Ispezioni e sanzioni per il contratto a termine
Ispezioni e sanzioni per il contratto a termine
di Xxxxxxxxx Xxxxxx*
1. Principali elementi di valutazione ispettiva della novella legislativa
Col decreto-legge n. 34/2014 il lavoro a termine viene profondamente destrutturato, abbandonando radicalmente il modello disegnato dal decreto legislativo n. 368/2001.
L’articolo 1 del decreto-legge n. 34/2014, infatti, non interviene sul contratto “acausale” introdotto dalla legge n. 92/2012, ma piuttosto elimina l’obbligo di causale nel contratto a termine, cancellando dall’ordinamento la necessità di indicazione di una ragione oggettiva (organizzativa, tecnica, produttiva o sostitutiva) per assumere a tempo determinato.
La novella legislativa più seccamente stabilisce che al contratto di lavoro, per lo svolgimento di qualsiasi mansione, può essere apposto un termine di durata non superiore a 36 mesi, comprensiva di eventuali proroghe.
La norma sancisce poi che il numero complessivo dei rapporti di lavoro a termine presso ciascun datore di lavoro (non si parla di imprese) non può eccedere il limite del 20% dell’organico complessivo (non si parla solo di dipendenti).
Fanno eccezione a tale limite solo le imprese (quindi resterebbero esclusi i datori di lavoro non imprenditori) che occupano fino a 5 dipendenti che possono sempre stipulare un contratto di lavoro a tempo determinato, nonché i contratti a tempo determinato stipulati per l’avvio di nuove attività, per ragioni di carattere sostitutivo o di stagionalità, per specifici spettacoli o specifici
* Si segnala che le considerazioni contenute nel presente intervento sono frutto esclusivo del pensiero dell’Autore e non hanno carattere in alcun modo impegnativo per l’amministrazione di appartenenza.
programmi radiofonici o televisivi; con lavoratori di età superiore a 55 anni (articolo 10, comma 7, decreto legislativo n. 368/2001).
Da ultimo la norma ammette le proroghe del contratto a termine fino ad un massimo di 8 volte, a condizione che si riferiscano alla stessa attività lavorativa per la quale il contratto è stato stipulato a tempo determinato.
In sede di verifica ispettiva e, conseguentemente, in un approccio sanzionatorio sul tema, la novella pone molteplici interrogativi.
1.1. Applicabilità delle nuove disposizioni ai contratti in corso?
La prima questione da porsi in assenza di una normativa transitoria riguarda la possibilità di applicare le nuove disposizioni anche ai contratti già in essere.
Sul punto potrebbe rilevare il pronunciamento del Ministero del Lavoro in materia di lavoro intermittente e somministrazione a tempo indeterminato a fronte dell’abrogazione operata dalla legge n. 247/2007; in quell’occasione, infatti, sulla scorta dell’articolo 11, comma 1, delle disposizioni sulla legge in generale – secondo cui la legge non può avere effetto retroattivo, ma «dispone solo per l’avvenire» –, il Ministero del Lavoro nella Circolare n. 7 del 25 marzo 2008 ebbe a sancire che non sembrava «possibile né ipotizzare una conversione dei contratti di somministrazione a tempo indeterminato o dei contratti di lavoro intermittente in altra fattispecie contrattuale, né una loro perdita di efficacia»; conseguenza ne era che, con riferimento ai contratti in corso di svolgimento alla data di entrata in vigore della legge n. 247/2007, alla luce dei principi generali di cui al citato articolo 11 delle disposizioni preliminari x.x., xx xxxxx xxxxxxxx xxxxxxx «xx xxxxx effetto per il futuro», ma seguitava «a disciplinare i fatti avvenuti sotto la sua vigenza».
Sulla scorta di tale presupposto interpretativo, dunque, si potrebbe ritenere che i contratti causativi (stipulati con riferimento alla causale) non possano essere oggi disciplinati dalla acausalità generalizzata, ma restino regolati, anche per il principio di tutela dell’affidamento del lavoratore, alla disciplina in essere al momento della instaurazione del rapporto di lavoro.
