INDICE
INDICE
(in grigio le sezioni che non fanno parte del corso)
3. ORGANIZZAZIONE DELLE AZIENDE 2
3.1. ORGANIZZAZIONE - LE BASI TEORICHE 2
3.1.1. Definizioni 2
3.1.2. Contributi teorici 2
3.2. LE FORME SOCIETARIE NEL NOSTRO ORDINAMENTO GIURIDICO 3
3.2.1. IL CONTRATTO DI SOCIETÀ 3
3.2.2. Tipi di società 3
3.2.3. Società di persone 3
3.2.4. SOCIETÀ DI CAPITALI 4
3.2.5. Gli organi societari 6
3.2.6. Insider trading 7
3.2.7. Leveraged buyout 7
3.2.8. OFFERTA PUBBLICA DI VENDITA (OPV) 8
3.2.9. OFFERTA PUBBLICA DI ACQUISTO (OPA) 8
3.3. L’ORGANIZZAZIONE DI GOVERNO DELLE AZIENDE 8
3.3.1. L’organizzazione del vertice: la corporate governance 8
3.3.2. LE PARTECIPAZIONI 9
3.4 LA STRUTTURA ORGANIZZATIVA 9
3.4.1 L’organigramma aziendale 9
3.4.2 Come si compone un’organizzazione 10
3.5 STRUTTURE ORGANIZZATIVE TRADIZIONALI 10
3.5.1 La struttura gerarchica 10
3.5.2 La struttura gerarchica funzionale 10
3.5.3 La struttura gerarchica divisionale 11
3.5.4 La struttura gerarchica a matrice 11
3.5.5 Strutture di supporto 12
3.6 LE SFIDE ALLE ORGANIZZAZIONI TRADIZIONALI 13
3.6.1 La sfida della qualità: la TOTAL QUALITY 13
3.6.2 La sfida delle relazioni efficaci con i fornitori: il JUST IN TIME 14
3.6.3 La sfida del tempo: il TIME TO MARKET 15
3.6.4 Dalle gerarchie ai processi - il BPR (Business Process Reengineering) 16
3.7 STRUTTURE ORGANIZZATIVE INNOVATIVE 17
3.7.1 Struttura per processi 17
3.7.2 Struttura a matrice per processi 17
3.8 LA CRESCITA DEL FATTORE CONOSCENZA 18
3.8.1 La sfida dell’azienda globale: l’azienda rete 18
3.8.2 La knowledge governance: la rete di aziende 18
3.9 LA VISIONE OLONICA 20
3.9.1 LE ORGANIZZAZIONI OLONICHE 20
3.10 I SISTEMI, LE PROCEDURE, I PROCESSI, LA CULTURA 21
3.10.1 I sistemi, le procedure, i processi 21
3.10.2 La cultura 21
3.10.3 UN ESEMPIO: ACCENTURE (EX ANDERSEN CONSULTING) 22
3.10.4 Un esempio: General Electric 23
3. ORGANIZZAZIONE DELLE AZIENDE
3.1. ORGANIZZAZIONE - LE BASI TEORICHE
Al fine di fornire una prima chiave di lettura degli argomenti trattati in questo capitolo, esaminiamo le definizioni e i principali contributi teorici che sono alla base dei concetti di organizzazione e motivazione degli individui.
3.1.1. Definizioni
Organizzazione
Parola di etimo greco (organon: strumento, organo fisico; ergon: lavoro, opera) che indica:
• un’attività finalizzata svolta da più parti di un insieme coordinato,
• un insieme di persone organizzate.
Motivazione
Processo complesso di forze che attivano, dirigono e sostengono il comportamento (Avallone - 1994)
• Motivazione al lavoro = Insieme delle variabili in grado di spingere l’individuo ad attivare energie psicofisiche nell’attività professionale ed a persistere in tale impegno.
• Comportamento = f (personalità, abilità, motivazione).
3.1.2. Contributi teorici
Maslow (1954) - Scala dei bisogni
Secondo Maslow le motivazioni di un individuo si sviluppano in sequenza secondo una gerarchia di livelli (a salire da 1 a 5) che passano dalla soddisfazione dei primari bisogni fisiologici, della sicurezza e della socialità (bisogni di livello inferiore) per arrivare alla stima e alla realizzazione delle proprie potenzialità o autorealizzazione (bisogni di livello superiore).
Hezberg (1957) - Ricerca di: motivazione - igiene
Secondo Hezberg gli individui possono essere classificati secondo gli obiettivi che si pongono. Possono quindi essere:
• Ricercatori di motivazione, sensibili soprattutto alla soddisfazione che deriva dal lavoro e alla crescita psicologica.
• Ricercatori di igiene, sensibili solo a incentivi esterni al lavoro, es. ambiente, paga.
La tabella riporta sinteticamente le classificazioni dei due studiosi
N. | Livelli di motivazione | Descrizione | Bisogno | Ricerca di |
5 | Autorealizzazione | Attuazione delle proprie potenzialità | superiore | motivazione |
4 | Stima | Fiducia in se stessi, indipendenza, realizzazione, riconoscimento, rispetto | superiore | motivazione |
3 | Socialità | Affetto, amicizia, accettazione da parte del gruppo | inferiore | igiene |
2 | Sicurezza fisica (a) e psicologica (b) | (a) Protezione da pericoli / minacce (b) Sicurezza del lavoro | inferiore | igiene |
1 | Fisiologici | Fame sete, riposo, spazio, igiene | inferiore | igiene |
McClelland (1961) - Bisogno di: successo - affiliazione - potere
Secondo McClelland motivazioni e obiettivi delle persone sono strettamente legati alle seguenti tre categorie di bisogni:
• Bisogno di successo: solo chi è fortemente motivato dal successo può avere soddisfazione dal proprio lavoro e può realizzarsi.
• Bisogno di affiliazione: chi ha bisogno di affiliazione ha come priorità quella di essere accettato dagli altri e mette in secondo piano gli obiettivi aziendali.
• Bisogno di potere: chi è motivato dal potere ha come obiettivo quello di influenzare il comportamento degli altri e, in genere, il proprio interesse è preponderante rispetto a quello dell’azienda.
Skinner - Teoria del rinforzo
Secondo Skinner i comportamenti di un individuo possono essere il risultato di una reazione automatica e passiva agli stimoli ambientali o costituire un intervento attivo volto a modificare l’ambiente.
I comportamenti attivi, che Skinner definisce “operanti” perché operano sull’ambiente e generano delle conseguenze, sono soggetti ai “condizionamenti attivi” (che influenzano il comportamento attraverso rinforzi positivi o negativi).
Rinforzo: stimolo o evento che produce un aumento nella probabilità di comparsa della risposta che lo ha preceduto.
3.2. LE FORME SOCIETARIE NEL NOSTRO ORDINAMENTO GIURIDICO1
3.2.1. Il contratto di società
L’articolo 2247 del Codice Civile recita: “con il contratto di società due o più persone conferiscono beni o servizi per l’esercizio in comune di un’attività economica allo scopo di dividerne gli utili”.
Il contratto di società è quindi un contratto con comunione di scopo, vale a dire tutti i contraenti perseguono un obiettivo comune, quello di generare un utile; a differenza del contratto di scambio in cui il venditore ed il compratore perseguono fini diversi.
Lo scopo finale della società è il perseguimento dell’utile; lo scopo strumentale, detto oggetto sociale, è lo svolgimento di un’attività economica sia industriale sia commerciale, strumentale al conseguimento dell’utile.
Chi sottoscrive il contratto di società diventa SOCIO con il diritto di partecipare all’attività sociale che consiste nel:
- ricevere una parte degli utili distribuiti
- partecipare all’amministrazione della società
- ricevere una quota parte del patrimonio allo scioglimento della società
3.2.2. Tipi di società
Ci sono vari tipi di società:
• In base al grado di responsabilità vale a dire a chi risponde e di che cosa, ci sono le:
- società di persone in cui i soci hanno una responsabilità illimitata e solidale;
- società di capitali in cui soci hanno una responsabilità limitata al solo capitale sociale sottoscritto.
• In base all’oggetto, vale a dire a che cosa fanno, ci sono:
- società commerciali che esercitano le attività previste dall’art. 2195 del codice civile quali: attività industriale diretta alla produzione di beni o servizi, attività intermediaria nella circolazione dei beni, attività di trasporto per terra, per acqua o per aria, attività bancaria ed altre attività ausiliarie alle precedenti.
- società non commerciali che esercitano attività economiche non commerciali, come ad esempio le attività agricole e le attività professionali.
3.2.3. Società di persone
Le società di persone si caratterizzano per la responsabilità dei soci:
- illimitata, vale a dire i soci sono responsabili, non solo con la loro quota azionaria, ma anche con tutto il loro patrimonio personale
- solidale, vale a dire ciascun socio risponde della sua parte di debito e della parte di debito non pagata dagli altri soci
In queste società la qualità dei singoli soci (competenza, abilità, onestà, capacità personali e professionali) è molto importante perchè è come se uno si portasse in casa i propri soci.
Le società di persone si distinguono in:
- società semplice (S.s.)
- società in nome collettivo (S.n.c.)
1 Franco Di Sabato “Manuale delle società” UTET
- società in accomandita semplice (S.a.s.)
Le società di persone non hanno personalità giuridica, vale a dire non sono riconosciute come soggetti giuridici, mentre lo sono i singoli soci, fiscalmente sono neutre perchè lo Stato intrattiene rapporti direttamente con i singoli soci.
Si riconoscono dalla loro ragione sociale costituita dal nome di uno o più soci, da un eventuale loro nome e dall’indicazione del rapporto sociale (S.n.c. - S.s. - S.a.s.), ad es. Bianchi & Rossi S.a.s. oppure Bianche & Neri lavanderia ecologica S.n.c.
3.2.3.1 società semplice (s.s.)
