COLLEGIO DI NAPOLI
COLLEGIO DI NAPOLI
composto dai signori:
(NA) MARINARI Presidente
(NA) MAIMERI Membro designato dalla Banca d'Italia
(NA) XXXXXXXX Membro designato dalla Banca d'Italia
(NA) XXXXXXX Membro designato da Associazione rappresentativa degli intermediari
(NA) BARENGHI Membro designato da Associazione rappresentativa dei clienti
Relatore XXXXXXX XXXXXXXX
Nella seduta del 08/07/2015 dopo aver esaminato:
- il ricorso e la documentazione allegata
- le controdeduzioni dell’intermediario e la relativa documentazione
- la relazione della Segreteria tecnica
FATTO
Con ricorso presentato in data 29 dicembre 2014, il ricorrente chiede che venga riconosciuta la nullità della “clausola del tasso minimo (…) non concordata e vessatoria”, applicata dalla parte convenuta al contratto di mutuo fondiario ipotecario stipulato con la stessa nell’aprile del 2009. L’istanza del ricorrente si fonda su una consulenza resa al ricorrente medesimo da apposita società e oggetto di articolo pubblicato sul quotidiano “Il Sole 24 Ore”. In tale articolo viene rilevato come, attraverso la suddetta clausola, venga inserito, all’interno del contratto di mutuo, un vero e proprio strumento derivato (opzione floor), senza però che la parte convenuta, quale acquirente del derivato, provveda al pagamento dell’opzione acquistata (premio) e, dapprima, informi il suo cliente circa la previsione di tale clausola, venendo meno così al dovere di trasparenza. In tal modo dunque, sarebbe stato violato il TUF. Richiede pertanto che sia eliminata la suddetta clausola e che sia risarcito il danno causato.
In sede di repliche alle controdeduzioni, il ricorrente ha precisato ancora come:
- la clausola che dispone una soglia minima al tasso d’interesse variabile (c.d. floor al 2,65%), non è “mai stata pubblicizzata e/o rappresentata al cliente prima della stipula e peraltro non adeguatamente evidenziata nemmeno nel contratto di mutuo”. Di fatti
l’intermediario non dimostra di aver consegnato al ricorrente il foglio informativo contenente le condizioni economiche che sarebbero poi state trasfuse nel contratto, limitandosi a produrre un foglio informativo relativo ad una tipologia di finanziamento differente a quello poi stipulato;
- la clausola de qua riproduce sostanzialmente un derivato che copre unicamente l’intermediario da un’eccessiva caduta dei tassi e a fronte della cui stipula, innanzitutto, non è stato riconosciuto al mutuatario alcun corrispettivo. Il ricorrente pertanto è stato costretto a pagare quasi sempre il tasso minimo del 2,65%, anziché il meno gravoso tasso variabile, senza che la parte convenuta a titolo di “corrispettivo” gli avesse riconosciuto alcuna agevolazione, come ad esempio la riduzione dello spread.
In virtù di quanto osservato, il ricorrente asserisce la violazione degli obblighi di trasparenza previsti dal TUB oltre che delle norme che richiedono la specifica e informata accettazione delle clausole vessatorie da parte del consumatore e delle disposizioni del TUF in materia di prodotti finanziari.
In sede di controdeduzioni, la parte convenuta asserisce che l’odierno ricorrente aveva stipulato con la stessa un mutuo ipotecario fondiario a stato avanzamento lavori di originari 90.000,00 euro; fu erogato un primo acconto di 32.000,00 euro e un successivo di 20.445,00 euro con un periodo iniziale di 12 mesi di preammortamento prorogato di ulteriori 24 e una durata complessiva ad oggi concordemente estesa al 28 ottobre 2030. Tale contratto stabiliva per il ricorrente l’obbligo di corrispondere a controparte interessi corrispettivi sulla somma erogata da computarsi ad un tasso variabile pari al parametro EURIBOR 3 mesi con conteggio giorni 360/360 tempo per tempo vigente, arrotondato ai
10 centesimi superiori, aumentato di 1,10 punti percentuali di spread; per espressa previsione contrattuale, il tasso dell’operazione come sopra quantificato non poteva essere inferiore a 2,65% (c.d. tasso minimo o floor).
Ciò premesso in fatto, quanto alle contestazioni mosse dal ricorrente ritiene che l’articolo comparso nell’ottobre del 2014 sul “Il Sole 24 Ore” (la cui pubblicazione è stata sollecitata dallo stesso ricorrente) sia “privo di qualsiasi fondamento giuridico e giurisprudenziale”. Infatti, tale tipologia di clausola è diffusamente presente nei contratti di finanziamento degli intermediari bancari, in quanto, lungi dal perseguire meri fini speculativi, consente agli intermediari stessi di “mantenere una minima redditività alle operazioni di finanziamento anche in presenza di un forte ribasso dei tassi, il tutto senza dover gravare il cliente finanziato con uno spread eccessivamente penalizzante”. Richiama a tal proposito la pronuncia n. 305/2012 del Collegio di Napoli, che fa notare come tale clausola presenti anche un vantaggio per il cliente. Infatti, nel caso specifico, detta clausola ha consentito all’intermediario di applicare uno spread più favorevole dell’1,10%, a fronte dello spread dell’1,80%, standard, applicato normalmente alla clientela alla stessa tipologia di contratto (“Progetto casa mix”).
