CAPITOLO 5
CAPITOLO 5
EFFETTI DELL’ESPANSIONE CREDITIZIA BANCARIA SUL SISTEMA ECONOMICO
Nel capitolo precedente abbiamo spiegato come il contratto bancario di deposito di moneta con riserva frazionaria dia luogo alla creazione di nuova moneta (depositi) e alla sua iniezione nel sistema economico sotto forma di concessioni di nuovi crediti che non si trovano coperti da un aumento naturale di risparmio volontario. In questo capitolo studieremo gli effetti che sul sistema economico ha la concessione da parte della banca di nuovi crediti (espansione creditizia) senza copertura di risparmio volontario. Analizzeremo le distorsioni che il processo espansivo genera, sotto forma di errori di investimento, contrazioni creditizie, crisi bancarie, e, in ultima istanza, disoccupazione e recessioni economiche. L’analisi di questi effetti esige di portare a termine, in modo preventivo, uno studio dettagliato della teoria del capitale e della struttura produttiva in un’economia reale, la cui corretta comprensione è imprescindibile per comprendere i processi spontanei che si scatenano sul mercato come reazione alla concessione bancaria di crediti che non originino da un aumento precedente di risparmio volontario. La nostra analisi metterà ugualmente in evidenza come la figura giuridica che stiamo studiando (il contratto di deposito bancario di moneta con riserva frazionaria) causi gravi pregiudizi a un grande numero di agenti economici (e, in generale, a tutta la società), nella misura in cui è la principale responsabile dell’apparizione ricorrente delle recessioni economiche. Inoltre, mostreremo come l’espansione creditizia, provocando le crisi bancarie ed economiche, renda inapplicabile per la banca «la legge dei grandi numeri» e, pertanto, l’assicurazione tecnica delle sue operazioni, la qualcosa ha una grande importanza nello spiegare l’inevitabile nascita della banca centrale come prestatore di ultima istanza, la cui analisi dettagliata sarà oggetto di studio in un capitolo seguente. Cominceremo spiegando i processi che sorgono spontaneamente nel sistema economico quando la nuova concessone di crediti ha la propria origine in un incremento volontario di risparmio reale della società, per poi, per contrasto e paragone, comprendere che cosa succeda quando i crediti sono creati dal nulla dalla banca attraverso un processo di espansione creditizia.
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PRINCIPI ESSENZIALI DELLE TEORIA DEL CAPITALE
Nel presente paragrafo stabiliremo i principi essenziali della teoria del capitale che sono necessari per comprendere gli effetti che l’espansione creditizia ha sul sistema economico1. Cominceremo studiando la concezione soggettivista dell’azione umana intesa come un insieme di stadi produttivi diretti al conseguimento di un fine.
L’azione umana come insieme di fasi soggettive
In principio, si può definire l’azione umana2 come ogni comportamento o condotta deliberati. L’uomo, agendo, pretende di conseguire determinati fini che avrà scoperto essere importanti per lui. Si definisce valore l’apprezzamento soggettivo, psichicamente più o meno intenso, che l’attore dà al suo fine. Mezzo è tutto ciò che l’attore soggettivamente considera adeguato per conseguire un fine. Chiamiamo utilità l’apprezzamento soggettivo che l’attore dà al mezzo in funzione del valore del fine che egli pensa che quel mezzo gli permetterà di ottenere. I mezzi, per definizione, devono essere scarsi, posto che se non fossero considerati scarsi dall’attore rispetto ai fini che pretende di conseguire, non sarebbero neppure tenuti in considerazione al momento di agire. Fini e mezzi non sono «dati», ma, al contrario, sono il risultato dell’essenziale attività imprenditoriale dell’essere umano, che consiste precisamente nel creare, scoprire, o, semplicemente, rendersi conto di quali siano i fini e i mezzi rilevanti per l’attore in ogni circostanza della sua vita. Una volta che l’attore crede di aver scoperto quali siano i fini che vale la pena perseguire, si fa un’idea dei mezzi che crede si trovino alla sua portata per ottenerli, e incorpora gli uni e gli altri, quasi sempre in forma tacita, in un piano di attuazione, che decide di intraprendere e mettere in pratica come risultato di un atto di volontà.
Il piano è, pertanto, la rappresentazione mentale di carattere prospettico che l’attore si fa sulle distinte fasi, elementi e possibili circostanze che possano essere messe in relazione con la sua azione. Il piano è una disposizione personale dell’informazione pratica che possiede e va scoprendo l’attore entro il contesto di ogni azione. Inoltre, si può affermare che ogni azione implica, man mano che si va generando nuova informazione da parte dell’attore, un processo continuo di pianificazione individuale o personale nel quale l’attore sta continuamente concependo,
1 La teoria del capitale che esporremo è la chiave per comprendere in che maniera l’espansione creditizia della banca distorca la struttura produttiva reale dell’economia. Di fatto, i critici della teoria austriaca o del credito circolante del ciclo economico che presentiamo in questo capitolo generalmente sbagliano, perché non tengono conto della teoria del capitale. Questo è il caso, per esempio, di Xxxx-Xxxxxxx Xxxxxxxxx e delle sue due opere: «Money, Equilibrium, and the Business Cycle: Xxxxx’x Wicksellian Dichotomy », History of Political Economy, vol. 28, n.º 1, primavera del 1996, pp. 27-55, e «Xxxxx’x Double Failure in Business Cycle Theory: A Note», cap. 4 di Money and Business Cycles: The Economics of F.A. Xxxxx, X. Xxxxxxx e X. Xxxxxxxx (eds.), Xxxxxx Xxxxx, Xxxxxxxxx 0000, vol. I, pp. 74-81.
2 Sui concetti di azione umana, piano di attuazione, la concezione soggettiva del tempo, e l’azione intesa come un insieme di stadi successivi, si può consultare Xxxxx Xxxxxx xx Xxxx, Socialismo, cálculo económico y función empresarial, op. cit., pp. 43 e ss.
revisionando e modificando i suoi piani via via che scopre e crea nuova informazione soggettiva in merito ai fini che si propone e ai mezzi che crede si trovino alla sua portata per conseguirli3.
Ogni azione umana viene diretta verso l’ottenimento di un fine, o bene di consumo, che possiamo definire come quello che soggettivamente soddisfa in maniera diretta le necessità dell’essere umano attore. Tradizionalmente vengono definiti beni economici di prim’ordine quei beni di consumo che costituiscono, nel contesto soggettivo e specifico di ogni azione, il fine che l’attore cerca di ottenere con l’azione stessa4. Per conseguire questi fini, beni di consumo o beni economici di prim‘ordine, è necessario essere passati preventivamente da una serie di stadi intermedi, che possiamo chiamare
«beni economici di ordine superiore» (secondo, terzo, quarto e così via), essendo l’ordine di ogni stadio più elevato, quanto più lontana si trova la stessa dal bene finale di consumo.
Inoltre, l’azione umana si sviluppa sempre nel tempo, ma un tempo non inteso in un senso determinista o newtoniano, cioè meramente fisico o analogico, ma secondo una concezione soggettiva, ossia, tale e quale il tempo è soggettivamente sentito e sperimentato dall’attore entro il contesto della propria azione. Secondo questa concezione soggettivista del tempo, l’attore sente e sperimenta il suo trascorso esattamente man mano che agisce, cioè, man mano che si rende conto di nuovi fini e mezzi, progettando piani di attuazione e culminando le distinte fasi che costituiscono ogni azione.
Nella mente di tutti gli esseri umani si produce, quando agiscono, una specie di fusione tra le esperienze del passato raccolte nella propria memoria e la sua proiezione simultanea e creativa verso il futuro sotto forma di immagini e aspettative che si riferiscono alle distinte fasi che costituiscono il processo d’azione che si svilupperà in futuro. Un futuro che non si trova mai determinato a priori, ma si va immaginando, creando e facendo passo dopo passo dall’attore.
3 Lo sviluppo di una Scienza Economica sempre basata sull’essere umano inteso come attore creativo e protagonista di tutti i processi ed eventi sociali (concezione soggettivista) è, senza dubbio alcuno, l’apporto più importante e caratteristica della Scuola Austriaca di Economia, che ebbe la sua origine con Xxxx Xxxxxx. In effetti, Xxxxxx considerò imprescindibile abbandonare lo sterile oggettivismo della scuola classica anglosassone ossessionata dalla supposta esistenza de enti esterni di carattere oggettivo (classi sociali, aggregati, fattori materiali di produzione, etc.), dovendo invece l’elemento scientifico dell’economia situarsi, al contrario, sempre nella
prospettiva soggettivista dell’essere umano che attua, in modo che detta prospettiva influisca inevitabilmente e in maniera determinante, sul modo di elaborare tutte le teorie economiche, sul loro contenuto scientifico e sulle sue conclusioni e risultati pratici. Si veda in tal senso Xxxxx Xxxxxx xx Xxxx, «Génesis, esencia y evolución de la Escuela Austriaca de Economía», in Estudios de economía política, op. cit., cap. I, pp. 17-55.
4 Questa classificazione e questa terminologia hanno la loro origine in Xxxx Xxxxxx, la cui «teoria sui beni economici di distinto
ordine» non è che una delle più importanti conseguenze logiche della sua concezione soggettivista dell’economia. Xxxx Xxxxxx, Grundsätze der Volkswirthschaftslehre, ed. Xxxxxxx Xxxxxxxxxx, Xxxxxx 0000. Esiste una traduzione in spagnolo di Xxxxxxxx Xxxxxxxxxx, pubblicata da Unión Editorial (1983) con il titolo di Principios de economía política; 2.ª ed., con un’importante Presentazione di Xxxx Xxxxxxx, Unión Editorial, Madrid 1998. Si vedano specialmente le pp. 108-11 di questa 2.ª edizione. Esiste, inoltre, una traduzione in italiano di Xxxxxxxxx Xxxxxx, UTET (1976) con il titolo di Principi di economia politica. L’espressione che utilizza Xxxxxx per riferirsi ai beni di consumo o di primo ordine è quella di «Güter der ersten Ordnung» (p. 8 dell’edizione originale tedesca).
Perciò, il futuro è sempre incerto, nel senso che ancora non è stato scritto, e l’attore ha di esso solo certe idee, immagini o aspettative che spera di far diventare realtà mediante la culminazione delle fasi che ha immaginato costituiscano il suo processo personale di azione. Inoltre, il futuro è aperto a tutte le possibilità creative dell’uomo, e l’attore può continuamente modificare tanto i fini che persegue, quanto variare, riordinare e revisionare le fasi dei processi d’azione nei quali si vede implicato.
Il tempo è, pertanto, una categoria della Scienza Economica inseparabile dal concetto di azione umana. Non è possibile concepire un’azione che non si effettui nel tempo, che non duri nel tempo. Nello stesso modo, l’attore sente esattamente il trascorrere del tempo man mano che attua e culmina le distinte fasi del suo processo d’azione. L’azione umana, che pretende sempre di conseguire od ottenere un obiettivo o eliminare un malessere, ineludibilmente, dura nel tempo, nel senso che esige la realizzazione e la culminazione di una serie di fasi successive. Pertanto, si può concludere che ciò che separa l’attore dal conseguimento dei propri fini è un periodo di tempo inteso come la serie successiva di fasi che costituiscono il suo processo d’azione5.
Dal punto di vista prospettico e soggettivo dell’attore, si può affermare che esiste sempre una tendenza al fatto che all’aumentare del periodo di tempo che comporta un’azione (cioè il numero e le fasi successive che la costituiscono), il risultato dell’azione o del fine a cui si protende con la stessa acquisisce un maggior valore. Questo maggior valore soggettivo delle azioni, man mano che le stesse incorporano una serie sempre più numerosa e complessa6 di fasi che implicano un periodo di tempo più prolungato, si può conseguire in due modi: o rendendo possibile che l’attore ottenga risultati che per lui hanno un valore soggettivamente più alto e che non potranno essere perseguiti con azioni umane di durata più breve; o permettendo di ottenere una quantità di risultati più numerosa di quella che potrebbe ottenere con processi d’azione temporalmente più brevi. La dimostrazione logica di questa legge economica, secondo la quale i processi d’azione umana tendono a ottenere fini di maggior valore man mano che la loro durata temporale aumenta, è facile da comprendere. In effetti, se non fosse così, cioè se non avessero maggior valore i risultati delle azioni che durano più tempo, queste non verrebbero intraprese in forma alcuna dall’attore. Xxxx, quello che separa l’attore dal fine che pretende di ottenere è esattamente una determinata durata di
5 Sulla concezione soggettiva, sperimentale e dinamica del tempo, come unica applicabile all’azione umana nella Scienza Economica, si deve consultare il cap. IV dell’opera di Xxxxxx X. X’Xxxxxxxx e Xxxxx X. Xxxxx, The Economics of Time and Ignorance, Xxxxx Xxxxxxxxx, Oxford 1985, pp. 52-70. Esiste una traduzione italiana di Xxxx Xxxxx dal titolo L’economia del tempo e dell’ignoranza, Rubbettino, Soveria Mannelli (Cz), 2002, pp. 133-159.
6 Come bene ha stabilito Xxxxxx X. Xxxxxxxx, lo sviluppo economico implica non solo un incremento del numero di stadi
produttivi, ma anche un aumento nella complessità di ognuna di essi, pertanto, un cambiamento nella loro composizione. Xxxxxx X. Xxxxxxxx, Capital and its Structure, Xxxxx, Xxxxxxx & XxXxxx, Kansas City 1978, p. 83. Si veda, inoltre, Xxxxx Xxxxx, «Capital in Disequilibrium: A Reexamination of the Capital Theory of Xxxxxx X. Xxxxxxxx», History of Political Economy, vol. 29, nº 3, autunno del 1997, pp. 523-548; e Xxxxx X. Xxxxxxxx, Time and Money: The Macroeconomics of Capital Structure, Routledge, Londra e New York 2001, pp. 25-26.
tempo (inteso come l’insieme di xxxx nel suo processo d’azione), per cui è evidente che l’essere umano, a parità di circostanze, pretenderà sempre di ottenere i suoi fini quanto prima, e sarà disposto a posporre nel tempo il conseguimento degli stessi, soltanto se considera soggettivamente che con ciò riuscirà a conseguire fini di maggior valore7.
Quasi senza rendercene conto, ci siamo addentrati nel paragrafo antecedente alla categoria logica della preferenza temporale, che stabilisce che, ceteris paribus, l’attore preferisce soddisfare le sue necessità o raggiungere i suoi obiettivi quanto prima. O, espresso in altro modo, che tra due obiettivi di identico valore dal punto di vista soggettivo dell’attore, questi preferirà sempre quell’obiettivo che si trovi più prossimamente disponibile nel tempo. O, ancor più brevemente, che, a parità di circostanze, i «beni presenti» si preferiscono sempre ai «beni futuri». Questa legge della preferenza temporale non è che un altro modo di esprimere il principio essenziale secondo il quale ogni attore, nel processo riguardante la sua azione, cerca di perseguire i fini della stessa quanto prima, separando dai suoi fini una serie di fasi intermedie che implicano un periodo determinato di tempo. La preferenza temporale non è, pertanto, una categoria psicologica o fisiologica, ma un’esigenza della struttura logica dell’azione che si trova inserita nella mente di ogni essere umano. Cioè, l’azione umana è orientata a determinati obiettivi e seleziona i mezzi per ottenerli. L’obiettivo è quello che si cerca di ottenere o la meta di ogni azione. E nell’azione ciò che ci separa dalla meta è il tempo, di modo che quanto più vicino a questa meta temporalmente si trova l’attore, più vicini saranno da raggiungere gli obiettivi che per lui hanno valore. La legge tendenziale espressa sopra, seguendo la quale si intraprendono azioni più durature da parte degli attori, poiché attraverso esse stesse gli attori sperano di conseguire obiettivi di maggior valore, e la legge di preferenza temporale che abbiamo appena enunciato, secondo la quale, a parità di circostanze, si preferiscono sempre i beni più prossimi nel tempo, non sono che due modi distinti di esprimere una medesima realtà8.
Pertanto, non è possibile concepire azione umana senza considerare il principio della preferenza temporale. Un mondo senza preferenza temporale sarebbe assurdo e inconcepibile: implicherebbe la
7 Come bene espresso da Xxxx Xxxxxxxxx: «Quanti più mezzi ausiliari si introducono nel processo di produzione, più lungo si fa questo e, in generale, si ritiene che risulti più produttivo. È chiaro che possono esistere processi più indiretti, ossia, più lunghi o con maggior circolazione, che non siano più produttivi, ma questi non si prendono in considerazione, perché non vengono applicati, e l’introduzione di un processo di maggior durata si effettua solo quando eleva il rendimento». Xxxx Xxxxxxxxx Chornet, Lecciones de teoría económica, Editorial Xxxxxxx, Madrid 1972, p. 385.
8 La legge della preferenza temporale può essere fatta risalire fino a Xxx Xxxxxxx x’Xxxxxx, e già fu espressamente enunciata nel
1285 da uno dei suoi più brillanti discepoli, Xxxxx Xxxxxxxx, per il quale «res futurae per tempora non sunt tantae existimationis, sicut eadem collectae in instanti nec tantam utilitatem inferunt possidentibus, propter quod oportet quod sint minoris existimationis secundum iustitiam», cioè, che «i beni futuri non si valutano tanto altamente come gli stessi beni disponibili in un momento immediato del tempo, né permettono di raggiungere la stessa utilità ai loro proprietari, per cui si deve ritenere che abbiano un valore più ridotto in accordo con la giustizia» (Xxxxxxxx Xxxxxxxx, De usuris in communi et de usurarum contractibus, opusculum LXVI, 1285, p. 426; citato da Xxxxxxx X. Xxxxxxx, Interest and Usury, American Council of Public Affairs, Washington D.C. 1943, nota 31 della p. 214). Questa idea fu successivamente raccolta da Xxx Xxxxxxxxxx xx Xxxxx, Xxxxxx Xxxxxxxxxx e Xxxxxx Xxxxxxxxxx nel 1431, 1499 e 1556, rispettivamente (si veda Xxxxxx X. Xxxxxxxx, An Austrian Perspective on the History of Economic Thought, vol. I, Economic Thought before Xxxx Xxxxx, op. cit., pp. 85, 92, 106-107 e 399-400; edizione spagnola del 1999, op. cit.). Dopo svilupparono le loro implicazioni nell’ambito della teoria economica Turgot, Xxx, Xxxx-Xxxxxx, Xxxxxx, Xxxxxxxx, Xxxxxx e, soprattutto, Xxxxx Xxxxxx Xxxxxx e Xxxxxx xxx Xxxxx.
preferenza del futuro al presente, rimandando gli obiettivi giusto prima di perseguirli, con il che non si conseguirà mai alcun fine e l’azione umana sarebbe priva di senso9.
Capitale e beni di capitale
Possiamo definire beni di capitale gli stadi intermedi di ogni processo di azione, soggettivamente considerati come tali dall’attore. O, se si preferisce, bene di capitale sarà ognuno degli stadi intermedi, soggettivamente considerato come tale, nei quali si plasma o si materializza ogni processo produttivo intrapreso dall’attore. La nostra definizione di beni di capitale si trova, pertanto, pienamente incastonata entro la concezione soggettivistica dell’economia che abbiamo presentato sopra. Ciò che dota di natura economica un bene di capitale non è la sua entità fisica, ma il fatto che alcuni attori considerino che all’interno del loro processo d’azione questo viene utile per raggiungere o culminare uno stadio dello stesso. Pertanto, i beni di capitale, tali e quali li abbiamo definiti, non sono che gli stadi intermedi per i quali l’attore crede che sia necessario che il tempo passi prima di conseguire il fine della propria azione. I beni di capitale debbono sempre essere concepiti in un contesto teleologico, nel quale il fine perseguito e la prospettiva soggettiva dell’attore in relazione con gli stadi necessari per conseguirlo sono i suoi elementi essenziali definitori10.
I beni di capitale sono, pertanto, i «beni economici di ordine superiore», o fattori di produzione che si incarnano soggettivamente in ognuno degli stadi intermedi di un processo concreto d’azione. Inoltre, i beni di capitale appaiono come la congiunzione accumulata di tre elementi essenziali: risorse naturali, lavoro e tempo, tutti questi combinati lungo un processo d’azione imprenditoriale creato e intrapreso dall’essere umano11.
9 In un mondo senza preferenza temporale non si consumerebbe mai, ma tutto si risparmierebbe e, pertanto, l’essere umano morirebbe di inanità e la civiltà sparirebbe. Le «eccezioni» che si sono volute opporre alla legge della preferenza temporale sono soltanto apparenti e, in tutti i casi, nascono dal non considerare il condizionante di ceteris paribus che è inseparabile della stessa. Di modo che basta soltanto un dettagliato esame del supposto «contro-esempio» in questione, per rendersi immediatamente conto che non esiste assoluta eguaglianza di circostanze nei casi proposti come confutazioni della preferenza temporale. Così succede, per esempio, in relazione ai beni che non possono essere simultaneamente sfruttati, o con quelli nei quali, anche esistendo un’apparente identità in quanto alla propria presenza fisica, non sono uguali dal punto di vista soggettivo dell’attore (come è il caso del gelato che si preferisce consumare in estate, invece di consumarlo in un prossimo inverno). Sulla teoria della preferenza temporale si deve consultare Xxxxxx xxx Xxxxx, La acción humana: tratado de economía, op. cit., 7.ª edición, pp. 578-585, in italiano L’azione umana: trattato di economia, op. cit. pp. 462-467.
10 «The principal point to be emphasized is that capital goods, thus defined, are distinguished in that they fall neatly into place in a
teleological framework. They are the interim goals aimed at in earlier plans; they are the means toward the attainment of still further ends envisaged by the earlier plans. It is here maintained that the perception of this aspect of tangible things now available provides the key to the unravelling of the problems generally attempted to be elucidated by capital theory». Xxxxxx X. Xxxxxxx, An Essay on Capital, Xxxxxxxx X. Xxxxxx, New York 1966, p. 38; riprodotto da Xxxxxx X. Xxxxxxx, Essays on Capital and Interest: An Austrian Perspective, Xxxxxx Xxxxx, Xxxxxxxxx, Xxxxxxxxxxx, 0000, pp. 13-122.
11 Questo spiega perché tradizionalmente si sia affermato che sono tre i fattori della produzione: le risorse della natura, il fattore
lavoro, e i beni capitali o beni economici di ordine superiore. Questi fattori o risorse sono imprenditorialmente creati e combinati dall’attore in ogni processo d’azione o di produzione che, via via che culmina, dà luogo nel mercato a quattro tipologie distinte di entrate: i profitti imprenditoriali puri, risultato della creatività e della perspicacia imprenditoriale dell’attore; i redditi delle risorse
La condicio sine qua non per produrre beni di capitale è il risparmio, inteso come la rinuncia al consumo immediato. In effetti, l’attore potrà raggiungere successivi stadi intermedi di un processo d’azione sempre più lontane nel tempo soltanto se, preventivamente, ha rinunciato a intraprendere azioni con un risultato temporale più vicino, ossia se ha rinunciato al conseguimento di fini che soddisfino immediatamente necessità umane e che temporalmente siano immediate (consumo). Al fine di illustrare questo aspetto fondamentale, spiegheremo in primo luogo, seguendo Xxxx- Bawerk, il processo di risparmio e investimento in beni di capitali che effettua isolatamente un attore individuale, per esempio Xxxxxxxx Xxxxxx nella sua isola12.
Supponiamo che Xxxxxxxx Xxxxxx sia appena arrivato sull’isola e che, come unico mezzo di sussistenza, si dedichi alla raccolta delle more, che raccoglie dagli alberi direttamente a mano. Dedicando tutti i suoi sforzi giornalieri alla raccolta delle more, raccoglie frutti in quantità tale da poter sopravvivere e persino prenderne qualcuna in più di quelle strettamente necessarie per sopravvivere ogni giorno. Dopo varie settimane a questo regime, Xxxxxxxx Xxxxxx scopre imprenditorialmente che se si facesse una pertica di legno lunga vari metri potrebbe arrivare più in alto e più lontano, colpire gli alberi con forza e ottenere un raccolto di more di cui ha bisogno con molta più rapidità. L’unico problema è che calcola che nel cercare l’albero da cui possa ottenere la pertica e in seguito prepararla, levandole i rami, le foglie e le imperfezioni, può impiegare cinque giorni completi, durante i quali dovrà forzatamente interrompere la raccolta delle more. È necessario, quindi, se vuole procedere a elaborare la pertica, che per un certo numero di giorni riduca un po’ il suo consumo di more, lasciando da parte il rimanente in una cesta, fino a che disponga di una quantità sufficiente per permettergli di sopravvivere durante i cinque giorni che prevede duri il processo di produzione della pertica di legno. Dopo aver pianificato la sua azione, Xxxxxxxx Xxxxxx decide di intraprenderla, per cui, in via preventiva, deve, pertanto, risparmiare una parte delle more che raccoglie a mano ogni giorno, riducendo in tal modo l’importo del suo consumo. È chiaro che questo presuppone un sacrificio ineludibile per Xxxxxxxx Xxxxxx, che però pensa che lo stesso lo ricompensi in abbondanza in relazione all’agognata meta che intende
della natura, in funzione della capacità produttiva delle stesse; i redditi del fattore lavoro o dei salari; e, infine, il reddito guadagnato dai servizi dei beni di capitale. Benché tutti i beni di capitale siano, in ultima istanza, combinazioni di risorse della natura e del lavoro, incorporano, anche, il necessario ingegno imprenditoriale per concepirli e generarli e il fattore tempo necessario per portarli a compimento. Infine, è necessario segnalare che, dal punto di vista economico, non è possibile distinguere tra i beni di capitale e le risorse della natura prestando attenzione esclusivamente alla loro distinta materializzazione fisica. Solamente un criterio strettamente economico, com’è quello della permanenza inalterata del bene volta al conseguimento dei fini senza necessità di esigere nessun tipo di attuazione successiva da parte dell’attore, permette di distinguere perfettamente dal punto di vista economico il fattore terra (o risorsa della natura) che sempre beneficia della qualità di permanenza, dai beni capitali che, in senso stretto, non sono permanenti, ma si consumano o vanno persi lungo il processo produttivo, per cui è necessario far fronte al loro processo di deprezzamento. Perciò, Xxxxx ha affermato che, nonostante le apparenze, «permanent improvements in land is land». F.A. Xxxxx, The Pure Theory of Capital (1941), Routledge & Xxxxx Xxxx, Londra 1976, p. 57. Cfr. inoltre quello che è indicato nella p. 238 e nella n. 30.
