio prima dell’8 marzo 2020 (senza allontanamenti dopo quella data) e nei soli settori dell’agricoltura, allevamento e zootecnica, pesca e acquacoltura, assistenza alla persona, lavoro domestico di sostegno al bisogno familiare.
Per ciò che concerne le Regioni, le misure introdotte a tutela dei braccianti agricoli in questa fase di emergenza pandemica riguardano l’attivazione di servizi di assistenza sanitaria e di informazione49.
49 Nell’ambito di XXX.XX.XX. Italia (Programma finanziato dalla Commissione europea e guidato dal Ministero del Lavoro finalizzato all’avvio di misure indirizzate all’integrazione socio-lavorativa dei migranti attraverso il contrasto allo sfruttamento in agricoltura), la Puglia ha inaugurato una nuova foresteria in località Fortore e ha pubblicato due avvisi pubblici rivolti ai soggetti del Terzo settore per la fornitura di mezzi di trasporto destinati ai braccianti agricoli (fornitura di biciclette e noleggio di veicoli). Inoltre, la sezione regionale per le Politiche migratorie, in collaborazione con AReSS Puglia, con la Asl e la Prefettura di Foggia, con il Ministero del Lavoro e delle politiche sociali e gli enti del Terzo settore (InterSOS, CUAMM e SoliDaunia) ha avviato dei presidi stabili di supporto clinico e socio- sanitario presso otto insediamenti di lavoratori migranti nella provincia di Foggia, distribuiti su un’area geografica di 60 km di ampiezza. Gli interventi sanitari previsti sarebbero rivolti a una platea di circa 2500 persone attraverso specifiche azioni di:
▪ screening periodici a tappeto, allo scopo di individuare precocemente gli eventuali casi sospetti di infezione da Covid-19 attraverso una valutazione delle condizioni cliniche e proposizione di isolamento in quarantena o (nei casi più gravi) ricovero;
▪ supporto delle attività di triage che MMG/PLS/Continuità assistenziale/SCAP e Dipartimenti di prevenzione stanno svolgendo;
▪ azioni di alfabetizzazione sociale e sanitaria rivolta alla popolazione target per veicolare informazioni di base sulle attività di tutela e promozione della salute, sulle misure di prevenzione da adottare nella attuale situazione epidemica, sulla organizzazione del sistema sanitario regionale.
Nella medesima direzione va anche la Regione Calabria che nel mese di aprile ha chiuso il bando per la manifestazione di interesse ad avviare presidi sanitari mobili a salvaguardia della salute dei migranti in condizione di vulnerabilità negli insediamenti informali della Xxxxx xx Xxxxx Xxxxx x xx Xxxxxx.
0 L’AGRICOLTURA SOCIALE COME POSSIBILE MEZZO DI CONTRASTO ALLO SFRUTTAMENTO DEGLI IMMIGRATI NEL SETTORE PRIMARIO
3.1 L’agricoltura sociale: cenni storici e normative correlate
Negli anni Settanta in Italia, con l’occupazione di terre pubbliche o sottoutilizzate, si formano le prime cooperative che, all’indomani della chiusura dei manicomi e a seguito dell’introduzione della L. n.180/1978 Accertamenti e trattamenti sanitari volontari e obbligatori (cosiddetta Legge Basaglia), vedono nell’agricoltura e nell’allevamento attività adatte alla riabilitazione, all’inclusione e al reinserimento sociale. Si usa il lavoro della terra come terapia per persone con disabilità fisica, intellettiva e psichica. Accanto alla possibilità di inserimento lavorativo, prendono vita forme di ospitalità, agriturismo e attività didattiche, volte anche a sottolineare l’approccio a un altro modello di sviluppo possibile, nel quale la produzione non è l’unico valore. Inoltre, le cooperative coinvolte cominciano a mostrare un’attenzione all’ambiente e alla sostenibilità.
L’agricoltura, da un lato attività produttiva e imprenditoriale e dall’altro attività di inclusione sociale, si diffonde e da questa iniziativa, originariamente spontanea di privati, viene l’impulso per l’emanazione di leggi che porteranno poi alla realizzazione della legge sull’agricoltura sociale.
