DALL’ACCORDO DI POMIGLIANO ALL’INTESA SULLA RAPPRESENTANZA: STATO DELL’ARTE E PROSPETTIVE
VERSIONE PRELIMINARE
DALL’ACCORDO DI POMIGLIANO ALL’INTESA SULLA RAPPRESENTANZA: STATO DELL’ARTE E PROSPETTIVE
DELLA CONTRATTAZIONE COLLETTIVA AZIENDALE IN ITALIA
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1F
Xxxxxxxxx X’Xxxxx* – Xxxxxxxx Xxxxxxxxxxxxx*
1. Introduzione
In Italia è da tempo in atto un processo di erosione della centralità del contratto collettivo nazionale di lavoro (CCNL). Accelerato dall’uscita del gruppo Fiat-Chrysler dal sistema confindustriale, tale processo è culminato nell’Accordo interconfederale del 2011, che ha definito ambiti più ampi e modalità di attivazione della contrattazione decentrata, e nell’art. 8 della Manovra di Ferragosto dello stesso anno, che ha introdotto la possibilità di siglare accordi locali in deroga sia alla legge, sia al CCNL. Vi si sono sommati una serie di interventi, poco organici nel tempo, volti a introdurre agevolazioni di carattere contributivo e fiscale per la quota della retribuzione contrattata al livello locale.
Il lavoro analizza le evidenze disponibili circa il ricorso alla contrattazione aziendale in Italia, individuando gli elementi che ne possono rendere meno agevole la diffusione. Prospetta interventi volti a superare alcuni ostacoli al raggiungimento di accordi che permettano un migliore utilizzo della manodopera, consentendo al tempo stesso incrementi retributivi e garanzie occupazionali per i lavoratori; tali innovazioni si inquadrano nell’assetto attuale delle relazioni industriali, senza stravolgerlo.
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Il lavoro è così articolato: il secondo paragrafo fornisce una breve rassegna delle indicazioni della letteratura economica, teorica ed empirica, circa le ricadute degli assetti della contrattazione collettiva; il terzo si sofferma sull’esperienza italiana, delineando l’evoluzione e l’articolazione attuale del sistema delle relazioni industriali; il quarto fornisce alcune evidenze circa il ricorso alla contrattazione decentrata in Italia e le esigenze manifestate dalle aziende; il quinto individua i principali aspetti di criticità – dal punto di vista “regolamentare”2F – dell’attuale sistema delle relazioni industriali, fornendo una disamina di possibili misure correttive; il sesto raccoglie le principali conclusioni.
2. Alcune indicazioni della letteratura economica
Secondo la letteratura economica, la struttura della contrattazione collettiva, e in particolare il suo grado di centralizzazione/decentralizzazione, ha ricadute importanti in termini di livelli e crescita salariale, dispersione salariale e flessibilità delle politiche retributive e dell’organizzazione del lavoro.
Crescita salariale – I primi studi, che risalgono alle metà degli anni ottanta (per una discussione più approfondita si rimanda a Xxxxxxxx, (1999)), hanno analizzato gli effetti della struttura della contrattazione collettiva sulla determinazione dei livelli salariali in economia chiusa. In questi modelli i sindacati massimizzano il salario reale e i livelli di occupazione dei propri iscritti, mentre i datori di lavoro massimizzano il profitto dell’impresa. Il sindacato ha il potere di determinare il salario nominale, mentre l’impresa decide i livelli di occupazione (Xxxxxx, 1986).
In questo ambito, la centralizzazione della contrattazione conduce a una migliore performance macroeconomica, grazie a salari reali più bassi e maggiori livelli di occupazione. In presenza di imprese che producono beni imperfetti sostituti, la negoziazione al livello decentrato porterebbe – infatti – a livelli salariali più elevati, in quanto il sindacato locale non terrebbe conto del fatto che salari più elevati vengono traslati sui prezzi praticati dalla propria impresa,
* Servizio Studi di Struttura economica e finanziaria, Banca d’Italia. Gli autori desiderano ringraziare per i preziosi commenti Xxxxx Xxxxxx, Xxxxxx Xxxxxxxxxx, Xxxxxx Xxxxxxxxx, Xxxxxxxx Xxx Xxxxx, Xxxxx Xxxxxxx, Xxxxxxx Xxxxxxx e Xxxxx Xxxxxxx. Le opinioni espresse nel presente lavoro di ricerca rimangono, in ogni caso, di esclusiva responsabilità degli autori e non impegnano in alcun modo l’Istituzione di appartenenza. Il testo presentato in questa sede costituisce una sintesi, per più versi semplificata, di una versione più ampia presentata in Banca d’Italia il 22 aprile 2013, alla quale si rimanda per gli aspetti più di dettaglio.
1 Intendendosi per tali i profili attinenti non solo alla disciplina normativa – sia essa di rango primario o secondario – ma anche all’adozione di intese sul piano negoziale e alla diffusione di best practices.
riducendo il potere d’acquisto degli altri lavoratori. In presenza di piena centralizzazione, il sindacato internalizzerebbe – invece – pienamente questo effetto, moderando le rivendicazioni salariali e, quindi, il tasso di disoccupazione.
Come richiamato, questi lavori ipotizzano l’esistenza di un’economia chiusa, pertanto il loro reale perimetro di applicazione si restringe ai servizi non tradable e al settore pubblico. Il passaggio a un’ipotesi di economia aperta modifica i meccanismi descritti in due direzioni (Xxxxxxxx e Xxxx, 1994). Da un lato, la presenza di beni importati aumenterebbe – per i sindacati – l’incentivo a chiedere aumenti delle retribuzioni nominali: anche in presenza di un completo trasferimento del maggiore costo del lavoro sui prezzi al consumo, è più facile per i sindacati ottenere aumenti delle retribuzioni reali, in quanto parte della domanda può essere soddisfatta dai beni importati, il cui prezzo non è influenzato dalla politica retributiva delle imprese domestiche. Dall’altro, la competizione con imprese straniere accresce l’elasticità della domanda dei beni o servizi prodotti dalle imprese domestiche e quindi riduce la possibilità per queste ultime di trasferire aumenti del costo del lavoro sui prezzi finali. In conclusione, una maggiore integrazione dei mercati internazionali determina una maggiore moderazione salariale e attenua l’effetto della struttura della contrattazione sul livello delle retribuzioni.
Dispersione salariale – Il decentramento contrattuale favorisce la maggiore differenziazione delle retribuzioni, non solo tra imprese, ma anche all’interno della stessa impresa, permettendo una maggiore aderenza tra retribuzioni, da un lato, e condizioni del mercato del lavoro locale e produttività, dall’altro. Ne dovrebbero discendere una maggiore efficienza del sistema economico e un livello di occupazione più elevato, in particolare dove esistano forti differenze tra mercati del lavoro locali e livelli di produttività delle imprese. Inoltre, il parziale collegamento tra retribuzioni e indicatori di redditività dell’impresa, possibile al livello decentrato, può contribuire ad aumentare l’elasticità del costo del lavoro alle condizioni del ciclo economico, requisito fondamentale per il buon funzionamento di un’area valutaria.
Secondo alcuni autori (Xxxxxx e Xxxxxxxxxxx, 1998), la contrattazione decentrata, favorendo la moderazione salariale nelle imprese meno efficienti, consentirebbe a queste di sopravvivere più a lungo a discapito della produttività aggregata. Vi sarebbe – pertanto – un trade-off, almeno in termini statici, tra il livello di produttività medio delle imprese e i livelli occupazionali complessivi. In un’ottica dinamica, le imprese potrebbero ridurre l’investimento e l’innovazione qualora, grazie al decentramento contrattuale, il risultante aumento di profitti dovesse essere spartito con i lavoratori (Haucap e Wey, 2004). Infine, se i lavoratori sono avversi al rischio, una maggiore compressione salariale potrebbe aumentare il welfare (Agell e Lommerud, 1992).
Flessibilità delle politiche retributive e dell’organizzazione del lavoro – Anche se schemi indiretti di incentivazione dei lavoratori sono possibili anche nel quadro della contrattazione nazionale (si pensi, ad esempio, alle progressioni di carriera o ai superminimi), vi è ampio consenso che la contrattazione decentrata offra all’impresa un più ampio spettro di opzioni. Tra questi vanno annoverati l’elargizione di premi variabili collegati ai risultati (stabiliti in maniera sia oggettiva, sia soggettiva), o sistemi indiretti di incentivazione, quali il pagamento di salari di efficienza più elevati di quelli di equilibrio, al fine di rendere più costoso per il lavoratore l’eventuale licenziamento dovuto allo scarso rendimento (Xxxxxxx e Xxxxxx, 1988).
Esiste un ampio consenso anche sull’efficacia di schemi di incentivazione ben congegnati nell’aumentare la produttività dei lavoratori (Bandiera, Barankay e Xxxxx, 0000; Xxxxx e al., 2010a) e, più in generale, il loro coinvolgimento nell’attività aziendale, con ricadute positive sull’innovazione (Blasi e al., 2010b). L’effetto incentivante dipende positivamente dal grado di correlazione tra l’impegno del lavoratore e i risultati ottenuti. Quest’ultimo si indebolisce se i risultati individuali sono influenzati da elementi esterni fuori dal controllo dal lavoratore. Nel caso di lavori di squadra in cui il contributo individuale al processo produttivo è difficilmente identificabile, la presenza di free riders potrebbe minare l’efficacia degli incentivi (Xxxxxxxxxxx, 1999). Sempre laddove il processo produttivo preveda il contributo coordinato di gruppi di lavoratori, schemi di incentivazione fortemente discriminanti potrebbero limitare la cooperazione tra colleghi e diminuire la motivazione dei lavoratori meno dotati (Grund e Xxxxxxxxxxx-Xxxxxxx, 2008). Incentivi basati sulla misurazione parziale dei risultati potrebbero, infine, distorcere il comportamento dei lavoratori, destinati a privilegiare gli elementi oggetto di valutazione a scapito degli altri (Xxxxxxxxxxx, 1999).
Sul piano delle relazioni industriali, la maggiore decentralizzazione contrattuale facilita la sperimentazione di pratiche organizzative innovative e più adatte alle esigenze produttive specifiche dell’impresa (Xxxx, 1993). Blasi e al. (2010a) sottolineano, inoltre, l’esistenza di una forte complementarietà tra politiche retributive flessibili e altre pratiche aziendali che sono normalmente associate al miglioramento della performance d’impresa. In particolare, essi rilevano che politiche retributive collegate al risultato sono più diffuse nelle imprese in cui i lavoratori hanno una maggiore indipendenza e sono chiamati a partecipare direttamente alla definizione delle strategie aziendali. L’analisi empirica, condotta su dati relativi agli Stati Uniti e al Regno Unito, mostra che l’effetto positivo di ciascuna di queste pratiche aziendali è maggiore quando esse vengono implementate congiuntamente.