12 Questo è l’esempio classico di Xxxxx xxx Xxxx-Xxxxxx, Kapital und Kapitalzins: Positive Theorie des Kapitales, Verlag der
Xxxxxx’schen Universitäts-Buchhandlung, Xxxxxxxxx 0000, pp. 107-135. Questo secondo volume dell’opera di Xxxx-Xxxxxx è stato pubblicato in spagnolo da Edizioni Aosta nel 1998, e in italiano da UTET nel 1957. In inglese si trova tradotto da Xxxx X. Xxxxxxxx con il titolo di Capital and Interest: Positive Theory of Capital, Libertarian Press, South Xxxxxxx, Illinois, 1959, pp. 102-118.
conquistare. E così per alcune settimane decide di ridurre il suo consumo (cioè, risparmiare) accumulando more nella cesta fino a ottenerne un numero che calcola essere sufficiente per farlo sopravvivere mentre fabbrica la pertica.
Con questo esempio si illustra come ogni processo di investimento in beni di capitale esiga in via preventiva il risparmio, cioè, la riduzione del consumo sotto il livello potenziale, per portare a termine il processo13. Quando Xxxxxxxx Xxxxxx detiene già sufficienti more risparmiate, allora, per cinque giorni, si dedica a cercare il ramo da cui estrarrà la pertica di legno, a sradicarla e a perfezionarla. Come si alimenta durante i cinque giorni che dura il processo produttivo di elaborazione della pertica, e che per forza lo mantiene lontano dalla raccolta giornaliera di more? Semplicemente, con le more che aveva accumulato nel cesto durante le settimane precedenti nei quali risparmiò, sentendo un po’ di più la fame, la parte necessaria della sua produzione a mano di more. In questo modo, e se i calcoli di Xxxxxxxx Xxxxxx sono stati corretti, trascorsi i cinque giorni avrà a sua disposizione la pertica (bene di capitale) che non è se non uno stadio intermedio che temporalmente è più lontano (cinque giorni di risparmio) dai processi di produzione immediata di more che fino ad allora era venuto intraprendendo Xxxxxxxx Xxxxxx. Una volta che la pertica è terminata, Xxxxxxxx Xxxxxx può raggiungere luoghi che con le mani erano inaccessibili e colpire fortemente gli alberi, moltiplicando in questo modo per dieci la produzione di more, con cui, a partire da allora e grazie alla sua pertica, nella decima parte di un giorno raccoglie le more necessarie per mantenersi, potendo dedicare il resto del tempo all’ozio o al conseguimento di fini ulteriori che per lui hanno molto più valore (come costruirsi una capanna o pensare di cacciare gli animali per variare la sua alimentazione e vestirsi).
È chiaro che il processo di produzione di questo esempio di Xxxxxxxx Xxxxxx, come qualsiasi altro, è il risultato di un atto imprenditoriale per cui l’attore si rende conto che riesce a guadagnare, cioè, che ottiene fini per lui di maggior valore, intraprendendo processi d’azione che esigono un periodo di tempo più lungo (che incorporano un numero superiore di stadi). I processi d’azione o di produzione si traducono, quindi, in beni di capitale, che non sono altro che beni economici intermedi in un processo d’azione il cui fine ancora non è stato raggiunto. L’attore è soltanto disposto a sacrificare il proprio consumo immediato (cioè, a risparmiare) se pensa che con ciò conseguirà fini di valore superiore (in questo caso, una produzione dieci volte superiore di more
13 Si deve intendere che ogni risparmio si materializza sempre in beni di capitale, anche se all’inizio questi sono soltanto costituiti dai beni di consumo (nel nostro esempio le «more») che rimangono senza essere vendute (o consumate). Posteriormente e in maniera graduale, alcuni beni di capitale (le more) sono sostituiti da altri (la pertica di legno), via via che i lavoratori (Xxxxxxxx Crusoe) mescolano il loro lavoro con le risorse naturali attraverso un processo che richiede tempo e che gli esseri umani possono superare grazie al sostegno fornito dai beni di consumo invenduti (le more risparmiate). Perciò il risparmio si materializza prima in un bene di capitale (i beni di consumo invenduti che permangono in stock) che gradualmente si consuma ed è sostituito da un altro bene di capitale (la pertica di legno). Si veda, specialmente, Xxxxxxx xxx Xxxxxx, Capital and Production, Mises Institute, Auburn, Alabama, 2000, pp. 27 e 62.
rispetto a quella conseguita raccogliendole a mano). Inoltre, Xxxxxxxx Xxxxxx deve cercare di coordinare nella miglior maniera possibile il suo comportamento in relazione al suo prevedibile comportamento futuro. Così, in concreto, deve evitare di intraprendere processi d’azione eccessivamente lunghi in relazione al risparmio che ha intrapreso, poiché sarebbe tragico che a metà del cammino di un processo di elaborazione di un bene di capitale si trovasse senza more (cioè, consumasse quanto risparmiato) senza aver raggiunto il fine proposto. Parimenti deve evitare di risparmiare eccessivamente in relazione alle necessità di investimento che avrà in seguito, posto che con ciò sacrifica senza necessità il suo consumo immediato. È esattamente la stima soggettiva della sua preferenza temporale ciò che permette a Xxxxxxxx Xxxxxx di coordinare o aggiustare adeguatamente il suo comportamento presente in relazione alle sue necessità e ai suoi comportamenti futuri. Il fatto che la sua preferenza temporale non sia assoluta fa sì che egli possa sacrificare parte del suo consumo presente per alcuni giorni con la speranza di rendere possibile con ciò la produzione della pertica. Il fatto che la sua preferenza temporale non sia nulla, spiega perché dedichi il proprio sforzo soltanto a un bene di capitale che può ottenere in un periodo limitato di tempo e a costo di un sacrificio e di un risparmio realizzati in un numero non molto elevato di giorni. Se la sua preferenza temporale fosse nulla, niente eviterebbe che Xxxxxxxx Xxxxxx dedicasse tutto il suo sforzo a costruirsi direttamente una capanna (il che, per esempio, richiederebbe come minimo un mese), cosa che non potrebbe fare senza aver potuto risparmiare una gran quantità di more, per cui, o morirà di inedia, o tale progetto, totalmente sproporzionato in rapporto al risparmio che poteva realizzare, resterebbe subito interrotto e non potrebbe concludersi. In ogni caso, è necessario rendersi conto che le risorse reali risparmiate (le more nella cesta) sono proprio quelle che permettono a Xxxxxxxx Crusoe di sostentarsi durante il periodo di tempo che egli dedica a elaborare il bene di capitale, mantenendosi distante dalla raccolta diretta delle more. E benché non vi sia dubbio alcuno che un Xxxxxxxx Crusoe dotato della sua pertica di legno sia molto più produttivo nel raccogliere le more, invece di coglierle con le sue mani nude, non c’è nemmeno dubbio alcuno che il processo di produzione di more utilizzando la pertica è chiaramente più prolungato dal punto di vista temporale (incorpora un numero superiore di stadi) rispetto al processo produttivo che consiste nella raccolta a mano delle more. I processi produttivi tendono a farsi più lunghi e duraturi (cioè a incorporare una complessità e un numero maggiore di stadi) come conseguenza del risparmio e dell’attività imprenditoriale dell’essere umano, e più lunghi e duraturi questi si fanno, più tendono a essere produttivi.
Pertanto, in un’economia moderna, nella quale esistono molteplici agenti economici che sviluppano simultaneamente diverse funzioni, definiremo capitalista quell’agente economico la cui funzione consiste esattamente nel risparmiare, cioè, nel consumare meno di ciò che crea e produce, mettendo
a disposizione dei lavoratori, finché dura il processo produttivo nel quale gli stessi intervengono, le risorse di cui questi hanno bisogno per mantenersi (così come Xxxxxxxx Xxxxxx fece come capitalista risparmiando le more che gli permisero, poi, di mantenersi mentre produceva la sua pertica di legno). Pertanto, il capitalista, risparmiando, libera risorse (beni di consumo) grazie alle quali si possono mantenere quei lavoratori che si dedicano agli stadi produttivi più lontani dal consumo finale, cioè, la produzione dei beni di capitale.
A differenza di quanto accadeva con Xxxxxxxx Xxxxxx, la struttura dei processi produttivi di un’economia moderna è complicatissima e, dal punto di vista temporale, enormemente prolungata. È costituita da una moltitudine di stadi, tutti quanti interrelati tra loro e divisi in molteplici sottoprocessi che si sviluppano negli innumerevoli progetti d’azione che sono continuamente intrapresi dagli esseri umani.
Così, per esempio, il processo di produzione di un’automobile si può considerare costituito da centinaia e perfino migliaia di stadi produttivi che esigono un periodo di tempo molto prolungato (perfino di vari anni), dal momento in cui, per esempio, si inizia il progetto del veicolo (stadio molto lontana dal consumo finale) passando per l’ordine ai fornitori dei corrispondenti materiali, le differenti linee di montaggio, l’ordine dei diversi pezzi del motore e di tutti i suoi accessori, e così via, fino a giungere agli stadi più vicini al consumo, come possono essere quelle del trasporto e della distribuzione ai concessionari, lo sviluppo di campagne pubblicitarie e l’esposizione e la vendita al pubblico. Così, anche se visitando una fabbrica vediamo uscire un veicolo terminato da un minuto, non dobbiamo lasciarci ingannare pensando che il processo di produzione di ogni macchina è di un minuto, ma dobbiamo essere coscienti che ogni automobile ha avuto bisogno di un processo di produzione di vari anni, lungo una serie di molteplici stadi, da cui si concepì e si progettò il modello fino al momento in cui la macchina si consegnò al suo orgoglioso proprietario come bene di consumo. Dall’altro lato, nelle società moderne c’è una tendenza alla specializzazione degli esseri umani in distinti stadi del processo produttivo. Ed esiste una crescente divisione del lavoro (o, detto meglio, della conoscenza) tanto dal punto di vista orizzontale quanto da quello verticale, che dà luogo a una costante divisione e suddivisione degli stadi del processo di produzione man mano che la divisione della conoscenza si estende e si approfondisce. In ognuna di questi stadi tendono a specializzarsi imprese e agenti economici concreti. E inoltre, il processo non soltanto può analizzarsi diacronicamente, ma, sincronicamente, in ogni momento ognuna degli stadi convive con quello restante e così, simultaneamente, esistono persone dedicate a progettare veicoli (quelli che saranno disponibili per il pubblico entro dieci anni), altri contemporaneamente si dedicano a ordinare ai fornitori i materiali, come altri ancora si dedicano a loro volta alla catena di
montaggio, e altri, infine, anch’essi simultaneamente, si dedicano, oramai molto vicino al consumo finale, al campo commerciale stimolando la vendita dei veicoli già prodotti14.
È chiaro, pertanto, che, come la differenza tra il Xxxxxxxx Crusoe «ricco» con la pertica e il Xxxxxxxx Crusoe «povero» senza di essa è radicata nel fatto che il primo disponeva di un bene di capitale che aveva ottenuto grazie a un risparmio precedente, la differenza essenziale tra le società ricche e le società povere non si radica nel fatto che le prime dedichino più sforzo al lavoro, nemmeno nel fatto che dispongano di maggiori conoscenze dal punto di vista tecnologico, ma fondamentalmente nel fatto che le nazioni ricche possiedono una maggior rete di beni di capitale imprenditorialmente ben investiti, sotto forma di macchinari, attrezzature, computer, immobili, prodotti semilavorati, ecc., che si è resa possibile grazie al risparmio precedente dei suoi cittadini. O, detto in altro modo, che le società comparativamente più ricche lo sono perché hanno più tempo accumulato in forma di beni di capitale, il che permette loro di trovarsi temporalmente più vicine al conseguimento di fini di un valore molto superiore. E non c’è dubbio che l’operaio nordamericano percepisca un salario molto superiore all’operaio indiano, ma questo si deve fondamentalmente al fatto che il primo ha a sua disposizione e utilizza un numero e una qualità molto superiore di beni di capitale (sotto forma di trattori, computer, macchinari, ecc.) dell’operaio indiano. O, espresso in altro modo, i processi produttivi quanto più sono lunghi, come abbiamo visto, tanto più tendono a essere produttivi. Il trattore moderno è molto più produttivo dell’aratro romano nell’arare la terra. Tuttavia, il trattore è un bene di captale la cui produzione esige un insieme di stadi molto più numeroso, complesso e prolungato del numero di stadi che esige la produzione dell’aratro romano.
I beni di capitale della complessissima rete che costituisce la struttura produttiva reale di un’economia moderna non sono perpetui, ma sono sempre transitori, nel senso che si eliminano o si consumano fisicamente lungo il processo produttivo, o piuttosto diventano obsoleti. Cioè, la perdita dell’impianto capitale non è solo di carattere fisico, ma anche tecnologico ed economico (obsolescenza). È necessario, pertanto, conservare o mantenere i beni di capitale (nel caso di Xxxxxxxx Xxxxxx, mantenere la sua pertica e curarla dal logorio). Perciò occorre riparare i beni di capitale esistenti e, ciò che è ancora più importante, continuare costantemente a produrre nuovi beni di capitale in grado di sostituire i vecchi che si stanno consumando. Si definisce deprezzamento il logorio al quale vanno sottoposti i beni di capitale nel processo produttivo, così che è necessario
14 Xxxx Xxxxxxx, nella sua opera The Structure of Production (New York University Press, Londra e New York 1990), riproduce uno schema semplificato degli stadi del processo produttivo dell’industria tessile e del settore del petrolio degli Stati Uniti (pp. 168- 169), illustrando in dettaglio la complessità, gran numero di stadi e molto prolungata durata temporale che ambedue i processi produttivi comportano. Una descrizione semplificata mediante questo tipo di organigrammi può effettuarsi, allo stesso modo, in relazione a qualunque altro settore o industria. Xxxxxxx, a sua volta, prende gli organigrammi delle industrie menzionate dal libro di Xxxxxxxx, E.B. e Xxxxxx, H.E., Economics of American Industry, McGraw-Xxxx, New York, 3.ª edizione 1957.
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predisporre con carattere minimo un determinato volume di risparmio se si vuole far fronte al deprezzamento producendo i beni di capitale necessari per sostituire quelli già ammortizzati o logori. Solo in tal modo si può mantenere intatta la capacità produttiva dell’attore. E se si desidera aumentare ancor di più il numero degli stadi, allargare i processi e renderli più produttivi, sarà necessario che si accumuli risparmio per un importo superiore perfino al minimo necessario per far fronte alla ristretta quota di ammortamento, come espressione contabile del deprezzamento dei beni di capitale. Il risparmio sarà possibile solo diminuendo il consumo in rapporto alla produzione effettuata, il che significa, per una produzione costante, una diminuzione del consumo effettivo, mentre in relazione a una produzione che va incrementandosi, sarà possibile risparmiare accumulando beni di capitale mantenendo volumi relativamente costanti di consumo (sebbene è certo che anche questo caso esige la rinuncia, come in ogni risparmio, a volumi crescenti di consumo potenziale che permetterà una produzione sempre più elevata).
Dal punto di vista temporale, in ogni processo produttivo inteso come una serie successiva di stadi o beni di capitale, è possibile distinguere quegli stadi che sono relativamente più vicini al bene finale di consumo da quelle altre che si trovano più lontani dallo stesso. Come regola generale, si può affermare che i beni di capitale sono difficilmente riconvertibili e che, quanto più vicini sono alla stadio finale del consumo, più difficilmente sono riconvertibili. Tuttavia, il fatto che siano difficilmente riconvertibili non vuol dire che l’attore, nel suo processo d’azione, non si trovi spesso nella posizione di dover modificare gli obiettivi della sua azione e, di conseguenza, di revisionare e riadattare gli stadi che ha già culminato (cioè, di riconvertire i suoi beni di capitale nella misura in cui è possibile). In ogni caso, quando cambiano le circostanze, o l’attore cambia opinione o modifica il fine della sua azione, può essere che i beni di capitale che ha elaborato fino a quel momento o divengono del tutto inservibili, o possono essere utilizzati soltanto dopo una costosa riconversione; è anche possibile che vengano utilizzati, ma in modo tale che, se si fosse saputo in anticipo che avrebbero finito per essere adattati a un processo di produzione differente, sarebbero stati elaborati in modo diverso. Infine, in molto poche occasioni il beni di capitale è tanto lontano dal consumo, o le circostanze sono tali, che è perfettamente utilizzabile tanto in un progetto quanto in un altro.
Si comprende ora l’influsso del tempo passato sull’azione. L’azione, tale e quale l’abbiamo definita, è sempre prospettiva, mai retrospettiva. E i beni di capitale sono considerati tali dall’attore sempre in funzione della progettata azione futura, non in funzione della sua entità materiale, né di vecchi progetti d’azione15. Xxxxxx, il passato, senza dubbio alcuno, influisce sull’azione futura, nella
15 Per questa ragione Xxxxx è alquanto critico nei confronti della definizione tradizionale di bene di capitale come bene di produzione prodotto dall’uomo e che considera «a remnant of the cost of production theories of value, of the old views which sought
misura in cui determina le circostanze di partenza dal presente. Gli esseri umani commettono innumerevoli errori imprenditoriali al momento di concepire, intraprendere e culminare le proprie azioni e, come conseguenza di essi, partono per le loro azioni ulteriori da circostanze presenti che, se fossero state conosciute in anticipo, essi ebbero avranno cercato di rendere differenti. Tuttavia, una volta che gli eventi si sono evoluti in una determinata maniera, l’essere umano cerca sempre di ottenere il miglior risultato possibile dalle sue circostanze presenti di fronte al conseguimento degli obiettivi che intende raggiungere nel futuro. Inoltre, è necessario tener conto che, sebbene i beni di capitale siano difficilmente riconvertibili, tuttavia, dal punto di vista istituzionale, gli investitori riescono a dotarli di un’importante «mobilità» grazie alle istituzioni giuridiche del diritto di proprietà e del diritto dei contratti che regolano le differenti forme di trasferimento di detti beni. Di modo che la struttura produttiva (complessissima e molto prolungata) permette una costante mobilità di investitori, che si rende possibile grazie allo scambio e alla compravendita di beni di capitale sul mercato16.
Siamo ora in condizioni di introdurre il concetto di capitale, che è distinto, dal punto di vista economico, da quello di «beni di capitale». In effetti, definiremo il concetto di capitale come il valore a prezzi di mercato dei beni di capitale, valore che è stimato dagli attori individuali che comprano e vendono beni di capitale in un mercato libero17. Vediamo, pertanto, che quello di capitale è semplicemente un concetto astratto o uno strumento di calcolo economico; cioè, una stima o un giudizio soggettivo sul valore di mercato che gli imprenditori credono che avranno i beni di capitale, e in funzione del quale costantemente li comprano e li vendono, cercando di conseguire in ogni transazione profitti imprenditoriali. Per questo, in un’economia socialista nella quale non esistono mercati liberi né prezzi di mercato, benché si possa considerare che esistano beni di capitale, non si può pensare che esista capitale: questo esige, in ogni caso, un mercato e prezzi liberamente determinati dagli agenti economici che intervengono nel mercato stesso. Se non fosse per i prezzi di mercato e la stima soggettiva del valore capitale dei beni che integrano gli stadi
the explanation of the economic attributes of a thing in the forces embodied in it... Bygones are bygones in the theory of capital no less than elsewhere in economics. And the use of concepts which see the significance of a good in past expenditure on it can only be misleading». F.A. Xxxxx, The Pure Theory of Capital, op. cit., p. 89. Conclude Xxxxx che «For the problems connected with the demand for capital, the possibility of producing new equipment is fundamental. And all the time concepts used in the theory of capital, particularly those of the various investment periods, refer to prospective periods, and are always ‘forward-looking’ and never ‘backward-looking’». Ibidem, p. 90.
16 Un imprenditore demoralizzato che desideri abbandonare il suo negozio e instaurarsi in un altro luogo può praticare sul mercato
una mobilità constante ed effettiva: grazie ai contratti giuridici potrà mettere in vendita il suo negozio, liquidarlo e utilizzare la sua nuova liquidità per acquisire un’altra impresa. In questo modo pratica una mobilità reale ed effettiva molto superiore a quella esclusivamente fisica o tecnica del bene di capitale (e che, come abbiamo visto, è di solito abbastanza ridotta).
17 Ciò nonostante, in diverse occasioni, ci vedremo costretti a utilizzare il termine capitale, in un senso meno stretto, per riferirci
all’insieme di beni di capitale che costituiscono la struttura produttiva. Questo significato poco preciso del termine capitale è utilizzato, tra gli altri, da F.A. Xxxxx en The Pure Theory of Capital, op. cit., p. 54; e anche da Xxxxxx X. Xxxxxxxx en Capital and its Structure, op. cit, nella cui pagina 11 si definisce il capitale come «the heterogeneous stock of material resources».
intermedi dei processi produttivi, in una società moderna sarebbe impossibile stimare o calcolare18 se il valore finale dei beni che si intende produrre con i beni di captale compensi o meno il costo in cui si incorre nei processi produttivi, non essendo neppure possibile assegnare in maniera coordinata gli sforzi degli esseri umani che intervengono nei differenti processi d’azione.
In un altro contesto ho cercato di dimostrare19 che tutta le coercizione sistematica sul libero esercizio della funzione imprenditoriale impedisce che gli esseri umani scoprano l’informazione di cui necessitano ai fini delle azioni che perseguono, così come che, in maniera spontanea, trasmettano detta informazione e coordinino i loro comportamenti, in funzione delle necessità degli altri. Ciò significa che l’intervento coercitivo che è proprio dell’essenza del socialismo, dell’interventismo dello Stato nell’economia, o della concessione di privilegi a determinati gruppi contro i principi tradizionali del diritto, in maggiore o minor misura rende impossibile l’esercizio dell’imprenditorialità e, pertanto, l’azione coordinata degli esseri umani, tendendo a generare scompensi sistematici nel contesto sociale. Il mancato coordinamento sistematico può essere intratemporale o, come accade nel caso delle azioni umane relative alle distinti stadi dei processi di produzione o beni di capitale, intertemporale, di modo che gli esseri umani che non possono agire liberamente tendono a disarticolare i loro comportamenti presenti in relazione ai loro comportamenti e alle loro necessità future.
Il coordinamento intertemporale, come abbiamo già visto nel processo di produzione isolato di Xxxxxxxx Xxxxxx, è essenziale in relazione a tutta l’azione umana che comporta tempo e in special modo a quelle che si riferiscono ai beni di capitale; da qui la grande importanza che ha il permettere il libero esercizio della funzione imprenditoriale in questo campo. In questo modo gli imprenditori scoprono continuamente sul mercato opportunità di guadagno, credendo di vedere nuove combinazioni di beni di capitale che si trovano sottovalutate in relazione alla stima del prezzo di mercato che ritengono di poter ottenere in futuro per i beni di consumo che produrranno. Si tratta, insomma, di un processo di costante «ricombinazione», di produzione di nuove tipologie, e di compravendita di beni di capitale, che genera una struttura produttiva dinamica e molto complessa, e che tende sempre a espandersi orizzontalmente e verticalmente20. Senza libertà di esercitare la funzione imprenditoriale, né mercati liberi per i beni di capitale e per la moneta, non è possibile effettuare il necessario calcolo economico sull’estensione orizzontale e verticale dei differenti stadi
18 Questo è precisamente l’argomento essenziale di Mises sull’impossibilità del calcolo economico in un’economia socialista. Si veda in questo senso Xxxxx Xxxxxx xx Xxxx, Socialismo, cálculo económico y función empresarial, op. cit., cap. III a VII.
19 Xxxxx Xxxxxx xx Xxxx, Socialismo, cálculo económico y función empresarial, op. cit., cap. II e III, pp. 41-155.
20 Questa è la terminologia utilizzata, per esempio, da Xxxx Xxxxxxxx nelle sue Lectures on Political Economy, vol. I, Routledge &
Xxxxx Xxxx, Londra 1951, p. 164, dove Xxxxxxxx fa espressamente riferimento a una «dimensione-orizzontale» e a una «dimensione- verticale» della struttura dei beni di capitale. Esiste una traduzione spagnola di Xxxxxxxxx Xxxxxxx Xxxxx, pubblicata in un solo volume, con il titolo de Lecciones de economía política, X. Xxxxxxx, Madrid 1947, p. 148. Esiste una traduzione italiana in un solo volume, con il titolo di Lezioni di economia politica, UTET, Torino 1950, p. 168.
del processo produttivo, ciò che produce un comportamento generalmente privo di coordinamento che disarticola la società e impedisce il suo sviluppo armonioso. Nei processi imprenditoriali di coordinamento intertemporale ha un ruolo da protagonista un importante prezzo di mercato: ossia, quello dei beni presenti in rapporto ai beni futuri, più comunemente detto tasso di interesse, che regola la reazione tra consumo, risparmio e investimento nelle società moderne, e che studieremo in dettaglio nel paragrafo seguente.
Il tasso di interesse
Come già abbiamo visto, l’essere umano, nella sua scala valoriale, valuta sempre di più, a parità di circostanze, i beni presenti rispetto ai beni futuri. Tuttavia, l’intensità relativa di detta differenza di valutazione soggettiva varia molto da un essere umano all’altro, e per uno stesso essere umano varia anche molto lungo la sua vita in funzione del cambiamento delle proprie distinte circostanze. Così, ci sono persone con un’alta preferenza temporale, che valutano molto il presente in relazione al futuro e, pertanto, sono soltanto disposte a sacrificare il conseguimento immediato dei loro fini se pensano o si aspettano di ottenere in futuro valori soggettivi molto elevati. Altre persone hanno una preferenza temporale molto più ridotta e, anche se continuano a valutare maggiormente i beni presenti rispetto a quelli futuri, sono molto predisposte a rinunciare al conseguimento immediato di fini in cambio di valori non molto più elevati disponibili il giorno dopo. Questa differente intensità psichica della valutazione soggettiva dei beni presenti in relazione ai beni futuri raccolta nella scala valutativa di ogni essere umano attore, dà luogo al fatto che in un mercato nel quale esistono molti agenti economici, ognuno dei quali dotato di una distinta e variabile preferenza temporale, sorgano molteplici opportunità per realizzare scambi mutualmente benefici.