La società semplice non può esercitare attività commerciale ma solo attività agricole, professionali, di gestione di patrimoni immobiliari. Il potere di amministrazione e quello di rappresentanza spettano a tutti i soci disgiuntamente, salvo che il contratto societario non preveda diversamente.
Nella pratica per lo più la gestione ordinaria è disgiunta, mentre la gestione straordinaria è svolta congiuntamente.
3.2.3.2 società in nome collettivo (s.n.c.)
La società in nome collettivo può esercitare sia l’attività commerciale sia quella non commerciale.
L’atto costitutivo deve contenere: la ragione sociale es. “ tutto per la pesca”; l’indicazione dei soci e dei loro conferimenti, es. Tizio: tot milioni, Caio: il negozio per la vendita, Sempronio: il magazzino per le merci, Meio: il furgone per i trasporti; l’oggetto o scopo della società e la sua durata; la sede.
3.2.3.3 società in accomandita semplice (s.a.s. di tizio)
La principale caratteristica della società in accomandita semplice è che ci sono due categorie di soci: gli accomandanti e gli accomandatari.
• Gli accomandanti hanno una responsabilità limitata al solo capitale versato, ma non hanno poteri di amministrazione e di rappresentanza; normalmente apportano il capitale.
• Gli accomandatari hanno responsabilità illimitata e solidale ed apportano le competenze tecniche richieste per lo svolgimento delle attività, una parte del capitale ed il lavoro.
3.2.4. Società di capitali
Sono di tre tipi: società a responsabilità limitata - Srl; società in accomandita per azioni - Sapa; società per azioni - Spa. Le società di capitali hanno personalità giuridica, ad esempio per lo Stato sono soggetti distinti dai soci e sono soggetti fiscali, vale a dire fanno la dichiarazione dei redditi.
Le società di capitali si identificano con la denominazione sociale, composta da un nome e dalla indicazione del rapporto sociale (ad esempio Fiat Spa o Meccanica Riesi Srl).
Nelle società di capitali i beni conferiti hanno maggiore rilevanza delle qualità personali dei soci, che possono o no lavorare nella società; è più facile cedere le quote del capitale, azioni nelle S.p.A., che non nelle società di persone; i creditori possono rivalersi solo sul patrimonio aziendale e non su quello dei soci; l’amministrazione può spettare sia a soci sia a non soci.
3.2.4.1 società a responsabilità limitata (s.r.l.)
La Srl è soggetta alla stessa disciplina delle Spa, solo che le quote sociali non sono rappresentate da azioni, ma da parti sociali es. 5% del capitale. Le quote sono liberamente cedibili.
La Srl è un ponte tra le società di persone e le Spa; infatti l’elemento umano è ancora importante, ma la responsabilità è limitata al solo capitale; sono tipiche delle società medie che poi, con la crescita, si trasformeranno in Spa. Il capitale minimo è di 20 milioni di lire (10.329 euro).
3.2.4.2 società in accomandita per azioni (s.a.p.a.)
E’ una figura giuridica prevista dal codice, ma mai attuata nella realtà italiana; teoricamente, fonde le caratteristiche della accomandita con quelle della S.p.A.: responsabilità limitata, soci accomandatari amministratori e illimitatamente responsabili degli obblighi sociali.
3.2.4.3 società per azioni (s.p.a.)
La società per azioni è una persona giuridica che esercita un’attività d’impresa utilizzando il capitale conferito dai soci, rappresentato da azioni o quote azionarie aventi uguale valore: ogni azione dà diritto ad un voto, chi acquista più azioni ha diritto a più voti.
L’azione è un titolo nominativo che riporta il valore nominale, vale a dire la quota parte del capitale sociale ottenuta dividendo il valore del capitale sociale per il numero delle azioni emesse, e dà diritto al voto nelle assemblee ed alla distribuzione del dividendo.
Le azioni possono essere ordinarie o privilegiate, perché hanno priorità nella assegnazione dei dividendi, ma minori diritti nelle assemblee societarie, o di risparmio, fatte per incentivare i piccoli risparmiatori, le sole che possono essere al portatore.
La Spa ha una denominazione sociale, una sede, uno scopo ed un termine di durata; ha un capitale sociale non inferiore a 200 milioni di lire (103.291 euro); ha responsabilità limitata al solo capitale sociale.
L’organo deliberante è l’assemblea dei soci, l’organo amministrativo è il consiglio di amministrazione e l’organo di controllo sono i sindaci. Le Spa sono la parte più consistente dell’economia capitalistica.
Sono soggette alla regolamentazione della CONSOB (Commissione Nazionale per le Società e la Borsa), l’autorità preposta al controllo della borsa, che emette norme specifiche per la trasparenza del mercato.
Quelle quotate in borsa sono soggette alla certificazione del bilancio da parte delle società di revisione, che certificano la regolare tenuta della contabilità e la correttezza del bilancio.
Le azioni possono essere commercializzate alla Borsa Valori.
Come già accennato le società per azioni sono le più importanti per l’economia.
Vediamo di approfondire alcune tematiche che sono spesso all’ordine del giorno nella realtà economica.
3.2.4.3.1 Azioni ordinarie
Danno luogo a due tipi di diritti fondamentali: quelli amministrativi e quelli patrimoniali
• I diritti amministrativi sono:
- diritto di partecipare all’assemblea degli azionisti ;
- diritto di voto ;
- diritto di impugnativa delle delibere assembleari ritenute non conformi alla legge o all’atto costitutivo, che il socio può esercitare solo se era assente all’assemblea o dissenziente dalla deliberazione,
- diritto di esaminare il libro dei soci e il libro delle adunanze e delle deliberazioni delle assemblee, ecc.
• I diritti patrimoniali consistono nel:
- diritto agli utili,
- diritto alla quota di liquidazione.
Altri diritti sono:
- diritto all’assegnazione di azioni in caso di aumento gratuito del capitale,
- diritto di opzione in caso di aumento a pagamento,
- diritto di recesso.
3.2.4.3.2 Categorie speciali di azioni2
Sono fornite di diritti diversi da quelli delle azioni ordinarie. Possono essere create con lo statuto o con sue successive modifiche. Se le deliberazioni dell’assemblea generale pregiudicano i diritti di una categoria di azioni devono essere approvate anche dall’assemblea speciale della categoria di azioni interessata.
In base alla riforma del 2003 tutte le società possono emettere azioni senza diritto di voto e con diritto di voto, limitato a particolari argomenti o subordinato al verificarsi di particolari condizioni.
Sono scomparse le azioni privilegiate con voto limitato alle sole assemblee straordinarie.
2 Manuale di Diritto Commerciale - Gian Franco Campobasso - UTET Giuridica - 2005
Azioni privilegiate
Attribuiscono ai loro titolari diritti di preferenza nella distribuzione degli utili e/o nel rimborso del capitale al momento dello scioglimento della società. La riforma non fornisce comunque alcuna indicazione per quanto riguarda la natura e l’entità del privilegio.
Azioni correlate
Sono fornite di diritti patrimoniali correlati ai risultati dell’attività sociale di un determinato settore.
Azioni di risparmio (al portatore)
Possono essere emesse solo da società quotate in Borsa. Non possono superare, insieme con le azioni a voto limitato, la metà del capitale sociale. Sono prive del diritto di voto. La riforma ha cancellato i privilegi della L. 216/1974 e prevede diritti patrimoniali modellati in relazione alle esigenze del mercato.
Sono le uniche azioni che possono essere emesse al portatore, condizione che, assicurando l’anonimato costituisce un incentivo alla sottoscrizione.
3.2.4.3.3 Obbligazioni
Le società per azioni possono emettere delle obbligazioni per finanziarsi. Le obbligazioni sono dei titoli di credito con cui il sottoscrittore versa una somma alla società e riceve un documento che rappresenta il diritto al pagamento, a una data scadenza, della medesima somma o alle volte di una somma lievemente maggiore (il premio di emissione) e di interessi a scadenze intermedie, solitamente riscuotibili mediante cedole allegate al documento.
Le società per azioni non possono emettere obbligazioni per un importo superiore al capitale versato.
Una categoria particolare di obbligazioni appetibile dal mercato sono le obbligazioni convertibili in azioni che attribuiscono al possessore il diritto di ottenere il rimborso del prestito oppure, a sua scelta, di sottoscrivere azioni della società in base ad un rapporto di cambio; ciò gli consente di valutare la convenienza a divenire azionista in funzione dell’evoluzione del mercato azionario, dell’inflazione e all’andamento dell’impresa sociale.
3.2.5. Gli organi societari
L’assemblea è l’organo sovrano della società, cui è demandata la funzione deliberativa che toccherà agli amministratori di realizzare.
In effetti l’assemblea è sovrana solo nel senso che i soci hanno il potere di mutare l’atto costitutivo, di nominare e di revocare gli amministratori ed i sindaci, ma non possono intervenire nella gestione quotidiana se non per l’approvazione a posteriori del bilancio.
• L’assemblea ordinaria approva il bilancio, nomina amministratori, sindaci e presidente del collegio sindacale, determina il compenso degli amministratori, delibera sull’acquisto di azioni proprie, sulla nomina della società di certificazione, sulla revoca degli amministratori.
• L’assemblea straordinaria delibera, a maggioranza del capitale, sulle modifiche all’atto costitutivo, sull’emissione di obbligazioni, sulla nomina e sui poteri dei liquidatori.
Chi convoca l’assemblea ordinaria?
- gli amministratori, quando lo vogliono e, in ogni caso, una volta l’anno per l’approvazione del bilancio e quando dovesse venire meno, per perdite, un terzo del capitale, ecc.;
- il collegio sindacale, quando gli amministratori non hanno provveduto o sono venuti meno o lo ha richiesto un quinto degli azionisti;
- il presidente del tribunale, se non ha provveduto il collegio sindacale, ecc.
