Contratto a termine
Giurisprudenza
Lavoro a tempo determinato
L’insostenibile leggerezza
della conversione del contratto a termine nel lavoro pubblico
I
CASSAZIONE CIVILE, sez. lav., sent. 22 aprile 2010, n. 9555 - Pres. Vidiri - Est. Stile
Lavoro nelle pubbliche amministrazioni - Assunzioni dei portieri dell’Inail - Natura privatistica con sottrazione alla disci- plina generale - Sussistenza - Violazione dell’art. 97 Cost. - Insussistenza
[D.Lgs. n. 165/2001, art. 36; L. n. 70/1975; D.P.R. n. 411/1976; D.Lgs. n. 29/1993, art. 36, comma 1, lettera b)]
Il rapporto tra l’Inail e i suoi portieri, pur essendo di pubblico impiego, è disciplinato, nel suo contenuto, da un contratto collettivo di natura privatistica che lo sottrae all’operatività della disciplina generale, che esclude, in caso di violazione di disposizioni imperative riguardanti l’assunzione o l’impiego di lavoratori, da parte delle pubbliche amministrazioni, la costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato. La natura pubblicisti- ca del datore di lavoro non rappresenta circostanza sufficiente a impedire la conversione di contratti a tempo determinato con termini nulli in contratti a tempo indeterminato quando la procedura di reclutamento per l’as- sunzione a tempo indeterminato non preveda un pubblico concorso e, quindi, non sia in violazione dell’art. 97, comma 3, della Costituzione, nell’interpretazione enunciata dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 89/2003.
@ Il testo integrale della sentenza è disponibile su: xxx.xxxxx.xx\illavoronellagiurisprudenza
ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI
Conforme | Non constano precedenti specifici della Corte di Cassazione. |
Difforme | Corte Cost. nn. 89/2003, 205/2006, 215/2009 e 295/2009; Trib. Rossano, sent. 4 giugno 2007; Trib. Foggia, sent. 6 novembre 2006; Trib. Genova, sent. 14 maggio 2007; App. Firenze, sent. 27 maggio 2008; Trib. Foggia, sent. 17 ottobre 2008; App. Bari, sent. 23 ottobre 2008. |
II
TRIBUNALE DI SIENA, sez. lav., 27 settembre 2010 - Est. Cammarosano
Lavoro nelle pubbliche amministrazioni - Contratti a termine - Conversione in caso di illegittimità - Ammissione - Viola- zione dell’art. 97 Cost. - Insussistenza - Direttiva 1999/70/Ce - Immediata applicazione - Sussistenza - Fattispecie.
(Cost. art. 97; X.Xxx. 30 marzo 2003, n. 165, artt. 35 e 36; Xxxxxxxxx 1999/70/Ce)
Nel lavoro nelle pubbliche amministrazioni il rimedio della conversione dei contratti a termine illegittimi in contratti a tempo indeterminato costituisce misura di reintegrazione/risarcimento in forma specifica ex art. 2058, comma 1, c.c., cioè sanzione equivalente, effettiva e dissuasiva, atta a prevenire gli abusi nell’apposi- zione del termine, senza che sia violato l’art. 97, comma 3, della Costituzione, il quale prevede espressamen- te la possibilità per il legislatore ordinario di derogare alla regola della concorsualità, che, nel caso specie, è stata comunque rispettata. Inoltre il principio di non discriminazione, contenuto nella direttiva 1999/70/Ce, di immediata applicazione e di diretta efficacia orizzontale, impone che la necessaria giustificazione causale del
recesso consacrata dalla Carta di Xxxxx si estenda anche al rapporto di lavoro temporalmente precario (Fattispecie di personale docente del comparto Scuola).
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ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI
Conforme | Trib. Rossano, ord. 25 novembre 2009, causa C-3/10 “Affatato”; Cass., sez. lav., 22 aprile 2010, n. 9555, Pres. Vidiri, Est. Stile. Trib. Reggio Xxxxxx, sent. 18 aprile 2007. |
Difforme | Corte cost. sentenze nn. 46/2000, 89/2003, 159/2005, 205/2006, 215/2009 e 295/2009; Trib. Rossano, sent. 4 giugno 2007; Trib. Foggia, sent. 6 novembre 2006; Trib. Genova, sent. 14 maggio 2007; App. Firenze, sent. 27 maggio 2008; Trib. Foggia, sent. 17 ottobre 2008; App. Bari, sent. 23 ottobre 2008. |
IL COMMENTO
di Xxxxxxxx De Xxxxxxx
Nel commento vengono esaminate le due decisioni della Cassazione e del Tribunale di Siena che, nel lavo- ro pubblico, segnano una svolta straordinaria e in qualche modo sorprendente dello sforzo ricostruttivo del- la disciplina dei contratti a tempo determinato operato dagli interpreti nazionali nel confronto costante e di- retto o con i principi e le norme costituzionali nella loro effettiva incidenza e applicazione nell’ordinamento interno (sentenza n. 9555/2010 della Suprema Corte) o con la normativa europea e con la Corte di Giustizia, come fa il Giudice senese. Sull’art. 97, comma 3, Cost. vengono agevolmente superate posizioni interpre- tative, soprattutto della Corte costituzionale, apparentemente consolidate ma assolutamente inadeguate a garantire l’effettività della tutela dei diritti dei lavoratori precari alle dipendenze delle pubbliche amministra- zioni. Nasce dalla crisi del tradizionale sistema delle fonti del diritto la prospettiva nuova del Giudice nazio- nale che, implicitamente (Corte di legittimità) o esplicitamente (Giudice di merito), diventa anche Giudice della nomofilachia del diritto dell’Unione europea.
Il triangolo delle Bermude e l’art. 97, comma 3, della Costituzione
Era l’ultima frontiera dei divieti impossibili (da supe- rare) o delle norme “imperativissime”, che impedi- scono di dare tutela effettiva agli abusi sistematici delle pubbliche amministrazioni nei confronti dei la- voratori assunti con rapporto flessibile: l’art. 97, comma 3, 1ª parte della Costituzione che, nell’inter- pretazione costantemente proposta dal Giudice delle leggi, impone come modalità principale e ordinaria di reclutamento nella P.A. il pubblico concorso.
Del tutto inaspettatamente, si è molto indebolito e attenuato il grande sacello di legalità ordinamentale e amministrativa - il principio del pubblico concor- so - che distingue in due grandi categorie i lavorato- ri in cerca di un posto stabile nel pubblico impiego, gli eletti (perché hanno superato un pubblico con- corso) e i raccomandati (che non hanno superato un pubblico concorso e alimentano le proprie speranze di un lavoro non precario ai consueti canali cliente- lari). Che cosa ha causato questo innalzamento tel- lurico improvviso, con fuoriuscita del magma giuri-
dico che ricopriva gli spazi di tutela dei lavoratori pubblici con contratti flessibili, utilizzati senza limi- ti? Il solito Giudice del lavoro in cerca di facile po- polarità tra i precari, resi più disperati dalle conse- guenze di una crisi troppo lunga? In rea
ltà, il terribile (in apparenza, solo in apparenza) evento per le finanze pubbliche è stato determinato anche dai Giudici di merito, in particolare dal Tri- bunale di Genova che aveva sollevato due identiche questioni di pregiudizialità comunitaria, apparente- mente risolte dalla Corte di Giustizia nelle note sen- tenze del 7 settembre 2006 nelle cause Marrosu-Sar- dino e Vassallo (1), e dal Tribunale di Rossano che,
Nota:
(1) Xxxxx xx Xxxxxxxxx, Xxx. XX, 0 settembre 2006, cause C-53/04 e C-180/04. In dottrina, si vedano, tra i tanti che se ne sono occu- pati, X.Xxxxxxxx, Precarietà del lavoro e riforma del contratto a termine dopo le sentenze della Corte di Giustizia, in Riv. Giur. Lav., 2006, I, 698; X. Xxxxxxxxxx, La Corte di Giustizia e gli abusi nella reiterazione dei contratti a termine: il problema della legit- timità comunitaria degli artt. d.lgs.368/2001 e 36 d.lgs. 165/2001, in Riv. It. Dir. Lav., 2006, II, 744; X. Xxxxxxxxx, Il con-
(segue)
nella causa C-3/10 Affatato, tuttora pendente da- vanti alla Corte di Giustizia, ha rimesso in discussio- ne, sostanzialmente, le conclusioni della CGUE nei due precedenti “italiani”. Tuttavia, la vera frattura nella - apparentemente inossidabile - protezione an- tiraccomandati apprestata in favore delle pubbliche amministrazioni non è stata determinata soltanto dalla commentata sentenza del Tribunale di Siena, quanto piuttosto dalla Suprema Corte di Cassazione che, con la sentenza n. 9555/2010, scardina con l’i- neffabile leggerezza della nomofilachia autentica il vertice principale del “triangolo delle Bermude” (2), cioè il pubblico concorso, l’art. 97, comma 3, 1a par- te della Costituzione. Per capire che cosa è successo, bisogna necessariamente seguire l’evoluzione della specie del precariato pubblico (raccomandato e non).
I contratti a tempo determinato nel lavoro pubblico fino alle sentenze della CGUE
La normativa interna sul contratto a tempo deter- minato nel pubblico impiego “privatizzato” è carat- terizzata da un processo legislativo tumultuoso, che però si è accentrato prevalentemente (fino al 10 gennaio 2006 esclusivamente) sulla tutela “in usci- ta”, cioè sul meccanismo sanzionatorio (presunto o effettivo) per reprimere gli abusi nell’utilizzazione dei contratti a termine, cui si è affiancata una giuri- sprudenza altrettanto vivace che, come vedremo, ha sottoposto le regole nazionali (nell’interpretazione della Corte Costituzionale), ancorate al “mito” del principio del pubblico concorso, al vaglio della Cor- te di Giustizia.
