Quesito Tributario n. 185-2016/T. Scadenza del termine per la riserva di nomina: riflessioni in tema di iva
Quesito Tributario n. 185-2016/T. Scadenza del termine per la riserva di nomina: riflessioni in tema di iva
Risposta dell'8 agosto 2016
Si espone la seguente fattispecie: “Xxxxx e Xxxx stipulano per scrittura privata non autenticata un contratto preliminare di compravendita immobiliare soggetto ad iva nel gennaio del 2013 prevedendo una data di adempimento per la redazione del contratto definitivo al 31 luglio 2013. Tale preliminare contiene una “riserva di nomina da sciogliere all’atto del definitivo”. Ad oggi il definitivo non è stato perfezionato e il preliminare è stato registrato tardivamente. Il promittente acquirente non vuole più acquistare e ha trovato un altro acquirente.
Poiché il termine di scioglimento della riserva di nomina è spirato, e comunque in base alla ris. n.212/E dell’11 agosto 2009, un termine genericamente indicato come “data del contratto definitivo” non è idoneo ad attivare la procedura di variazione in diminuzione dell’iva ai sensi dell’art.26, comma 2, d.p.r. n. 633/1972, si chiede, in alternativa se:
- la cessione del contratto preliminare a terzi possa essere una soluzione, nel senso che il nuovo promissario acquirente restituirebbe direttamente al primo quanto da questi versato al promittente venditore (ceduto) e pagherebbe solo il saldo direttamente al costruttore venditore;
- in questo caso l’iva, a suo tempo versata, non vada perduta”.
Sul regime fiscale applicabile alla riserva di nomina, esaminata anche per differenza con la cessione del contratto con riferimento al contratto preliminare si rinvia in via preliminare e generale alle considerazioni già svolte nello studio n.32-2007/T, Osservazioni in merito alla tassazione del contratto preliminare per persona da nominare (nell’imposta di registro e nell’iva), (est. Tassani), in Studi e materiali, 2008, 221.
In tale occasione si era osservato come “occorre in primo luogo considerare come le modalità ed il termine previsti dall’art. 32 per la dichiarazione di nomina differiscano da quelli di cui all’art. 1402 c.c. Tale ultima disposizione, infatti, prevede che la forma della dichiarazione di nomina e della procura o accettazione del nominato debba essere la stessa che le parti hanno usato [1] per il contratto [2] e che la dichiarazione deve essere comunicata all’altra parte nel termine di tre giorni, salvo diversa previsione contrattuale. L’art. 1402 c.c., poi, prevede che la dichiarazione di nomina non ha effetto se non è accompagnata dall’accettazione del nominato oppure se non esiste procura anteriore al contratto. Non solo la disposizione fiscale non considera in nessun modo l’accettazione del nominato (o la procura anteriore), ma introduce, come visto, requisiti di forma non presenti negli artt. 1402/3 c.c. ed una disciplina dei termini che solo apparentemente corrisponde a quella codicistica, visto che, ai sensi dell’art. 32, il termine di tre giorni non pare poter essere derogato.
In questa prospettiva, risulta evidente come la finalità della disciplina fiscale non sia quella di introdurre condizioni e termini di efficacia che si aggiungono o sostituiscono a quelli codicistici, bensì regolare le conseguenze di ordine tributario in modo parzialmente differente dagli effetti giuridici prodotti dalla dichiarazione di nomina.
Sono evidenti le ragioni di cautela fiscale, tese ad evitare che la riserva di nomina venga utilizzata “per coprire un doppio trasferimento dal promittente allo stipulante e da questi all’eletto, e per mandare quindi ad effetto una facile frode fiscale”. (…) La tutela dell’interesse fiscale ha però spinto il legislatore ad apprezzare la dichiarazione di nomina effettuata senza i requisiti di forma oppure il rispetto dei termini di cui all’art. 32, Dpr 131/86, alla stregua della conclusione di un nuovo contratto, avente gli stessi effetti di quello precedente, tra il soggetto stipulante ed il soggetto nominato. In questi casi, infatti, è dovuta la medesima imposta prevista per l’atto cui la dichiarazione si riferisce. Simile disposizione è stata fortemente criticata in dottrina, e sospettata anche di legittimità costituzionale ma, a ben vedere, si presenta particolarmente gravosa nelle ipotesi di dichiarazione di nomina relativa ad un contratto definitivo.