Una frequente forma di controllo si viene a creare con la costituzione di un patto di sindacato degli azionisti, cioè quando un gruppo di azionisti si costituisce in sindacato per realizzare una specifica linea di azione. Essi, riunendosi, formano una maggioranza relativa che s’impone agli altri azionisti e mira a governare l’azienda, nominando gli amministratori di propria fiducia e dando così stabilità e linearità di indirizzo alla gestione aziendale.
Gli amministratori sono l’organo al quale è demandata la gestione sociale: essi hanno una competenza esclusiva ed esiste il divieto dell’assemblea di ingerirsi nella gestione. Essi sono nominati dall’assemblea per un periodo non superiore ai tre anni, ma sono rieleggibili.
L’amministrazione può essere affidata ad un unico amministratore o a più amministratori che, in tal caso, formano il consiglio di amministrazione cui compete, collegialmente, l’amministrazione della società. Il consiglio può, a sua volta, dare delle deleghe ad un singolo consigliere, amministratore delegato, o ad un numero limitato di consiglieri che costituiscono il comitato esecutivo. Le tre figure possono esistere contemporaneamente nei casi di grandi società dove la complessità della gestione richiede la partecipazione di una pluralità di competenze.
La rappresentanza legale è attribuita al presidente del consiglio e/o all’amministratore delegato.
I direttori generali sono dirigenti legati alla società, solitamente da un rapporto di lavoro subordinato, e devono eseguire le direttive e le deliberazioni dell’organo amministrativo. Essi svolgono un’attività di alta amministrazione e sono investiti di ampi poteri deliberativi e di rappresentanza. Più precisamente i direttori generali attuano la volontà del consiglio, svolgono attività preparatoria a quella consiliare e hanno poteri di gestione dell’impresa sociale.
Il collegio sindacale è l’organo al quale è demandata, all’interno della società, la funzione di controllo, che è svolta a tutela dei soci, in particolare dei soci di minoranza, ma anche dei terzi. Per questo il legislatore attribuisce ai sindaci una posizione di indipendenza, che dovrebbe assicurare uno svolgimento imparziale delle loro funzioni.
Le funzioni di controllo sono previste dall’art. 2403 del cc. e impongono di:
- controllare l’amministrazione della società,
- vigilare sull’osservanza della legge,
- accertare la regolare tenuta della contabilità sociale, la corrispondenza del bilancio alle risultanze delle scritture contabili,
- accertare trimestralmente la consistenza di cassa e l’esistenza dei valori e dei titoli di proprietà sociale o ricevuti in custodia, pegno o cauzione.
I controlli esterni sono svolti dalla CONSOB (Commissione Nazionale per le Società e la Borsa) che, in particolare, supervisiona il corretto svolgimento delle operazioni di Borsa, assicurando la trasparenza del mercato ed il rispetto delle regole da parte di tutti gli operatori.
Le società di revisione sono invece costituite da professionisti che, avendo acquisito specifiche competenze, certificano i bilanci delle aziende, cioè verificano che siano stati compilati osservando i principi di generale accettazione. Sono singoli professionisti o società di professionisti.
3.2.6. Insider trading
Un argomento frequente sulla stampa economica è l’insider trading. In cosa consiste?
L’obiettivo della trasparenza del mercato azionario si realizza con la parità di informazioni per tutti gli operatori.
E’ quindi vietato l’insider trading, cioè il compimento di attività speculative sui titoli di una società, effettuate da chi dispone di informazioni riservate a motivo della sua posizione all’interno della società stessa.
Chi possono essere gli insiders ?
Gli amministratori, i gestori, i sindaci, gli stessi soci, sia direttamente in proprio, sia indirettamente a mezzo terzi (direttiva della UE).
La legge del 17 maggio 1991 estende il divieto anche alla diffusione di informazioni riservate e di dare consigli a terzi sulla base delle stesse anche a soggetti esterni alla società, come revisori dei conti, ministri, sottosegretari di Stato, funzionari della Banca d’Italia, ecc.
3.2.7. Leveraged buyout
Una operazione frequente sul mercato è il leveraged buyout.
Esso consiste nell’acquisizione da parte di una società, già esistente o costituita appositamente, delle azioni di un’altra società, ottenendo da una banca i fondi in prestito contro la garanzia dei titoli della società acquisenda. In un fase successiva la società acquisita viene fusa nella acquirente e scompare.
Lo scopo è quello di acquisire un’altra società da parte di chi non i soldi per finanziare l’operazione e ricorre al supporto di una banca.
Talvolta l’operazione viene eseguita dai dirigenti della società oggetto di acquisto, magari d’accordo con i vecchi soci che intendono disfarsene, ed allora viene chiamata management buyout.
3.2.8. Offerta pubblica di vendita (OPV)
In tempi recenti abbiamo assistito in Italia ad una importantissima OPV: quella della Telecom.
La OPV di una azienda pubblica è spesso una operazione complessa perché si vogliono perseguire obiettivi diversi:
- incassare soldi da parte del Tesoro,
- creare un nucleo stabile di azionisti tale da evitare il monopolio di un privato, ma anche tale da dare stabilità alla società,
- offrire azioni ai dipendenti a prezzi scontati per incentivarli ai risultati della società o, semplicemente, per dare un premio al fine di facilitare il trapasso dal monopolio pubblico alla società privata,
- evitare speculazioni offrendo un premio del 10% a chi terrà le azioni per almeno un anno.
Nel caso della Telecom si sono incontrate difficoltà, specie nella creazione del nucleo stabile, perchè non si trovavano 10 investitori disponibili ad investire ciascuno 500 miliardi di lire.
3.2.9. Offerta pubblica di acquisto (OPA)
Un altro strumento è l’OPA, offerta pubblica di acquisto. Si ha quando un azionista rende pubblica al mercato, a mezzo stampa, la sua offerta di acquistare ad un prezzo definito (solitamente superiore al prezzo di borsa del momento) azioni per un certo volume al fine di acquisire la maggioranza del capitale ed il controllo della società.
L’alternativa all’OPA è l’acquisto, in via privata, delle azioni da un azionista. L’operazione diventa nota solo quando verrà riportata sul libro soci, visionabile da parte di tutti gli altri soci e, normalmente, viene divulgata in sede di assemblea societaria.
3.3. L’ORGANIZZAZIONE DI GOVERNO DELLE AZIENDE3
3.3.1. L’organizzazione del vertice: la corporate governance
Abbiamo visto come il codice civile disciplina gli organi societari in:
assemblea, teoricamente sovrana, consiglio di amministrazione o amministratore unico o delegato, che ha i veri poteri di gestione e collegio sindacale che esercita il controllo.
Se guardiamo a ciò che avviene nella realtà vediamo come il concetto d’impresa e di governo sia inteso in modo assai diverso nei diversi paesi del mondo.
Nei sistemi economici di più recente formazione, dove l’industrializzazione è giovane e le imprese sono per la maggior parte familiari, prevale la concezione dell’impresa come una proprietà personale, di cui si può disporre in piena libertà, al pari di qualsiasi altro bene materiale. Chi ha il controllo del capitale azionario ha il diritto di governare l’impresa quasi come una monarchia assoluta, relegando gli altri soggetti: dipendenti, banche, fornitori, clienti, a puri interlocutori di mercato, escludendoli dal governo d’impresa.
Nei paesi anglosassoni, di più lunga industrializzazione, l’impresa non è vissuta come un bene di personale e libera disponibilità, ma è ritenuta una comunità: un confluire di soggetti portatori di risorse, accomunati dalla condivisione di un’idea imprenditoriale (vedasi l’Olivetti dei tempi di Adriano Olivetti e l’esperienza collegata di Comunità). Si tratta di una monarchia costituzionale in cui il ruolo primario è svolto dal capitale di rischio, ma gli altri soggetti hanno un ruolo attivo, pur senza confusione di responsabilità finali.
Il sistema di governo delle aziende, chiamato “corporate governance“ nel gergo internazionale, viene vissuto con priorità di valori molto diversi a secondo delle varie culture nel mondo:
Paesi | 1° priorità | 2° priorità | 3° priorità |
Paesi anglosassoni | il capitale di rischio | il capitale di debito | i dipendenti |
Germania | il capitale di debito | i dipendenti | il capitale di rischio |
Giappone | i dipendenti | il capitale di debito | il capitale di rischio |
In Usa prevale il capitalismo puro; in Germania il capitale di rischio è principalmente detenuto dalle banche e nella gestione d’impresa partecipano anche i dipendenti in un consiglio d’amministrazione congiunto: sistema dei due consigli; in Giappone le banche sono azioniste delle trading companies in un intreccio complesso ma comunque con un
3 Philip Sadler “Progettare l’organizzazione” edito da Francoangeli
forte patto che lega i dipendenti alla società di inizio dell’attività lavorativa, azienda cui rimangono legati per tutta la vita e, ovviamente, vale il reciproco.
Venendo all’Italia ci chiediamo: chi comanda nelle imprese?
La risposta è diversificata a seconda dei soggetti: imprese globali o nazionali; imprese familiari; imprese pubbliche.
• Nelle imprese globali, il sistema di comando è simile a quello delle imprese anglosassoni: in testa sta il CEO (chief executive officer) o amministratore delegato, che ha effettivi poteri di governo della gestione, è distinto dalla proprietà ed è scelto in base a criteri professionali (spesso la ricerca è affidata ad una società di cacciatori di teste); l’azionista approva a consuntivo il bilancio e, se esiste una famiglia di riferimento, è consultata nelle grandi scelte strategiche, ma l’autonomia del management è ampia.
• Nelle imprese familiari il potere sta saldamente nelle mani della famiglia ed abbiamo visto come il superamento di questa situazione sia critico per la sopravvivenza dell’azienda.
• Nelle imprese pubbliche è in avvio un progressivo processo di separazione dei ruoli di governo rispetto al ruolo dei politici che con le loro pressioni e le loro necessità hanno inquinato il corretto svolgersi dell’economia.