L’evoluzione legislativa che, dal 1993, aveva più volte inciso sulla materia, pareva essersi arrestata con l’avvento del nuovo millennio, allorquando la disciplina ha subito un riordino ad opera del Testo
Assunzioni a tempo indeterminato e determinato nella p.a.: art. 16 della L. 56/1987
Le assunzioni con contratto individuale di lavoro a tempo indeterminato nel pubblico impiego, dunque, sono regolamentate dall’art. 35, D.Lgs. n. 368/2001 (e non dall’art. 97 della Costituzione), norma sotto- posta al vaglio positivo di costituzionalità della Consulta che al comma 1 individua, a parte il collo- camento obbligatorio (secondo comma), i due cana- li delle “procedure selettive”, conformi ai principi del comma 3, volte all’accertamento della professio- nalità richiesta, che garantiscano in misura adegua- ta l’accesso dall’esterno (comma 1, lettera a) e del- l’“avviamento degli iscritti nelle liste di colloca- mento”, ai sensi dell’art. 16 della L. n. 56/1987.
Com’è noto, addirittura prima della privatizzazione del pubblico impiego, l’art. 16 della L. n. 56/1987 ha disciplinato modalità di reclutamento esclusive per l’assunzione sia a tempo indeterminato che a tempo determinato nella pubblica amministrazione di la- voratori da inquadrare in profili “medio-bassi”. A ta- le proposito, la indiscussa validità dell’art. 16 della
L. 56/1987 risulta evidente nel D.Lgs. 19 dicembre 2002, n. 297, che, all’art. 8, comma 1, lett. f) del de- creto, nell’abrogare quasi interamente la L. 56/1987, fa salvo proprio l’art. 16.
La giurisprudenza di legittimità (3) ha ulteriormen- te consolidato il dato normativo, facendo rilevare che la procedura prevista dall’art. 16 della L. n. 56/1987 e dai D.P.C.M. attuativi 27 dicembre 1988 e 30 marzo 1989, è l’unica ed esclusiva modalità di reclutamento che legittimi l’assunzione a tempo in- determinato o a tempo determinato nella pubblica amministrazione «dei lavoratori, da adibire a man- sioni per le quali non sia previsto titolo professiona-
unico sul pubblico impiego n. 165 del 30 marzo
2001, con il quale il legislatore interno, pur senza realizzare grosse modifiche sostanziali, ha provvedu- to ad un coordinamento testuale e sistematico delle diverse disposizioni già vigenti in materia.
Le finalità dell’iniziativa di xxxxxxxx sono elencate dall’art. 1, il quale, alla lett. c) include la «migliore utilizzazione delle risorse umane nella Pubblica Am- ministrazione», ma anche l’applicazione di «condi- zioni uniformi rispetto a quelle del lavoro privato». Nel D.Lgs. n. 165/2001 le norme relative alle proce- dure per l’assunzione del personale sono inserite al- l’art. 35, rubricato “reclutamento del personale”, mentre l’art. 36, denominato “forme contrattuali fles- sibili di assunzione e di impiego del personale”, rego- la i contratti flessibili d’impiego nel lavoro pubblico.
Note:
(continua nota 1)
tratto a termine e la liberalizzazione negata, in Dir. Rel Ind., 2006, 610; X. Xxxx, Il contratto a termine alla prova, in Lav. Dir., 2006, 462; X. Xxxxxxx, Sanzioni per il contratto a termine nel lavoro pub- blico e Corte di Giustizia Europea, in Dir. lav. merc., 2007, 131. Per ulteriori approfondimenti, v. anche X. Xx Xxxxxxx, Contratto a termine e precariato, Milano, 2009, 175 ss.
(2) Un vortice giuridico, costituito dall’art. 2126 c.c., dall’art. 36, comma 5 (ex comma 2), del T.U. in materia di pubblico impiego (D.Lgs. n. 165/2001) e dal “sancta sanctorum” dell’articolo 97, comma 3, della Costituzione, che fagocita ogni forma di tutela effettiva nei confronti del precariato pubblico. Per i riferimenti, X. Xx Xxxxxxx, Pubblica amministrazione e rapporti di lavoro «di fatto»: riflessioni su art. 2126 c.c. e effettività delle tutele, in M. D’Xxxxxx e X. Xxxxx (a cura di), Il contratto a termine nel lavoro privato e pubblico, Milano, 2008, 135.
(3) Cass., 13 dicembre 2003, n. 19108, in Giust. civ. Mass., 2003, 12.
le e da inquadrare nei livelli per i quali è richiesto il solo requisito della scuola dell’obbligo».
In realtà, anche nel pubblico impiego per le profes- sionalità medio-basse era stato creato un meccani- smo di precedenza molto simile a quello del lavoro stagionale privato. Infatti, i lavoratori a termine as- sunti attraverso le procedure dell’art. 16 della L. n. 56/1987 beneficiavano del diritto alla conservazione del posto in graduatoria, nel caso di utilizzazione non superiore a quattro mesi nell’anno solare e del conseguente diritto alla riutilizzazione “periodica” a tempo determinato negli anni successivi, come pre- visto dall’art. 23, comma 4, della stessa L. 56/1987. Il sistema di utilizzazione, per quanto discutibile (il lavoratore era “costretto” a chiedere all’amministra- zione pubblica di non impiegarlo per un periodo su- periore a quattro mesi l’anno, anche quando le esi- genze di impiego erano di durata superiore, trattan- dosi per lo più di posti stabili e di carenze), ha assi- curato per quasi quindici anni una buona prassi di flexicurity, con una combinazione di lavoro a termi- ne e di indennità di disoccupazione ordinaria (piena o con requisiti ridotti) nel pubblico impiego. La riforma dei servizi per l’impiego e l’abrogazione del- le liste di collocamento conseguente al D.Lgs. n. 297/2002, combinate con l’abrogazione dell’intero art. 23 della L. n. 56/1987 (cfr. art. 11, D.Lgs. n. 368/2001) e con una nuova disciplina dello status di disoccupazione legato anche a requisiti reddituali, distorceranno il descritto sistema e creeranno una confusione incredibile nell’utilizzazione delle gra- duatorie ex art. 16, L. n. 56/1987, di fatto scomparse e rifatte annualmente o periodicamente con nuovi criteri.
Le assunzioni a tempo determinato nel pubblico impiego nell’art. 36, D.Lgs. n. 165/2001
L’art. 36, comma 1, D.Lgs. n. 165/2001 (nella for- mulazione antecedente la riforma della legge finan-
con l’art. 2126 x.x., xxxx xx xxxxxxx xxx xxxxxxxxxx ge- netico per violazione di fantomatiche “norme impe- rative di legge” (4) (sostanzialmente quelle sul re- clutamento), paralizza gli effetti dell’abuso sul rap- porto sostanziale e sul sinallagma funzionale, salvo il finto “risarcimento dei danni”, che la giurisprudenza non ha mai utilizzato prima delle due sentenze della Corte di Giustizia “Marrosu-Sardino” e “Vassallo”. Visto alla luce della giurisprudenza comunitaria sul contratto a tempo determinato e del sistema di ga- ranzie e di tutele apprestate dalla disciplina “appli- cata” e interpretata dell’accordo quadro, questa co- struzione da “triangolo delle Bermuda” di un mecca- nismo di diniego assoluto di tutela è quanto di più assurdo e antigiuridico il nostro ordinamento giuri- dico potesse partorire, al solo scopo di salvaguardare gli abusi delle pubbliche amministrazioni.
La sentenza 89/2003 della Corte Costituzionale
La sentenza 89 del 27 marzo 2003 della Consulta (5), che finisce per garantire la continuità degli abu- si dello Stato sui contratti a termine, nasce fuori contesto, per una serie di errori in fatto e in diritto. L’errore in fatto risulta evidente dalla ricostruzione della vicenda delibata dal Giudice rimittente, il Trib. Pisa (6), che ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 97 Cost., questione di legittimità costituzio- nale dell’art. 36, comma 2, D.Lgs. n. 165/2001 sul divieto di riqualificazione dei rapporti a tempo de- terminato nella pubblica amministrazione. Si tratta- va di una domanda giudiziale di alcuni collaboratori scolastici (personale A.T.A.) ex dipendenti a termi- ne del Comune di Pisa, la cui posizione, ai sensi del- la L. n. 124/1999, era confluita nelle graduatorie permanenti provinciali (ma gestite dallo Stato) del profilo professionale corrispondente (ex V qualifica funzionale Ccnl Comparto Scuola), disciplinate dal D.Lgs. n. 297/1994. Come già sottolineato (v. infra), le graduatorie in questione costituiscono l’unica
ziaria n. 244/2007) legittima pienamente il ricorso
delle pubbliche amministrazioni alle forme flessibili di impiego (e, in particolare, al contratto a termi- ne), senza vincoli particolari né particolari forme di reclutamento.
L’apparente libertà operativa viene esplicitata, sotto forma di autorizzazione all’abuso, dal successivo comma 2 dello stesso articolo, con il “famigerato” divieto di conversione in contratti a tempo indeter- minato, nel caso di violazione di disposizioni impe- rative riguardanti l’assunzione o l’impiego dei lavo- ratori. Si tratta della classica norma di sbarramento che, attraverso la stessa formulazione già utilizzata
Note:
(4) D’altra parte, proprio sul piano della definizione si rileva l’inu- tilizzabilità della categoria delle norme imperative di legge. Come perfettamente rappresentato da X. Xxxxxx, La norma inderogabi- le: fondamento e problema del diritto del lavoro, relazione Con- vegno AIDLASS 19-20 aprile 2008, Modena, p. 4, su xxx.xxxxxxx.xxx, «la norma imperativa sarebbe quella munita di mera efficacia invalidante dell’atto di autonomia privata ad essa contraria»: è evidente che la nozione di norma imperativa (e la sua violazione) non consente ontologicamente alcuna forma di tutela “esterna” rispetto al rapporto o contratto annullato.
(5) In questa Rivista, 2003, 831 s., con nota di X. Xxxxxxxxx, Pro- cedure concorsuali, violazione di legge, costituzione del rappor- to di pubblico impiego.
(6) Ordinanza del 7 agosto 2002.
modalità di reclutamento a tempo indeterminato o a tempo determinato del personale a.t.a., mutuando con le peculiarità tipiche del settore le modalità pro- cedimentali dell’art. 16 della L. n. 56/1987, cui ap- partiene come bacino professionale la gran parte dei lavoratori interessati all’impiego pubblico.
I collaboratori scolastici, sempre per il tramite delle predette graduatorie (e quindi con modalità di re- clutamento legittime ed esclusive), erano stati as- sunti con contratti a termine stipulati nel gennaio 2000, successivamente prorogati (più volte) fino al- la domanda giudiziale di conversione a tempo inde- terminato, per evidente violazione dell’art. 2 della
L. n. 230/1962. L’ordinanza di rimessione intervie- ne in un momento in cui la Direttiva 1999/70/CE era stata già recepita dal D.Lgs. n. 368/2001, anche se la regolamentazione normativa dei contratti a termine era ancora quella della previgente discipli- na interna.