3. Il caso italiano: evoluzione e articolazione attuale della contrattazione collettiva
Tradizionalmente il sistema italiano delle relazioni industriali si è caratterizzato per la centralità del contratto collettivo nazionale di lavoro (CCNL) di categoria, con spazi limitati per la contrattazione di secondo livello. Sulla base del Protocollo del 23 luglio 1993 tra Governo e Parti sociali3F2, il CCNL aveva il ruolo di:
i) definire il quadro normativo relativo all’utilizzo della manodopera;
ii) preservare il potere d’acquisto dei salari, attraverso un meccanismo basato sull’inflazione programmata e il recupero non automatico degli eventuali scostamenti rispetto alla dinamica effettiva dei prezzi; l’ancoraggio delle aspettative sulla dinamica dei prezzi ha permesso la moderazione delle rivendicazioni salariali e la conseguente disinflazione.
Il secondo livello, gerarchicamente subordinato a quello nazionale, riguardava invece “materie e istituti diversi e non ripetitivi” (c.d. clausola di non ripetibilità) “rispetto a quelli retributivi propri del CCNL”, con il fine di introdurre eventuali aumenti salariali, contrattati a livello territoriale o aziendale, legati a guadagni di produttività. Al contratto di secondo livello, quindi, si affidava una funzione integrativa e applicativa di quello nazionale, con una specializzazione e un certo livello di autonomia in ordine alle competenze di tipo retributivo.
Negli ultimi anni l’assetto del 1993 è stato oggetto di una significativa revisione lungo due linee di tendenza: i) la progressiva erosione della “centralità” del CCNL di categoria, a vantaggio di una maggiore autonomia della contrattazione decentrata; ii) l’introduzione, a fini incentivanti, di agevolazioni di carattere contributivo e fiscale alle politiche aziendali indirizzate all’efficienza produttiva, da definire mediante la contrattazione di secondo livello.
3.1. La progressiva erosione della “centralità” del contratto collettivo nazionale di categoria
Primi segnali in tale direzione si sono avuti già all’interno del fenomeno dell’integrazione funzionale tra legge e contratto collettivo, vale a dire del rinvio (o della delega) da parte del legislatore al contratto collettivo, che – in alcuni casi
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– ha avuto a oggetto direttamente la contrattazione collettiva decentrata (aziendale o territoriale). Il rinvio al contratto di secondo livello, già presente in misura significativa nell’ambito dell’architettura normativa voluta dalla c.d. legge Biagi (d.lgs. 10 settembre 2003, n. 276), è divenuto sempre più frequente, interessando in particolare requisiti e limiti del ricorso alle diverse tipologie di contratti di lavoro c.d. flessibili4F .
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Tuttavia, è solo con l’Accordo quadro del 22 gennaio 2009, sottoscritto da CISL, UIL e UGL (con il disimpegno della CGIL), che si è avallata esplicitamente la strategia degli accordi c.d. in deroga rispetto al contratto nazionale4, consentendo il raggiungimento di specifiche intese per governare direttamente, nel territorio o in azienda, situazioni di crisi o per favorire lo sviluppo economico e occupazionale: tali intese potevano, infatti, definire apposite procedure, modalità e condizioni per modificare, anche in via sperimentale o temporanea, singoli istituti economici o normativi dei contratti collettivi nazionali di lavoro di categoria.
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A tali intese ha fatto ampiamente ricorso il gruppo Fiat, imprimendo un’ulteriore accelerazione al processo prima attraverso la stipula, in data 29 dicembre 2010, di un contratto collettivo di gruppo a firma separata (c.d. contratto di primo livello) sostitutivo del CCNL Metalmeccanici5; poi tramite il recesso (avvenuto il 3 ottobre 2011, con decorrenza dal 31 dicembre 2011) delle aziende del gruppo Fiat da Confindustria e, infine, con il recesso “da tutti i contratti applicati nel gruppo Fiat e da tutti gli altri contratti e accordi collettivi aziendali e territoriali vigenti”, comunicato dall’azienda il 21 novembre 2011.
2 Tale Protocollo, definito anche “Carta costituzionale del sistema italiano di relazioni industriali” (cfr. Giugni (1993)), per alcuni profili ancora vigente, aveva, confermato un assetto della contrattazione collettiva basato su un contratto nazionale di lavoro di categoria e un secondo livello aziendale, o alternativamente territoriale (laddove previsto dalla prassi di ciascun settore). Inoltre il Protocollo, superando il sistema degli adeguamenti salariali automatici, aveva fissato in 4 anni la durata dei contratti e previsto una sessione intermedia ogni 2 anni per il rinnovo della parte economica. Cfr. Xxxxxxxxxx e al. (2007); Xxx Xxxxx (2012).
3 Cfr., da ultimo, l’art. 7, comma 1, lett. a) e c) del d.l. 28 giugno 2013, n. 76, convertito nella l. 9 agosto 2013, n. 99, in tema di individuazione di ipotesi di acausalità del contratto a tempo determinato e di definizione degli intervalli di tempo intercorrenti tra un contratto a tempo determinato e quello successivo. Su questi temi si rinvia a Xxxxxxxx (2012); Giorgiantonio (2011).
4 I contenuti di questo Accordo sono stati poi recepiti nell’Accordo interconfederale del 15 aprile 2009. Si tratta di un accordo di tipo sperimentale e di durata quadriennale sulle regole e sulle procedure della negoziazione e della gestione della contrattazione collettiva, in sostituzione del regime vigente. La vigenza dei contratti collettivi nazionali è stata riportata a tre anni sia per la parte normativa, sia per quella economica, e sono state introdotte nuove regole per il calcolo degli adeguamenti retributivi, determinati sulla base non più dell’inflazione programmata, ma di un “nuovo indice previsionale costruito sulla base dell’IPCA (l’indice dei prezzi al consumo armonizzato in ambito europeo per l’Italia), depurato della dinamica dei prezzi dei beni energetici importati”.
5 Stipulato inizialmente per la sola Fabbrica Italia Pomigliano s.p.a., ma poi esteso a tutte le società del gruppo con accordo del 13 dicembre 2011.
Anche in seguito alla posizione assunta dal gruppo Fiat, sono stati adottati interventi sul piano contrattuale prima, su quello legislativo poi, volti ad ampliare ulteriormente l’ambito di applicazione della contrattazione collettiva decentrata:
i) l’Accordo interconfederale del 28 giugno 2011 (siglato – a differenza di quello del 2009 – anche dalla CGIL), che amplia in misura considerevole i margini entro i quali i contratti di secondo livello possono derogare, anche in senso peggiorativo, al CCNL, superando la clausola di non ripetibilità e ancorandoli al solo limite dell’obiettivo di conseguire una più efficace adesione alle esigenze degli specifici contesti produttivi7F6. Tale Accordo stabilisce, inoltre, criteri in base ai quali i contratti collettivi aziendali sono efficaci per tutto il personale in forza (c.d. efficacia erga omnes)8F7 e sancisce la possibilità di introdurre nei contratti aziendali clausole di tregua sindacale, lungo le linee previste dal contratto di primo livello del gruppo Fiat, finalizzate a garantire l’esigibilità degli impegni assunti con la contrattazione collettiva;
ii) l’art. 8 del d.l. 13 agosto 2011, n. 138, convertito nella l. 14 settembre 2011, n. 148 (c.d. Manovra di Ferragosto), che attribuisce alle intese aziendali e territoriali (definiti “contratti di prossimità”) la possibilità di derogare in termini peggiorativi non solo al CCNL di categoria, ma anche alle previsioni di legge9F8, in controtendenza con le caratteristiche del nostro sistema, fondato sulla rappresentanza nazionale10F9. Tali intese hanno efficacia nei confronti di tutti i lavoratori interessati, purché siano sottoscritte – sulla base di un criterio maggioritario – dalle associazioni dei lavoratori più rappresentative sul piano nazionale o territoriale, ovvero dalle loro rappresentanze sindacali operanti in azienda ai sensi della normativa di legge e degli Accordi interconfederali vigenti11F10.
Contratti di secondo livello e contratti di prossimità rappresentano i principali strumenti per aziende e lavoratori per ricorrere alla contrattazione collettiva decentrata. La discriminante tra i due strumenti è data dalla loro diversa latitudine di applicazione. I contratti aziendali “classici”, governati dall’Accordo interconfederale del 2011, possono modificare la legge o i contratti collettivi nazionali solo se una di queste fonti conferisca a essi una specifica delega in tal senso; i contratti di prossimità hanno, invece, una portata derogatoria potenzialmente molto più ampia.
Le principali associazioni imprenditoriali e sindacali, con l’eccezione della CGIL, hanno sottoscritto il 21 novembre 2012 le “Linee programmatiche per la crescita della produttività e della competitività in Italia” (c.d. Intesa sulla produttività), nelle quali hanno ribadito la volontà di proseguire secondo il modello concordato dapprima con l’Accordo del 2009 e poi con quello del 2011. L’Intesa ha assegnato al CCNL la funzione di garantire la certezza dei trattamenti economici e normativi comuni per tutti i lavoratori e affidato alla contrattazione collettiva decentrata il compito di stimolare la produttività, attraverso una migliore organizzazione del lavoro e un maggiore collegamento tra le retribuzioni dei lavoratori e la crescita. A quest’ultimo fine, il CCNL avrà facoltà di destinare una quota degli aumenti economici al riconoscimento dei premi collegati alla produttività e redditività, definiti dalla contrattazione di secondo livello12F11.
6 Si preserva, in ogni caso, la centralità del CCNL stabilendo che esso definisca i limiti e le procedure entro cui i contratti aziendali possono derogare alle disposizioni previste dagli stessi contratti collettivi nazionali, In assenza di questi elementi, i contratti collettivi aziendali possono comunque modificare gli istituti del CCNL, che disciplinano prestazione lavorativa, orari e organizzazione del lavoro, al fine di gestire situazioni di crisi o in presenza di investimenti significativi per favorire lo sviluppo economico e occupazionale dell’impresa.
7 Ciò avviene se il contratto è approvato dalla maggioranza dei componenti delle rappresentanze sindacali unitarie (RSU) o, per le aziende nelle quali sono presenti le rappresentanze sindacali aziendali (RSA), dalle RSA destinatarie della maggioranza delle deleghe. Se approvato dalle RSA, il contratto sottoscritto deve essere sottoposto al voto dei lavoratori, se richiesto da almeno una delle organizzazioni firmatarie dell’accordo o dal 30 per cento dei lavoratori dell’impresa, entro 10 giorni dalla conclusione. La consultazione è valida se vi partecipa il 50 per cento più uno degli aventi diritto al voto; l’intesa è respinta con il voto della maggioranza semplice.
8 I contratti di prossimità possono riguardare la regolazione delle materie inerenti l’organizzazione del lavoro e della produzione con riferimento, tra l’altro, alle mansioni del lavoratore, alla classificazione e inquadramento del personale, alla disciplina dell’orario di lavoro, alle modalità di assunzione e disciplina del rapporto di lavoro, alla trasformazione e conversione dei contratti di lavoro e alle conseguenze del recesso dal rapporto di lavoro.