3.3.2. Le partecipazioni
Una società può acquistare o sottoscrivere azioni di un’altra società. In questo modo acquisisce una partecipazione nell’altra società.
• Si chiama controllante la società che possiede almeno il 50% delle azioni di una seconda società che si chiama controllata, nel senso che il suo comando è nelle mani della prima società, che provvederà a nominare gli amministratori nel consiglio di amministrazione.
• Si chiama collegata una società il cui capitale è posseduto in misura rilevante, ma senza maggioranza, da parte di un’altra società. In questo caso solo alcuni, e non la maggioranza, degli amministratori saranno indicati dalla società che detiene le azioni.
3.3.2.1 Le holding o capogruppo
Nell’organizzazione dei grandi gruppi si distinguono i ruoli delle società operative che producono beni e servizi dalle capogruppo o holding che hanno una prevalente funzione finanziaria di ricerca dei capitali, di gestione del portafoglio dei business, di pianificazione ed approvazione degli investimenti, di scelta sulle diversificazioni e concentrazioni di business, di gestione degli alti managers: le holding o capogruppo detengono una quota di maggioranza delle altre società che sono quindi controllate.
In genere si assiste ad un downsizing delle holding, concepite un tempo con funzioni di rappresentanza e di “ grandeur”, mentre oggi si tende invece a considerare quale partecipazione hanno alla formazione del valore per il cliente, riducendo così la loro presenza fisica in termini di spazi e di lussi spesso marmorei (con qualche residua eccezione nelle banche)ì. Ad esempio, la Fiat ha trasferito il suo quartier generale dal famoso corso Marconi al periferico Lingotto.
Un’altra distinzione è tra holding industriali e holding finanziarie.
Holding industriali
Le holding industriali sono a capo di una struttura complessa di aziende industriali e/o commerciali e svolgono anche, come abbiamo visto, la funzione finanziaria di ricerca di capitali, ma solo quella che è funzionale all’esercizio dell’attività industriale. Un esempio di holding industriale è la Fiat che, a sua volta è suddivisa in subholding, es. Fiat Auto spa, Iveco, ecc. che, a loro volta, sono suddivise in numerose società, ad es. a Fiat Auto spa fanno capo: Fiat France, Fiat Nederland, ecc.
Holding finanziarie
Le holding finanziarie invece sono dedicate esclusivamente all’attività di gestione finanziaria e di partecipazioni societarie.
3.4 LA STRUTTURA ORGANIZZATIVA
3.4.1 L’organigramma aziendale
Se andate a visitare un’azienda e chiedete: “qual’è la vostra organizzazione?” o “come siete organizzati?” vi presenteranno un disegno delle posizioni aziendali, che si chiama organigramma aziendale, con l’indicazione dei nomi di chi presiede ai vari posti di comando.
Esso rappresenta visivamente il risultato di uno studio e di un’analisi approfondita sulle scelta della struttura aziendale.
3.4.2 Come si compone un’organizzazione
Chiediamoci: come posso organizzare un’azienda? quali alternative sono disponibili? come valutarle e come scegliere la più appropriata?
Anzitutto occorre definire come si compone una organizzazione. Tre sono i componenti:
1- la struttura,
2- i sistemi, le procedure, i processi, 3- la cultura.
L’organigramma descrive il primo dei componenti, cioè la struttura.
3.5 STRUTTURE ORGANIZZATIVE TRADIZIONALI
3.5.1 La struttura gerarchica
Una prima forma di struttura è quella gerarchica, con i tipici esempi dell’organizzazione della chiesa cattolica romana e dell’esercito, dove i livelli rappresentano i gradi della gerarchia e le righe le linee secondo cui fluisce il comando in un senso e le informazioni di ritorno nell’altro senso.
Nelle aziende questa è l’organizzazione classica “tradizionale” ancora in essere in numerosi casi reali, in cui la gerarchia è sinonimo di catena di comando o di struttura destinata alla supervisione ed al controllo.
Si usa il concetto di “area di controllo“ per indicare il numero di dipendenti sottoposti ad una posizione collocata al livello immediatamente superiore nella scala aziendale. E’ figlia dell’organizzazione adottata da Mosè.
Ogni livello diventa un passo nella carriera di un manager; ad ogni livello corrisponde uno status particolare. Una struttura con molti livelli si chiamerà “lunga” ed i tempi decisionali e di comunicazione tra i segmenti orizzontali di uno stesso processo si allungheranno; una struttura con pochi livelli si chiamerà “corta” ed avrà maggiori rapidità di decisione e di comunicazione.
Direzione Commerciale
Direzione Produzione
Direzione Sviluppo Prodotto
Amministratore
3.5.2 La struttura gerarchica funzionale
Una seconda forma che si innesta sulla prima, quella gerarchica, è l’organizzazione gerarchica funzionale, dove per funzione s’intende il raggruppamento di competenze simili; ad esempio le competenze finanziarie o amministrative o di gestione del personale. L’organizzazione per funzione tende a valorizzare professionalità comuni o specializzazioni simili; ad esempio un ente sanitario diviso in reparti: medico, infermieristico, amministrativo.
Le funzioni tipiche di un’azienda manifatturiera sono: il marketing, la progettazione, la produzione, gli acquisti, la commercializzazione, l’amministrazione, la finanza, la gestione del personale.
Se il vantaggio consiste nella concentrazione e nella tutela delle specializzazioni, lo svantaggio è nella difficoltà a realizzare una cooperazione trasversale; essa è perciò adottata dalle organizzazioni che non hanno frequenti necessità di innovarsi.
Direzione Commerciale
Direzione Produzione
Direzione
Sviluppo Prodotto
Ufficio
Legale Fiscale
Controller
Amministratore Delegato
3.5.3 La struttura gerarchica divisionale
Una terza forma di organizzazione è quella gerarchica divisionale per prodotto, per mercato, per territorio/area geografica. L’organizzazione per prodotto significa raggruppare dipendenti con competenze e qualifiche diverse in divisioni, cioè in aree di responsabilità comuni, di prodotti o di mercati o di territori particolari, ad esempio: nel retail, tra food e non food; nelle farmaceutiche, tra prodotti etici e prodotti da banco. Il vantaggio è che favorisce il processo di sfruttamento del know how di prodotto.
Amministratore Delegato
L’organizzazione per territorio, come dice il nome, è focalizzata su un’area geografica e viene adottata normalmente nell’organizzazione delle vendite. L’utilità di una struttura di questo tipo è tanto maggiore quanto più sono diversificate le esigenze dei clienti dei diversi prodotti, sempre che queste necessità vengano ritenute importanti.
.......
Produzione
Divisione XX
......
Produzione
Divisione YY
3.5.4 La struttura gerarchica a matrice
Una quarta forma di organizzazione è quella gerarchica a matrice per prodotto, progetto, segmento di mercato che rappresenta un tentativo di ottenere il meglio di entrambi i sistemi: un alto livello di competenza funzionale combinato con una forte concentrazione a livello di prodotto, di progetto e di segmento di mercato, con un elevato livello di collaborazione tra divisioni diverse.
Direzione Commerciale
Direzione Produzione
Direzione Sviluppo Prodotto
Ufficio Legale Fiscale
Controller
Amministratore Delegato
progetto 1 a1 b1 c1
progetto 2 a2 b2 c2
progetto 3 a3 b3 c3
Questa organizzazione si è diffusa negli anni ‘60 e ’70, in quanto sembrava dare risposte positive specie in determinati settori come l’aerospaziale, la ricerca e sviluppo, la cantieristica, dove le aziende, pur conservando l’organizzazione di tipo funzionale, lavorano per progetto.
Essa consiste nell’assegnare delle responsabilità verticali a dei capi funzione (es. progettazione, produzione, vendita ecc.) e delle responsabilità orizzontali a dei capi progetto; i due tipi di capi interagiscono sulle stesse risorse (uffici, reparti, singoli dipendenti) utilizzandole per i propri obiettivi; il vertice aziendale segue la doppia lettura dei risultati, per funzione verticale e per progetto orizzontale.
I sostenitori mettono in luce le opportunità che essa offre di sfuggire ai vincoli dell’organizzazione gerarchica lavorando per gruppi, in cui grado e anzianità contano poco in confronto alle competenze e alle idee. I contrari ritengono il modello costoso, complicato e confuso, con responsabilità poco chiare.
Tra queste differenti forme organizzative qual’è la migliore?
Non esiste in assoluto una struttura modello permanente nel tempo. Negli anni ‘70 si è molto dibattuto tra azienda accentrata (imperativo è il controllo) e l’azienda decentrata (imperativo è l’autonomia) in termini astratti, oscillando tra una impostazione e l’altra, quasi fosse una moda.
La vera soluzione sta nel legare l’organizzazione alla strategia che l’impresa persegue:
• strategia di contenimento dei costi, cioè una strategia di controllo; va meglio una struttura tipica gerarchica che abbia uno spazio di controllo limitato ed un accentramento decisionale;
• strategia di differenziazione, che ricerca un vantaggio competitivo sul servizio al cliente e sul prodotto; va meglio una divisionalizzazione per mercati, perché i gestori sono più vicini ai clienti che devono servire;
• strategia innovativa, basata sulla creatività; va meglio una struttura suddivisa in unità autonome dotate di ampi poteri decisionali.
Il punto importante è che la migliore struttura non è asettica, ma funzionale alla strategia ed alla filosofia di gestione aziendale.
Infine è da evitare l’errore, che si fa spesso, di costruire la struttura in funzione delle qualità e caratteristiche dei managers: è un capovolgere il processo logico. Si deve partire dalle esigenze della strategia, definire la struttura organizzativa e ricercare le persone adatte a quel tipo di organizzazione.
