DIPARTIMENTO DI INGEGNERIA CIVILE E INDUSTRIALE
DIPARTIMENTO DI INGEGNERIA CIVILE E INDUSTRIALE
RELAZIONE PER IL CONSEGUIMENTO DELLA LAUREA MAGISTRALE IN INGEGNERIA MECCANICA
Applicazione della metodologia T.P.M. ad una linea di produzione elettroiniettori: il caso Continental
Relatori dipartimentali:
Prof. Xxx. Xxxxxxxx Xxxxxxx Dott. Xxx. Xxxxx Xxxxxxxxx
Tutor aziendale:
Dott. Ing. Brega Xxxxxxxxx Xxxxx
Candidato:
Xxxxxx Xxxxxxx
Anno Accademico 2012/13
Alla mia famiglia: la mia forza, il mio sostegno.
Applicazione della metodologia TPM ad una linea di produzione iniettori: il caso Continental
Xxxxxx Xxxxxxx
Dipartimento di Ingegneria Civile ed Industriale Universit`a di Pisa
Continental S.p.a.
Sommario
La seguente tesi `e stata sviluppata attraverso un percorso formativo di 6 mesi svolto presso l’azienda Continental Automotive, sede di Fauglia. Si basa sull’appli- cazione di concetti della filosofia T.P.M. all’interno del reparto di produzione di un iniettore di nuova generazione progettato e prodotto nello stabilimento stesso. Il lavoro svolto mira alla creazione di una metodologia TPM volta al consolidamento dei pilastri del Focus Improvement, Preventive Maintenance ed Educational and Training. La base di partenza `e stata quella di ottenere un sistema di raccolta dati efficiente ed affidabile al fine di poter determinare quali fossero le principali voci di perdita che andassero ad impattare sull’OEE della linea. Una volta ottenuto un deployment di come venisse distribuito il tempo destinato alla produzione, si `e proseguito introducendo una metodologia per catalogare e schedulare i progetti durante la fase di pianificazione. Una volta ottenuti dati affidabili, si `e focalizzata l’attenzione sui progetti volti alla riduzione delle principali voci di perdita riscon- trati; in particolare `e stato portato avanti un progetto di ottimizzazione del flusso di un componente critico e l’analisi FMECA del modulo che maggiormente impatta sul Machine Breakdown.
A completamento del percorso formativo hanno contribuito la gestione delle parti di ricambio dei moduli dell’area di assemblaggio e la formazione, attraverso formati, istruzioni ed OPL, del personale di linea per aumentare il livello di preparazione e aggiornare gli operatori delle migliorie apportate.
Applicazione della metodologia TPM ad una linea di produzione iniettori: il caso Continental
Xxxxxx Xxxxxxx
Dipartimento di Ingegneria Civile ed Industriale Universit`a di Pisa
Continental S.p.a.
Abstract
The following thesis has been developed through a six-month placement set at the Continental Automotive company, based in Fauglia. It is focused on applying the concepts of TMP philosophy within the production department of a new generation injector designed and produced in the factory itself. The work aims at creating a TPM methodology aimed at consolidating the pillars of the Focus Improvement, Preventive Maintenance and Educational and Training. The starting point was obtaining an efficient and reliable data collection system in order to determine which were the main items of loss that were going to impact the OEE of line. Once having had a distributed deployment of how the time for the production was distributed, the work continued by introducing a methodology to classify and schedule the projects during the planning phase. Having reliable data, the attention was focused in carrying out projects aimed at reducing loss of the main items found, in particular, it has been brought forward a project to optimize the flow of a critical component and the analysis FMECA of a module that impacts on Machine Breakdown the most.
The stage has been completed helping the management of spare parts of the modules in the assembly and the training, through formats, instructions, and OPL, of the line operator to increase the level of preparation and update operators from the improvements.
Indice
1 Stabilimento e tipo di produzione 1
1.1 Sommario 1
1.2 Generalit`a 1
1.3 Divisioni della Continental 2
1.3.1 Chassis & Safety 3
1.3.2 Powertrain 4
1.3.3 Interior 4
1.3.4 Tires 5
1.3.5 Contitech 5
1.4 Obiettivi e Storia 5
1.5 Continental Italy: lo Stabilimento di Pisa 7
1.6 Clienti 9
2 Il reparto Iniettore ad alta pressione 10
2.1 Sommario 10
2.2 Iniettore 10
2.3 Area assemblaggio 12
2.3.1 Banco di lavorazione dei sub-componenti 13
2.3.2 Linea di assemblaggio 13
2.3.3 Area controllo 14
2.3.4 Assemblaggio al collettore 15
3 Lean Production 16
3.1 Sommario 16
3.2 Lean production 16
3.3 Produzione 19
3.3.1 Kaizen 19
3.3.2 Pull-System 19
3.3.2.1 Kanban 20
3.3.3 Single Minute Exchange of Die (S.M.E.D.) 21
3.3.3.1 Fasi dello Smed: 21
3.3.3.2 Fase preliminare: Organizzare, osservare, registrare. 21
3.3.3.3 Fase 1: separare l’attrezzamento interno da quello esterno. 22
3.3.3.4 Fase 2: convertire l’attrezzamento interno in esterno 23
3.3.3.5 Fase 3: semplificazione di tutte le operazioni di set-up 23
3.3.3.6 Fase 4: Documentare le procedure interne ed esterne 24 3.4 Progettazione 24
3.4.1 Concurrent Engineering (C.E.) 25
3.4.2 Product Data Management (P.D.M.) 25
3.5 Logistica 25
3.5.1 Supply Chain Management (S.C.M.): 26
3.5.2 Heijunka 27
3.5.3 Value Stream Map (V.S.M) 28
3.5.4 Outsourcing 30
3.6 Manutenzione 31
3.6.1 Total Productive Maintenance (T.P.M.) 31
3.6.2 Computer Maintenance Management System (C.M.M.S.) 31
3.6.3 Condition Based Maintenance (C.B.M.) 32
3.6.4 5S 33
3.6.5 Visual Control 35
3.7 Qualita` 35
3.7.1 Total Quality Management (TQM) . . . . . . . . . . . . . . | 36 | |
3.7.2 Norma EN ISO-9001 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . | 36 | |
3.7.3 Xxxxxx . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . | 37 | |
3.7.4 Poka Yoke . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . | 38 | |
3.8 | Sicurezza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . | 38 |
3.8.1 Xxxxx XXXXX 00000 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . | 39 | |
3.8.2 D.lgs n.81 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . | 39 | |
3.8.3 Marcatura CE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . | 39 | |
3.9 | Ambiente . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . | 40 |
3.9.1 Xxxxx XX XXX 00000 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . | 40 |
4 Total Productive Maintenance 41
4.1 Sommario 41
4.2 Total Productive Maintenance 42
4.3 Fasi di un progetto TPM 44
4.3.1 Studio di fattibilit`a (durata 1 mese) 44
4.3.2 Pianificazione (durata 6-12 mesi) 45
4.3.3 Implementazione (durata minima 36 mesi) 45
4.3.4 Consolidamento 47
4.4 Analisi delle perdite 47
4.5 Politiche di manutenzione 53
4.5.1 Manutenzione a rottura 54
4.5.2 La Manutenzione Preventiva 54
4.5.3 La Manutenzione Secondo Condizione 56
4.5.4 La Manutenzione Migliorativa/proattiva 58
4.6 I pilastri della T.P.M.: 58
4.6.1 I Pilastro: Leadership 58
4.6.2 II Pilastro: Organizzazione 58
4.6.3 III Pilastro - Manutenzione Autonoma 59
4.6.3.1 Step 1: Ispezione e Pulizia iniziale 61
4.6.3.2 Step 2: Eliminazione delle fonti di contaminazionee
dei luoghi inaccessibili 63
4.6.3.3 Step 3: Creazione di standard di pulizia e controllo 64
4.6.3.4 Step 4: Condurre Ispezioni Generali dei macchinari 64
4.6.3.5 Step 5: Sistematicizzazione della Manutenzione Autonoma 65
4.6.3.6 Step 6: Completa realizzazione della manutenzione autonoma 65
4.6.4 IV Pilastro - Miglioramento Focalizzato 66
4.6.4.1 Step necessari per l’Introduzione del Miglioramento Focalizzato 68
4.6.4.2 Step 0 - Scelta dell’obiettivo e formazione del team
di lavoro. 68
4.6.4.3 Step 1 - Comprensione della situazione iniziale. 68
4.6.4.4 Step 2 - Identificazione ed eliminazione delle anomalie. 68
4.6.4.5 Step 3 - Analisi delle cause. 69
4.6.4.6 Step 4 - Pianificazione del miglioramento. 71
4.6.4.7 Step 5 - Implementazione del Miglioramento Foca- lizzato. 71
4.6.4.8 Step 6 - Controllo dei risultati. 71
4.6.4.9 Step 7 - Consolidamento dei risultati. 72
4.6.5 V Pilastro - Manutenzione Progressiva 72
4.6.5.1 Step necessari per l’implementazione della Manu- tenzione Progressiva 73
4.6.5.2 Step 1 - Valutazione delle macchine e comprensione
della situazione. 73
4.6.5.3 Step 0 - Xxxxxxxxxx xxx xxxxxxxxxxxxxx x xxxxx xx- xxxxx di progetto. 73
4.6.5.4 Step 3 - Costruzione di un sistema di gestione delle informazioni. 74
4.6.5.5 Step 4 - Costruzione di un sistema di Manutenzione Periodica. 75
4.6.5.6 Step 5 - Costruzione di un sistema di Manutenzione Predittiva. 75
4.6.5.7 Step 6 - Valutazione del sistema di Manutenzione Progressiva. 75
4.6.6 VI Pilastro: Formazione e addestramento 76
4.6.7 VII: Pilastro Qualit`a 77
4.6.8 VIII: Pilastro Amministrazione 77
5 Consolidamento del pilastro Focus improvement in Continental 79
5.1 Sommario 80
5.2 Acquisizione dati 80
5.2.1 Database downtime 82
5.2.1.1 Analisi AS-IS 83
5.2.1.2 Benchmarking reparto 2 e migliorie apportate: 86
5.2.2 Analisi dei dati 92
5.2.2.1 Deployment OEE 95
5.2.2.2 Machine downtime deployment 96
5.2.2.3 Pareto Machine Breakdown 97
5.3 Machine Breakdown: progetti svolti 101
5.3.1 Project List 101
5.3.2 Ottimizzazione flusso componente terminale 104
5.3.2.1 Componente terminale e tipologie: 105
5.3.2.2 Flusso dei componenti terminali: 105
5.3.2.3 Componenti terminali mandati in produzione ma
non lavorati 107
5.3.2.4 Punti critici: 108
5.3.2.5 Migliorie processo di approvviggionamento compo-
nenti terminali: 111
5.3.2.6 Aspetti secondari riscontrati 117
5.3.2.7 Contaminazioni al Modulo 1 117
5.3.3 Analisi FMECA modulo piantaggio 120
5.3.3.1 Procedura: 122
5.3.3.2 Terminologia: 123
5.3.3.3 Scale degli indici 126
5.3.3.4 Scomposizione del modulo 127
5.3.3.5 Individuazione componenti critici 133
5.3.3.6 Definizione lista ricambi/ politiche di manutenzione: 134
5.3.3.7 Migliorie apportate: 139
5.4 Change Type - Master Run: progetto svolto 142
5.4.1 Migliorie apportate: 143
6 Consolidamento del pilastro Manutenzione produttiva in Conti- nental 145
6.1 Sommario 146
6.2 Importanza di un efficiente gestione parti ricambio 146
6.3 Individuazione componenti/quantit`a da tenere a scorta 147
6.4 Classificazione dei componenti 148
6.4.1 Codici a disegno 150
6.4.2 Materiali Strategici 151
7 Consolidamento del pilastro Education and Training in Continen- tal 153
7.1 Sommario 154
7.2 Strumenti di formazione 154
7.3 Database della Formazione 158
8 Conclusioni 162
8.1 Fase I: Ottimizzazione sistema raccolta dati 162
8.2 Fase II: Interventi effettuati 163
8.2.1 Machine Breakdown 163
8.2.2 Change type - Master Run 164
8.3 Fase III: Formazione operatori 164
8.4 Risultati ottenuti: 164
Bibliografia 167
A Appendice 1 168
Capitolo 1
Stabilimento e tipo di produzione
1.1 Sommario
In questo capitolo viene fatta una breve introduzione del Gruppo Continental spiegando il modo in cui `e strutturato e descrivendo per ogni divisione il tipo di produzione che effettua e il mercato a cui si rivolge. In seguito viene descritta la mission dell’azienda; la parte finale `e dedicata alla storia della Continental facendo particolare riferimento alla sede Italiana di Fauglia, stabilimento in cui `e nato il seguente lavoro di tesi.
1.2 Generalit`a
Il Gruppo Continental `e stato fondato nel 1871. Con un fatturato di oltre 30 miliardi di euro riferito al 2011, il Gruppo Continental `e uno dei primi fornitori dell’industria automobilistica nel mondo. Come produttore di pneumatici, sistemi frenanti, sistemi e componenti per motore e telaio, strumentazione e soluzioni per informazione ed elettronica di bordo, Continental offre un cospicuo contributo alla sicurezza nella guida e alla protezione globale dell’ambiente. Occupa attualmente circa 164.000 dipendenti in 46 Paesi, 269 stabilimenti in 46 paesi e piu` di 26 miliardi
di euro di vendite nel 2007.
E` il leader di mercato in Europa per pneumatici
autovettura e trasporto leggero. I clienti Continental sono in tutto il mondo: Ducati, Lamborghini, Pegeout, Renault,Wolkswagen, Kia, Opel e Bmw. Nell’immaginario
collettivo quando si dice Continental si pensa esclusivamente alle gomme per auto. Da 15 anni, pero`, la corporate fa molte altre cose e il matrimonio riuscito del 2007 con Siemens VDO, altro colosso nel settore dei supplementi auto, ha messo le ali al gruppo nel mercato dell’automotive.
Figura 1.1: Continental nel mondo
In Italia, Continental conta piu` di 1.500 collaboratori operanti nella produzione, nella Ricerca & Sviluppo e nell’ambito commerciale (sales/ after-sales).
1.3 Divisioni della Continental
L’azienda fornisce pneumatici, prodotti elettronici e meccatronici per l’industria del settore automotive e nautico, sistemi di controllo dei freni, sistemi di sicurezza per i passeggeri, iniettori piezoelettrici, a solenoide e fuel rail. Continental Corporation si divide principalmente in due gruppi, composti da cinque divisioni.
Figura 1.2: Le 5 divisioni della Continental
1.3.1 Chassis & Safety
Sviluppa e produce prodotti e componenti nel campo della guida sicura sia passiva che attiva, sistemi di frenata elettro-idraulici per il controllo della stabilit`a del veicolo, sensori, sistemi di assistenza alla guida, sistemi antiurto airbag e sistemi di sospensione elettronici ad aria compressa. Ha 66 siti industriali in 19 paesi del mondo.
Figura 1.3: Le 5 divisioni della Continental
1.3.2 Powertrain
L’obiettivo della divisione Powertrain non `e solo quello di ottenere una guida piu` economica ed un minor impatto ambientale, ma anche quello di rendere l’esperienza della guida stessa piu` piacevole e meno stressante per il conducente. La divisione integra, a tale scopo, soluzioni innovative ed efficienti in tutte le classi del veicolo. Produce una gamma completa di prodotti per sistemi a benzina e diesel, come sensori, attuatori e sistemi di erogazione del carburante. Ha 64 siti produttivi in 21 paesi. Il portfolio include:
- sistemi di iniezione sia benzina che diesel;
- centraline elettroniche per la gestione del motore;
- unit`a di controllo della trasmissione incluso sensori e attuatori;
- sistemi di alimentazione di carburante.
Fornisce inoltre componenti e sistemi sia per mezzi ibridi che totalmente elettrici.
1.3.3 Interior
La divisione sviluppa e produce, a livello mondiale, sistemi elettronici per l’Au- tomotive e la componentistica. Questi sistemi permettono di controllare tutte le informazioni all’interno del veicolo come richiesto dal conducente o dalla situazione di guida. La serie di prodotti include:
- unit`a di controllo;
- sistemi di chiusura elettronica;
- sistemi di informazioni sullo stato dei pneumatici;
- radio;
- multimedia e sistemi di navigazione;
- sistemi di controllo del clima;
- soluzioni telematiche per l’abitacolo.
Ha stabilimenti di produzione in 93 locations in 25 paesi del mondo. Figura 8 Prodotti della divisione Interior
1.3.4 Tires
La divisione produce pneumatici di lunga durata per veicoli commerciali. La produzione ha luogo in 44 locations di 33 paesi. Inoltre, sviluppa e produce pneumatici per le vetture a trasporto leggero, per le vetture compact, medie e full-size, nonch´e pneumatici per SUV, furgoni, autocarri leggeri, camper e roulotte, con 54 stabilimenti dislocati in 35 paesi, attribuendo la massima importanza alla sicurezza dei clienti.
1.3.5 Contitech
La divisione ContiTech `e specializzata nell’uso del caucciu` e tecnologia delle materie plastiche. Ha 78 siti produttivi in 24 paesi. Commercializza prodotti come tubazioni, cinture di sicurezza, nastri trasportatori e sospensioni.
1.4 Obiettivi e Storia
Continental opera in una realta` di tecnologie intelligenti ed estremamente avanzate volte allo sviluppo della mobilita` e del trasporto. L’azienda ha l’obiettivo di fornire le migliori soluzioni per ciascuno dei suoi clienti, nell’ambito di ogni mercato di riferimento. In tal modo, tutti gli stakeholders potranno riconoscere nell’azienda un partner capace di creare grande valore aggiunto, altamente affidabile e rispettato. L’intento dell’azienda `e quello di dar riscontro alla comune esigenza di una migliore e piu` efficiente mobilita`, ivi compresi anche il trasporto di persone, d’informazioni e di materiali. Ci`o nasce dalla consapevolezza dell’importanza che mobilit`a e
trasporto ricoprono quotidianamente: l’obiettivo aziendale `e quello di contribuire a soddisfare al meglio le esigenze che nascono negli ambiti ad essi correlati. L’azienda, in qualita` di leader del settore, inventa, sviluppa, produce e commercializza soluzioni tecnologiche indispensabili, in particolare nell’ambito dei quattro mega trends di sicurezza, ambiente, informazione e automobili a prezzi accessibili. Eccelle, inoltre, nella creazione di valore, attraverso procedure efficaci, efficienti ed innovative, mantenendo, in corso d’opera, elevati standard di qualit`a. Pensieri e azioni sono sviluppati in un approccio olistico, sistematico e strutturato: cio` da` modo all’azienda di trasformare, piu` rapidamente dei propri concorrenti, le idee in produzione massiva. Tramite lo sviluppo di tecnologie avanzate, i sistemi e le soluzioni per i servizi, la mobilita` ed il trasporto sono resi piu` sostenibili, sicuri, confortevoli, personalizzati e convenienti. Si presenter`a a seguire una schematica descrizione dei principali eventi che hanno caratterizzato la storia dell’azienda.