In caso di dichiarazione di nomina che non avvenga alle condizioni di cui all’art. 32 e che si riferisca ad un contratto preliminare, l’imposta prevista “per l’atto cui si dichiarazione si riferisce” è infatti l’imposta fissa, ai sensi dell’art. 10, Dpr 131/86 [3]”.
Proprio in conseguenza di una certa prassi negoziale circa la redazione delle clausole relative alla riserva di nomina, l’Agenzia delle entrate aveva ritenuto di dovere precisare alcuni distinguo di carattere tributario con la ris. n.212/E del 2009 in relazione ai quali, successivamente si era dato conto nella risposta a Quesito Tributario n. 817-2013/T, Art. 32 d.p.r. n. 131/1986 - preliminare per sé e per persona da nominare seguito dalla stipula di un contratto definitivo a favore di soggetto diverso dal promissario acquirente, (est. X. Xxxxxxxx) pubblicato in CNN notizie del 30 settembre 2014.
In tale risposta, era stato infatti posto in evidenza come “con riguardo alla clausola - molto frequente nella prassi – che stabilisce l’effettuazione della nomina con riferimento alla stipula del definitivo, si riscontra, a nostro avviso, sia in dottrina che in giurisprudenza una certa confusione e sovrapposizione del preliminare per persona da nominare con la figura del preliminare rivolto ad un definitivo per persona da nominare. In particolare la dottrina avverte del rischio che, a fronte di alcune modalità redazionali di queste clausole, la volontà delle parti non sia intesa come volta a conferire alla nomina effetti ex tunc, e quindi a produrre un mutamento soggettivo riferito al preliminare, con la conseguenza, secondo una tesi, che la dichiarazione di nomina, fiscalmente irregolare, sarebbe riferita al contratto definitivo e tassata, pertanto, come questo”.
Pertanto, nei limiti in cui, nel caso concreto, sarà possibile considerare, la clausola a suo tempo apposta, come riferita al contratto preliminare, in forza della stessa sarà consentito procedere ad un nuovo preliminare esercitando in quel frangente la nomina. In relazione a tale atto, per le ragioni sovra esposte, sarà dovuta l’imposta in misura fissa di cui all’art.10 della tariffa parte I allegata al TUR, per effetto dell’applicazione dell’art.32 del medesimo testo unico. In questo caso per effetto della dichiarazione di nomina in capo al venditore sorge il diritto di attivare la procedura di variazione ex art.26 del d.p.r. n.633/1972, relativamente all’imposta addebitata allo stipulante sull’acconto. In questo modo, al momento della conclusione del contratto definitivo, al soggetto nominato acquirente dovrà essere emessa fattura per l’intero importo previsto in contratto (così come confermato dalla ris. n.212/E del 2009).
Tuttavia, qualora si ritenga – nel caso concreto – di non poter intendere la clausola relativa alla riserva di nomina riferita al preliminare e di dovere, dunque, riferire la stessa al contratto definitivo (con conseguente applicazione dell’imposta “stabilita per l’atto cui si riferisce la dichiarazione” ovverosia l’imposta di registro proporzionale disposta per i trasferimenti onerosi di immobili), occorre verificare se e in che termini sia possibile assoggettare a una diversa tassazione eventuali diverse e successive manifestazioni della volontà dei soggetti coinvolti nelle pattuizioni originarie in cui tale riserva era stata esplicitata, mantenendo ferma la constatazione della natura antielusiva dell’art.32 citato.
Il carattere residuale della formulazione dell’ultimo inciso dell’art.32 e la sua natura antielusiva potrebbero infatti deporre in senso negativo.