3.5.5 Strutture di supporto
Esistono poi ulteriori forme di supporto alla struttura organizzativa per facilitare un migliore funzionamento della stessa, quali i gruppi di lavoro, i circoli di qualità ed i comitati.
3.5.5.1 I gruppi di lavoro
Sono una modalità di lavoro per cui si costituiscono gruppi temporanei, includendo competenze diverse che vengono istituiti per raggiungere un obiettivo specifico, ad es. una riorganizzazione, il lancio di un prodotto, ecc.
Il partecipante è contemporaneamente membro di un ufficio, al cui capo risponde nelle attività solite, e del gruppo di lavoro dove apporta le sue competenze e risponde al capo gruppo, fin che dura il progetto, poi ritorna a pieno tempo alle sue mansioni.
3.5.5.2 I circoli di qualità
Sono stati importati dal Giappone, per coinvolgere il maggior numero possibile di dipendenti nella ricerca del miglioramento continuo della qualità.
3.5.5.3 I comitati
Hanno una durata permanente e vengono creati per occuparsi di temi che riguardano più divisioni o più funzioni (es. l’ambiente o la qualità o la sicurezza ecc.); si tratta di temi trasversali che interessano tutte o molte unità organizzative
Talvolta i comitati hanno una naturale tendenza alla proliferazione ed alla sopravvivenza che va oltre la loro effettiva utilità, perché sono uno status symbol all’interno dell’azienda “faccio parte del comitato xx“.
Altri limiti sono nel fatto che chi partecipa, spesso non si sgancia dal reparto o dalla funzione di origine di cui si fa portatore di interessi, limitando così l’efficacia del gioco di squadra ed aumentando la conflittualità interna al comitato; oppure sono strumentalizzati dalla gerarchia; servono a dire o stabilire regole che vuole il capo, ma che non vuole emanare di persona, per cui la soluzione è: “lo ha stabilito il comitato”.
Un’ulteriore critica è che sono costosi per i tempi spesi e spesso tendono al rinvio o al compromesso anzichè ricercare la soluzione migliore nei tempi richiesti.
3.6 LE SFIDE ALLE ORGANIZZAZIONI TRADIZIONALI
La globalizzazione dei mercati ha portato più concorrenza, ma anche più apertura a nuove idee, ad una rottura culturale di ogni mondo economico nazionale chiuso in se stesso.
Se gli anni ‘70 sono stati quelli del controllo dei costi, gli ‘80 quelli della qualità, gli anni ‘90 sono stati gli anni della innovazione, sia di prodotto, sia organizzativa.
Le prime sfide alle quali le aziende sono state chiamate a rispondere sono state quelle:
• della qualità: la total quality;
• del tempo: il time to market.
• delle relazioni efficaci con i fornitori: il just in time;
Queste sollecitazioni hanno portato ad affrontare con tecniche via, via più sofisticate un tema cruciale, quello:
• della reingegnerizzazione dei processi: il Business Process Reengineering.
La grande rivoluzione nel mondo della comunicazione e l’enorme crescita della conoscenza ha poi portato le sfide:
• dell’azienda globale: l’azienda rete;
• della crescita della conoscenza: la rete di aziende
Le sfide hanno avuto origine in punti diversi: alcune in Giappone come la total quality, il time to market ed il just in time; altre in USA come l’azienda rete e la reingegnerizzazione dei processi.
La risposta italiana è stata varia, con una buona accettazione della qualità totale (ormai adottata da molte aziende sia grandi sia PMI, che ne hanno fatto un cavallo di battaglia), del just in time e del time to market; mentre ancora molto c’è da fare nella reingegnerizzazione dei processi, specie nelle aziende sanitarie e nella pubblica amministrazione.
3.6.1 La sfida della qualità: la total quality
Nel 1980 gli americani scoprirono con stupore che il più prestigioso riconoscimento alla qualità in Giappone era stato assegnato a due americani: Deming e Juran che avevano lavorato con le aziende giapponesi negli anni ‘50 e successivi, aiutandole a modificare radicalmente i loro standard di qualità. E’ noto come negli anni ‘60 i giapponesi fossero competitivi sul prezzo, ma pessimi sulla qualità: ci si può immaginare lo stupore degli americani che vivono perennemente in termini conflittuali il rapporto con i giapponesi. L’intervento di Deming e di Juran si basava su una combinazione di filosofia e di tecniche analitiche (p. es.: controlli statistici di qualità).
Negli anni ‘80 gli americani adottarono gli stessi approcci e conseguirono risultati significativi, ma con un impatto limitato sulla competitività perché a quell’epoca gli sforzi erano diretti prevalentemente a miglioramenti tecnici e non ci si curava delle percezioni e delle aspettative dei clienti.
Un esempio di questa concezione è stato rappresentato dall’approccio sistematico agli standard di qualità come l’ISO 9000 emessi dall’International Standard Institute, poi evoluti negli standard Vision 2000 e richiesti da molte amministrazioni pubbliche.
Questo approccio è stato oggetto di critiche perché è molto formale e basato sulle definizioni interne di qualità, anziché su quelle percepite dai clienti. La filosofia dei sostenitori degli standard ISO è che comunque la forma impone alla lunga anche un adeguamento della sostanza.
Fu il famoso progetto PIMS (Profitability Impact of Marketing Strategy) riferito a 400 aziende, che dimostrò l’importanza della qualità percepita dai clienti.
Infatti la redditività era del 32% per le aziende che si trovavano nel 25% superiore della scala di importanza della qualità percepita e del 14% per le aziende che si trovavano nel 40% inferiore della scala.
In altre parole occorreva spostare l’ottica dal prodotto al servizio, perché pagante in termini di redditività.
Nasce così l’azienda orientata al cliente, cioè un’impresa che definisce la qualità in termini di soddisfazione misurabile dal cliente invece di conformità alle specifiche di prodotto.
E’ evidente che le aziende organizzate per mercato o per area geografica sono quelle che più probabilmente si orienteranno al cliente. Ad esempio l’Unilever nel campo dei detersivi, a causa di una frammentazione dei mercati locali, si è organizzata per costruire delle aziende locali forti, sensibili alle condizioni particolari dei mercati nazionali e libere di operare con bassa interferenza da parte del centro.
Viceversa la Kao che basava la sua forza su grandi produzioni di massa centralizzate, su una sola unità di R&S e con un marketing che vedeva un unico mercato indifferenziato, ha avuto risultati meno brillanti.
Il raggiungimento dei livelli di qualità desiderati sono perseguiti con una attività coinvolgente il maggior numero di persone in azienda mediante la costituzione di circoli di qualità.
L’obiettivo è quello di coinvolgere nel processo di miglioramento anche quelli che, e sono la maggior parte in una industria, non hanno rapporti diretti con i clienti. I circoli devono preparare dei suggerimenti di miglioramento da presentare ad un apposito comitato che decide e che dà i riconoscimenti nei casi di merito.
Il metodo è stato anche ampiamente adottato in Italia, fece notizia sui giornali l’A.D. della Fiat che annunciò l’adozione della filosofia della total quality in una riunione di 1000 dirigenti del gruppo, chiamandoli all’azione ed alla partecipazione. La novità in genere può piacere all’inizio perché è un diversivo, ma poi si hanno spesso cadute di interesse perché è difficile tenere alta la tensione nel tempo e perché alle volte si commettono errori di gestione, quali:
• nessun feedback informativo;
• mancato riconoscimento ai suggerimenti di valore;
• assenza di esempi personali da parte della direzione.
Nella azienda di servizio è invece fondamentale l’adozione della filosofia della total quality.
Si pensi alla burocrazia statale, ed al suo costo per la comunità dei cittadini, generato in tempi spesi in code o viaggi inutili dovuti a totale assenza di qualità e di attenzione ai clienti/cittadini (circa 30.000 miliardi di lire, stima del 2000). Anche se oggi qualcosa si muove nella Pubblica Amministrazione, dove sono stati creati gli URP (Uffici Relazioni con il Pubblico) e in talune strutture sanitarie, che hanno avviato progetti in tal senso, il cambiamento di mentalità verso il concetto di servizio per i cittadini è appena iniziato.
Per le imprese di servizi è fondamentale, per raggiungere risultati efficaci, l’adozione dell’empowerment, cioè una delega decisionale ai livelli bassi della piramide, che sono quelli che vengono a contatto con il pubblico.
Un esempio classico è testimoniato dall’amministratore delegato della Sas (Scandinavian Airlines) autore del saggio “la piramide rovesciata”4, dove sostiene che il vertice dell’azienda dovrebbe essere l’attuale base, cioè le hostess di terra e di volo e tutti coloro che sono a contatto diretto con i clienti, perché è lì che si dà valore ed è lì che si genera l’utile aziendale.
3.6.2 La sfida delle relazioni efficaci con i fornitori: il just in time
Fino a pochi anni fa, gli uffici acquisti delle case automobilistiche (tra i più importanti in ogni paese perché comprano enormi quantità di prodotti per assemblarli sulle linee finali di montaggio) hanno tenuto nei confronti dei fornitori un atteggiamento antagonistico tipico della negoziazione conflittuale, mettendo i fornitori l’uno contro l’altro allo scopo di minimizzare il costo dei componenti acquistati.
La tesi a sostegno di questa prassi è che, contenendo i prezzi di acquisto, non solo si risparmia ma si obbligano i fornitori a recuperare i mancati introiti mediante aumenti di produttività, con il risultato di migliorare complessivamente il sistema industriale.