- 8 Ottobre 1871: a Hannover viene fondata la compagnia Continental-Caoutchouc & Gutta-Percha come societ`a per azioni. La produzione includeva tessuti gommati, gomme piene per carrelli e biciclette, cos`ı come prodotti in gomma morbida.
- 1929: si fonde con le maggiori compagnie dell’industria della gomma tedesca per formare Continental Gummi-Werke AG.
- 1979: acquisisce le operazioni europee di pneumatici Uniroyal, Inc., USA.
- 1985: acquisisce le operazioni di pneumatici della Semperit, societ`a austriaca.
- 1987: acquisisce il produttore di pneumatici nord americano General Tire, Inc. La compagnia opera sotto il nome di Continental Tire North America, Inc. dal 2001.
- 1998: acquisisce l’unita` Automotive Brake and Chassis, una societa` americana il cui centro `e Xxxxxx Xxxxx GmbH a Francoforte.
- 1998/99: Continental rafforza la sua posizione di produttore di pneumatici mondiale con l’aggiunta di siti in Argentina, Messico, Sudafrica e Slovacchia, successivi step riguarderanno Brasile, Cile, Messico e Ungheria.
- 2001: Continental rafforza le sue attivit`a nel crescente mercato dell’elettronica automotive con l’acquisizione di Temic, specialista in elettronica, azienda integrata nella divisione Automotive Systems.
- 2003: rafforza la sua posizione in Asia e Australia, attraverso la definizione di una joint venture con la malese Xxxx Xxxxx Berhad, creando Continental Sime Tyre Sdn. Bhd.
- 2004: con l’acquisizione di Phoenix AG, ContiTech diviene il piu` grande specialista al mondo per la tecnologia della gomma e materie plastiche.
- 2006: Continental acquisisce il business Automotive Electronics della societ`a Motorola, che comprende attivit`a dei crescenti settori di controllo, sensori interni, elettronica e telematica.
- 2007: acquisisce Siemens VDO Automotive AG e rientra tra i cinque principali fornitori mondiali dell’industria automotive, incrementando al tempo stesso la sua posizione di mercato in Europa, Nord America e Asia.
1.5 Continental Italy: lo Stabilimento di Pisa
Lo stabilimento di Pisa fa parte della business unit Engine Systems della divisione Powertrain. La sua attivit`a ha avuto inizio nel gennaio 1987.
Figura 1.4: Sedi della Business Unit Engine System
La sede di San Piero a Grado, che ha dato origine alla sede di Pisa, `e nata nel 1987, grazie ad alcuni tecnici provenienti dall’azienda Spica di Livorno, gruppo Alfa Romeo, che fondarono la societ`a Ventec, entrando nel mercato della produzione di iniettori elettro-meccanici. Nel 1989, lo stabilimento di San Piero a Grado Siemens VDO inizia a collaborare con l’altro stabilimento di Siemens sito in USA. L’ingente incremento di volumi di vendita e di produzione derivanti dall’introduzione degli iniettori prodotti, rendono necessario, nel 1995, la realizzazione di un nuovo stabilimento, quello di Fauglia. Dal 2000 ad oggi, gli sforzi compiuti nel ridurre emissioni e consumi, hanno portato all’introduzione sul mercato di nuove tipologie di iniettori ad alta pressione. Nel 2007, Siemens, entra a far parte del gruppo CONTINENTAL. I due stabilimenti, essendo distanti circa 20km, sono considerati da Continental, unica sede denominata Pisa. L’headquarter e’ sito a Fauglia. I due stabilimenti producono iniettori a benzina e fuel rail.
1.6 Clienti
Continental vanta tra le piu` prestigiose case automobilistiche al mondo:
- Customer center segment German/Russian OEMs: BMW, Audi, Porsche, Seat, Opel, Skoda auto, Volkswagen, Mercedes-Benz.
- Customer center segment French/Italian OEMs & Tier1: PSA Peugeot Citroen, Renault, Samsung.
- Customer center segment Asian OEMs: Jaguar, Land Rover, Hyundai, KIA.
- Customer center segment NAFTA OEMs: Ford, Volvo, GM, CM Daewoo.
Figura 1.5: Clienti di Continental
Capitolo 2
Il reparto Iniettore ad alta pressione
2.1 Sommario
Il prodotto cardine su cui si basa la produzione dello stabilimento di Fauglia `e l’elettroiniettore; per questa ragione ad esso `e stato dedicato un capitolo in cui vengono descritti i componenti principali da cui `e composto e viene fornita una spiegazione del funzionamento meccanico. Segue una descrizione dei processi e delle operazioni che avvengono all’interno dello stabilimento per ottenere il prodotto finale. Dato che l’azienda intende mantenere ampio riserbo sulle tecniche produttive utilizzate e sulle informazioni riguardanti layout e processi adottati, sono stati utilizzati termini generici e schematizzazioni in larga scala.
2.2 Iniettore
Gli elettroiniettori sono dei componenti dell’impianto di iniezione del motore. Sono costituiti da un otturatore che, in fase di riposo, `e premuto a tenuta da una molla contro il foro di uscita per impedire il passaggio di carburante. Quando la benzina deve essere immessa, o nei condotti di alimentazione (iniezione indiretta) o diretta- mente in camera di combustione (iniezione diretta), la centralina elettronica fornisce un impulso all’avvolgimento dell’elettroiniettore che genera un campo magnetico che fa alzare l’otturatore e permette il passaggio del carburante precedentemen- te messo in pressione dalla pompa di alimentazione. La quantit`a di carburante
immesso viene regolata dalla centralina stessa in funzione del tempo di apertura dell’otturatore. Gli elettroiniettori sono presenti anche nei motori diesel common rail, dove per`o l’elettromagnete non agisce direttamente sull’otturatore (che si apre con la pressione del gasolio), ma su una valvola che immette combustibile nell’iniettore. Nei moderni sistemi di controllo elettronico, tempo, portata del carburante e pressione dello stesso diventano parametri fondamentali sui quali intervenire indipendentemente per cambiare le prestazioni del motore. L’elettroi- niettore a solenoide `e un’elettrovalvola concepita per l’immissione di carburante, in opportune quantit`a, nel collettore d’aspirazione del motore o direttamente nei
cilindri.
E` composto da tre diversi circuiti: magnetico, idraulico ed elettrico. Il
circuito magnetico `e costituito da un insieme di materiali ferromagnetici ad elevata permeabilit`a magnetica.
Il circuito idraulico `e composto dall’interstizio tra spillo, parte mobile, e alloggio, parte fissa, e dal sottostante condotto a valle nel quale `e posto un opportuno ugello. In condizioni di riposo, lo spillo `e premuto verso l’alloggio da una molla precaricata in modo da impedire la fuoriuscita di carburante. Il circuito elettrico `e schematizzabile con una resistenza in serie ad un’induttanza e ad un generatore di tensione continua. Quando la corrente fluisce all’interno della bobina, si genera un campo magnetico che produce una forza di attrazione sull’spillo in grado di vincere la resistenza della molla, il che causa lo spostamento verso l’alto dello spillo e quindi l’apertura dell’ugello per il passaggio del carburante. Appena la corrente viene interrotta, lo spillo ritorna nell’alloggio interrompendo il flusso del carburante. Gli iniettori sono suddivisi in iniettori a bassa e ad alta pressione: i primi hanno delle pressioni comprese tra 0,7 e 5 bar e sono utilizzati nelle applicazioni motoristiche modeste, consentendo costi contenuti del sistema di spinta; gli iniettori ad alta pressione hanno delle pressioni comprese tra 50 e 120 bar, sono impiegati dove siano richiesti tempi d’iniezione molto ridotti e, nel caso d’iniezione diretta, quando si debbano fronteggiare consistenti contropressioni in fase di compressione. Gli iniettori per i motori common rail sono molto piu` sofisticati e di difficile realizzazione, in quanto devono anche polverizzare quantit`a di gasolio di pochi decimi di millimetro e
lavorano a pressioni che possono arrivare sino a 1600 bar.
Figura 2.1: Processo Produttivo
2.3 Area assemblaggio
L’iniettore viene assemblato nello stabilimento di Fauglia sia come prodotto sin- golo sia nella sua versione assemblata ad un collettore. Nella fabbricazione dei subassemblati e componenti che costituiscono il prodotto finale intervengono altri
reparti interni oltre a fornitori esterni. Nello schema di fig. 2.1 `e possibile osservare i vari reparti che partecipano al processo. L’area di assemblaggio si caratterizza per essere sottoposta ad una temperatura e pressione costante. Si tratta di un comparto in cui vigono determinate regole volte a preservare i prodotti da qualsiasi contaminazione che non sia quella propria del processo di produzione.
2.3.1 Banco di lavorazione dei sub-componenti
E` una tecnica di lavorazione il cui utilizzo si rende necessario qualora occorra
effettuare ugelli di elevata precisione. Attraverso questa tecnica si vogliono andare a creare gli ugelli nel componente terminale dell’iniettore. Questo componente viene inserito in un sistema di alimentazione che singolarizza e li inserisce correttamente, successivamente un sistema di prelievo li invia ad un processo che controlla la buona riuscita del processo. Una volta terminato viene inviato alla linea di assemblaggio per dare inizio alla produzione dell’iniettore.
2.3.2 Linea di assemblaggio
Il processo produttivo `e costituito da una linea studiata in modo da garantire maggiore flessibilit`a sia in termini di variazioni di volumi di produzione che in variazioni di personale impiegato per la produzione; tale disposizione permette, infatti, di avere diverse configurazioni di personale a seconda del tempo ciclo che si vuole ottenere.
La filosofia produttiva `e quella di controllare ogni operazione svolta e quindi oltre alle stazioni a valore aggiunto sono previste postazioni di controllo. Il se- miassemblato procede da stazione a stazione tramite un pallet che viene spostato manualmente da un modulo all’altro. Sono presenti dei buffer tra un modulo e l’altro in modo da sopperire a piccole variazioni di tempo ciclo tra una macchina e l’altra.
Per non entrare troppo nel dettaglio, sono state classificate le operazioni che avvengono in linea:
- Caricamento: sulla linea sono disposti macchinari che selezionano i componenti da appositi contenitori, li orientano nella posizione desiderata e un sistema di prelievo inserisce il componente sul semiassemblato;
- Piantaggio: il componente caricato viene inserito sul semiassemblato tramite apposite presse per permettere un accoppiamento con interferenza;
- Saldatura due componenti vengono saldati insieme attraverso sistemi automatici di saldatura;
- Test di verifica: viene svolto un controllo di tenuta dell’elettroiniettore per detection di eventuali problemi qualitativi;
- Riconoscimento: un marcatore imprime un codice e/o un simbolo sull’elettroi- niettore secondo le specifiche del cliente permettendone la rintracciabilit`a (sistema simile ai codici a barre).
2.3.3 Area controllo
L’iniettore arriva assemblato in tutte le sue parti costituenti ed in questa fase vengono effettuati ulteriori test di tenuta. Il seguente modulo `e costituito, in particolare, da sei stazioni. Per non entrare troppo nel dettaglio, `e sufficiente dire che in questa stazione l’iniettore viene lavato da un flusso di gas, in seguito vengono effettuate operazioni per verificare che le parti meccaniche siano assemblate correttamente per evitare di avere eccessive vibrazioni, viene fatto un ultimo test di tenuta ed, infine, una verifica per garantire che un parametro del flusso in uscita sia quello da progetto.
L’iter dei controlli finisce con un controllo visivo ad opera degli operatori e serve per scongiurare l’ipotesi di non conformit`a delle parti meccaniche dell’ injector.
2.3.4 Assemblaggio al collettore
Su richiesta dei clienti gli elettroiniettori vengono assemblati in un collettore che ha il compito di distribuire il carburante ai quattro iniettori. Il collettore assemblato
`e pronto per essere portato ad un banco di test. Attraverso questa operazione
si effettua un test di tenuta con un gas piu` volatile dell’aria per garantire un
livello di accuratezza maggiore della prova. Viene assemblato con tutte le sue parti costituenti e successivamente fatto passare attraverso un controllo elettronico necessario per scongiurare qualsiasi tipo di errore di assemblaggio umano. Una volta effettuato il test segue l’operazione di controllo visivo per verificare che non ci siano non conformit`a.
Figura 2.2: Processo produzione reparto collettori
Capitolo 3
Lean Production
3.1 Sommario
In questo capitolo viene spiegata cosa `e la filosofia Lean Production ed il motivo
per cui si sta diffondendo sempre piu` in tutto l’Occidente. Lean production
letteralmente significa “flusso snello” e per ottenerlo `e necessario ricercare ed eliminare gli sprechi allo scopo di produrre di piu` con un minor consumo di risorse. L’eliminazione sistematica degli sprechi `e possibile attraverso l’implementazione di tutte quelle metodologie che costituiscono l’ossatura a cui fare riferimento nell’azione di ripensamento dei processi aziendali; per questa ragione si `e cercato di identificarli e graficarli mappandoli in fig.3.1. Per maggiore completezza si `e ritenuto necessario descrivere, per ogni settore da cui `e composta la Lean, quali sono le tecniche principali che ne sono alla base spiegando l’importanza che le singole voci hanno a livello globale di produzione.
3.2 Lean production
La Lean Production `e una nuova filosofia produttiva che nasce in Giappone sotto il nome di Toyota Production System tra il 1950 e il 1970, per opera di Xxxxxxx Xxxx, Xxxxxx Xxxxxx e Xxxx Xxxxxx al tempo manager della casa automobilistica. Costoro svilupparono un nuovo modo di ragionare, teso ad accrescere la flessibilita` dell’impresa attraverso un ripensamento dell’intero flusso di creazione del valore,
Figura 3.1: Lean Production
dalla progettazione fino alla gestione degli ordini. Il termine lean esprime il fatto che i metodi produttivi giapponesi riducono al minimo l’utilizzo delle risorse impiegate: risorse umane, capitale investito, spazio occupato, tempo, etc.. Questa nuova filosofia nasce per rispondere alle esigenze di un mercato in cui `e necessario essere
flessibili, orientati al cliente e rapidi nel fornire risposte agli stimoli esterni. E`
evidente infatti come lo scenario competitivo entro il quale le imprese sono chiamate ad operare sia interessato da un continuo mutamento delle condizioni competitive che, oggi come non mai, richiedono profonde capacit`a di adattamento. L’impresa del nuovo millennio deve fare fronte a questi mutamenti con pesanti ristrutturazioni, prevedendo nuovi assetti organizzativi che di norma comportano:
- maggiore velocit`a di risposta al mercato;
- organizzazione gerarchica semplificata che vede i livelli piu` importanza sempre maggiore;
bassi assumere
- creazione di team trasversali con competenze diversificate orientati alla realizza- zione di specifici progetti.
Il processo produttivo, quindi, viene trattato in modo globale al fine di ridurre al massimo la complessit`a della produzione puntando sulla sua flessibilit`a e coin- volgendo fin dall’inizio tutte le funzioni aziendali. L’impianto di produzione `e paragonabile ad un organismo; ogni ramo rappresenta un organo e, per stare in salute, occorre non solo che ogni organo funzioni bene ma soprattutto `e necessario un buon sistema circolatorio affinch`e tutto funzioni correttamente vale a dire che
vi sia una buona gestione aziendale.
E` fondamentale, quindi, che ogni singolo ramo
del processo produttivo funzioni in parallelo e in collaborazione reciproca con gli altri. Come `e chiaramente osservabile dallo schema grafico in fig. 3.1, i settori che costituiscono l’ossatura portante della Lean Production sono:
- Produzione;
- Progettazione;
- Logistica;
- Manutenzione;
- Qualit`a;
- Sicurezza;
- Ambiente.
Di seguito vengono descritti nel dettaglio introducendo, per ognuno di essi, le metodologie chiave che ne sono alla base. L’obiettivo `e quello di fornire un quadro generale di questa filosofia descrivendo i metodi su cui essa si fonda per dare un’idea delle potenzialit`a di questo sistema di produzione e per introdurre l’argomento oggetto di questo elaborato di tesi.
3.3 Produzione
La gestione della produzione industriale `e quell’insieme di attivit`a integrate che consentono di ottenere prodotti finiti richiesti dai clienti in quantita`, caratteristiche e tempi prefissati e a costi e livelli qualitativi ben specificati. Riguarda quindi la risoluzione di tutti i problemi connessi con i processi produttivi e coinvolge trasversalmente la maggior parte delle funzioni aziendali.
3.3.1 Kaizen
E` la parola che fu originariamente utilizzata per descrivere l’elemento chiave
del Sistema di Produzione Toyota col significato di fare le cose nel modo in cui andrebbero fatte. Significa creare un’atmosfera di miglioramento continuo cambiando il proprio punto di vista e il modo di pensare per fare qualcosa di meglio rispetto a quello che gia` si fa. Nell’utilizzo pratico, il Kaizen descrive un ambiente in cui l’azienda e gli individui che vi lavorano si impegnano in maniera proattiva per migliorare i processi. La base del miglioramento `e quella di incoraggiare le persone ad apportare ogni giorno piccoli cambiamenti nella loro area di lavoro, rimanendo sempre aderenti alla mission aziendale. L’effetto complessivo di tutti questi piccoli cambiamenti, nel tempo, diventa significativo ed efficace grazie al commitment di tutto il management aziendale che coordina ogni gruppo di lavoro.
3.3.2 Pull-System
Alla base di una produzione efficiente e snella, obiettivo della Lean production, c’`e il concetto di sistema Pull ovvero la capacita` di progettare, programmare e realizzare esattamente quello che il cliente vuole nel momento in cui lo vuole; `e un tipo di produzione rivoluzionaria perch`e mette al centro di tutto le esigenze dei clienti. Si parla di domanda “tirata dai clienti” contrapponendosi alla tradizionale logica “Push” secondo cui `e l’azienda a “spingere i prodotti” organizzando la produzione su previsione. Il termine Pull indica in sostanza che nessuno a monte dovrebbe
produrre beni o servizi fino al momento in cui il cliente a valle li richiede. Le previsioni di vendita risultano utili solamente per il dimensionamento della capacita` produttiva e dei depositi, ma, all’atto pratico della fornitura e della produzione, tutto viene gestito in ottica pull. La Lean Production possiede diversi strumenti per implementare il pull. Il Kanban ne `e un esempio emblematico.