Tuttavia, sul punto della possibilità di riqualificazione della dichiarazione di nomina da effettuare “all’atto del definitivo” come cessione del contratto, si segnala la risposta al Quesito tributario n.237-2007/T, In tema di «Tassazione del preliminare per persona da nominare», (est. Xxxxxxx) in CNN notizie del 22 febbraio 2008 dal quale si evince come in questi casi la successiva dichiarazione di nomina potrebbe presentarsi o quale cessione del contratto preliminare oppure quale cessione del contratto definitivo a seconda del momento in cui la stessa interviene: “non sembrerebbe infatti possibile “riqualificare” il contratto preliminare in contratto definitivo, che attua il trasferimento della proprietà dell’immobile. La natura preliminare dell’atto stipulato non viene meno per il solo fatto della inefficacia della riserva di nomina e della dichiarazione di nomina, dovendo essere ricostruita in base ad altri elementi. Sembrerebbe invece possibile procedere ad una “riqualificazione” della successiva dichiarazione di nomina che, in questo senso, potrebbe presentarsi o quale cessione del contratto preliminare oppure quale cessione del contratto definitivo a seconda del momento in cui la stessa interviene. Se essa avviene in modo non contestuale alla stipula del definitivo, ma in un momento logicamente e giuridicamente precedente, si dovrebbe verosimilmente ritenere di essere in presenza della cessione del contratto preliminare, con applicazione dell’art. 31, Dpr 131/86 e quindi dell’imposta in misura fissa”.
In particolare sul regime fiscale ai fini dell’imposta di registro della cessione di contratto preliminare si rinvia nuovamente allo Studio n.32-2007 par. 3.2, che dopo aver criticamente esposta la tesi della riconducibilità della cessione onerosa all’art. 9 della tariffa parte I allegata al TUR (3%), conclude per l’applicazione dell’imposta fissa.
Ai fini iva è stato inoltre precisato che “la definitività delle posizioni giuridiche, anche dal punto di vista fiscale, del cedente e del cessionario nei confronti del venditore non pare però poter consentire a quest’ultimo di detrarre l’imposta che è stata addebitata ad un soggetto distinto che, nel momento in cui l’operazione è stata effettuata, era parte sostanziale del rapporto. A parte il problema applicativo del mancato possesso della fattura (che è stata emessa ad un soggetto distinto), per insegnamento costante, prima di tutto, della Corte di Giustizia, il diritto di detrazione sorge nello stesso momento in cui la operazione è effettuata e le condizioni che sorreggono l’esercizio del diritto debbono in quel momento verificarsi”.
Ciò premesso in termini generali, la cessione onerosa (ancorché eventualmente non corrispettiva) del contratto preliminare sarà soggetta all’imposta fissa ai sensi dell’art.10 della tariffa parte I allegata al TUR, quale aliquota “propria” del contratto ceduto (art.31 del TUR).
Quanto agli acconti già pagati occorre considerare la seguente alternativa.
Sulla scorta di precedenti risposte già pubblicate pare potersi argomentare che l’adempimento parziale effettuato dal cedente debba qualificarsi come adempimento del terzo ai sensi dell’art.1180 c.c.. L’adempimento del terzo, secondo la tesi prevalente in dottrina e in giurisprudenza, costituisce un negozio astratto, intendendo per esso un negozio in cui la causa pur sempre esiste ed è rilevante, ma è esterna. Alcuni hanno in proposito parlato di neutralità della causa, nel senso che il negozio, potrebbe essere giustificato dall’una o dall’altra causa, in specie credendi, solvendi o donandi [4]. Ne dovrebbe conseguire che, in assenza di rapporti sottostanti tra cedente e cessionario o di un intento liberale del primo nei confronti del secondo, si apre la via dell’arricchimento senza causa in relazione all’attribuzione di cui il nominato si giova in forza del suo subentro nel contratto [5], con conseguente obbligo d’indennizzo della correlativa diminuzione patrimoniale subita dal cedente, ai sensi dell’art. 2041 c.c. [6]. Pare opportuno segnalare, in relazione al diritto di rivalsa, un’opinione ricorrente in dottrina, in base alla quale l’adempimento del debito altrui costituirebbe tradizionalmente un’ipotesi di gestione d’affari ex artt. 2028 x.x., xxxxxxxxxxxx xx xxxx xxxxxxxx xxx xxxxxxxxx xxxxxxxx xx xxxxxxx xxx xxxxx nei confronti del debitore xxxxxxxx. Tale conclusione viene motivata sulla base della considerazione che l’atto del terzo che abbia adempiuto spontaneamente e la correlativa estinzione dell’obbligazione gravante sul debitore sarebbero sempre gestione utile per l’obbligato, con conseguente operatività a suo carico degli obblighi di rimborso sanciti dall’art. 2031, primo comma c.c. [7] (Risposta a Quesito tributario n. 308-2014/T Contratto per persona da nominare – obbligo di restituzione allo stipulante delle somme versate – clausola in atto - imposta di registro, est. Xxxxxxxxxx, pubblicato in CNN notizie del 24 giugno 2014).