In Europa e nel mondo nello stesso periodo iniziano a svilupparsi situazioni analoghe che, come accade in Italia, sembrano essere iniziative spontanee di privati ai quali si aggregano in un secondo momento i soggetti pubblici. La terminologia usata per nominare queste pratiche delinea un intento simile, che intende sfruttare il lavoro e le risorse in agricoltura per fini sociali, di benessere individuale e di comunità: Farming for Health, Green Care, Care Farming, Social Farming.
Questi sono gli inizi di quella che in seguito verrà denominata agricoltura sociale. Negli anni successivi con la L. n.381/1991, Disciplina delle cooperative sociali, si definisce la cooperativa di tipo B, il cui obiettivo principale è l’inserimento lavorativo di persone con abilità differenti50.
Alla fine degli anni Novanta, per iniziativa di xxx Xxxxx Xxxxxx e dell’Associazione Libera, viene promossa una petizione popolare per l’utilizzo a fini sociali dei beni confiscati alla mafia, che si trasforma nella L. n.109/1996 recante Disposizioni in materia di gestione di beni sequestrati o confiscati. Questa legge aiuta il recupero di aree e fabbricati rurali sottraendoli non solo al controllo delle associazioni mafiose ma offrendo inoltre lavoro alle persone svantaggiate.
La sezione Agricoltura del Comitato economico e sociale europeo, sviluppo rurale e ambiente, il 22 novembre 2012, formula il proprio parere sul tema Agricoltura sociale: terapie verdi e politiche sociali e sanitarie, intendendo con essa “un approccio innovativo fondato sull'abbinamento di due concetti distinti: l'agricoltura multifunzionale e i servizi sociali/terapeutico-assistenziali a livello locale”, che
50 Le cooperative di tipo A si occupano della gestione dei servizi sociosanitari, formativi e di educazione permanente; le cooperative di tipo B si occupano della gestione di attività finalizzate all'inserimento lavorativo di persone svantaggiate nei settori: industria, commercio, servizi e agricoltura.
contribuisce ‘al benessere e all'inclusione sociale di persone con esigenze specifiche’ attraverso il lavoro agricolo51.
Solo in tempi recenti è stata disciplinata la materia dell’agricoltura sociale con la L. n.141/2015 recante Disposizioni in materia di agricoltura sociale, prendendo atto di quanto già esistente nel Paese. Il compito dell’agricoltura sociale è “finalizzato allo sviluppo di interventi e di servizi sociali, socio-sanitari, educativi e di inserimento socio-lavorativo, allo scopo di facilitare l’accesso adeguato e uniforme alle prestazioni essenziali da garantire alle persone, alle famiglie e alle comunità locali in tutto il territorio nazionale e in particolare nelle zone rurali e svantaggiate”52.
3.2 Agricoltura sociale e immigrazione
I saperi e le pratiche dell’agricoltura hanno attraversato diverse generazioni ed essa stessa ha dimostrato di essere un’attività inclusiva in sé. L’agricoltura è sociale perché stabilisce una relazione tra territorio e comunità, creando una sorta di welfare a cui si attribuiscono diversi appellativi (partecipativo, generativo, di territorio, di comunità, di prossimità), ma che di fatto indica come nella relazione tra produttori, beneficiari e fruitori si generino azioni positive, che perseguono il bene della comunità intera.
L’agricoltura sociale, per mission, si contrappone all’agricoltura basata sullo sfruttamento del terreno e della forza lavoro, occupandosi soprattutto delle situazioni lavorative e inclusive. L’agricoltura è da sempre sociale “perché rappresenta un modello di sviluppo economico e culturale innovativo, perché promuove integrazione, capacità collettive e individuali, produce lavoro e reddito, restituisce felicità, o almeno un senso proprio dell’esistenza” (Brioschi 2017, 7), essendo inoltre portatrice in sé del carattere dell’accoglienza, del lavoro di gruppo e del mutuo aiuto. Essa lavora per la tutela dell’ambiente (rotazione delle colture, cura e manutenzione della terra), per la difesa della salute (adeguamento ai cicli stagionali e uso vietato di sostanze chimiche), ergendosi a modello di sviluppo sostenibile.
La multifunzionalità dell’agricoltura sociale offre da un lato servizi utili alla società (inserimento socio- lavorativo di persone svantaggiate, servizi sociali, sociosanitari e terapeutici per disabili), attività educative, ricreative e didattiche; dall’altro la produzione di beni alimentari attraverso l’orticoltura, la viticoltura, la frutticoltura e gli allevamenti di vario tipo, compresi gli agriturismi. La realizzabilità dei progetti di agricoltura sociale è data da una rete di relazioni che spesso coinvolge i servizi pubblici, le imprese sociali, il mondo agricolo dei privati e il Terzo settore.