3.3.2.1 Kanban
In ambito industriale `e ragionevole supporre che ci siano diverse celle nel reparto, e
che un prodotto output di una cella diventi l’ input per un’altra cella.
E` importante
quindi che due celle siano regolate da un sistema che consenta loro un’efficace comunicazione in termini di pezzi da produrre e tempi di produzione. L’obiettivo `e quello di accoppiare e coordinare l’attivit`a di due celle in serie con due traguardi fondamentali: evitare che ci siano accumuli intermedi da una cella all’altra; fare sempre cio` che serve quando serve, sfruttando la flessibilita` produttiva. Per questo motivo sono nati i sistemi Kanban. “Kan” vuol dire “visuale”, “Ban” significa “segnale o tabellone”. La traduzione letterale, dunque, `e un “segnale visuale”. Kanban `e un qualsiasi segnale di tipo visuale che da` inizio ad un’azione di qualunque tipo. Questa azione pu`o essere il bisogno di un particolare materiale/prodotto, oppure un segnale visuale per richiedere assistenza o informazione. Quello che `e importante `e che il segnale venga sempre dato in maniera visuale e con procedure semplici, concordate e standardizzate. Possono essere in una forma qualsiasi: un cartellino (Kanban tradizionale), in forma di contenitori (pieni o vuoti), in forma di una richiesta digitale (e-Kanban) per fornitura del materiale ecc. Pu`o essere in qualsiasi forma visuale immaginabile che segnali, in modo inequivocabile e comprensibile da tutti, il bisogno di una azione (fornitura, assistenza, informazione). Una cella a valle che preleva alcuni pallet di pezzi direttamente dal processo a monte, libera dello spazio; la presenza di spazio libero `e anch’essa un segnale visuale. Anche questo semplice esempio `e un tipo di Kanban: il processo a valle (cliente) va dal processo a monte (supermercato) per acquistare i pezzi di cui ha bisogno al momento e nella quantit`a in cui ha bisogno, e il processo a monte, in funzione di
questo prelievo, produce immediatamente la quantita` che `e appena stata prelevata. Per far funzionare il Kanban in maniera efficace, `e necessario seguire le cinque regole fondamentali:
1. nessun particolare difettoso pu`o essere inviato all’attivit`a a valle;
2. il processo a valle viene a ritirare solo quello di cui ha bisogno e nulla di piu`;
3. l’attivit`a a monte deve produrre solo ed esclusivamente la quantit`a esatta ritirata dall’attivit`a a valle;
4. la produzione deve essere bilanciata;
5. stabilizzare e razionalizzare i processi.
3.3.3 Single Minute Exchange of Die (S.M.E.D.)
La metodologia SMED (Single Minute Exchange of Die), che verr`a ripresa nel par. 5.3.2.7, `e un altro concetto fondamentale su cui si basa una produzione snella perch`e si prefigge il compito di abbattere i tempi di attrezzamento e regolazione attraverso operazioni semplificate elementari. Un tempo si pensava che i tempi di attrezzaggio fossero fissi; ora non `e piu` cos`ı ed `e proprio da questi che si deve partire per aumentare l’efficienza di un impianto. Usando l’approccio smed si avranno due tipi di risultati: quelli diretti, quali riduzione dei tempi macchina, riduzione dei tempi di attrezzaggio e maggiore sicurezza e quelli indiretti, quali riduzione degli stock, razionalizzazione degli utensili e aumento di flessibilit`a.
3.3.3.1 Fasi dello Smed:
3.3.3.2 Fase preliminare: Organizzare, osservare, registrare.
In questa fase occorre definire i motivi dell’esecuzione di un’analisi SMED e i risultati attesi da tale analisi. Per prima cosa si individuano i membri del team di sviluppo, il quale generalmente `e composto da 5 a 7 persone, e successivamente vengono definiti i ruoli:
1. Recorder: coloro che registrano attrezzature e personale coinvolto.
2. Timer: coloro che prendono i tempi dell’intero set-up.
3. Fact-collector: coloro che scompongono le attivit`a in azioni. Per esempio “Rimuovere le guarnizioni” constera` in: “vai al pannello di controllo, spegni la macchina, aspetta che si fermi, rimuovi bulloni esagonali etc..” Per attrezza- menti caratterizzati da lunghi tempi di esecuzione, l’utilizzo di registrazioni in formato video possono essere molto utili al fine di registrare tutti i dettagli delle operazioni per le successive fasi di analisi.
3.3.3.3 Fase 1: separare l’attrezzamento interno da quello esterno.
Per attrezzamento interno si intende quel tipo di settaggio macchina che richiede necessariamente la macchina ferma; l’attrezzamento esterno, al contrario, pu`o essere svolto con macchina funzionante. Esistono tre tecniche per separare i due attrezzamenti:
1. Creare check-list: Informazioni su tutto ci`o che `e necessario per eseguire il prossimo set-up (operatori, strumenti, variabili operative)
2. Eseguire controlli funzionali:
E` necessario verificare lo stato operativo e
l’integrit`a della macchina e, qualora ci siano parti o strumenti da riparare,
`e importante disporre del tempo necessario per eseguire la manutenzione in ombra alla produzione.
3. Ottimizzare il trasporto: occorre ridurre al max il fermo impianto per cui qualsiasi componente deve essere presente a bordo macchina al momento di utilizzo. Se il pezzo `e di grandi dimensioni tali da richiedere carriponte, gru etc. occorre predisporre bene i tempi e la gestione di queste macchine.
3.3.3.4 Fase 2: convertire l’attrezzamento interno in esterno
Per raggiungere valori del single minute `e necessario trasformare una parte di operazioni di attrezzaggio interno in esterno in modo da poterle svolgere in ombra alle attivita` produttive. Solitamente si riesce a fare questo attraverso tre tecniche:
1. Preparazione anticipata: avendo a disposizione degli attrezzaggi gia` pronti e subassemblati in modo da fare l’intervento nel minor tempo possibile.
2. Standardizzazione: standardizzando, ad esempio, l’altezza di una pressa per evitare di regolare di volta in volta la registrazione della corsa.
3. Utilizzare sistemi di riferimento: facilitando il posizionamento delle parti attraverso blocchetti o spine, introducendo guide per facilitare l’inserimento del pezzo nelle giuste direzioni.
3.3.3.5 Fase 3: semplificazione di tutte le operazioni di set-up
Al fine di ridurre ulteriormente i tempi di attrezzaggio, tutte le operazioni devono essere analizzate in dettaglio. Le principali tecniche utilizzate per ridurre i tempi di attrezzaggio sono:
1. Operazioni in parallelo: significa utilizzare piu` addetti per una particolare attivit`a al fine di ridurre tempi inutili quali quelli derivanti dal continuo movimento degli operatori attorno alle macchine. Le Carte Procedurali possono essere di aiuto perch´e indicano la sequenza delle operazioni da seguire e il tempo.
2. Sistemi funzionali di bloccaggio: Occorre ridurre quanto piu` l’uso di dadi e bulloni; spreco di tempo per avvitarli, il piu` delle volte si perdono. Occorre introdurre pertanto nuovi dispositivi:
- ONE TURN: Quali ad esempio: dadi e bulloni con fresature alternate, asole a forma di pera (una volta allentato il dado `e possibile estrarre
l’oggetto senza doverlo estrarre del tutto), dado a farfalla etc. (si veda par. 5.3.2.6).
- ONE MOTION: Quali ad esempio: xxxxxxxx, perni di morsa a sfere autobloccanti, staffaggi con staffe pivotanti, sistemi magnetici, a molla etc..
- INTERLOCKING METHODS: metodi che sostituiscono i sistemi di ser- raggio costituiti da bulloni con semplici riferimenti di spine o scanalature per facilitare l’ inserimento ed estrazione
3.3.3.6 Fase 4: Documentare le procedure interne ed esterne
Le procedure sono necessarie per rivedere l’intero processo e determinare se tutto funziona bene. Esse vengono riportate in un foglio ciclo per catalogarle e fare in modo che vengano eseguite tutte. Rivedere l’intero processo per determinare se tutto funziona bene. Il costo dello smed `e costituito non tanto da investimenti di denaro ma dalla creativita` del team che viene sottratto ad altre mansioni all’interno dell’azienda.
3.4 Progettazione
La progettazione deve avvenire non fine a se stessa ma in funzione di una produzione efficiente. Alla base di un prodotto di eccellenza c’`e la coesione e collaborazione di tutto il team di Engineering; molte volte i progettisti ideano prodotti che riescono ad avere performance elevatissime in grado di battere i competitor ma non tengono conto che particolari accorgimenti o modifiche di prodotto risultano impossibili o difficili da realizzare all’atto pratico ed in alcuni casi vanno ad inficiare la qualit`a del prodotto stesso.
3.4.1 Concurrent Engineering (C.E.)
E` un approccio sistematico che porta l’azienda a raggiungere risultati di eccellenza.
C.E. `e volto allo sviluppo di procedure in grado di assecondare le aspettative dei clienti ed `e volto alle aziende che vogliono raggiungere risultati d’eccellenza. Incarna valori di squadra, di fiducia e di condivisione coinvolgendo tutte le prospettive in parallelo, dall’inizio del ciclo di vita del prodotto. La riorganizzazione della progettazione, sviluppo, pianificazione della produzione e dei processi di approvvi- gionamento devono avvenire utilizzando team multidisciplinari di progetto. Per riuscire in questo intento `e necessario fare uso di strumenti quali il Product Data Management Software.
3.4.2 Product Data Management (P.D.M.)
E` uno strumento che aiuta gli ingegneri nella gestione dei dati e nel processo di
sviluppo del prodotto. I software PDM includono un caveau elettronico per la memorizzazione di tutti i dati del prodotto, strutture di prodotto (comunemente chiamate distinte base) e la storia delle modifiche tecniche effettuate dal lancio del prodotto. Funzioni importanti di sistemi PDM comprendono la classificazione del prodotto e designazione della categoria a cui appartiene. Devono essere in grado di effettuare un’archiviazione a lungo termine e fornire funzionalita` per la gestione dei dati e dei processi integrando se necessario i sistemi CAE in un ambiente comune tipicamente eterogeneo accessibile a tutti.
3.5 Logistica
La logistica abbraccia l’insieme di tecniche, metodologie, strumenti ed infrastrut- ture impiegate nella gestione del flusso fisico e del correlato flusso informativo, dall’acquisizione delle materie prime sui mercati di acquisto fino alla distribuzione dei prodotti finiti collocati presso il consumatore. Per molti anni, il ruolo della logistica `e rimasto confinato al presidio di specifiche attivit`a generalmente legate
all’organizzazione dei magazzini e dei trasporti di supporto ai processi di approvvi- gionamento, produzione e distribuzione. In passato nei sistemi gestiti a previsione si verificava che, a seguito di un ordine del cliente a valle, si generava, procedendo a ritroso lungo la catena di fornitura, una domanda fittizia sempre maggiore, ovvero forti ondate di ordini che risalgono il flusso del valore senza alcun nesso con la domanda espressa dal cliente effettivo. A seguito di un ordine del cliente, infatti, il produttore tendeva ad alzare il livello delle scorte, e quindi la domanda al proprio fornitore, per non trovarsi in condizioni di stock out. Lo stesso veniva pensato dai suoi fornitori e cos`ı via fino alle aziende produttrici di materie prime. Questo creava l’ effetto frusta, a causa del quale si creavano, a monte della catena, ordini spropositati rispetto alla reale richiesta del cliente. A partire dagli anni Settanta, in seguito all’introduzione nelle aziende in modo sufficientemente pervasivo della lean production, l’attenzione si sposta repentinamente sulla gestione dei materiali: viene coniata l’espressione “logistica dei materiali” per indicare il governo di tutte le attivita` volte ad assicurare la corretta acquisizione, movimentazione e gestione dei materiali al fine di garantire il costante e tempestivo rifornimento alla produzione e agli altri enti utilizzatori. La fase successiva del percorso evolutivo segna in realt`a un radicale cambiamento perch´e comporta la trasformazione della logistica da insieme di attivit`a operative a sistema interfunzionale che si pone come mezzo per il raggiungimento di piu` elevati livelli di performance come ad esempio la SCM.
3.5.1 Supply Chain Management (S.C.M.):
Per definizione la SCM `e : “Processo di pianificazione, gestione e controllo del- l’efficace ed efficiente erogazione, flusso, stoccaggio di merci, servizi e correlate informazioni dal punto di origine al punto di consumo per soddisfare le esigenze dei clienti esterni o interni”. La metodologia deve considerare tutti gli attori coinvolti nella catena logistica al fine di ottenere “l’ottimo globale” e non il migliore risultato per il singolo anello. Tramite la gestione integrata di tutta la rete di organizzazioni che sono coinvolte in una serie di attivit`a e processi, si crea valore aggiunto a
prodotti o servizi per il cliente finale
Figura 3.2: Supply Chain
3.5.2 Heijunka
In giapponese il termine “ Heijunka” esprime il livellamento del tipo e della quantita` di produzione in un determinato periodo di tempo. Livellare la produzione significa fare in modo che essa risponda efficientemente alla domanda del cliente evitando i grandi lotti, riducendo lo stock, il costo del capitale, la manodopera e il lead time attraverso l’intero flusso del valore. Heijunka `e il livellamento di produzione che equilibra il carico di lavoro all’interno della cella produttiva minimizzando, inoltre, le fluttuazioni di fornitura. Gli elementi principali della produzione Heijunka sono:
- Livellamento del volume di produzione: cio`e la distribuzione uniforme dela produzione su un dato periodo di tempo.
- Livellamento del mix di produzione: che `e invece la distribuzione uniforme della variet`a di produzione su un dato periodo di tempo.
Figura 3.3: Effetti dell’introduzione di un Heijunka
Lo strumento utilizzato per livellare il mix e i volumi di produzione tramite l’attenta distribuzione dei kanban nello stabilimento `e l’Heijunka box il quale consiste in una griglia al cui interno vengono sistemati ad intervalli regolari un certo numero di kanban in ordine misto; pertanto chi effettua la produzione prelevera` di volta in volta il primo kanban libero e produrra` quanto richiesto da quella scheda. Livellando la domanda anche in termini di mix, consente di aumentare le variazioni nel programma di produzione.
3.5.3 Value Stream Map (V.S.M)
La mappatura del flusso del valore `e forse il piu` importante strumento Lean perch´e indica dove `e piu` opportuno effettuare migliorie ed `e fondamentale per il successo dell’implementazione perch´e permettendo, cos`ı, di costruire un solido e comprensivo piano di azione. Questo strumento permette di prevenire ogni tipo di spreco, con l’effetto di mantenere costante il valore del prodotto finito aumentando in modo esponenziale l’efficienza. Per Value Stream si intende: “mappatura grafica di tutti quegli insieme di processi ed attivit`a che concorrono alla realizzazione di un prodotto, partendo direttamente dal fornitore, passando per tutta la catena di montaggio fino alla consegna del prodotto finito”. Il presupposto sul quale basare l’analisi della catena del valore non `e il miglioramento ottimo del singolo processo, ma l’ottimizzazione globale e continua. Le peculiarita` della mappatura del processo sono due:
1. Current State Map: descrive la situazione del prodotto nel flusso del valore.
2. Future State Map: indica il modo in cui si vuole vedere il prodotto all’interno del flusso di valore
La mappatura del flusso di valore utilizza regole che hanno la finalita` di essere comprese da tutto il personale. L’analisi continua del processo permette, partendo da un progetto di partenza, di perfezionare nel tempo la VSM stessa e di eliminare tutto cio` che non rappresenta valore aggiunto al prodotto finito. La mappatura del flusso di valore si pu`o ottenere soltanto rimanendo a strettissimo contatto con la catena per vedere e creare una vera e propria mappa che comprende la mappatura del flusso dei materiali e quella del flusso di informazioni. Con l’analisi dei flussi si puo` capire in modo concreto e preciso quali siano gli sprechi ed eliminarli per poi creare una nuova mappa perfezionata e maggiormente efficiente. La mappatura del flusso delle informazioni caratterizzante lo stato attuale “Current State” permette la definizione della “Time Line” sotto forma di linea tracciata sotto i process box e sotto i triangoli delle scorte per definire il LeadTime della produzione, cio`e il tempo impiegato dal pezzo per attraversare la fabbrica. Essa consente, inoltre, di stabilire i collegamenti esistenti tra aree clienti, fornitori, processi produttivi, programmazione della produzione e supervisione della produzione dell’intero sistema aziendale. La mappatura dello stato futuro “Future State” parte dall’analisi della Current State Map nella quale si cerca di individuare ogni imperfezione nel flusso di valore andando a modificare parametri indicativi, ai fini di ottimizzare l’affidabilita` del processo. Il fine ultimo di questo processo sar`a quello di avere un flusso teso ed equilibrato che possa andare incontro alle esigenze del cliente finale con grande
velocita` ed efficienza senza penalizzare la produzione e il fatturato dell’azienda.
Figura 3.4: Esempo di Future State Map
3.5.4 Outsourcing
Non tutti i componenti o semiassemblati che sono richiesti per l’ottenimento del prodotto finale devono essere necessariamente prodotti all’interno dell’azienda anzi, secondo la filosofia Toyota, per ottenere il prestigio del prodotto/i cardini dell’azienda `e importante ricorrere all’Outsourcing. Questa nuova forma di gestione emerge come uno degli strumenti manageriali, di carattere tattico e strategico, che hanno conosciuto la maggiore espansione nel corso degli anni 90; secondo autorevoli e diffuse proiezioni, continuer`a a proporsi nei suoi diversi ambiti e nelle sue varie applicazioni come una via obbligata per la sopravvivenza sul mercato delle imprese, senza distinzione di industria, dimensione o missione aziendale. Liberarsi di alcune funzioni per puntare sulle attivit`a in cui l’azienda si sente piu` forte: `e questo in
sostanza il motivo principale, affiancato a quello della riduzione dei costi, che spinge un numero sempre maggiore di imprese a ricorrere all’outsourcing. Delegando, cos`ı, a fornitori esterni la gestione di attivit`a considerate non strategiche per le imprese, `e possibile concentrarsi sul “core business”, obiettivo che oggi `e imposto dai mercati. Il principio era semplice: far fare agli altri ci`o che fanno meglio di noi, in modo tale da ridurre i costi, migliorare la qualita` dei servizi o dei prodotti intermedi di cui si ha bisogno e liberare cos`ı le risorse necessarie per lo sviluppo di ci`o che costituisce la “Core Competencies”.