In forza di questa ricostruzione, l’accettazione della cessione del contratto da parte del venditore, con il riconoscimento e la, conseguente, imputazione al cessionario degli acconti già versati dal cedente, rende quest’ultimo un terzo che abbia parzialmente proceduto al pagamento, così da configurare (in mancanza di altra causa) un indebito arricchimento in capo al cessionario, che sarà tenuto a restituire l’importo corrispondente in virtù di disposizione di legge, senza che ciò assuma una valenza negoziale. Coerentemente con tale ricostruzione, il cessionario sarà tenuto a corrispondere all’originario venditore solo la parte di prezzo residuo, al netto degli acconti già pagati dal cedente. Appare dunque evidente che solo tale quota di prezzo potrà essere fatturata al cessionario, mentre la quota già corrisposta a titolo di acconto resterà fatturata al cedente il contratto, con evidenti, ma inevitabili, disarmonie.
Tale soluzione interpretativa pare avvalorata dalla posizione espressa al par. 2 della Nota n. 114394 del 16 settembre 2011 dall’Agenzia delle entrate - Direzione regionale della Lombardia riguardo appunto alla cessione del contratto con corrispettivo. In tale occasione è stato precisato che “la cessione attua una successione a titolo particolare per atto tra vivi nel rapporto giuridico contrattuale, operando la sostituzione di un nuovo soggetto (cessionario) nella posizione giuridica, attiva o passiva, di uno degli originari contraenti (cedente). Poiché il contratto preliminare è soggetto, di regola, all'imposta di registro in misura fissa, ex art. 10 della Tariffa Parte Prima allegata al TUR, anche la sua cessione sconterà l'imposta in misura fissa. Qualora sia previsto un corrispettivo per la cessione del contratto preliminare, a favore del cedente o del contraente ceduto o di entrambi, sarà dovuta l'imposta proporzionale del 3% ai sensi dell'art. 9 della Tariffa Parte Prima allegata al TUR. La cessione di un contratto preliminare determina, inoltre, la possibilità, per il cessionario, subentrato nei diritti del cedente, di detrarre al momento della registrazione del definitivo, le imposte proporzionali eventualmente pagate dal cedente sulla caparra e/o sull'acconto, con la registrazione del contratto preliminare, poiché il cessionario viene a sostituirsi nella identica posizione contrattuale del cedente”.Se dunque il cessionario, subentrato nei diritti del cedente può giovarsi delle imposte già da quest’ultimo corrisposte, ciò conferma che, in mancanza di una delle cause sopra evidenziate, si configura un indebito in ragione del quale il cessionario deve operare la restituzione delle somme al cedente. Ovviamente tale ragionamento valido ai fini della tassazione degli atti nell’ambito dell’imposta di registro non può mutare nella sostanza in conseguenza dell’assoggettamento ad iva.
A diverse conclusioni si può giungere se si ammette che, ordinariamente o pattiziamente, lo schema negoziale possa essere ricostruito in modo differente. Si potrebbe infatti sostenere che il venditore nel prestare il proprio consenso alla cessione del contratto effettui la restituzione al cedente il contratto delle somme ricevute a titolo di acconto. Ciò comporterebbe per il cessionario l’obbligo di corrispondere all’atto del definitivo l’intero prezzo pattuito non potendosi giovare degli acconti a suo tempo versati dal cedente, con conseguente integrale fatturazione della somma. Rispetto a queste conclusioni fiscali nulla cambierebbe se, per economia negoziale, il venditore delegasse il cessionario (nuovo acquirente) alla restituzione della somma, già corrisposta a titolo da acconto dal cedente, a quest’ultimo.