La Corte Costituzionale ignora il fatto che le norme sottoposte al vaglio di legittimità costituzionale rientravano nell’ambito di applicazione del diritto comunitario e, con la sentenza 89/2003, dichiara la legittimità costituzionale dell’art. 36, comma 2, D.Lgs. n. 165/2001, affermando del tutto fuori tema (decidendi) che il principio fondamentale in materia di instaurazione del rapporto di impiego alle dipen- denze delle pubbliche amministrazioni è quello, del tutto estraneo alla disciplina del lavoro privato, del- l’accesso mediante concorso, enunciato dall’art. 97 Cost.
In effetti, non solo il principio del pubblico concor- so non aveva valenza né teorica né pratica (e quindi la sentenza è sbagliata “in fatto”), ma la Consulta ha invaso anche il campo interpretativo della Corte di Giustizia, mettendo in discussione delicati equilibri istituzionali e costituzionali (era già intervenuta an- che la modifica dell’art. 117 Cost., con la legge co- stituzionale 3/2001).
Le prime questioni di pregiudizialità comunitaria sulla tutela del precariato pubblico
La prima risposta alla non condivisibile sentenza 89/2003 della Corte Costituzionale la fornisce il Trib. Genova, che, come già anticipato, solleva due questioni di pregiudizialità comunitaria, che saran- no risolte dalla Corte di Giustizia con le due senten- ze del 7 settembre 2006 nelle cause C-53/04 (“Mar- rosu-Sardino”) e C-180/04 (“Vassallo”). La più pun- tuale delle ordinanze di rimessione è quella del 21 gennaio 2004 (7), resa in un giudizio concernente la domanda giudiziaria di un cuoco di un’azienda ospe-
xxxxxxx pubblica, licenziato dopo che aveva stipulato due successivi contratti a tempo determinato, il qua- le chiedeva al Giudice del lavoro di dichiarare, sulla base del D.Lgs. n. 368/2001, la sussistenza di un rap- porto lavorativo a tempo indeterminato con l’azien- da ospedaliera e la condanna dell’azienda stessa al pagamento delle retribuzioni dovute e al risarcimen- to del danno subito.
Il Giudice genovese ha ritenuto di dover adire la Corte di Giustizia, trovandosi di fronte ad una dispo- sizione interna, quella dell’art. 36, comma 2, D.Lgs.
n. 165/2001, che vieta la conversione in rapporto a tempo indeterminato e che appare in contrasto con una disposizione interna successiva, quella del D.Lgs.
n. 368/2001, la quale, in attuazione della Direttiva 1999/70/CE, ha previsto la stessa conseguenza della riqualificazione per tutti i contratti a tempo determi- nato, salvi i casi espressamente esclusi.
Dopo aver sottolineato che il D.Lgs. n. 368/2001 potrebbe applicarsi integralmente al lavoro pubbli- co, in quanto né il decreto attuativo né la legge de- lega 422/2000 prevedono limitazioni di applicazione in questo senso orientate, sia in virtù dell’abrogazio- ne delle norme incompatibili e non espressamente richiamate ad opera dell’art. 11 dello stesso decreto legislativo, il Tribunale ligure ha sostenuto l’irrile- vanza, nel tema, del principio costituzionale del pubblico concorso. Il primato del diritto comunita- rio si esplica, infatti, non solo nei confronti delle norme di rango primario, ma anche di quelle di ran- go costituzionale, salvo che una tale applicazione comporti “violazioni di principi fondamentali del- l’ordinamento nazionale o di diritti inalienabili del- la persona umana” (8), e visto che la regola dettata dall’art. 97, terzo comma, Cost. «non sembra ricon- ducibile ai principi fondamentali dell’ordinamento interno».
In buona sostanza, il Giudice genovese ha osservato che:
l’Accordo quadro sul lavoro a tempo determinato e la direttiva 1999/70/CE hanno portata generale e sono applicabili anche al settore pubblico;
il D.Lgs. n. 368/01, che prevede la conversione al- l’art. 5, è cronologicamente successivo - sia pure di poco - al D.Lgs. n. 165/2001, che pone lo sbarra- mento di cui all’art. 36, comma 2;
Note:
(7) Est. Basilico, causa C-53/04 “Marrosu-Sardino”, in questa Ri- vista, 2004, 9, 885 e ss., con nota di C.A. Xxxxxxxxxx.
(8) In tal senso, Xxxxx Xxxx., xxxxxxxx 00 dicembre 1995, n. 509, in Foro It., 1996, I, 785, con nota di X. Xxxxxx; Corte Cost., sen- tenza 21 aprile 1989, n. 232, in Riv. it. dir. pubbl. comu- nit., 1991, 138.
il D.Lgs. n. 368/01 prevede l’abrogazione di tutte le norme che sono contrastanti con esso (art. 11);
il D.Lgs. n. 368/01 è di diretta derivazione comuni- taria ed è noto che il diritto comunitario prevale su quello interno (come da giurisprudenza della Corte Costituzionale e della stessa Corte di Giustizia);
la Corte Costituzionale, con la sentenza 89 del 2003, ha giustificato il divieto di conversione nel settore pubblico invocando l’art. 97, comma 3, Cost.; tutta- via, il primato del diritto comunitario si esplica an- che nei confronti delle norme di rango costituziona- le, salvo quelle espressione dei principi fondamenta- li dell’ordinamento nazionale o di diritti inalienabili della persona umana (9): tra quest’ultime non sem- bra possa annoverarsi l’art. 97, comma 3.
Peraltro, nell’esaustiva ordinanza il magistrato ligu- re fa una scelta di xxxxxxxx, nel senso che appare chiaramente orientato per dare un’applicazione di- retta della normativa D.Lgs. n. 368/2001 anche al pubblico impiego, ma, sul piano interpretativo, ove si ritenesse di accedere alla diversa tesi della sussi- stenza del divieto di conversione, allora appare ne- cessario avere chiarimenti dalla Corte di Giustizia. In base a queste considerazioni, il Trib. Genova ha sollevato la pregiudizialità comunitaria, dubitando che la disposizione dell’art. 36, comma 2, D.Lgs. n. 165/2001 fosse in contrasto con i principi dettati dalla direttiva 1999/70/CE, e, in particolare, non fosse misura idonea a prevenire gli abusi come previ- sto dalla clausola 5, n. 1, dell’accordo quadro. Il dub- bio interpretativo, come vedremo, era assolutamen- te fondato, anche se la Corte di Giustizia con le sen- tenze del 7 settembre 2006 adotterà una linea “mor- bida”, approfittando anche di una piccola omissione nell’esposizione della questione giuridica da parte del Giudice ligure, il quale avrebbe potuto (ma non dovuto) aggiungere che l’art. 36, comma 2, D.Lgs. n. 165/2001 non solo non è idoneo a prevenire gli abu- si, ma non è mai stato applicato o applicabile dalla giurisprudenza interna. Una semplice norma di sbar- ramento, che nega del tutto ogni forma di tutela per evitare conseguenze alle pubbliche amministrazioni, legittimate a sbagliare senza problemi.
La soluzione di accompagnamento
alla stabilizzazione della Corte di Giustizia
La scelta della Corte Costituzionale di occuparsi di materia regolamentata dal diritto comunitario (10) con una sentenza criticabile, stigmatizzata dal Trib. Genova che tenta con la questione di pregiudizialità comunitaria di superarne le contraddizioni e la con- fusione interpretative da essa causate, non lascia in- differente la Corte di Giustizia, che ricuce lo strappo
istituzionale con molta saggezza. Infatti, la questione greca della causa “Xxxxxxxx” (11) viene anticipata rispetto alle due cause italiane e risolta dalla Grande Sezione (12) prima delle due decisioni “Marrosu” e “Vassallo”, in modo che le indicazioni fornite nella causa C-212/04 possano costituire il paradigma in- terpretativo anche per le due cause C-53/04 e C- 180/04. Come nel diritto greco fino al 19 luglio 2004 (13), anche nel diritto italiano non c’è alcuna sanzione idonea a prevenire gli abusi delle pubbli- che amministrazioni nell’utilizzare i contratti a ter- mine. Nel diritto greco c’è il divieto assoluto di con- versione, addirittura fissato da norma di rango costi- tuzionale, mentre nel diritto italiano c’è solo la nor- ma ordinaria che prevede il divieto di conversione, senza alcuna conseguenza se non una fantomatica possibilità che il lavoratore precario sia risarcito del danno. Ma in Italia c’è una pronuncia della Corte Costituzionale che dà valore assoluto ad una norma
Note:
(9) Corte Cost., sentenza n. 509/1995, cit.; Corte Cost., senten- za 21 aprile 1989, n. 232, in Foro It., 1990, I, 1855.
(10) In senso conforme, x. xx xxxxxxxx xxxxx Xxxxxxxx x. 000 del 4 aprile - 26 maggio 2006 [dichiara l’illegittimità costituzionale del- l’art. 19, commi 1 e 2, lettera b), della legge della Regione Umbria 1° febbraio 2005, n. 2] e n. 363 del 10 ottobre - 9 novembre 2006 (dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 3, della legge della Provincia autonoma di Bolzano 20 giugno 2005, n. 3), pubblicata in questa Rivista, 2007, 263 ss., con nota di M.G. Gre- co, La deroga legislativa al principio costituzionale del concorso per l’accesso al pubblico impiego: natura e limiti; nonché la sen- tenza della Corte costituzionale n. 215/2009, che dichiara illegitti- ma la disposizione della Regione Campania che aveva disposto la stabilizzazione dei dirigenti medici del servizio sanitario regionale, con nota fortemente critica di X. xx Xxxxxxx, la Consulta dichiara illegittima la stabilizzazione dei dirigenti del servizio sanitario na- zionale, in questa Rivista, 2009, 1222 ss.