3.6 Manutenzione
3.6.1 Total Productive Maintenance (T.P.M.)
E` un sistema produttivo che mira al raggiungimento della massima efficienza
aziendale.
E` una delle tecniche produttive giapponesi maturate nel ventennio
’60-’80 e successivamente sviluppatesi in tutte le principali aziende giapponesi per poi arrivare velocemente in Europa e in tutto il mondo. Storicamente nasce per garantire la massima efficienza dei singoli impianti, focalizzando l’attenzione sulle attivita` degli operatori, dei manutentori e dei tecnici di processo. Successivamente vennero strutturate anche le attivit`a che riguardano la qualit`a, lo sviluppo del personale, le attivit`a di sicurezza, ambiente e di industrializzazione. Le attivit`a per ottenere un’alta efficienza da parte di ogni ente aziendale vengono indicate in percorsi metodologici, detti pilastri, che guidano in maniera strutturata e sistematica le diverse attivita`. Essendo oggetto del seguente elaborato, si rimanda al cap. 4 la descrizione dettagliata di tale metodologia.
3.6.2 Computer Maintenance Management System (C.M.M.S.)
Uno dei compiti piu` ardui da affrontare durante la realizzazione di un efficiente ed efficace sistema orientato alla Total Productive Maintenance(TPM) `e quello della scelta e l’implementazione di un CMMS. Si tratta di un sistema complesso e
spesso modulare di applicazioni software, opportunamente predisposte per gestire i dati relativi agli impianti, alle macchine, alle parti di ricambio, al personale e per trasformarli in informazioni utili, consistenti e tempestive per il management della manutenzione dell’azienda nella sua interezza, cercando di fornire uno strumento molto valido per incrementare produttivit`a e ritorni economici. L’adozione quasi universale delle norme ISO 9000, che contemplano espressamente l’uso di procedure standardizzate ed efficienti di gestione della documentazione, ha dato un ulteriore impulso alla proliferazione di un numero sempre maggiore di software commerciali, piu` o meno sofisticati, che, pur differendo tra loro anche in modo sostanziale, sono classificati universalmente come C.M.M.S. I sistemi informativi di questo tipo hanno un numero piuttosto elevato di obiettivi quali, ad esempio, l’evidenziazione delle principali fonti di variabilita` e la capacita` di consentire l’individuazione delle
criticit`a principali in modo da attuare politiche di miglioramento continuo. E`
evidente che, per poter raggiungere gli obiettivi sopra menzionati, un CMMS deve essere strutturato in modo tale da permettere di gestire e controllare tutte le attivita` correlate alla manutenzione superando la concezione obsoleta, ma ancora fortemente radicata nelle realta` aziendali occidentali, che si tratti esclusivamente di un sistema di archiviazione di dati per la schedulazione degli interventi di manutenzione. In ogni modo, qualunque siano le promesse dei produttori di CMMS, il beneficio piu` significativo `e quello di promuovere ed incoraggiare il perseguimento di buone pratiche di manutenzione ( che rappresentano l’obiettivo del TPM). Le procedure vengono cos`ı formalizzate ed organizzate per conformarsi ai requisiti del software, la gestione e la raccolta dei dati diviene rigorosa ed accurata, le informazioni che possono essere estratte dai dati storici accumulati piu` semplici e piu` tempestive.
3.6.3 Condition Based Maintenance (C.B.M.)
Una delle tecniche di manutenzione piu` innovative che la filosofia Lean introduce `e la CBM; `e costituita dall’insieme di procedure, tecniche e metodologie necessarie per la valutazione delle condizioni attuali di un sistema piu` o meno complesso (impianto,
macchina, componente) e suo eventuale ripristino, al fine di prevenire l’occorrenza dei guasti e preservarne l’integrita`. Tale valutazione `e ottenuta mediante tecniche che prevedono sia l’uso di strumentazioni complesse che della sensibilit`a umana ed `e tesa alla prevenzione dei guasti ed al ricorso alla manutenzione solo nei casi strettamente necessari. In pratica, si tratta di effettuare misurazioni comparative, periodiche o continuative di tutti i parametri che possono rivelare adeguatamente le condizioni dell’oggetto dell’analisi e, eventualmente, permettere di effettuare previsioni sul suo deterioramento. La strategia di monitoraggio della condizione, effettuata mediante verifiche ispettive periodiche, tende quindi ad individuare lo stato di un componente che potenzialmente potrebbe provocare un guasto.
In un’ottica di manutenzione sempre piu` integrata e allo scopo di distanziare
ulteriormente il periodo tra due grandi revisioni, il piano di ispezioni sullo stato di una macchina o di un suo determinato componente `e spesso vantaggiosamente correlato ad un programma di manutenzione programmata dinamica, ma spesso necessita anche di un elevato grado di addestramento del personale esecutore nel riconoscimento dell’anomalia.
3.6.4 5S
Il metodo delle 5S si focalizza su: ordine, organizzazione, pulizia e standardizzazione. Questi principi di base appaiono e sono in realta` semplici ed ovvi. Nonostante cio`, prima dell’avvento delle “5S”, molte aziende ne sottovalutavano l’importanza. Il metodo permette di aumentare la produttivit`a, e allo stesso tempo migliorare sia la qualit`a che la sicurezza. Ci`o `e possibile:
- riducendo lo spreco di tempo e materiale;
- riducendo il tempo di set up;
- riducendo gli interventi manutentivi e i tempi di fermo;
- migliorando l’efficienza;
- migliorando l’ambiente di lavoro;
- migliorando il morale dei dipendenti.
Tale logica pu`o essere implementata in ogni settore, specie in quello manifat- turiero ed industriale. Il termine 5S `e un acronimo che si riferisce alle cinque parole, che in lingua giapponese, indicano i fondamenti del Visual Control, cio`e del controllo visivo sul posto di lavoro:
1. SEIRI (Sort - Selezionare ed Eliminare): Separare il necessario dal superfluo sul posto di lavoro. Occorre tenere a portata di mano solo l’indispensabile, mentre i materiali, strumenti e attrezzature che non vengono frequentemente utilizzati devono essere stoccati in un’area separata. Gli strumenti che non vengono utilizzati dovrebbero essere allontanati dalla postazione di lavoro.
2. SEITON (Set - Sistemare ed organizzare). Mettere in ordine utensili, strumen- ti e materiali; rendere gli attrezzi immediatamente disponibili quando occorre e ridurre al minimo il loro numero. L’obiettivo `e: “a place for everything and everything in its place”, e tutto opportunamente identificato e catalogato.
3. SEISO (Shine - Pulire): Non solo rimuovere la sporcizia da macchine e attrezzature, ma anche eliminare eventuali problemi. Infatti, mentre si eseguono operazioni di pulizia, si pu`o cogliere l’occasione per ispezionare macchine, strumenti e attrezzature. Se le fasi di ispezione e pulizia sono rapide e poco dispendiose, nel lungo periodo permettono un consistente risparmio di tempo.
4. SEIKETSU (Standardize - Standardizzare e migliorare): Definire procedure standard per la pulizia e la verifica. L’utilizzo di standard aiuta le persone ad abbandonare le abitudini errate e familiarizzare con le nuove procedure. Un modo per consolidare gli standard tra i lavoratori `e l’uso di etichette, segnali, cartelli.
5. SHITSUKE (Sustain - Disciplina): Eseguire audit periodici per la verifica in modo che il costante monitoraggio delle prestazioni permetta di individuare nuovi obiettivi nell’ottica del miglioramento continuo.
3.6.5 Visual Control
Controllo visuale e immediato delle anomalie. Il Visual Control `e un metodo per la generazione di un ambiente ricco di informazioni immediate e visivamente stimolanti, nel quale tutte le informazioni necessarie sono presentate in una forma chiara e leggibile, usufruibili da tutto il personale. L’obiettivo di una fabbrica con controllo visivo `e che tutto il personale possa in pochi minuti apprendere il processo, sapere se questo `e svolto correttamente e capire la fase dello stesso. Questo strumento permette a tutti i responsabili della produzione di seguire le operazioni a colpo d’occhio, vedere cosa sta succedendo, qual `e la performance di un reparto, se ci sono strumenti fuori posto, se occorre rifornire di pezzi i contenitori e quali operatori hanno bisogno di assistenza tecnica o hanno problemi sul controllo della qualita` e quindi di intervenire nel modo piu` rapido possibile con un notevole risparmio di tempo. Il visual control persegue l’obbiettivo di ridurre lo spreco di manodopera individuando in anticipo possibili anomalie.
3.7 Qualit`a
La dinamicit`a del mercato attuale caratterizzato da clienti sempre piu` attenti ed esigenti ha imposto alla aziende, per sostenere la propria capacita` competitiva, livelli di servizio sempre piu` qualificati. In altre parole gli standard qualitativi dell’output offerto, la rapidita` e la modalita` di consegna e la prontezza di introduzione di nuovi prodotti/servizi, sono diventati fattori determinanti per il successo del business aziendale. In questo contesto `e risultato indispensabile l’applicazione di metodologie di ottimizzazione e miglioramento delle performance aziendali, che hanno suggerito tecniche e metodi innovativi per gestire ed organizzare processi industriali sia rivolti alla realizzazione di un bene che di un servizio.
3.7.1 Total Quality Management (TQM)
La TQM nasce nell’ambito accademico degli anni 50, quale filosofia manageriale innovativa per gestire un’impresa, a dispetto di teorie organizzative inefficienti ed obsolete (fordismo e taylorismo) per le caratteristiche di dinamicit`a ed impreve- dibilit`a del mercato. Risponde perfettamente alle esigenze di quelle aziende che vogliono perseguire la soddisfazione del cliente finale attraverso un processo di miglioramento continuo. Questa disciplina permette, attraverso filosofie gestionali ed operative delle attivita` aziendali, di garantire significativi cambiamenti nei modi di operare delle imprese e nei risultati che esse ottengono. L’approccio suggerito non ha solo l’obiettivo di modificare e migliorare le business performance di una realta` industriale, ma anche di creare in ciascun addetto coinvolto la consapevolezza dell’importanza di un nuovo modo di agire e di concepire il miglioramento continuo. La “customer satisfaction” viene raggiunta attraverso il miglioramento del bene/- servizio offerto, quale risultato di una riduzione significativa di tutti gli sprechi e di tutte le attivit`a a non valore aggiunto che sono presenti nella realizzazione dell’output. La soddisfazione del cliente si sviluppa aumentando le prestazioni aziendali, incrementando quindi la produttivit`a.
3.7.2 Norma EN ISO-9001
La norma ISO 9001, insieme alla ISO 9000, fa parte della famiglia di norme ISO che hanno aperto la strada ad un’applicazione della norma da parte delle aziende non solo per obbligo legale e contrattuale, ma per comunicare ai propri clienti ed al mercato la conformit`a del proprio sistema di gestione della qualit`a. La ISO 9001, infatti, prevede che l’azienda debba adottare un sistema di gestione per la qualita`, il quale, mirando agli obiettivi aziendali, attua una gestione per processi e prevede delle procedure che regolano il rispetto dei requisiti di prodotto richiesti dal cliente. La gestione dei processi diventa la chiave del rapporto con il cliente, il quale definisce gli elementi ad essi in ingresso e deve essere sottoposto ad un continuo
monitoraggio. Il piu` importante processo che deve essere controllato `e dunque
quello della definizione dei requisiti per garantire che si percepisca e definisca in modo adeguato la qualit`a attesa dal cliente. Facendo riferimento alla norma, a tutti i processi viene applicato il metodo del PDCA:
- Plan: stabilire gli obiettivi ed i processi necessari per fornire risultati in conformita` ai requisiti del cliente e alle politiche dell’organizzazione;
- Do: attuare i processi;
- Check: monitorare e misurare i processi ed il prodotto a fronte delle politiche, degli obiettivi e dei requisiti relativi al prodotto e riportarne i risultati;
- Act: intraprendere azioni per migliorare in continuo le prestazioni dei processi.
3.7.3 Jidoka
Il termine Jidoka indica: “automazione con un tocco umano”. Il punto fondamentale del Jidoka `e che la qualit`a deve essere costruita nel processo affinch`e l’output sia: qualit`a al 100%. Questo obiettivo `e il solo accettabile e per essere raggiunto sono necessarie due condizioni: l’impianto o la macchina devono fermarsi quando la qualita` non `e piu` assicurata e l’intervento sulla macchina o sull’impianto non deve in nessun modo alterare la qualita` dell’output. Per garantire queste due condizioni il TPS (Toyota Production System) propone di introdurre grandi dosi di “intelligenza umana” nel sistema produttivo per ottenere macchine intelligenti. Con il jidoka gli impianti e le macchine vengono dotati di dispositivi idonei di fermata quando si `e in condizioni di non qualit`a. La fermata in mancanza di qualit`a si applica anche alle linee di montaggio manuale. Ogni pezzo `e controllato dall’operatore stesso subito dopo la realizzazione, spesso attraverso dispositivi che rendono il processo a prova di errore. Sia nelle linee manuali che in quelle automatizzate, l’operatore che rilevi un difetto `e autorizzato a sospendere la linea, per evitare il prolife-rarsi delle anomalie. Il problema deve essere rilevato all’istante e l’arresto immediato del flusso consente una piu` agevole identificazione dell’origine del difetto. L’uomo `e al centro del processo e gli operatori sono garanti del risultato finale, con
grandi responsabilita` operative; un grande divario rispetto al tradizionale approccio produttivo.
3.7.4 Poka Yoke
Nel TPS si parla di dispositivi Poka Yoke per impedire l’errore (assenza di qualita`) negli interventi dell’operatore sulle macchine e gli impianti. I dispositivi Poka Yoke sono dei semplici accorgimenti che impediscono all’operatore di svolgere delle attivita` errate rispetto a quelle che dovrebbe eseguire per la produzione di un prodotto, impedendogli di sbagliare. Si tratta quindi di dime, blocchetti di controllo, tamponi di verifica dei fori, contenitori preformati sulle sagome dei componenti da trasportare, sensori collegati a pannelli di allarme, ecc. I migliori creatori di Xxxx Xxxx sono gli stessi operatori e solo loro possono individuare le aree piu` nascoste dove esiste necessit`a di Poka Yoke. L’obiettivo del Jidoka `e: eliminare il legame rigido tra uomo e macchina. La macchina non ha piu` bisogno dell’osservazione continua dell’uomo e quindi l’uomo puo` dedicarsi ad attivita` a valore aggiunto. Lo sblocco di questo legame `e uno dei grandi contributi del nuovo sistema produttivo, che riduce o annulla in gran parte i Muda dovuti alle attese degli operatori
3.8 Sicurezza
A causa di una legislazione sempre piu` restrittiva e dall’esigenza sempre maggiore del personale d’azienda di avere una migliore condizione lavorativa, le organizzazioni hanno coltivato l’interesse nel raggiungere e dimostrare dei livelli di prestazione
di salute e sicurezza adeguati.
E` necessario quindi che le aziende, tramite un’a-
nalisi sistematica delle lavorazioni, stimino i relativi fattori di rischio e i possibili effetti sulle persone, individuando conseguentemente delle soluzioni per eliminare o mitigare i rischi fino ad un livello accettabile.
3.8.1 Xxxxx XXXXX 00000
La norma OHSAS 18001 fa parte dell’insieme di norme “Occupational Health and Safety Assessment” (OHSAS) e ha il compito di definire un Sistema di Gestione della Salute e della Sicurezza sul lavoro ed i propri requisiti al fine di ridurre il piu` possibile i rischi per il personale dell’azienda e garantire loro delle buone condizioni di salute nel luogo di lavoro. La norma si basa sulla metodologia del PDCA. Essa `e stata realizzata al fine di essere compatibile con le norme ISO 9001: 2000 e EN ISO 14001: 2004 per dare la possibilit`a alle aziende di creare un Sistema di Gestione Integrato, ovvero conforme contemporaneamente ai requisiti di qualit`a, sicurezza ed ambiente.
3.8.2 D.lgs n.81
In termini di legge, il primo decreto legislativo emanato per normalizzare il tema della salute e sicurezza dei lavoratori nei luoghi di lavoro, `e il d.lgs 626/94 che successivamente `e stato abrogato dal D. lgs del 9 Aprile 2008 n.81 entrato in vigore il 15 Maggio 2008. Il testo unico (TU) `e composto da 306 articoli e 51 allegati e costituisce l’attuale strumento per l’introduzione dei requisiti di salute e sicurezza del lavoro e per la gestione della prevenzione in Italia. Il TU ha esteso rispetto al DF.lgs 626 gli obblighi e i campi di applicazione; si rivolge infatti a tutti i settori di attivita`, privati e pubblici, tutti i lavoratori e lavoratrici, subordinati e imprese familiari. Costituisce il passaggio naturale da una forma abbozzata di approccio sistemico ad una forma strutturata di sistema di gestione che mira allo sviluppo della cultura della sicurezza.
3.8.3 Marcatura CE
Se l’azienda `e situata in una nazione facente parte della comunita` europea `e obbli- gata, inoltre, ad emettere sul mercato prodotti che siano conformi alla marcatura CE. Questa marcatura, introdotta con la Decisione 93/465/CEE del Consiglio del 22 Luglio 1993, indica che il prodotto `e conforme a tutte le disposizoni comunitarie
che prevedono il suo utilizzo dalla progettazione, alla fabbricazione, all’immissione sul mercato, alla messa in servizio del prodotto fino allo smaltimento; disciplina l’intero ciclo di vita del prodotto dal momento dell’immissione del mercato.
3.9 Ambiente
L’ attenzione alla cura dell’ambiente sta diventando sempre piu` un fattore, oltre che di rispondenza a prescrizioni legali, di forza competitiva per ogni tipo di situazione aziendale. Occorre che ogni azienda monitori le proprie prestazioni ambientali e realizzi processi e prodotti in modo che essi non abbiano un impatto ambientale negativo; deve impegnarsi al miglioramento continuo e alla prevenzione dell’inquinamento e deve accertarsi che la politica ambientale che si vuole perseguire sia comunicata a tutti i dipendenti della stessa.
3.9.1 Norma EN ISO 14001
La norma EN ISO 14001:2004 `e una norma europea che definisce i requisiti per la realizzazione di un sistema di gestione ambientale. In base ad esso, quindi, l’impresa, una volta definita una propria politica ambientale, deve individuare tutte le attivita`, prodotti o servizi che interagiscono con l’ambiente (aspetti ambientali significativi) e fare in modo che non lo modifichino in modo negativo. La norma si basa sulla metodologia del PDCA. Essa `e stata realizzata al fine di essere compatibile con le norme ISO 9001: 2000 e ISO 18001 per dare la possibilita` alle aziende di creare un Sistema di Gestione Integrato, ovvero conforme contemporaneamente ai requisiti di qualit`a, sicurezza ed ambiente.