9 Sul punto giova precisare come, in data 21 settembre 2011, in sede di ratifica dell’Accordo interconfederale del giugno scorso, CGIL, CISL, UIL e Confindustria abbiano ritenuto opportuno aggiungere al testo una frase, nella quale ribadiscono “che le materie delle relazioni industriali e della contrattazione sono affidate all’autonoma determinazione delle parti” e si impegnano “ad attenersi all’Accordo Interconfederale del 28 giugno […]”. Nonostante le dichiarazioni dei tre sindacati, dal punto di vista giuridico non scaturisce dal testo aggiunto un’inibizione a usare le facoltà di deroga attribuite alle organizzazioni sindacali dall’art. 8: la postilla conferma solo che le parti vogliono regolare in modo autonomo la contrattazione e le relazioni industriali e si impegnano a utilizzare e a far applicare alle proprie strutture i contenuti dell’intesa di giugno.
10 Con obiettivi di monitoraggio del ricorso all’istituto, l’art. 9, comma 4, del d.l. 28 giugno 2013, n. 76 ha anche previsto l’obbligo di depositare presso la Direzione territoriale competente i testi delle intese sottoscritte ai sensi dell’art. 8 della Manovra di Ferragosto ai fini della loro validità.
11 Che beneficeranno delle vigenti agevolazioni fiscali e contributive. Tale quota di risorse resterà, tuttavia, parte integrante dei trattamenti economici comuni per tutti i lavoratori rientranti nel settore di applicazione dei contratti nazionali, laddove non vi fosse o venisse meno la contrattazione di secondo livello. L’Intesa specifica, inoltre, che il sistema di adeguamento retributivo legato all’IPCA, introdotto nel 2009, costituirà il “tetto massimo” di indicizzazione, potendosi anche andare al di sotto per tenere conto delle condizioni generali dell’economia, del mercato del lavoro e delle condizioni internazionali. Successivamente (24 aprile 2013) è stata siglata un’Intesa unitaria (quindi anche con la partecipazione della CGIL) che conferma la volontà di valorizzare il secondo livello di contrattazione, richiamando l’Accordo del 28 giugno 2011, ma si concentra prevalentemente sulla sola flessibilità nella gestione degli orari come parametro al quale collegare l’erogazione dei premi di produttività.
Infine, a integrazione e attuazione di quanto già previsto nell’Accordo interconfederale del 2011, è stata siglata un’Intesa unitaria sulla rappresentanza (31 maggio 2013), che introduce regole in materia di vincolatività ed esigibilità dei contratti collettivi stipulati a livello nazionale, estende il meccanismo di approvazione a maggioranza già previsto per le intese a livello aziendale13F12, e prevede alcune modifiche della disciplina della rappresentanza sindacale in azienda, volte alla valorizzazione del modello della rappresentanza sindacale unitaria.
Già con il Protocollo del 1993 si era prevista l’introduzione, mediante un provvedimento legislativo ad hoc, di un apposito regime incentivante per le politiche retributive aziendali indirizzate all’efficienza produttiva e gestionale.
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Una prima attuazione di tali previsioni si è avuta con il d.l. 25 marzo 1997, n. 67, convertito dalla l. 23 maggio 1997, n. 135, che aveva disposto un regime di decontribuzione per tali erogazioni. Successivamente, in forza del Protocollo del 23 luglio 2007, la l. 24 dicembre 2007, n. 247 ha abrogato il regime previgente; ha previsto, con un approccio più cauto, sgravi di carattere contributivo solo in via sperimentale per gli anni 2008, 2009 e 2010; ha stabilito l’introduzione di agevolazioni fiscali con ulteriori provvedimenti14F . Seppure con alcune modifiche e con un approccio piuttosto disorganico, gli incentivi contributivi e fiscali sui premi di produttività sono stati successivamente prorogati di anno in anno, fino a tutto il 2012.
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Di recente, l’art. 4, comma 28, della l. 28 giugno 2012, n. 92 (c.d. riforma Fornero), cui è stata data attuazione con il d.M. 27 dicembre 2012, ha reso permanente lo sgravio contributivo sui premi di risultato e di produttività, anche se ogni anno dovrà essere definito – sulla base delle risorse finanziarie disponibili – l’importo della retribuzione sulla quale sarà possibile applicare lo sgravio e la sua ripartizione tra accordi aziendali e accordi territoriali15F . Successivi interventi legislativi hanno ridotto lo stanziamento in favore della contribuzione in maniera sostanziale; l’ammontare del fondo, inizialmente pari a 650 milioni di euro, è stato prima ridotto dalla l.24 dicembre 2012, n. 228 (art. 1, comma 249) e successivamente dal d.l. 31 agosto 2013, n. 102 (c.d. decreto IMU); lo stanziamento per il 2013 ammonterebbe attualmente a 368 milioni.
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Sul piano fiscale, l’art. 1, commi 481 e 482, della l. 24 dicembre 2012, n. 228 (c.d. Legge di stabilità 2013), attuato con il d.P.C.M. 22 gennaio 2013, anche in ossequio agli accordi assunti con l’Intesa sulla produttività, ha stabilito per gli anni 2013 e 2014 – con un approccio maggiormente selettivo rispetto a quanto realizzato in precedenza – una tassazione agevolata per le sole somme erogate a titolo di “retribuzione di produttività”16F , in esecuzione di contratti collettivi di lavoro sottoscritti a livello aziendale e territoriale dalle associazioni dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, ovvero dalle loro rappresentanze sindacali operanti in azienda17F .
12 Più in dettaglio l’Intesa conferma che sono ammesse alla contrattazione collettiva nazionale le organizzazioni sindacali che abbiano, nell’ambito di applicazione del CCNL, una rappresentatività non inferiore al 5%, misurata secondo i criteri già individuati dall’Accordo interconfederale del 2011 (media fra il dato associativo e il dato elettorale), precisando però che ai fini della misurazione del voto espresso da lavoratrici e lavoratori nell’elezione della RSU valgano esclusivamente i voti assoluti espressi per ogni organizzazione sindacale aderente alle confederazioni firmatarie dell’Intesa. Stabilisce, inoltre, che i CCNL sottoscritti formalmente dalle organizzazioni sindacali che rappresentino almeno il 50% + 1 della rappresentanza determinata secondo i criteri di cui sopra, previa consultazione certificata di tutti i lavoratori a maggioranza semplice, siano efficaci ed esigibili, con impegno delle parti firmatarie dell’Intesa a non promuovere iniziative di contrasto agli accordi così definiti. Viene demandata ai singoli CCNL l’individuazione di clausole e/o procedure di raffreddamento finalizzate a garantire, per tutte le parti, l’esigibilità degli impegni assunti.
13 Cfr. l’art. 1, comma 70, della l. 24 dicembre 2007, n. 247. In questa logica, il d.l. 27 maggio 2008, n. 93, convertito nella l. 24 luglio 2008,
n. 126 (art. 2), ha introdotto – per un periodo limitato (1° luglio – 31 dicembre 2008) e relativamente ai dipendenti del settore privato – un regime di imposizione fiscale favorevole per i compensi erogati a livello aziendale per lavoro straordinario e notturno e per quelli elargiti – sempre a livello aziendale – in relazione a incrementi di produttività, innovazione ed efficienza organizzativa e altri elementi di competitività e redditività legati all’andamento economico dell’impresa (c.d. premi di produttività), che fino a quel momento erano soggetti all’imposizione ordinaria. Per un’analisi del quadro normativo relativo al lavoro straordinario e una valutazione del provvedimento si rinvia a D’Xxxxx e Xxxxxx (2008).
14 Per il 2012 il d.M. di attuazione ha confermato le stesse misure stabilite per il 2011, vale a dire uno sgravio sul premio pari al 2,25 per cento della retribuzione contrattuale percepita dal dipendente e una ripartizione delle risorse per il 62,5 per cento per la contrattazione aziendale e per il restante 37,5 per cento per la contrattazione territoriale (la dotazione complessiva è pari a 650 milioni di euro).
15 Più in dettaglio, possono essere detassate le voci retributive erogate, in esecuzione di contratti aziendali e territoriali, con espresso riferimento a indicatori quantitativi (produttività, redditività, qualità ed efficienza/innovazione), o – in alternativa – le voci retributive in esecuzione di contratti che prevedano l’attivazione di almeno una misura in almeno tre delle aree di seguito indicate: i) modelli flessibili di orario di lavoro; ii) programmazione aziendale flessibile delle ferie; iii) modelli organizzativi-gestionali e nuove tecnologie; iv) interventi di fungibilità delle mansioni. Cfr. art. 2 del d.P.C.M.
16 Nei limiti di uno stanziamento massimo di 950 milioni di euro, le somme sopra indicate sono soggette a un’imposta sostitutiva dell’imposta sul reddito delle persone fisiche e delle addizionali regionali e comunali pari al 10 per cento. L’imposta sostitutiva trova applicazione per i titolari di reddito da lavoro dipendente non superiore nell’anno 2012 a 40.000 euro, al lordo delle somme assoggettate nell’anno 2012 all’imposta sostitutiva. La retribuzione di produttività individualmente riconosciuta che può beneficiare della tassazione agevolata non può comunque essere superiore, nel corso dell’anno 2013, a 2.500 euro lordi. Per monitorare lo sviluppo delle misure di detassazione, i datori di lavoro devono depositare i contratti
3.3. Il peso dei minimi sulla retribuzione totale
È interessante verificare se, in concomitanza con le innovazioni del sistema di relazioni industriali descritte e con l’introduzione degli incentivi si sia verificata una riduzione dell’incidenza delle retribuzioni definite dal CCNL. L’indagine sulle imprese industriali e delle retribuzioni servizi (Invind) permette di ottenere informazioni omogenee nel tempo sul peso delle diverse componenti retributive. Il campione oggetto d’indagine include solo le imprese con almeno 20 dipendenti ed è rappresentativo di oltre i due terzi dell’occupazione nelle imprese industriali e operanti nei servizi privati non finanziari.
Il questionario rileva, per ciascuna impresa, la quota della retribuzione totale eccedente i minimi stabiliti dal CCNL. Negli anni 2002-2012 emerge una sostanziale stabilità della quota contrattata al livello centrale fino al 2007, con valori sempre compresi tra il 12 e il 14 per cento. A partire dal 2008, in concomitanza con l’introduzione della detassazione delle componenti variabili del salario, la quota aumenta in maniera decisa, portandosi poco al di sotto del 16 per cento e arrivando a sfiorare il 18 nel 2012.
Con i dati a disposizione, non è possibile stabilire l’esistenza di un nesso causale tra l’introduzione della detassazione e l’incremento della quota di retribuzione eccedente i minimi, in quanto il provvedimento ha interessato contemporaneamente tutte le imprese presenti nel campione e l’incremento potrebbe quindi riflettere semplicemente un trend crescente nel tempo. È, inoltre, opportuno sottolineare che l’aumento delle componenti retributive eccedenti i minimi aziendali potrebbe essere avvenuto anche in assenza di contrattazione di secondo livello (ad esempio, grazie ai superminimi o all’espansione del lavoro straordinario).
Nel paragrafo successivo si analizzeranno evidenze quantitative sulla diffusione e l’utilizzo della contrattazione collettiva decentrata e sul grado di soddisfazione delle aziende per l’assetto delle relazioni industriali.