Così, quelle persone che abbiano una bassa preferenza temporale saranno disposte a rinunciare a beni presenti in cambio del conseguimento di beni futuri con un valore non molto maggiore, ed effettueranno scambi consegnando i loro beni presenti ad altri che hanno una preferenza temporale più alta e, pertanto, valutano con maggiore intensità il presente rispetto al futuro. L’impeto e la perspicacia propri della funzione imprenditoriale fanno sì che nella società tenda a determinarsi un prezzo di mercato dei beni presenti in rapporto ai beni futuri. Quindi, definiremo tasso di interesse il prezzo di mercato dei beni presenti in funzione dei beni futuri. Dato che nel mercato molte azioni si portano a termine utilizzando moneta come mezzo di scambio generalmente accettato, il tasso di interesse viene stabilito come il prezzo che si deve pagare per ottenere un numero determinato di unità monetarie con carattere immediato, sotto forma del numero di unità da restituire in cambio, trascorsa la scadenza o il periodo prefissato di tempo. In generale, e per ragioni consuetudinarie,
questo prezzo si stabilisce in termini di tanto per cento all’anno. Così, per esempio, se si parla del fatto che il tasso di interesse è del 9%, si vuole indicare che le transazioni sul mercato si effettuano in modo tale che è possibile ottenere oggi 100 unità monetarie immediatamente (bene presente) in cambio ella consegna di 109 unità monetarie entro un anno (bene futuro)21.
Il tasso di interesse, pertanto, è il prezzo determinato in un mercato nel quale gli offerenti e i venditori di beni presenti sono, esattamente, i risparmiatori, cioè, tutti quelli relativamente più disposti a rinunciare al consumo immediato in cambio dell’ottenimento di un maggior valore di beni in futuro. Compratori o domandanti di beni presenti sono tutti quelli che consumano beni e servizi immediati (siano essi lavoratori, proprietari di risorse naturali, di beni di capitale o di qualsiasi altra combinazione di essi). E il mercato dei beni presenti e dei beni futuri nel quale si determina il prezzo che abbiamo denominato tasso di interesse è costituito da tutta la struttura produttiva della società, nella quale i risparmiatori o capitalisti rinunciano al consumo immediato e offrono beni presenti ai proprietari dei fattori originari di produzione (lavoratori e proprietari delle risorse naturali) e ai proprietari dei beni di capitale in cambio dell’acquisizione della proprietà integra di un valore ipoteticamente maggiore di beni di consumo una volta che la produzione degli stessi si sia terminata in futuro. Eliminando l’effetto positivo (o negativo) dei profitti (o perdite) imprenditoriali puri, questa differenza di valore tende a coincidere esattamente con il tasso di interesse.
Dal punto di vista giuridico gli scambi tra beni presenti e beni futuri può modellarsi in una forma molto varia. Così, in una cooperativa, sono proprio i lavoratori quelli che agiscono, simultaneamente, come lavoratori e capitalisti, aspettando che finisca tutto il processo produttivo per acquisire la proprietà del bene finale e fare proprio l’intero valore dello stesso. Tuttavia, nella maggior parte delle occasioni, i lavoratori non sono disposti ad aspettare che il processo produttivo giunga a termine né ad assumersi rischi e incertezze, per cui, invece di costituire cooperative, preferiscono vendere i servizi della loro forza produttiva in cambio dell’ottenimento immediato di
21 Di fatto, il tasso di interesse può essere interpretato in due modi distinti. Sia come una ratio di prezzi di oggi (uno corrispondente al bene disponibile oggi e l’altro al medesimo bene disponibile domani); sia come il prezzo dei beni presenti in funzione di quelli futuri. Per entrambe le vie si arriva al medesimo risultato. La prima è quella utilizzata da Xxxxxx xxx Xxxxx, per il quale il tasso di interesse «is a ratio of commodity prices, not a price in itself» (Human Action, op cit., p. 526). La seconda è quella che, seguendo Xxxxxx X. Xxxxxxxx, ho preferito utilizzare nel testo. Un’analisi dettagliata di come si formi il tasso di interesse come prezzo di mercato dei beni presenti in funzione dei beni futuri può trovarsi, tra gli altri studi, nell’opera di Xxxxxx X. Xxxxxxxx Man, Economy, and State: A Treatise on Economic Principles, Xxxxxx xxx Xxxxx Institute, Xxxxxx University, 3.ª edizione, 1993, cap. V-VI, pp. 273-387. In ogni caso, il tasso di interesse si determina nella stessa maniera di qualunque altro prezzo di mercato. L’unica differenza si basa sul fatto che invece di fissare il prezzo di ogni bene o servizio in termini di unità monetarie, nella determinazione dell’interesse ci fissiamo sulla compravendita di beni presenti in cambio di beni futuri, materializzati l’uno e l’altro in unità monetarie. Benché noi difendiamo il fatto che l’interesse venga determinato unicamente ed esclusivamente dalla preferenza temporale, cioè, dalle valutazioni soggettive di utilità relazionate con la preferenza temporale, il fatto che si accetti un’altra teoria (per esempio, quella secondo cui l’interesse viene determinato in maggiore o minore misura dalla produttività marginale del capitale) non riguarda l’argomento essenziale di questo libro rispetto agli effetti distorsivi della creazione espansiva di crediti da parte della banca sulla struttura produttiva. Si veda, in questo stesso senso, Xxxxxxx X. Xxxxxxxxx secondo il quale: «Xxxxx establishes that his monetary theory of economic fluctuations is consistent with any of the 'modern interest theories' and need not be based on any particular one. The key is the monetary causes of deviations of the current from the equilibrium rate of interest.» «Empirical Evidence for Xxxxx’x Theory of Economic Fluctuations», cap. II de Money in Crisis: The Federal Reserve, the Economy and Monetary Reform, Xxxxx X. Xxxxxx (ed.), Pacific Institute for Public Policy Research, San Xxxxxxxxx 1984, p. 40.
beni presenti, concordando un contratto (denominato «contratto di lavoro per conto altrui») in funzione del quale quello che anticipa loro i beni presenti (il capitalista, risparmiatore e offerente di beni presenti) si impossessa dell’intera proprietà del bene finale una volta che lo stesso sia stato prodotto. Parimenti, sono possibili combinazioni tra queste due tipologie distinte di contratto. Non è questo il luogo adeguato per analizzare le distinte raffigurazioni giuridiche nelle quali in una società moderna si materializza lo scambio tra beni presenti e beni futuri, e tra l’altro queste non riguardano l’argomento essenziale di questo libro, benché, senza dubbio alcuno, possiedano grande interesse dal punto di vista teorico e pratico.
È importante mettere in risalto che il cosiddetto mercato dei crediti nel quale si possono ottenere prestiti pagando il corrispondente tasso di interesse è soltanto una parte, relativamente non molto importante, del mercato generale nel quale si scambiano beni presenti contro beni futuri e che, come già abbiamo detto, è costituito da tutta la struttura produttiva della società nella quale i proprietari dei fattori originari di produzione e dei beni di capitale agiscono come richiedenti di beni presenti, e i risparmiatori come offerenti degli stessi. Pertanto, il mercato dei prestiti a breve22, medio e lungo termine è soltanto un sottoinsieme di questo mercato molto più ampio nel quale si scambiano beni presenti contro beni futuri e rispetto al quale ha un mero ruolo sussidiario e dipendente, e tutto ciò nonostante che, dal punto di vista popolare il mercato creditizio sia il più visibile ed evidente. E sarebbe possibile, perfettamente, concepire una società nella quale non esistesse un mercato creditizio e, tuttavia, tutti gli agenti economici investirebbero direttamente i loro risparmi nella produzione (con l’autofinanziamento effettuato attraverso società personali, anonime o cooperative). Anche se in questo caso non si determinerebbe nessun interesse nell’inesistente mercato creditizio, continuerebbe a formarsi un tasso di interesse che verrebbe determinato dal rapporto in base al quale si scambierebbero beni presenti contro beni futuri tra i differenti stadi temporali dei processi produttivi. In queste circostanze, il tasso di interesse verrebbe determinato dal «tasso di profitto» al quale tenderebbero a eguagliarsi, per unità di valore e periodo di tempo, i profitti contabili di ogni stadio del processo produttivo. E benché questo tasso di interesse non sia direttamente osservabile sul mercato, e incorpori in ogni impresa e processo di produzione specifico componenti estranei (come la parte di profitti o perdite imprenditoriali pure e il premio per il rischio), sarebbe il tasso di profitto a cui tenderebbero i differenti stadi di tutto il sistema economico, grazie al tipico processo imprenditoriale di compensazione dei profitti contabili tra
22 Il volgarmente detto «mercato monetario» non è che un mercato di crediti a breve termine. Il vero mercato monetario è costituito da tutto il mercato in cui si scambiano beni e servizi contro unità monetarie e nel quale simultaneamente si determinano il prezzo o potere d’acquisto della moneta, e i prezzi in termini monetari di ogni bene o servizio. Perciò Xxxxxxxx induce a gravi errori quando afferma che «The ‘money market’ is the market for command over money: ‘the value of money’ in it at any time is the rate of discount, or of interest for short period loans charged in it». Xxxxxx Xxxxxxxx, Money Credit and Commerce, Macmillan, Londra 1924, p. 14. Xxxxx chiarisce perfettamente questa confusione terminologica di Xxxxxxxx nella sua Human Action, op. cit., p. 403.
l’uno e l’altro stadio dei processi produttivi, se non si producessero altri cambiamenti e si esaurissero tutte le possibilità di creatività e di profitto imprenditoriale23.
Nel mondo esterno, gli unici importi direttamente osservabili sono quelli che potremmo definire tasso di interesse lordo o di mercato (che coincide con il tasso di interesse del mercato creditizio) e i profitti contabili lordi dell’attività produttiva. Il primo è costituito dal tasso di interesse tale e quale l’abbiamo definito (a volte l’abbiamo anche definito tasso di interesse originario o naturale), più il premio di rischio che corrisponderebbe all’operazione in questione, più o meno un premio per l’inflazione o la deflazione attesa, cioè, per la diminuzione o l‘incremento atteso nel potere d’acquisto dell’unità monetaria nella quale si effettuano e si calcolano le transazioni tra beni presenti e beni futuri.
In secondo luogo, sono direttamente osservabili nel mercato anche i profitti contabili puri che si ottengono nell’attività produttiva specifica all’interno di ciascuno stadio del processo di produzione e che tendono a eguagliarsi al tasso di interesse lordo o di mercato, così come lo abbiamo definito nel paragrafo precedente, più o meno i profitti o le perdite imprenditoriali puri24. Poiché in ogni mercato c’è una tendenza a che i profitti e le perdite imprenditoriali spariscano, risultato proprio della concorrenza tra imprenditori, esiste, pertanto, una tendenza a che i profitti contabili di ogni attività produttiva per periodo di tempo tendano a eguagliarsi al tasso di interesse lordo di mercato. Effettivamente, nei profitti contabili riportati da ogni impresa in relazione all’esercizio economico, si può considerare che esista una componente implicita di tasso di interesse, in relazione alle risorse risparmiate e investite dai capitalisti proprietari dell’impresa; componente implicita che, assieme alla componente di rischio e ai profitti o alle perdite imprenditoriali che si producono come risultato dell’attività puramente imprenditoriale del negozio, danno luogo ai profitti contabili. Da questo punto di vista, è possibile che un’impresa, benché abbia riportato profitti contabili, in realtà sia incorsa in perdite imprenditoriali, se questi profitti contabili non raggiungono l’importo necessario per superare la componente implicita del tasso di interesse lordo di mercato applicato sulle risorse investite dai capitalisti nella loro attività nel corso dell’esercizio economico.
In ogni caso, e indipendentemente da come si manifesta, ciò che è più importante è tener conto che l’interesse, come prezzo di mercato o tasso sociale di preferenza temporale, gioca un ruolo chiave al
23 Perciò, stricto sensu, il concetto di «tasso di profitto» non ha senso nella vita reale e lo abbiamo introdotto solo a fini illustrativi e per facilitare la comprensione della nostra teoria del ciclo. Come ben dice Mises: «it becomes evident that it is absurd to speak of a ‘rate of profit’ or a ‘normal rate of profit’ or an ‘average rate of profit’... There is nothing ‘normal’ in profits and there can never be an ‘equilibrium’ with regard to them». Xxxxxx xxx Xxxxx, Human Action, op. cit., p. 297.
24 Di fatto, il tasso di interesse al quale si pattuiscono i prestiti sul mercato creditizio include anche una componente imprenditoriale
che non abbiamo menzionato nel testo. Questa è derivata dall’incertezza non assicurabile (che non è «rischio») relativa alla possibilità che si producano scambi sistematici nel tasso sociale di preferenza temporale e altre perturbazioni non assicurabili proprie del ciclo economico: «The granting of credit is necessarily always an entrepreneurial speculation which can possibly result in failure and the loss of a part of the total amount lent. Every interest stipulated and paid in loans includes not only originary interest but also entrepreneurial profit». Xxxxxx xxx Xxxxx, Human Action, op. cit., p. 536.
momento di coordinare il comportamento di consumatori, risparmiatori e produttori in una società moderna. E, allo stesso modo in cui era essenziale che Xxxxxxxx Xxxxxx attuasse in maniera coordinata e non dedicasse al conseguimento di fini futuri uno sforzo sproporzionato in relazione alla sua disponibilità di beni presenti risparmiati, lo stesso problema di coordinamento intertemporale si pone continuamente nelle nostre società.
In un’economia moderna, la sintonia tra i comportamenti presenti e futuri si rende possibile esattamente grazie alla capacità esercitata dalla funzione imprenditoriale nel mercato in cui si scambiano beni presenti contro beni futuri e nel quale si fissa, come prezzo di mercato degli uni in funzione degli altri, il tasso di interesse. In questo modo, quanto maggiore è il risparmio, cioè, quanti più beni presenti si vendono e offrono, a parità di circostanze, più basso sarà il suo prezzo in beni futuri e, pertanto, più ridotto sarà il tasso di interesse di mercato; questo indicherà agli imprenditori che esiste una maggior disponibilità di beni presenti per aumentare la durata e la complessità degli stadi del processo, rendendoli, valga la ripetizione, più produttivi. Al contrario, quanto minore è il risparmio, cioè, a parità di circostanze, quanto meno sono disposti gli agenti economici a rinunciare al consumo immediato di beni presenti, più alto sarà il tasso di interesse di mercato. Pertanto, un tasso di interesse di mercato alto indica che il risparmio è scarso in termini relativi, e ciò è un segnale imprescindibile di cui devono tener conto gli imprenditori, per non allargare indebitamente i distinti stadi del processo produttivo, generando mancati coordinamenti e scombussolamenti molto pericolosi per lo sviluppo sostenuto25, sano e armonioso della società. Insomma, il tasso di interesse indica agli imprenditori quali nuovi stadi produttivi o progetti di investimento possano e debbano intraprendere e quali no, per mantenere coordinati, nella misura di ciò che è umanamente possibile, i comportamenti di risparmiatori, consumatori e investitori, evitando che i distinti stadi produttivi, o si rivelino troppo brevi, o si allarghino indebitamente.
Da ultimo, c’è da mettere in risalto che il tasso di interesse di mercato tende a eguagliarsi lungo tutto il mercato di tempo o struttura produttiva della società, non solo intratemporalmente, cioè, da una zona all’altra del mercato, ma anche intertemporalmente, cioè da uno stadio produttivo più vicino al consumo ad altri stadi produttivi più lontani da esso. In effetti, se il tasso di interesse che si può ottenere per anticipare beni presenti in alcuni stadi (per esempio, le più vicina al consumo) è superiore a quello che si può ottenere in altri stadi (per esempio, i più lontani dal consumo), allora la propria forza imprenditoriale mossa dall’animo di ottenere profitti porterà a disinvestire in quelle nelle quali il tasso di interesse o tasso di profitto sia relativamente più basso, e a investire in quelle altre nelle quali il tasso di interesse o il tasso di profitto sperato sia più alto.
25 Dopo la prima edizione di questo libro ho visto che Xxxxx Xxxxxxxx sviluppa la medesima idea nel suo nuovo libro Time and Money: The Macroeconomics of Capital Structure, Routledge, Londres 2001, pp. 33-34 (edizione spagnola, Unión Editorial, Madrid 2005).
La struttura produttiva
Anche se è quasi impossibile rappresentare graficamente la complessissima struttura di stadi produttivi che costituiscono un’economia moderna, con la finalità di rendere più semplice la comprensione degli argomenti teorici che svilupperemo più avanti, la illustreremo in maniera semplificata come indichiamo nel grafico V-1.
Inoltre, anche se la rappresentazione grafica non è strettamente necessaria per spiegare gli argomenti economici essenziali e, di fatto, autori della tempra di Xxxxxx xxx Xxxxx non la utilizzarono mai nella loro esposizione della teoria del capitale e del ciclo economico26, tuttavia esiste tutta una tradizione di teorici che hanno considerato conveniente, per rendere più facile la comprensione dei loro argomenti, l’utilizzazione di illustrazioni grafiche semplificate degli stadi dei processi produttivi reali del tipo di quelli presentati nel Grafico V-127.
26 Xxxxxx xxx Xxxxx, The Theory of Money and Credit, op. cit. (trad. spagnola: La teoría del dinero y del crédito, Unión Editorial, Madrid 1997, trad. italiana: La teoria della moneta e dei mezzi di circolazione, ESI, Napoli 1999) e anche Human Action: A Treatise on Economics, op. cit. (trad. spagnola: La acción humana: tratado de economía, 7.ª ed., Unión Editorial, Madrid 2004, trad. italiana: L’azione umana: trattato di economia, UTET, Torino 1959).
27 Il primo teorico a proporre una rappresentazione di base uguale a quella che abbiamo presentato nel Grafico V-1 fu Xxxxxxx
Xxxxxxx Xxxxxx nel suo The Theory of Political Economy, la cui prima edizione si pubblicò nel 1871. Io ho utilizzato una ristampa della 5.ª edizione dovuta a Xxxxxx and Xxxxxxx, pubblicata nel 1957 a New York e in cui a pagina 230 si raccoglie un diagramma che, secondo Xxxxxx, nel suo «line ox indicates the duration of investment and the height attained at any point, i, is the amount of capital invested». Di seguito, nel 1889, sarà Xxxxx xxx Xxxx-Xxxxxx che più a fondo si porrà il problema teorico della struttura di stadi successivi di beni di capitale e della loro rappresentazione grafica, proponendo di effettuarla mediante l’utilizzazione di un numero successivo di circoli concentrici annuali (l’espressione utilizzata da Xxxx-Bawerk è koncentrischer Jahresringe) ognuno dei quali rappresenta uno stadio produttivo e che si sovrappongono più ampliamente l’uno con l’altro. Questa rappresentazione grafica e la spiegazione della stessa ad opera di Xxxx-Xxxxxx si può consultare nelle pp. 114-115 del suo Kapital und Kapitalzins, vol. II, Positive Theorie des Kapitales, op. cit.; le pagine corrispondenti dell’edizione inglese di Capital and Interest sono le 106-107 del volume II. Il problema più importante con la rappresentazione grafica che proponeva Xxxx-Xxxxxx è che rappresentava solo in un modo molto goffo il corso del tempo, per cui si aveva la mancanza di una seconda dimensione (quella verticale). Xxxx-Xxxxxx avrebbe potuto ovviare facilmente a questa difficoltà sostituendo i suoi «anelli concentrici» con la rappresentazione di una serie di volumi circolari posti successivamente uno sopra l’altro e aventi, i più elevati, una base sempre più piccola (cioè, come se si trattasse di «formaggi della Mancia» uno posto sopra l’altro con i superiori sempre più piccoli). Questa difficoltà è risolta successivamente nel 1931 nella prima edizione del già classico libro di F.A. Xxxxx Xxxxxx and Production (1.ª edizione con «Foreword» di Xxxxxx Xxxxxxx, Routledge, Londra 1931; 2.ª edizione, revisionata e ampliata nel 1935; pp. 36 della prima edizione e 39 della seconda; a partire da adesso, e salvo che si indichi altra cosa, tutte le citazioni di questo libro saranno nella sua seconda edizione; infine occorre indicare che, grazie a Xxxx Xxxxxxx de Xxxxxxx, recentemente è stata pubblicata nel nostro paese una traduzione di questo importante libro dovuta a Xxxxxx Xxxxxxxxx Xxxxx: Precios y producción: Una explicación de las crisis de las economías capitalistas, con una Introduzione di Xxxx Xxxx Xxxxx, Unión Editorial e Edizioni Aosta, Madrid 1996, pp. 36 e ss). In questo libro si effettua già una rappresentazione molto simile a quella che noi abbiamo proposto nel Grafico V-1. Questo tipo di rappresentazione torna a essere utilizzata da Xxxxx nel 1941 (ma ora in termini continui) nel suo The Pure Theory of Capital, già citata (si veda, per esempio, la p. 109, 95 nell’edizione spagnola del 1946). Inoltre, nel 1941, Xxxxx sviluppa anche una rappresentazione grafica prospettica dei differenti stadi del processo produttivo in un grafico tridimensionale e nel quale, quello che guadagna in esattezza, precisione ed eleganza, si perde in capacità di comprensione (p. 117 dell’edizione inglese del 1941 e 102 di quella spagnola del 1946). Nel 0000, Xxxxxx X. Xxxxxxxx (Xxx, Economy and State: A Treatise on Economic Principles, op. cit., cap. VI-VII) propone una rappresentazione simile, e in molti aspetti più fortunata, proprio quella di Xxxxx, e che è seguita molto da vicino da Xxxx Xxxxxxx nella sua notevole The Structure of Production, New York University Press, New York 1990. In lingua spagnola introduce per la prima volta la rappresentazione grafica degli stadi della struttura produttiva dopo già quasi vent’anni nel mio articolo «La teoria austriaca del ciclo economico», pubblicato originariamente in Moneda y crédito, n.º 152, marzo del 1980, pp. 37-55 (rieditato nei miei Estudios de economía política, op. cit., cap. XIII, pp. 160-176). Xxxxxx potessero anche interpretarsi come una rappresentazione della struttura produttiva, abbiamo lasciato deliberatamente fuori de questo breve boschetto della storia della rappresentazione grafica degli stadi del processo produttivo i grafici triangolari proposti da Xxxx Xxxxxxxx, Lectures on Political Economy, Routledge, Londra 1951, vol. I, p. 159 (p. 143 dell’edizione spagnola di Xxxxxxxxx Xxxxxxx Xxxxx, Xxxxxxx, Madrid 1947). Si veda, infine, M.A. Xxxxxx
GRAFICO V-1 P. 234
Gli stadi della struttura produttiva che raccogliamo nel Grafico V-1 non rappresentano la produzione di beni di capitale e di beni di consumo in termini fisici, ma il loro valore in unità monetarie. Alla sinistra del grafico indichiamo l’ipotesi secondo cui la struttura produttiva è costituita da cinque stadi il cui «numero d’ordine», seguendo il contributo classico di Xxxxxx, consideriamo che si incrementi via via che si allontanano dallo stadio finale del consumo. Così, il prima stadio è costituito da «beni economici di primo ordine» o beni di consumo che, nel nostro grafico, si scambiano per un valore di cento unità monetarie. Il secondo stadio è costituito da «beni economici di secondo ordine» o beni di capitale più vicini al consumo. E così via con gli stadi terzo, quarto e quinto, che è lo stadio più lontano dal consumo. Al fine di semplificare, abbiamo considerato che ogni stadio esige un periodo di tempo di un anno di durata, per cui il processo produttivo del nostro Grafico V-1 durerebbe cinque anni dal suo inizio nel quinto stadio (quello più lontano dal consumo) fino ad arrivare ai beni finali di consumo nel primo stadio. Perciò, la rappresentazione schematica che abbiamo realizzato non solo può considerarsi dal punto di vista diacronico, come l’insieme di stadi produttivi per cui è necessario passare fino ad arrivare al bene finale di consumo dopo cinque anni, ma anche sincronicamente, come una «fotografia» degli stadi che, in maniera simultanea, si stanno producendo in uno stesso esercizio economico. Come indica bene Xxxx-Xxxxxx, questa seconda interpretazione del grafico come una rappresentazione sincronizzata del processo produttivo è di una natura molto somigliante alle piramidi di età che si elaborano con i dati del censo di popolazione, e che non sono che corti trasversali della popolazione reale classificata per età, che possono anche interpretarsi diacronicamente come l’evoluzione del numero di persone che riescono a rimanere vive a ogni età (tavola di mortalità)28.