Capitolo 4
Total Productive Maintenance
4.1 Sommario
Dopo aver dedicato un ampio capitolo alla Lean Production per spiegare l’origine della TPM e in che modo si contestualizza a livello aziendale `e opportuno soffermarsi sulla stessa per analizzare in dettaglio cosa vuol dire e come `e strutturata. Il capitolo che segue, pertanto, contiene una parte iniziale di generalita` di questa metodologia per introdurre l’argomento e spiegare qual `e il fine a cui si vuole tendere; in seguito vengono elencate e descritte quali sono le fasi per ideare ed implementare un progetto TPM all’interno dell’azienda.
Il principio che sta alla base della TPM `e il concetto di “miglioramento” ed a tal fine `e necessario effettuare l’analisi delle perdite per capire lo stato attuale ed, in seguito, pianificare il lavoro da svolgere; per questa ragione viene indicato qual
`e il parametro di riferimento da tenere sotto controllo (OEE) e come si ottiene. Vengono descritte quali sono le possibili politiche di manutenzione con cui agire una volta individuate le problematiche e, solo infine, dopo aver spiegato, cosa vuol dire, perch`e `e importante e quali sono le fasi per implementarla, viene fornita un’ampia descrizione di quali sono i pilastri su cui si fonda la TPM in modo da far comprendere a pieno la metodologia alla base di questa filosofia.
4.2 Total Productive Maintenance
Fino a qualche decennio fa il lavoratore era formato in modo che svolgesse esclusi- vamente la mansione preposta e la manutenzione aveva il compito di provvedere al funzionamento delle attrezzature con il frequente risultato che manutenzione e pro- duzione erano spesso in conflitto e i macchinari avevano un’efficienza molto bassa. L’idea rivoluzionaria `e stata quella di coinvolgere tutto il personale aziendale in modo da creare un’integrazione ed arricchimento delle competenze. Per aumentare la produttivit`a le macchine devono essere in perfetto stato e solo cos`ı i costi si possono ridurre ed `e possibile mantenere alte le motivazioni e le soddisfazioni del personale. Non `e facile, pero`, implementare la T.P.M. perch´e occorrono delle setti- mane per effettuare lo studio di fattibilita` in cui vengono raccolti i dati, analizzati gli impianti, le macchine, le caratteristiche del personale e il rapporto costi benefici; seguono mesi di implementazione e, infine, una fase di consolidamento.
Per schematizzare in cinque punti chiave la filosofia T.P.M. `e sufficiente dire che:
1. E` una metodologia che ha per obiettivo l’impiego piu` efficiente degli impianti;
2. Realizza un sistema globale di Preventive Maintenance che ha per oggetto la vita completa degli impianti;
3. Interessa nella sua applicazione tutte le funzioni aziendali, dalla programma- zione degli impianti alla manutenzione, ai servizi tecnici, etc;
4. Prevede la partecipazione personale di tutti, dalla direzione fino al personale di prima linea;
5. Opera in azienda mediante l’attivit`a di piccoli gruppi.
La filosofia organizzativa giapponese muove dal concetto secondo cui `e necessario migliorare le persone per potenziare gli impianti; solo cos`ı `e possibile raggiungere gli obiettivi economici dell’azienda. La finalit`a ultima del TPM `e quindi quella
di cambiare il metodo di lavoro delle persone e dei reparti e valorizzare molto il concetto di Zero Perdite. L’obiettivo ideale a cui devono tendere la macchina, il reparto e l’azienda `e quello di ottenere zero eventi indesiderati che causerebbero spreco di risorse e, quindi, di denaro. Lo zero `e sicuramente un valore ideale ed irraggiungibile, ma non per questo bisogna sottrarci alla filosofia di lavoro nipponica, ormai `e entrata nelle nostre realt`a aziendali: arrivare alla radice dei problemi e risolverli nella maniera piu` efficace. Spesso tuttavia accade che, dopo un periodo di entusiasmo iniziale, emergano le difficolt`a e il processo decresca fino a raggiungere un altro momento di crisi. L’approccio giapponese si contraddistingue dall’approccio occidentale per la maggiore attenzione rivolta ai piccoli aspetti ed al consolidamento delle pratiche ritenute piu` efficaci. La TPM mira ad integrare questi due approcci sviluppando non solo revisioni e miglioramenti organizzativi e tecnici, ma anche consolidando gli standard nonch´e individuando, tramite il personale operativo, le occasioni di miglioramento semplici ma efficaci. La parola “totale” che contraddistingue la TPM `e da intendersi secondo tre significati:
1. Efficienza totale: indica la ricerca di efficienza economica e finanziaria;
2. Sistema totale di manutenzione: include la manutenzione a rottura, quella correttiva, quella preventiva e quella proattiva;
3. Partecipazione di tutti i dipendenti: include la manutenzione autonoma, eseguita dagli operatori in piccoli gruppi.
L’obiettivo della manutenzione produttiva `e quello di semplificare i sistemi, sempre piu` complessi sia a livello tecnologico che per dimensioni. La stabilizzazione del processo, la semplificazione delle procedure e la standardizzazione dei metodi di lavoro permettono agli operatori di muoversi su piu` macchine e su diverse postazioni della stessa linea e facilitano l’addestramento e la conseguente omogeneizzazione di una cultura manutentiva; si creano, cos`ı, i presupposti per un altro approccio al problema: il lavoro di team. Per riuscire nell’intento, `e necessaria la diffusione della cultura manutentiva a tutti i livelli: dal conduttore della macchina al manager
del processo, che diventa anche capo della manutenzione. Un ruolo chiave nella Manutenzione Produttiva `e comunque ricoperto dall’operatore che diventa esecutore della Manutenzione Autonoma. Introdurre la metodologia TPM all’interno di una realt`a aziendale significa sostituire una strategia manutentiva a rottura dove la soluzione e l’analisi del problema partono dopo un fermo macchina non pianificato che porta ad un incremento dei costi di manutenzione e ad una riduzione della disponibilit`a d’impianto, con un intervento di tipo preventivo o predittivo che ha come conseguenza la diminuzione delle attivit`a di manutenzione correttiva e del consumo di parti di ricambio oltre che dei tempi di fermo del processo produttivo.
4.3 Fasi di un progetto TPM
In genere per l’applicazione di un progetto TPM si suddividono le attivita` in 4 fasi:
1. studio di fattibilit`a;
2. pianificazione;
3. implementazione effettiva;
4. consolidamento.
4.3.1 Studio di fattibilit`a (durata 1 mese)
In questa fase si analizza la situazione di partenza di un determinato reparto o stabilimento produttivo per evidenziare le potenziali migliorie che un’azienda puo` trarre dall’applicazione di un progetto TPM. Attraverso visite e riunioni vengono reperite informazioni circa:
- procedure e abitudini operative/manutentive;
- presenza e completezza di dati sulla produttivita` globale e delle singole macchine;
- ruoli e responsabilit`a della struttura organizzativa;
- presenza e completezza di dati circa i fermi macchina;
- livello di conoscenza dei macchinari del personale;
Una volta reperite queste informazioni si stimano i costi e i benefici in termini di ROI (Return on Investment) e si formulano ipotesi alternative di progetto.
4.3.2 Pianificazione (durata 6-12 mesi)
Questa fase serve per creare i presupposti e la struttura per realizzare quelle che saranno le attivit`a vere e proprie di TPM, e in particolare si tratta di:
- definire un Master Plan delle attivit`a;
- formalizzare il lancio della TPM con annunci a tutto il personale;
- creare l’organizzazione che implementer`a il progetto;
- definire politiche, obiettivi e responsabilit`a;
- Assegnare le responsabilita` delegando e rendendo autonomo il personale dall’inizio (Chi?-Cosa?-Come?-Quando?-Perch`e?).
E` opportuno dare visibilita` al progetto fin da subito, coinvolgendo tutto il personale e rendendolo autonomo. Per la buona riuscita del progetto `e importante far capire al personale che non `e un’ imposizione dall’alto, e che saranno loro i protagonisti di queste attivit`x. Xxxxxxx questa fase `e opportuno strutturare i sistemi di raccolta dati cos`ı da monitorare, in seguito, le performance durante le fasi successive.
4.3.3 Implementazione (durata minima 36 mesi)
Questa `e la macrofase dove il progetto prende forma e, se applicato correttamente, si concretizza in risultati. Dato che `e la fase piu` consistente, in genere si suddivide in 3 sottofasi, alle quali sono associati i relativi obiettivi:
- Nella prima fase si implementano i pilastri della manutenzione autonoma, del miglioramento focalizzato e della manutenzione progressiva. Gli altri pilastri vengono sviluppati solo contestualmente e quindi nella misura in cui sono funzionali ai primi. La teoria della TPM sostiene che il miglioramento e i primi pilastri devono essere applicati su un progetto pilota per concentrare gli sforzi. In questo stadio l’obiettivo `e quello di eliminare il 75% delle fermate, andando ad agire su quelle cause di degrado forzato e mancanza di formazione che provocano guasti evitabili con strumenti semplici. In questo stadio il principale pilastro `e quello della manutenzione autonoma, mentre bisogna fare attenzione ad implementare il pilastro della manutenzione progressiva in quanto mancano informazioni su cause e parametri dei macchinari. Inoltre i dati disponibili possono essere inficiati da tutte quelle pratiche scorrette usate abitualmente dal personale produttivo. Inoltre il personale tecnico dovr`a concentrarsi sul miglioramento focalizzato, soprattutto per semplificare le operazioni di pulizia e ispezione, creare standard e istruzioni per la conduzione conforme delle macchine e per eliminare macroscopici errori progettuali.
- Implementazione di tutti i pilastri (durata 12 mesi). Nella seconda fase si attivano tutti i pilastri, coinvolgendo tutti i reparti dell’azienda per eliminare il 90-95% delle fermate. Il progetto pilota dovrebbe riguardare una macchina critica per il processo ma comunque non in stato pessimo. Questo perch´e se la macchina fosse gi`a in uno stato di degrado avanzato e non recuperabile, gli sforzi e l’investimento dell’azienda sarebbero maggiori del costo di sostituzione della macchina stessa. Occorre identificare le carenze tecniche da colmare con corsi e sessioni di training che possono essere forniti sia dall’esterno sia da personale esperto dell’azienda. I progressi sulla sicurezza e sul rispetto ambientale devono essere garantiti per ottimizzare il piu` possibile l’ordine e i flussi di materiale all’interno dell’area di lavoro, per ridurre il rischio e gli sprechi energetici. Infine `e il ruolo del management che, tramite il deployment degli obiettivi, l’attivit`a di sostegno e il sistema premiante, deve mantenere
vivo l’interesse per il progetto.
- Nella terza ed ultima fase devono essere raggiunti tutti gli obiettivi del proget- to, cio`e: zero fermate, zero difetti, addestramento completo del personale. Naturalmente sono obiettivi ideali, infatti la metodologia prevede che in questa fase si debba effettuare un rinnovo degli obiettivi e un nuovo studio di fattibilit`a per evidenziare i futuri margini di miglioramento.
4.3.4 Consolidamento
L’ultima fase del progetto TPM viene attivata una volta che i risultati dell’imple- mentazione sono stati consolidati. Nell’ultima fase si devono quantificare i risultati in termini di costi-benefici e devono essere standardizzate e diffuse le procedure e le tecniche a tutte le macchine del reparto o dello stabilimento. La TPM rimane comunque una tecnica di Lean Production e, in perfetto accordo con questa filosofia, non si ferma ai risultati ottenuti, ma fissa nuovi obiettivi sempre piu` importan-
ti.
E` importante, ad esempio, ottenere certificazioni nazionali o internazionali o
partecipare a premi relativi alla TPM.
4.4 Analisi delle perdite
Misurare `e alla base del miglioramento perch`e evidenzia le carenze attuali, fa emergere gli aspetti sui quali investire, confronta i valori nel tempo per sapere se la strada intrapresa `e giusta e profittevole. Il concetto di perdita, fondamentale in tutte le tecniche di Lean Production, entra anche nella TPM come aspetto necessario per capire i sistemi produttivi e i loro problemi. Per realizzare misure adatte ai propri scopi, i creatori della TPM hanno strutturato, sin dalla sua origine, un pratico indicatore accettato a livello mondiale per misurare l’effettiva produttivit`a di un macchinario: l’OEE (Overall Equipment Effectiveness) che traducendo letteralmente significa:
- Overall: `e importante misurare le performance complessive relative alla macchina prendendo in considerazione tutti gli aspetti.
- Equipment: occorre misurare l’efficienza dell’apparecchiatura e non di tutto il reparto o dell’azienda nel suo complesso.
- Effectiveness: si vuole andare a confrontare il risultato produttivo raggiunto con quello teoricamente ottenibile.
Tramite l’OEE, si vogliono quindi depurare i dati da tutti quei fattori che non riguardano gli impianti produttivi in senso stretto ma, al contempo, si vogliono considerare tutti quegli aspetti che determinano sprechi di tempo. Xxxxxxxx Xxxxxxxx, l’ideatore della TPM, ha sviluppato questo indicatore per ottenere un indicatore che rispecchiasse il reale andamento dell’impianto.
Figura 4.1: Rapporto dell’OEE
Dove: “Tempo operativo utile”: tempo impiegato per produrre output conforme. “Tempo disponibile per il lavoro”: tempo in cui la macchina avrebbe potuto produrre. Per comprendere maggiormente `e opportuno riferirsi ad un tipico diagramma a blocchi, che mostra in maniera immediata cosa si intende per perdite dovute alla macchina e perdite esterne alla macchina.
Figura 4.2: Suddivisione del tempo totale
L’obiettivo del TPM `e quello di raggiungere zero perdite di efficienza e quindi ottenere un rapporto unitario facendo coincidere il tempo operativo utile con quello disponibile per il lavoro. Questa tecnica non si limita ad una definizione generica dell’obiettivo, ma specifica peculiarmente le maggiori perdite a cui un reparto di fabbricazione `e soggetto nella sua vita quotidiana. Queste perdite sono le 6 BIG LOSSES:
1. Perdite per guasti: eventi indesiderati piu` o meno improvvisi da correggere per ripristinare il normale funzionamento degli impianti.
2. Perdite per set-up: in questo tipo di perdite vanno considerati quei guasti che si verificano per la mancanza di regolazioni di tipo SMED a seguito di
cambi di produzione.
3. Perdite per microfermate: malfunzionamenti frequenti e lievi che spesso non vengono considerati e che costringono gli operatori e gli impianti ad un lavoro ad intermittenza.
4. Perdite per riduzioni di velocita`: modifiche alla velocita` teorica delle macchine o ai piani di produzione per problemi tecnici o organizzativi.
5. Perdite per difetti e rilavorazioni: problemi di qualita` che determinano sprechi di tempo, energia e materiale.
6. Perdite di avviamento: variazioni ambientali o alla partenza degli impianti provocano perdite di resa qualitativa e quantitativa.
Il concetto delle cosiddette Big Losses si lega direttamente al calcolo dell’OEE che rileva quanto tempo si `e utilizzato per produrre prodotti conformi rispetto al tempo che si aveva a disposizione. Le Big Losses si legano all’OEE andandolo a
Figura 4.3: Six big losses
scomporre in tre fattori fondamentali:
- Availability : tiene conto delle perdite per guasti e set-up;
- Performance: tiene conto delle perdite di velocit`a e delle microfermate;
- Quality Rate: tiene conto del tempo perso per prodotti difettosi e per le perdite di resa all’avviamento.
Utilizzando ancora i digrammi a blocchi si ottiene il seguente schema, che suddivide il tempo disponibile per il lavoro nelle varie cause di perdita:
Figura 4.4: Diagramma a blocchi del tempo disponibile
Dallo schema precedente `e possibile raggruppare le tipologie dei tempi, ottenute scorporando di volta in volta le perdite al tempo disponibile lordo, per ricavare l’OEE come rapporto dei tempi stessi.
Figura 4.5: Fattori dell’OEE
Per sapere per quale motivo un impianto o un macchinario sta perdendo efficienza, si deve quindi scomporre l’OEE nei suoi fattori fondamentali e confrontare questi valori nel tempo. L’OEE infatti fotografa lo stato di salute di una macchina o un impianto, ma per misurare i miglioramenti occorre monitorare l’andamento dell’OEE per un tempo lungo (nell’ordine dei mesi).
Figura 4.6: L’OEE e i suoi fattori
4.5 Politiche di manutenzione
Nel par.5.3.3.6, dopo aver effettuato un’analisi FMECA di un modulo ritenuto critico, viene posta l’attenzione sulla determinazione delle giuste politiche di manu- tenzione da adottare per il caso in esame; questo aspetto rappresenta uno degli obiettivi principali della TPM. Risulta doveroso, pertanto, dedicare un paragrafo alla spiegazione in dettaglio di quali sono le politiche di manutenzione e quando devono essere utilizzate. Le tipologie di manutenzione sono 4:
1. Manutenzione a rottura
2. Manutenzione preventiva
3. Manutenzione secondo condizione
4. Manutenzione proattiva
4.5.1 Manutenzione a rottura
Con questo tipo di manutenzione si intendono le riparazioni e le strategie di sostituzione solo dopo il verificarsi del guasto (Run-to-Failure Maintenance). La manutenzione a rottura interviene nel momento in cui accade un guasto o il componente giunge al completamento del suo ciclo di vita utile, in altre parole si permette ad una macchina di operare fino a che non si rompe senza fare nessun tipo di manutenzione preventiva. Tale sistema `e usato se:
1. la possibile manutenzione da applicare `e troppo costosa e diventa piu` econo- mico riparare il compoente quando si rompe;
2. il numero dei guasti che potrebbero occorrere `e talmente basso che `e preferibile stabilire altre priorit`a;
3. il malfunzionamento non influisce significativamente sulla produzione o genera perdite finanziarie limitate esclusivamente ai bassi costi di riparazione.
Il principale aspetto negativo di questo sistema `e costituito dai guasti inaspettati non previsti. Spesso infatti non sono disponibili in magazzino parti di ricambio ed i tempi di approvvigionamento sono molto lunghi. I materiali possono essere ordinati costantemente in stock maggiori, anche se il loro utilizzo non `e previsto, con conseguenti maggiori costi ed un’inefficiente gestione del magazzino.