Gli svantaggi a medio termine sono però numerosi:
1. con prezzi ridotti all’osso i fornitori non possono investire in nuove tecnologie e nuovi prodotti, ma solo incentivare
4 1984 - La piramide rovesciata - Saggio di Jan Carlzon, AD della compagnia aerea Sas. (I dirigenti devono comportarsi come
«guide» e contare sulla collaborazione dei dipendenti, stimolando la creatività e la partecipazione del personale dell’azienda.)
i ritmi di lavoro, spesso a scapito della qualità del prodotto;
2. il vantaggio del prezzo ridotto è di breve durata, cioè non ha una prospettiva strategica, ed infatti si finisce con il cambiare spesso fornitore;
3. i nuovi livelli di qualità desiderati dal mercato non possono ottenersi senza la collaborazione dei fornitori; ma allora non è possibile “scannarsi” nel momento della definizione dei prezzi e subito dopo aspettarsi o pretendere un clima collaborativo;
4. lavorare con un numero elevato di fornitori, spesso mutevoli, genera complessità amministrative costose a tutto discapito della linearità delle relazioni con i fornitori.
Per correggere questi problemi, in Giappone sono maturate nuove esperienze di gestione dei materiali e della qualità basati su un rapporto più collaborativo. È nato così il just in time.
Esso riguarda la garanzia che il processo fluisca ordinatamente e che gli sprechi di tempo, di denaro, di spazio, di materiali siano eliminati (no defect - no rework - no inventory - no scrap).
Lo scopo è di annullare tempi persi, attese e scarti (p. es. l’1%) Per realizzare un flusso just in time occorre :
- assicurare la qualità totale per i materiali acquistati da terzi alla fonte;
- alta qualità nel produrre con un’ottica di controllo sul processo, più che su alcuni pezzi a campione;
- una programmazione analitica dei flussi in ingresso;
- collaboratori capaci, motivati ed addestrati con una formazione superiore agli altri perché devono conoscere, non solo le loro mansioni, ma anche pensare globalmente con una visione dell’intera fabbrica;
- affidabilità e flessibilità delle attrezzature;
- informazioni condivise con i fornitori.
Tutto ciò richiede collaborazione, formazione, pianificazione, integrazione e fiducia: pochi fornitori e contratti di lunga durata ed un sistema informativo efficace.
I risultati sono sorprendenti: forte riduzione dei costi, delle scorte nei magazzini, della complessità amministrativa, soddisfazione nelle relazioni con i fornitori, integrazione produttiva e logistica.
3.6.3 La sfida del tempo: il time to market
Abbiamo visto come l’azienda focalizzata sul cliente, in tempi di alta competitività, cerca di interpretare le esigenze dei clienti e di battere la concorrenza con lo sviluppo e l’avvio di nuovi prodotti sul mercato, con intensità crescente.
Tradizionalmente nel processo di creazione di nuovi prodotti entrano diverse funzioni:
• il marketing, per comprendere ed analizzare i fabbisogni dei clienti;
• la ricerca, per studiare nuove formule o nuove tecnologie;
• la progettazione, per tradurre, a tavolino prima ed in laboratorio poi, le idee in disegni, specifiche, elenchi di materiali, prove e prototipi;
• la finanza, per valutare e controllare i costi di investimento e per dare le autorizzazioni a procedere alle diverse tappe;
• la produzione, infine, per produrre le quantità richieste dal commerciale secondo le specifiche della progettazione ai costi preventivati.
Le aziende organizzate per funzione sono focalizzate a costruire le migliori competenze di marketing, di ricerca, di progettazione, di finanza o di produzione, ma i tempi tradizionali richiesti per il lancio di un nuovo prodotto sono divenuti sempre più incompatibili con le esigenze del mercato.
Per esempio, il tempo necessario per lanciare una nuova auto era di 5 anni, dal momento dell’ideazione, basata sulle tecnologie esistenti, al momento dell’immissione sul mercato. Troppo sotto molti punti di vista: tecnologie superate, investimento che comincia a produrre reddito in tempi più dilazionati e, soprattutto, ritardi nel soddisfare le aspettative dei clienti.
Furono i giapponesi che per primi, negli anni ‘70, dopo le esperienze della total quality e del just in time, si lanciarono nell’impresa di ridurre i tempi. La Toyota e la Nissan immisero auto nuove in soli 48 mesi ed oggi puntano a ridurre i tempi a soli 12 mesi. La domanda è: “come?”
Non ci sono novità concettuali particolari, ma c’è stata la volontà di mettere in pratica concetti noti, che si possono riepilogare in:
• Organizzazione per progetto, dove il progetto ha un obiettivo specifico: il prodotto da immettere sul mercato ad una data traguardo.
• La condivisione delle informazioni in tempo reale, in modo da poter eseguire in parallelo quelle operazioni che prima si eseguivano sequenzialmente.
• Il lavoro con una squadra dotata di tutte le competenze (funzioni) necessarie per conseguire l’obiettivo, con responsabili empowered, cioè con poteri decisionali delegati in loco.
Dal Giappone il time to market si è esteso rapidamente a tutto il mondo ed è diventato uno degli strumenti per battere la concorrenza.
Una ricerca fatta nel 1983 dalla Shell metteva in luce come delle prime 500 aziende elencate su Fortune nel 1970, ben 150 aziende, il 30 %, non compariva più nell’elenco solo 13 anni dopo. Erano state superate da altre; ecco una misura evidente della dinamica del mercato.
3.6.4 Dalle gerarchie ai processi - il BPR (Business Process Reengineering)
Michael Porter, illustre docente di Harvard e consulente aziendale, ha dato un grande contributo all’organizzazione aziendale con l’introduzione nel 1985 dell’idea della catena del valore: concetto che si basa sull’assunto che qualsiasi attività aziendale può esistere solo se fornisce uno o più prodotti o servizi che hanno un valore per gli altri, tutti hanno dei “clienti“ da servire, siano quelli veri nel mercato oppure siano altri reparti o funzioni che stanno a valle dell’attività svolta e che ricevono l’output del nostro lavoro.
La catena del valore è costituita da fasi che trasformano gli input ricevuti in output trasmessi a valle attraverso una serie di passaggi successivi sino al cliente finale.
Così, ad es., la catena del valore di un distributore commerciale potrebbe essere: scelta della posizione; acquisizione della disponibilità dei locali; sistemazione dei locali; acquisto delle merci; gestione delle scorte; esposizione delle merci; servizio ai clienti.
Così la Sony ha descritto la propria catena del valore per generare utili, con l’indicazione delle politiche per ogni fase:
• Attività primarie:
- Logistica in entrata: tempi di approvvigionamento più brevi rispetto ai concorrenti
- Produzione: economie di scala; produttività elevata; efficienza elevata; eccellenza qualitativa
- Logistica in uscita: gestione attenta alle consegne
- Vendite e marketing: massimizzazione dell’esposizione mediante canali multipli
- Servizi post vendita centri di assistenza in tutto il mondo
• Attività di supporto:
- Infrastrutture: impianti integrati; direttive centralizzate dalla sede giapponese
- Gestione risorse umane: priorità alla formazione continua; avvicendamento nelle varie sedi per condividere conoscenza
- Sviluppo della tecnologia: elevati investimenti nello sviluppo di nuovi prodotti
- Approvvigionamento: grande quantità di acquisti scontati; partnership di lungo termine con i fornitori; sistema informativo efficace
Il passo concettuale successivo è stato fatto, nel 1993, da Michael Hammer5 e James Champy che, per primi, hanno dato questa definizione: ”il reengineering consiste nel ripensamento radicale dei processi di business e nella loro riprogettazione, al fine di conseguire un deciso miglioramento degli indicatori chiave di performance: costo, qualità, servizio e tempestività”.
Il BPR (business process reengineering) è quindi il riesame totale ed il ridisegno dei processi che caratterizzano una determinata attività, con particolare attenzione a quelli interfunzionali, con l’esplicito obiettivo di eliminare tutti i processi o le attività che non danno valore, il “grasso che cola” potremmo dire.
Secondo Hammer e Champy, nella maggioranza delle aziende nessuno è responsabile dei processi.
Una volta ridisegnati i processi, occorre invece decidere quale riconoscimento organizzativo dare a queste attività: richiedono o non richiedono una supervisione?
5 Reengineering the Corporation - A Manifesto for Business Revolution - 1993
3.7 STRUTTURE ORGANIZZATIVE INNOVATIVE
La soluzione organizzativa più radicale vede l’azienda trasformarsi da una struttura verticale basata su gerarchie ad un azienda molto “piatta” orizzontale, basata su processi, praticamente disegnata partendo dalla coda, cioè dal servizio alla clientela per poi costruire solo i processi strettamente necessari al suo funzionamento.
3.7.1 Struttura per processi
Questa quinta forma organizzativa, altamente innovativa, è la struttura per processi.
È agevole realizzarla pienamente nel caso di nuove aziende costruite “dal prato verde“ e disegnate secondo questo approccio. Ad esempio una nuova banca che opera solo via telefono è in grado di gestire gli stessi volumi con un decimo di dipendenti e con servizi i cui tempi di esecuzione sono ridottissimi, in tempo reale.
Amministratore Delegato Funzioni di Staff
Processo 1 a1 b1 c1
Processo 2 a2 b2 c2
Processo 3 a3 b3 c3
3.7.2 Struttura a matrice per processi
Nei casi di aziende già esistenti si compie una significativa trasformazione della struttura tradizionale riducendo significativamente i livelli gerarchici e assegnando maggiori responsabilità operative e gestionali ai proprietari dei processi (process owner empowerment).
Questa sesta forma organizzativa a matrice per processi è quella adottata dalle aziende che hanno scelto un approccio a matrice, con:
• livelli gerarchici (verticali) ridotti: i Direttori di Funzioni coordinano gruppi di ricerca, sviluppo e consulenza;
• processi orizzontali.
Amministratore Delegato Funzioni di Staff Direttori di Funzioni
Processo 1 a1 b1 c1
Processo 2 a2 b2 c2
Processo 3 a3 b3 c3
La spinta che porta le aziende a trasformarsi da una organizzazione gerarchica verticale ad una orizzontale per processo sta sicuramente nell’esigenza di sopravvivere in mercati sempre più mutevoli per soddisfare le esigenza dei propri clienti in maniera sempre più rapida. Non è quindi il risparmio dei costi, o non solo, ma principalmente la necessità di rispondere alla sfida competitiva.