Le frecce del nostro schema rappresentano i flussi di reddito monetario che in ogni stadio del processo produttivo affiorano fino ai proprietari dei fattori originari (lavoro e risorse della natura) sotto forma di salari e rendite, e verso i proprietari dei beni di capitale (capitalisti e risparmiatori) sotto forma di interesse (o profitto contabile). In effetti, iniziando dal primo stadio i consumatori spendono nel nostro esempio cento unità monetarie (u.m.) nell’acquisizione di beni di consumo, che passano a essere proprietà dei capitalisti proprietari delle industrie dei beni di consumo. Questi
Neira, «Hayekian Triangle», en An Eponymous Dictionary of Economics: A Guide of Laws and Theorems Named after Economists,
X. Xxxxxx e X. Xxxxxxxxx Xxxxx (eds.), Xxxxxx Xxxxx, Cheltenham, Inghilterra 2004.
28 «The inventory of capital constitutes, so to speak, a cross section of the many processes of production which are of varying length
and which began at different times. It therefore cuts across them at very widely differing stages of development. We might compare it to the census which is a cross section through the paths of human life and which encounters and which arrests the individual members of society at widely varying ages and stages.» Xxxxx xxx Xxxx-Xxxxxx, Capital and Interest: Positive Theory of Capital, op. cit., p. 106. Il testo in tedesco di questa citazione si trova nella p. 115 della già citata edizione originale di questa opera.
capitalisti, un anno prima, avevano anticipato il pagamento, a carico del loro risparmio, di 80 u.m. corrispondenti ai servizi dei beni di capitale fisso e al pagamento dei beni di capitale circolante prodotti nel stadio precedente (il «secondo») del processo produttivo da altri capitalisti; pagando anche dieci u.m. ai proprietari dei fattori originari di produzione (lavoro e risorse della natura) che direttamente contrattarono nell’ultimo stadio di produzione dei beni di consumo (questo pagamento ai fattori originali è rappresentato in questo grafico dalla freccia verticale che va dalla destra dell’ultimo scalone di cento unità monetarie al corrispondente riquadro superiore destro di dieci unità monetarie). Come i capitalisti dello stadio dei beni di consumo anticiparono ottanta unità monetarie ai proprietari dei beni di capitale del secondo stadio e dieci unità monetarie ai lavoratori e ai proprietari delle risorse naturali, cioè, un totale di novanta unità monetarie, quando è trascorso il periodo di un anno e vendono i beni di consumo per cento unità, ottengono un profitto contabile o un interesse derivato dall’aver anticipato un anno prima, e con il proprio risparmio, novanta unità monetarie. Questa differenza tra il totale di ciò che anticiparono, novanta unità monetarie (che potevano aver consumato e, ciò nonostante, hanno risparmiato e dedicato all’investimento), e quello che ricevono trascorso un anno, cento unità monetarie, equivale a un tasso di interesse approssimato dell’11 per cento annuale (10:90 = 0,11) che, dal punto di vista contabile, appare come il profitto del conto profitti e perdite dell’attività imprenditoriale dei capitalisti dello stadio dei beni di consumo (rappresentato dal riquadro nell’angolo inferiore destro del nostro Grafico V-1).
Allo stesso modo si può ragionare in relazione al resto degli stadi. Così, per esempio, i capitalisti proprietari dei beni di produzione del terzo stadio, all’inizio del periodo anticipano quaranta unità monetarie in pagamento dei beni di capitale prodotti nel quarto stadio, e anche quattordici unità monetarie ai fattori originari di produzione (lavoro e risorse naturali). In cambio delle cinquantaquattro unità monetarie che hanno anticipato, i capitalisti si impossessano della proprietà del prodotto che, una volta terminato, vendono per sessanta unità monetarie ai capitalisti del secondo stadio lucrando un differenziale di sei unità monetarie, che è il loro profitto contabile o interesse, anche prossimo all’11 per cento. E così via con ogni stadio.
Raccogliamo nella parte superiore del nostro grafico gli importi che i capitalisti avanzano in ogni stadio ai fattori originari di produzione (lavoratori e proprietari delle risorse naturali) e che sommano un totale di settanta unità monetarie (18 + 16 + 14 + 12 + 10 = 70 u.m.). Nella parte destra si indicano, in una colonna, gli importi monetari dei profitti contabili derivati da ogni stadio e che riassumono la differenza contabile tra le unità monetarie che anticiparono i capitalisti di ogni stadio e che ricevono dalla vendita del loro prodotto nello stadio seguente. Questo profitto contabile tende a coincidere, come già sappiamo, con l’interesse derivato dall’importo che i capitalisti di ogni stadio risparmiarono e anticiparono tanto ai capitalisti degli stadi precedenti come ai proprietari dei
fattori originari di produzione. Il totale delle differenze contabili tra entrate e uscite di ogni stadio assomma a trenta unità monetarie, che aggiunte alle settanta che percepiscono i fattori originari di produzione, danno un totale di cento unità monetare di reddito netto, e che coincide, esattamente, con l’importo che durante il periodo si spende in beni di consumo finali.
Considerazioni complementari
Dobbiamo ora effettuare una serie di importanti considerazioni complementari sulla nostra rappresentazione schematica degli stadi del processo produttivo:
1) L’arbitraria selezione del periodo temporale di ogni stadio. – In primo luogo, è necessario segnalare che la scelta di un periodo di durata temporale di un anno per ogni stadio è puramente arbitraria, in quanto avremmo potuto scegliere qualsiasi altro periodo temporale. Se si è optato per l’anno è perché questo è l’esercizio economico abitualmente più utilizzato, dal punto di vista contabile e imprenditoriale, il che facilita la comprensione dello schema illustrativo di stadi produttivi che abbiamo proposto.
2) La non utilizzazione dell’erroneo concetto di «periodo medio di produzione». – In secondo luogo, xxxxxxxx segnalare che il fatto che, nel nostro esempio, il processo produttivo abbia una durata di cinque anni è anch’esso puramente arbitrario. I processi produttivi moderni sono molto complessi, variando molto, in quanto al numero di stadi e alla loro durata, da un settore o impresa a un altro. In ogni caso, dobbiamo mettere in risalto che né è necessario né ha senso che ci riferiamo a un «periodo medio di produzione», poiché dipenderà dal processo produttivo concreto il fatto che consideriamo quale sia la durata stimata a priori dello stesso. Già sappiamo che i beni di capitale non sono che le stadi intermedi del processo di produzione intrapreso da un imprenditore che, dal punto di vista soggettivo, ha sempre un inizio, cioè quel momento nel quale per la prima volta concepisce che un fine determinato meriti la pena di essere perseguito, e un insieme specifico di stadi intermedi che immagina a priori e poi tenta di sviluppare e culminare, man mano che agisce. Perciò, la nostra analisi non utilizza il concetto di «periodo medio di produzione» e, pertanto, è immune alle critiche che sono state effettuate allo stesso29. In effetti, ogni periodo di produzione ha un’origine determinata e non lo si può far risalire indietro nel tempo indefinitamente, ma si arresta giustamente in quel momento nel quale un imprenditore determinato intraprese il perseguimento di
29 Xxxx X. Xxxxx, «The Génesis of Capital», Yale Review, n.º 2, novembre del 1893, pp. 302-315; e «Concerning the Nature of Capital: A Reply», Quarterly Journal of Economics, maggio del 1907. Xxxxx X. Xxxxxx, «Capitalist Production, Time and the Rate of Return», in Economic Essays in Honour of Xxxxxx Xxxxxx, Xxxxxx Xxxxx & Xxxxx, Londra 1933.
un fine che costituisce lo stadio finale immaginario del processo30. Pertanto, il primo stadio della produzione comincia esattamente in quel momento nel quale l’imprenditore concepisce lo stadio finale del processo (sotto forma di bene di consumo o bene di capitale). Per fissare l’inizio di questo stadio è completamente irrilevante che si utilizzino beni di capitale o fattori di produzione che già si trovavano prodotti in precedenza ma che nessuno prima aveva concepito che avrebbero finito per essere utilizzati nel processo produttivo in questione. Inoltre, il fatto che non sia necessario risalire indefinitamente indietro nel tempo quando si concepisce l’insieme di stadi del processo produttivo si deve al fatto che tutti i beni di capitale che sono stati prodotti, ma non ancora utilizzati in qualsiasi intervallo di tempo per un fine concreto, si convertono, in ultima istanza, come a dire, in una risorsa «originaria» in più, somigliante in questo aspetto al resto delle risorse della natura che percepiscono rendita, ma che sono considerate dall’attore come una circostanza di partenza piuttosto che un suo corso d’azione31. Insomma, ogni processo di produzione è sempre prospettico, ha un inizio determinato e un fine previsto, e la sua durata varia secondo il processo produttivo in cui è coinvolto, ma non è mai infinito, né indeterminato. Pertanto, è privo di ogni senso il calcolo con carattere retrospettivo di supposti e fantasmagorici periodi medi di produzione.
3) Beni di capitale fisso e beni di capitale circolante. – Altra osservazione di interesse in relazione alla nostra rappresentazione degli stadi produttivi è che nella stessa si possono considerare inglobati non solo i cosiddetti beni di capitale fisso, ma anche i beni di capitale circolante e i beni di consumo duraturo. Dal punto di vista prospettico dell’essere umano attore, è irrilevante la distinzione tra beni di capitale fisso e beni di capitale circolante, poiché questa in grande misura si basa sulle caratteristiche fisiche dei beni in questione e, soprattutto, sul fatto che si considera che gli stessi siano o meno «finiti». In effetti, si considera che i beni di capitale fisso, quando partecipano al processo produttivo sono già «finiti», mentre i beni di capitale circolante sono semilavorati o in un processo «intermedio» della produzione. Tuttavia, dalla concezione soggettivista del processo di produzione diretto al consumo, tanto i beni di capitale fisso quanto i beni di capitale circolante sono stadi intermedi di un processo d’azione che culmina solo quando il bene di consumo finale soddisfa il desiderio dei consumatori, per cui, dal punto di vista economico, non ha senso la distinzione tra l’uno e l’altro.
30 Xxxxxx xxx Xxxxx molto chiaramente afferma che «The length of time expended in the past for the production of capital goods available today does not count at all. These capital goods are valued only with regard to their usefulness for future satisfaction. The ‘average period of production’ is an empty concept.» Xxxxxx xxx Xxxxx, Human Action: A Treatise on Economics, op. cit., p. 489. E nello stesso senso si manifesta Xxxxxx X. Xxxxxxxx nel suo Man, Economy and State, op. cit., pp. 412-413.
31 Xxxxxx X. Xxxxxxxx, con la sua naturale perspicacia, aggiunge che «land that has been irrigated through canals or altered by the
chopping down of forests has become a present, permanent given. Because it is a present given, not worn out in the process of production, and not needing to be replaced, it becomes a land factor under our definition», concludendo Xxxxxxxx che una volta che
«the permanent are separated from the non-permanent alterations, we see that the structure of production no longer stretches back infinitely in time, but comes to a close within a relatively brief span of time.» Cfr. Man, Economy and State, op. cit., p. 414 (i corsivi sono miei).
Lo stesso può dirsi in relazione alle «rimanenze di magazzino» o agli stocks di beni intermedi che si conservano in magazzino in ognuno degli stadi produttivi. Questi stocks che si ritiene formino parte del capitale circolante, sono uno dei componenti più importati del valore di ognuno degli stadi del processo produttivo. Inoltre si è evidenziato che, man mano che l’economia si sviluppa e avanza, questi stocks acquisiscono un’importanza maggiore nel permettere che le differenti imprese minimizzino i rischi, sempre latenti, che si producano scarsità o «colli di bottiglia» inaspettati che dilatano i periodi di consegna, e rendono possibile che i clienti a tutti i livelli (non solo al livello del consumo, ma anche dei beni intermedi) dispongono di una crescente varietà di prodotti tra i quali scegliere e poter acquisire con carattere immediato. Perciò, una delle manifestazioni di allargamento dei processi produttivi consiste, esattamente, nel costante aumento degli inventari o stocks di beni intermedi.
4) Il ruolo dei beni di consumo duraturi. – i beni di consumo duraturi permettono la soddisfazione di necessità umane nel corso di un periodo di tempo molto prolungato. Perciò, si deve ritenere che occupino simultaneamente diverse posizioni: una nella stadio finale del consumo e le altre in una varietà di stadi precedenti allo stesso, in funzione della sua durata. In ogni caso, ai nostri fini è irrilevante che sia proprio il consumatore colui che debba aspettare nel corso di un determinato numero di anni o di stadi fino a che possa approfittare degli ultimi servizi che sia in grado di fornire il suo bene di consumo duraturo. Solamente quando si approfitta direttamente di questi servizi si considera che ci troviamo nell’ultimo stadio del nostro grafico corrispondente al consumo, mentre gli anni nei quali il proprietario cura e mantiene il suo bene di consumo duraturo perché continui a fornirgli servizi di consumo nel futuro, corrisponderanno agli stadi sovrapposti secondo, terzo, quarto e così via sempre più lontani dal consumo32. Pertanto, una delle manifestazioni dell’allargamento dei processi produttivi e dell’incremento dei loro stadi consiste, esattamente, nella produzione di un numero più elevato di beni di consumo duraturo con una qualità e un periodo di durata sempre maggiore33.
32 Come ha spiegato X.X.Xxxxx, «the different instalments of future services which such goods are expected to render will in that case have to be imagined to belong to different ‘stages’ of production corresponding to the time interval which will elapse before these services mature». Cfr. Prices and Production, op. cit., p. 40, nota a piè di pagina 2. L’identità in questo senso tra i beni di consumo duraturo e i beni capitali, già è stata evidenziata in precedenza da Xxxxx xxx Xxxx-Xxxxxx, per il quale, «the value of the remoter instalments of the renditions of service is subject to the same fate as is the value of future goods». Capital and Interest: Positive Theory of Capital, op. cit., pp. 325-337, e in speciale la p. 337. Nell’edizione tedesca si deve consultare il capitolo dedicato a
«Der Zins aus ausdauernden Gütern», nelle pp. 361-382 dell’edizione del 1889 già citata. Xxxx-Xxxxxx esprime in tedesco questo principio nella forma seguente: «In Folge davon verfällt der Xxxxx der entlegeneren Nutzleistungsraten demselben Schicksale, wie der Xxxxx künftiger Güter.» Cfr. Kapital und Kapitalzins, vol. II, Positive Theorie des Kapitales, op. cit., p. 365. Tra gli spagnoli, forse è stato Xxxx Xxxxxxxxx Chornet quello che meglio ha compreso questa idea essenziale affermando che «i beni di consumo duraturo, generatori di un flusso di servizi di consumo nel tempo, si possono considerare inclusi nel capitale fisso di un’economia. In senso stretto, costituiscono capitale fisso consuntivo, non produttivo. In questo modo il capitale, in senso ampio, è formato dal capitale produttivo o propriamente detto, e anche dal capitale consuntivo o d’uso». Xxxx Xxxxxxxxx, Xxxxxxxxx xx xxxxxx xxxxxxxxx, xx. xxx., x. 000.
33 Xxxxx X. Xxxxxxxx ha esposto, con carattere addizionale, l’argomento secondo cui tutti quei beni di consumo in relazione ai quali
esiste un mercato di seconda mano devono qualificarsi, dal punto di vista economico, come beni di investimento; in effetti, i beni di
5) La tendenza verso l’uguaglianza del tasso di profitto contabile o interesse di ogni stadio. – Altro aspetto essenziale sul quale ora dobbiamo insistere è che esiste sul mercato una tendenza, mossa dalla forza dell’imprenditorialità, verso il tasso di profitto di tutte le attività economiche. Questo accade non solo orizzontalmente, all’interno di ogni stadio della produzione, ma anche verticalmente, cioè, tra uno stadio e l’altro. In effetti, se esistono disparità nei profitti, gli imprenditori dedicheranno il loro sforzo, la loro capacità creativa e investimento a quelle attività nelle quali si ottengano profitti relativi più elevati, ritirandoli da quelle altre nelle quali i profitti siano più ridotti. Ciò che ora ci interessa far vedere è che, nel nostro esempio nel Grafico V-1, il tasso di profitto contabile, o differenza relativa tra le entrate e le uscite verificatesi, in ognuno degli stadi, è la stessa, approssimativamente intorno all’11 per cento annuale. Se così non fosse, cioè, se in alcuni stadi il tasso di profitto contabile o di interesse fosse più elevato, allora si produrrebbe un disinvestimento e un ritiro di risorse produttive degli stadi che hanno minori tassi di profitto e ci si dirigerebbe verso quelle che avessero hanno un tasso di profitto contabile più elevato. E così fino a che la maggior domanda di beni di capitale e fattori originali dello stadio ricevente aumentasse i suoi costi o le sue spese nei fattori stessi, e la maggior affluenza di beni finali dallo stadio in questione tenderebbe a ridurre i loro prezzi, finché il differenziale tra entrate e costi si ridurrebbe, dando luogo a un tasso di profitto uguale a quello esistente negli altri stadi produttivi. Questo ragionamento microeconomico è un elemento essenziale per comprendere le modifiche di dimensione e durata degli stadi produttivi che studieremo più avanti.
6) L’investimento e il risparmio in termini lordi e netti. – Anche se, nel nostro esempio grafico, la totalità del reddito netto che percepiscono i fattori originari e i capitalisti sotto forma di profitto o interesse, cioè, 100 unità monetarie, coincide esattamente con l’importo che si spende durante il periodo in beni di consumo (per cui il risparmio netto è nullo), esiste, tuttavia, un importante volume lordo di risparmio e investimento. In effetti, il risparmio e l’investimento, in termini lordi, sono raccolti nella tabella V-1, che indica, per ognuno degli stadi, e nella parte sinistra della tabella, l’offerta di beni presenti che effettuano i risparmiatori in cambio dell’ottenimento di beni futuri. Nella parte destra si trova la corrispondente domanda di beni presenti che effettuano gli offerenti di beni futuri, fondamentalmente i proprietari dei fattori originari di produzione (lavoro e risorse della natura) e i capitalisti degli stadi precedenti. Si osserva nella tabella che il risparmio, o tabella dei beni presenti, è di duecentosettanta unità monetarie; risparmio lordo globale che si effettua nel
consumo qualificato come «duraturo» occupano simultaneamente un luogo in stadi successivi del processo produttivo, anche se giuridicamente sono proprietà dei «consumatori», poiché questi li curano, li conservano e li mantengono nella loro capacità produttiva per fornire servizi diretti di consumo lungo un periodo dilatato di anni. Xxxxx Xxxxxxxx, «The Austrian-Neoclassical Relation: A Study in Monetary Dynamics», Tesi Dottorale presentata all’Università della Virginia, 1981, p. 45. Cfr., inoltre, Xxxxx Xxxxxxxx, Time and Money: The Macroeconomics of Capital Structure, op. cit., pp. 47-48 (edizione spagnola di Unión Editorial, Madrid 2005).
sistema economico, e che è 2,7 volte superiore all’importo che si spende durante l’anno in beni di consumo. Questo risparmio lordo è identico all’investimento lordo dell’esercizio sotto forma di spese che effettuano i capitalisti in risorse naturali, servizi del fattore lavoro, e beni di capitale provenienti da stadi precedenti del processo produttivo34.
[INSERIRE TABELLA P. 242]
7) Reddito netto e reddito lordo d’esercizio. – Si può interpretare che la rappresentazione schematica dei distinti stadi del processo produttivo che abbiamo esposto nel Grafico V-1 raccolga, sia il movimento dei beni di capitale, sia il movimento della moneta. In effetti, i beni di capitale «si muovono verso il basso», cioè dagli stadi più lontani dal consumo fino a quelli più vicini allo stesso, e la «moneta» si muove in direzione opposta. Cioè, le unità monetarie prima servono per pagare i beni finali di consumo, e da lì vanno salendo la scala degli stadi produttivi fino a raggiungere quelli più lontani dal consumo. Pertanto, il reddito monetario lordo del periodo risulta dalla somma di tutte le transazioni in termini di unità monetarie che dal basso verso l’alto si producono durante lo stesso e il cui dettaglio può vedersi nella tabella V-2.
Vediamo in questa tabella come il reddito lordo durante il periodo è di trecentosettanta unità monetarie, corrispondendo cento unità monetarie a reddito netto, che si spende interamente in beni di consumo finali, e duecentosettanta unità monetarie all’offerta totale di beni presenti o del risparmio, che coincide con la domanda totale di beni presenti, l’una e l’altra «lorde» che si effettuano durante il periodo. La proporzione che esiste tra il reddito lordo e il reddito netto del periodo, in base al computo realizzato nella tabella V-2, è che il reddito lordo è 3,7 volte il reddito netto del periodo. Ossia, esiste una proporzione tra la quantità di unità monetarie che si spende in beni di consumo e quella molto superiore che si spende in beni di capitale, che viene rappresentata, esattamente, dalla proporzione che esiste tra l’area non tratteggiata corrispondente allo stadio finale dei beni di consumo, e l’area che abbiamo tratteggiato negli stadi raccolti nel Grafico V-1 (includendo la parte superiore rappresentativa del reddito monetario netto dei fattori di produzione). È, pertanto, un fatto innegabile che la quantità di moneta che si spende in beni di produzione
34 Tavole come quella raccolta nella Tabella V-1 e che commentiamo nel testo, furono già realizzate con il medesimo obiettivo da Xxxxx xxx Xxxx-Xxxxxx (Capital and Interest, op. cit., pp. 108-109, dove nel 1889 raccolse per la prima volta per ogni stadio della produzione il valore in «numero di anni di lavoro» dei prodotti dello stadio corrispondente). In seguito, nel 1929, lo stesso compito fu trattato con più esattezza da F.A. Xxxxx nel suo articolo «Gibt es einen ‘Widersinn des Sparens’?» (Zeitschrift Für Nationalökonomie, Bd. I, Heft III, 1929) e che fu tradotto con il titolo di «The ‘Paradox’ of Saving» e pubblicato in inglese in Economica (maggio del 1931) e dopo incluso come appendice al libro Profits, Interest and Investment and Other Essays on the Theory of Industrial Fluctuations, 1ª edizione da Xxxxxx Xxxxxxxxx & Sons, Londra 1939, e rieditado da Xxxxxxxx X. Xxxxxx, Xxxxxxx 1975, pp. 199-263, e specialmente le pp. 229-231. Precisamente, e come riconosce proprio Xxxxx, fu il desiderio di semplificare la
«goffa» esposizione di queste tavole ciò che lo portò a introdurre lo schema grafico di stadi della produzione che abbiamo presentato nel Grafico V-1 (Cfr. Prices and Production, op. cit., p. 38, nota 1).
durante qualsiasi periodo di tempo non è nemmeno lontanamente superiore alla quantità di moneta che si spende durante questo stesso periodo in beni e servizi di consumo. Ed è curioso segnalare che perfino menti brillanti come quella di Xxxx Xxxxx sbagliarono deplorevolmente al momento di rilevare questo fatto economico fondamentale. In effetti, per Xxxx Xxxxx «the value of the goods circulated between the different dealers, never can exceed the value of those circulated between the dealers and consumers; whatever is bought by the dealers, being ultimately destined to be sold to the consumers»35.
35 Xxxx Xxxxx, The Wealth of Nations, Libro II, Cap. II, p. 390 del vol. I dell’edizione originale del 1776 già citata (p. 306 dell’edizione di X. Xxxxxx di Modern Library, New York 1937 e 1965; e p. 322 del vol. I della Glasgow Edition, di Oxford University Press, Oxford 1976). Come ben indica F.A. Xxxxx (Prices and Production, op. cit., p. 47), è importante notare che l’autorità di Xxxx Xxxxx in relazione a questo tema ha indotto all’errore molti autori, e così, per esempio, il suo argomento è stato utilizzato per giustificare le erronee dottrine della banking school, tra gli altri, da Xxxxxx Xxxxx nella sua opera An Inquiry into the Currency Principle, 2.ª edizione, Xxxxxxxx, Londra 1844, p. 71. La citazione del testo principale di Xxxx Xxxxx è stata tradotta da Xxxxxx Xxxxxxxxx Xxxxx nella seguente maniera: «Il valore dei beni che circolano tra commercianti non può mai superare il valore di quelli che lo sono tra i commercianti e i consumatori, perché tutto ciò che comprano i commercianti è destinato in ultima istanza a essere venduto ai consumatori». La riqueza de las naciones, edizione di Xxxxxx Xxxxxxxxx Xxxxx, Alianza Editorial, Madrid 1994, p. 414, in italiano La ricchezza delle nazioni, UTET, Torino 1950, p. 290-291.
TABELLA V-2
REDDITO LORDO E REDDITO NETTO DELL’ESERCIZIO
Reddito Lordo dell’Esercizio
100 u.m. di consumo finale + 270 u.m. di Offerta totale di beni presenti (Risparmio o Investimento lordi in dettaglio della Tabella V-1)
Totale Reddito Lordo: 370 u.m.
Reddito Netto dell’Esercizio
a) Reddito Netto dei | Capitalisti 1ª stadio: | 100 - 90: | = | 10 |
Capitalisti | Capitalisti 2ª stadio: | 80 - 72: | = | 8 |
(profitto contabile o | Capitalisti 3ª stadio: | 60 - 54: | = | 6 |
interesse di ogni stadio) | Capitalisti 4ª stadio: | 40 - 36: | = | 4 |
Capitalisti 5ª stadio: | 20 - 18: | = | 2 | |
Totale dei profitti contabili, (interesse) o reddito netto dei capitalisti di ogni stadio: | 30 u.m. | |||
b) Reddito Netto dei | Proveniente dalla 1ª stadio: | 10 | ||
Fattori originari | Proveniente dalla 2ª stadio: | 12 | ||
Proveniente dalla 3ª stadio: | 14 | |||
Proveniente dalla 4ª stadio: | 16 | |||
Proveniente dalla 5ª stadio: | 18 | |||
Totale reddito netto dei fattori originari: | 70 u.m. |
Totale Reddito Netto = Totale Consumo 100 u.m.