4. Le tendenze della contrattazione collettiva decentrata in Italia
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È opinione diffusa che il sistema introdotto nel 1993 sia stato efficace nel moderare la dinamica salariale, ancorando le aspettative di inflazione18F . La diffusione della contrattazione aziendale è rimasta invece contenuta, in particolare nelle imprese di piccole dimensioni e al Sud. Il secondo livello di contrattazione è, inoltre, più diffuso nell’industria che nei servizi.
Il mancato decollo della contrattazione decentrata avrebbe risentito della struttura produttiva italiana, caratterizzata dalla predominanza di imprese di piccole dimensioni, per le quali i costi fissi di negoziazione potrebbero rendere poco attraente la negoziazione di secondo livello. Inoltre, la deludente dinamica della produttività ha – di fatto – ridotto le risorse da distribuire al livello locale.
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I premi di risultato (sia aziendali sia individuali), possono essere concessi anche al di fuori della contrattazione aziendale e sono decisamente più diffusi19F . Tali premi risultano, tuttavia, essere discontinui nel tempo e di importo ridotto, sebbene emergano dinamiche differenti a seconda della presenza della contrattazione di secondo livello20F . Alcuni studi mostrano, inoltre, come le aziende coperte da contrattazione di secondo livello siano caratterizzate da una minore dispersione salariale al loro interno21F .
4.1. La contrattazione integrativa, retribuzioni, organizzazione del lavoro
L’indagine Invind del 2010 ha incluso una parte monografica relativa alla contrattazione integrativa. Secondo la rilevazione, nel 21 per cento delle imprese era presente un accordo integrativo. Tale percentuale è maggiore nell’industria in senso stretto che nei servizi e sale con la dimensione dell’impresa. La contrattazione integrativa è, inoltre, molto più diffusa in presenza di rappresentanze sindacali (25,5 per cento, contro 2,8 tra le imprese senza tali rappresentanze).
presso la Direzione territoriale del lavoro territorialmente competente entro trenta giorni dalla loro sottoscrizione, con allegata autodichiarazione di conformità dell’accordo depositato alle disposizioni del d.P.C.M. Il Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali provvede alla raccolta e al monitoraggio dei contratti depositati. Cfr. artt. 1 e 3 del d.P.C.M.
17 Cfr. Xxxxxxxxxx et al. (2007).
18 Cfr. Casadio (2008).
19 Analizzando un campione di imprese manifatturiere della provincia di Bergamo, Cristini e al. (2005) riscontrano che i premi di risultato sono inferiori in livello, ma maggiormente costanti nel tempo nelle imprese nelle quali è presente la contrattazione aziendale rispetto a quelle in cui i premi sono invece concessi al di fuori di tale contrattazione. Il livello dei premi sale ulteriormente nelle imprese nelle quali vi sia un sistema di valutazione sistematica della performance individuale.
20 Cfr. Checchi e Xxxxxx (2005) e Xxxx’Xxxxxx e Pagani (2007).
L’indagine del 2010 ha anche approfondito alcuni aspetti ulteriori collegati alla contrattazione integrativa: i) il collegamento diretto tra incrementi retributivi concessi e performance aziendale e ii) il legame tra tali aumenti e la presenza di modifiche organizzative.
Per quanto riguarda il primo aspetto, in circa i tre quarti delle imprese che hanno la contrattazione integrativa sono presenti incrementi retributivi non predeterminati, ma almeno parzialmente collegati alla performance d’impresa. La contrattazione integrativa permetterebbe, quindi, non solo la differenziazione delle retribuzioni tra imprese (quelle che non hanno il contratto sono presumibilmente meno produttive o comunque non abbastanza grandi da poterselo permettere), ma anche nella stessa impresa a seconda dei risultati ottenuti. Quest’ultimo aspetto potrebbe aumentare la portata incentivante della contrattazione decentrata sulla manodopera, alla quale sarebbero riconosciuti, seppure in maniera parziale, incrementi retributivi collegati alla performance.
In circa il 10 per cento delle imprese con contrattazione di secondo livello, il contratto integrativo in vigore ha previsto specifiche modifiche organizzative. In presenza di contrattazione integrativa, si osserva anche una maggiore diffusione di pratiche di gestione del personale ad alta performance; in particolare, sono maggiormente diffuse pratiche quali il lavoro in team (43 per cento, contro il 28 di quelle prive di contratto aziendale), la retribuzione variabile per i dirigenti (38 per cento contro 21), il coinvolgimento dei livelli gerarchici inferiori nelle decisioni aziendali (43 per cento contro 32).
La maggiore diffusione di pratiche innovative in imprese dotate di contrattazione aziendale potrebbe semplicemente riflettere una loro diversa composizione in termini di caratteristiche osservabili. Tuttavia, un’analisi econometrica che controlli per tali effetti di composizione conferma che le imprese con contratto aziendale hanno una probabilità significativamente più elevata di utilizzare lavoro in team (+12 p.p.) e retribuzioni variabili (+8,6 p.p.); il valore associato al coinvolgimento dei livelli gerarchici inferiori nelle decisioni è positivo (+6,2 p.p.), ma non statisticamente significativo. Tali risultati indicano dunque la presenza di una correlazione tra l’adozione di innovazioni organizzative e quella di un contratto di secondo livello; tuttavia, i dati a disposizione (relativi a un solo anno) non permettono di inferire la direzione di causalità.
Infine, l’analisi di un campione rappresentativo di contratti aziendali22F21, stipulati tra il 2002 e il 2009, permette di avere un quadro più esaustivo circa l’incidenza e la tipologia delle modifiche introdotte a livello locale e riguardanti aspetti organizzativi o economici. Nel settore metalmeccanico sono particolarmente diffuse le modifiche alle norme relative alla distribuzione degli orari, dei turni e delle ferie, presenti in più del 20 per cento dei contratti integrativi. L’incidenza di tali modifiche è, invece, meno elevata tra i chimici e nel commercio (7 per cento dei casi). In tutte e tre le categorie considerate emerge l’ampia diffusione di voci incentivanti legate al risultato (presenza, qualità), superiore al 50 per cento. Superminimi e premi di produzione sono abbastanza diffusi nell’industria e nel commercio (20 per cento), meno tra i chimici (8 per cento).
4.2. Insoddisfazione per gli assetti contrattuali attuali
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Integrando le informazioni presenti nell’indagine Invind con quelle contenute nel sondaggio congiunturale, nel quale viene ricontattata una quota rilevante di imprese (72,7 per cento), è possibile ottenere ulteriori informazioni circa il ruolo della contrattazione decentrata. Nel sondaggio del 2011 è stata rivolta alle imprese una domanda tesa a rilevare l’insoddisfazione per gli assetti contrattuali esistenti e la volontà di avvalersi delle deroghe previste dall’art. 0 xxxxx Xxxxxxx xx Xxxxxxxxxx00X (x. infra).
Circa un’impresa su tre si dichiara insoddisfatta degli assetti contrattuali, percentuale che sale al 44 per cento tra quelle dotate di un contratto integrativo aziendale, a dimostrazione del fatto che anche la contrattazione decentrata non consente la piena soddisfazione delle esigenze imprenditoriali.
La scarsa soddisfazione delle imprese per gli assetti contrattuali non costituisce di per sé una sorpresa, in quanto potranno sempre esservi aspetti (economici o normativi) del contratto vissuti come troppo penalizzanti da parte datoriale, ma ritenuti opportuni dalle rappresentanze sindacali. Tuttavia, sembrerebbero esservi margini per il raggiungimento di
21 Cfr. CNEL, Xxxxxxxx campionaria sulla contrattazione decentrata, disponibile all’indirizzo xxxx://xxx.xxxx.xx/000?xxxxxxxxxxxxxx_xxxxxx00. Il campione è costituito da 254 contratti collettivi aziendali nel settore metalmeccanico, 149 nel settore dei chimici e 95 in quello del commercio.
22 Le informazioni disponibili circa l’effettivo ricorso ai contratti di prossimità ex art. 8 della Manovra di Ferragosto sono meno sistematiche di quelle relative ai contratti di secondo livello “classici”. L’effettivo impiego dello strumento appare decisamente limitato, anche in virtù dell’impegno assunto il 21 settembre 2011 dalle parti sociali di attenersi all’Accordo Interconfederale del 28 giugno. Si segnalano, tuttavia, alcune intese basate su tale meccanismo: i) quella siglata in data 16 luglio 2012 dalla Golden Lady Company s.p.a. e dalle associazioni sindacali più rappresentative a livello nazionale (FEMCA CISL, FILCTEM CGIL, UILTA UIL); ii) quella siglata dall’Enaip e dalle sigle sindacali nell’autunno 2012 a Padova; iii) quella siglata il 7 dicembre 2012 per il marketing operativo; iv) quella siglata a febbraio 2013 dalla Infocert con le organizzazioni sindacali rappresentative in azienda (la Fim-Cisl, oltre alle RSU).
accordi che consentano, da un lato, una maggiore flessibilità nell’utilizzo della manodopera per le imprese e, dall’altro, retribuzioni maggiori oppure garanzie occupazionali per i lavoratori. Circa i due terzi delle imprese dichiarano almeno un moderato interesse per la possibilità di aumentare la flessibilità oraria in cambio di garanzie occupazionali; tale percentuale è di poco inferiore (62 per cento) qualora, anziché tali garanzie, si offrano incrementi retributivi. Le percentuali diminuiscono lievemente, pur rimanendo maggioritarie, nel caso di una maggiore flessibilità mansionistica (rispettivamente 55 e 54 per cento); mentre sono relativamente meno appetibili ipotesi di riduzione delle retribuzioni a fronte di garanzie occupazionali (47 per cento). Non emergono particolari differenze in quest’ambito a seconda del grado di soddisfazione espresso per gli assetti contrattuali vigenti.
A parità di altre condizioni, la volontà di ottenere maggiore flessibilità in cambio di garanzie occupazionali o aumenti retributivi è decisamente più diffusa (circa +15 p.p.) tra le aziende con più di 200 addetti, mentre non vi sono differenze significative tra industria e servizi. L’esigenza di comprimere le retribuzioni in cambio di garanzie sui livelli occupazionali è particolarmente sentita tra le imprese maggiormente operanti sui mercati internazionali (più di un terzo del fatturato da export: +14,7 p.p.). Infine, l’interesse per l’ottenimento di maggiore flessibilità in cambio di garanzie o incrementi retributivi è diffuso anche tra le imprese in cui è presente un contratto integrativo, che sono tuttavia meno interessate a concedere garanzie occupazionali in cambio di flessibilità oraria (-8,1 p.p.) o compressione delle retribuzioni (-8,8 p.p.).
Data la diffusa insoddisfazione per gli assetti contrattuali attuali, non sorprende la discreta diffusione dell’intenzione di fare ricorso alle deroghe ex art. 8 (17,2 per cento). Tra le imprese insoddisfatte dagli assetti contrattuali, ma che non intendono avvalersi dell’art. 8, circa il 60 per cento dichiara di temere i relativi costi di negoziazione con il sindacato, più del 70 per cento l’incertezza normativa.