(11) Xxxxx Xxxxxxxxx Xx, xxx. XX, 0 luglio 2006, proc. C-212/04, su questa Rivista, 2006, 10, 971, con nota di X. Xxxxxxxx, Non tra- sformazione dei contratti a termine nel lavoro pubblico). Cfr. X. Xxxxxxxx, Il contratto a termine davanti alla Corte di Giustizia: le- gittimità comunitaria del D.Lgs. n. 368/2001, in Arg. dir. lav., 2006, 1637.
(12) Corte di Giustizia, sentenza 4 luglio 2006 nella causa C- 212/04. In dottrina, v. X. Xxxxxxxx, Precarietà del lavoro e rifor- ma del contratto a termine dopo le sentenze della Corte di Giu- stizia, in Riv. giur. lav., 2006, I, 698; X. Xxxxxx, Presentazione, ivi, 2007, I, 4; X. Xxxxxxxxx, Il contratto a termine e la liberalizzazio- ne negata, in DRI, 2006, 610; X. Xxxxxxxxxx, La Corte di Giustizia e gli abusi nella reiterazione dei contratti a termine: il problema della legittimità comunitaria degli artt. 5 d. lg. n. 368/2001 e 36 d. ls. n. 165/2001, in Riv. it. dir. lav., 2006, II, 744; X. Xxxx, Il contratto a termine alla prova, in Lav. dir., 2006, 462; X. Xxxxxxx, Sanzioni per il contratto a termine nel lavoro pubblico e Corte di Giustizia Europea, in Dir. lav. merc., 2007, 131.
(13) Il decreto presidenziale n. 164/2004, recante disposizioni ri- guardanti i lavoratori assunti con contratto a tempo determinato nel settore pubblico (FEK A’134/19.7.2004), ha recepito la diret- tiva 1999/70/CE nella legislazione ellenica applicabile al persona- le statale e del settore pubblico in senso lato. È entrato in vigore il 19 luglio 2004.
costituzionale che, nel caso di specie, non aveva al- cuna valenza, mentre i giudici greci si sono rivolti direttamente alla Corte di Giustizia, superando ad- dirittura il precetto costituzionale interno. L’imba- razzo della Corte di Giustizia trapela nelle conclu- sioni dell’Avvocato generale Xxxxxxx Xxxxxx, che da un lato appare rispettoso della esigenza della Cor- te Costituzionale di far osservare il precetto costitu- zionale del concorso per l’accesso al pubblico impie- go, dall’altro sottolinea la necessità di adeguare il di- verso trattamento riservato ai pubblici dipendenti, rispetto ai lavoratori privati, al rispetto del principio di uguaglianza, che è un principio generale di diritto comunitario (14).
L’Avvocato generale Xxxxxxx Xxxxxx, profondo co- noscitore della realtà italiana, tocca ai punti 43-45 delle sue conclusioni (15) il punto nodale del pro- blema della tutela dei contratti a tempo determina- to “abusivi” stipulati dalla pubblica amministrazio- ne: la misura della riqualificazione in rapporto a tempo indeterminato può essere esclusa solo nel ca- so in cui l’obiettivo da tutelare sia quello dell’acces- so attraverso il concorso. Se l’accesso non avviene attraverso il concorso, ma ricorrendo a procedure se- lettive e regimi di reclutamento diversi dal concor- so, conformemente all’art. 97, comma 3, della Co- stituzione, la discriminazione tra lavoratori privati e pubblici per quanto riguarda il sistema sanzionatorio non avrebbe nessun senso.
A fronte della questione sollevata dal Trib. Genova, la Corte di Giustizia, in sintesi, trova la soluzione che salva i rapporti istituzionali e precisa che:
la conversione certamente non è l’unica sanzione possibile; cosicché l’Accordo quadro, in quanto tale, non osta a che uno Stato membro preveda, in mate- ria di ricorso abusivo ai contratti a termine, una tu- tela differente a seconda che i contratti siano stati conclusi con un datore di lavoro privato o pubblico; tuttavia, l’ordinamento interno deve necessaria- mente prevedere una sanzione alternativa nel setto- re nel quale la conversione è inibita;
tale tutela alternativa deve essere proporzionata al bene (in questo caso il posto di lavoro) che si inten- de tutelare;
deve essere equivalente, cioè deve essere una forma di tutela non meno favorevole rispetto ad altre for- me di tutela che lo stesso legislatore nazionale ha adottato in situazioni analoghe;
deve essere effettiva, cioè una forma di tutela che deve essere, per così dire, a portata di mano del la- voratore, non così difficile da essere, di fatto, irrea- lizzabile.
Prima facie, poiché il Giudice interno rimittente
non ha precisato che la sanzione del risarcimento dei danni prevista dall’art. 36, comma 2, D.Lgs. n. 165/2001 non è stata mai applicata neanche per er- rore, la Corte di Giustizia ritiene che la norma sbar- ramento possa essere utilizzata come misura sanzio- natoria degli abusi, a condizione però che detta san- zione sia riempita di contenuti, si tratti cioè di una misura equivalente, proporzionata, adeguata, dissua- siva. Con la conseguenza, dunque, di affidarne la concreta applicazione ai Giudici interni, cui sostan- zialmente rimanda, alla luce dei parametri di com- patibilità comunitaria innanzi indicati, la idoneità della norma (assolutamente inidonea) rispetto ai precetti comunitari. Chiarissimo e ineludibile, però, il rapporto istituzionale delineato: la nomofilachia autentica delle norme dell’Unione europea la eser- cita la Corte di Giustizia e la verifica di compatibi- lità (di legittimità “comunitaria”) delle norme inter- ne con il diritto comunitario la può effettuare solo il Giudice interno, non la Corte Costituzionale.
Si prepara, così, la strada ad una soluzione ragione- vole del precariato pubblico, attraverso la stabilizza- zione legislativa dei rapporti a termine (come in Grecia) con le leggi finanziarie 296/1996 e 244/2007 (16), con la minaccia, come vedremo, di altre forme di tutela risarcitorie inventate da quella stessa giurisprudenza che aveva sollevato i problemi a livello comunitario e, dopo la decisione della Cor- te di Giustizia, è costretta a trovare soluzioni nuove.
L’ordinanza di pregiudizialità comunitaria del Trib. Rossano
Con la complessa ordinanza del 14 dicembre 2009
(17) nella causa C-3/10 Affatato il Trib. Rossano ha
Note:
(14) V. S. Xxxxxxx, Il lavoro a tempo determinato nella giurispru- denza della Corte di giustizia europea. Un tassello nella ‘moder- nizzazione’ del diritto del lavoro, relazione su Il giudice del lavoro e le fonti comunitarie ed internazionali, Roma, 17 gennaio 2008, Incontro di studio CSM, p.12.
(15) Depositate il 20 settembre 2005.
(16) Sostiene condivisibilmente che la “stabilizzazione” delle leggi finanziarie sia una sanatoria, «ed in quanto tale una dispo- sizione straordinaria ed eccezionale, finalizzata non a sanzionare comportamenti illegittimi, ma a sanarne gli effetti», X. Xxxxxxxx, Dal blocco delle assunzioni a tempo indeterminato, al blocco del- le assunzioni a tempo determinato, tra stabilizzazioni, sanatorie e schizofrenie legislative, in Xxxxxxxxx.xx, 2007, 5. In realtà è la leg- ge finanziaria nel suo complesso ad esprimere chiaramente il messaggio politico del nuovo esecutivo: «rafforzare la stabilità dei posti di lavoro mediante il ritorno al contratto di lavoro subor- dinato a tempo indeterminato quale modello contrattuale stan- dard di regolazione dei rapporti di lavoro». In tal senso, A. Pizzo- ferrato, La stabilizzazione dei posti di lavoro nella Finanziaria 2007, in questa Rivista, 2007, 221.
(17) In Foro it., 2010, I, pp.1656-1675, con nota di A.M. Xxxxxxx.
posto (e, in parte, riproposto) alla Corte di Giustizia una serie di questioni di pregiudizialità che riguarda- no l’intero apparato sanzionatorio in materia di con- tratti a termine da parte delle pubbliche ammini- strazioni, partendo da una fattispecie contrattuale di ricorso “abusivo” di rapporti a tempo determinato nati da una assunzione “legittima” ex art. 16 della L.
n. 56/1987 da parte di una azienda sanitaria, identi- ca, sostanzialmente, alle due situazioni già delibate dalla CGUE nei giudizi incidentali sollevati dal Trib. Genova.
Le questioni pregiudiziali sono di particolare inte- resse, perché pongono in luce le difficoltà struttura- li del sistema interno di tutele quando parte del pro- cesso sia lo Stato, inteso come pubblica amministra- zione che opera con i poteri del datore di lavoro.
Partendo dalle pronunce del 7 settembre 2006 della Corte di Giustizia nella cause C-53/04 Marrosu-Sar- dino e C-180/04 Vassallo, il Trib. Rossano delinea il percorso fatto dalla giurisprudenza nazionale, e dallo stesso Xxxxxxx rimettente, dopo le due sentenze del- la CGUE, per arrivare a rendere effettiva l’unica norma che lo Stato italiano, nel costituirsi davanti alla Corte, aveva individuato - art. 36, comma 2, D.Lgs. n. 165/2001 - come idonea a prevenire e san- zionare gli abusi in caso di successione di contratti o rapporti a tempo determinato stipulati dalle pubbli- che amministrazioni (si trattava, come nel caso del giudizio principale, di Aziende sanitarie), nei limiti del “principio di diritto” enunciato dalla stessa Cor- te di Giustizia: «spetta al giudice del rinvio valutare in quale misura le condizioni di applicazione non- ché l’attuazione effettiva dell’art. 36, secondo com- ma, prima frase, del d. lgs. 165/2001 ne fanno uno strumento adeguato a prevenire e, se del caso, a san- zionare l’utilizzo abusivo da parte della pubblica am- ministrazione di una successione di contratti o di rapporti di lavoro a tempo determinato» (sentenza Xxxxxxx-Xxxxxxx, punto 56).
Il Trib. Rossano nella sua lunga ordinanza argomen- ta, sostanzialmente, che la sanzione del risarcimento dei danni non ha alcuna possibilità di pratica e con- divisa (18) applicazione nell’ordinamento interno, perché la norma-sanzione manca di effettività per essere priva di parametri di computo del danno, in un sistema giudiziale di liquidazione del risarcimen- to che, diversamente dagli ordinamenti di common law, non prevede la determinazione in via equitati- va (cioè il potere del Giudice di decidere secondo aequitas e non secundum ius) se non nei (pochi) casi espressamente previsti dalla legge. E non è certa- mente il caso dell’art. 36, comma 2 (ora comma 5, come ricordato dal Trib. Rossano), D.Lgs. n.