CONCLUSIONE: Il Reddito Lordo dell’Esercizio è uguale a 3,7 volte il Reddito Netto
Critica delle grandezze utilizzate dalla Contabilità Nazionale
Il valore del reddito lordo, così come l’abbiamo definito e calcolato, e la sua distribuzione tra le distinti stadi del processo produttivo, è di un’importanza capitale per un’adeguata comprensione del processo economico che si forma nella società. In effetti, la struttura degli stadi dei beni di capitale e il suo valore in unità monetarie non è una dimensione che una volta raggiunta si possa mantenere automaticamente e indefinitamente al margine delle decisioni umane di carattere imprenditoriale che in forma deliberata devono optare continuamente per aumentare, mantenere o ridurre gli stadi produttivi intrapresi nel passato. Cioè, che una determinata struttura di stadi produttivi permanga uguale o cambi, allargandosi o restringendosi, dipende dal fatto che gli imprenditori di ogni stadio soggettivamente decidono che è profittevole reinvestire la stessa proporzione dei redditi monetari che venivano ricevendo o che, al contrario, pensano che è per loro molto profittevole modificare tale proporzione, aumentandola o diminuendola. Nelle parole di Xxxxx: «The money stream which the entrepreneur representing any stage of production receives at any given moment is always composed of net income which he may use for consumption without disturbing the existing method of production, and of parts which he must continuously re-invest. But it depends entirely upon him whether he re-distributes his total money receipts in the same proportions as before. And the main factor influencing his decisions will be the magnitude of the profits he hopes to derive from the production of his particular intermediate product»36. Non esiste, pertanto, alcuna legge naturale che forzi gli imprenditori a reinvestire il loro reddito nella medesima proporzione nella quale stavano investendo in beni di capitale, ma tale proporzione dipenderà dalle circostanze specifiche di ogni momento e, in particolare, dalle loro aspettative intorno al profitto che si aspettano di ottenere in ogni stadio del processo produttivo. Ciò significa che, dal punto di vista analitico, ha una grande importanza fissarsi nell’evoluzione delle quantità lorde di reddito riassunte nel nostro diagramma, e
36 F.A. Xxxxx, Xxxxxx and Production, op. cit., p. 49. La traduzione di questo importante paragrafo, può essere la seguente: «Il flusso monetario che ogni imprenditore appartenente a qualsiasi stadio del processo produttivo riceve in un periodo dato si compone sempre del reddito netto che può usare per il consumo senza intaccare l’esistente struttura produttiva, e dell’altra parte che continuamente deve reinvestire. Tuttavia, dipende interamente da lui se redistribuirà il suo reddito monetario totale nelle stesse proporzioni di prima. Il principale fattore che influisce nelle sue decisioni sarà la dimensione dei profitti che spera di ottenere dalla produzione del proprio prodotto intermedio o bene di capitale privato». È precisamente questa la ragione per cui manca di senso la concezione del capitale come un fondo omogeneo che si auto-riproduce da solo, definita da J.B. Xxxxx e F.H. Xxxxxx, e che è la base teorica (assieme alla concezione dell’equilibrio generale) del trito e ritrito modello del «flusso circolare del reddito» presentato in quasi tutti i libri di testo di economia, nonostante che induca all’errore, non recependo la struttura temporale per stadi del processo produttivo del nostro Grafico V-1 (si veda anche la prossima nota 39).
non concentrarsi esclusivamente, come è abituale, sui suoi importi netti. Così, vediamo che con un risparmio netto uguale a zero si mantiene tuttavia una struttura produttiva con un risparmio e un investimento lordi molto cospicui, varie volte superiore perfino a quello che si spende in beni e servizi di consumo nel corso di ogni periodo produttivo. Pertanto, ciò che è veramente importante è studiare quel che accade con il risparmio e l’investimento lordo, cioè, con il valore aggregato in termini monetari degli stadi dei beni intermedi precedenti al consumo finale, importo che resta occulto se ci concentriamo esclusivamente nello studio dell’evoluzione delle dimensioni contabili in termini netti.
È precisamente per questa ragione che dobbiamo essere particolarmente critici delle tradizionali dimensioni della contabilità nazionale. Così, per esempio, la tradizionale definizione di «Prodotto Nazionale Lordo» (PNL), nonostante porti l’appellativo di «lordo», non riflette in alcun modo il vero reddito lordo che viene speso lungo l’esercizio di tutta la struttura produttiva. Da un lato, le cifre del PNL occultano l’esistenza di differenti stadi nel processo produttivo. Dall’altro, e questo è ancor più grave e significativo, il Prodotto Nazionale Lordo, nonostante si qualifichi come «lordo», non raccoglie la spesa lorda monetaria totale che si produce in tutte gli stadi o settori produttivi dell’economia, poiché nel suo computo si tiene solo conto della produzione di beni e servizi consegnati ai loro utenti finali. In effetti, basandosi su uno stretto criterio contabile di valore aggiunto che è lontano dalle realtà fondamentali dell’economia, aggrega solo il valore dei beni e dei servizi di consumo e dei beni di capitale finali che sono finiti nell’esercizio, ma si include il resto dei prodotti intermedi che formano parte degli stadi del processo produttivo e che passano da uno stadio all’altro lungo l’esercizio economico37.
Pertanto, solo una piccola proporzione del totale dei beni di capitale si trova inclusa nelle cifre del Prodotto Nazionale Lordo. In effetti, il PNL incorpora il valore delle vendite dei beni di capitale
37 Così, e come indica, per esempio, Xxxxx Xxxxxxx, il Prodotto Nazionale Lordo a prezzi di mercato «può definirsi come la somma del valore di tutti i beni e servizi finali prodotti in una nazione in un anno... Parliamo di beni e servizi finali perché si escludono quelli di carattere intermedio per evitare il doppio computo di uno stesso valore». Fundamentos de estructura económica, Alianza Universidad, 10.ª edizione revisionata, Madrid 1992, p. 304. Ugualmente, si può consultare il recente libro di Xxxxxxx Xxxxx Remis, Lecciones de contabilidad nacional, Editorial Cívitas, Madrid 1993, nel quale si afferma che «la distinzione tra inputs intermedi e deprezzamento ha dato luogo alla convenzione che i primi sono esclusi dal, e la seconda inclusa nel, valore aggiunto. Così si distingue tra valore aggiunto lordo che include il deprezzamento e valore aggiunto netto che la esclude. Di conseguenza, tanto il prodotto quanto il reddito possono essere lordi o netti, secondo che includano o escludano il deprezzamento» (p. 39). Come si vede, l’aggettivo «lordo» si aggiunge a una cifra che continua a essere netta, posto che esclude tutto il valore degli inputs intermedi. Non sempre i libri di testo dedicati alla contabilità nazionale hanno ignorato la fondamentale importanza dei prodotti intermedi, e così, nell’opera classica Estructura de la economía: introducción al estudio del ingreso nacional, di J.R. Xxxxx e A.G. Xxxx (versione spagnola di R.A. Xxxxxx X., pubblicata dal Fondo de Cultura Económica, México 1966), si fa un riferimento esplicito alla grande importanza che la dimensione temporale ha in tutto il processo di produzione di beni di consumo (l’esempio concreto che si utilizza è quello della produzione di un filone di pane), spiegando dettagliatamente i differenti stadi di prodotti intermedi che sono necessarie per arrivare al bene finale di consumo. Xxxxx e Xxxx concludono (pp. 35-36) che «i prodotti che risultano da questi primi stadi sono prodotti utili ma non direttamente utili per soddisfare le necessità dei consumatori. La sua utilità deve trovarsi nel suo impiego negli stadi successivi, al termine dei quali nascerà un prodotto direttamente sollecitato dai consumatori... Un bene di produzione può essere terminato tecnicamente nel senso che si è conclusa l’operazione particolare necessaria per produrlo, o può non essere tecnicamente terminato, ma ancora in lavorazione, per ciò che concerne il proprio stadio. In qualsiasi caso, è un bene di produzione, perché furono necessarie tre stadi prima che il risultato di tutto il processo passasse nelle mani del consumatore. Il fine di tutto il processo totale sono i beni di consumo; quelli di produzione sono meri stadi nel cammino che conduce ai primi» (i corsivi sono miei).
fisso e durevole, come gli immobili, i veicoli industriali, i macchinari, le attrezzature, i computer, ecc. che si finiscono e si vendono ai loro utenti finali nel corso dell’esercizio, essendo considerati, pertanto, come beni finali. Però non include, in alcun modo, il valore dei beni di capitale circolante, i prodotti intermedi non durevoli, né i beni di capitale ancora non terminati o che già terminati passano da uno stadio all’altro lungo il processo produttivo, e che, come è ovvio, sono distinti dai beni intermedi che, durante lo stesso periodo, si incorporano in ogni bene finale (per esempio, il carburatore «bene intermedio» non è lo stesso carburatore già montato nel veicolo «bene finale»). Cioè, il Prodotto Nazionale Lordo tiene soltanto in conto il capitale fisso o durevole terminato, ma non il capitale circolante, effettuandosi contabilmente una distinzione tra ambedue che, dal punto di vista economico, manca di senso. Per contro, le nostre cifre di reddito sociale lordo della Tabella V-2 incorporano la produzione lorda di tutti i beni di capitale, terminati o meno, durevoli o circolanti, così come di tutti i beni e servizi di consumo prodotti durante l’esercizio economico.
Insomma, il Prodotto Nazionale Lordo è una cifra aggregata di valori aggiunti che esclude la parte più importante dei beni intermedi. L’unica ragione che danno i teorici della contabilità nazionale per utilizzare questa cifra è che con questo criterio evitano il problema della «doppia contabilizzazione». Ma dal punto di vista della teoria economica, questo argomento si basa su una stretta concezione contabile ed è molto pericoloso, poiché elimina dal computo l’enorme volume di sforzo imprenditoriale che ogni anno si dedica alla produzione di beni intermedi, che costituisce la parte più importante dell’attività economica e che, ciò nonostante e in accordo con le cifre del Prodotto Nazionale Lordo, si ritiene che non valga la pena in alcun modo valutare. Affinché noi ci facciamo un’idea in termini quantitativi delle dimensioni implicate, possiamo indicare che il Reddito Sociale Lordo, calcolato secondo il nostro criterio, di un paese avanzato come gli Stati Uniti supera di circa due volte l’importo delle cifre ufficiali del suo Prodotto Nazionale Lordo38.
Le cifre tradizionali della contabilità nazionale tendono, pertanto, a eliminare con un solo colpo l’importanza protagonistica che gli stadi intermedi hanno nel processo produttivo e, in concreto, il fatto incontestabile che il suo mantenimento non è garantito, ma risulta da una serie continua e contingente di decisioni concrete di carattere imprenditoriale che dipendono dai profitti contabili
38 Xxxx Xxxxxxx, nel suo The Structure of Production, op. cit., pp. 191-192, propone l’introduzione di un nuovo conto nella contabilità nazionale che si denominerebbe «gross national output», e che corrisponde al nostro Reddito Sociale Lordo. In relazione al Reddito Sociale Lordo, o «gross national output», che potrà calcolarsi per gli Stati Uniti, Xxxxxxx conclude nel modo seguente:
«First, Gross National Output (GNO) was nearly double Gross National Product (GNP), thus indicating the degree to which GNP underestimates total spending in the economy. Second, consumption represents only 34 percent of total national output, far less than what GNP figures suggest (66 percent); Third, business outlays, including intermediate inputs and gross private investment, is the largest sector of the economy, 56 percent larger than the consumer-goods industry. GNP figures suggest that the capital-goods industry represents a minuscule 14 percent of the economy.» Tutte queste cifre si riferiscono ai dati della contabilità nazionale degli Stati Uniti per il 1982. Come poi vedremo parlando del ciclo economico, le cifre tradizionali del Prodotto Nazionale Lordo hanno il gravissimo difetto teorico di occultare le importanti oscillazioni che, lungo il ciclo, si producono negli stadi intermedi del processo produttivo, e che, al contrario, saranno riassunte integralmente dalla cifra del Reddito Sociale Lordo. Cfr., ugualmente, i dati che per il 1986 diamo alla fine della nota 20 del capitolo VI. Infine, sembra che il «Commerce Department's Bureau of Economic Analysis» abbia perfino iniziato a pubblicare una serie del Reddito Sociale Lordo con il nome di «Gross Output».
attesi e dal tasso sociale di preferenza temporale o tasso di interesse. L’utilizzazione del Prodotto Nazionale Lordo comporta quasi indefettibilmente l’impressione che la produzione sia istantanea e non esiga tempo, cioè, che non esistano stadi intermedi del processo produttivo, e che la preferenza temporale sia priva di rilevanza al momento di determinare il tasso di interesse. Insomma, le dimensioni di reddito nazionale eliminano totalmente la parte più significativa e importante del processo produttivo, e inoltre la eliminano in maniera camuffata, poiché, paradossalmente e nonostante che incorpori nella sua denominazione l’aggettivo «lordo», fa sì che alla maggioranza di esperti e non esperti nella materia passi inosservata la parte più importante della struttura produttiva di ogni paese39.
Se si modificassero i conti della contabilità nazionale e si facessero veramente «lordi», includendo pertanto tutti i prodotti intermedi, si potrebbe allora seguire la pista della proporzione che rappresenta la quantità che viene spesa ogni anno in beni e servizi di consumo con quella che viene spesa in tutte le stadi intermedi. Questa proporzione viene determinata, in ultima istanza, dal tasso di preferenza temporale, che stabilisce la proporzione che esiste tra il risparmio o l’investimento lordo, e il consumo. È chiaro che man mano che la preferenza temporale diventa più ridotta e, pertanto, si genera più risparmio nella società, maggiore sarà la proporzione che rappresentano il risparmio e l’investimento lordo in relazione al consumo finale. Al contrario, un’elevata preferenza temporale significa che i tassi di interesse saranno alti, e che la proporzione tra il risparmio o l’investimento lordo e il consumo diminuirà. Un adeguato coordinamento intertemporale delle decisioni degli agenti economici in una società moderna esige che questo processo di adattamento della struttura produttiva ai distinti tassi sociali di preferenza temporale si effettui in maniera rapida ed efficiente, il che è garantito, come già abbiamo detto, proprio grazie allo spirito imprenditoriale di ricerca di profitti, che tende a eguagliarli tra uno stadio e l’altro. Se si desidera ottenere una misura statistica che, invece di occultare, nella misura del possibile getti luce su questo importante processo di coordinamento intertemporale, è necessario sostituire l’attuale computo del Prodotto
39 Come indica Xxxxxx X. Xxxxxxxx, il carattere netto che ha il Prodotto Nazionale Lordo porta, indefettibilmente, a considerare il capitale come un fondo perpetuo, che si auto-riproduce da solo senza necessità di decisioni specifiche da parte degli imprenditori. Questa è la dottrina «mitologica» che fu difesa da J.B. Xxxxx e Xxxxx X. Xxxxxx, e che costituisce la base concettuale dell’attuale sistema di contabilità nazionale, che, pertanto, non è che la rappresentazione statistica e contabile dell’erronea concettualizzazione della teoria del capitale dovuta a questi due autori. E conclude Xxxxxxxx: «to maintain this doctrine it is necessary to deny the stage analysis of production and, indeed, to deny the very influence of time in production» (Xxxxxx X. Xxxxxxxx, Man, Economy and State, op. cit., p. 343). Inoltre, l’attuale metodo di calcolo del Prodotto Nazionale Lordo esagera enormemente l’importanza che il consumo ha nell’economia, portando all’erronea impressione che la parte più importante del prodotto nazionale si materializza in beni e servizi di consumo, invece di materializzarsi in beni di investimento. Questo spiega inoltre che la maggioranza degli agenti implicati, economisti, politici, giornalisti e funzionari, hanno un’idea distorta di come funzioni l’economia e che, pensando che il settore del consumo finale sia il più importante della stessa, concludono che la miglior maniera di sviluppare economicamente un paese è stimolando il consumo e non l’investimento. Su questo aspetto si deve consultare a F.A. Xxxxx, Xxxxxx and Production, op. cit., pp. 47-49, specialmente la nota 2 della p. 48, Xxxx Xxxxxxx, The Structure of Production, op. cit., p. 190, e Xxxxxx Xxxxxxx, «The Value of 'Final Products' Counts Only Itself», The American Journal of Economics and Sociology, vol. 63, n.º 3, Xxxxx 2004, pp. 609- 625, e Capitalism, Jameson Books, Xxxxxx, Xxxxxxxx 0000, pp. 674 e ss.
Nazionale Lordo con un altro che risponda al Reddito Sociale Lordo, così come qui l’abbiamo definita40.
2
EFFETTO SULLA STRUTTURA PRODUTTIVA DELL’INCREMENTO DEL CREDITO FINANZIATO A CARICO DI UN AUMENTO PRECEDENTE DEL RISPARMIO VOLONTARIO
Le tre forme distinte di risparmio volontario
Nel presente paragrafo studieremo in dettaglio che cosa succede nella struttura produttiva quando, per qualsiasi motivo, gli agenti economici diminuiscono il loro tasso di preferenza temporale, cioè quando decidono di incrementare il proprio risparmio e la propria offerta di beni presenti. Questo può verificarsi in qualsiasi delle seguenti forme:
In primo luogo, è possibile che i capitalisti dei distinti stadi della struttura produttiva decidano, a partire da un determinato momento, di modificare la proporzione nella quale venivano reinvestite le entrate derivate dalla propria attività produttiva. Cioè, come già sappiamo, non c’è nulla che garantisca che la proporzione in cui i capitalisti di uno stadio produttivo tornino a investire le entrate che ricevono dalla stessa, sotto forma d’acquisto di beni di capitale di stadi precedenti e di contrattazione di mano d’opera e risorse della natura, si mantenga invariabile da un periodo all’altro. Può certamente accadere che, al contrario, i capitalisti decidano di incrementare la loro offerta di beni presenti. Xxxxx, decidano di investire una proporzione maggiore dei ricavi che percepiscono periodicamente nel reinvestimento sotto forma di acquisizione di servizi di beni di capitale e di fattori originari (lavoro e risorse della natura). Se è così, vedranno, a breve termine, diminuire il loro margine contabile di profitti, il che equivale, come già sappiamo, a una tendenza alla diminuzione nel tasso di interesse di mercato. Il margine dei profitti diminuisce come risultato del fatto che i costi monetari aumentano in relazione ai ricavi. E i capitalisti sono disposti ad assumere temporalmente questa diminuzione nei profitti contabili, poiché sperano con ciò di
40 Le tavole input-output in parte ovviano alle insufficienze della contabilità nazionale tradizionale, poiché permettono di calcolare l’importo corrispondente a tutti i prodotti intermedi. Tuttavia, benché l’analisi input-output si muova nella direzione corretta, ha anche limitazioni molto importanti. In concreto, raccoglie soltanto due dimensioni, nel senso che relaziona i differenti settori industriali con i fattori di produzione che direttamente si utilizzano negli stessi, ma non con i fattori di produzione che utilizzano ma che corrispondono a stadi più lontani. Cioè, l’analisi input-output non raccoglie l’insieme successivo di stadi intermedi fino a raggiungere qualsiasi stadio o bene intermedio o il bene finale di consumo, ma aggrega soltanto o relaziona ogni settore con il suo fornitore diretto. Inoltre, le tavole input-output, per il loro grande costo e complessità, si elaborano solo ogni certo numero di anni (negli Stati Uniti ogni quinquennio), per cui il valore delle sue statistiche per calcolare il Reddito Sociale Lordo di ogni esercizio è molto piccolo. Cfr. Xxxx Xxxxxxx, The Structure of Production, op. cit., pp. 4-5.
conseguire, in un futuro più o meno lontano, profitti totali maggiori di quelli che avrebbero ottenuto dal non aver modificato il loro comportamento41. Dato che il mercato nel quale si scambiano beni presenti contro beni futuri è esattamente costituito, come già sappiamo, da tutta la struttura di stadi produttivi della società, questo processo di incremento del risparmio e della sua materializzazione in nuovi investimenti, costituisce, con grande differenza, l’ambito più importante nel quale si produce l’incremento del risparmio e dell’investimento della società.
In secondo luogo, è possibile che i proprietari dei fattori originari di produzione (lavoratori e proprietari delle risorse della natura) decidano di non consumare, come stavano facendo, l’importo integro del il Reddito reddito netto sociale che percepiscono (e che nel nostro esempio del Grafico V- 1 era di settanta unità monetarie), ma, a partire da un determinato momento, decidano di ridurre il loro consumo, investendo le unità monetarie che non dedicano più all’acquisto di beni e servizi di consumo finale, negli stadi produttivi che decidano di intraprendere direttamente come capitalisti (includendo in questa categoria i membri di società cooperative). Benché sia possibile che questo procedimento si verifichi nel mercato, tuttavia la sua importanza quantitativa non è solita essere molto grande nella vita reale.
E in terzo luogo, è possibile che, non solo i proprietari dei fattori originari di produzione (lavoratori e risorse della natura), ma anche i capitalisti nella misura in cui percepiscono un reddito netto sotto forma di profitti contabili o interesse di mercato, decidano, a partire da un determinato momento, di non consumare integralmente l’importo dei loro ricavi, ma di dedicare una parte dello stesso a prestarlo ai capitalisti dei distinti stadi del processo produttivo perché intraprendano un ampliamento delle loro attività, contrattando più beni di capitale di stadi precedenti e un volume più elevato di fattori originari. Questo terzo procedimento è quello che si instaura attraverso il mercato dei crediti che, come già abbiamo indicato, e pur essendo il più visibile e appariscente nella vita economica reale, ha un’importanza secondaria e un ruolo sussidiario rispetto al mercato più generale nel quale si comprano e vendono beni presenti in cambio di beni futuri, sotto forma di autofinanziamento o reinvestimento di beni presenti che effettuano direttamente i capitalisti nei loro stadi produttivi (primo e secondo procedimenti di risparmio-investimento visti con anticipo). Questo sistema di risparmio, essendo ancora importante, è solito avere una dimensione secondaria rispetto a quella dei due primi procedimenti di aumento del risparmio che abbiamo descritto sopra, sebbene si debba riconoscere che la comunicabilità dei flussi di risparmio e investimento tra l’uno e
41 Come è logico, l’aumento sperato dei profitti è in termini assoluti e non relativi. In effetti, profitti che rappresentino, per esempio, il 10 per cento di 100 u.m. (10 u.m.) sono molto inferiori ai profitti che rappresentano l’8 per cento di 150 u.m. (12 u.m.). Anche se il tasso di interesse o tasso di profitto contabile diminuisce, esattamente come risultato della minore preferenza temporale che genera un aumento del risparmio e dell’investimento, i profitti contabili in termini assoluti crescono di un 20 per cento,cioè, da 10 a 12 u.m. Questo è quello che suole accadere negli stadi più lontani dal consumo durante il processo che stiamo considerando. Rispetto agli stadi più vicini al consumo, si deve ricordare che, come si indica nel testo principale, il paragone si effettua non con i profitti passati, ma con quelli che si stima che si sarebbero ottenuti dal non modificare la strategia di investimento imprenditoriale.
l’altro procedimento è molto grande, e di fatto entrambi i settori del «mercato del tempo» - il generale della struttura produttiva e il particolare del mercato dei crediti - si comportano come se fossero vasi comunicanti.
La contabilizzazione del risparmio canalizzato attraverso i prestiti
In relazione a uno qualsiasi di questi tre procedimenti di aumento del risparmio, dal punto di vista economico si produce sempre lo stesso fatto, ossia: un incremento nell’offerta di beni presenti da parte dei risparmiatori, che trasferiscono tali beni presenti ai proprietari delle risorse originarie e dei fattori materiali di produzione (beni di capitale) provenienti da stadi produttivi anteriori. In concreto, e in relazione con il terzo procedimento visto, le scritture contabili che si verificherebbero, seguendo lo stesso esempio contabile che esponemmo nel capitolo IV, sarebbero le seguenti:
In primo luogo, si annoterebbe una scrittura nel giornale di colui che risparmiasse e prestasse le sue risorse offrendo beni presenti, e che avverrebbe nel modo seguente:
(74) dare avere
1.000.000 Prestito concesso a Cassa 1.000.000
Come si vede, questa scrittura è l’espressione contabile del fatto che il risparmiatore offre un milione di unità monetarie di beni presenti, alle quali rinuncia perdendo totalmente la disponibilità sulle stesse, e trasferendola a un terzo, diciamo, per esempio, l’imprenditore di un determinato stadio produttivo, che riceve le unità monetarie sotto forma di prestito, e nel cui libro contabile si annoterà la seguente scrittura:
(75) dare avere
1.000.000 Cassa a Prestito ricevuto 1.000.000
Questi beni presenti che riceve l’imprenditore da un determinato stadio del processo produttivo saranno dedicati per questo ad acquisire: (1) beni di capitale degli stadi produttivi precedenti; (2) servizi del fattore lavoro; (3) risorse della natura. Grazie a questo terzo procedimento, i
risparmiatori che non desiderino implicarsi direttamente nell’attività di una qualsiasi degli stadi produttivi, possono risparmiare e investire attraverso il mercato dei crediti concordando un contratto di prestito, e producendosi un effetto che, indirettamente, in ultima istanza, è identico a quello già visto nei due primi procedimenti di incremento volontario del risparmio.
La problematica del prestito al consumo
Qualcuno potrebbe argomentare che, in certe occasioni, i prestiti non si concedono agli imprenditori degli stadi produttivi, cioè, per l’allargamento dei processi produttivi sotto forma di investimento, ma si effettuano sotto forma di prestiti al consumo dello stadio finale. In relazione con questo aspetto, dobbiamo indicare, prima di tutto, che i due primi procedimenti di incremento del risparmio già descritti escludono, per la loro propria natura, che le risorse risparmiate si dedichino al consumo. Solamente attraverso il mercato dei crediti, che, come già sappiamo, ha un’importanza secondaria e un ruolo sussidiario rispetto al mercato totale nel quale si offrono e comprano beni presenti in cambio di beni futuri, è possibile concepire il prestito al consumo. In secondo luogo, il prestito al consumo si realizza nella maggior parte dei casi per finanziare l’acquisizione di beni di consumo durevole che, come già abbiamo studiato in paragrafi precedenti42, sono equiparabili, in ultima istanza, a beni di capitale che si mantengono lungo un numero successivo di stadi produttivi finché dura la capacità del bene di consumo durevole per fornire servizi al suo proprietario. In queste circostanze, che non sono nemmeno lontanamente le più comuni in relazione al credito al consumatore, i suoi effetti economici, in quanto allo stimolo all’investimento e all’allargamento degli stadi produttivi, sono identici e indistinguibili da quelli che ha qualunque altro incremento del risparmio direttamente investito in beni di investimento di qualsiasi stadio della struttura produttiva. Pertanto, solamente un ipotetico credito al consumo destinato a finanziare la spesa corrente in beni di consumo non durevoli di un’economia domestica avrà l’effetto di aumentare in maniera immediata e direttamente il consumo corrente finale. Tuttavia, e a parte che si possa considerare di molto poca importanza il credito destinato al consumo corrente finale, se si verifica sul mercato è perché esiste nello stesso una certa domanda latente di credito da parte dei consumatori che, data la comunicabilità che esiste tra tutti i settori del mercato dei beni presenti e futuri, una volta soddisfatta questa domanda residuale di credito al consumo corrente, si libera la maggior parte delle risorse reali risparmiate per essere investite negli stadi produttivi più lontani dal consumo.