Riassumendo, le evidenze disponibili segnalano come: i) la contrattazione integrativa sia associata a pratiche manageriali innovative; ii) una quota significativa di imprese (anche fra quelle che già ricorrono alla contrattazione decentrata) si dichiari insoddisfatta dei propri assetti contrattuali e disposta a siglare accordi che consentano, da un lato, una maggiore flessibilità nell’utilizzo della manodopera e, dall’altro, retribuzioni maggiori oppure garanzie occupazionali per i lavoratori; iii) nel mancato raggiungimento di tali intese, oltre ai costi di negoziazione con i sindacati, sembra giocare un ruolo non secondario l’incertezza normativa.
5. Criticità presenti nell’assetto della contrattazione collettiva in Italia
23
L’evoluzione recente della contrattazione collettiva e le evidenze disponibili appaiono testimoniare come gli strumenti attualmente a disposizione non siano in grado di rispondere efficacemente alle esigenze delle aziende offrendo al contempo garanzie occupazionali o incrementi retributivi ai lavoratori24F . A dispetto dei numerosi interventi, sia legislativi, sia negoziali, il sistema continua a caratterizzarsi per:
i) l’assenza di regole chiare e adeguate volte a disciplinare la stipula delle intese, specie in punto di misurazione della rappresentatività effettiva delle sigle sindacali, rappresentanza sindacale in azienda ed esigibilità dei contratti;
ii) alcune rigidità, specie per quel che concerne gli ambiti di competenza della contrattazione collettiva aziendale;
iii) modalità non appropriate di incentivazione per le retribuzioni di produttività.
Nel prosieguo del paragrafo, seguendo questa ripartizione, ci si soffermerà sui principali aspetti di criticità, presentando possibili misure correttive che si inquadrano nell’assetto attuale delle relazioni industriali.
5.1. Il sistema delle relazioni industriali
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Il nostro sistema di relazioni industriali si caratterizza per una sostanziale situazione di anomia, vale a dire per l’assenza di regole chiare e adeguate volte a disciplinare la stipula delle intese. Tale assetto ruota tuttora intorno al ruolo di egemonia assunto dalle grandi confederazioni sindacali (in particolare, CGIL, CISL e UIL), in continuità con la storia del sindacalismo in Italia, che ha favorito peculiari processi di integrazione tra l’attività sindacale e quella statuale, a prescindere dall’introduzione di una cornice legislativa (o anche di fonte collettiva) di riferimento25F .
Benché tale modello, sedimentatosi in oltre sessant’anni, permei ormai la cultura italiana delle relazioni industriali, ne sono evidenti le ricadute in termini di incertezza e di rischi legali e di contenzioso per le imprese. Essi sono
23 Cfr. Xxxxxxx (2012); Giugni (2003). Come già segnalato, la limitata diffusione della contrattazione collettiva decentrata può essere almeno in parte spiegata alla luce della struttura imprenditoriale italiana, caratterizzata dal c.d. nanismo dimensionale, ove non v’è né la forza sindacale, né il reale interesse datoriale per impegnare energie in una contrattazione diversa da quella nazionale. Cfr. Xxxxxxxx (2012).
24 Non a caso l’art. 39 della Costituzione non ha mai trovato attuazione, come anche lo stesso Protocollo del 23 luglio 1993, che rinviava a interventi legislativi, anche di livello costituzionale, in materia di contrattazione collettiva e relativa efficacia. Cfr. Xxxxxxx (2008).
stati in qualche modo circoscritti finché è durata la pratica dell’unità sindacale di fatto, e finché i rinnovi contrattuali hanno avuto contenuti sempre “acquisitivi”. Sono, invece, deflagrati negli ultimi anni, in presenza della crisi economica e di divisioni sindacali su temi rilevanti come il ricorso alla contrattazione decentrata per valorizzare dinamiche retributive legate a politiche di efficienza produttiva.
In particolare, risulta largamente indeterminata e, a volte, anche contraddittoria la disciplina di rilevanti profili quali: i) la misurazione della rappresentatività effettiva delle sigle sindacali; ii) la rappresentanza sindacale in azienda; iii) l’esigibilità dei contratti.
Misurazione della rappresentatività effettiva delle sigle sindacali. – Nonostante nel settore privato il tema della misurazione della rappresentatività sindacale, insieme a quello collegato della verifica della rappresentanza e del consenso tra i lavoratori, sia oggetto da decenni di incessante dibattito e molteplici proposte di riforma sul piano negoziale e legislativo, attualmente non è operativo alcun sistema di misurazione della rappresentatività effettiva delle sigle sindacali.
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L’Accordo interconfederale del 2011 aveva definito criteri per la misurazione della rappresentatività delle organizzazioni sindacali ai fini della legittimazione alla contrattazione collettiva nazionale. Si era prevista, in particolare, la certificazione della rappresentatività delle organizzazioni sindacali sulla base della combinazione tra dati associativi (che dovrebbero essere rilevati dall’INPS) e dati del consenso elettorale nelle elezioni delle RSU, da rinnovare ogni tre anni (e raccolti dal CNEL)26F . Tuttavia tali regole non sono state rese concretamente operative.
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Anche la successiva Intesa sulla rappresentanza del 2013, siglata in attuazione dell’Accordo del 2011, non contiene disposizioni di immediata operatività. In particolare, le modalità di raccolta e di certificazione delle informazioni restano lacunose e forse ambigue, dato che il coinvolgimento dell’INPS e del CNEL dovrebbe basarsi su convenzioni tra tali enti e le parti stipulanti l’Intesa, che presuppongono ovviamente l’adesione di tali istituzioni, se non proprio delle modifiche legislative o regolamentari. A questo si aggiunga che l’Intesa ha previsto che, ai fini della misurazione del voto manifestato dai lavoratori, valgano esclusivamente i voti assoluti espressi per ogni organizzazione sindacale aderente alle confederazioni firmatarie27F . Si finisce così con l’escludere dalla rappresentanza del primo livello di contrattazione qualsivoglia organizzazione sindacale non firmataria, a prescindere dal grado di effettivo consenso tra i lavoratori28F .
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Inoltre, l’art. 8 non ripropone espressamente i criteri degli Accordi interconfederali vigenti per individuare le associazioni dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o territoriale, come tali intitolate a sottoscrivere i contratti di prossimità, alimentando – quindi – orientamenti interpretativi divergenti29F .
La definizione di regole univoche per misurare la rappresentatività effettiva delle sigle sindacali consentirebbe di determinare in modo oggettivo la legittimazione a negoziare e a stipulare i contratti collettivi. Le regole fissate dall’Accordo interconfederale del 2011 e dalla successiva Intesa sulla rappresentanza del 2013 mutuano il criterio già applicato nel pubblico impiego basato sulla “pesatura” fondata sulle due gambe equivalenti dei voti e degli iscritti. Tuttavia, esse valgono solo nei confronti dei soggetti firmatari, con le conseguenti incertezze e asimmetrie tra organizzazioni sindacali che ne possono scaturire. Al contrario l’opzione legislativa, già sperimentata nel pubblico
25 Più in dettaglio, la rappresentatività deve essere misurata dal CNEL combinando i dati associativi sulle deleghe sindacali conferite dai lavoratori, rilevati dall’INPS, e quelli sui consensi ottenuti nelle elezioni periodiche delle rappresentanze sindacali unitarie, da rinnovare ogni tre anni, trasmessi dalle organizzazioni sindacali. Per la legittimazione alla contrattazione collettiva nazionale è necessario che il dato di rappresentatività così realizzato per ciascuna organizzazione sindacale superi il 5 per cento del totale dei lavoratori della categoria cui si applica il contratto collettivo nazionale.
26 Ha previsto inoltre che, laddove siano presenti RSA, ovvero non vi sia alcuna forma di rappresentanza, sia rilevato il solo dato degli iscritti (misurato attraverso le deleghe, ovverossia le trattenute sindacali operate dai datori di lavoro e certificate dall’INPS) per ogni singola organizzazione sindacale. Si segnala in proposito come attualmente abbiano diritto a tali trattenute sono le associazioni sindacali firmatarie del CCNL (sostanzialmente CGIL, CISL e UIL): né è stato convenuto nell’Intesa sulla rappresentanza l’obbligo datoriale di effettuare le trattenute sindacali anche in favore delle organizzazioni sindacali non firmatarie. Si manifesta in ciò un ulteriore limite del criterio introdotto per misurare la rappresentatività effettiva delle sigle sindacali.
27 In dottrina (cfr. Carinci (2013)), non manca chi abbia sottolineato come l’Intesa sulla rappresentanza del 2013, anche più dell’Accordo interconfederale del 2011, sia tutto costruito a misura di confederazioni, tanto da andare già largo per organizzazioni sindacali non affiliate a confederazioni: senza contare le organizzazioni solo aziendali, che pure possono avere ai sensi dell’art. 19, lett. b), dello Statuto dei lavoratori, anche dopo il recente pronunciamento della Corte costituzionale (3 luglio 2013: su cui v. infra), diritto a costituire RSA. Tale interpretazione sembra avvalorata dal fatto che la formale “estensione” dell’Intesa ad altre organizzazioni sindacali non è avvenuta per adesione, ma per sottoscrizione, in data 6 giugno 2013 da parte di Confindustria e UGL, e in data 18 giugno 2013 da parte di Confindustria e CISAL, di testi autonomi, in parte diversi da quello del 31 maggio 2013. Il che, però, pone un ulteriore problema, perché in luogo di un’unica Intesa con più parti, alcune originarie e altre intervenute per adesione, ce ne sono ben tre, la cui coesistenza e convivenza andranno valutate nel tempo, essendo potenzialmente foriere di conflitti.
28 Oscillanti tra il richiamo implicito ai criteri del citato Accordo e l’applicazione di quelli elaborati dalla giurisprudenza in relazione alla nozione di “confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale” di cui all’abrogata lett. a), del comma 1, dell’art. 19 della l. 20 maggio 1970, n. 300 (c.d. Statuto dei lavoratori). Cfr., ad esempio, Perulli e Speziale (2011)).
30F
impiego, garantirebbe maggiormente la certezza e la stabilità del sistema grazie alla sua vincolatività generale 29; consentirebbe, inoltre, di superare le incongruenze segnalate in punto di misurazione del consenso e di raccolta dei dati associativi e di quelli elettorali.
Andrebbe, inoltre, effettuato un raccordo con la disciplina dell’art. 8, prevedendo espressamente un’estensione dei criteri di rappresentatività stabiliti per legge anche per individuare i soggetti sindacali legittimati alla stipula dei contratti di prossimità, a livello sia aziendale sia territoriale.
Regole sulla rappresentanza sindacale in azienda. – Fino alla recente (3 luglio 2013) dichiarazione di incostituzionalità, l’art. 19 dello Statuto dei lavoratori prevedeva che potessero costituire RSA solo le associazioni sindacali che avessero sottoscritto il contratto collettivo aziendale applicato nell’unità produttiva. Tale disciplina, l’unica applicabile nelle aziende Fiat, data la fuoriuscita dal sistema confindustriale, con la conseguente contrattazione unica di primo livello, aveva inibito la costituzione di RSA alla FIOM, che non aveva sottoscritto le intese, pur rappresentando una delle maggiori sigle sindacali del comparto. Anche per tale ragione, è stata dichiarata l’incostituzionalità della disposizione in esame31F30, accordando la possibilità di costituire RSA anche nell’ambito di associazioni sindacali che, pur non firmatarie di contratti collettivi applicati nell’unità produttiva, abbiano comunque partecipato alla negoziazione relativa agli stessi contratti quali rappresentanti dei lavoratori dell’azienda. Anche a seguito di ciò, la Fiat ha comunicato alla FIOM che accetterà la nomina dei suoi rappresentanti sindacali aziendali32F31. Tuttavia, il criterio individuato dalla Corte per stabilire la legittimazione o meno di una sigla sindacale a costituire RSA potrebbe non essere sufficiente a superare potenziali conflitti. Infatti, la “partecipazione a un negoziato”, a differenza della firma di un contratto, è una nozione molto sfuggente, come tale passibile di interpretazioni molto diversificate33F32, con il rischio di acuire il contenzioso in materia.