4.5.2 La Manutenzione Preventiva
La manutenzione preventiva `e definita come “la manutenzione eseguita a intervalli predeterminati o in accordo a criteri prescritti e volta a ridurre le probabilit`a di guasto o la degradazione del funzionamento di un’entit`a” (norma UNI 9910). La politica preventiva si basa quindi sulla sostituzione programmata di un determinato componente della macchina ancora perfettamente funzionante con uno nuovo, in modo da prevenirne il cedimento incontrollato. La programmabilita` dell’intervento consente una maggiore organizzazione del lavoro di manutenzione e garantisce
la possibilit`a di gestire la fermata della macchina nella maniera piu` conveniente. All’interno della manutenzione preventiva, in base alla determinazione degli in- tervalli di tempo predeterminati e alla definizione dei criteri prescritti, si possono distinguere almeno due tecniche manutentive:
- Manutenzione programmata statica
- Manutenzione programmata dinamica
Nella programmazione statica gli intervalli e i criteri prescritti di intervento sono generalmente fissati per tutta la vita utile del componente o della macchina. Un esempio pratico pu`o essere la sostituzione delle candele di un’automobile la cui cadenza chilometrica `e specificata dal costruttore ed `e da ritenersi valida per tutta la vita utile dell’automobile. Appare quindi chiaro che la manutenzione preventiva statica, per quanto finora visto, `e efficace sia in termini economici che di riduzione della indisponibilita` della macchina quando il guasto presenta una certa regolarita` di accadimento; ad un guasto che sia difficile da prevedere non `e conveniente applicare tecniche di manutenzione statica. Nella maggioranza dei casi questo sistema di manutenzione `e composto da attivit`a giornaliere, regolarmente organizzate, come ispezioni, regolazioni, pulizie, lubrificazione, sostituzioni minori, riparazioni di componenti, e tutte quelle azioni atte a prevenire guasti improvvisi e problemi al processo produttivo, e ridurne la severit`a e la frequenza. Nella manutenzione programmata dinamica gli intervalli sostitutivi sono determinati in genere in base alla storia della macchina stessa. La rilevazione dell’MTBF (Mean Time Between Failure), tempo medio tra due guasti che spesso `e funzione delle modalita` con cui la macchina viene utilizzata, consente di redigere dei calendari di intervento preventivo basati su una determinata probabilit`a che il guasto non si manifesti nell’arco di tempo che intercorre tra due sostituzioni successive. In questo tipo di manutenzione, gli interventi manutentivi possono essere decisi sia sulla base di un calendario, o altrimenti in base alle ore effettive di lavoro o al numero di cicli di lavoro di un componente. Nel caso gli interventi siano decisi sulla base di un calendario appare evidente come sia possibile con largo anticipo programmare le attivita` manutentive,
organizzare il personale, predisporre le attrezzature e strumentazioni necessarie e reperire per tempo i pezzi che si vogliono sostituire. Non `e sempre possibile, pero`, prevedere con esattezza e con largo anticipo la data in cui si andra` a sostituire un determinato componente. Per effettuare questo tipo di considerazione `e necessario comunque conoscere il tasso di guasto di un componente, o il suo inverso MTTF (Mean time to failure) ma questi dati spesso non sono disponibili o sono calcolati solo per pochi componenti. Piu` spesso invece sono disponibili dati sul MTBF (Mean time between failure) che vengono poi utilizzati come base iniziale per stabilire gli interventi manutentivi da compiere. Possono essere utilizzate varie tecniche per la corretta gestione di questa politica manutentiva, tra cui:
1. Anticipare il guasto utilizzando l’esperienza: per alcuni componenti o ap- parecchiature la storia dei guasti o l’esperienza del personale consente di
poter prevedere il verificarsi del guasto, che quindi `e legato al tempo.
E` bene
dunque prevedere almeno tre ispezioni prima del verificarsi del guasto, in modo da conoscere meglio l’apparecchiatura.
2. Utilizzare una distribuzione statistica dei guasti:utilizzando dei dati statisti- ci, come la distribuzione di Weibull, si possono determinare la periodicit`a, distribuzione e probabilit`a che un guasto occorra.
3. Conservare le informazioni ottenute: la mancanza di informazioni sui com- ponenti `e spesso un problema, ma dopo aver programmato ed effettuato gli interventi previsti `e bene conservare i dati ottenuti. Qesti dati permetteran- no di conoscere meglio le macchine e la loro storia, permettendo cos`ı una programmazione degli interventi futuri piu` facile ed efficiente.
4.5.3 La Manutenzione Secondo Condizione
Come gia` anticipato nel par. 3.6, questa politica `e da considerarsi una particolare tipologia di manutenzione preventiva in quanto il componente viene sostituito prima che termini la sua vita utile ma le sostituzioni non sono programmate bens`ı
decise sulla base di monitoraggi. Mantenendo sempre il parallelo con il campo automobilistico fatto in precedenza, si illustra in maniera semplice il concetto di manutenzione su condizione. Per quanto riguarda la sostituzione delle pastiglie dei freni appare ovvio che una politica di sostituzione programmata non appare praticabile dal punto di vista della convenienza economica, si potrebbe decidere di sostituire un componente ancora in salute e dall’elevato valore economico. Appare evidente come sia impraticabile la strada della manutenzione correttiva: aspettare il mancato funzionamento delle pastiglie stesse. La soluzione generalmente adottata
`e quella di constatarne le condizioni di usura e prendere la decisione se cambiarle o meno: si fa quindi una manutenzione su condizione. I programmi manutentivi si traducono spesso in regolari interventi di smontaggio, sostituzione rimontaggio dei componenti. Revisioni non necessarie di macchine, intese a prevenire guasti futuri, possono talvolta provocare guasti indotti e un danno economico maggiore rispetto al permettere che la macchina funzioni fino a rottura. La strategia di monitoraggio della condizione, effettuata mediante verifiche ispettive periodiche, tramite sensoristica, analisi degli oli lubrificanti tende quindi ad individuare lo stato di un componente che potenzialmente potrebbe provocare un guasto. In un’ottica di manutenzione sempre piu` integrata e allo scopo di distanziare ulteriormente il periodo tra due grandi revisioni, il piano di ispezioni sullo stato di una macchina o di un suo determinato componente `e spesso vantaggiosamente correlato ad un programma di manutenzione programmata dinamica, ma spesso necessita anche di un elevato grado di addestramento del personale esecutore nel riconoscimento dell’anomalia. Una manutenzione basata sul monitoraggio pu`o consentire quindi di:
- ridurre i costi di manutenzione;
- aumentare la disponibilit`a operativa delle macchine;
- migliorare la sicurezza;
- ridurre la quantit`a e la gravit`a dei guasti di esercizio.
4.5.4 La Manutenzione Migliorativa/proattiva
E` il culmine degli altri sistemi di manutenzione esaminati. La manutenzione proat- tiva migliora in modo continuato lo stato manutentivo del sistema nel suo complesso attraverso una migliore progettazione, migliori procedure, migliore organizzazione del lavoro etc. Questi risultati sono raggiunti attraverso una continua collaborazione e comunicazione con il reparto progettazione, migliorando cos`ı le macchine e i sistemi ed eliminando gli errori fatti in passato, mediante una continua ed attenta analisi dei dati raccolti, prevenendo i guasti e limitando le attivita` di manutenzione, con un conseguente risparmio sui costi sostenuti. Sara` pertanto proprio una corretta integrazione di queste quattro politiche, valutata in base a risultati e valutazioni scaturite dall’applicazione della TPM, a garantire il miglioramento della gestione della manutenzione, in termini di crescita di disponibilita`, sicurezza degli impianti, e in termini di abbattimento di costi diretti e indiretti.
4.6 I pilastri della T.P.M.:
4.6.1 I Pilastro: Leadership
L’implementazione della TPM richiede il coinvolgimento dei vertici aziendali. Il Management deve non soltanto mostrare un serio interesse nei confronti della sua introduzione ma essere capace di fornire gli stimoli e le motivazioni necessari a tutto il resto del personale in base alle proprie conoscenze acquisite nel corso degli anni in reparti o settori analoghi; deve in altri termini definire in modo opportuno gli obiettivi, comunicarli e diffonderli, gestire i principi operativi, analizzare e sviluppare le competenze ed allocare correttamente le risorse.
4.6.2 II Pilastro: Organizzazione
A livello organizzativo la TPM richiede la creazione di team che ne supportino l’implementazione; la predisposizione di team operativi istruiti ed addestrati all’e- secuzione degli interventi di manutenzione autonoma; la diffusione della politica
Figura 4.7: Pilastri della TPM
strategica del management a tutta l’azienda affinch´e il personale sia consapevole e motivato; la creazione di gruppi di lavoro adibiti al miglioramento focalizzato; la creazione dell’information factory e l’applicazione dei concetti di TPM al sistema informativo aziendale, in modo da ottimizzare i flussi e rendere la TPM trasversale e capillare; la raccolta e la processazione di dati al fine di ottenere le informazioni necessarie per lo sviluppodei successivi pilastri del TPM.
4.6.3 III Pilastro - Manutenzione Autonoma
Per manutenzione autonoma si intende la cura giornaliera dell’impianto da parte dei tecnici di produzione per prevenire il deterioramento forzato delle attrezzature ed avere macchine la cui durata dipenda solo dal deterioramento naturale. La manutenzione autonoma o automanutenzione, `e uno degli aspetti principali e di vera innovazione portati dalla TPM e puo` essere definita come il complesso delle attivita`
di manutenzione svolte dal personale di produzione. La manutenzione autonoma ha lo scopo principale di realizzare un sistema di gestione globale che consenta il miglioramento delle prestazioni dell’impianto ed il mantenimento di tali prestazioni a livelli ottimali. Il cambiamento delle abitudini consolidate viene amplificato con la manutenzione autonoma allo scopo di creare la massima integrazione possibile delle risorse tecniche ed umane proprie di un’impresa industriale. Svolgere attivita` di manutenzione autonoma significa prendersi cura personalmente delle macchine, partendo dalla pulizia della postazione di lavoro, per arrivare all’esecuzione di ispezioni di alcuni componenti, riparazioni di semplice esecuzione, lubrificazione della parti in movimento, sostituzioni di componenti e monitoraggio dello stato di salute. Tali attivita` di manutenzione giornaliera di controllo ed eliminazione delle fonti di contaminazione, finalizzate ad arrestare il deterioramento forzato, sono affidate agli operatori di linea. Infatti, nessuno piu` di loro ne conosce meglio le condizioni di funzionamento ed `e in grado di percepirne i segnali, spesso deboli, premonitori di un guasto imminente. La missione dei reparti produttivi consiste nel fabbricare prodotti di buona qualit`a in modo economico e veloce, in modo da massimizzare la produttivit`a e l’efficienza dell’impianto; di conseguenza uno degli aspetti piu` critici per il perseguimento di tali obiettivi `e l’individuazione tempestiva delle anomalie a cui sono soggetti gli impianti, e la successiva risoluzione delle stesse. Conseguentemente, gli obiettivi che ci si prefigge con l’implementazione di un programma di manutenzione autonoma sono quelli di:
- prevenire il deterioramento forzato delle macchine e rallentare quello naturale attraverso controlli e piccoli interventi di manutenzione giornalieri;
- riportare la macchine al loro stato ideale mediantela sostituzione dei componenti deteriorati;
- stabilire le condizioni necessarie a mantenere le macchine in buon stato.
Le attivita` della manutenzione autonoma si focalizzano in particolare sulla pre- venzione del deterioramento, cercando di eliminare tutte le cause che ne accelerano
il processo e il sopraggiungere del guasto. I passi per implementare e consolidare la manutenzione autonoma sono sei. I primi due si prefiggono di eliminare le cause di deterioramento forzato, sostituire parti usurate, stabilire e mantenere le condizioni di base delle macchine; nei passi tre e quattro i team leaders istruiscono gli operatori circa le procedure di ispezione con cui si dovranno ridurre i guasti ed aiutano il personale di produzione a comprendere i meccanismi di funzionamento delle macchine e del processo. Infine, i passi cinque e sei sono ideati per diffondere e sviluppare i concetti riguardanti le attivita` della manutenzione autonoma attraverso la standardizzazione dei sistemi e dei metodi. L’obiettivo risultante finale `e quello di creare standard di pulizia e lubrificazione.
4.6.3.1 Step 1: Ispezione e Pulizia iniziale
La pulizia `e il punto di partenza della buona manutenzione. Consente di effettuare un’ispezione che puo` portare a scoprire ed eliminare anomalie altrimenti nascoste. Risolvendo gli inconvenienti emersi possono essere attuate modifiche o contromisure per evitare le cause che li hanno prodotti; cos`ı facendo si innesca il circolo virtuoso del miglioramento continuo. La realizzazione di questa fase consente di riportare la macchina esattamente allo stato originario (situazione ideale): `e infatti importante che avvenga il ripristino dell’impianto alle normali condizioni di funzionamento. Questa fase, apparentemente superficiale, costituisce un primo passo verso la conoscenza della macchina e delle sue corrette condizioni di funzionamento. Il primo step verso puo` essere sintetizzato nei seguenti punti:
- la pulizia `e ispezione;
- l’ispezione `e scoperta degli inconvenienti;
- gli inconvenienti sono il punto di partenza e lo stimolo per il ripristino dei macchinari o per il loro miglioramento.
Una pulizia che non fa scoprire le anomalie e gli inconvenienti dell’impianto
`e semplicemente pulizia e non pu`o chiamarsi pulizia che diventa ispezione. Le
macchine, inoltre, a causa della polvere e della sporcizia, sono soggette ad un lento degrado che provoca difetti e guasti sulle stesse. Quando si parla di degrado devono essere distinti il degrado naturale da quello forzato. In un impianto, anche se utilizzato correttamente, si verifica usura tra componente e componente, nei punti di contatto in questo modo, con il tempo si assiste ad un tipo di degrado che viene chiamato degrado naturale. Il degrado forzato invece, `e il degrado che avviene per comportamenti non corretti: non vengono puliti i posti da pulire, non vengono lubrificate le zone che necessitano di attivit`a periodiche di lubrificazione, oppure non si interviene nonostante ci siano dei sovraccarichi o rumori ripetuti.
Figura 4.8: Ripristino delle condizioni di base di una macchina attraverso l’eliminazione delle cause di deterioramento forzato (o accelerato)
Uno strumento utile alla pulizia iniziale `e rappresentato dai cartellini delle anomalie: per ottenere risultati significativi dall’attivita` di ispezione si usa attaccare un cartellino nel punto in cui l’ispezione ha rilevato un problema, in modo da evidenziare la presenza di un’anomalia.
4.6.3.2 Step 2: Eliminazione delle fonti di contaminazionee dei luoghi inaccessibili
In questa fase vengono messe in atto tutte le misure per eliminare o diminuire le fonti di contaminazione e ridurre il tempo necessario per ripristinare la pulizia. In questo modo si incentiva l’interesse e la volont`a di migliorare gli impianti, attraverso:
- la localizzazione e l’eliminazione delle cause che danno origine a sporco;
- la ricerca e l’eliminazione di perdite di liquidi o polveri;
- la riduzione al minimo delle spazio dove si genera lo sporco;
- la realizzazione di miglioramenti per facilitare la pulizia e le ispezioni.
Figura 4.9: Eliminazione delle fonti di contaminazione e dei luoghi inaccessibili
Le protezioni consentono di prevenire la dispersione di trucioli, polveri, ecc., in zone della macchina dove lo sporco `e presente maggiormente; queste, pero`, se estese a grandi aree possono generare al contrario i seguenti problemi:
- il degrado forzato viene tralasciato e questo provoca l’insorgenza di guasti;
- pulizia, lubrificazione ed ispezioni sono disagevoli e, perci`o, non `e possibile effettuare una manutenzione corretta e si attende il guasto;
- le operazioni di attrezzaggio sono disagevoli e comportano tempi lunghi.
Per eliminare questo tipo di inconvenienti `e necessario ridurre al massimo le dimensioni delle protezioni e limitare la dispersione dei materiali in una piccola area vicino al punto di origine: di qui il concetto di localizzazione delle protezioni in zone specifiche.
4.6.3.3 Step 3: Creazione di standard di pulizia e controllo
La realizzazione di standard consente di avere la garanzia che tutti eseguono lo stesso lavoro nello stesso modo e con gli stessi risultati. I membri del gruppo definiscono in piena autonomia cosa controllare e in che modo farlo; stabiliscono gli standard per le operazioni di serraggio di bulloni, pulizia e lubrificazione degli impianti. Vengono inoltre migliorate le procedure, ad esempio perfezionando le tecniche di pulizia o introducendo il controllo visivo per la lubrificazione. La novita` portata dalla logica della TPM sta infatti proprio nel fatto che gli standard operativi, che sono poi le regole a cui attenersi, non sono imposte dall’alto ma valutate, stabilite ed accettate dai diretti interessati.
4.6.3.4 Step 4: Condurre Ispezioni Generali dei macchinari
Mediante l’ispezione generale si attua un processo organizzativo e culturale che porta ad apprendere il funzionamento delle parti della macchina attraverso l’adde- stramento da parte di ingegneri e tecnici della manutenzione. Si arriva ad acquisire la capacita` di governare i fattori che incidono sulla qualita` del prodotto, oltre che ispezionare in autonomia e sicurezza le parti dell’impianto da controllare, siste- mando anche eventuali inconvenienti. In particolare gli addetti alla produzione acquisiscono le competenze necessarie per rilevare le anomalie. Per facilitare il
compito vengono sviluppate tutta una serie di segnali ed indicazioni da apporre sulle parti dell’impianto (esempio verso di rotazione, posizione aperto-chiuso, livello del liquido, ecc.), noti come strumenti di gestione a vista. Con lo sviluppo delle ispezioni autonome sui macchinari vengono revisionate le check-list; si prosegue quindi con degli standard efficienti per mettere in atto concretamente le attivita` di mantenimento nei tempi fissati come obiettivo.
4.6.3.5 Step 5: Sistematicizzazione della Manutenzione Autonoma
Il penultimo step riguarda la gestione del mantenimento di una situazione di pu- xxxxx xxxxxxx attraverso il riordino del posto di lavoro. Questa fase si occupa di logistica del posto di lavoro, della corretta disposizione degli attrezzi, dei materiali di consumo, dell’eliminazione delle cose inutili e di altre iniziative di tipo logistico mirate a semplificare e migliorare il lavoro dell’operatore. Inoltre occorre indiriz- zare le attivit`a di manutenzione autonoma svolte dagli operatori di produzione verso la ricerca diretta dei miglioramenti che rendano gli standard piu` facili da applicare. Si raggiunge quindi una standardizzazione, ossia attraverso l’ordine e la sistemazione dei diversi oggetti che si trovano nei reparti produttivi, si passa all’ordine ed alla sistemazione delle regole che vanno osservate. Si tratta quindi di una sistematicizzazione delle ispezioni e della precisione degli impianti nonch´e dei compiti a cui devono adempiere gli operatori.