Così seguiterebbero ad avere efficacia, limitatamente ai contratti acausali in essere, i contratti collettivi aziendali che, sulla scorta delle previsioni del decreto-legge n. 76/2013, hanno ampliato la ricorribilità alla acausalità ovvero hanno ridotto o persino azzerato lo “stacco” tra i contratti a termine successivi. Pertanto, in questa prospettiva, le nuove disposizioni dovrebbero riguardare esclusivamente tutti i contratti di lavoro a termine stipulati a far data dal 21 marzo 2014, i quali potrebbero senz’altro interessare anche i contratti a
termine già in essere, legittimamente risolti e poi rinnovati (rispettando i termini dello stop & go che non sono stati abrogati né modificati dal decreto- legge n. 34/2014).
Peraltro, stante l’identità sostanziale della fattispecie, le nuove disposizioni sulla acausalità (estensione della durata e proroghe) potrebbero trovare applicazione anche nei confronti dei contratti a termine acausali in essere, ma anche su tale soluzione peserebbe la disposizione di cui al menzionato articolo 11 delle disposizioni sulla legge in generale.
In ogni caso, quale che sia la posizione che si intende assumere sulla applicazione immediata delle nuove misure, anche ai contratti in essere oppure no, sembra utile ed opportuno attendere i chiarimenti del Ministero del Lavoro ed anche valutare come si pronuncerà la magistratura in argomento.
1.2. Disamina dei contratti causativi in essere
Pur dovendosi ritenere ancora in essere i contratti a tempo determinato stipulati in forza delle causali oggettive (ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo), già disciplinate dall’originario articolo 1, comma 1, del decreto legislativo n. 368/2001, non sembrano esservi dubbi sulla circostanza che l’intenzione legislativa manifestata espressamente nella approvazione del decreto-legge n. 34/2014 deve guidare l’esame da parte del personale ispettivo dei contratti causativi eventualmente formanti oggetto di ispezione.
Le nuove norme devono essere lette nel senso di una manifestazione chiara della volontà di ridurre fino ad eliminare il contenzioso sul contratto a termine e rilanciare l’utilizzo di tale tipologia contrattuale.
Se così è, dunque, una azione ispettiva mirante a disconoscere la sussistenza di una causale oggettiva dopo il 21 marzo 2014 in un rapporto di lavoro a tempo determinato instauratosi precedentemente appare contrastanti con le dichiarazioni pubbliche rese in plurime occasioni dal Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali.
D’altro canto, l’autorità giudiziaria avrà piena libertà di analisi e di giudizio sulla sussistenza effettiva della causale, che l’ispettore del lavoro e previdenziale non dovrebbero, invece, a rigore, più indagare.
1.3. Verifiche per i contratti acausali
Ben altra struttura operativa, al contrario, riveste l’attività ispettiva sui contratti acausali, “vecchi” vale a dire instaurati in forza delle disposizioni della legge n. 92/2012 e del decreto-legge n. 76/2013, ovvero “nuovi” attivati per effetto dell’articolo 1 del decreto-legge n. 34/2014.
Sulla “acausalità”, infatti, il personale ispettivo non ha spazio di movimento investigativo di particolare caratura, se non limitatamente al rispetto delle previsioni normative in ordine alle dimensioni aziendali e al numero dei contratti attivabili (per i nuovi rapporti a termine), ovvero riguardo al rispetto degli intervalli temporali, della durata massima e del numero di proroghe ammissibili.
La difficoltà dell’accertamento ispettivo, dunque, si caratterizza per la necessaria presa d’atto, anche documentale, da parte degli organi di vigilanza, delle circostanze di fatto così come acclarate, ove risultino confermati i residui (pur scarsi) paletti normativi del novellato decreto legislativo n. 368/2001.
1.4. Verifica del numero massimo di contratti a termine stipulabili
In questo senso, dunque, la prima questione investigativa attiene al numero complessivo dei rapporti di lavoro a termine attivati presso l’ispezionato che devono risultare non eccedenti il limite del 20% dell’organico complessivo.
Quanto al momento di analisi del computo questo deve essere individuato necessariamente, stante la mancata previsione di altra modalità, all’atto della instaurazione del rapporto a tempo determinato: è in questa fase che il datore di lavoro avrebbe dovuto effettuare la verifica del rispetto del limite numerico percentualizzato.