L’agricoltura sociale si rivolge principalmente a persone fragili e vulnerabili, che con difficoltà troverebbero un’occupazione altrove e ha mostrato di essere una possibilità di inclusione, di offerta di lavoro e formazione, attraverso la quale il beneficiario diventa parte attiva, eludendo la logica del modello assistenzialistico53. Le aziende e le cooperative coinvolte in agricoltura sociale sono infatti delle
51 Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea, 15 febbraio 2013, art. 1, comma 1.
52 Gazzetta Ufficiale, 8 settembre 2015, n.208, art. 1.
53 La ricerca, pubblicata dall’Inapp in collaborazione con il Crea (Pavoncello 2018), si proponeva di raccogliere informazioni sulle persone con disabilità coinvolte nel lavoro agricolo, per rilevare l’impatto in termini di benessere e di qualità della vita dei destinatari. Dai dati
imprese, che necessitano di un fatturato e che di conseguenza devono coniugare l’aspetto sociale
all’aspetto imprenditoriale.
Come descritto nei paragrafi precedenti, gli immigrati che giungono nel nostro Paese costituiscono una fascia di persone fragili, pronte a essere sfruttate per un’occupazione che garantisca loro la sopravvivenza. Molti sono occupati nel lavoro agricolo, innanzi tutto perché molte attività praticate in agricoltura sono abbastanza semplici, non richiedono una preparazione specifica, un’alta qualifica professionale o la conoscenza profonda della lingua del posto; in seconda istanza gli immigrati sono manodopera a basso costo, un profilo perfetto per l’industria alimentare tra produzione e distribuzione. Allo stesso tempo però, nel nostro Paese esistono esempi di esperienze che, non senza difficoltà, sono un modello di imprenditoria e di politica sociale attiva nell’inserimento socio-lavorativo degli immigrati. Nel territorio italiano ci sono realtà in cui l’agricoltura non significa sfruttamento o caduta nella rete di logiche criminali. Il lavoro in agricoltura, in alcune occasioni, ha spinto gli stessi immigrati a diventare imprenditori di progetti legati alla coltura e all’allevamento54, dimostrando che può diventare forma di contrasto e opposizione al sistema del caporalato, delle agromafie e di tutte le attività criminali legate al controllo del mercato e dell’industria agricola.
Lo SPRAR - Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (SIPROIMI 2019), le aziende agricole e le cooperative hanno creato numerosi progetti e collaborazioni, in tema di agricoltura sociale e immigrazione. La costruzione dell’inclusione socio-lavorativa degli immigrati (tra cui rifugiati, richiedenti asilo e titolari di una forma di protezione internazionale) passa attraverso la valorizzazione delle loro competenze e capacità in un contesto protetto, contribuendo così alla loro autonomia e al benessere loro e della comunità.
L’Associazione NoCap, rete internazionale fondata da Xxxx Xxxxxx00, è impegnata nella lotta contro il caporalato attraverso il recupero delle persone sfruttate. È artefice di nuovi progetti di agricoltura in cui vengono rispettati i loro diritti e le corrette condizioni di orario e modalità di lavoro. Insieme a Megamark, un gruppo che gestisce 500 supermercati e circa 30 aziende di produttori nel settore agricolo, ha creato la prima filiera etica, creando un marchio certificato dall’associazione, Iamme, che sottolinei e diffonda il valore etico dei prodotti (Xxxxxx 2019). Sagnet è riuscito, attraverso la
emerge che l’agricoltura sociale favorisce le relazioni sociali, alimenta la motivazione al lavoro e il senso di responsabilità, accrescendo il benessere e la qualità della vita, derivanti da una maggiore autonomia e dall’accrescimento delle competenze nelle abilità individuali. Il lavoro in agricoltura consente di trovare l’attività più adatta all’individuo, in base alle proprie abilità tra vari tipi di mansioni, con conseguente acquisizione di diverse capacità e competenze. Dalla ricerca è inoltre risultato che l’agricoltura ha avuto effetti positivi, in maniera particolare sull’autismo. Per altri tipi di patologie si è rivelato significativo l’uso più ridotto degli psicofarmaci e la diminuzione dei ricoveri. La ricerca ha considerato anche la possibilità di trasferire e applicare questi modelli ad altre categorie di soggetti fragili, come ad esempio gli immigrati.