65/2001, che è sempre stato applicato come norma- sbarramento (cioè, vietando la riqualificazione in rapporto a tempo indeterminato), non come norma- sanzione.
Il Giudice del lavoro calabrese, inoltre, nel prende- re in esame altri settori della pubblica amministra- zione in cui si fa un uso elevatissimo di contratti o rapporti a tempo determinato (Scuola, lavoratori so- cialmente utili o di pubblica utilità LSU/LPU, Poste italiane s.p.a.), rileva da un lato che l’art. 36, com- ma 5, D.Lgs. n. 165/2001 non è una norma-sanzione generale (sul piano, meramente teorico, del risarci- mento dei danni), dall’altro che, per i settori con il maggior numero di contratti o rapporti a tempo de- terminato nella pubblica amministrazione, si appli- xxxx discipline autonome o speciali diverse dal D.Lgs. n. 368/2001 (e successive modifiche ed inte- grazioni), presunta disciplina generale sul contratto a tempo determinato sia per le imprese private sia nel pubblico impiego (19); siffatte discipline specia- li legittimerebbero ex se i contratti a tempo determi- nato senza prevedere alcuna sanzione né preventiva né repressiva in caso di abusi.
In definitiva, dalle argomentazioni complessive del Trib. Rossano l’interprete nazionale arriva alla con- clusione che, con il pretesto del pubblico concorso come modalità (che di fatto diventa) unica di reclu- tamento a tempo indeterminato nelle pubbliche amministrazioni e con l’avallo delle numerose (cita- te) sentenze della Corte costituzionale, i contratti o rapporti a tempo determinato nel pubblico impiego,
Note:
(18) V., tra le differenti “applicazioni” dell’art. 36, comma 2, D.Lgs. n. 165/2001, Trib. Foggia (Est. Xxxxxxxxx), 6 novembre 2006, in Lav. prev.oggi, 2007, 2, 344 e ss., con nota di M. N. Bet- tini; Trib. Genova (Est. Basilico), 14 maggio 2007, in Guid. Lav., 2007, 39, 37, commentata da X. Xxxxxxxx, Quale risarcimento al dipendente pubblico per contratti a termine illegittimi, in questa Rivista, 2007, 1097 ss., e da X. Xxxxxxxx, Conseguenze sul con- tratto a termine illegittimo nel pubblico impiego, in Mass. giur. lav., 2008; Trib. Rossano (Est. Xxxxxxx), sentenza 4 giugno 2007, su Riv. it. dir. lav., 2007, II, 906; App. Firenze, (Pres. est. Amato), sentenza 27 maggio 2008, inedita; Trib. Foggia (Est. Xxxxxxxx), sentenza del 17 ottobre 2008, inedita; App. Bari (Pres. Xxxxxx, Est. Nettis), sentenza 23 ottobre 2008, inedita; Trib. Reggio Emi- lia (Est. Xxxxxxx), sentenza 18 aprile 2007, che, unico precedente prima della sentenza in commento del Tribunale di Siena, addi- rittura disapplica la norma interna - art. 36, comma 2, D.Lgs. n. 165/2001 - per contrasto insanabile con la normativa comunitaria e dichiara la conversione dei contratti illegittimamente prorogati con l’ente pubblico (Inail).
(19) L’applicazione al settore pubblico italiano, in realtà, è stata imposta sul piano interpretativo dalla Corte di Giustizia nella sen- tenza Marrosu-Sardino, punti 41-42, sulla base delle clausole 2 e 3 dell’accordo quadro comunitario. Lo Stato italiano si era difeso sostenendo che la Direttiva 1999/70/CE non si applicava ai con- tratti o rapporti a tempo determinato stipulati dalle pubbliche amministrazioni.
anche - e soprattutto - per soddisfare di fatto esigen- ze permanenti e durature del datore di lavoro pub- blico, sono sempre possibili e “legittimi”, addirittura escludendo l’esistenza di un rapporto di lavoro (LSU/LPU). L’abuso è privo di conseguenze sanzio- natorie e, comunque, non vi sono misure preventive antiabusive perché la Direttiva 1999/70/CE di fatto non viene applicata.
Precisa il Trib. Rossano che anche le procedure di
«stabilizzazione», cioè di trasformazione dei rapporti flessibili in contratti a tempo indeterminato alle di- pendenze delle pubbliche amministrazioni, che sono disciplinate dalle due leggi finanziarie 296/2006 (per il 2007) e 244/2007 (per il 2008), non si applicano a determinate categorie di lavoratori, come nel Com- parto Scuola, ad esempio.
Il quadro normativo sconfortante e caotico delle di- scipline interne che regolamentano, o fingono di re- golamentare, i rapporti a tempo determinato alle di- pendenze delle pubbliche amministrazioni, che il Giudice rimettente ha opportunamente delineato nella sua complessità, nelle sue stravaganze e nella sua fondamentale ispirazione di impedire la tutela antiabusiva nei confronti delle pubbliche ammini- strazioni, manifesta, purtroppo, il vero problema strutturale dell’ordinamento nazionale italiano.
Il Giudice del rinvio pregiudiziale, infatti, si chiede, amaramente, se questo quadro di mancanza o di inadeguatezza assoluta di tutele preventive e sanzio- natorie sia necessario per non violare “principi fon- damentali dell’ordinamento interno”, quale potreb- be essere, ad esempio, il principio del pubblico con- corso.
In realtà, lo stesso problema, come evidenziato dal Trib. Rossano, la stessa “impossibilità” di riqualifica- re sul piano giuridico i contratti a tempo determina- to stipulati dalle pubbliche amministrazioni sulla base di procedure selettive previste dalla legislazione speciale è presente sia nel settore Scuola (dove si as- sume anche a tempo indeterminato sulla base delle stesse graduatorie permanenti), sia nel caso degli LSU/LPU.
Il problema giuridico ha risvolti kafkiani ed è un ri- flesso proprio della giurisprudenza della Corte costi- tuzionale nella citata sentenza 89/2003, che chi scri- ve non ha mai condiviso, perché ha coinvolto nel divieto di conversione per rispetto al principio del pubblico concorso anche quei contratti o rapporti a tempo determinato, per i quali la stessa legge nazio- nale non prevedeva il concorso ma l’accesso attra- verso graduatorie sulle base di selezione fondata su criteri oggettivi (periodi di servizio, titolo professio- nale di accesso, ecc.).
Sembrerà assurdo, ma, nel ragionamento proposto nell’ordinanza di rinvio, è la stessa norma legitti- mante l’assunzione a tempo determinato - per deter- minate tipologie di lavoratori - che impedisce la conversione dei rapporti e la sanzione in caso di abusi. In che modo? Consideriamo il caso “Affatato” nella causa C-3/10: è stato assunto “legittimamente” attraverso gli uffici di collocamento (art. 16 della L.
n. 56/1987) con diversi contratti a tempo determi- nato, per sopperire però a carenze strutturali di per- sonale.
Quindi, come sottolineato dal Trib. Rossano, se il lavoratore (20) chiede in giudizio la riqualificazione del rapporto perché è stato violato l’art. 1, commi 1 e 2, (ma anche gli artt. 4 e 5) D.Lgs. n. 368/2001, le “legittime” assunzioni a tempo determinato (21) di- ventano, in conseguenza innaturale della stessa azio- ne giudiziaria, “illegittime”, cioè in violazione di norme imperative di legge (nel caso di specie, l’art. 1, commi 1 e 2, sulle ragioni obiettive “tempora- nee”, l’art. 4 sulle ragioni obiettive temporanee del- la proroga, l’art. 5 sui contratti successivi, tutti arti- coli contenuti nella disciplina “generale” del D.Lgs. n. 368/2001).
A questo punto, interviene come norma-sbarramen- to il divieto di conversione - per la “tautologica” violazione di norma imperativa di legge - previsto dall’art. 36, comma 2 o 5 o 6, D.Lgs. n. 165/2001, e scompare la sanzione, che non può essere quella del- la riqualificazione del rapporto, prevista “solo” per i lavoratori a tempo determinato nell’impiego priva- to. O meglio, rimane la fantomatica sanzione del ri- sarcimento dei danni.
Le “legittime” finalità di politica sociale che alimentano il precariato pubblico
Non vi è alcuna finalità di politica sociale o alcun principio fondamentale dell’ordinamento interno da rispettare (come, ad esempio, il pubblico concor- so), che possa giustificare la precarizzazione della si- tuazione lavorativa della gran parte dei dipendenti pubblici assunti con rapporti flessibili.
Vi sono, anzi, due precisi - e connessi - obiettivi, en- trambi contrari alla normativa dell’Unione e in contrasto con la giurisprudenza della Corte di Giu- stizia: negare effettività di tutela contro gli abusi in
Note:
(20) In quanto assunto a tempo determinato non per esigenze eccezionali e transitorie, ma per soddisfare un fabbisogno per- manente di personale.
(21) Avvenute attraverso l’unica procedura selettiva ammessa per la stessa figura professionale, che avrebbe consentito anche l’accesso all’assunzione a tempo indeterminato, senza concorso.
caso di successione di contratti; disconoscere i dirit- ti economici e normativi (anzianità di servizio e connessi miglioramenti retributivi, ricostruzione previdenziale dei servizi prestati) per un risparmio di spesa pubblica, che la CGUE (22) ha già ritenuto in contrasto con la clausola 4 dell’accordo quadro co- munitario recepito dalla Direttiva 1999/70/CE e con il principio di non discriminazione, in guisa tale da consentire al Giudice interno la diretta disappli- cazione delle norme illegittime, come poi è avvenu- to nel caso della sentenza del Trib. Siena.
Tutte le assunzioni a tempo determinato, anche do- po anni di lavoro pubblico, sono effettuate sulla ba- se dei minimi retributivi contrattuali della posizione economica iniziale, senza alcun riconoscimento del- l’anzianità di servizio maturata (e senza l’accredito contributivo). Questa prassi di tutte le Amministra- zioni pubbliche, basata su precise disposizioni di leg- gi interne e della contrattazione collettiva di com- parto, realizza un evidente risparmio nella spesa pubblica in riferimento alle decine di migliaia di la- voratori precari impegnati.