4.6.3.6 Step 6: Completa realizzazione della manutenzione autonoma
Costituisce la verifica della piena autonomia nella gestione degli strumenti della manutenzione autonoma. Con questa fase si prende atto sia dell’autonomia degli operatori di produzione nel governare gli impianti affidati, sia dell’integrazione con la manutenzione specialistica. Gli operatori, alla fine del processo diventano indipendenti, sicuri ed esperti e sono in grado di monitorare il loro lavoro e di apportare i necessari miglioramenti autonomamente. Come ogni processo di miglioramento continuo, anche la manutenzione autonoma richiede una costante
attenzione del sistema affinch´e non si verifichino derive che allontanino i risultati da quelli attesi.
4.6.4 IV Pilastro - Miglioramento Focalizzato
Il IV pilastro della TPM centra la sua attenzione sull’analisi delle perdite e sulla corretta individuazione delle cause. I responsabili della manutenzione autonoma dovranno far ricorso al miglioramento focalizzato ogni volta che avranno a che fare con perdite croniche, le cui cause siano difficilmente identificabili. I concetti fondamentali su cui si basa questa tipologia di approccio alla manutenzione sono i seguenti:
- Semplificazione dei processi (eliminare gli sprechi energetici);
- Semplificazione delle macchine (ridurre il lavoro giornaliero di ispezione e lubrifi- cazione;
- Semplificazione dell’impianto (ridurre i costi di fermata e le ore necessarie per effettuare le riparazioni);
- Individuazione delle criticit`a piu` elevate e soluzione di un problema alla volta (logica dei piccoli passi consolidati).
- Miglioramento continuo.
Il miglioramento focalizzato (Focused Improvement, FI) rappresenta il pilastro cardine per l’effettiva implementazione della TPM in quanto consente di semplifi- care il processo e l’impianto (fino a livello di parte di macchina) favorendone la comprensione dei problemi da parte delle persone. La difficolt`a maggiore che si incontra durante l’applicazione del FI consiste nel fatto che le persone coinvolte si chiedono quale possa essere la differenza tra le attivita` quotidiane di manutenzione autonoma (Autonomous Maintenance, AM) e quelle del miglioramento focalizzato. Il punto chiave `e il seguente: le attivit`a di manutenzione autonoma non sempre permettono di conseguire gli obiettivi prefissati (mancanza di fondi e risorse, di
tempo, di competenze da parte degli operatori) e di eliminare i problemi incontrati.
E` necessario allora intervenire in modo sistematico e strutturato per evitare che
l’implementazione della TPM si areni drasticamente. La procedura ottimale per affrontare i problemi pu`o essere riassunta in pochi punti fondamentali:
1. Scelta dell’obiettivo;
2. Formazione di un team apposito;
3. Registrazione dell’obiettivo;
4. Applicazione di tecniche e metodologie specifiche per la soluzione del proble- ma;
5. Valutazione critica dei risultati.
In sintesi quindi, la differenza principale che distingue il FI dalla AM `e costituita proprio dalla formazione del team di esperti preposti allo studio ed all’eliminazione dei problemi: il team dovrebbe essere composto da tutti i rappresentanti delle funzioni coinvolte nel programma di miglioramento (ingegneri di produzione, di manutenzione, di progettazione, amministrativi). Uno dei problemi che potreb- bero insorgere durante la fase di implementazione del FI `e quello di un eccessivo impegno nelle sole attivit`a di miglioramento focalizzato, a scapito delle attivit`a di manutenzione ordinaria e del supporto necessario ai piccoli gruppi di lavoro presenti in azienda. Lo scopo fondamentale del FI `e quello di proporre soluzioni valide per l’eliminazione o la riduzione delle 6 principali fonti di perdita presenti (six big losses); Il team preposto alla realizzazione del Miglioramento Focalizzato ha come obiettivi principali l’annullamento di tutti i difetti, senza tralasciare i difetti di minore rilevanza con l’identificazione e la standardizzazione delle condizioni operative ottimali. Infine la metodologia prevede di correggere in modo esaustivo tutte le deficienze individuate, indipendentemente dalla loro apparente importanza.
4.6.4.1 Step necessari per l’Introduzione del Miglioramento Focalizza- to
L’applicazione del FI diviene semplice e particolarmente efficace se impostata seguendo uno schema di fasi successive, per ciascuna delle quali dovrebbe essere prodotta la relativa documentazione circa lo stato iniziale, il metodo utilizzato ed i risultati ottenuti.
4.6.4.2 Step 0 - Scelta dell’obiettivo e formazione del team di lavoro.
In genere i maggiori vantaggi si ottengono se gli obiettivi perseguiti sono quelli indicati dalla vision aziendale e se, in base all’analisi delle perdite preventivamente effettuata, gli oggetti dell’indagine e dell’attivita` di miglioramento sono i processi o
le macchine piu` critiche.
E` fondamentale stimare il livello di difficolta` dell’obiettivo
da perseguire per poter stabilire quali siano le necessita` in termini di competenze e di professionalita`. In tal modo sara` possibile formare team particolarmente efficienti. In genere, questa scelta viene effettuata utilizzando appositi schemi pensati per supportare il processo decisionale.
4.6.4.3 Step 1 - Comprensione della situazione iniziale.
Occorre individuare lo stato in cui verte il processo produttivo per individuare colli di bottiglia e debolezze del processo o degli strumenti di lavoro. In seguito devono essere definiti i target a cui si vuole tendere; devono essere ambiziosi ma al tempo stesso non irraggiungibili perch`e la possibilit`a di fallimento non incoraggerebbe il team.
4.6.4.4 Step 2 - Identificazione ed eliminazione delle anomalie.
Prima di applicare tecniche o metodologie complesse `e necessario identificare ed eliminare tutti i difetti di minore entita`. Questo perch´e i difetti minori rappresentano la fetta piu` ampia di problemi riscontrabili e possono minare la corretta realizzazione degli step successivi. In questo step `e opportuno creare immagini o schemi che
rappresentino le condizioni ideali del processo o dell’attrezzatura; questo aiuter`a ad identificare una direzione per l’analisi di miglioramento.
4.6.4.5 Step 3 - Analisi delle cause.
In questo step potrebbe essere utile l’uso di videocamere ad alta velocit`a per analizzare i movimenti degli impianti attraverso un lento e chiaro studio di tutta la cinematica della macchina. Il piu` delle volte la cinematica prevista da progetto `e ben lontana da quella che si riscontra nella realta` a causa di un’installazione errata del modulo o a causa usura accelerata dei componenti principali. Per analizzare le cause occorre fare uso di tecniche strutturate che consentano uno studio sistematico dell’intero apparato; questo `e quello che principalmente differenzia un approccio di analisi al problema tradizionale da quello dettato dai principi TPM. Un tempo si cercava di risolvere il problema attraverso la bravura e l’esperienza del manutentore o del tecnologo di linea e non si tendeva a intraprendere uno studio organico che comprendesse tutti i possibili aspetti della problematica. La TPM prevede piu` tecniche per affrontare uno studio sistematico di individuazione, analisi e risoluzione del guasto; di seguito si descrivono le principali:
- PM Analysis: Si tratta di una tecnica deduttiva per analizzare fenomeni come guasti o difetti di un processo in termini dei principi fisici che li sottendono,
evidenziando i meccanismi.
E` particolarmente adatta per affrontare le perdite
croniche, e particolarmente efficace se utilizzata per affrontare problemi che nascono da una grande variet`a di cause complesse e strettamente correlate, che non sono risolvibili con altri metodi o che richiederebbero troppo tempo se affrontate in modo tradizionale. Tale tecnica viene implementata dopo che si sono affrontati i problemi con altre tecniche e si sono ridotte le occorrenze dei difetti al 5-10%.
- Know-why(o why-why) analysis: metodo utilizzato a seguito di un’analisi causa- effetto per ricercare ed individuare i perch´e degli eventi, in maniera tale da
individuare le possibili alternative risolutorie ai problemi emersi risalendo a ritroso lungo la catena causale.
- Fault Tree Analysis(FTA) o Analisi dell’Albero dei Guasti: metodo di analisi di tipo deduttivo che partendo da un’ analisi generale e complessiva del tipo di guasto (o evento indesiderato sul sistema), arriva ad individuare i guasti sui componenti. La FTA permette, in modo grafico e logico, di collegare fra loro i guasti dei componenti di un sistema. Lo scopo principale non
`e per`o quello di individuare le cause dei guasti (scopo tipico invece della FMECA), bens`ı, partendo da un guasto sul sistema (Evento indesiderato), di metterlo in relazione funzionale con i guasti sui componenti (Eventi base). L’Evento indesiderato rappresenta il guasto relativo al sistema funzionale sotto esame e puo` essere combinazione di numerose cause: esso avra`, cio`e, un numero n di eventi che lo precedono e lo determinano ma nessun evento che lo succede. Il presentarsi simultaneo di guasti degli elementi funzionali che portano all’evento indesiderato definiscono la combinazione di cause. L’FTA
`e un metodo dalle applicazioni piu` varie: puo` essere usato sia preventivamente (approccio consigliato), oltre che per identificare le cause di non conformit`a gi`a rilevate.
- Failure Mode Effects and Criticality Analysis (FMECA): identifica l’Analisi delle modalit`a, degli effetti e delle criticit`a dei guasti, ovvero una metodologia introdotta dalle normative militari USA-MIL, come strumento che consente di ricavare con efficacia i componenti critici dei sistemi. La FMECA `e una metodologia operativa svolta in gruppi di lavoro e viene impiegata con successo nella progettazione di nuovi impianti e macchine, in quanto fornisce come prodotto il manuale di uso e manutenzione e la relativa lista dei ricambi strategici. Una volta infatti individuati i componenti critici e analizzate le loro modalit`a di guasto, le politiche di manutenzione possono essere oggettivamente determinate. Il Gruppo di lavoro che realizza la FMECA deve essere composto da personale con diversi livelli di professionalita` e con
specializzazioni differenti a seconda della tipologia dell’impianto in oggetto, scelti fra coloro che presentano una conoscenza dell’impianto piu` approfondita. Obiettivo principale della FMECA `e quello di fornire uno strumento analitico (oggettivo) per indirizzare in modo ottimale le risorse manutentive disponibili previste dal Piano di Manutenzione Produttiva tra manutenzione correttiva a guasto, preventiva programmata, preventiva su condizione e migliorativa.
4.6.4.6 Step 4 - Pianificazione del miglioramento.
Generare piu`
studi di fattibilit`a per piu`
alternative e verificare a priori tutti i
possibili problemi che potrebbero derivare dall’attuazione della soluzione proposta.
E` importante non sottovalutare nessuna idea che il team propone ed `e bene
non affidare questa fase a una/due persone perch`e potrebbero prendere decisioni arbitrarie o parzialmente esatte solo in funzione del ramo di cui sono esperti, non tenendo conto della problematica a 360 . Successivamente `e opportuno valutare la necessit`a di reingegnerizzare il processo o di cambiare macchine e/o materiali.
4.6.4.7 Step 5 - Implementazione del Miglioramento Focalizzato.
E` fondamentale che ognuno capisca e accetti i miglioramenti introdotti. Occorre
attuare il piano di miglioramento in modo scrupoloso individuando, se ce ne fosse bisogno, possibili ulteriori modifiche al processo ed operare in modo da coinvolgere il personale di produzione. Se dovessero esserci piu` moduli uguali, `e opportuno che il piano di miglioramento venga effettuato dapprima su un solo modulo e, solo dopo averne appurato i benefici, sugli altri.
4.6.4.8 Step 6 - Controllo dei risultati.
E` una fase che potrebbe richiedere molto tempo perch`e i risultati non sono immediati da cogliere; molte volte, non potendo constatare benefici nell’immediato, si tende ad essere scoraggiati. Occorre monitorare costantemente i risultati raggiunti sulla base degli obiettivi che ci si era prefissati inizialmente; questo deve avvenire disponendo
i dati di performance della linea sulle lavagne delle attivit`a in modo che ognuno possa capire il lavoro svolto e i risultati attesi.
4.6.4.9 Step 7 - Consolidamento dei risultati.
In questa fase viene effettuata un’analisi critica dei risulati raggiunti e di quelli
ancora da raggiungere per capire come deve essere regolato il processo.
E` neces-
xxxxx consolidare gli obiettivi a cui si `e giunti standardizzando tutte le procedure introdotte in formati e istruzioni ufficiali aziendali in modo da evitare che personale di linea possa ricadere nelle vecchie abitudini o dimenticare le migliorie introdotte.
4.6.5 V Pilastro - Manutenzione Progressiva
Si parla di manutenzione progressiva quando si riesce a realizzare un’integrazione delle politiche di gestione per ottimizzare l’efficienza e l’efficacia delle attivita` ma- nutentive. Lo scopo `e quello di definire un mix ottimale di manutenzione correttiva, programmata e predittiva, in maniera tale da ridurre il numero di guasti, i costi di gestione della manutenzione, l’MTBF (Mean Time Between Failure) e l’MTTR (Mean Time to Repair). La realizzazione di questa forma evoluta di manutenzione richiede il miglioramento delle macchine, con l’applicazione della manutenzione au- tonoma e delle procedure di miglioramento focalizzato e con la gestione opportuna della manutenzione programmata e di quella su condizione; richiede, altres`ı, un miglioramento delle tecnologie e delle competenze, prevedendo, ad esempio, sistemi di diagnostica e sistemi informativi di manutenzione, nuovi sistemi di ispezione e corsi di formazione del personale. La manutenzione programmata ha, altres`ı, il compito di stabilire e mantenere in condizioni ottimali attrezzature e processo. All’interno di un programma di sviluppo della TPM, la manutenzione programmata rappresenta la metodica attivit`a di costruzione e miglioramento continuo di un efficace ed efficiente sistema di gestione della manutenzione. Uno dei fattori di successo della manutenzione programmata `e il coordinamento con le attivita` della
manutenzione autonoma svolte dai reparti produttivi.
E` importante che siano
stabiliti standard che chiariscano i flussi, i compiti ed i tempi di realizzazione. Affinch´e la manutenzione programmata sia applicata con successo `e indispensabile
prima di tutto riportare le macchine alle condizioni di base.
E` evidente che, se le
condizioni di base non sono rispettate, si assiste al fenomeno dell’usura forzata e non `e possibile definire intervalli corretti di sostituzione, per cui l’intero sistema di manutenzione programmata risulterebbe inutile.
4.6.5.1 Step necessari per l’implementazione della Manutenzione Pro- gressiva
L’implementazione del pilastro della manutenzione progressiva si articola attraverso 6 step:
4.6.5.2 Step 1 - Valutazione delle macchine e comprensione della situa- zione.
In un’ industria sono presenti molti tipi di macchine. Non tutte le attrezzature o i macchinari hanno tuttavia la stessa importanza, ma anzi, deve essere stabilita una graduatoria delle macchine sulla base di criteri stabiliti. Solitamente gli elementi da valutare sono il danno (a volte scomposto in vari aspetti come sicurezza, operativita`, costo, impatto sulla qualit`a), la probabilit`a di guasto ed altri. Diverse sono le tecniche ed i modelli per la valutazione delle macchine come la FMECA o la FTA, PM analisi citati precedentemente. Attraverso l’implementazione di una di queste tecniche si deve pervenire ad una classificazione dell’insieme delle macchine in relazione alla loro importanza relativa.
4.6.5.3 Step 2 - Correzione del deterioramento e delle carenze di pro- getto.
Finch´e in uno stabilimento non `e correntemente applicata la manutenzione au- tonoma, gli impianti mostrano un deterioramento accelerato: gli intervalli di manutenzione sono quindi fortemente influenzati da questo fattore; inoltre, i tecnici della manutenzione sono completamente assorbiti dai compiti di riparazione. In
un simile contesto `e impossibile avviare un sistema di manutenzione progressiva. Questo step prevede allora che i tecnici di manutenzione supportino il personale di produzione per l’esecuzione dei compiti di correzione del deterioramento e delle carenze progettuali, al fine di ripristinare le condizioni ottimali della macchina. Si deve inoltre intervenire con strumenti idonei a prevenire i guasti ed i problemi di processo ricorrenti.
4.6.5.4 Step 3 - Costruzione di un sistema di gestione delle informa- zioni.
Nelle industrie sono spesso presenti moltissimi macchinari ed attrezzature che necessitano di manutenzione: questo porta facilmente ad avere una mole di dati
relativi alla manutenzione assolutamente ingestibile su supporto cartaceo.
E` quindi
necessario introdurre un sistema di gestione informatica dei dati. Prima della creazione di questo sistema, occorre valutare attentamente quali dati andranno inseriti, quale tipo di interfaccia `e necessaria e, quindi definirne la struttura. Si possono individuare due alternative:
- Un sistema ridotto di gestione dei dati, in grado di raccogliere i dati di guasto, conservare la storia delle sostituzioni, pianificare gli interventi e fornire periodicamente elenchi con le operazioni da eseguire;
- Un sistema evoluto che, oltre a cio`, sia in grado di dialogare con altri sistemi, in particolare il sistema di gestione del magazzino ed il sistema di controllo dei costi, fornendo quindi dati affidabilistici evoluti e controllando i costi relativi alle parti di ricambio ed al lavoro delle persone (CMMS) (si veda par.3.6.2). Una strategia che solitamente viene attuata con successo `e quella di partire con un sistema semplice, basato su normali PC, e successivamente evolvere verso sistemi complessi basati su server di rete.
4.6.5.5 Step 4 - Costruzione di un sistema di Manutenzione Periodica.
Al fine di costruire un sistema efficace, occorre valutare quali componenti devono essere oggetto di sostituzione periodica e quali di ispezioni, in base alle quali decidere le sostituzioni. Una volta scelte le periodicit`a di intervento, devono inoltre essere previsti metodi per rivedere tali periodicita` sulla base dei guasti occorsi prima della scadenza prevista e dei risultati che si sono ottenuti dopo l’intervento. Il sistema di manutenzione progressiva deve inoltre prevedere procedure tali da assicurare che parti di ricambio, lubrificanti, ed altro materiale siano definiti e resi disponibili in anticipo al fine di eseguire correttamente la fermata per la manutenzione, senza attese o ritardi.
4.6.5.6 Step 5 - Costruzione di un sistema di Manutenzione Predittiva.
Il sistema di manutenzione periodica `e stato avviato stimando le periodicit`a di sostituzione e di intervento. Tuttavia non sempre le stime si rivelano corrette. Un
metodo piu` efficiente per determinare il momento adeguato per la sostituzione
di un componente `e quello di determinarne l’effettivo stato, operando quindi su condizione. Per l’attivazione di un tale sistema `e necessario introdurre tecniche di diagnosi (iniziando con le parti piu` semplici), individuare i sintomi da monitorare ed addestrare le persone all’utilizzo delle necessarie strumentazioni ed al riconoscimento dei segnali deboli. Lo sviluppo di un sistema di manutenzione predittiva permettera` cos`ı di eliminare casi di sovramanutenzione delle macchine o rischi di guasti improvvisi quanto dannosi (si veda par.4.5.3).