42 Cfr. le pagine 239-240 e le note 32 e 33 precedenti.
Effetti del risparmio volontario sulla struttura produttiva
Ora spiegheremo in che maniera il sistema dei prezzi e la capacità coordinatrice della funzione imprenditoriale di un mercato libero spontaneamente facciano sì che la diminuzione nel tasso sociale di preferenza temporale, e il corrispondente incremento del risparmio che questa genera, si materializzi in una modifica della struttura di stadi produttivi della società, che tende a farsi più complessa e durevole, e come conseguenza di ciò, e alla lunga, sensibilmente più produttiva. Si tratta, insomma, di spiegare uno dei processi coordinatori di maggior trascendenza che si danno in tutta l’economia. Deplorevolmente, e come risultato dell’influenza delle teorie economiche monetarista e keynesiana (che avremo l‘opportunità di studiare criticamente nel capitolo VII), questo processo è stato, durante almeno due generazioni di economisti, quasi completamente ignorato nella generalità dei libri di testo e dei programmi di studio di economia, quello che ha fatto sì che la maggioranza degli economisti di oggigiorno non conoscano il funzionamento di uno dei processi di coordinamento più importanti che ci sono in tutta l’economia di mercato43. Ai fini analitici partiamo considerando una situazione estrema che, tuttavia, viene a esserci molto utile per illustrare graficamente e comprendere meglio i processi implicati. Questa consiste nel supporre che di colpo gli agenti economici decidano di risparmiare un 25 per cento del loro reddito netto. Cioè, partendo dall’esempio grafico e numerico del paragrafo precedente, nel quale supponevamo che cento unità monetarie costituissero il reddito netto, corrispondente ai fattori originari di produzione e all’interesse che percepivano i capitalisti, e che venivano spesi interamente in beni di consumo, ora considereremo che, come conseguenza di una diminuzione nella preferenza temporale, gli agenti economici decidano di rinunciare a un 25 per cento, cioè, a una quarta parte, del consumo che stavano effettuando, risparmiando il resto e offrendo il corrispondente eccesso di beni presenti ai loro richiedenti potenziali. Una volta che si produca questo aumento del risparmio volontario, si verificano tutti in una volta tre effetti che, per la loro grande importanza, studieremo separatamente in seguito44.
43 Come alunno di economia durante la seconda metà degli anni settanta del secolo XX, potei constatare che in nessuno dei corsi di Teoria Economica mi si indicò in che modo l’incremento del risparmio colpisse la struttura produttiva, e mi si spiegò solamente il modello keynesiano del «paradosso del risparmio» che, com’è conosciuto, condanna prima facie la crescita di risparmio a livello sociale, per diminuire la domanda effettiva. Anche se è certo che Xxxxxx non si riferì espressamente alla tesi del «paradosso del risparmio», non lo è meno che questa sorge da portare fino alle sue ultime conseguenze «logiche» i principi economici da lui enunciati: «If governments should increase their spending during recessions, why should not households? If there were no principles of ‘sound finance’ for public finance, from where would such principles come for family finance? Eat, drink and be merry, for in the long-run are all dead.» Xxxxxxxx X. Xxxxx, «The Paradox of Thrift: RIP», Cato Journal, vol. 16, n.º 1 (Primavera-estate 1996), p. 125. Cfr., inoltre, quello che diremo sul trattamento di questo tema nel libro di testo di Xxxxxxxxx nella prossima nota 57.
44 A seguire Xxxxxx, il primo a esporre e risolvere questo problema, anche solo in maniera rudimentale, ma già con tutti gli elementi
essenziali di una spiegazione definitiva, fu il grande Xxxxx xxx Xxxx-Xxxxxx nel vol. II della sua opera omnia Capital e Interés, pubblicato nel 1889 (Kapital und Kapitalzins: Positive Theorie des Kapitales, op. cit., anno 1889, p. 124-125; traduzione spagnola di Edizioni Aosta, Madrid 1998). Per la sua importanza, riprodurremo di seguito il testo dell’edizione inglese di Capital and Interest nella quale Xxxx-Bawerk espone il problema che presuppone la crescita del risparmio volontario in un’economia di mercato e le
Primo: l’effetto derivato dalla disparità di profitti che sorge tra i distinti stadi produttivi
Se si produce un aumento nel risparmio della società di una quarta parte del reddito netto, è evidente che la domanda monetaria totale di beni di consumo si ridurrà nella medesima proporzione. Nel Grafico V-2 illustriamo l’effetto che questo ha sullo stadio finale del consumo e sui profitti contabili delle imprese dedicati a questo stadio.
[INSERIRE GRAFICO V-2 P. 255]
Como si vede nel Grafico V-2, prima dell’aumento del risparmio, si consumavano cento unità monetarie di reddito netto in imprese impegnate a vendere beni di consumo finale che, preventivamente, erano incorse in un totale di spese di novanta unità monetarie, ottanta unità corrispondenti all’acquisizione di beni di capitale dallo stadio immediatamente precedente, e dieci unità monetarie pagate ai fattori originari contrattati nell’ultimo stadio (lavoratori e risorse della natura). Questo determinava un profitto contabile di dieci unità monetarie, equivalente a un tasso di interesse prossimo all’11 per cento, che, come vedemmo nel paragrafo precedente, era il tasso di interesse di mercato al quale tendevano a eguagliarsi i profitti contabili di tutte gli stadi produttivi, sia di quelli più vicini sia di quelli più lontani dal consumo finale.
Perciò, supponendo ora un incremento del risparmio in un 25 per cento del reddito netto, la situazione dello stadio finale del consumo è quella che si descrive nel Grafico V-2 in relazione al momento t + 1. A partire da questo momento, subito dopo essersi prodotto l’incremento del risparmio, si osserva come la domanda monetaria di beni di consumo finale si riduca, in ogni periodo di tempo, di cento settantacinque unità monetarie. Questa diminuzione dei ricavi monetari
forze che portano nella stessa a un allargamento della struttura produttiva: supponiamo, dice Xxxx-Bawerk, che «each individual consumes, on the average, only threequarters of his income and saves the other quarter, then obviously there will be a falling off in the desire to buy consumption goods and in the demand for them. Only three-quarters as great a quantity of consumption goods as in the preceding case will become the subject of demand and of sale. If the entrepreneurs were nevertheless to continue for a time to follow the previous disposition of production and go on bringing consumption goods to the market at a rate of a full 10 million labor- years annually, the oversupply would soon depress the prices of those goods, render them unprofitable and hence induce the entrepreneurs to adjust their production to the changed demand. They will see to it that in one year only the product of 7.5 million labor-years is converted into consumption goods, be it through maturation of the first annual ring or be it through additional present production. The remaining 2.5 million labor-years left over from the current annual allotment can be used for increasing capital. And it will be so used In this way it is added to the nation’s productive credit, increases the producer’s purchasing power for productive
purposes, and so becomes the cause of an increase in the demand for production goods, which is to say intermediate products. And that demand is, in the last analysis, what induces the managers of business enterprises to invest available productive forces in desired intermediate product ... If individuals do save, then the change in demand, once more through the agency of price, forces the entrepreneurs into a changed disposition of productive forces. In that case fewer productive powers are enlisted during the course of the year for the service of the present as consumption goods, and there is a correspondingly greater quantity of productive forces tied up in the transitional stage of intermediate products. In other words, there is an increase in capital, which redounds to the benefit of an enhanced enjoyment of consumption goods in the future.» Xxxxx xxx Xxxx-Xxxxxx, Capital and Interest, vol. II: Positive Theory of Capital, op. cit., pp. 112-113 (i corsivi sono miei).
che sperimentano le imprese impegnate nello stadio finale del processo produttivo non si vede, tuttavia, accompagnata immediatamente da una diminuzione delle spese. Tutt‘al contrario, queste imprese registrano nella loro contabilità alcune spese, invariabili, di novanta unità monetarie corrispondenti, allo stesso modo in cui nel caso precedente, a ottanta unità spese in beni di capitale nello stadio precedente (macchinari, fornitori, prodotti intermedi, etc.) e dieci unità monetarie spese per pagare i fattori originari di produzione (lavoro e risorse della natura). Come conseguenza dell’aumento del risparmio si produce, pertanto, una perdita contabile nelle imprese impegnate nello stadio finale del consumo di quindici unità monetarie, che si converte in venticinque se teniamo in conto il costo di opportunità derivato dal fatto che gli imprenditori non solo soffrono la menzionata perdita contabile, ma cessano di guadagnare anche le dieci unità monetarie che percepiscono come interesse i capitali che sono investiti in altri stadi produttivi. Possiamo, pertanto, concludere che tutto l’incremento del risparmio genera importanti perdite relative o diminuzioni dei profitti contabili nelle imprese che esercitano la loro attività più vicino al consumo finale.
Tuttavia, è ora necessario ricordare come il settore del consumo fosse soltanto una parte relativamente piccola della struttura produttiva totale della società e che l’importo di unità monetarie spese nel consumo finale era soltanto una frazione del reddito lordo sociale speso in tutti gli stadi del processo produttivo. Così, il fatto che si producano perdite contabili nella stadio finale non riguarda, nell’immediato, gli stadi precedenti al consumo, che continuano a sperimentare una differenza positiva tra i loro ricavi e i loro costi pari a quella di cui beneficiavano precedentemente all’aumento del risparmio. Solamente dopo un periodo dilatato di tempo l’effetto depressivo dell’aumento del risparmio sullo stadio finale dei beni di consumo comincerà a sentirsi negli stadi più vicini a esso, facendosi più debole questa influenza negativa via via che ci «eleviamo» a stadi produttivi più lontani in termini relativi dal consumo finale. In ogni caso, la situazione dei profitti contabili degli stadi più lontani dal consumo tenderà a permanere inalterata, così come l’abbiamo riassunta in relazione al quinto stadio nel momento t nel Grafico V-2, dove osserviamo che questo stadio continua a mantenere un profitto contabile dell’11 per cento, risultato di un totale di ricavi di venti unità monetarie, di fronte a un totale di spese di diciotto unità monetarie. È evidente, pertanto, che l’incremento del risparmio dà luogo alla nascita di una gran disparità tra i profitti contabili ottenuti dalle imprese impegnate nel primo stadio dei beni di consumo e i profitti che raggiungono quelle imprese che esercitano la loro attività negli stadi più lontani dal consumo finale (nel nostro esempio, il quinto stadio della struttura produttiva). Il settore dei beni di consumo sperimenta una perdita contabile come conseguenza dell’incremento del risparmio, mentre le industrie dello stadio quinto, più lontane dal consumo, continuano a beneficiare di profitti prossimi all’11 per cento del capitale investito.
Questa disparità di profitti agisce come segnale indicatore e come incentivo affinché gli imprenditori restringano i loro investimenti negli stadi prossimi al consumo, e li dedichino ad altri stadi nei quali ancora si ottengono profitti relativamente più elevati, e che sono, date le circostanze, i più lontani dal consumo finale. Pertanto, gli imprenditori tenderanno a ritirare una parte della domanda di risorse produttive, sotto forma di beni di capitale e di fattori originari di produzione, che prima effettuavano nello stadio finale del consumo e in quelli più vicini ad esso, e la trasferiscono verso gli stadi più lontani dal consumo, dove scoprono che si può ancora ottenere, in termini comparativi, una redditività molto maggiore. Il fatto che investano o domandino più risorse produttive negli stadi più lontani dal consumo fa sì che si produca l’effetto che abbiamo registrato al momento t + 1 nella stadio quinto del Grafico V-2. In effetti, gli imprenditori del quinto stadio incorrono in un maggiore volume di spese sotto forma di investimento in fattori originari e risorse produttive che passano, quasi duplicandosi, da diciotto a 31,71 unità monetarie (21,5 sotto forma di acquisto di servizi produttivi di beni di capitale e 10,21 sotto forma di acquisizione di servizi del fattore lavoro e di risorse della natura)45. Risulta così un aumento nella produzione di beni del quinto stadio che, in termini monetari, sale da venti a 32,25, con cui si produce un profitto contabile di 0,54 unità monetarie, che sebbene in termini percentuali sia inferiore a quello che si conseguirebbe in precedenza (da un 1,70 per cento di fronte all’11 per cento precedente), in termini comparativi è un profitto molto superiore a quello che ottengono le industrie di beni di consumo finali (che, come vedemmo, stanno incorrendo in perdite assolute di 15 unità monetarie).
In conclusione, vediamo che la crescita del risparmio dà luogo a una disparità tra i tassi di profitto dei distinti stadi della struttura produttiva, che porta gli imprenditori a diminuire la produzione immediata di beni di consumo e a incrementarla negli stadi più lontani dal consumo stesso. Tende a prodursi, in questa maniera, un allargamento temporale dei processi produttivi fino a che il nuovo tasso di preferenza temporale della società o tasso di interesse, ora sensibilmente più ridotto per essere aumentato di molto il risparmio, si estende, sotto forma di differenziali tra ricavi e costi contabili in ogni stadio, in modo uguale e lungo tutta la struttura produttiva46.
È necessario segnalare che gli imprenditori del quinto stadio sono stati capaci di incrementare la loro offerta di beni presenti da diciotto unità nel momento t, a 31,71 unità nel momento t + 1, grazie al maggior risparmio e alla maggior offerta di beni presenti che si sono prodotti nella società, e che finanziano, in parte, con un incremento del proprio risparmio, cioè, investendo una parte di ciò che
45 Questi importi corrispondono all’esempio numerico riportato nel Grafico V-3 della p. 266.
46 Ciò vuol dire, pertanto, che i benefici contabili dell’ultimo stadio dedicato al consumo eventualmente tenderanno a essere
recuperati. Questo recupero si verificherà piuttosto che da un aumento dei vantaggi, da una diminuzione dei costi più che proporzionale rispetto alla diminuzione dei vantaggi frutto dell’incremento del risparmio. La diminuzione dei costi si produce per la doppia via della minore contrattazione dei servizi dei fattori originari di produzione e dalla diminuzione nel prezzo unitario dei beni di capitale acquisiti nello stadio precedente, sensibilmente più a buon mercato una volta che culminino i nuovi progetti di investimento, più produttivi e a più alta intensità di capitale.
prima percepivano sotto forma di interesse e consumavano, e in parte ricevendo nuovo risparmio dal mercato creditizio sotto forma di prestiti che si trovano interamente coperti da un aumento precedente del risparmio volontario. Cioè, l’incremento dell’investimento nel quinto stadio si materializza attraverso uno qualsiasi dei tre procedimenti che già esponemmo nel paragrafo precedente.
Inoltre, occorre segnalare che l’incremento che normalmente si produrrebbe nei prezzi dei fattori di produzione (beni di capitale, fattore lavoro e risorse della natura) come conseguenza della sua maggior domanda nel quinto stadio non dovrebbe verificarsi (salvo nel caso dei fattori di produzione più specifici). In effetti, ogni aumento della domanda di fattori produttivi negli stadi più lontani dal consumo si neutralizza o si compensa nella sua maggior parte, o perfino totalmente, grazie al parallelo incremento nell’offerta di tali risorse produttive, che si verifica quando le stesse vengono gradualmente liberate dagli stadi più vicini al consumo, che stanno conseguendo importanti perdite contabili e si vedono, pertanto, costrette a restringere le loro spese di investimento in tali fattori. Da qui la grande importanza che, per il coordinamento imprenditoriale tra gli stadi della struttura produttiva di una società immersa in un processo di aumento del risparmio e della crescita economica, ha il fatto che i corrispondenti mercati dei fattori di produzione e in special modo di quelli originari (lavoro e risorse della natura) siano molto flessibili, permettendo con un minimo di costo economico e sociale il loro trapasso graduale da alcuni stadi di produzione ad altri. Infine, è anche necessario comprendere che la diminuzione dell’investimento nel settore di beni di consumo, che tende a essere provocata dalle perdite contabili a cui dà luogo l’aumento del risparmio volontario, spiega che comincia a prodursi un certo rallentamento nell’arrivo al mercato di nuovi beni di consumo (indipendente dall’aumento negli stocks degli stessi). Questo rallentamento continuerà durante il periodo di tempo che è necessario fino a che comincia a giungere al mercato la quantità significativamente maggiore di beni di consumo che ha la propria origine nell’indubitabile maggior produttività che deriva dall’aumento della complessità e dall’allargamento del numero di stadi del processo produttivo. Si potrebbe pensare che questa diminuzione temporale nell’offerta di beni di consumo potesse dar luogo, ceteris paribus, a un incremento nel prezzo degli stessi. Tuttavia, questo aumento dei prezzi non giunge a materializzarsi, esattamente perché tale diminuzione nell’offerta si vede più che compensata dall’entrata per la diminuzione parallela nella domanda di beni di consumo, che ha la sua origine nell’aumento precedente del risparmio volontario che dal principio stiamo supponendo che si sia verificato.
Ricapitolando, l’incremento del risparmio volontario si investe nella struttura produttiva, sia sotto forma di investimenti diretti, sia attraverso crediti concessi agli imprenditori degli stadi produttivi relativamente più lontani dal consumo, crediti che hanno una copertura di risparmio volontario
reale, e che si dirigono a incrementare la domanda monetaria dei fattori originari e dei beni di capitale impiegati in detti stadi. Dato che i processi di produzione, come abbiamo visto all’inizio di questo capitolo, tendono a farsi più produttivi man mano che incorporano un maggior numero e una maggior complessità di stadi più lontani dal consumo, questa struttura con più alta intensità di capitale terminerà generando un importante incremento nella produzione finale di beni di consumo, una volta che i corrispondenti processi nuovamente intrapresi culminino e giungano temporalmente alla loro fine. Perciò la crescita del risparmio, assieme al libero esercizio della funzione imprenditoriale, è la condizione necessaria e il motore che dà impulso a ogni processo di sviluppo economico.
Secondo: l’effetto della diminuzione del tasso di interesse sul prezzo di mercato dei beni di capitale
L’incremento del risparmio volontario, cioè, dell’offerta di beni presenti, a parità di circostanze, dà luogo, come già abbiamo indicato, a una diminuzione nel tasso di interesse di mercato. Come già sappiamo, questo tasso di interesse tende a modellarsi nella differenza contabile tra ricavi e costi dei distinti stadi produttivi e si rende anche visibile nel tasso di interesse al quale si contrattano i prestiti sul mercato dei crediti. Perciò, occorre segnalare che la diminuzione del tasso di interesse al quale dà luogo ogni incremento del risparmio volontario ha un importante effetto sul valore dei beni di capitale, e in special modo sopra tutti quelli che sono utilizzati negli stadi relativamente più lontani dal consumo finale e che hanno una durata e danno un contributo maggiore al processo produttivo. Ipotizziamo un bene di capitale di lunga durata come, per esempio, l’immobile di un’impresa, un’installazione industriale, una barca o un’aeronave entrambe dedite al trasporto, un altoforno, un computer o un apparato di comunicazione di alta tecnologia, etc., che è stato prodotto e fornisce i suoi servizi in distinti stadi della struttura produttiva, tutti quanti relativamente lontani dal consumo. Quindi, il valore di mercato di questo bene di capitale tende a eguagliarsi con il valore scontato dal tasso di interesse futuro corrente delle sue rendite attese, valore scontato che aumenta via via che il tasso di interesse diventa più basso. Così, e affinché ci facciamo un’idea, una diminuzione nel tasso di interesse, motivata da un aumento del risparmio, dall’11 al 5 per cento, dà luogo al fatto che il valore attuale di un bene di capitale di durata molto lunga sarà più che doppio (il valore attuale di una rendita unitaria perpetua all’11 per cento di interesse è 1/0,11 = 9,09; e il valore attuale di una rendita perpetua al 5 per cento di interesse è uguale a 1/0,05 = 20). E se il bene capitale dura, per
esempio, vent’anni, una diminuzione nel tasso di interesse dall’11 al 5 per cento dà luogo a un aumento nel valore di mercato o capitalizzato del bene di un 56 per cento47.
Perciò, se la gente inizia a valutare meno in termini relativi i beni presenti, allora il prezzo di mercato dei beni di capitale e dei beni di consumo durevoli tenderà a incrementarsi; e tenderà a incrementarsi di più via via che la sua durata è maggiore, cioè, man mano che partecipano in un numero maggiore di stadi del processo produttivo e questi si trovano più lontano dal consumo. Così, i beni di capitale, che già si utilizzavano e sperimentano un sensibile aumento nel loro prezzo come conseguenza della diminuzione del tasso di interesse, saranno prodotti in maggior quantità, il che darà luogo a un ampliamento orizzontale nella struttura di beni di capitale (cioè, a un aumento nella produzione dei beni di capitale già esistenti). Simultaneamente, la diminuzione del tasso di interesse evidenzierà che molti processi produttivi o beni di capitale che fino ad allora non si consideravano profittevoli cominciano a esserlo e, pertanto, gli imprenditori inizieranno a intraprenderli. In effetti, molte innovazioni tecnologiche e nuovi progetti non erano intrapresi dagli imprenditori, stimando questi che il loro costo sarebbe stato superiore al loro valore di mercato (che tende a eguagliarsi al valore scontato del tasso di interesse dei rendimenti futuri di ogni bene di capitale). Tuttavia, al ridursi del tasso di interesse, quei progetti di allargamento della struttura produttiva, con nuove e più moderni stadi più lontani dal consumo, cominciano ad avere un valore di mercato più alto, che può arrivare perfino a essere superiore al suo costo di produzione, per cui interessa iniziare a intraprenderli. Pertanto, il secondo effetto della diminuzione del tasso di interesse derivata da un aumento del risparmio volontario è quello dell’approfondimento nella struttura dei beni di investimento, sotto forma di un allargamento verticale con nuovi stadi di beni di capitale, che prima non esistevano, sempre più lontani del consumo48.
L’uno e l’altro caso (ampliamento e approfondimento della struttura dei beni di capitale) si producono come conseguenza della capacità creativa e coordinatrice della funzione imprenditoriale, che è in grado di rendersi conto del fatto che sorgono opportunità di guadagno all’apparire di un margine potenziale di profitti sotto forma di differenza tra il prezzo di mercato dei beni di capitale (determinato dal valore scontato della sua rendita futura attesa che, all’abbassarsi del tasso di
47 La formula è , che corrisponde al valore attuale, in regime di capitalizzazione composta al
tasso unitario i, di una rendita immediata temporale post-pagabile di n periodi, quando il periodo di capitalizzazione coincide con quello della rendita. Come si osserva, man mano che il periodo n diventa maggiore, e tende a farsi infinito, il valore della rendita tenderà a essere uguale a 1/i che, come regola mnemotecnica, nella pratica è applicabile in tutti quei casi di beni di capitale di durata molto lunga (e, per la sua permanenza, nel fattore terra). Cfr. Xxxxxxx Xxx Xxxxxx, Tablas financieras, estadísticas y actuariales, 6.ª edizione corretta e ampliata, Editorial Dossat, Madrid 1977, pp. 205-237.
48 Occorre tenere conto che le innovazioni tecnologiche che aumentano la produttività (sotto forma di una maggior quantità e/o
qualità di beni e servizi) diminuendo la lunghezza dei processi produttivi, si introdurranno in ogni caso, indipendentemente dal fatto che aumenti il risparmio netto della società. Ciò che lo rende possibile è l’introduzione di nuove tecnologie che marginalmente non si possono applicare per mancanza di risorse.
interesse, si eleva sensibilmente) e il costo necessario per produrli (costo che permane inalterato, o che perfino diminuisce, data la maggiore offerta nel mercato dei fattori originari di produzione provenienti dallo stadio di consumo finale, che per cominciare si contrae all’aumentare del risparmio).
Si comprende ora come questo secondo effetto produca anche un allargamento della struttura dei beni di capitale, come ugualmente accadeva in relazione al primo effetto che abbiamo studiato prima.
La fluttuazione nel valore dei beni di capitale, che è il risultato delle variazioni del risparmio e del tasso di interesse, tende a trasferirsi, ugualmente, ai titoli rappresentativi degli stessi e, pertanto, ai mercati secondari in cui questi si scambiano e si negoziano. Così, un incremento del risparmio volontario, che induce una diminuzione nel tasso di interesse, farà salire in maggior misura il prezzo delle azioni delle imprese degli stadi di beni di capitale più lontani del consumo e, in generale, di tutti i titoli rappresentativi di beni di capitale. Solamente i titoli rappresentativi della proprietà delle imprese più vicine al consumo vedranno temporalmente abbassarsi, in termini relativi, le loro quotazioni, come conseguenza dell’immediato impatto negativo che ha la diminuzione nella domanda di beni di consumo generata dall’aumento del risparmio. Vediamo così come, contro l’opinione più popolare, e in assenza di altre distorsioni di tipo monetario che qui non abbiamo ancora supposto che si producano, la Borsa non ha motivo di riflettere principalmente i profitti delle imprese. Al contrario, i profitti contabili delle imprese dei distinti stadi tendono a eguagliarsi con il tasso di interesse, per cui è in un contesto di risparmio elevato, e bassi profitti relativi, cioè, con un tasso di interesse ridotto, dove si produrrà una maggior crescita del valore in Borsa dei titoli rappresentativi dei beni di capitale, essendo più elevato il prezzo borsistico dei titoli man mano che i corrispondenti beni di capitale si trovano più lontano dal consumo finale49. Al contrario, una crescita dei profitti contabili relativi lungo tutta la struttura produttiva, e pertanto del tasso di interesse di mercato, darà luogo, a parità di circostanze, a una diminuzione nel valore dei titoli e, pertanto, a una caduta del loro valore in Borsa. Si spiegano così, dal punto di vista teorico, molte reazioni generali della Borsa che il volgo, e anche molti esperti in economia, non sono in grado di comprendere, applicando unicamente ed esclusivamente l’ingenua teoria secondo cui la Borsa deve essere soltanto un automatico e fedele riflesso del livello raggiunto per fasi dai profitti contabili
49 Il tetto nelle quotazioni si raggiungerà quando si esaurirà l’effetto della riduzione del tasso di interesse e verrà compensato dal maggior numero e volume di emissioni nel mercato primario di azioni e obbligazioni, che farà sì che il prezzo di mercato per titolo tenda a stabilizzarsi a un livello più ridotto. Nel prossimo capitolo vedremo come tutta l’euforia borsistica continuata e, in generale, tutto l’aumento sostenuto e costante degli indici borsistici, lungi dal manifestare una buona situazione economica soggiacente, risulti da un processo inflazionistico di espansione creditizia che presto o tardi darà luogo a una crisi borsistica e a una recessione economica.
indiscriminati di tutte le imprese del processo produttivo, e senza tenere conto per nulla dell’evoluzione del tasso sociale di preferenza temporale.