È questo il vero motivo della mancata stabilizzazio- ne dei rapporti di lavoro flessibili c.d. del precariato storico nella pubblica amministrazione, soprattutto quando, come nel caso del Comparto Scuola, vi sia continuità di utilizzo del personale precario.
Lo stipendio è inferiore rispetto a quanto ricono- sciuto ai lavoratori a tempo indeterminato “compa- rabili”, non vi è accredito della contribuzione “figu- rativa” perché non vi è una posizione previdenziale “aperta” presso l’Inpdap, l’Istituto previdenziale dei lavoratori del pubblico impiego, anche se dal 1° gennaio 1996 (L. n. 335/1995) le pubbliche ammi- nistrazioni dovrebbero tutte versare all’Ente previ- denziale una contribuzione mensile (23), che è an- che in parte (1/5) a carico del lavoratore pubblico, anche precario.
Se il datore di lavoro privato non versa la contribu- zione a carico, l’Inps agisce immediatamente in via esecutiva per il recupero dei contributi omessi, con pesanti sanzioni conseguenti all’attività di riscossio- ne. Se l’Amministrazione pubblica non versa i con- tributi dei lavoratori precari all’Inpdap, non sono previste sanzioni o modalità di riscossione forzosa, trattandosi semplicemente di un’operazione finan- ziaria.
Questa prassi è compatibile con la normativa del- l’Unione? Assolutamente no, come la Corte di Giu- stizia ha avuto modo di affermare nei confronti del- lo Stato italiano e dell’Inpdap nella sentenza del 13 novembre 2008 nella causa C-46/07 sul regime pen- sionistico italiano, considerato a “retribuzione diffe-
xxxx” proprio perché lo Stato non ha mai versato a se stesso (cioè all’Inpdap), almeno fino al 31 dicembre 1995, i contributi per i lavoratori pubblici.
A titolo di esempio della volontà “indefessa” dello Stato italiano di “adempiere” agli obblighi dell’U- nione europea in materia di disciplina dei rapporti flessibili e, in particolare, di dare attuazione alle sen- tenze della Corte di Giustizia (nel caso di specie, la sentenza Del Cerro Xxxxxx in materia di aumenti retributivi al personale non di ruolo della Scuola, per l’anzianità maturata), va trascritta una parte del- la lettera circolare del Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca datata 25 settembre 2008, che rappresenta perfettamente il punto di vista interpre- tativo sin qui esposto sulla insussistenza di una tute- la effettiva, almeno sul piano amministrativo nazio- nale, dei rapporti precari nel pubblico impiego: «Il rapporto che si instaura tra il docente supplente e l’amministrazione scolastica ha caratteristiche del tutto peculiari, caratterizzato dalla necessità di ga- rantire, attraverso la continuità didattica la costan- te erogazione del servizio scolastico ed educativo. Su tale principio l’art. 4 della L. 3 maggio 1999, n. 131, all’art. 4 ha disciplinato le supplenze per le scuole statali, prevedendo, in materia, l’assunzione di appo- sito regolamento, adottato con D.M. 13 giugno 2001, n. 131. Il rapporto di lavoro del personale sco- lastico supplente è regolamentato da distinti con- tratti di lavoro, che possono riferirsi anche a sup- plenze annuali o fino al termine delle lezioni, che, se anche conferite allo stesso docente nell’immediato anno scolastico successivo, non traggono origine dalla precedente nomina e non costituiscono una prosecuzione senza continuità del rapporto di lavo- ro, ma traggono origine da diversi provvedimenti, determinati da distinte procedure di nomina discen- denti da apposite graduatorie di aspiranti. È da rite- nere quindi che le caratteristiche particolari del rap- porto di lavoro del supplente con l’amministrazione scolastica giustificano la mancata previsione di una progressione di stipendio legata alla prestazione del servizio, caratterizzata dalla precarietà e disconti- nuità della prestazione stessa. Ciò tenuto inoltre conto che la particolare disciplina vigente per il per- sonale scolastico di ruolo consente invece il ricono-
Note:
(22) X. xxxxxxxx 00 xxxxxxxxx 0000 (XX Xxxxxxx), Xxx Xxxxx Alon- so in causa C-307/05; 15 aprile 2008 (Grande Sezione), Impact in causa C-268/06; 22 aprile 2010 (I Sezione), Xxxxxxxxxxxxxxxxxx xxx Xxxxxxxxxxxxxxxxxxx Xxxxxx in causa C-486/08.
(23) Che è inferiore di oltre 10 punti a quella che versano all’Isti- tuto Nazionale della Previdenza Sociale Inps i datori di lavoro pri- vati.
scimento, ai fini economici e della carriera, di tutti i servizi non di ruolo prestati prima dell’immissione in ruolo».
Dunque secondo lo Stato italiano, poiché i rapporti a tempo determinato sono tutti legittimi e senza so- luzione di continuità (cioè sono successivi), la pre- carietà a tempo indeterminato è legittima e non consente né la riqualificazione dei rapporti né il ri- conoscimento dell’anzianità di servizio.
Infatti, per fare maggiore chiarezza e al dichiarato scopo di “adempiere” alle statuizioni della sentenza “Del Cerro Xxxxxx” della CGUE (che va in opposta direzione, come detto) il legislatore italiano sul pre- cariato scolastico è intervenuto con il c.d. “decreto salva-precari” (24), con una norma di interpretazio- ne autentica “antiprecari” della Scuola. Infatti, l’art. 1, comma 1, D.L. n. 134/2009 reca una disposizione generale, con incidenza su tutto il personale a tem- po determinato della scuola, che aggiunge all’art. 4 della L. n. 124/1999, in materia di supplenze, il com- ma 14 bis, che sancisce l’impossibilità di trasformare i contratti a tempo determinato stipulati per il con- ferimento delle supplenze in contratti a tempo inde- terminato e, al contempo, esclude che i contratti a tempo determinato consentano di maturare scatti di anzianità.
Opportunamente e nel sarcastico rispetto della di- chiarata “volontà” del legislatore del D.L. n. 134/2009 di dare seguito alla sentenza del “Del Cer- ro Xxxxxx” della Corte di Giustizia, espressamente richiamata nella relazione illustrativa del decreto legge, il Trib. Trani (25) ha disapplicato la norma aggiunta nel decreto salva-anti-precari per contrasto con la clausola 4 antidiscriminatoria dell’accordo quadro comunitario sulla disciplina del contratto a tempo determinato, come interpretata dalla CGUE, e ha riconosciuto così il diritto dei lavoratori a tem- po determinato nel Comparto Scuola agli scatti di anzianità ed alla ricostruzione di carriera anche pri- ma della (eventuale) immissione in ruolo.
La sentenza 9555/2010 della Corte di Cassazione
Su questo confusissimo e problematico quadro nor- mativo ed interpretativo della disciplina dei rapporti a tempo determinato nel lavoro pubblico interviene a fare devastante chiarezza (per le finanze pubbliche), senza congruo preavviso per i poveri interpreti nazio- nali, la decisione della Suprema Corte 9555/2010.
La Cassazione si occupa di una fattispecie molto par- ticolare di rapporti precari, i contratti a tempo de- terminato “successivi” stipulati dall’Inail, Ente pub- blico non economico, con un addetto alla custodia e
alla vigilanza degli immobili di proprietà dell’Istitu- to, cui, evidentemente, è stato applicato il Ccnl di categoria dei datori di lavoro privati e non quello del Comparto Enti pubblici non economici.
Tuttavia, i principi di diritto enunciati dalla Corte di legittimità sono di portata generale tale da inci- dere significativamente sulla ricostruzione interpre- tativa dell’intera materia del sistema sanzionatorio, in caso di abusi nella successione dei contratti di la- voro a tempo determinato nel pubblico impiego, cassando così la decisione della Corte territoriale, che aveva negato il diritto del lavoratore alla riqua- lificazione dei contratti a termine successivi, proro- gati per anni in violazione delle disposizioni di legge (ante D.Lgs. n. 368/2001).
La prima importantissima precisazione del Giudice della nomofilachia autentica delle leggi nazionali è sulla portata e sugli effetti della sentenza 89/2003 della Corte costituzionale, che viene “interpretata” nel senso di limitare il divieto assoluto di conversio- ne dei contratti a termine solo ai casi in cui è in di- scussione la violazione della regola del pubblico
concorso di cui all’art. 97, comma 3, 1a parte della Costituzione. Quando, invece, ci si occupa di moda- lità di accesso stabile alla pubblica amministrazione diverse dal concorso e, comunque, disciplinate da norme di legge, come nel caso dell’art. 16 della L. n. 56/1987 dell’usciere a tempo determinato assunto dall’Inail, evidentemente non si può porre il limite costituzionale del divieto di conversione enunciato dalla Consulta.
Il principio è sacrosanto e ricalca esattamente le ci- tate argomentazioni dell’Avvocato generale Xxxxxxx Xxxxxx nelle cause “Marrosu-Sardino” e “Vassallo”, ma è la prima volta che viene così efficacemente esplicitato dalla Cassazione. La Suprema Corte, pe- raltro, corregge implicitamente il grave errore inter- pretativo commesso dalla Corte costituzionale, che si era occupata proprio di una fattispecie, quella del personale Ata della Scuola, in relazione alla quale non si poneva e non si pone alcun problema di pub- blico concorso, ma di accesso al lavoro a tempo in- determinato o a tempo determinato attraverso gra- duatorie e con modalità selettive, che mutuano quelle dell’art. 16 della L. n. 56/1987 per professio- nalità lavorative medio-basse.
Né il principio dell’inapplicabilità del divieto di conversione dei lavoratori precari nel pubblico im-
Note:
(24) D.L. 25 settembre 2009, n. 134.