4.6.5.7 Step 6 - Valutazione del sistema di Manutenzione Progressiva.
Si valuta l’efficacia del sistema introducendo misure significative e direttamente relazionate all’obiettivo finale, ovvero la riduzione dei guasti. Devono essere esami- nati i risultati della Manutenzione Autonoma, di quella Programmata e di quella Predittiva riguardo ai propri ambiti di competenza: la prima `e responsabile del mantenimento dell’attrezzatura in condizioni ottimali attraverso regolari ispezioni
giornaliere; la seconda dell’esecuzione del programma di manutenzione periodica, in accordo conil calendario prestabilito; e la terza del monitoraggio costante delle condizioni di funzionamento della macchina.
4.6.6 VI Pilastro: Formazione e addestramento
La corretta implementazione della TPM necessita di personale istruito, motivato e partecipe agli avvenimenti aziendali, in grado di attuare in modo efficiente ed efficace le azioni previste dal piano di introduzione e sviluppo della TPM. In tal senso assume un ruolo fondamentale l’addestramento del personale, che deve essere svolto in modo rigoroso e sistematico. Un corretto addestramento in ottica TPM consente di trasferire agli operatori di linea alcune delle attivit`a di ispezione e controllo degli impianti, tipiche dei manutentori (concetto di auto manutenzione visto precendentemente), attuando in questo modo un controllo continuo degli impianti e aumentandone quindi l’efficienza e favorendo la creazione di un ambiente di lavoro stimolante. Prima di ogni altra cosa occorre definire il livello di istruzione del personale. Per riuscire nell’intento proposto, si `e soliti utilizzare lo schema 4 skill levels:
- Mancanza di competenze teoriche e pratiche;
- Mancanza di competenze pratiche;
- Mancanza di competenze teoriche;
- Possesso di entrambe le competenze
Dopodich`e `e opportuno indirizzare il processo formativo verso la creazione di figure professionali “multiskill” ed estremamente competenti. L’addestramento do- vrebbe essere un mezzo per creare stimoli e motivazione e per fidelizzare il personale, rendendolo partecipe della missione dell’azienda. Infine, bisogna favorire la creazio- ne di un ambiente di lavoro in cui sia diffuso il concetto di “auto-addestramento”: il personale dovrebbe trovare gli stimoli per accrescere il proprio bagaglio culturale e
per apprendere nuove e piu` elevate competenze anche se non imposte direttamente dall’alto. Solo personale istruito e motivato pu`o infatti mettere in atto in modo efficiente ed efficace le azioni previste dalla TPM.
4.6.7 VII: Pilastro Qualit`a
Una corretta gestione della manutenzione si riflette inevitabilmente in un incremen- to della qualit`a del prodotto. La produzione infatti dipende dalla disponibilit`a e dalle condizioni operative delle macchine, per cui il controllo e l’accurata manuten- zione di queste ultime possono incrementare il livello di qualita` dei prodotti che vi vengono lavorati. Gestire la manutenzione in un’ottica di qualita`, significa operare in modo da prevenire problemi e difetti attraverso la corretta gestione dei processi e delle attrezzature. Dato che essa dipende generalmente da quattro fattori: uomini, materiali, macchine e metodi, affinch´e si ottengano i risultati desiderati dall’im- plementazione di questo pilastro, `e necessario aver gi`a correttamente sviluppato i pilastri della manutenzione autonoma, dell’addestramento, della manutenzione progressiva e del miglioramento focalizzato.
4.6.8 VIII: Pilastro Amministrazione
Va di pari passi con il primo pilastro ma si estende anche ai vertici aziendali. Il compito fondamentale del sistema amministrativo e quello di creare dei team di sviluppo della TPM e interfacciare i vari gruppi; implementando al contempo il pilastro del miglioramento focalizzato `e possibile incrementare l’efficienza delle atti- vita` di riorganizzazione e ridurre le problematiche tipiche. Le attivita` fondamentali che il sistema amministrativo `e chiamato ad assolvere sono le seguenti:
- Motivare e sostenere i team di implementazione della TPM;
- Supportare il management a diffondere la strategia aziendale;
- Raccogliere dati;
- Processare i dati;
- Distribuire informazioni.
Capitolo 5
Consolidamento del pilastro Focus improvement in Continental
Figura 5.1: Pilastri della TPM
5.1 Sommario
Alla luce di quanto scritto nei capitoli precedenti, la base di partenza di un progetto di miglioramento consiste nell’ effettuare un’analisi di miglioria degli strumenti a disposizione che consentano di ottenere dati di produzione esaustivi e precisi. Il capitolo seguente inizia con la descrizione della procedura utilizzata per migliorare il Database che l’azienda usa per catalogare le informazioni sui fermi macchina e presegue con l’analisi dei dati ottenuti. In seguito viene descritta la procedura sistematica introdotta per schedulare i progetti e tener traccia del loro stato di avanzamento per pianificare il piano di intervento nell’analisi di miglioramento. Il capitolo prosegue con la descrizione dei progetti che sono stati eseguiti durante il periodo di stage per ridurre le percentuali delle voci critiche riscontrate, in particolare: “Machine Breakdown” e “Change Type and Master Run”. Questi progetti riguardano l’ottimizzazione di un flusso critico, l’analisi FMECA di un modulo problematico a causa degli eccessivi fallout e la descrizione di una procedura per ridurre i tempi di attrezzaggio macchina.
5.2 Acquisizione dati
Alla base del miglioramento continuo c’`e la revisione periodica delle performance del giorno precedente al fine di capire quali siano state le principali voci di scarto e i problemi riscontrati in produzione. Assume un ruolo fondamentale, pertanto, la riunione di produzione che giornalmente viene effettuata e a cui partecipano tutti i membri del team: Capo produzione, Capo Turno, Controllo Qualit`a, Ingegneri di linea e Manutentore. Questo `e un momento importantissimo per la logica TPM in quanto si analizzano per ogni turno, le performance delle otto ore rispetto al valore target (che tiene conto anche dei Cambi Tipo effettuati), individuando le motivazioni degli scostamenti. Ogni lavoro di miglioria ha inizio da qui.
Prima di introdurre il lavoro svolto, `e necessario aprire una breve parentesi su come vengono reperiti gli indici di performance della linea. L’ analisi delle perdite
viene effettuata elaborando in un file excel informazioni che arrivano da tre fronti distinte:
- Sistema informativo1: ogni modulo tramite la propria sensoristica di bordo comunica con un database aziendale che a sua volta `e collegato all’intranet aziendale. Ogni dipendente pu`o reperire qualsiasi genere di informazione sulla linea di assemblaggio con il livello di dettaglio temporale desiderato; in particolare `e possibile impostare i giorni da visualizzare oppure l’intervallo in minuti da analizzare. Ai fini della valutazione delle performance di linea, le informazioni principali che vengono estrapolate sono:
1. FALLOUT: le percentuali di scarto delle macchine con la relativa causa di scarto. Questa informazione, fondamentale per evidenziare le criticita`,
`e richiesta sia a livello di CleanRoom globale che a livello di macroaree della CleanRoom.
2. FIRST PASS YIELD: la percentuale, per ogni macroarea, del numero di iniettori o subassemblati usciti buoni dalla macchina alla prima lavorazione in rapporto al numero di iniettori lavorati dalla macchina stessa.
3. GOOD PARTS: Il numero di iniettori buoni, quindi quelli usciti dall’ul- tima macchina della Clean Room (o dell’assemblaggio, a seconda del livello di dettaglio dell’analisi).
4. PPH e DOWNTIME: i pezzi prodotti ogni ora confrontati con il target orario, tenendo conto degli eventuali cambio tipo. I downtime sono segnalazioni di fermi macchina e devono servire a giustificare la differenza tra pph e target.
- Database downtime: Gli operatori e i manutentori inseriscono informazioni circa i fermi macchina, con particolare riguardo agli orari di fermo, a quelli di arrivo della manutenzione e a quelli di ripartenze della macchina. Vengono anche inserite informazioni qualitative a riguardo della causa del fermo
Figura 5.2: Schema di flusso per l’analisi delle perdite
macchina e le modalit`a di intervento. Questo Database `e consultabile dai tecnici, dai manutentori, dagli operatori e dai capiturno.
- Rapporto: I capiturno redigono, alla fine del turno lavorativo, un rapporto in cui segnalano le performance della linea, le confrontano con i target e segnalano le cause e i problemi che non hanno permesso il raggiungimento di tali target, soprattutto per tutte le fermate dovute a cause esterne alla macchina.
5.2.1 Database downtime
Le informazioni che vengono trasmesse su Sistema informativo 1 sono di tipo quantitativo e, a meno di guasti, si `e certi dell’ esattezza dei valori trasmessi. Discorso a parte merita la rintracciabilita` dei dati presenti nel Database downtime; sono informazioni di diversa natura perch`e derivano direttamente da indicazioni
che gli operatori e i manutentori restituiscono dopo ogni fermo macchina ed eventuale intervento. Partendo da questo presupposto, `e fondamentale avere un database strutturato e dettagliato al fine di limitare gli errori umani e garantire la rintracciabilit`a delle informazioni desiderate.
Essendo la linea in esame nuova e funzionante a regime solo da pochi mesi, per`o, non si dispone di un Database ben strutturato in grado di fornire le informazioni richieste per cui si `e ritenuto necessario intraprendere uno studio di ottimizzazione dello stesso al fine di riuscire ad estrapolare i dati necessari per definire in maniera esatta e univoca le performance della linea.
5.2.1.1 Analisi AS-IS
Il database `e stato creato usando Microsoft Access ed utilizzando gli elementi tipici di tale software:
- Tabelle: `e un contenitore di dati elementari composto da righe e colonne; serve per inserire nuovi dati, ma prima ancora serve a definire il tipo di dati che
deve ospitare.
E` sempre obbligatorio specificare un nome per ogni colonna,
che prende il nome di campo, mentre ogni riga rappresenta un record che contiene tutte le informazioni per ogni singolo elemento della tabella. Tabelle distinte possono essere usate per mantenere informazioni in relazione tra loro. La combinazione di tutte le tabelle e di tutte le relazioni reciproche costituisce la base portante del database.
- Maschere: costituiscono l’interfaccia primaria tra l’utente ed il Database di Access; esse permettono di visualizzare, modificare, inserire ed eliminare dati
in maniera piu` facile. Una maschera `e una visualizzazione organizzata e
formattata di alcuni o tutti i campi di una o piu` tabelle o query e funziona interagendo con le tabelle del database. Oltre ai campi di una tabella, in una maschera possono essere inseriti anche pulsanti di comando, immagini e altri accessori che consentono di manipolare e visualizzare agevolmente i dati.
- Query: `e una tabella “virtuale”, basata su una o piu` tabelle. Non esiste come tabella a s´e stante nel database corrente ma i dati provengono sempre da tabelle reali; tramite Query `e possibile raggruppare le informazioni selezionate dal database ed organizzarle per essere poi utilizzate dai report o per essere visualizzate sullo schermo attraverso le maschere.
- Report: utilizzati per graficare o elencare le informazioni contenute nel database. In un report `e possibile combinare i dati dividendoli in apposite sezioni cos`ı da poter unire i dati provenienti da tabelle per trasferire informazioni in modo semplice ed efficace.
Il corpo del Database in esame `e rappresentato dalle seguenti tabelle:
- Interventi : la tabella principale che raccoglie i dati relativi ai fermi macchina;
- Tipi di interventi : tabella che contiene le varie voci di fermo che un operatore pu`o scegliere;
- Tipo di fermo: tabella che consente di effettuare stratificazioni tra fermi macchina a guasto, pianificati, esterni alla macchina o di cambio tipo.
- Operatori : la lista di tutti gli operatori che lavorano all’interno della linea
- Test Plans: la lista con tutti i Test Plans dell’iniettore.
La maschera del DB si presenta agli operatori di linea come in fig. 5.3. Come `e possibile notare, si possono distinguere le indicazioni in due categorie:
1. Quelle in cui un addetto pu`o scegliere una voce da un elenco prefissato, in quanto `e presente un menu` a tendina;
2. Quelle a indicazione libera, in cui un addetto pu`o inserire note e commenti riferiti ad un certo evento.
Le prime consentono all’operatore di velocizzare il processo di apertura fermo; procedendo con struttura ad albero, `e possibile identificare in maniera immediata l’area e il modulo che `e causa di fermo. Segue quindi una lista dei possibili modi di guasto e l’operatore puo` selezionare una voce prefissata per descriverli. Le seconde danno, invece, la possibilit`a di inserire note e commenti sul tipo di guasto per aggiungere informazioni che nel menu` a tendina non sono presenti.
Figura 5.3: Maschera per Scheda Intervento
Sono presenti, inoltre, delle schede che a seconda del tipo di fermo vengono visualizzate o meno; le piu` importanti sono la scheda Manutenzione e la scheda Passaggio prova. La compilazione della prima `e compito del manutentore, il quale
`e tenuto a compilarla per ogni intervento che esegue nella linea, deve segnalare informazioni sull’ effetto che ha causato il guasto, la causa e descrivere la modalita` con cui `e avvenuto. Le seconde, invece, vengono compilate dagli operatori di linea che effettuano il passaggio prova. Per ogni modulo e tipo di prova deve essere segnato se l’esito `e conforme, non conforme o non eseguito; un esempio `e riportato in fig. 5.4.
Figura 5.4: Maschera per scheda prova
5.2.1.2 Benchmarking reparto 2 e migliorie apportate:
La base di partenza `e stata l’analisi del database downtime di un reparto ormai consolidato che `e in funzione da molti anni; per tale motivo `e stato preso come punto di riferimento per un iniziale progetto di miglioramento. L’obiettivo di questa prima analisi `e stato quello di capire le performance di cui si vuole tener traccia e il modo per poterle ottenere.
Andando ad analizzare il DB si `e notato subito che si era ben lontani dall’avere uno strumento ottimale per catalogare tutte le informazioni necessarie per analizzare le performance di linea. Qu`ı di seguito sono elencati gli aspetti sui quali si `e deciso di intervenire:
Voci di intervento: Si `e notato come le voci di intervento presenti nel menu` a tendina fossero troppo poche e generiche. Le voci di intervento sono tutte le possibili cause di guasto che possono verificarsi su un particolare modulo; come detto precedentemente, per facilitare l’inserimento da parte degli operatori si `e ritenuto necessario creare un campo in cui egli debba scegliere la causa all’interno di una lista. Questa scelta, pero`, se da un lato vuole snellire il processo di inserimento dati, dall’altro potrebbe comprometterlo perch`e esso dipende molto dalla sensibilita` del personale produttivo e, quindi, dalla possibilit`a che si possano utilizzare due voci diverse per descrivere lo stesso evento. Questo puo` accadere sia tra operatori diversi, sia per mano di uno stesso operatore che segnala uno stesso problema in due momenti diversi. La necessit`a di avere maggiori informazioni sui Downtime, ha indotto ad aumentare le voci di intervento. Per riuscire nell’intento proposto, si sono sfruttati i campi ad indicazione libera; questi ultimi sono tutti quei campi in cui l’operatore ha modo di inserire di proprio pugno informazioni in merito al guasto. Quest’ultime sono informazioni preziose perch`e sono fornite direttamente da personale che ha assistito al guasto ma necessitano di un’attenta e laboriosa analisi di revisione; un ulteriore valore aggiunto di questo tipo di indicazioni `e che permettono di far emergere tutte quelle microfermate che, se non stratificate con voci standard, non verrebbero considerate importanti come causa singola di fermata. Tutte queste informazioni, pero`, molte volte sono incomplete, non del tutto esatte o ambigue e, qualora fossero compilate correttamente, se lasciate all’interno del campo note non ne rimarrebbe traccia nello storico perch`e non inserite all’interno della tabella interventi. Per prima cosa `e stato necessario, innanzitutto, comprendere il processo di assemblaggio, interpretare le informazioni a disposizione ed infine inserire una voce dedicata per ogni tipo di nota. Questa procedura ha richiesto un’ attenta analisi con revisioni quotidiane delle schede di intervento data anche
la complessit`a degli eventi che investono il campo manutentivo.
E` stata fatta
particolare attenzione a non aggiungere voci di diversa natura perch`e avrebbe contribuito a generare confusione come ad esempio mischiare le cause con gli effetti del guasto. Per quanto riguarda la stratificazione delle voci di guasto, invece, `e
importante non lasciare la voce generica ma al tempo stesso non dettagliarla troppo perch`e rischierebbe di non essere percepita dall’operatore e, di conseguenza, non avrebbe senso.
Scheda Cambio Tipo: Ogni qualvolta si passa da un Test Plan di produzione ad un altro, deve essere effettuato un cambio tipo. Questo pu`o comportare un certo numero di operazioni di attrezzaggio da effettuare, che vanno dal cambio dei componenti utilizzati fino ai Setup delle macchine, per le quali devono essere xxxx- postati determinati parametri di lavorazione. I parametri principali per misurare quantitativamente un cambio tipo sono tre:
- Tempo di Cambio Tipo: Rappresenta il tempo che trascorre dall’ultimo pezzo scaricato dall’ultima macchina del vecchioTest Plan al primo pezzo caricato sull’ultima macchina per il nuovo Test Plan.
- Tempo di Filling: Rappresenta il tempo impiegato a riempire la linea con il nuovo Test Plan in produzione. Viene quindi calcolato come la differenza tra l’istante in cui si carica il primo pezzo nell’ultima macchina e l’istante in cui si carica il primo pezzo nella prima macchina, entrambi per il nuovo Test Plan.
- Tempo di Emptying: Rappresenta il tempo impiegato a svuotare la linea per il vecchio Test Plan di produzione. Pu`o essere calcolato come la differenza tra l’istante in cui si scarica l’ultimo pezzo dall’ultima macchina e l’istante in cui viene scaricato l’ultimo pezzo, sempre dello stesso Test Plan, dalla prima macchina.
Questi dati possono essere reperiti direttamente dal sistema informativo1 ma `e importante che anche il Database sia strutturato in modo da tener traccia di tali informazioni; nel S.I., infatti, sono registrati tutti i cambio tipo e i relativi tempi ma non sempre vengono segnalate le motivazioni del perch`e un cambio tipo
`e durato il doppio di quello che sarebbe dovuto durare.
E` importante, quindi,