54 A questo proposito va citata una delle aziende simbolo dell’imprenditoria straniera in agricoltura, la Cooperativa Sociale Barikamà. L’azienda nasce nel 2011 come progetto di micro-reddito che la promuove l’inserimento sociale attraverso la produzione e la vendita di yogurt e ortaggi biologici. Alcuni dei ragazzi africani che lo gestiscono hanno partecipato alle rivolte di Xxxxxxx del 2010 contro il razzismo e lo sfruttamento dei braccianti agricoli.
55 L’attivista camerunense è uno degli organizzatori dello sciopero di Nardò del 2011 per il rispetto dei diritti dei lavoratori. Da questo momento ha preso inizio il processo SABR (dalle iniziali del caporale inquisito) e soprattutto si è arrivati alla prima legge sul caporalato, già ampiamente citata nel paper e il D.D.L. n.2217 sul lavoro nero e contro lo sfruttamento sul lavoro.
costruzione di una rete che vede partecipare privati, associazioni e istituzioni, a individuare un modello che si oppone allo sfruttamento in agricoltura, cercando di contribuire anche a un cambiamento civico e culturale: le persone, in questo caso consumatori, si avvicinano all’acquisto del prodotto che ha rispetto dell’uomo e dell’ambiente.
Analoghi progetti sono diffusi nel nostro Paese in zone a vocazione agricola dove si registra una presenza corposa di immigrati. Questi progetti stanno a dimostrare che esiste una sacca di accoglienza in agricoltura, in cui far confluire le persone intercettate dal caporalato.
Esistono numerose esperienze sul territorio nazionale, e nel nostro specifico più prossimo, nella città di Roma, in area urbana e periurbana. Sono molte le aziende e cooperative in cui l’agricoltura viene coniugata con l’inserimento lavorativo dei migranti e che sono caratterizzate dai valori e dagli elementi attraverso i quali è stata descritta finora l’agricoltura sociale56.
Si riscontra che le attività principali che caratterizzano le aziende che si occupano di agricoltura sociale sono l’accoglienza, la formazione, l’integrazione e la sostenibilità. Spesso l’opportunità di creare un’azienda di questo tipo nasce da offerte di terreni in comodato d’uso, donazioni, concessione attraverso bandi di terreni pubblici. Di frequente l’idea di partenza è di sottrarre i terreni all’abbandono e al degrado (si pensi anche ai terreni sottratti alla malavita organizzata), in cui si crea un luogo di incontri generativi, dove vengono offerti spazi sia per la comunità locale che per le persone con più difficoltà.
Attraverso la rete, che generalmente si forma dal basso, queste associazioni riescono a unirsi per far nascere progetti formativi in agricoltura sociale, con l’obiettivo di fornire ai beneficiari un periodo di orientamento, formazione e tirocinio, nel quale vengono accompagnati in un contesto multifunzionale offerto da un’azienda agricola per approfondire la conoscenza delle risorse, competenze e attitudini in contesti produttivi diversificati.
Quelli che vengono sviluppati sembrano essere progetti esportabili, sostenibili e replicabili. Appaiono modelli d’intervento innovativo attraverso i quali si prevedono percorsi di agricoltura sociale in rete, in cui vengono coinvolte realtà di ambiti diversi (agricolo, pubblico e Terzo settore), che mantengono la loro identità ma non creano ibridazione nella loro collaborazione e nella loro sinergia57.
In conclusione, l’agricoltura sociale sembra poter rappresentare una efficace proposta di approccio multifunzionale all’agricoltura, un’applicazione sul territorio in cui permangono valori come l’integrazione socio-lavorativa e la sostenibilità economica, sociale e ambientale.
56 Le aziende prese in considerazione nella fase iniziale sono state: Xxxxxxxxx 00, Xxxx Xxxxxxxxxx 634, Kairos, PID, Agricoltura Capodarco.