Inoltre, si presta ad alcuni rilievi critici anche la disciplina relativa alla composizione della RSU recata dall’Accordo interconfederale del 20 dicembre 1993 e modificata dall’Intesa sulla rappresentanza del 2013. Nonostante l’opportuno passaggio a un meccanismo di nomina dei componenti esclusivamente proporzionale, l’Intesa del 2013 ha stabilito che, in ragione della struttura attuale della rappresentanza, che vede la presenza di RSU o RSA34F33, il passaggio alle elezioni delle RSU potrà avvenire solo se definito unitariamente dalle federazioni aderenti alle confederazioni firmatarie dell’Intesa sulla rappresentanza. Si rischia così di limitare l’estensione di un meccanismo di democrazia sindacale, avente un ruolo cruciale anche ai fini della misurazione della rappresentatività sindacale.
Tali aspetti di criticità potrebbero essere mitigati ancorando la possibilità di costituire RSA a parametri più democratici e oggettivi, quali la rappresentatività del sindacato in azienda35F34 e ripristinando una piena legittimazione disgiunta alla costituzione di RSU, secondo quanto già convenuto nell’Accordo del 1993, che tuttora attribuisce il potere di promuovere la costituzione di RSU a qualsiasi sindacato raccolga il 5 per cento delle firme dei lavoratori e aderisce alle procedure elettorali di cui all’Accordo stesso36F35. Più in generale, sarebbe opportuno pervenire a un’armonizzazione sul piano legislativo delle due discipline della rappresentanza sul luogo di lavoro, favorendo – come già avviene nel pubblico
29 Inoltre, consentirebbe di definire in maniera più efficace le modalità di rilevazione dei dati associativi ed elettorali (e, quindi, l’eventuale coinvolgimento di enti quali l’INPS e il CNEL).
30 Cfr. C. Cost. 3 luglio 2013, n. 231, che ha dichiarato l’incostituzionalità dell’art. 19, primo comma, lett. b), dello Statuto dei lavoratori per violazione degli artt. 2, 3 e 39, primo e quarto comma, della Costituzione. La questione era già stata in passato rigettata in più occasioni dalla Xxxxx Xxxxxxxxxxxxxx (xxx. X. Xxxx. 00 luglio 1996, n. 000 x xx X. Xxxx., Xxx., 18 ottobre 1996, n. 345). Nella pronunzia in esame la Corte ha, tuttavia, motivato l’accoglimento in relazione ai mutamenti intercorsi nelle relazioni sindacali degli ultimi anni, caratterizzate dalla rottura dell’unità di azione delle organizzazioni maggiormente rappresentative e dalla conclusione di contratti collettivi “separati”: pertanto, la sottoscrizione del contratto collettivo applicato in azienda non può più essere ragionevolmente assunta a criterio misuratore della forza del sindacato e della sua rappresentatività. L’eccezione di incostituzionalità era stata sollevata da Trib. Modena, Ord., 4 giugno 2012: nel frattempo, i giudizi pendenti erano stati sospesi in attesa della pronunzia della Corte Costituzionale.
31 Cfr. il comunicato del 2 settembre 2013. L’azienda ha precisato, peraltro, che la decisione è stata assunta per rispondere alle polemiche relative all’applicazione della decisione della Corte Costituzionale, benché sia più che dubbia l’applicabilità del criterio individuato dalla Corte alla FIOM, non avendo quest’ultima partecipato alle trattative per gli ultimi contratti collettivi che la Fiat ha negoziato e sottoscritto con FIM, UIL, UGL e FISMIC (sul punto v., anche, Xxxxxx (2013)).
32 Cfr. Xxxxxx (2013), secondo cui se si ritiene sussistere la “partecipazione al negoziato” laddove un sindacato abbia presentato una piattaforma rivendicativa, anche se l’impresa non l’abbia tenuta in nessuna considerazione, qualsiasi sindacato potrà vantare di possedere il requisito. In caso contrario, gli effetti pratici della sentenza della Consulta potrebbero essere ridottissimi. Sarà, pertanto, cruciale l’applicazione in concreto dei principi stabiliti dalla Corte Costituzionale da parte dei giudici di merito.
33 Infatti, nonostante l’Accordo interconfederale del 1993 già prevedesse la rinuncia a costituire RSA da parte delle organizzazioni sindacali aderenti alle confederazioni firmatarie o che comunque aderissero alla disciplina in esso contenuta, partecipando alla procedura di elezione delle RSU, di fatto alcune categorie hanno continuato a privilegiare le RSA e, comunque, promosso o solo tollerato la coesistenza di RSA e RSU. Cfr. Xxxxxxxxx (2011); Carinci (2013).
34 Sull’esigenza di una revisione dell’art. 19 dello Statuto dei lavoratori cfr., già, C. Cost. 26 gennaio 1990, n. 30. V., anche, Carinci (2012).
35 Con impegno delle federazioni aderenti alle confederazioni firmatarie dell’Intesa sulla rappresentanza a non derogare nei singoli CCNL a tale previsione, come avvenuto – invece – con il Protocollo del 1993: su questi temi si rinvia a Bellocchi (2011).
impiego – il ricorso alla RSU, che – a prescindere dalla maggiore democraticità del sistema basato sulla legittimazione elettorale – ha il pregio di individuare un interlocutore tendenzialmente unico per il datore di lavoro37F36.
Esigibilità delle intese. – Un altro significativo limite è rappresentato dall’assenza di sufficiente certezza circa l’efficacia
38F
erga omnes (quindi, anche nei confronti di coloro che non le hanno sottoscritte) delle intese stipulate 37.
Nonostante siano stati stabiliti sul piano negoziale criteri in base ai quali i contratti collettivi sia nazionali (Intesa sulla rappresentanza del 2013), sia aziendali (Accordo interconfederale del 2011) sono efficaci per tutto il personale in forza, permangono dubbi circa l’efficacia per i dissenzienti del contratto, dati gli orientamenti non univoci della giurisprudenza39F38. Le clausole di tregua sindacale, finalizzate a garantire in concreto l’esigibilità degli impegni assunti, sono vincolanti solo per le rappresentanze dei lavoratori e per le associazioni sindacali che li abbiano sottoscritti, ma non per le organizzazioni non firmatarie, né per i singoli lavoratori.
Nemmeno i contratti di prossimità forniscono garanzie sufficienti in punto di esigibilità delle intese, dato che l’art. 8 solleva numerosi dubbi di compatibilità costituzionale (in particolare, in relazione agli artt. 3 e 39), con conseguente pericolo di minare la tenuta in concreto delle intese aziendali e territoriali che trovino in tale disposizione il proprio fondamento40F39.
È necessario superare tali aporie al fine di assicurare stabilità agli assetti negoziali pattuiti e di limitare l’incidenza del contenzioso in un settore, quale quello giuslavoristico, che ne è già gravemente interessato, con conseguente pregiudizio per il conseguimento dell’auspicata maggiore flessibilità. Una volta individuati in maniera chiara e omogenea i soggetti sindacali abilitati alla stipula dei contratti, bisogna assicurare l’efficacia erga omnes degli stessi, purché approvati secondo le procedure previste. Anche in questo caso, per le ragioni in precedenza menzionate, sembra preferibile l’opzione legislativa.
In particolare, si dovrebbe prevedere la sottoscrizione valida dei contratti e l’esigibilità generale degli stessi, anche attraverso procedure di raffreddamento e di conciliazione delle controversie, se i sindacati firmatari – abilitati alla stipula secondo i criteri in precedenza individuati – rappresentano più della metà dei lavoratori interessati41F40. Si recepirebbe in tal modo quanto già stabilito con l’Accordo interconfederale del 2011 in relazione alle intese di secondo livello e con l’Intesa sulla rappresentanza del 2013 per quel che concerne i contratti collettivi nazionali. La previsione a livello legislativo dell’esigibilità generale dei CCNL incontrerebbe, tuttavia, un ostacolo nell’art. 39 della Costituzione, che – tra le altre cose – attribuisce solo ai sindacati registrati con personalità giuridica il potere di stipulare i contratti collettivi con efficacia erga omnes42F41. Proprio in considerazione delle criticità sollevate dall’attuale formulazione di tale disposizione di rango costituzionale, che peraltro non è stata mai attuata, se ne è da più parti auspicata una revisione, nel senso di attribuire al legislatore ordinario il compito di regolare le forme di democrazia sindacale nelle quali può pervenirsi alla stipulazione di un contratto collettivo con efficacia erga omnes, al livello nazionale come ai livelli inferiori43F42.
36 Si segnala come, nel corso degli ultimi anni, siano stati presentati numerosi progetti di legge volti a introdurre una disciplina positiva della rappresentanza sui luoghi di lavoro: cfr., ad esempio, i ddl AS 1337, del 27 gennaio 2009 e AS n. 1872, dell’11 novembre 2009. Un intervento legislativo è stato auspicato dalla stessa Corte Costituzionale nella sentenza 3 luglio 2013, n. 231; tale auspicio è stato ripreso anche dalla Fiat nel citato comunicato del 2 settembre 2013. V. anche il ddl AC 1376, del 18 luglio 2013; il ddl AS 986, del 31 luglio 2013 e lo stralcio dello stesso, composto di soli tre articoli (c.d. disegno di legge leggero), quest’ultimo presentato – alla luce delle motivazioni della sentenza della Corte Costituzionale – il 5 agosto 2013.
37 Sul punto è interessante ricordare come già nel Protocollo sugli assetti contrattuali del luglio 1993 (caratterizzato, come è noto, dal fondamentale impulso del Governo dell’epoca) la posizione di regole condivise sulla contrattazione e sulle RSU era accompagnata dall’auspicio per “un intervento legislativo finalizzato, tra l'altro, ad una generalizzazione dell'efficacia soggettiva dei contratti collettivi aziendali che siano espressione della maggioranza dei lavoratori”; mentre il Governo, da parte sua, si era impegnato “ad emanare un apposito provvedimento legislativo inteso a garantire l'efficacia “erga omnes” nei settori produttivi dove essa appaia necessaria al fine di normalizzare le condizioni concorrenziali delle aziende” (previsioni entrambe rimaste senza esito).