(25) Trib. Trani, Est. La Notte Chirone, sentenza 19 aprile 2010,
n. 2832/10, su xxx.xxxxx.xx/xxxxxxxxxxxxx giurisprudenza/.
piego assunti non per il tramite del concorso pubbli- co viene attenuato dall’applicazione, nel caso di spe- cie, di un Ccnl del settore “privato”, cioè diverso dal contratto collettivo del Comparto. Il richiamo alla contrattazione collettiva dei lavoratori e dei datori di lavoro privati è in continuità con altri precedenti specifici della Suprema Corte su fattispecie analo- ghe (non solo uscieri Inail, ma anche e soprattutto operai forestali della Regione Puglia) per le quali si era posto e risolto in favore della Magistratura spe- cializzata del lavoro (proprio in relazione all’applica- zione di un Ccnl, prima della contrattualizzazione del pubblico impiego) il problema della giurisdizio- ne. Infatti, la Cassazione sottolinea, più volte e an- che nel principio di diritto enunciato nella decisio- ne di rinvio ad altra Corte territoriale, che il rappor- to di lavoro rimane di pubblico impiego per la natu- ra pubblica del datore di lavoro, a prescindere dalla contrattazione collettiva applicata.
Ad ogni buon conto, il ridimensionamento del di- vieto di conversione per violazione dell’art. 97, comma 3, Costituzione e della regola del pubblico concorso apre un percorso di forte legittimazione della Corte di Cassazione alle soluzioni interpretati- ve, in molti aspetti coincidenti, che la sentenza del Trib. Siena propone in relazione all’applicazione dei principi e della normativa del diritto dell’Unione europea, come interpretati dalla Corte di Giustizia.
La sentenza del Trib. Siena
sulla riqualificazione dei contratti a termine nella Scuola
La sentenza del Trib. Siena in commento, dunque, non costituisce l’unica esplosiva novità tra le deci- sioni che si sforzano di dare effettività di tutela ai la- voratori dell’amplissimo bacino del precariato pub- blico, particolarmente a quelli che non rientrano né nella categoria costituzionale dei “raccomandati” né in quella degli “eletti”, o a) perché hanno partecipa- to ad una modalità di reclutamento esclusiva non concorsuale per il reclutamento anche stabile nella
p.a. (art. 16 della L. n. 56/1987; personale Ata della Scuola); o b) perché hanno superato come idonei un pubblico concorso e sono stati inseriti in una gra- duatoria permanente (docenti) o a termine per il re- clutamento sia a tempo indeterminato che a tempo determinato, e vengono utilizzati dalla pubblica uti- lizzazione con rapporti precari ma per carenza stabi-
Indubbiamente, però, la decisione del Trib. Siena acquista particolare valore e significato per la utiliz- zazione sistematica dello strumento della disapplica- zione di norma interna in “deliberato” contrasto con la disciplina del diritto dell’Unione europea di diret- ta applicazione, con particolare riferimento ai prin- cipi di parità di trattamento e di non discriminazio- ne e di effettività della tutela, che trovano fonte normativa diretta non soltanto nel Trattato di Li- sbona e nella Carta di Nizza (artt. 20, 21, 30 e 47) ma anche nella disciplina comunitaria “derivata” della clausola 4 dell’accordo quadro allegato alla Di- rettiva 1999/70/CE, come interpretata dalla Corte di Giustizia. Il potere del Giudice interno di disap- plicazione o non applicazione della disciplina nazio- nale è stato già utilizzato efficacemente dallo stesso Trib. Siena (26) in riferimento alla causale “finan- ziaria” Poste dell’art. 2, comma 1 bis, D.Lgs. n. 368/2001, nonché, come precisato, dal Trib. Trani in subiecta materia (art. 4, comma 14 bis, D.L. n. 124/1999) in riferimento al mancato riconoscimen- to degli scatti di anzianità e della progressione di carriera del personale a tempo determinato nel set- tore della Scuola.
Senza dubbio, se lo strumento della disapplicazione di regole nazionali - per lo più indegne sul piano del- la tecnica, ingiuste sul piano della disciplina dei di- ritti sociali, immorali e ipocrite sul piano degli obiettivi dichiarati rispetto a quelli opposti taciuti, complessivamente e partitamente indecenti e inde- corose per l’ordinamento interno - dovesse trovare massiva utilizzazione e favore da parte della giuri- sprudenza di merito, il nostro sistema giudiziario po- trebbe correre il serio rischio di rendere effettiva la tutela dei diritti dei soggetti più deboli.
Si ridurrebbe, così, considerevolmente il ricorso da parte del legislatore a norme dirette o di interpreta- zione in favore degli abusi di Stato, con incremento significativo della spesa pubblica per obiettivi legit- timi e, però, con una corrispondente se non superio- re riduzione dei costi erariali per migliaia, decine di migliaia, centinaia di migliaia di controversie di la- voro che non verrebbero più proposte, perché ogget- tivamente “antieconomiche”: la pubblica ammini- strazione, infatti, non avrebbe più strumenti efficaci, perché contra legem sovranazionale, per alimentare, governare e poi costringere i giudici a negare tutela sul contenzioso “seriale”.
le di personale; c) o perché hanno superato una pro-
xxxxxx xxxxxxxxx pubblica o concorsuale per l’assun- zione a tempo determinato nella pubblica ammini- strazione, per supplire a esigenze strutturali e non eccezionali e provvisorie di personale.
Note:
(26) Trib. Siena (Est. Cammarosano), sentenza 23 novembre 2009, in questa Rivista, 2010, 369, con nota di X. Xx Xxxxxxx, Il contratto a termine tra giurisprudenza, Collegato lavoro e Carta di Nizza.
Il pensiero soave, “dolce” e positivo sulla disapplica- zione etica e giuridica (27) va, innanzitutto, alle di- sposizioni del c.d. Collegato lavoro, il D.D.L. 1441- quater-F, approvato in via definitiva il 19 ottobre c.a. dalla Camera dei deputati, nonostante ricalchi qua- si integralmente il testo già censurato dal Presidente della Repubblica. Vedremo.
Nel frattempo, il Giudice senese nella sentenza in commento precisa, come il Trib. Rossano nell’ordi- nanza di pregiudizialità comunitaria, di aver tentato di seguire i suggerimenti della CGUE nelle due sen- tenze Marrosu-Sardino e Xxxxxxxx e di essersi sforza- to, per parafrasare una felice espressione dell’Avvo- cato generale Xxxxxxxxx (conclusioni causa C-98/09 Sorge, punto 68), di «risuscitare fra i morti» una di- sposizione interna che non è mai stata applicata (co- me sanzione effettiva), cioè l’art. 36, comma 2 (o 5 o 6), D.Lgs. n. 165/2001.
Le condizioni che soddisfano l’idoneità della norma- sanzione come tecnica antiabusiva sono state indi- viduate nella sentenza “Marrosu-Sardino” nel prin- cipio di equivalenza (punto 37: non devono essere meno favorevoli di quelle che disciplinano situazio- ni analoghe di natura interna), nel principio di ef- fettività (punto 37: non devono rendere pratica- mente impossibile o eccessivamente difficile l’eser- cizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico comunitario), nel principio dell’efficacia (punto 36: si deve trattare di misure che devono rivestire un ca- rattere non soltanto proporzionato, ma altresì suffi- cientemente effettivo e dissuasivo per garantire la piena efficacia delle norme adottate in attuazione dell’accordo quadro).
In realtà, il Trib. Siena prende atto che l’art. 36, comma 2 (o 5 o 6), D.Lgs. n. 165/2001 (così come la corrispondente norma del precedente D.Lgs. 29/1993) non ha funzionato mai come norma-san- zione, ma come norma-sbarramento, impedendo qualsiasi forma di tutela effettiva al lavoratore pre- cario nel pubblico impiego. La Corte di Giustizia ha
l’art. 18, commi 4 e 5, L. n. 300/1970, una sorta di norma-sanzione per equivalente per complessive venti mensilità di retribuzione globale di fatto; quel- la del Trib. Rossano con sentenza del 4 giugno 2007, che invece propone la tesi della responsabilità con- trattuale. Rileva il Giudice del lavoro che la incer- tezza interpretativa è massima sul punto e si rende conto, in conseguenza, che la sanzione del risarci- mento del danno prevista nella normativa speciale non è idonea a prevenire gli abusi, perché priva di effettività, di proporzionalità, di dissuasività, di equivalenza.
E, allora, se non c’è sanzione effettivamente applica- bile nell’art. 36, comma 2 (o 5 o 6), D.Lgs. n. 165/2001, come può essere punito l’abuso dello Sta- to nell’utilizzo di contratti a termini successivi, se permane il divieto di conversione previsto dalla stessa norma per violazione di norma imperativa?
Innanzitutto, come la Cassazione nella sentenza 9555/2010, anche il Trib. Siena smonta l’argomento che il divieto di conversione si possa fondare sulla violazione dell’art. 97, comma 3, 1a parte della Co-
stituzione in relazione al pubblico concorso, utiliz- zando, però, l’argomento opposto rispetto a quello prospettato dalla Suprema Corte. Infatti, la fattispe- cie delibata dal Giudice di merito è quella di una suc- cessione di supplenze di personale docente nella Scuola pubblica, tutte “legittimamente” conferite in base alle graduatorie permanenti istituite con la L. n. 124/1999, con accesso privilegiato nello scorrimento delle graduatorie in favore di chi ha superato come idoneo il corrispondente concorso “abilitante”.
Quindi, sostiene il Trib. Siena, il pubblico concorso non costituisce condizione “ostativa” alla riqualifi- cazione del rapporto di lavoro, anche perché per questa tipologia di contratti a termine del persona- le docente è comunque previsto dall’art. 35, X.Xxx.
n. 165/2001 il pubblico concorso che, nel caso di specie, è stato espletato ed ha portato alla formazio-
sostanzialmente imposto allo Stato italiano (invi-
tando in tal senso i giudici interni) di dare contenu- to effettivo ad una norma che solo sulla carta preve- deva il risarcimento del danno, ma che in concreto non è stata mai utilizzata in tal senso.