57 Questi sono alcuni esempi di progetti: Campi Ri-Aperti, in collaborazione con Casa Scalabrini e Agenzia scalabriniana per la cooperazione allo sviluppo (ASCS), rivolto a rifugiati e a richiedenti asilo; Fattorie Migranti del Pronto intervento disagio (PID), che ha lo scopo di reinserire nel mondo del lavoro, attraverso l’agricoltura sociale, ex-detenuti e migranti; AgriSocial Network di Agricoltura Capodarco, il cui intento è interconnettere le esperienze esistenti e sperimentare modelli di inserimento lavorativo in agricoltura per soggetti svantaggiati, con particolare riferimento ai migranti, mediante percorsi formativi e di orientamento al lavoro.
CONCLUSIONI
La produzione agricola, in Italia come in gran parte dei Paesi produttori, appare egemonizzata da modelli di tipo industriale, per loro stessa natura omologanti, ispirati da logiche tipicamente commerciali, insensibili anche a irrazionali e eticamente inaccettabili accumulazioni di eccedenze alimentari; modelli funzionali a logiche di filiera che da un lato risultano fortemente penetrati dall’uso, non sempre e non del tutto controllato, di tecnologie chimiche e genetiche e dall’altro ricorrono a una manodopera mercificata, spesso ridotta in condizioni di paraschiavismo, trovando implicita legittimazione, culturale e talora politica, nel perseguire lo scopo di garantire rifornimenti di scala. Xxxxxxx produttivi inseriti dentro processi legati all’interconnessione planetaria, che si avvantaggiano dei flussi migratori, giocando peraltro un ruolo tutt’altro che secondario nel modificare le geografie umane e sociali dei territori e contribuendo ad acuire contraddizioni e diseguaglianze: cambiamenti che Xxxxxxxxxx Xxxxxxxxx (2008, 22), con lo sguardo rivolto alla sua terra, la Puglia, ebbe modo di indicare come “la più grande ‘rivoluzione’ antropologica del Mezzogiorno rurale negli ultimi vent’anni”.
Quello che le cronache e le testimonianze riportano sulle condizioni di vera e propria coercizione fisica e morale a cui sono sottoposti molti immigrati stranieri impiegati in agricoltura, soprattutto nell’Italia meridionale ma non solo, rappresenta dunque la conseguenza drammaticamente concreta e viva di questi sistemi di cui abbiamo cercato di tratteggiare le caratteristiche e individuare le logiche sottostanti.
Un quadro estremamente critico, dove lo sfruttamento lavorativo è solo un aspetto della condizione più generale che potremmo definire di vero e proprio apartheid, che va a definire interi territori (OXFAM 2018): laddove accanto ai campi delle monoculture imposte dalle multinazionali e comunque lontano dai centri abitati, i nuovi schiavi se non trovano precaria sistemazione presso casolari fatiscenti abbandonati nelle campagne, si ritrovano dentro ghetti rurali, concentrati in baraccopoli più o meno grandi, dove alle scarse condizioni igieniche, alla mancanza di acqua e soprattutto di quella potabile, all’insufficienza e alla infima qualità del cibo, il degrado si traduce in episodi di violenza, come i frequenti accoltellamenti e gli abusi sessuali.
Contesti nei quali gerarchie di caporali a capo di filiere di reclutamento transnazionali gestiscono finanche i trasporti, arrivando ad imporre addirittura il pizzo per gli spostamenti da e verso i campi e, mediante la sponda di mafie locali, trovano condizioni ideali per introdurre attività criminali come lo spaccio di droga, lo sfruttamento della prostituzione, fino alla somministrazione abusiva di prodotti alimentari.
Quanto questa condizione già miserevole faccia aumentare, in questo periodo, il rischio di contagio dovuto alla diffusione della pandemia da Covid-19, è poi facilmente immaginabile.
Xxxxxxxxxxx dire quanto questo possa ritenersi compatibile con uno stato che si vuole di diritto e altrettanto intuibili sono i nefasti riflessi culturali, ma anche economici e sociali, che queste situazioni propagano sulle intere comunità locali. Altrettanto riconoscibili possono essere le ragioni profonde a cui imputare questo stato di cose, che affondano le radici nei gangli stessi della società e dei suoi recessi,
nei ritardi socio-economici di alcune aree contese allo Stato dalle organizzazioni mafiose, nelle logiche fredde di economie dilatate e distanti e soprattutto nella gestione dell’immigrazione, nelle mancate strategie di integrazione davanti ai flussi migratori che trasformavano il nostro Paese in paese di immigrazione, nell’assenza di visione, dunque di coerenza e sistematicità dell’azione politica, spesso discontinua e frammentaria.