Il successo della trasformazione sta nel mutare radicalmente la cultura delle persone che vi operano. Le persone avranno pochi riferimenti gerarchici e faranno carriera solo se impareranno ad imparare. Le norme procedurali, ancora di salvezza di molte generazioni, cederanno il passo a più sintetiche linee di indirizzo sul modo di raggiungere gli obiettivi del processo di appartenenza; alle persone sarà richiesto di mettere a frutto la propria creatività lavorando in team e
condividendo gli stessi obiettivi.
L’organizzazione process driven costituisce perciò il nuovo paradigma di riferimento per le aziende che vogliono sopravvivere e svilupparsi nel XXI secolo.
3.8 LA CRESCITA DEL FATTORE CONOSCENZA
Come abbiamo visto, l’attuale tumultuosa ondata di globalizzazione è caratterizzata da:
1. esistenza di un mercato finanziario globale che, grazie a reti di comunicazione altamente efficaci, consente ai capitali di circolare anche più volte in un sol giorno: il flusso reale dei beni e dei servizi è solo il 2% del flusso finanziario, il resto sono capitali che girano in continuazione in cerca del miglior impiego, anche giornaliero.
2. non si spostano più solo le merci con le importazioni e le esportazioni, ma si spostano i centri di produzione, le fabbriche vanno o dove il costo del lavoro è molto più basso o nel cuore dei mercati che si intendono servire, a stretto contatto con i consumatori.
3. è cresciuta l’importanza del fattore sapere (o conoscenza - knowledge) rispetto al fattore lavoro ed al fattore capitale.
Il risultato di queste trasformazioni sono le aziende rete.
3.8.1 La sfida dell’azienda globale: l’azienda rete
Con questa espressione si identifica l’azienda che ha incorporato le nuove tecnologie informatiche nella propria strategia per abbattere i fattori di tempo e di spazio.
• Il fattore tempo: rende disponibili le informazioni (knowledge) a tutti i destinatari nello stesso momento.
• Il fattore spazio: rende disponibili le informazioni (knowledge) a tutti i destinatari ovunque siano.
Queste finalità, da tempo enunciate teoricamente, stanno entrando nella realtà operativa con le nuove tecnologie della rete (internet o intranet), della tecnologia user friendly, dell’abbinamento delle immagini e della voce ai dati.
Esempi precursori dell’utilizzo del knowledge sharing li troviamo in IBM, in Accenture (ex Andersen Consulting, dove ha cambiato il modo di fare la consulenza), in altre società multinazionali operanti nei campi avanzati della ricerca, della consulenza, dei servizi.
Sta cominciando ad entrare anche nell’insegnamento.
Esempio della società che lavora in rete: progetta negli Usa West; ha il centro ricerche (knowledge) nell’Università di Cornell, Usa East; costruisce nel Far East; i fornitori sono in Europa ed in Usa e condividono e partecipano alla costruzione delle soluzioni lavorando in simbiosi con l’azienda compratrice.
Pensiamo a quale impatto questa nuova organizzazione può avere, per esempio sui servizi bancari. Una banca virtuale ottiene benefici di:
• tempo, perché è accessibile in ogni ora del giorno e della notte;
• spazio, perché è consultabile da casa, o dall’ufficio o da una cabina telefonica della strada, ovunque.
Fino ad ora il valore di una banca era dato principalmente dal numero di filiali/agenzie e dal loro collocamento sul territorio; domani, quando la cultura normale avrà accettato l’assenza dell’interazione “faccia a faccia”, il suo valore sarà dato dalla facilità di accesso/interazione telematica e dalla flessibilità e gamma dei servizi offerti/resi.
3.8.2 La knowledge governance: la rete di aziende
Alla crescente importanza del fattore sapere ha contribuito in misura determinante il ritmo dei cambiamenti che, guidati dalle scoperte scientifiche e tecnologiche, hanno coinvolto assetti competitivi e relazioni di mercato in tutti i settori.
Di conseguenza, il portafoglio di competenze da presidiare è divenuto sempre più ampio e di difficile gestione.
Per fronteggiare queste difficoltà le imprese hanno focalizzato le proprie competenze sulle aree essenziali della propria attività (core business), coinvolgendo come partner, aziende specializzate nelle competenze necessarie per svolgere le attività complementari.
Non si tratta più di valutare la convenienza di svolgere attività secondarie all’interno dell’azienda (make) o di allocarle in outsourcing presso fornitori selezionati (buy), ma di ampliare il ruolo delle aziende fornitrici, che diventano veri e propri partner strategici delle imprese.
L’unità economica di riferimento, nell’economia della conoscenza, è diventata la rete di alleanze (partnership network), finalizzata a mantenere un vantaggio competitivo nei processi vitali dei rispettivi settori.
Di qui l’importanza della knowledge governance che va dalla scelta delle aree di competenza su cui focalizzare le proprie risorse, alle politiche di outsourcing, alle scelte di make or buy fino alle implicazioni derivanti dalla rete di partnership attivate da un’impresa.
In sintesi, il processo di knowledge governance parte dall’articolazione degli obiettivi e comprende, su base interorganizzativa, l’intera dinamica di creazione, gestione e sviluppo della conoscenza.
È particolarmente importante definire la “giusta” ampiezza della rete di partnership per massimizzare i vantaggi perseguiti dalle strategie relazionali di ciascuna impresa e contenere gli svantaggi derivanti da un’estensione eccessiva della rete di imprese.
Il risultato di queste trasformazioni legate alla enorme crescita del fattore sapere sono le reti di aziende.
3.8.2.1 Esempi di reti di aziende
1 - Sun Microsystems
Le relazioni attivate da Sun con i partner assumono una struttura multilivello in ragione dell’importanza del componente da produrre e in funzione dell’impegno richiesto al partner.
Dal punto di vista della Sun, al 1° livello ci sono le relazioni con i partner con cui sviluppare un prodotto, a partire dall’esplorazione degli scenari evolutivi fino alla messa a punto di uno standard per la realizzazione.
Al 2° livello ci sono le relazioni basate sull’adozione di uno standard di settore adattato dai fornitori alle esigenze della Sun.
Al 3° livello ci sono i rapporti con partner ai quali, sulla base di specifiche, Sun demanda la progettazione e la realizzazione di componenti.
La rete di imprese collegate alla Sun Microsystems è la seguente:
o 1° livello: Texas Instruments - Samsung - LSI Logic
o 2° livello: Fujitsu - Mitsubishi - LG - Lucent Technology - NEC
o 3° livello: IBM - Hitachi - Motorola - Sony - Infineon - Symbios 2 - ST Microelectronics
La strategia che guida le attività innovative, produttive e relazionali della ST è la visione dei vertici aziendali che, nel
mercato dei semiconduttori, individuano la fonte principale di vantaggio competitivo nel mettere la propria leadership tecnologica al servizio dei clienti.
La ST ha focalizzato le proprie competenze sul continuo miglioramento delle tecnologie del silicio (conoscenza generale) mentre i suoi partner esplorano i mercati (competenze locali) nei quali tali tecnologie possono costituire una fonte di vantaggio competitivo.
La rete relazionale della ST è articolata per settore di business e, per ognuno di essi, comprende i seguenti partner principali:
o automotive Bosch - Chrysler - Ford - Fiat - Marelli
o digitale di consumo Matsushita - Sony - Samsung - Philips
o telecomunicazioni Alcatel - Motorola - Ericsson - Nokia
o smart card Bull - Orga - Gemplus
o computer HP - IBM - Seagate - ATI Technologies (Situazione 2000)
3.9 LA VISIONE OLONICA
Nel 1967 Arthur Koestler ha pubblicato “The Ghost in the Machine” nel quale ha introdotto formalmente i concetti di olone e di olarchia.
L’intuizione di Koestler è chiara e semplice: nell’osservare l’universo che ci circonda, a livello fisico e biologico, nella sfera reale e formale, dobbiamo sempre tenere conto della relazione intero/parte tra “enti” osservati; non dobbiamo limitarci a considerare atomi, molecole, cellule, individui, sistemi, parole o concetti, quali unità autonome e indipendenti, ma dobbiamo tenere conto che ciascuna di tali unità è, contemporaneamente, un intero, composto da parti di minore ampiezza, e una parte di un intero più ampio, un olone6, appunto.
Per Koestler l’olone si concepisce come un intero che è una parte di un tutto più ampio e che, contemporaneamente, contiene elementi che lo costituiscono e ne determinano il significato strutturale e funzionale.
Un olone è pertanto concepito come un’unità autonoma, indipendente e dipendente nello stesso tempo, interattiva in senso verticale e caratterizzata da vincoli cui deve sottostare in quanto tutto e in quanto parte.
L’olarchia, per Koestler, è non solo una disposizione ordinata di moduli ma un sistema verticale di unità cognitive di sempre maggiore ampiezza, dotate di coscienza. Con la coscienza aumenta la complessità e la flessibilità, quindi la capacità e la libertà di decisione degli oloni di alto livello. In questo senso l’olarchia deve essere concepita come una vera e propria entità sistemica autonoma dotata di ordine e di dinamica propria, aperta e in grado di auto organizzare i propri cambiamenti, siano essi casuali o programmati, a qualsiasi livello si manifestino.
3.9.1 Le organizzazioni oloniche
La nozione di olarchia consente di interpretare, in maniera del tutto particolare, le interconnessioni gerarchiche della specie contenente - contenuto tra elementi autonomi (moduli, unità cognitive o unità operative) che si possono osservare, sia in natura (dal quark all’ecosistema), sia nei prodotti dell’attività umana (dal PC a Internet), sia in quelli che si possono considerare enti logici (dalla singola lettera dell’alfabeto a tutta la letteratura di un dato linguaggio).