Con riferimento, invece, alla base di calcolo da assumere a riferimento deve evidenziarsi che la norma non parla solo di dipendenti, come al contrario fa subito dopo per individuare l’esonero dal limite per le imprese che occupano fino a 5 dipendenti. Ciò porterebbe a voler considerare come base di calcolo l’intero organico complessivo del datore di lavoro, compresi quindi anche i collaboratori coordinati e continuativi, anche nella modalità a progetto (e in questa direzione sembrerebbe andare la esplicita previsione contenuta nell’articolo 4 del decreto-legge n. 34/2014 laddove integra le verifiche di regolarità contributiva anche con tali lavoratori).
Laddove, invece, si facesse riferimento ai soli dipendenti (tuttavia con una forzatura del testo normativo) si potrebbe mutatis mutandis fare riferimento
alla Circolare Inps n. 22 del 23 gennaio 2007 che ha provveduto a chiarire i principali aspetti operativi, in merito ai criteri da utilizzare per individuare in concreto le modalità di computo del personale per determinare la base occupazionale. Il requisito occupazionale dovrebbe essere determinato tenendo conto della struttura aziendale complessivamente considerata, mentre nel calcolo dei dipendenti andrebbero ricompresi i lavoratori di qualunque qualifica. I lavoratori assenti, anche se non retribuiti, andrebbero esclusi dal computo se è stato assunto un altro lavoratore in sua sostituzione, computando quest’ultimo. Dovrebbero, invece, essere esclusi dal computo del personale: gli apprendisti; i lavoratori assunti con contratto di inserimento ex decreto legislativo n. 276/2003; i lavoratori assunti con contratto di reinserimento ex articolo 20 della legge n. 223/1991; i lavoratori somministrati, con riguardo all’organico dell’utilizzatore. Mentre i lavoratori occupati in regime di lavoro a tempo parziale andrebbero computati sommando i singoli orari individuali e in proporzione all’orario svolto rispetto al tempo pieno, con arrotondamento all’unità della frazione di orario superiore alla metà di quello normale (articolo 6, decreto legislativo n. 61/2000).
In ogni caso, il personale ispettivo dovrà considerare la natura di deroga riconosciuta alla microimpresa che occupa fino a 5 dipendenti, la quale può sempre stipulare un contratto di lavoro a tempo determinato.
Qui si tenga presente che la disposizione normativa parla solo di “imprese”, quindi resterebbero esclusi tutti i datori di lavoro non imprenditori (come ad esempio nel caso degli studi professionali).
Derogano, in ogni caso, al limite contingentato i contratti a tempo determinato stipulati per l’avvio di nuove attività, per ragioni di carattere sostitutivo o di stagionalità, per specifici spettacoli o specifici programmi radiofonici o televisivi; con lavoratori di età superiore a 55 anni (articolo 10, comma 7, decreto legislativo n. 368/2001).
1.5. Verifica del rispetto degli intervalli temporali
Particolare attenzione, anche per i nuovi contratti a termine acausali, l’ispettore dovrà porre alla circostanza che dopo la scadenza del termine iniziale il lavoratore venga riassunto con un successivo contratto a tempo determinato, ma rispettando gli intervalli temporali richiesti dalla legge (20 giorni, se il contratto aveva durata superiore a sei mesi; 10 giorni, se aveva durata fino a sei mesi, ai sensi dell’articolo 5, comma 3, del decreto legislativo
n. 368/2001). La mancata osservanza degli intervalli minimi, infatti, che non
sono stati modulati né eliminati dal decreto-legge n. 34/2014, fa sì che il contratto successivo debba considerarsi necessariamente a tempo indeterminato, tuttavia se i due rapporti di lavoro a termine si sono svolti senza soluzione di continuità (essendo mancato anche un solo giorno di xxxxxx) si avrà un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato a far data dalla stipula del primo dei due contratti. Derogano alla disciplina degli intervalli le attività stagionali definite dal decreto del Presidente della Repubblica n. 1525/1963 e quelle individuate dalla contrattazione collettiva nazionale; nonché le ipotesi individuate dai contratti collettivi di qualsiasi livello stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.