Ma la debolezza della politica nazionale sconta anche il fatto di doversi confrontare con fenomeni e processi che si originano e si alimentano dagli squilibri profondi e costanti tra economia, società e politica, propri della globalizzazione e i limiti degli strumenti della politica nazionale non sono solo endogeni: a fronte di un’economia definitivamente globalizzata, caratterizzata dall’interdipendenza dei fattori produttivi, le istituzioni politiche nazionali mantengono una dimensione locale e le istituzioni internazionali, non equiparabili a istituzioni statuali, non sono attrezzate per un controllo democratico dei mercati.
In questo quadro i governi nazionali si sono mostrati a lungo più condizionabili dalle istanze di contenimento dei costi e la strategia di lungo periodo è stata quella di consentire la liberalizzazione dei mercati del lavoro e una maggiore flessibilità delle condizioni di lavoro, senza che questo peraltro incidesse in modo significativo nel ridurre il lavoro sommerso e quelle logiche di sfruttamento, non solo lavorativo, che in un settore esposto come quello agricolo hanno trovato nei flussi migratori addirittura un fattore di incremento.
Queste premesse non possono non spingere verso una riflessione profonda e complessiva sul modello di produzione agricola e sulle modalità di fare agricoltura, perché solo attraverso un vero e proprio cambio di paradigma sarebbe possibile ridimensionare il peso specifico delle mere logiche di profitto.
In questo senso una diversa consapevolezza sembra orientare l’azione politica più recente che, anche grazie all’influenza degli approcci comunitari, va sempre più riconoscendo un ruolo centrale ai dispositivi di tutela della qualità e dell’eticità della produzione agricola, come veri e propri strumenti di intervento, in grado di condizionare il mercato.
Se il mercato e le sue razionalità intrinseche appaiono sostanzialmente impermeabili alle politiche tradizionali per i motivi che abbiamo esposto, allora è dentro le sue stesse logiche che evidentemente vanno ricercati gli strumenti di cambiamento.
Negli ultimi decenni, all’interno del mondo agricolo si sono innescati importanti mutamenti che spingono verso una visione multifunzionale dell’agricoltura, che ha trovato definitivo riconoscimento nell’approvazione dell’Agenda 2000 e nella riforma della Politica agricola comune (PAC). In questa nuova dimensione all’agricoltura, oltre alla funzione di produzione, vengono assegnati ulteriori scopi, come la conservazione del paesaggio, la qualità e la sicurezza dei prodotti alimentari, un contributo alla tutela dell’ambiente e della biodiversità, l’avvio di un’agricoltura sostenibile. In questo stesso alveo, la diffusione di quelle esperienze di agricoltura sociale dirette a favorire l’inclusione e l’integrazione di persone immigrate che vivono una condizione di debolezza personale e sociale, può rappresentare una tappa importante di quel cammino verso la creazione di un modello alternativo e innovativo alle logiche di sfruttamento.
Se l’agricoltura nel nostro Paese rappresenta da sempre un fattore preponderante nello sviluppo delle aree rurali, plasmandone il tessuto sociale, oltre che produttivo e paesaggistico, contribuendo ad accrescere il capitale sociale e ad agevolare le reti relazionali sul territorio, allora l’agricoltura sociale può dispiegare appieno la sua funzione, contribuendo ‘dal basso’ a mitigare le contraddizioni sociali e le diseguaglianze e ad accompagnare i processi di integrazione di quegli stessi immigrati a cui non possiamo guardare più come a una semplice forza lavoro e neanche come a una parte integrante della società, ma come alla nostra stessa società.
Allora la sfida diventa cruciale e qui entra in gioco la politica e la sua capacità di leggere la realtà e di trasformarla: l’agricoltura sociale può ergersi a modello alternativo di produzione agricola solo se esiste e si sviluppa un mercato disposto ad alimentarla e dunque una quota sempre più estesa di consumatori disposti ad approdare a un consumo critico.
Questa strada pretende che la politica innalzi a sistema anche le leve di tipo culturale, intervenendo sinergicamente sul versante dell’offerta ma anche su quello della domanda dei prodotti agricoli, puntando su due parole chiave: consapevolezza e responsabilità.
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