Circa la rilevanza della delegazione ai fini dell’imposta di registro nella risposta a Quesito tributario n. 49– 2011/T si era osservato che “- anche nel caso in cui la delegazione di pagamento si consideri autonoma disposizione ai fini fiscali, pur nell’ipotesi in cui s’inserisca in una più complessa articolazione negoziale - che non pare affatto scontata l’applicazione dell’imposta di registro con l’aliquota del tre per cento ai sensi dell’art. 9 della tariffa allegata al DPR 131/1986. Dando distintamente rilievo all’incarico delegatorio e ai negozi alla base del rapporto di provvista da una parte e di valuta dall’altra (fermo restando che, laddove la delegazione sia titolata, il rapporto di valuta sottostante rileverà se ed in quanto esplicitato nell’atto di assunzione dell’obbligazione delegatoria) si giunge a concludere che, nell’ipotesi di delegazione di pagamento, l’incarico delegatorio dovrà essere assoggettato al trattamento fiscale del mandato ai fini dell’imposta di registro ai sensi dell’art. 11 della tariffa, il quale prevede l’applicazione dell’imposta stessa non già in misura proporzionale, ma fissa (in questo senso si veda Xxxxxxxx, Formulario notarile commentato, Milano, 2001, 678). Più dubbia appare invece l’esclusione della delegazione promissoria dall’ambito applicativo dell’art. 21, terzo comma, poiché similmente all’accollo la delegatio promittendi comporta l’assunzione di un debito altrui, anche se si dovrebbe propendere per la soluzione negativa in quanto solo per l’accollo si ritiene che la sua causa debba essere identificata in quella del contratto principale laddove acceda, appunto, ad un altro contratto. Muovendo da tale considerazione anche la delegazione promissoria, che s’inserisca in una vicenda negoziale più complessa, dovrebbe allora ritenersi autonoma disposizione ai fini fiscali, da assoggettare all’imposta di registro nella misura proporzionale del 3% ai sensi dell’art. 9 della tariffa allegata al TUR, da applicarsi sulla base imponibile costituita dall’importo dell’obbligazione assunta ai sensi dell’art. 43, comma 1 lettera c) e comma 2 (cfr. Xxxxxxxx, cit., 673). (Per una diversa ricostruzione in tema cfr. Busani, Manuale dell’imposta di registro, Milano, 2009, 820, secondo il quale il comma 3 dell’art.21 deve considerarsi una specificazione della disposizione di cui al precedente comma, con la conseguenza che “sia l’accollo che la delegazione possono essere clausole accessorie di un più ampio contratto oppure possono essere atti dotati di una propria autonomia: in quest’ultimo caso hanno una propria autonoma tassazione, nel primo caso invece la loro tassazione è “assorbita” dal complessivo contesto cui essi accedono”)”.
Infine, qualora si ritenga che, per la natura antielusiva dell’art.32 del TUR, la cessione di contratto preliminare non sia idoneo a “disattivare” gli effetti prescritti dall’ultimo periodo di tale disposizione, con la conseguente applicazione dell’imposta proporzionale prevista per il contratto definitivo di trasferimento del bene, si potrebbe allora valutare la possibilità di procedere alla risoluzione per mutuo dissenso dell’originario contratto preliminare e contestuale stipula di nuovo contratto preliminare o definitivo. Tale schema negoziale – laddove ammissibile (cfr. Studio Civilistico n. 434-2012/C Il mutuo dissenso, est. Xxxxxx, pubblicato in CNN notizie 24 maggio 2013; Studio Civilistico n. 52-2014/C Sul mutuo dissenso in generale e, in specie, parziale del contratto di donazione, est. Ceolin, pubblicato in CNN notizie del 15 aprile 2014) – determinerebbe per il venditore originario la restituzione delle somme precedentemente acquisite a titolo di acconto e consentirebbe di applicare le ordinarie regole sulla cessione dei beni tra i nuovi contrenti, potendo comunque il venditore, nel caso, ricorrere alla delegazione di pagamento. Come è noto, tuttavia, in merito alla rilevanza fiscale dell’atto di mutuo dissenso di trasferimento oneroso di bene immobile non si è in grado di segnalare un’interpretazione univoca della giurisprudenza di legittimità (si rinvia alle considerazioni svolte nello Studio Tributario n. 142-2014/T La rilevanza tributaria dell’atto di mutuo dissenso e delle prestazioni derivanti dalla risoluzione, est. Mastroiacovo, pubblicato in CNN notizie il 6 febbraio 2015).
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[1] Anche se non prevista dalla legge, CORTE CASS., sent. n. 21140 del 4/11/2004; ID., n. 15164 del 29/11/2001.
[2] E’ disposto inoltre che se per il contratto è richiesta a determinati effetti una forma di pubblicità, deve agli stessi effetti essere resa pubblica anche la dichiarazione di nomina, con l’indicazione dell’atto di procura o dell’accettazione della persona nominata. La forma è prevista dal codice a pena di nullità: CORTE CASS., sent. n. 1330 del 8/9/1970.