38 Infatti, osta a tale vincolatività il principio generale della valenza del contratto per i soli contraenti (inter partes), non semplicemente superabile sulla base di intese negoziali (cfr., tra gli altri, Carinci (2011); Xxxxxxxxx (2011)). La situazione potrebbe essere ulteriormente esacerbata dalla recente sentenza della Corte Costituzionale sull’art. 19 dello Statuto dei lavoratori che ha riconosciuto il diritto a costituire RSA anche nell’ambito di associazioni sindacali che, pur non firmatarie di contratti collettivi applicati nell’unità produttiva, abbiano comunque partecipato alla negoziazione relativa agli stessi contratti quali rappresentanti dei lavoratori dell’azienda. Infatti, secondo l’Intesa sulla rappresentanza, un’organizzazione sindacale firmataria con il 5 per cento della rappresentanza ha titolo per prendere parte alla contrattazione nazionale di categoria: pertanto, dovrebbe essere legittimata a costituire RSA anche laddove non sottoscriva il contratto collettivo e quindi non sia esposta al sistema sanzionatorio ivi previsto. Cfr. Carinci (2013).
39 Con l’art. 3 della Costituzione, per la possibile lesione del principio di uguaglianza con riferimento alla genericità dei criteri che giustificano la stipula delle intese in deroga; con l’art. 39, in relazione tanto all’efficacia erga omnes della contrattazione di prossimità e ai suoi rapporti con il contratto collettivo nazionale, quanto all’ampiezza della competenza funzionale a essa assegnata. Cfr., tra gli altri, Liso (2012); Xxxxxxx e altri (2013).
40 Muovono in tale direzione, ad esempio, le proposte contenute nel disegno di legge AS n. 1872, dell’11 novembre 2009.
41 Secondo gli interpreti, l’art. 39 della Costituzione riguarderebbe solo i CCNL, non le intese di secondo livello. Cfr., tra gli altri, Treu (2012).
42 Cfr., tra gli altri, Xxxxxx (2006). V., inoltre, il ddl AS 2520, dell’11 gennaio 2011.
Con riferimento ai contratti di prossimità, sarebbe auspicabile circoscrivere il loro ricorso a ipotesi specifiche, caratterizzate da profili di eccezionalità, valorizzando invece il ricorso alla contrattazione di secondo livello ordinaria in presenza di condizioni “fisiologiche”. Infatti, le aziende mostrano in prevalenza interesse per le deroghe relative agli aspetti organizzativi e gestionali del rapporto di lavoro (cfr. il precedente paragrafo 4.2), per più versi possibili (anche) con i contratti di secondo livello “classici”. Inoltre, l’art. 8 si espone a rischi di eccessiva frammentazione delle politiche contrattuali che potrebbero scaturire da un sistema di deroghe legato all’ambito aziendale e territoriale, pregiudicando la coerenza complessiva del sistema contrattuale dei vari settori produttivi, con fughe e differenziazioni in materie assai significative, specie per quel che concerne i livelli di tutela, in relazione ai mutevoli rapporti di forza esistenti44F43. Senza contare che esso costituisce un ulteriore elemento di “frattura” nel sistema delle relazioni industriali, considerato che Confindustria e le principali sigle sindacali hanno dichiarato di non volersene avvalere.
Tale uso delle intese di cui all’art. 8 della Manovra di Ferragosto sarebbe rispondente alle indicazioni già fornite dalla Corte Costituzionale che, valutando la legittimità della norma in relazione alla possibile lesione delle prerogative legislative degli enti territoriali, l’ha definita uno strumento di carattere “eccezionale”45F44.
5.2. Gli ambiti di competenza e la flessibilità del sistema contrattuale
L’attuale assetto del sistema delle relazioni industriali si caratterizza per alcune rigidità, specie per quel che concerne gli ambiti di competenza della contrattazione collettiva di secondo livello, che non consentono di sfruttare appieno i margini attualmente esistenti per il raggiungimento di intese che garantiscano un migliore impiego della manodopera e la sua maggiore valorizzazione, attraverso incrementi retributivi o garanzie sui livelli occupazionali. Miglioramenti potrebbero discendere da: i) l’attenuazione di alcune rigidità presenti nella disciplina attuale degli aspetti gestionali del rapporto di lavoro; ii) una chiara delega al secondo livello di contrattazione dei profili relativi all’organizzazione del lavoro; iii) un rafforzamento del circuito dell’informazione aziendale; iv) una razionalizzazione del numero dei CCNL.
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La disciplina degli aspetti gestionali del rapporto di lavoro. – Benché il nostro ordinamento abbia rimesso per più versi la disciplina di rilevanti profili relativi all’organizzazione dei rapporti di lavoro alla contrattazione collettiva (ad esempio, per quel che concerne la flessibilità oraria)46F , alcuni aspetti che possono incidere sul tema della produttività del lavoro sono attualmente regolati in maniera prevalente o esclusiva dalla legge: è questo, ad esempio, il caso dell’area dell’equivalenza delle mansioni e dell’integrazione delle competenze (c.d. ius variandi: art. 2103 c.c.).
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Limiti legislativi allo ius variandi del datore di lavoro sono giustificati dal minor potere contrattuale del lavoratore, che potrebbe essere indotto ad accettare accordi svantaggiosi. Tuttavia la continua riorganizzazione dei processi produttivi, resa possibile dall’innovazione tecnologica e dalle sempre maggiori possibilità di outsourcing (Xxxxxxxx e Autor, 2010), implica una variabilità delle mansioni molto più elevata rispetto a quella prevalente in passato. Pertanto i vincoli legislativi, nella loro rigidità, rischiano di pregiudicare le esigenze imprenditoriali di razionale ed efficiente gestione delle risorse, risolvendosi anche a detrimento dello stesso lavoratore, laddove l’alternativa sia la perdita del posto di lavoro. La legge già prevede specifiche deroghe alla normativa generale, in caso – ad esempio – di procedure di mobilità, nell’ambito delle quali è consentita l’assegnazione a mansioni inferiori, a condizione che siano raggiunti accordi sindacali che prevedano il riassorbimento totale o parziale dei lavoratori ritenuti eccedenti47F .
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Al fine di contemperare meglio le esigenze di maggiore flessibilità gestionale con quelle di tutela del lavoratore, riducendo i rischi di contenzioso, si potrebbe affidare alla contrattazione collettiva una piena autonomia negoziale rispetto alle tematiche relative all’equivalenza delle mansioni e all’integrazione delle competenze, prevedendosi la derogabilità delle relative disposizioni di legge in presenza delle condizioni e dei limiti stabiliti dalla contrattazione collettiva nazionale, in relazione, ad esempio, a garanzie sui livelli occupazionali in presenza di situazioni di crisi o all’erogazione di premi48F .
43 Cfr. Xxxxxxxxx (2011), che paventa rischi di “localismo sindacale”.
44 Cfr. C. Cost. 4 ottobre 2012, n. 221, che ha sì rigettato l’impugnazione con cui la Regione Toscana aveva messo nel mirino proprio i contratti di prossimità in quanto lesivi delle prerogative legislative degli enti territoriali, ma li ha definiti nel contempo, uno strumento di carattere “eccezionale”.
45 Cfr. il d.lgs. 8 aprile 2003, n. 66.
46 Cfr. art. 4, comma 11, della l. 23 luglio 1991, n. 223. Ulteriori eccezioni sono state, poi, individuate da alcuni orientamenti giurisprudenziali (cfr. già Cass., SS. UU., 7 agosto 1998, n. 7755), che hanno ritenuto legittima la deroga negoziale alla disciplina generale in materia di equivalenza delle mansioni qualora ciò rappresenti l’unico mezzo per evitare un licenziamento per motivo oggettivo, prevalendo – in tal caso – l’interesse a mantenere il posto di lavoro, e sia disposto con il consenso del dipendente.
47 Tale attenuazione assottiglierebbe, tra l’altro, le differenze funzionali e operative tra gli accordi di secondo livello “classici” e i contratti di prossimità, nell’area della flessibilità mansionistica, ritenuta di rilevanza cruciale per la contrattazione decentrata, riducendo la necessità e – quindi – gli incentivi a ricorrere all’art. 8 della Manovra di Ferragosto: strumento che, come si è visto, presenta rilevanti profili di criticità sia sul piano legale,
La delega al secondo livello di contrattazione dei profili relativi all’organizzazione del lavoro. – Negli ambiti nei quali la regolazione degli aspetti organizzativi e gestionali del rapporto di lavoro è demandata alla contrattazione collettiva, è auspicabile che le parti sociali diano seguito agli impegni assunti con l’Accordo interconfederale del 2011, ulteriormente specificati dall’Intesa sulla produttività del novembre 2012, per valorizzare ruolo e competenze della contrattazione collettiva di secondo livello. In primo luogo, in ossequio a quanto stabilito con l’Accordo del 2011, i vari CCNL dovrebbero effettivamente definire i limiti e le procedure in base alle quali i contratti aziendali possono derogare alle disposizioni previste dagli stessi contratti collettivi nazionali. Inoltre, dovrebbe essere stabilita una chiara delega al secondo livello di contrattazione da parte dei CCNL della disciplina di istituti quali la prestazione lavorativa, gli orari e l’organizzazione del lavoro, con la finalità di conseguire miglioramenti gestionali e di stimolare la produttività.
Il circuito dell’informazione aziendale. L’ampliamento delle competenze demandate alla contrattazione di secondo livello e la valorizzazione di dinamiche retributive legate a politiche di efficienza produttiva dovrebbero essere bilanciati dall’introduzione di procedure di verifica degli esiti delle decisioni concordate. Ciò dovrebbe avvenire attraverso un’estensione dell’ambito di applicazione e un rafforzamento dei diritti di informazione e consultazione dei lavoratori al fine di garantire una maggiore trasparenza e di monitorare l’andamento aziendale49F48. In tal modo, il ricorso alle deroghe alla disciplina dettata dal CCNL e, laddove previste, alla legge per esigenze di produttività aziendale troverebbe un contemperamento, a tutela dei lavoratori, nella possibilità di monitorare il rispetto degli impegni assunti da parte datoriale.
Muovono già in tal senso recenti iniziative portate avanti, su base volontaria, da alcune aziende: è questo il caso del protocollo per la competitività siglato da Finmeccanica o all’accordo aziendale stipulato da KME. Potrebbe, tuttavia, giovare una definizione di tali presidi a livello legislativo nei loro aspetti fondamentali, rimettendone la concreta specificazione ai singoli contratti collettivi aziendali, al fine di conferire una maggiore certezza agli assetti pattuiti e di conseguire un più vasto consenso dei soggetti coinvolti.
La razionalizzazione del numero dei contratti collettivi nazionali di categoria. – Si segnala, infine, come nel nostro Paese proliferi in modo estremo il numero dei contratti collettivi nazionali di categoria (che sono ben 416)50F49, determinando un’articolazione estremamente complessa del sistema e sovraccaricandolo in modo eccessivo. Sarebbe auspicabile una semplificazione e riduzione del loro numero (c.d. accorpamenti contrattuali), che avrebbe anche il pregio di rendere più flessibile l’attuale sistema, permettendo di concentrare energie e attenzione solo su alcuni istituti e materie, affidando alla contrattazione collettiva di secondo livello tutto ciò che residua.