Terzo: il cosiddetto «Effetto Xxxxxxx»
Un effetto di grande rilevanza che ha ogni incremento del risparmio volontario è quello che esso produce, da subito, sul livello dei salari reali. Se osserviamo di nuovo nel nostro esempio del Grafico V-2 come la domanda monetaria di beni di consumo, in conseguenza dell’incremento del risparmio, si riduca in una quarta parte (da cento unità monetarie a settantacinque), comprenderemo facilmente perché, in generale, quando si produce un aumento del risparmio, i prezzi dei beni di consumo finale tendano a sperimentare una riduzione50. E se, come è solito accadere, per cominciare si mantengono costanti in termini nominali i salari o redditi del fattore originario lavoro, al diminuire del prezzo dei beni di consumo finale si produrrà un aumento nel salario reale dei lavoratori impiegati in tutti gli stadi della struttura produttiva. Questi, con i medesimi redditi monetari in termini nominali, potranno acquisire, ai nuovi prezzi più ridotti dei beni di consumo, una quantità e una qualità maggiore di beni e servizi finali di consumo.
Questo aumento dei salari reali che risulta dall’incremento del risparmio volontario fa sì che, in termini relativi, sia interessante, per gli imprenditori di tutti gli stadi del processo produttivo, sostituire mano d’opera con beni di capitale. O, espresso in altro modo, l’incremento del risparmio volontario, conducendo all’aumento dei salari reali, stabilisce una tendenza in tutto il sistema economico che porta ad allargare gli stadi della struttura produttiva, rendendoli più intensivi di capitale. Si tratta del fatto che ora è più interessante per gli imprenditori utilizzare, in termini relativi, più beni di capitale che mano d’opera, il che costituisce un terzo e poderoso effetto addizionale tendente all’allargamento degli stadi della struttura produttiva che si aggiunge e si sovrappone ai due effetti enunciati in precedenza.
Il primo, nel riferirsi esplicitamente a questo terzo effetto che abbiamo or ora commentato, fu Xxxxx Xxxxxxx nei suoi Principi di economia politica e tassazione, la cui prima edizione si pubblicò nel 1817 e dove Xxxxxxx conclude che «every rise of wages, therefore, or, which is the same thing, every fall of profits, would lower the relative value of those commodities which were produced with a capital of a durable nature, and would proportionally elevate those which were produced with
50 Come indica Xxxxx, questa riduzione può impiegare qualche tempo, dipendendo dalla rigidità di ogni mercato e, in ogni caso, sarà meno che proporzionale rispetto alla diminuzione della domanda che comporta il risparmio, poiché se così non fosse, ciò non implicherebbe nessun sacrificio effettivo e non resterebbe che vendere gli stocks di beni di consumo che sono necessari per mantenere gli agenti economici finché culminano i processi con più alta intensità di capitale. Cfr. F.A. Xxxxx, «Reflections on the Pure Theory of Money of Mr. J.M. Xxxxxx (continued)», Economica, vol. 12, nº 35, Febbraio del 1932, pp. 22-44, rieditato in Contra Keynes y Cambridge: Ensayos, correspondencia, vol. IX di Obras Completas de F.A. Hayek, Unión Editorial, Madrid 1996, pp. 201- 202.
capital more perishable. A fall of wages would have precisely the contrary effect»51. E nella famosa appendice «Sul macchinario», che fu aggiunta nella terza edizione del 1821, Xxxxxxx conclude che
«machinery and labour are in constant competition, and the former can frequently not be employed until labour rises»52.
La stessa idea fu dopo recuperata e profusamente utilizzata da F.A. Xxxxx a partire dal 1939 nei suoi lavori sui cicli economici, e noi, per la prima volta, la utilizziamo qui per spiegare gli effetti che ha l’aumento del risparmio volontario sulla struttura produttiva, e per snaturare le teorie che si sono elaborate sul cosiddetto «paradosso del risparmio» e i suoi supposti effetti negativi sulla domanda effettiva. Xxxxx spiega in modo molto conciso l’«Effetto Xxxxxxx» dicendo che «with high real wages and a low rate of profit investment will take highly capitalistic forms: entrepreneurs will try to meet the high costs of labour by introducing very labour-saving machinery— the kind of machinery which it will be profitable to use only at a very low rate of profit and interest»53.
51 Cfr., Xxxxx Xxxxxxx, On the Principles of Political Economy and Taxation, vol. I di The Works and Correspondence of Xxxxx Xxxxxxx, Xxxxx Xxxxxx y M.H. Xxxx (eds.), Cambridge University Press, Cambridge 1982, pp. 39-40. La traduzione in spagnolo di questa citazione potrebbe essere: «cada aumento de los salarios o, lo que es lo mismo, cada reducción de los beneficios, menguaría el valor relativo de los bienes producidos con un capital de índole durable, y elevaría proporcionalmente los producidos con capital más perecedero. Una reducción de salarios ocasionaría exactamente el efecto contrario.» Xxxxx Xxxxxxx, Principios de economía política y tributación, tradotti da X. Xxxx, X. Xxxxx y X. Xxxxxxx, Fondo de Cultura Económica, México 1973, p. 30. Esiste una traduzione, molto migliore, dovuta a Xxxxxxxx Xxxxxx Xxxxxxx, Xxxxx Xxxxxxx, Principios de economía política y tributación, Seminarios y Ediciones, S.A., Madrid 1973, p. 42. Per ultimo, è appena stata pubblicata un’altra edizione, tradotta da Paloma de la Nuez e Xxxxxx Xxxxxxxxx Xxxxx, con uno studio preliminare di Xxxx Xxxxxx, Xxxxx Xxxxxxx, Principios de economía política y tributación, Ediciones Pirámide, Madrid 2003. Mentre la traduzione in italiano potrebbe essere: «ogni aumento dei salari o, ciò che è lo stesso, ogni diminuzione dei profitti, ridurrebbe il valore relativo dei beni prodotti con un capitale di natura durevole, e aumenterebbe proporzionalmente i prodotti con capitale più deperibile. Una riduzione dei salari avrebbe esattamente l’effetto contrario». Xxxxx Xxxxxxx, Principi di economia politica e delle imposte, tradotti da P.L. Porta UTET 1986, p. 194.
52 Cfr. Xxxxx Xxxxxxx, On the Principles of Political Economy and Taxation, op. cit., p. 395. La traduzione in spagnolo è: «La
maquinaria y la mano de obra están en competencia constante, y la primera puede frecuentemente no ser empleada hasta que suba la mano de obra». Xxxxx Xxxxxxx, Principios de economía política y tributación, op. cit., p. 294 (p. 330 dell’edizione citata da Xxxxxxxx Xxxxxx Xxxxxxx). La traduzione in italiano è: «Il macchinario e la mano d’opera sono in costante concorrenza, e il primo può spesso non essere impiegato fino a che la mano d’opera non rincari». Xxxxx Xxxxxxx, Principi di economia politica e dell’imposta, op. cit. p.522.
53 Si veda F.A. Xxxxx, ‘Profits, Interest and Investment’ and Other Essays on the Theory of Industrial Fluctuations, Routledge,
Londra 1939 y Xxxxxxxx X. Xxxxxx, Xxxxxxx 1975, p. 39. La citazione del testo può tradursi nella maniera seguente: «Con alti salari reali e con un ridotto tasso di profitto l’investimento si materializza in forme molto intensive di capitale: gli imprenditori tenteranno di far fronte agli alti costi del fattore lavoro introducendo nuovo capitale immobilizzato che permetta loro di contrattare meno fattore lavoro - la tipologia di macchinari che è profittevole usare solamente quando esiste un tasso molto ridotto di profitto e di interesse». Poco dopo, nel 1941, F.A. Xxxxx en passant menziona questo effetto senza citare espressamente Xxxxxxx in relazione agli effetti dell’incremento del risparmio volontario sulla struttura produttiva. Si tratta dell’unica applicazione diretta che conosco dell’«Effetto Xxxxxxx» all’analisi delle conseguenze dell’aumento del risparmio volontario, e non al ruolo che ha questo effetto nei distinte stadi del ciclo economico, e che è quello che in maniera predominante fino ad ora ha preoccupato i teorici. La citazione in questione si trova nella p. 293 di The Pure Theory of Capital, pubblicata da Macmillan, Londra 1941, e rieditata successive volte dopo (noi lavoriamo con la riedizione di Routledge del 1976) e dice così: «The fall in the rate of interest may drive up the price of labour to such an extent as to enforce an extensive subsitution of machinery for labour.» In seguito Xxxxx tornò sul particolare in un suo articolo «The Xxxxxxx Effect», publicado en Economica, vol. 34, n.º 9, maggio del 1942, pp. 127-152, rieditato come capitolo XI di Individualism and Economic Order, The University of Chicago Press, Chicago 1948, pp. 220-254. E di nuovo trenta anni dopo in un suo articolo «Three Elucidations of the Xxxxxxx Effect», pubblicato nel Journal of Political Economy, vol. 77, n.º 2, 1979, e rieditato come capitolo XI del libro New Studies in Philosophy, Politics, Economics and the History of Ideas, Routledge & Xxxxx Xxxx, Londra 1978, pp. 165-178. Recentemente Xxxx Xxxxx ha riconosciuto che la sua critica dell’«Effetto Xxxxxxx» inclusa nella sua opera Economic Theory in Retrospect (Cambridge University Press, Cambridge 1978, pp. 571-577) si basava su un errore di interpretazione rispetto al carattere ipoteticamente estatico dell’analisi hayekiana. Si veda l’articolo di Xxxx Xxxxx titolato «Hayek Revisited», pubblicato in Critical Review, vol 7, n.º 1, inverno del 1993, pp. 51-60, e specialmente la nota 5 delle pp. 59-60. Xxxxx riconosce che si rese conto del suo errore grazie all’articolo di Xxxxxxxx X. Xxxx e Xxxxx X. Xxxxxx, «Xxxxx’x Xxxxxxx Effect: A Second Look», History of Political Economy, 18, n.º 4, inverno del 1986, pp. 545-565. Da parte sua, Xxxxxx xxx Xxxxx (Human Action, op. cit., pp. 773-777) ha criticato l’utilizzazione dell’Effetto Xxxxxxx per giustificare un incremento forzato dei salari per via
L’«Effetto Xxxxxxx» è, quindi, una terza ragione di natura microeconomica che spiega perché gli imprenditori reagiscano davanti a un aumento del risparmio volontario incrementando la loro domanda di beni di capitale e investendo in nuovi stadi più lontani dal consumo finale. È importante non dimenticare che tutto l’incremento del risparmio volontario e dell’investimento genera sempre da subito una riduzione nella produzione di nuovi beni e servizi di consumo in relazione con il potenziale massimo che a breve termine si potrà raggiungere se non si detraessero fattori produttivi dagli stadi più vicini al consumo finale. Questa riduzione compie la funzione di liberare i fattori produttivi che sono necessari per allargare gli stadi di beni di capitale più lontani dal consumo54. Inoltre, i beni e servizi di consumo che rimangono invenduti come conseguenza dell’aumento del risparmio volontario giocano un ruolo molto somigliante a quello che aveva l’accumulazione di more nel nostro esempio di Xxxxxxxx Xxxxxx, e che permisero di sostentarlo durante il numero di giorni che richiese la produzione del suo bene di capitale (la pertica di legno), periodo di tempo durante il quale non poté dedicarsi a raccogliere more «a mano». In un’economia moderna, i beni e servizi di consumo che rimangono invenduti quando il risparmio aumenta, giocano l’importante ruolo di rendere possibile il mantenimento dei diversi agenti economici (lavoratori, proprietari delle risorse della natura e capitalisti) nei periodi di tempo seguenti nei quali, come conseguenza dell’appena iniziato allargamento della struttura produttiva, forzatamente si deve produrre un rallentamento nell’arrivo di nuovi beni e servizi di consumo al mercato. Questo «rallentamento» dovrà durare finché non possano culminare e termino tutti i nuovi processi a maggiore intensità di capitale che sono stati cominciati. Se non fosse per questi beni e servizi di consumo invenduti grazie al risparmio, la diminuzione temporale nell’offerta di nuovi beni di consumo che fluiscono al mercato darebbe luogo a una crescita importante dei suoi prezzi e all’apparizione di difficoltà nel loro approvvigionamento55.
Conclusione: la nascita di una nuova struttura produttiva a maggiore intensità di capitale
sindacale o governativa, con il desiderio di aumentare l’investimento in beni immobili, giungendo alla conclusione che tale politica produrrebbe solo disoccupazione e una cattiva allocazione delle risorse nella struttura produttiva, in quanto non ha la sua origine in un aumento del risparmio volontario della società, ma nella semplice imposizione coattiva di salari artificialmente alti. Nello stesso senso si colloca Xxxxxx X. Xxxxxxxx in Man, Economy and State, op. cit., pp. 631-632. E anche F.A. Xxxxx in The Pure Theory of Capital (op. cit., p. 347), dove conclude che una crescita dei salari coattivamente imposta dà luogo, non solo a un aumento della disoccupazione e a una diminuzione del risparmio, ma anche a un consumo generalizzato del capitale che si combina con un allargamento e un restringimento artificiale degli stadi della struttura produttiva.
54 Cfr. F.A. Xxxxx, The Pure Theory of Capital, op. cit., p. 256.
55 Proprio dalle parole di Xxxxx: «All that happens is that at the earlier date the savers consume less than they obtain from current production and at the later date (when current production of consumers’ goods has decreased and additional capital goods are turned out) they are able to consume more consumers’ goods than they get from current production». F.A. Xxxxx, The Pure Theory of Capital, op. cit., p. 275. Si ricordi, inoltre, il contenuto della nota 13 sopra.
Come conseguenza della combinazione dei tre effetti che abbiamo appena studiato e che vengono stimolati dal processo imprenditoriale di ricerca dei profitti, tenderà a prodursi una nuova struttura di stadi di beni di capitale più «stretta» e più «allargata». Inoltre, il differenziale tra ricavi e costi di ogni stadio, che costituisce il profitto contabile o tasso di interesse, tenderà a eguagliarsi lungo tutti gli stadi della nuova struttura produttiva a un livello più ridotto (come naturalmente corrisponde a un maggior volume di risparmio e a un tasso sociale di preferenza temporale più basso). La struttura produttiva avrà, pertanto, una forma molto somigliante a quella a cui ricorriamo nel Grafico V-3.
Nel Grafico V-3 vediamo come il consumo finale si sia ridotto a settantacinque unità monetarie. Questa riduzione ha colpito anche il valore del prodotto del secondo stadio, che è quello superiore o precedente più vicino al consumo, e che è diminuito da ottanta unità monetarie nel Grafico V-1 a 64,25 u.m. nel Grafico V-3. E si produce anche una riduzione nel terzo stadio, sebbene ora già proporzionalmente minore, da sessanta a 53,5 unità monetarie. Tuttavia, a partire dal quarto stadio e dai successivi più lontani dal consumo, la domanda delle stesse in termini monetari è aumentata.
GRAFICO V-3 P. 266
Prima leggermente, nel quarto stadio, da 40 a 42,75 u.m., e poi in maniera proporzionalmente molto maggiore nel quinto stadio, che cresce da 20 a 32,25 unità monetarie, come vediamo nel Grafico V-
2. Inoltre, appaiono due nuovi stadi nella parte più lontana dal consumo, il sesto e settimo stadio,
che prima non esistevano.
Dopo che sono stati prodotti tutti gli aggiustamenti necessari, il tasso di profitto dei differenti stadi tende a eguagliarsi a un livello sensibilmente più basso di quello del Grafico V-1. Questo fenomeno è conseguenza dell’incremento del fatto che il risparmio volontario genera un tasso di interesse di mercato più ridotto verso il quale tende il tasso di profitto contabile di ogni stadio (nel nostro esempio, prossimo all’1,70 per cento annuale). In quanto al reddito netto che ricevono i fattori originari di produzione (lavoro e risorse della natura) e il tasso di interesse o differenziale netto che percepiscono i capitalisti di ogni stadio, resta stabilita in settantacinque unità monetarie, e coincide con il reddito monetario che si spende in beni e servizi di consumo. È necessario mettere in risalto che benché si spendano in beni e servizi di consumo solo settantacinque unità monetarie, cioè, venticinque unità meno che nel Grafico V-1, una volta che si siano culminati tutti i nuovi processi produttivi, aumenterà molto in termini reali la produzione di nuovi beni e servizi di consumo finali. Questo è così perché i processi produttivi, man mano che si fanno con più alta intensità di capitale, tendono a farsi anche, valga la ripetizione, più produttivi. E come una maggior produzione in termini reali di beni e servizi di consumo può solo essere venduta in cambio di un numero totale di
unità monetarie inferiore (nel nostro esempio 75), nel caso in cui il prezzo unitario dei nuovi beni e servizi che arrivano al mercato diminuisca molto significativamente, si verifica un incremento in termini reali molto importante dei redditi dei fattori originari di produzione, e in concreto dei salari e del livello di vita dei lavoratori.
Nelle Tabelle V-3 e V-4 riassumiamo tanto l’offerta e la domanda di beni presenti, quanto la composizione del reddito sociale lordo dell’esercizio una volta che si sono prodotti tutti gli aggiustamenti provocati dall’incremento del risparmio volontario. Come vediamo, l’offerta e la domanda di beni presenti rimane stabilita in 295 unità monetarie, cioè, venticinque unità monetarie in più che nel caso della Tabella V-1, poiché il risparmio e l’investimento lordi crescono, precisamente, nel risparmio netto addizionale di venticinque unità monetarie che con carattere volontario si produsse rispetto al caso precedente del Grafico V-1. Tuttavia, e come si osserva nella Tabella V-4, il Reddito Sociale Lordo dell’esercizio permane inalterato in 370 unità monetarie, delle quali 75 u.m. corrispondono alla domanda finale di beni di consumo e 295 u.m. all’offerta totale di beni presenti. Cioè, benché il Reddito Sociale Lordo in termini monetari sia identico a quello del caso precedente, si distribuisce ora in una maniera radicalmente diversa: ossia, lungo una struttura produttiva più stretta e allargata, cioè, a maggiore intensità di capitale e con un numero di stadi maggiore.
La diversa distribuzione dello stesso Reddito Sociale Lordo in termini monetari nell’una e nell’altra struttura produttiva può apprezzarsi meglio nel Grafico V-4.
[TABELLA V-3 P. 268]
TABELLA V-4
REDDITO LORDO E REDDITO NETTO DELL’ESERCIZIO
Reddito Lordo dell’Esercizio
75 u.m. di consumo finale + 295 u.m. di offerta totale di beni presenti (Risparmio e Investimento lordi in dettaglio della Tabella V-3)
(Nota: il risparmio e l’investimento crescono di 25 u.m., passando da 270 a 295, e il consumo decresce di 25 u.m., passando da 100 a 75)
Totale Reddito Lordo: 370 u.m.
Reddito Netto dell’Esercizio
a) Reddito Netto dei | Capitalisti 1ª stadio: | 75,00 - 73,75: | = | 1,25 |
Capitalisti | Capitalisti 2ª stadio: | 64,25 - 63,18: | = | 1,07 |
(profitto o interesse | Capitalisti 3ª stadio: | 53,50 - 52,61: | = | 0,89 |
di ogni stadio) | Capitalisti 4ª stadio: | 42,75 - 42,04: | = | 0,71 |
Capitalisti 5ª stadio: | 32,25 - 31,71: | = | 0,54 | |
Capitalisti 6ª stadio: | 21,50 - 21,14: | = | 0,39 | |
Capitalisti 7ª stadio: | 10,75 - 10,57: | = | 0,18 |
Totale dei profitti contabili, (interesse) o reddito netto dei
capitalisti di ogni stadio: 5,00 u.m.
b) Reddito Netto dei | Proveniente dalla 1ª stadio: | 9,50 |
Fattori originari | Proveniente dalla 2ª stadio: | 9,68 |
(lavoro e risorse | Proveniente dalla 3ª stadio: | 9,86 |
Naturali) | Proveniente dalla 4ª stadio: | 9,79 |
Proveniente dalla 5ª stadio: | 10,21 | |
Proveniente dalla 6ª stadio: | 10,39 |
Proveniente dalla 7ª stadio:
10,59
Totale reddito netto dei
fattori originari:
70,00 u.m.
Totale Reddito Netto = Totale Consumo= 75,00 u.m.
CONCLUSIONE: Il Reddito Lordo dell’Esercizio è uguale a 4,9 volte la Reddito Netto
[GRAFICO V-4 P. 270]
In questo Grafico V-4 si visualizza l’impatto, sulla struttura produttiva, dell’incremento del risparmio netto volontario in 25 unità monetarie, che risulta semplicemente dal sovrapporre il Grafico V-1 (in tratto grosso) sul Grafico V-3 (che va in tratto ombreggiato). Si constata così che, come conseguenza dell’aumento volontario del risparmio, si producono i seguenti effetti:
Primo: un approfondimento nella struttura dei beni di capitale, che si manifesta nell’«allargamento» verticale della struttura produttiva con nuovi stadi (nel nostro esempio, gli stadi sesto e settimo che prima non esistevano).
Secondo: un restringimento nella struttura dei beni di capitale, che si materializza nell’ampliamento degli stadi già esistenti (come succede negli stadi quarto o e quinto).
Terzo: un restringimento relativo negli stadi dei beni di capitale più vicini al consumo.
E quarto, e in relazione allo stadio finale di beni e servizi di consumo, si produce, in un primo momento, una diminuzione del consumo in termini monetari, dovuta all’incremento del risparmio volontario. Tuttavia, quando si culmina l’allargamento della struttura produttiva, si verifica, come già abbiamo spiegato, un grande aumento reale nella produzione di beni e servizi di consumo che, dovendosi vendere a una domanda monetaria più ridotta, dà luogo, per la combinazione di questi due effetti diretti nello stesso senso, a una diminuzione molto significativa dei prezzi di mercato dei beni di consumo che, in ultima istanza, rende possibile un’importante crescita in termini reali dei salari e, in generale, di tutte i redditi dei fattori originari di produzione56.
56 Le precedenti considerazioni evidenziano di nuovo fino a che punto le statistiche tradizionali del reddito nazionale e le misure della loro crescita siano teoricamente insufficienti. Già abbiamo indicato che il reddito nazionale omette il reddito lordo sociale e tende a esagerare l’importanza del consumo a detrimento degli stadi intermedi del processo produttivo. Adesso possiamo aggiungere che le misurazioni statistiche della crescita economica e dell’evoluzione dell’indice dei prezzi si trovano ugualmente distorti dall’essere basate fondamentalmente sullo stadio finale del consumo. Così, è facile rendersi conto di come, negli stadi iniziali del processo che inizia quando aumenta il risparmio volontario, si arrivi a raccogliere statisticamente una diminuzione nella crescita economica. In effetti, di fatto accade che in molte occasioni i beni finali di consumo e di investimento da subito diminuiscono, senza che le statistiche della contabilità nazionale raccolgano il parallelo incremento dell’investimento negli stadi più lontani dal consumo,
Insomma, osserviamo che, anche se non si è prodotta diminuzione alcuna nell’offerta monetaria (e in questo senso, non si è prodotto, in termini stretti, nessun fenomeno esterno di deflazione), e nemmeno si è verificato un incremento nella domanda di moneta, supponendo pertanto l’una e l’altro costanti, si produce una discesa generale nel prezzo di beni e servizi di consumo che ha la sua origine, unicamente ed esclusivamente, nell’aumento del risparmio e nell’incremento della produttività che dà luogo a una struttura produttiva a maggiore intensità di capitale. Tutto ciò provoca, inoltre, un’importante crescita dei salari in termini reali, poiché, anche se nominalmente mantengono il loro valore, o perfino si riducono di qualcosa, permettono di acquisire una quantità e una qualità crescente di beni e servizi di consumo: la diminuzione nel prezzo di questi beni è proporzionalmente molto maggiore di quella che può prodursi in relazione con i salari. Questo è, insomma, il processo di crescita e sviluppo economico più sano e sostenuto che è possibile concepire, cioè, con meno sconvolgimenti, tensioni e conflitti dal punto di vista economico e sociale, e che storicamente si è verificato in diverse occasioni, così come hanno evidenziato gli studi più risolutivi57.
La soluzione teorica del «paradosso del risparmio»58
la creazione di nuovi stadi, né molto meno l’aumento dell’investimento in prodotti intermedi non finali, stocks e inventari di capitale circolante. Inoltre, l‘indice dei prezzi al consumo sperimenterà una diminuzione, poiché raccoglie unicamente l’effetto della minore domanda monetaria negli stadi dei beni di consumo, senza che si raccolga adeguatamente in un indice la crescita dei prezzi negli stadi più lontani dal consumo. Tutto questo porta al fatto che l’interpretazione popolare di questi fatti economici avanzata dai differenti agenti (politici, giornalisti, leader sindacali e imprenditoriali) sulla base di queste misure statistiche della contabilità nazionale sia molte volte erronea. F.A. Xxxxx, nell’ultima parte del suo articolo su «The Xxxxxxx Effect» (Individualism and Economic Order, op. cit., pp. 251-254), descrive in dettaglio le enormi difficoltà statistiche esistenti per raccogliere per mezzo della Contabilità Nazionale gli effetti che sulla struttura produttiva ha un incremento del risparmio volontario e, in concreto, l’influenza dell’«Effetto Xxxxxxx» in questo caso. Più recentemente, e nel suo discorso di ricezione del Premio Nobel, F.A. Xxxxx ci mise ugualmente in guardia contro la consuetudine molto estesa di accettare come certe teorie false per il mero fatto che, apparentemente, si trovava un riscontro empirico per le stesse, rifiutando, e perfino ignorando, le spiegazioni teoriche corrette per il semplice fatto di essere molto difficile, dal punto di vista tecnico, ricompilare l’informazione statistica necessaria per confermarle. Questo è precisamente ciò che accade nel campo dell’applicazione della Contabilità Nazionale al processo di estensione e approfondimento degli stadi della struttura produttiva più lontani dal consumo, che nasce sempre in conseguenza di un incremento del risparmio volontario. Cfr. «The Pretence of Knowledge», Nobel Memorial Lecture, pronunciato l’11 di novembre del 1974 e rieditato in The American Economic Review, dicembre del 1989, pp. 3-7.