[3] Così anche FORMICA, op.cit., 684. Occorre richiamare sul punto le considerazioni svolte da XXXXXXXX, Studio n. 597 bis, cit., secondo cui “la clausola normalmente ricorrente nei preliminari di vendita, che consente di effettuare la nomina in sede di definitivo (e quindi per lo più oltre i tre giorni), può dar luogo ad inaspettate e pesanti pretese impositive ai sensi dell'art. 32 citato. Più precisamente il definitivo potrebbe essere tassato come contenente una implicita ancorché inespressa dichiarazione di nomina di altro soggetto e quindi come produttivo di un duplice effetto traslativo. Occorrerà pertanto valutare assai prudentemente l'utilizzo di formule, assai ricorrenti nella prassi, in base alle quali la facoltà di nomina è differita al contratto definitivo e quindi sostanzialmente riferita a quest'ultimo negozio. Assai più rassicurante risulterà infatti utilizzare clausole dalle quali si evinca senza possibilità di dubbi che la clausola è riferita solo ed esclusivamente al preliminare: invero, in tale ipotesi, la nomina successivamente effettuata anche oltre i tre giorni potrà tutt'al più legittimare l'ufficio, ai sensi dell'art. 32 del t.u., alla percezione di un'ulteriore imposta fissa. Ciò in quanto il medesimo art. 32 dispone che la nomina effettuata in difformità da quanto prevede la norma (e cioè oltre i tre giorni) legittima l'applicazione dell'imposta relativa al contratto cui la nomina stessa si riferisce; trattandosi pertanto di nomina riferita a contratto preliminare sarà in ogni caso dovuta, come si diceva, la sola imposta fissa”.
[4]Gazzoni, Manuale di diritto privato, Napoli, 1996, 780. È anche frequente, specie nei contratti preliminari di vendita immobiliare, che lo stipulante (ad esempio un genitore), dopo aver pagato in parte o per intero il prezzo pattuito per il definitivo effettui la nomina per spirito di liberalità nei confronti dell’eligendo (ad esempio il figlio). In questo caso tra stipulante e persona nominata intercorrerebbe una donazione indiretta, con i conseguenti obblighi di collazione (art. 737 c.c.) di imputazione (art. 564 c.c.) nonché di riducibilità per lesione della legittima e la revocazione per ingratitudine o sopravvenienza di figli
[5] Cfr. anche qui Chianale, Il contratto per persona da nominare, in X. Xxxxxxxxx (a cura di), I contratti in generale, Milano, 2006, 1305.
[6] Lo strumento della rivalsa del terzo adempiente secondo alcuni va essenzialmente individuato nell’azione di arricchimento senza causa, il che oltre a rispondere all’esigenza di una concreta valutazione dell’effettivo vantaggio per il debitore connesso all’impoverimento dell’adempiente, appare pienamente conforme, sul piano sistematico, alla funzione sussidiaria di tale azione, quale meccanismo di recupero di qualsiasi spostamento patrimoniale sine causa, cui non sia possibile ovviare attraverso il ricorso ad altra azione per farsi indennizzare il pregiudizio subito. Così si esprime Turco, L’adempimento del terzo, in X. Xxxxxxxxxx (diretto da), Il Codice civile, Commentario, Milano, 2002, 216-217, richiamando Xxxxxx, L’adempimento dell’obbligo altrui, Milano, 1936, 229 e Breccia, L’arricchimento senza causa, in Trattato Xxxxxxxx, vol. IX, Torino, 1984, 833
[7] In questo senso si veda Xxxxxxx, op. loc. ult. cit.. Si sottolinea, d’altra parte, che l’effettivo ambito applicativo dell’istituto ex art. 2028 c.c. in relazione alla fattispecie dell’adempimento del terzo debba essere delimitato per un verso in relazione alla concreta sussistenza dei requisiti per l’applicabilità della disciplina della gestione d’affari altrui ed, in specie, con riferimento all’’impossibilità per il gerito di provvedere da sé stesso ex art. 2028 primo comma c.c. agli atti compiuti dal gestore, per altro verso in relazione all’effettiva esistenza di una utilità per il debitore. Sul punto Turco, L’adempimento del terzo, in X. Xxxxxxxxxx (diretto da), Il Codice civile, Commentario, Milano, 2002, 210 ss.