5.3. Gli incentivi alle retribuzioni di produttività
Le richiamate criticità presenti sul piano normativo possono aver ridotto l’efficacia degli incentivi alle retribuzioni di produttività (cfr. paragrafo 3.2), limitando – o rendendo meno agevole – la possibilità di ottenere innovazioni di processo utilizzando la leva salariale.
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Da un punto di vista fiscale, tali incentivi riducono, l’equità orizzontale dell’imposta personale sui redditi, che richiede che individui che hanno un reddito “pre imposta” simile, continuino ad avere un reddito simile anche dopo aver versato le imposte (Xxxxxxxx, 1990). Gli sgravi possono, altresì, favorire l’insorgere di comportamenti elusivi. Se ne sono riscontrati usi distorti, indirizzati prevalentemente a minimizzare il carico fiscale attraverso c.d. “accordi cosmetici”, con scarse ricadute sulla produttività. Più in dettaglio, in molti casi sono stati siglati accordi decentrati con il solo fine di dichiarare l’esistenza di ricadute positive in termini di efficienza, e quindi la detassabilità, di alcune voci retributive variabili già previste dalla contrattazione nazionale51F . Pertanto, la detassazione spesso non ha determinato un cambiamento organizzativo o una maggiore variabilità della retribuzione, ma ha esclusivamente ridotto il cuneo fiscale su componenti variabili già esistenti e predefinite al livello centrale.
sia in relazione ai rischi di eccessiva frammentazione delle politiche contrattuali, scaturenti dal ricorso alle deroghe, in assenza di una cornice legislativa unitaria che fissi dei parametri minimi di riferimento universali.
48 Attualmente disciplinati, per le imprese con più di 50 dipendenti, dal d.lgs. 6 febbraio 2007, n. 25, Attuazione della direttiva 2002/14/CE che istituisce un quadro generale relativo all’informazione e alla consultazione dei lavoratori (cfr. Del Punta (2012)). Il presente studio non entra nel merito dell’opportunità dell’introduzione di forme di codeterminazione: infatti, nonostante le numerose sollecitazioni provenienti dall’Europa (cfr., ad esempio, European Commission (2008)), mancano risultati univoci e conclusivi in letteratura circa gli effetti della codeterminazione sulla produttività e il valore delle imprese (per una rassegna, cfr. Addison e Xxxxxxxx (2011)).
49 Cfr. CNEL, xxxx://xxx.xxxx.xx/000?xxxxxxxxxxxxxx_xxxxxx00, recante l’Archivio nazionale dei contratti collettivi di lavoro, che raccoglie gli atti di contrattazione collettiva a livello nazionale nei settori privato e pubblico, gli Accordi fra Governo e Parti Sociali, gli Accordi interconfederali e i Contratti Collettivi Nazionali.
50 Xxxxx e Xxxxxxxxxx (2011) mostrano l’estrema omogeneità di diversi contratti collettivi aziendali sottoscritti nel 2011 (quelli resi pubblici) siglati con il solo scopo di dichiarare l’esistenza di un nesso tra alcune componenti accessorie della retribuzione già contrattate al livello centrale e una maggiore produttività.
Pur con questi limiti, gli sgravi alla retribuzione di produttività possono aumentare il consenso delle parti sociali verso il superamento dei richiamati ostacoli di natura normativa che limitano il ruolo della contrattazione decentrata.
Affinché la loro portata incentivante (rinnovati dal d.P.C.M. 22 gennaio 2013) sia massimizzata, è necessario definire un contesto di regole certe sulla base delle quali essi possano essere accordati alle aziende e, specularmente, limitare i rischi di possibili abusi. Finora, vi sono state frequenti variazioni della platea dei beneficiari e della tipologia di redditi soggetti a detassazione, che – in alcuni anni – hanno ricompreso anche i redditi da straordinari e turni. Inoltre, mentre lo sgravio contributivo è stato – almeno in una certa misura – reso strutturale con la riforma Fornero, il d.P.C.M. 22 gennaio 2013 ha rinnovato i benefici fiscali limitatamente ai prossimi due anni, non incentivando quindi le aziende all’adozione di piani gestionali su orizzonti temporali più lunghi.
Quanto al contrasto dell’elusione, la proroga della detassazione introdotta dal d.P.C.M del 22 gennaio 2013, ha condizionato la possibilità di fruire degli sgravi all’esistenza di un nesso quantitativo tra retribuzione e indicatori di produttività, oppure in presenza di alcune fattispecie definite di riforma organizzativa. La concreta efficacia di queste disposizioni dipenderà dall’interpretazione che sarà accordata a tale condizionalità. Appare velleitario, da parte del legislatore, l’intento di poter elencare tutte le fattispecie nelle quali vi sia una ricaduta positiva della contrattazione decentrata sulla produttività e di poterne poi verificare la concreta sussistenza al livello locale.
In linea teorica, la netta distinzione tra i due livelli di contrattazione e l’attribuzione di benefici fiscali alla quota di retribuzione effettivamente negoziata al livello locale sono condizioni necessarie per l’efficacia del provvedimento. La possibilità di definire a livello nazionale una quota della retribuzione che potrà essere destinata alla contrattazione di secondo livello, prevista dall’Intesa sulla produttività siglata nel novembre 2012, limita surrettiziamente l’ambito di autonomia della contrattazione decentrata e può facilmente prestarsi a un utilizzo elusivo, in quanto amplia i margini di collusione, al livello centrale, tra datori di lavoro e lavoratori al fine di trasferire parte della retribuzione dal primo al secondo livello usufruendo degli sgravi. Qualora sgravi fiscali non siano di un importo sufficientemente elevato tale da ritenuti tali da giustificare un ricorso alla contrattazione decentrata, sarebbe auspicabile un loro potenziamento (attraverso riduzioni ulteriori delle aliquote), piuttosto che l’avvallo di tentativi di mascherare parte della retribuzione contrattata al livello nazionale come salario di produttività.
Infine, sarebbe utile prevedere elementi di controllo ai fini della valutazione della politica in esame. A tali fini, è necessario che il monitoraggio delle misure di detassazione, pure previsto dal recente d.P.C.M. 22 gennaio 2013, sia effettivo e si basi sui contenuti degli accordi di secondo livello che ne hanno beneficiato. Si segnala in proposito come, benché il d.P.C.M. 22 gennaio 2013 preveda che, per monitorare lo sviluppo delle misure di detassazione, i datori di lavoro debbano depositare i contratti di secondo livello presso la Direzione territoriale del lavoro territorialmente competente entro trenta giorni dalla loro sottoscrizione, allo stato non sia prevista alcuna sanzione in caso di mancato deposito. Inoltre, già in altre circostanze è stato previsto il monitoraggio delle misure di detassazione (cfr. art. 2, comma 5, del d.l. 27 maggio 2008, n. 93, convertito nella l. 24 luglio 2008, n. 126): tuttavia, esso non è mai stato realizzato nella pratica. Sarebbe auspicabile, invece, la previsione di una procedura ad hoc di autocertificazione a cura dell’impresa, che sarebbe tenuta a trasmettere dati standardizzati online per poter usufruire delle agevolazioni. Questa fonte informativa potrebbe essere utilizzata in futuro per valutare l’efficacia degli incentivi e per individuare e diffondere le best practices52F51.
6. Conclusioni
Le evidenze disponibili suggeriscono che sia le intese stipulate sulla base dell’art. 8 della Manovra di Ferragosto, sia i contratti di secondo livello “classici”, siglati secondo gli Accordi interconfederali vigenti, non siano in grado di rispondere efficacemente alle esigenze delle aziende, né di garantire un equilibrio soddisfacente all’interno delle relazioni industriali.
Mentre il ricorso all’art. 8 rischia di esacerbare il contenzioso e di esporre le politiche contrattuali a un’eccessiva frammentazione, i contratti di secondo livello “classici” potrebbero rappresentare – con adeguati correttivi – uno strumento in grado di favorire maggiormente la tenuta del sistema, consentendo le deroghe relative agli aspetti organizzativi e gestionali del rapporto di lavoro, per le quali le aziende mostrano in prevalenza interesse.
51 Si consideri che, per quel che concerne la contrattazione di secondo livello, allo stato sono presenti solo basi informative campionarie. Un archivio meramente campionario è tenuto dal CNEL nell’ambito dell’Archivio sulla contrattazione collettiva a livello nazionale. Si segnala, inoltre, l’iniziativa assunta dalla CISL, che ha realizzato un osservatorio costituito da una banca dati sugli accordi territoriali – OCSEL, come strumento di verifica e di orientamento della concertazione locale al fine di renderla più efficace. L’osservatorio si propone di raccogliere e analizzare tutti gli accordi territoriali regionali/provinciali/sub provinciali realizzati a partire dal 2009 rispetto ai seguenti settori: i) politiche socio-familiari; ii) politiche territoriali; iii) mercato del lavoro; iv) politiche sanitarie e socio-sanitarie; v) politiche fiscali e tariffarie. Al 22 ottobre 2012 ne contava 2360. Cfr. l’indirizzo xxxx://xxx.xxxx.xx/xxxxxxxxxxxx-xxxxx-xxxxxxxxxxxxxx-xx-xxxxxxx-xxxxxxx/.
Sarebbe quindi auspicabile circoscrivere l’utilizzo dell’art. 8 a ipotesi specifiche, caratterizzate da profili di eccezionalità, valorizzando il ricorso alla contrattazione di secondo livello ordinaria. A tale ultimo scopo, andrebbe – in primo luogo – superata la situazione di incertezza regolatoria che caratterizza il nostro sistema delle relazioni industriali. In particolare, attraverso l’introduzione di una disciplina legislativa “cornice”, bisognerebbe i) definire criteri univoci per la misurazione della rappresentatività effettiva delle organizzazioni sindacali, sulla base delle quali determinare la legittimazione a negoziare e a stipulare i contratti, dando in parte seguito a quanto già stabilito con l’Accordo interconfederale del 2011 e con l’Intesa sulla rappresentanza del 2013; ii) pervenire a un modello unico di rappresentanza sul luogo di lavoro, che consenta a tutte le organizzazioni sindacali effettivamente rappresentative di non essere escluse dal godimento dei diritti sindacali e al datore di lavoro di poter contare su interlocutori certi e realmente rappresentativi;
iii) introdurre meccanismi che assicurino effettivamente l’esigibilità generale delle intese, se i sindacati firmatari rappresentano più della metà dei lavoratori interessati.
Andrebbero poi ampliati gli ambiti di competenza della contrattazione collettiva relativamente agli aspetti organizzativi e gestionali, garantendo una maggiore flessibilità del sistema contrattuale, anche attraverso una riduzione del numero dei CCNL. Tale ampliamento di competenze andrebbe bilanciato con un miglioramento del circuito dell’informazione aziendale, attraverso l’introduzione di procedure di verifica dell’applicazione e degli esiti di piani o decisioni concordate a livello aziendale.
Inoltre, è importante garantire modalità appropriate di incentivazione delle retribuzioni di produttività, attraverso la definizione in maniera certa e su un orizzonte temporale di medio termine dell’entità dei benefici e delle condizioni in base alle quali fruirne e l’effettivo monitoraggio delle innovazioni contrattuali meritevoli di beneficiare degli sgravi fiscali e contributivi.
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