Come si può dare contenuto ad una norma che non è mai stata utilizzata, perché inutilizzabile? Le tecni- che interpretative della giurisprudenza di merito, prese in considerazione dal Trib. Siena, sono due: quella del Trib. Genova (stesso Xxxxxxx che ha sol- levato la questione pregiudiziale nella causa C- 53/04) con sentenza del 14 dicembre 2006, che in- dividua in via analogica la possibilità di applicare
Nota:
(27) Sulla ormai maturata possibilità del Giudice nazionale di di- sapplicare norme interne in contrasto con la disciplina del diritto dell’Unione europea, anche “in orizzontale” in controversie tra privati, per violazione del principio di parità di trattamento e di non discriminazione nel campo di applicazione di normativa co- munitaria “derivata”, v. la sentenza della Corte di Giustizia, Gran- de Sezione, del 19 gennaio 2010 nella causa C-555/07, su que- sta Rivista, stesso numero2010, 11, p., con commento di R. Co- sio, La sentenza Kükükdeveci: le nuove frontiere del diritto del- l’Unione europea. Contesta, invece, l’effettività del riconosci- mento dei poteri del Giudice nazionale di intervenire al di fuori del giudizio incidentale di costituzionalità delle leggi nazionali, N. Di Leo, Il Trattato di Lisbona, la disapplicazione e un ordine si- stemico delle fonti nel sistema multilevel, su questa Rivista, 2010, 759.
ne di una graduatoria cui attingere anche per le as- sunzioni a tempo indeterminato, oltre che per le supplenze.
Peraltro, si trattava di utilizzazione del personale do- cente con supplenze annuali per fabbisogno perma- nente di personale, su cui addirittura - con l’art. 1, comma 1, del D.L. n. 134/2009 - il legislatore d’ur- genza del decreto salva-anti-precari è intervenuto integrando con il comma 14 bis l’art. 4 della L. n. 124/1999, nel ribadire il divieto di conversione di personale pure dichiaratamente assunto per carenze strutturali di lavoro.
Anzi, nello stigmatizzare l’utilizzazione disinvolta da parte del legislatore di norme che finiscono per esse- re il doppione di quelle già esistenti, il Trib. Siena argomenta dall’introduzione dell’art. 4, comma 14 bis, L. n. 56/1999 la ultrattività del divieto di con- versione previsto dall’art. 36, comma 2 (ora comma 5), D.Lgs. n. 165/2001, di cui aveva sospettato l’a- brogazione implicita in riferimento alla normativa sopravvenuta del D.Lgs. n. 368/2001 e agli effetti abrogativi delle norme incompatibili con la discipli- na di recepimento della Direttiva 1999/70/Ce, pre- visti dall’art. 11 dello stesso Decreto.
D’altra parte, riprendendo sotto altro aspetto il rife- rimento alla contrattazione collettiva che troviamo nella sentenza 9555/2010 della Cassazione, il Trib. Siena rileva che neanche la normativa contrattuale di comparto risulta ostativa alla conversione dei rapporti a termini successivi, anzi consente espressa- mente la riqualificazione in rapporto a tempo inde- terminato (art. 40, comma 4, Ccnl Comparto Scuo- la del 20 dicembre 2007 per il quadriennio 2006/2010) del personale docente «per effetto di specifiche disposizioni normative», tra le quali rien- trano senza dubbio le conseguenze “sanzionatorie” previste dagli artt.1, comma 2, e 5, commi 3 e 4, D.Lgs. n. 368/2001.
E allora, se non è possibile applicare ai precari pub- blici una tutela risarcitoria per equivalente, va veri- ficata la possibilità di estendere la stessa tutela “spe- cifica” che opera per i lavoratori dipendenti da dato- ri di lavoro privati, cioè la riqualificazione in con- tratto a tempo indeterminato del rapporto di lavoro a termine sin dal primo contratto, in caso di viola- zione dell’art. 1, comma 2, D.Lgs. n. 368/2001 per mancata specificazione o mancanza delle ragioni og- gettive, eccezionali e transitorie soprattutto nel pub- blico impiego, idonee a legittimare l’apposizione del termine, secondo l’orientamento ormai consolidato della Suprema Corte nella sentenza 12985/2008, che boccia la tesi del rapporto a termine radical- mente nullo e improduttivo di effetti.
La tutela specifica della riqualificazione del rappor- to non solo è possibile, perché non vi sono condi- zioni ostative diverse dal mero divieto di conversio- ne previsto dall’art. 36, D.Lgs. n. 165/2001, ma rap- presenta anche la tutela ordinaria rispetto a quella eccezionale per equivalente, sul cui rapporto rego- la/eccezione il Trib. Siena richiama integralmente l’insegnamento delle Sezioni Unite nella sentenza 145/2006, in riferimento alla disciplina del risarci- mento in forma specifica dell’art. 2058 x.x., xxxxx- xxxx xxxxx x xxxxxxxxxxx xx xxxxxxx xx xxxxxxx xxx xx- xxxx.
Non ha dubbi, allora, il Trib. Siena, Giudice comu- ne del diritto dell’Unione europea, a riqualificare in un unico contratto a tempo indeterminato i rappor- ti a termine successivi del docente supplente, in ap- plicazione del principio di parità di trattamento e di non discriminazione, che trova espresso fondamen- to non solo nella Carta di Nizza (artt. 20 e 21, in re- lazione all’art. 30 sull’obbligo di giustificatezza dei li- cenziamenti, cui la cessazione del rapporto a termi- ne è equiparabile secondo il Giudice nazionale) ma, anche, nella Direttiva 1999/70/Ce e, in particolare, nelle clausole 4 e 5, n. 1, lettera a) dell’accordo qua- dro comunitario, come interpretate dalla Corte di Giustizia.
Conclusioni
La soluzione del Giudice del lavoro appare assoluta- mente condivisibile e niente affatto straordinaria o di diritto giurisprudenziale “creativo”, perché ri- sponde all’applicazione di precise disposizioni di leg- ge e, soprattutto, alla ormai consolidata giurispru- denza della nomofilachia comunitaria.
Infatti nell’ordinanza “Vassilakis” (ma già sentenza “Xxxxxxxx”, richiamata dal Trib. Trani) della Corte di Giustizia del 12 giugno 2008 nella causa C- 364/07 si legge testualmente: «In circostanze come quelle di cui alla causa principale, l’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato deve essere interpre- tato nel senso che, nei limiti in cui l’ordinamento giuridico interno dello Stato membro interessato non comporta, nel settore di cui trattasi, altre misu- re effettive per evitare e, se del caso, sanzionare l’u- tilizzazione abusiva di contratti a tempo determina- to successivi, esso osta all’applicazione di una norma di diritto nazionale che vieta in maniera assoluta, nel solo settore pubblico, di trasformare in un con- tratto di lavoro a tempo indeterminato una succes- sione di contratti a tempo determinato che, avendo avuto il fine di soddisfare «fabbisogni permanenti e durevoli» del datore di lavoro, devono essere consi- derati abusivi».
Inoltre, la sanzione della riqualificazione in contrat- to a tempo indeterminato nel pubblico impiego è esplicitamente riconosciuta nella sentenza “Angeli- daki” (28) del 23 aprile 2009 nelle cause riunite da C-378/07 a C-380/07: «Quanto alla circostanza fat- ta valere dalle ricorrenti nel procedimento principa- le secondo cui, stanti le condizioni cumulative poste dall’art. 11 del decreto presidenziale 164/2004, de- terminati contratti di lavoro a tempo determinato stipulati o rinnovati abusivamente nel settore pub- blico prima dell’entrata in vigore di detto decreto eluderebbero ogni sanzione, occorre ricordare che, in una siffatta situazione, si deve poter applicare una misura che presenti garanzie effettive ed equivalenti di tutela dei lavoratori al fine di sanzionare debita- mente tali abusi e di eliminare le conseguenze della violazione del diritto comunitario. Di conseguenza, qualora l’ordinamento giuridico dello Stato membro in questione non comporti, per il periodo considera- to, altre misure efficaci a tale scopo, ad esempio per- ché le sanzioni previste all’art. 7 di detto decreto non sono applicabili ratione temporis, la conversione dei contratti di lavoro a tempo determinato in con- tratti di lavoro a tempo indeterminato ai sensi del- l’art. 8, n. 3, della L. n. 2112/1920 potrebbe rappre- sentare una misura in tal senso, come sostenuto dal- la ricorrente nel procedimento principale nella cau- sa C-379/07 (v., in tal senso, sentenza Xxxxxxxx e a., cit., punti 98-105, nonché ordinanza Xxxxxxxxxx e a., cit., punti 129-137).».
Infine, la Corte di Giustizia con sentenza del 22 aprile 2010 nella causa C-486/08 (cit.) al punto 2 delle conclusioni sottolinea il collegamento “strut- turale” tra la clausola 5 e la nozione di “ragioni og- gettive” e la clausola 4 di non discriminazione, co- me correttamente ha fatto il Trib. Siena, e precisa in motivazione ai punti 43-46 che «la gestione rigo- rosa del personale rientra in considerazioni di bi- lancio che non potrebbero giustificare una discri- minazione» tra lavoratori a tempo determinato “tu- telati” (nel lavoro privato) e lavoratori a termine privi di tutele o con tutele attenuate (nel lavoro pubblico).
È indubbio che l’applicazione all’ordinamento inter- no italiano dei principi costituzionali e del diritto dell’Unione europea, che sembra così lineare (lo è) e quasi banale (29) nella sentenza del Trib. Siena costituiranno un costo molto elevato, almeno nella fase iniziale, per le finanze pubbliche. Chi scrive, però, è convinto che i benefici che queste soluzioni giurisprudenziali di apparente frattura nel sistema delle fonti arrecheranno allo stato disastroso dell’or- dinamento giuridico nazionale saranno così signifi-
cative, non solo in termini di effettività delle tutele, ma anche di risparmi fiscali ed economici per uno Stato costretto, suo malgrado, a diventare virtuoso nella spesa pubblica, da compensare ampiamente le maggiori uscite di danaro pubblico, speso per legitti- me ragioni obiettive di utilità sociale.
Note:
(28) V. M. Miscione, La Corte di Giustizia sul contratto a termine e la clausola di non regresso, in questa Rivista, 2009, 437; A.M. Xxxxxxx, I principi di diritto comunitario e le piroette del legislato- re italiano, in Foro it., 2009, IV, 496 ss.; X. Xxxxxxx e X. Xxxxxxxx, Xxxxxx a termine e clausola di non regresso tra incertezze, con- ferme e passi avanti, in Dir. Lav. Merc., 2009, 2, 404 ss.; R. Fo- glia - X. Xxxxx, Xxxxxxxxx a termine nel lavoro pubblico e privato e “clausola di non regresso”, in Corr. giur., 2010, 6, 842.
(29) Non lo è, perché il ricchissimo e condivisibile percorso argo- mentativo del Giudice nazionale sconta sicuramente il travaglio dell’interprete, che non applica una norma di legge ingiusta per applicare regole e principi di tutela effettiva.