Quanto alla presunta vessatorietà della clausola medesima, si rileva come non sia
determinato alcuno squilibrio di diritti e obblighi a carico del consumatore. Inoltre, la parte convenuta ha osservato come la clausola rispetti le condizioni richieste dall’art. 34 del codice del consumo, in quanto sono individuati in modo chiaro e comprensibile gli elementi della stessa. Non solo. Il contratto è stato stipulato con la forma dell’atto pubblico da un notaio e ciò è di per sé garanzia di massima trasparenza e chiarezza, nonché prova della conoscenza e conoscibilità delle suddette clausole. Richiama a sostegno della sua posizione taluni precedenti dell’ABF in materia di clausole vessatorie (decisioni n. 668/2011 e n. 2688/2011). Infine, quanto alla richiesta di risarcimento del danno, eccepisce la carenza di elementi probatori comprovanti il danno lamentato.
In relazione alle rispettive argomentazioni, il ricorrente chiede all’ABF di: “1) dichiarare nulla la clausola del tasso minimo perché vessatoria e non concordata (vedi mail con
[l’intermediario] – relazione della [società di consulenza] – ulteriore recente sentenza Tribunale Reggio Xxxxxx). Se anche fosse opzione floor sarebbe contraria a quanto previsto dal TUF (v. relazione predetta e mancato pagamento dell’opzione acquistata, dovere di trasparenza); 2) rimborso dell’attuale danno causato quantificato sempre dalla [società di consulenza] (indipendente) in euro 1.900,00 (millenovecento); 3) eliminazione della predetta clausola contrattuale a spese dell’[intermediario]”.
L’intermediario chiede che l’Arbitro Bancario Finanziario voglia “dichiarare la legittimità della clausola prevedente un tasso di interesse minimo; dichiarare pertanto infondata la richiesta della parte ricorrente e, conseguentemente, rigettare il ricorso”.
DIRITTO
Osserva il Collegio che, ai fini della decisione della controversia, si rende necessario esaminare le due questioni sollevate dal ricorrente circa lo squilibrio economico delle posizioni delle parti e la scarsa trasparenza nella rappresentazione della clausola limitativa dell’indicizzazione, con particolare riferimento alla mancata quantificazione della soglia nel foglio informativo. Infatti, la principale contestazione mossa dal ricorrente riguarda la clausola di indicizzazione dei finanziamenti, la quale realizzerebbe di fatto un’opzione di tipo floor senza che il cliente sia stato adeguatamente informato dei rischi che assumeva sottoscrivendola.
Entrambe le censure non sono condividibili.
Per quanto attiene lo squilibrio economico introdotto nel contratto dalla clausola censurata, il Collegio osserva che in virtù di detta clausola lo spread applicato è ridotto da 1,80 (quale emerge dal foglio informativo per il mutuo ipotecario “progetto casa mix”, prodotto sottoscritto dal ricorrente) a 1,10, sicché a fronte della limitazione floor il mutuatario si giova di una agevolazione e ciò consente di non ritenere vessatoria la clausola de qua (cfr. la decisione di questo Collegio n. 350/2012 e n. 4191/15). A ciò si aggiunga, sotto il profilo della trasparenza, che nel documento di sintesi vengono riportate le condizioni economiche del finanziamento ed in particolare è stabilito che il tasso di ammortamento globale è pari al minimo di 2,65%.
Ancora in tema di trasparenza, dalla documentazione in atti si desume che dalla corrispondenza intervenuta tra il ricorrente e l’intermediario vi è stato un apposito accordo sugli spread, mentre nulla è riferito circa la previsione della clausola di indicizzazione. Quel che però a questo riguardo risulta assorbente è che nell’atto rogato innanzi al notaio, l’art. 6 espressamente e chiaramente dispone quanto segue: “2. Il tasso di interesse nominale annuo per il periodo di ammortamento è indicizzato al seguente parametro ‘media mensile Euribor tre mesi’, con conteggio giorni 360/360, dato pubblicato sul quotidiano ‘Il Sole 24Ore’ alla fine del mese antecedente il giorno di inizio di ciascuno dei successivi periodi di rata di ammortamento, maggiorata di 1,10 punti (…) 4. La parte finanziata e [l’intermediario] Banca si danno reciprocamente atto che, per tutta la durata del contratto, il tasso di interesse indicizzato, determinato ai sensi dei precedenti commi uno e due, non potrà in ogni caso essere inferiore alla soglia minima del 2,65% nominale annuo; la parte finanziata approva espressamente tale clausola contrattuale”. La forza probatoria connessa all’atto pubblico assorbe il profilo precontrattuale (della cui inadempienza da parte dell’intermediario, peraltro, non risulta prova liquida), nel senso che il mutuatario, avendo “letto firmato e sottoscritto” l’atto pubblico, ha avuto modo di essere edotto della clausola e, se avesse voluto, di contestarla.