1.6. Verifica del rispetto delle proroghe
Per i nuovi rapporti a termine acausali le verifiche ispettive dovranno essere incentrate anche sul numero delle proroghe che l’articolo 1 del decreto-legge
n. 34/2014 ammette come lecite. La norma, infatti, ammette le proroghe del contratto a termine acausale fino ad un massimo di 8 volte, sempreché ciascuna proroga si riferisca alla medesima attività lavorativa per la quale il contratto a termine era stato inizialmente stipulato e a condizione che la durata iniziale del contratto fosse inferiore a tre anni (articolo 4, comma 1, decreto legislativo n. 368/2001). Qualora si ritenesse applicabile ai contratti in essere (acausali e causativi) la nuova disposizione, anche i rapporti di lavoro a tempo determinato in fase di svolgimento potranno formare oggetto delle proroghe nei limiti anzidetti. Peraltro, ove permanga l’incertezza interpretativa sulla estensione ai rapporti sorti con il limite di una sola proroga e a condizione che fosse richiesta da ragioni oggettive (stanti le differenti condizioni normative vigenti al momento genetico del contratto), in sede operativa, con spirito pratico, le parti del contratto in scadenza potranno stipulare un nuovo contratto a termine acausale prorogabile 8 volte senza incertezze.
1.7. Verifica del rispetto della durata massima di 36 mesi
Tanto per i nuovi rapporti a termine acausali, quanto per i rapporti a tempo determinato già in essere il personale ispettivo dovrà porre particolare attenzione al non superamento del termine complessivo di 36 mesi. Questo termine dovrà essere considerato sia quale limite di durata massima del nuovo
contratto acausale ai sensi dell’articolo 1 del decreto-legge n. 34/2014, sia con riguardo alle previsioni dell’articolo 5, comma 4-bis, del decreto legislativo n. 368/2001 (introdotto dall’articolo 1, comma 40, lettera b, della legge n. 247/2007) che non è stato modificato dal decreto-legge n. 34/2014.
Il rapporto di lavoro dovrà quindi considerarsi a tempo indeterminato sia nel caso in cui il contratto a termine acausale sia durato complessivamente più di 36 mesi, sia allorquando, a seguito di una successione di contratti a termine, per lo svolgimento di mansioni equivalenti (requisito oggettivo: identità o equivalenza delle mansioni), fra lo stesso datore di lavoro e lo stesso lavoratore (requisito soggettivo: identità delle parti del contratto) si sono superati complessivamente i 36 mesi, comprensivi di proroghe e rinnovi, indipendentemente dai periodi di interruzione che intercorrono tra un contratto e l’altro (requisito temporale: superamento dei trentasei mesi complessivi).
2. Sanzionabilità delle condotte datoriali
Sul piano sanzionatorio assume ora particolare rilevanza la norma dell’articolo
3 del decreto legislativo n. 368/2001 che contempla le ipotesi in cui l’apposizione del termine è vietata e quindi radicalmente non ammessa: per la sostituzione di lavoratori che esercitano il diritto di sciopero; presso unità produttive nelle quali si è proceduto, entro i 6 mesi precedenti, a licenziamenti collettivi ai sensi degli articoli 4 e 24 della legge n. 223/1991 che hanno riguardato lavoratori adibiti alle stesse mansioni cui si riferisce il contratto a tempo determinato, salva diversa disposizione degli accordi sindacali (tale divieto non opera se il contratto a termine è stipulato per sostituire lavoratori assenti o in mobilità o ha una durata iniziale non superiore a 3 mesi); presso unità produttive che hanno disposto la sospensione dei rapporti o la riduzione dell’orario di lavoro, con diritto al trattamento di integrazione salariale, di lavoratori adibiti alle mansioni cui si riferisce il contratto a termine; per i datori di lavoro che non hanno effettuato la valutazione dei rischi ai sensi degli articoli 17 e 28 del decreto legislativo n. 81/2008.
Per la violazione dell’articolo 3 la nullità della clausola di apposizione del termine, perché apposta in caso di divieto, conduce al richiamo e all’applicazione della normativa civilistica, secondo la quale «la nullità di singole clausole non importa la nullità del contratto, quando le clausole nulle sono sostituite di diritto da norme imperative» (articolo 1419, comma 2, c.c.), con ciò rideterminando la qualificazione negoziale del rapporto “non standard” nella forma ordinaria di regolazione dei rapporti di lavoro subordinato, con
conservazione, pertanto, del contratto di lavoro nella sua species
generalizzante, quella a tempo indeterminato.
Analogamente per quanto attiene la violazione dei limiti nei quali sono disciplinate, in via eccezionale e derogatoria, le assunzioni a termine nei settori del trasporto aereo, dei servizi aeroportuali e delle poste (articolo 2, decreto legislativo n. 368/2001).