La realtà può essere osservata anche con la logica dell’organizzazione, intesa quale sistema sociale che si forma quando più individui, per loro motivazioni particolari, accettano di essere organi o componenti di organi, specializzati secondo funzionamento, funzione, funzionalità e collocazione spazio - temporale, di una più ampia struttura, diventandone membri, con lo scopo di conseguire un fine comune che non può essere raggiunto dai singoli individui o da loro sottosistemi.
In quanto membri dell’organizzazione essi accettano di essere vincolati da relazioni strutturali stabili, orizzontali e verticali (relazioni organizzative) che impongono di attuare comportamenti coordinati e cooperativi; cioè riconoscono e accettano obiettivi superiori, programmi d’azione, regole di coordinamento e responsabilità per svolgere processi durevolmente orientati al fine comune.
Gli organi aziendali possono essere quindi pensati come parti, necessarie e strumentali per il raggiungimento degli obiettivi dell’intera organizzazione, intesa come tutto.
Gli organi aziendali possono essere osservati e ordinati in un modello multi livello o multi strato, l’organigramma, secondo diversi punti di vista e, in particolare, privilegiando o gli obiettivi o le funzioni richieste per raggiungere gli obiettivi stessi.
Abbiamo quindi due strutture tipiche:
• Lineare, che ordina gli organi in funzione degli obiettivi
• Funzionale, centrata sulle funzioni.
Nell’osservazione delle organizzazioni si rileva che gli oloni di base sono funzionali per gli oloni ufficio, che sono funzionali per gli oloni reparto, a loro volta funzionali per gli oloni divisioni funzionali; questi per le divisioni di business o per le aree che compongono l’olone organizzazione.
6 Combinazione di holos, tutto, e on, forma neutra che assume il significato di particella o di parte, come in protone, elettrone, ecc.
3.10 I SISTEMI, LE PROCEDURE, I PROCESSI, LA CULTURA
Un’azienda è caratterizzata da sistemi, procedure, processi e dalla sua cultura. Cominciamo con il definire il significato di questi termini.
Sistema: complesso di procedimenti finalizzati alla realizzazione degli obiettivi aziendali. Procedura: attività da eseguire per svolgere un compito / ottenere un risultato, un prodotto. Processo: serie di operazioni che si compiono per ottenere un determinato risultato.
Cultura: insieme dei valori e delle tradizioni dell’azienda.
3.10.1 I sistemi, le procedure, i processi
Come si può vedere, i primi tre termini sono sostanzialmente, sia pur con diverse sfumature, sinonimi. Comunque, indipendentemente da come si struttura, un’azienda è costituita da un insieme di “core processes” ovvero processi base, tipici del settore economico di appartenenza.
Vale a dire, per ogni settore i processi base sono sempre gli stessi. Ad esempio le banche avranno i processi di raccolta dei depositi, dell’erogazione dei prestiti in conto corrente o ipotecari ecc.; le assicurazioni i processi di raccolta dei premi e dei rimborsi dei danni; le industrie i processi di approvvigionamento delle materie prime, di trasformazione delle stesse, di vendita dei prodotti, eccetera.
I processi si dividono inoltre in processi market driven o internal driven.
I processi market driven sono diretti a soddisfare le esigenze espresse dal mercato, cioè dai clienti.
I processi internal driven sono invece orientati al soddisfacimento delle esigenze interne dell’azienda. Così in un’azienda industriale i processi market driven sono:
- la formulazione del business plan: cosa vorrà il mercato nei prossimi anni
- la ricerca: quali nuove tecnologie o prodotti offriremo ai clienti
- lo sviluppo prodotti: quali prodotti costruiremo
- la generazione della domanda: come facciamo ad ottenere gli ordini dai clienti
- la produzione
- l’approvvigionamento dei materiali
- le relazioni con i fornitori
- le relazioni con i clienti
- i servizi post vendita
Come abbiamo accennato, altri saranno i processi delle banche o delle assicurazioni o della distribuzione o delle aziende energetiche, eccetera.
I processi internal driven sono invece simili in tutti i settori economici e sono, ad esempio:
- la gestione delle risorse umane
- l’amministrazione e la contabilità
- la gestione della finanza
- la gestione della qualità, della sicurezza
- i sistemi informativi
L’obiettivo dei processi market driven è l’efficacia nei rapporti con il mercato: fare le cose “giuste” L’obiettivo dei processi internal driven è l’efficienza: fare “bene” le cose che devono essere fatte
3.10.2 La cultura
La cultura di un’organizzazione consiste in un amalgama di valori, di mentalità comuni e di comportamenti caratteristici che costituiscono “il modo con cui si fanno le cose da noi” e simboli di vario genere.
I valori sono gli ideali che i membri di una organizzazione percepiscono collettivamente come importanti e che tendono a prendere come riferimento per il loro comportamento.
Occorre distinguere tra i valori conclamati e quelli interiorizzati, vissuti, che si traducono in pratica operativa.
Spesso le aziende pubblicano in modo vistoso la loro missione ed i principi aziendali, ma è la loro applicazione che bisogna verificare nel concreto.
Un modo di pensare comune, o paradigma, consiste in una serie di convincimenti condivisi. Per esempio, nel 1960 il modo di pensare comune nelle imprese automobilistiche inglesi era :
- si riteneva realistico che gli inglesi comprassero solo auto di marca inglese,
- la concorrenza giapponese non era presa sul serio perché si riteneva che la qualità fosse mediocre,
- produrre auto che durassero non più di 5 anni era il comune modo di progettare perché così si manteneva vivo il mercato del ricambio,
- l’unica politica industriale nei confronti dei lavoratori era la contrapposizione perché gli operai erano o comunisti o estremisti socialisti.
Questo modo di pensare era l’ostacolo maggiore al cambiamento e poneva seri ostacoli alla sopravvivenza dell’industria automobilistica inglese perché, mentre il mondo cambiava, l’industria inglese era immobile nei suoi paradigmi e non vedeva la necessità di modificare il proprio modo di operare e di pensare.
Alcuni degli aspetti significativi dei comportamenti rappresentativi del personale di un’azienda sono:
- lo stile manageriale: autoritario o partecipativo? porte aperte o porte chiuse?
- abbigliamento formale o casual? divisa giapponese, che cela le differenze di livello e di status, o libertà di vestire, che invece le evidenzia?
- rapporti formali o informali? interazione anche fuori dall’ambiente di lavoro o no?
Infine hanno influenza sulla cultura anche la corporate identity, cioè l’immagine aziendale e l’apparenza esteriore della sede centrale e degli ambienti di lavoro.
3.10.3 Un esempio: Accenture (ex Andersen Consulting)
Vediamo, ad esempio, i core values aziendali di Accenture
quality client service
understand client expectation from the outset; obtain continuos feedback toward objectives from every level; seek help when you feel you are not delivering quality; request additional competences if necessary
one global firm
share your knowledge and expertise with other groups, particularly those outside your local practice unit; actively develop your own network; contribute to building knowledge capital; share your resources with other who need help;
integrity
take your responsibility for your actions and words; meet your commitments, however small; admit your mistakes; turn your mistakes into learning opportunities; speak up when problems occur, ask management support for help when it is needed; give credit to those who deserve it; voice your opinion, even if may not be popular;
stewardship
mentor others; provide for training and development of your team and clients; develop and commit to your shared vision; use the firm resources prudently; help to build a stronger firm for the future;
best people
provide honest and timely feedback to your team; take time to integrate new hires to your team; commit time to recruiting; take responsibility for your career development; give your team members latitude to make decision;
respect for individual
ask for and listen to views and opinions of whose around you; recognize and value diversity in your work team; ensure that people attend training on schedule; give people recognition for a quality job; involve the team in setting timetables and balancing individual needs; understand the others persons point of view, treat others as you would like to be treated
3.10.4 Un esempio: General Electric
Jack Welch, Chief Executive Officer della GE (1981 - 2001), chiarisce che la “missione” ufficiale di un’azienda, per essere efficace, deve rispondere sostanzialmente alla domanda: “come intendiamo vincere nel nostro settore?”.
Questa domanda impone all’azienda di fare delle scelte in tema di persone, investimenti e risorse, la obbliga a identificare i propri punti di forza e di debolezza per capire se è in grado di operare con profitto nel mercato.
Infatti, anche se la missione è audace e ha finalità sociali, i manager esperti sanno bene che, in assenza del successo finanziario, gli obiettivi sociali restano sulla carta.
La missione che si era data la GE, dal 1981 al 1995, era quella di diventare “l’impresa più competitiva al mondo”, collocandosi al primo o al secondo posto in tutti i mercati, ossia rilanciando, cedendo o liquidando tutte le attività che non raggiungevano risultati eccellenti. La missione è stata divulgata e i comportamenti successivi sono stati trasparenti e coerenti. Se la missione scelta fosse stata un’altra la GE avrebbe imboccato altre strade e coperto o abbandonato mercati diversi.
La scelta della missione, quale essa sia, è una responsabilità esclusiva dell’alta direzione che, dopo aver raccolto tutti i dati disponibili, ascoltato i consigli di tutte le persone in grado di fornire un apporto intelligente, deve decidere. Questa scelta non si può e non si deve delegare a nessuno che non sia chiamato a risponderne personalmente.
La scelta dei “valori” aziendali è invece aperta a tutti. Il processo di creazione dei “valori” deve essere iterativo. Può anche partire da una prima bozza stilata dal gruppo dirigente, ma questa deve poter essere rivista e sviscerata al fine di arrivare ad un documento condiviso.
Inoltre, a valori chiari devono inoltre corrispondere comportamenti coerenti a tutti i livelli della struttura.
Per esempio, i valori “Trasparenza - Differenziazione - Coinvolgimento” sono stati il punto di riferimento della GE per premiare i dipendenti che li mettevano in pratica e per punire o allontanare quelli che li lasciavano sulla carta.