Per completezza, è utile richiamare una decisione di questo Collegio (n. 2735 del 5
maggio 2014) con la quale, pur in mancanza di un vantaggio per il mutuatario, la clausola
de qua non è stata – e correttamente – definita come vessatoria. Nel caso là in esame, attraverso la predetta clausola “l’intermediario risulta essersi assicurato una soglia minima del tasso di interessi, premurandosi, in questa maniera, contro un eccessivo ribasso di tale tasso, in ragione delle fluttuazioni di mercato”, sicché, “che la clausola ‘floor’ (…) abbia prodotto l’effetto di arrecare un vantaggio economico al mutuante, senza peraltro assicurare alcun corrispettivo vantaggio al mutuatario, non è dubitabile. Si tratta ora di valutare se questo ‘squilibrio’ sia ammesso dal nostro ordinamento giuridico o, come opina il ricorrente, abbia resa illegittima la previsione convenzionale. Va preliminarmente chiarito che la clausola in oggetto non può dirsi vessatoria [rectius: ‘onerosa’] ai sensi dell’art. 1341, comma 2 c.c., che - come è noto - contiene un elenco di previsioni svantaggiose per l’aderente a condizioni generali di contratto, moduli o formulari predisposti dall’imprenditore, le quali per essere valide ed efficaci debbono essere specificamente approvate per iscritto. L’elenco contenuto nella disposizione appena richiamata, peraltro, per indirizzo giurisprudenziale consolidato, deve assumersi come tassativo (tra le varie pronunce: Cass. n. 9646/2006), senza alcuna possibilità di estensione analogica. La clausola di specie non vi rientra senz’altro. Ben più articolata appare la disciplina sulle clausole vessatorie ispirata dalla disciplina comunitaria, originariamente introdotta negli artt. 1469-bis e seguenti del codice civile e ora trasfusa negli artt. 33 ss. del codice del consumo (d.lgs. n. 206/2005). Il comma 1 dell’art. 33 cod. cons. chiarisce che vanno qualificate vessatorie le clausole che, nei contratti conclusi tra professionisti e consumatori, determinano, malgrado la buona fede, un ‘significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto’. Al di là del giudizio generale di vessatorietà appena richiamato, i commi seguenti del medesimo articolo e gli articoli successivi offrono chiari elementi normativi che impediscono di qualificare come vessatoria una clausola riguardante la variazione del tasso di interesse, salvo che non risulti formulata in modo chiaro e comprensibile. Il comma 6 dell’art. 33 chiarisce, infatti, che ‘le lettere n) e o) del comma 2 non si applicano alle clausole di indicizzazione dei prezzi, ove consentite dalla legge, a condizione che le modalità di variazione siano espressamente descritte’. Anche il comma 5 dell’art. 33 statuisce che “le lettere h), m), n) e o) del comma 2 non si applicano ai contratti aventi ad oggetto valori mobiliari, strumenti finanziari ed altri prodotti o servizi il cui prezzo è collegato alle fluttuazioni di un corso e di un indice di borsa o di un tasso di mercato finanziario non controllato dal professionista, nonché la compravendita di valuta estera, di assegni di viaggio o di vaglia postali internazionali emessi in valuta estera’. Pure il comma 2 dell’art. 34 cod. cons. chiarisce che la ‘valutazione del carattere vessatorio della clausola non attiene alla determinazione dell’oggetto del contratto, né all’adeguatezza del corrispettivo dei beni e dei servizi, purché tali elementi siano individuati in modo chiaro e comprensibile’. Alla luce delle previsioni appena richiamate, può dirsi chiara, in definitiva, la volontà legislativa di non consentire che il giudizio di vessatorietà si estenda anche alle clausole, è il caso di specie, destinate a remunerare il servizio di finanziamento erogato dal mutuante. Clausole del genere possono essere
sindacate, nel nostro ordinamento giuridico, sotto il profilo della vessatorietà, solo a
condizione che risultino formulate in modo oscuro e poco comprensibile. È da escludere, invece, una prospettiva di valutazione, quale suggerita dal ricorrente, che involverebbe un sindacato di ‘giustizia’, ove peraltro l’interprete stenterebbe a rinvenire indici sicuri di quello che andrebbe considerato come ‘giusto’ corrispettivo del servizio. (…) In conclusione, come già rilevato da questo Arbitro in altre occasioni (cfr. decisioni ABF, Collegio di Milano, n. 688/2011; Collegio di Roma, n. 2688/2011; Collegio di Napoli, n. 395/2012), una clausola ‘floor’, ove pure non adeguatamente compensata da una clausola ‘cap’, non può dirsi nulla o comunque inefficace, perché non v’è ragione di considerarla viziata da profili
di illegittimità” (nello stesso senso, anche se nei confronti di un non consumatore, cfr. la decisione di questo Collegio n. 305 del 1° febbraio 2012).
Il Collegio non accoglie il ricorso.
P.Q.M.
IL PRESIDENTE
firma 1