Sempre alla conversione del lavoro a termine in contratto a tempo indeterminato conduce la violazione delle disposizioni relative alla proroga del contratto (articolo 4, comma 1). A tal fine si tenga presente che permane in vigore anche l’articolo 4, comma 2, del decreto legislativo n. 368/2001 il quale stabilisce che l’onere della prova relativa alla oggettiva sussistenza delle ragioni che giustificano ciascuna proroga del termine è posta a carico del datore di lavoro.
Anche la prosecuzione di fatto oltre i limiti massimi stabiliti dalla legge comporta la conversione in contratto a tempo indeterminato dalla data del superamento di detti limiti.
Mentre la riassunzione del lavoratore occupato a termine con altro contratto a tempo determinato prima del decorso degli intervalli temporali minimi fissati dall’articolo 5, comma 3, fa sì che il secondo contratto si consideri ope legis a tempo indeterminato.
Inoltre, l’intero rapporto si trasforma a tempo indeterminato, sin dall’instaurazione sulla base del primo contratto a termine, quando il secondo viene stipulato in frode alla legge (articolo 5, comma 4, decreto legislativo n. 368/2001).
Con riferimento alla violazione dell’articolo 5, comma 4-bis, su un piano sanzionatorio, come detto, si ha una conversione del nuovo contratto a termine in rapporto a tempo indeterminato, sia nel caso in cui le parti lo abbiano stipulato senza il rispetto della prescritta procedura, sia in ipotesi di superamento del termine stabilito nel contratto stesso, così come definito dagli avvisi comuni.
Da ultimo vale la pena ricordare che incorre in una sanzione pecuniaria amministrativa (da euro 25 a euro 154 nell’impresa che occupa fino a 5 lavoratori; da euro 154 a euro 1.032 se si tratta di più di 5 lavoratori) il datore di lavoro che non corrisponde al lavoratore a tempo determinato ferie, gratifica natalizia o tredicesima mensilità, TFR e ogni altro trattamento in atto nell’impresa per i lavoratori con contratto a tempo indeterminato comparabili, salvo che non sia obiettivamente incompatibile con la natura del contratto a termine (articolo 6, decreto legislativo n. 368/2001).
Si comprende agevolmente, dunque, come il sistema sanzionatorio che governa il lavoro a tempo determinato si concentri sulla puntuale verifica del rispetto dei limiti legali posti all’overflow di ricorso al termine, sia per quanto attiene alla stipulazione, sia per quanto riguarda la proroga o la prosecuzione, sia per quanto attiene allo svolgimento del rapporto, per quanto dopo la novella introdotta dal decreto-legge n. 34/2014 questi limiti siano stati fortemente alleggeriti in forza della possibilità di instaurare un rapporto a termine acausale di durata complessiva fino a 36 mesi, per cui una corretta gestione della vicenda contrattuale potrà assicurare il rispetto della legge ed evitare di incorrere in sanzioni.
3. Nota bibliografica
Per un inquadramento generale sui profili normativi, nonché sanzionatori, del contratto a tempo determinato si vedano i contributi di: X. Xxxxxxxxxx, L’apposizione del termine al contratto di lavoro: il nuovo quadro legale, e X. Xxxxxxxxxx, La nuova disciplina della successione dei contratti a termine: il regime transitorio e il potere derogatorio della contrattazione collettiva, entrambi in X. Xxxxxxxxxx (a cura di), La riforma del lavoro pubblico e privato e il nuovo welfare, Xxxxxxx, Milano, 2008, 3 s.; V. De Xxxxxxx, Le modifiche alla disciplina del contratto a termine, in X. Xxxxxxxx, X. Xxxxxxxx (a cura di), Commentario alla legge n. 133/2008. Lavoro privato, pubblico e previdenza, Ipsoa, Milano, 2009, 400 s.; X. Xxxxx (a cura di), Il nuovo lavoro a termine. Commentario al D.Lgs. 6 settembre 2001, n. 368, Xxxxxxx, Milano, 2002. Sia consentito inoltre rinviare a P. Rausei, Illeciti e sanzioni. Il diritto sanzionatorio del lavoro, Ipsoa, Milano, 2013, 1049 ss.