57 Così, tra gli altri, Xxxxxx Xxxxxxxx e Xxxx X. Xxxxxxxx, riferendosi al periodo dal 1865 al 1879 negli Stati Uniti, nel quale
praticamente non si produsse un incremento nell’offerta di moneta, concludono che: «The price level fell to half its initial level in the course of less than fifteen years and, at the same time, economic growth proceeded at a rapid rate ... Their coincidence casts serious doubts on the validity of the now widely held view that secular price deflation and rapid economic growth are incompatible». Xxxxxx Xxxxxxxx y Xxxx X. Xxxxxxxx, A Monetary History of the United States 1867-1960, Xxxxxxxxx Xxxxxxxxxx Xxxxx, Xxxxxxxxx 0000, p. 15, e anche l’importante tabella statistica della p. 30. E Xxxxxx Xxxxxxxx, riferendosi al periodo 1875-1885 in Inghilterra affermò che
«It is doubtful whether the last ten years, which are regarded as years of depression, but in which there have been few violent movements of prices, have not, on the whole, conduced more to solid progress and true happiness than the alternations of feverish activity and painful retrogression which have characterised every preceding decade of this century. In fact, I regard violent fluctuations of prices as a much greater evil than a gradual fall of prices.» Xxxxxx Xxxxxxxx, Official Papers, Macmillan, Londra 1926, p. 9 (i corsivi sono miei). Infine, si deve consultare Xxxxxx A. Xxxxxx, Less Than Zero: The Case for a Falling Price Level in a Growing Economy, Institute of Economic Affairs (I.E.A.), Londra 1997.
58 L’essenza dell’argomento contro la tesi che il risparmio pregiudica lo sviluppo economico e che è necessario stimolare il consumo
per dare impulso alla crescita, fu esposto in maniera molto brillante e sintetica da Xxxxx nel 1932 quando evidenziò che è una contraddizione logica pensare che l’aumento del consumo si materializzi in un incremento dell’investimento, poiché questa può solo essere aumentata grazie a un incremento del risparmio che deve sempre andare a detrimento del consumo. Xxxxxxx come lo spiega proprio con le sue parole: «Money spent today on consumption goods does not immediately increase the purchasing power of those who produce for the future; in fact, it actually competes with their demand and their purchasing power is determined not by current
La Nostra analisi ci ha anche permesso di trovare soluzione ai problemi posti dall’ipotetico dilemma o paradosso del risparmio o della frugalità, in virtù del quale, benché il risparmio individuale sia qualcosa di positivo nel senso che permette di incrementare il reddito, socialmente, al diminuire della domanda aggregata di beni di consumo, finirà per colpire negativamente l’investimento e la produzione59. Noi, al contrario, abbiamo dato gli argomenti teorici in forza dei quali questa interpretazione basata sul vecchio mito del sotto consumo è erronea. In effetti, abbiamo dimostrato come, con lo stesso reddito sociale lordo e anche se diminuisce la domanda monetaria di beni di consumo, la società cresce e si sviluppa incrementando i salari reali. Abbiamo anche dimostrato come, in assenza di interventi statali e di incrementi dell’offerta monetaria, esista una forza poderosissima nel mercato che, stimolata dal desiderio di lucro dell’imprenditorialità, fa sì che la struttura produttiva si allarghi e diventi sempre più complessa. Insomma, nonostante la diminuzione relativa che inizialmente si produce nella domanda di beni di consumo come conseguenza del
but by past prices of consumer goods. This is so because the alternative always exists of investing the available productive resources for a longer or a shorter period of time. All those who tacitly assume that the demand for capital goods changes in proportion to the demand for consumer goods ignore the fact that it is impossible to consume more and yet simultaneously to defer consumption with the aim of increasing the stock of intermediate products.» F.A. Hayek, «Capital Consumption», traduzione in inglese dell’articolo precedentemente pubblicato con il titolo tedesco di «Kapitalaufzehrung», en el Weltwirtschaftliches Archiv, n.º 36, II, 1932, pp. 86- 108, la cui edizione inglese appare come il capitolo VI en Money, Capital and Fluctuations: Early Essays, The Univesity of Chicago Press, Chicago 1984, pp. 141-142 (i corsivi sono miei). Proprio Xxxxx ci ricorda che questo principio tanto elementare venne già enunciato da Xxxx Xxxxxx Xxxx che, nella sua quarta proposizione relativa al capitale, stabiliva che: «demand for commodities is not demand for labour», sebbene indichi che Xxxxxx Xxxx non poté giustificare adeguatamente questo principio, che acquisirà il suo pieno certificato di natura teorica soltanto con lo sviluppo della teoria del capitale da parte di Xxxx-Xxxxxx e della teoria del ciclo da parte di Xxxxx e proprio di Xxxxx (Cfr. Xxxx Xxxxxx Xxxx, Principles of Political Economy, Xxxxxxxx X. Xxxxxx, Xxxxxxxxx, New Jersey 1976, Libro I, cap. V, n.º 9, pp. 79-88). La comprensione di questa idea tanto semplice è, per Xxxxx, il vero «test» di tutti gli economisti: «More than ever it seems to me to be true that the complete apprehension of the doctrine that ‘demand of commodities is not demand for labor’ is ‘the best test of an economist’.» F.A. Xxxxx, The Pure Theory of Capital, edizione del 1976, op. cit., p. 439 (p. 388 dell’edizione spagnola del 1946). Si tratta insomma di comprendere che è perfettamente possibile che un imprenditore di beni di consumo guadagni denaro anche se le sue vendite non crescono o perfino diminuiscono se riduce i suoi costi sostituendo mano d’opera con capitale immobilizzato (il cui maggior investimento genera posti di lavoro in altri stadi e rende più intensiva di capitale la struttura produttiva della società).
59 Spetta a F.A. Xxxxx l’onore di essere stato il primo ad aver demolito teoricamente il supposto «paradosso del risparmio» già
nell’anno 1929, nel suo articolo «Gibt es einen ‘Widersinn des Sparens’?» (Zeitschrift für Nationalökonomie, Bd. I, Heft III, 1929), tradotto in inglese con il titolo di «The ‘Paradox’ of Saving», Económica, maggio del 1931, e rieditato in Profits, Interest and Investment, op. cit., pp. 199-263. In Italia mantenne una posizione molto simile a quella di Xxxxx il grande Xxxxxxx Xxxxxxxx nel suo articolo «Sofismi sul risparmio», pubblicato originariamente nella Rivista Bancaria, dicembre del 1932, e poi rieditato nei suoi Studi di Critica Economica, Società Anonima Editrice Xxxxx Xxxxxxxxx, Milano 1935, pp. 253-263. È curioso mettere in risalto come un autore del prestigio di Xxxxxxxxx abbia continuato a difendere i vecchi miti della teoria del sottoconsumo che costituiscono la base del paradosso o dilemma del risparmio o della frugalità nelle differenti edizioni del suo popolare libro di testo, appoggiandosi, come è logico, sui sofismi della teoria keynesiana che avremo l’opportunità di commentare nel capitolo VII. Solamente nella tredicesima edizione, la dottrina del «paradosso del risparmio» venne a essere considerata come materia opzionale, essendo scomparso il corrispondente paradigma giustificativo (Xxxx A. Xxxxxxxxx y Xxxxxxx X. Xxxxxxxx, Economics, 13.ª edizione, McGraw-Xxxx, New York 1989, pp. 183-185). Dopo, nella quattordicesima edizione (McGraw-Xxxx, New York 1992), tutti i riferimenti al «dilemma della frugalità» sono prudentemente e silenziosamente eliminati. Anche se, per disgrazia, di nuovo sono state incluse nella quindicesima edizione (McGraw-Xxxx, New York 1995, pp. 455-457). Si confronti inoltre Xxxx Xxxxxxx «The Perseverance of Xxxx Xxxxxxxxx’x Economics», Journal of Economic Perspectives, vol. II, n.º 2, primavera del 1997, pp. 137-152. Il principale errore della teoria del paradosso del risparmio consiste nell’ignorare i principi basilari della teoria del capitale e nel non concepire la struttura produttiva come costituita da una serie di stadi successivi, supponendo implicitamente che esistano soltanto due stadi, quello della domanda finale aggregata di consumo e quello costituito da un insieme unico di stadi intermedi di investimento, di modo che, nel modello semplificato di «flusso circolare del reddito» che si considerano, l’effetto sul consumo dell’aumento del risparmio si suppone che si trasmetta immediatamente e automaticamente a tutto l’investimento. Cfr., in questo senso, Xxxx Xxxxxxx, The Structure of Production, op. cit., pp. 244-259.
maggior risparmio, la produttività del sistema economico si incrementa e con essa la produzione finale di beni e servizi di consumo e i salari reali60.
Il caso di un’economia in regressione
Il ragionamento che abbiamo svolto fino ad ora si può invertire, mutatis mutandis, per spiegare gli effetti che avrà una diminuzione del risparmio volontario nella società. Partendo da una struttura produttiva come quella riflessa nel Grafico V-3, se la società nel suo insieme decide di risparmiare meno, si produrrà un incremento, per esempio di venticinque unità monetarie, nella domanda monetaria di beni e servizi di consumo che farà sì che questa cresca da settantacinque a cento unità monetarie. Tenderà così a prodursi una crescita molto grande nelle industrie e nelle imprese degli stadi più vicini al consumo e, pertanto, un aumento dei loro profitti contabili. Benché questo abbia, apparentemente, gli effetti di un boom sul consumo, alla lunga dà luogo al fatto che si produce un
«appiattimento» nella struttura produttiva, poiché si ritireranno risorse produttive dagli stadi più lontani dal consumo per trasferirle verso quelli più vicini. In effetti, i maggiori profitti contabili degli stadi vicini al consumo finale deprimeranno in termini relativi la produzione di quelli più lontani, con il che tende a prodursi un minore investimento in essi. Inoltre, il calo del risparmio fa sì che il tasso di interesse di mercato si elevi e che si riduca il corrispondente valore attuale dei beni di capitale durevoli, con la conseguenza che si tenderà anche a investire meno in essi. Infine,
00 Xxxxxx X. Xxxxxxxx (Xxx, Economy and State, pp. 476-479) ha evidenziato che, come conseguenza dell’allargamento della struttura produttiva che abbiamo analizzato e che risulta dall’aumento del risparmio volontario, a priori non può determinarsi se si produce o meno un incremento nel reddito che arriva ai capitalisti sotto forma di interesse. Nel nostro esempio grafico, questa cosa, per esempio, non avviene in termini monetari e probabilmente nemmeno in termini reali. Questo si deve al fatto che, anche se il risparmio e l’investimento lordo crescono, non possiamo sapere, con il solo aiuto della teoria economica, se il valore del reddito derivato dall’interesse cadrà, aumenterà o permarrà uguale, essendo una qualunque di queste alternative quella possibile. Ugualmente, è indeterminato ciò che accadrà con il reddito monetario dei fattori originari di produzione. Nel nostro esempio si mantiene inalterata, il che dà luogo a un incremento molto grande della suo reddito reale quando cade il prezzo dei beni di consumo. Tuttavia, è anche possibile che il reddito dei fattori originari in termini monetari si riduca, benché sempre meno della riduzione che sperimentano i prezzi di beni e servizi di consumo. È chiaro che, anche se oggigiorno ci costa lavoro concepire un’economia in rapido sviluppo economico e nella quale il reddito monetario dei fattori, e in concreto del lavoro, si riduce, ciò è perfettamente possibile se il prezzo dei beni e dei servizi finali di consumo diminuisce a un ritmo ancora più rapido. Inoltre, Xxxxxxxx illustra matematicamente questo argomento mediante la seguente formula: se il prezzo del servizio di qualsiasi fattore è uguale a
, dove MPP è il valore della sua produttività marginale fisica e P il prezzo monetario che si spera di ottenere per i beni e
i servizi di consumo che si producano con tale fattore, essendo d il tasso di interesse al quale si sconta il valore della produttività
marginale (d = 1 + i); il prezzo reale del fattore sarà uguale a , posto che il valore scontato della produttività marginale deve dividersi a sua volta per i prezzi monetari di beni e servizi di consumo per trovare il valore reale o il reddito reale del prezzo del fattore. P e P si cancellano nel numeratore e nel denominatore, con ciò il prezzo reale del fattore sarà approssimativamente uguale a
, cioè, alla produttività marginale fisica divisa per il tasso di interesse. Pertanto, man mano che il tasso di interesse si riduca
al crescere del risparmio, il valore reale dei fattori originari di produzione (reddito del lavoro e delle risorse della natura) tenderà a incrementarsi. Anche se l’esempio di Xxxxxxxx soffre dei tipici difetti che ha sempre l’analisi matematica in economia (rappresentazione mediante simboli di quantità eterogenee, con le quali erroneamente si suppone che si possa operare), almeno serve come un diagramma che sotto forma semplificata illustra il ragionamento economico sottostante.
l’«Effetto Xxxxxxx» agisce in senso contrario: una crescita dei prezzi di beni e servizi di consumo presuppone un’immediata diminuzione dei salari reali e dei restanti redditi dei fattori originari, il che incentiva la sostituzione di capitale immobilizzato con mano d’opera, ora relativamente più a buon mercato.
Il risultato combinato di tutti questi effetti è un appiattimento della struttura produttiva, che passa a essere come quella descritta nel Grafico V-1, e nella quale, anche se in termini monetari c’è una domanda di beni e servizi di consumo superiore, in termini reali si è prodotto un impoverimento generalizzato della società. In effetti, la struttura produttiva con minore intensità di capitale farà sì che arrivino meno beni e servizi di consumo allo stadio finale che, tuttavia, sperimenta un’importante crescita nella sua domanda monetaria. Si produce, pertanto, una diminuzione nella produzione di beni e servizi di consumo e un’importante crescita nel prezzo degli stessi che è un risultato combinato dei due effetti precedenti. E conseguenza di tutto ciò è un impoverimento generalizzato della società, e in concreto dei lavoratori, che vedono come i loro salari diminuiscano in termini reali, poiché, anche se in termini monetari permangono costanti o arrivano perfino a crescere, restano comunque sempre dietro la crescita sperimentata nel prezzo monetario di beni e servizi di consumo.
Secondo Xxxx Xxxxx, fu Xxxxxxxxx quello che, in un curioso passaggio dell’Introduzione al Decamerone, scritto approssimativamente verso l’anno 1360, descrisse per la prima volta, e in termini abbastanza precisi, un processo molto somigliante a quello che abbiamo appena analizzato, quando raccontò l’impatto che sui cittadini di Firenze ebbe la Grande Peste del secolo XIV. In effetti, l’epidemia generò la sensazione che la speranza di vita si andasse riducendo drasticamente, per cui imprenditori e lavoratori, invece di risparmiare e «allungare» gli stadi del loro processo produttivo lavorando le loro terre e il loro bestiame, si dedicarono a incrementare il consumo presente61. Dopo questo commento di Xxxxxxxxx, il primo economista che seriamente analizza gli effetti della diminuzione del risparmio e del declino economico a cui la stessa dà luogo è Xxxx- Bawerk nella sua opera Capital and Interest62, dove spiega in ogni dettaglio che, se gli individui in generale decidono di consumare di più e risparmiare di meno, si produce un fenomeno di consumo dello stock di beni di capitale che, in ultima istanza, diminuisce la capacità produttiva e la
61 Proprio nelle parole di Xxxx Xxxxx: «Boccaccio is describing the impact on people’s minds of the Great Plague at Florence, the expectation that they had not long to live. ‘Instead of furthering the future products of their cattle and their land and their own past labour, they devoted all their attention to the consumption of present goods’.» E Xxxx Xxxxx si domanda: «Why does Xxxxxxxxx write like Xxxx-Bawerk? The reason is surely that he was trained as a merchant.» Xxxx Xxxxx, Capital and Time: A Neo-Austrian Theory, Clarendon Press, Oxford 1973, pp. 12-13.
62 Xxxxx xxx Xxxx-Xxxxxx, Capital and Interest, Volume II, The Positive Theory of Capital, op. cit., pp. 113-114. Dopo questa
analisi, Xxxx-Xxxxxx giunge alla conclusione che il risparmio è la condizione precedente indispensabile per la formazione del capitale. Proprio nelle parole di Xxxx-Xxxxxx: «Dass Ersparung eine unentbehrliche Bedingung der Kapitalbildung ist» (Xxxxx xxx Xxxx-Xxxxxx, edizione tedesca, op. cit., p. 134).
produzione di beni e servizi di consumo, dando luogo a un impoverimento generalizzato della società63.
3
EFFETTI DELL’ESPANSIONE CREDITIZIA BANCARIA NON COPERTA DA UN AUMENTO DEL RISPARMIO: LA TEORIA AUSTRIACA
O DEL CREDITO CIRCOLANTE DEL CICLO ECONOMICO
Studieremo in questo paragrafo gli effetti che ha sulla struttura produttiva la creazione di crediti da parte delle banche senza copertura di un aumento precedente del risparmio volontario. Si tratta, pertanto, di un caso radicalmente distinto da quello studiato nel paragrafo precedente, nel quale la concessione di crediti veniva pienamente coperta dal corrispondente aumento del risparmio volontario. Ora, e in consonanza con il processo di espansione di crediti a cui dà luogo il negozio bancario esercitato con un coefficiente di riserva frazionaria che abbiamo studiato in dettaglio nel capitolo IV, la creazione di credito da parte di una banca darà luogo a una scrittura contabile che nella sua versione più elementare avrà, come già sappiamo, la seguente struttura:
(76) dare avere
1.000.000 Cassa a Depositi a vista 1.000.000
(77) 900.000 Prestiti concessi a Depositi a vista 900.000
Queste scritture contabili, identiche a quelle numero (17) e (18) del capitolo IV, riassumono, in una maniera semplificata e sintetica, il fatto incontestabile che la banca è in grado di generare dal nulla nuove unità monetarie sotto forma di depositi o mezzi fiduciari che sono concessi al pubblico come
63 Xxxxx Xxxxxxx ha illustrato molto chiaramente l’errore dei teorici del paradosso o dilemma del risparmio con il caso storico concreto dell’economia austriaca successiva alla Prima Guerra Mondiale, nella quale si fece tutto il possibile per fomentare il consumo e, nonostante questo, il paese si impoverì enormemente, concludendo ironicamente che: «Austria had most impressive records in five lines: she increased public expenditures, she increased wages, she increased social benefits, she increased bank credits, she increased consumption. After all these achievements she was on the verge of ruin.» Xxxxx Xxxxxxx, «The Consumption of Capital in Austria», Review of Economic Statistics, 17(1), anno 1935, pp. 13-19. Processi simili di impoverimento furono quelli sperimentati nell’Argentina del generale Xxxxx, o in Portogallo dopo la «Rivoluzione dei Garofani». In Spagna ha studiato il ruolo necessario del risparmio e dell’etica individuale della frugalità per la crescita economica Xxxxxxxxx Xxxxxxxx nel suo articolo «Los economistas y la ética del ahorro», Papeles de economía española, n.º 47, 1991, pp. 173-178.
presiti o crediti senza che, preventivamente, questo abbia deciso di incrementare il suo volume di risparmio64. In seguito studieremo gli effetti che questo fatto importante ha sui processi di coordinamento e interazione economica che si svolgono nella società.
Effetti dell’espansione creditizia sulla struttura produttiva
La creazione di moneta da parte del sistema bancario e la sua materializzazione sotto forma di crediti ha effetti reali sulla struttura produttiva dell’economia, che è necessario distinguere molto chiaramente da quelli che abbiamo studiato nel paragrafo precedente in relazione ai crediti concessi con copertura di risparmio. In concreto, la generazione di crediti a partire dal nulla (cioè, senza aumento di risparmio) incrementa l’offerta di credito al sistema economico e, in special modo, alle differenti stadi di beni di capitale della struttura produttiva. Da questo punto di vista, la maggior offerta di crediti che risulta dall’espansione creditizia bancaria avrà, in un primo momento, un effetto molto simile a quello che generava il flusso di nuovi crediti provenienti dal risparmio che fu analizzato in dettaglio nel paragrafo precedente: tende a produrre un ampliamento e un allungamento degli stadi della struttura produttiva.
L’«ampliamento» dei differenti stadi è facile da comprendere, poiché i crediti vengono concessi fondamentalmente ai processi produttivi che costituiscono ognuno di essi. Ugualmente, nel caso del credito concesso per il finanziamento di beni di consumo durevole, l’effetto è anche quello di produrre un ampliamento e un allungamento della struttura produttiva, poiché, come già abbiamo indicato in precedenza, i beni di consumo durevole sono economicamente assimilabili ai beni di capitale lungo tutto il periodo di tempo durante il quale possono continuare a prestare i loro servizi. Pertanto, perfino nel caso della concessione di prestiti al consumo (sotto forma di finanziamento di beni di consumo durevole), la maggior affluenza di crediti tenderà a incrementare tanto la quantità quanto la qualità di tale tipo di beni.
L’«allungamento» della struttura produttiva ha la sua origine nel fatto che solo le banche sono in grado di introdurre nel sistema economico nuova moneta che creano dal nulla e concedono sotto forma di crediti, riducendo temporalmente e in maniera artificiale il tasso di interesse del mercato creditizio, così come ammorbidendo e facilitando il resto delle condizioni economiche e contrattuali che esigono dai loro clienti al momento di erogare loro i prestiti. Questa riduzione del tasso di interesse del mercato creditizio non deve materializzarsi sempre in una diminuzione in termini assoluti, ma basta che la stessa si verifichi almeno in termini relativi, cioè, in relazione al tasso di
64 «So far as deposits are created by the banks ... money means are created, and the command of capital is supplied, without cost or sacrifice on the part of the saver». F.W. Xxxxxxx, Principles of Economics, 3.ª edizione, Xxxxxxxxx, Xxx Xxxx 0000, vol. I, p. 357.
interesse che sarebbe prevalso sul mercato se non si fosse verificata l’espansione creditizia65. Perciò è compatibile perfino con il fatto che il tasso di interesse salga in termini assoluti, purché meno di quanto si sarebbe elevato in un contesto senza espansione creditizia (per esempio, se si verifica la stessa in mezzo a una generalizzata diminuzione nel potere d’acquisito della moneta); o con il fatto che, ribassandosi, il tasso di interesse si riduca ancora di più di quello che si sarebbe abbassato se non si fosse prodotta l’espansione creditizia (per esempio, in un processo nel quale, al contrario, la capacità acquisitiva della moneta sta aumentando). Pertanto, la riduzione del tasso di interesse alla quale ci stiamo riferendo è una realtà che ci spiega la teoria e che si dovrà interpretare storicamente tenendo conto delle circostanze particolari di ogni caso.
La riduzione, in termini relativi, del tasso di interesse che genera l’espansione creditizia dà luogo a un incremento nel valore attuale dei beni di capitale, poiché il flusso atteso dei suoi rendimenti sale di valore al momento dello sconto utilizzando un tasso di interesse di mercato più basso. Ugualmente, la riduzione del tasso di interesse fa sì che appaiano come profittevoli progetti di investimento che fino a quel momento non lo erano, dando luogo alla comparsa di nuovi stadi più lontani dal consumo, cioè, con più alta intensità di capitale, in maniera molto simile a come vedemmo accadere quando si incrementava in modo effettivo il risparmio volontario della società. Tuttavia, dobbiamo mettere in risalto che, anche se gli effetti iniziali sono molto somiglianti a quelli già studiati nel caso dell’aumento del risparmio volontario, qui l’allungamento e l’ampliamento66 degli stadi produttive si verifica, unicamente ed esclusivamente, come conseguenza delle maggiori facilità creditizie che la banca concede a tassi di interesse relativamente più bassi, ma senza che si sia prodotto in via preventiva alcun incremento del risparmio volontario. Dobbiamo ricordare, poi, che l’allungamento sostenuto dalla struttura produttiva è possibile solo se preventivamente è stato prodotto il necessario risparmio sotto forma di una diminuzione della domanda finale di beni di consumo che renda possibile il mantenimento dei differenti agenti produttivi, a carico dei beni e dei servizi di consumo che rimangono invenduti, mentre si culminano i nuovi processi intrapresi e il
65 «It does not matter whether this drop in the gross market rate expresses itself in an arithmetical drop in the percentage stipulated in the loan contracts. It could happen that the nominal interest rates remain unchanged and that the expansion manifest itself in the fact that at these rates loans are negotiated which would not have been made before on account of the height of the entrepreneurial component to be included. Such an outcome too amounts to a drop in gross market rates and brings about the same consequences». Xxxxxx xxx Xxxxx, Human Action, op. cit., p. 552.
66 «When under the conditions of credit expansion the whole amount of the additional money substitutes is lent to business,
production is expanded. The entrepreneurs embark either upon lateral expansion of production (viz., the expansion of production without lengthening the period of production in the individual industry) or upon longitudinal expansion (viz., the lengthening of the period of production). In either case, the additional plants require the investment of additional factors of production. But the amount of capital goods available for investment has not increased. Neither does credit expansion bring about a tendency toward a restriction of consumption.» Xxxxxx xxx Xxxxx, Human Action, op. cit., p. 556.
risultato più produttivo di questi comincia a raggiungere il mercato sotto forma di beni di xxxxxxx00.
Gli imprenditori, insomma, si decidono a intraprendere nuovi progetti di investimento, ampliando e allungando gli stadi dei beni di capitale della struttura produttiva, cioè, agendo come se il risparmio della società si fosse incrementato, quando di fatto tale cosa non è avvenuta. Ciò significa che, così come nel caso dell’aumento del risparmio volontario, analizzato nel paragrafo precedente, tendeva a prodursi un coordinamento tra i comportamenti individuali dei differenti agenti economici, rendendosi compatibili tra loro, di modo che le risorse reali che non si consumavano più e che e che si risparmiavano permettevano il mantenimento e l’allargamento della struttura produttiva. Ora il fatto che gli imprenditori, rispondendo alla concessione di nuovi prestiti sotto forma di espansione creditizia, si comportano come se il risparmio fosse aumentato, dà impulso a un processo di scombussolamento o mancato coordinamento nel comportamento dei differenti agenti economici. In effetti, gli imprenditori si lanciano a investire e ad allungare lateralmente e longitudinalmente la struttura produttiva reale senza che gli agenti economici abbiano deciso di aumentare il loro risparmio del volume necessario per finanziare i nuovi investimenti. Si tratta, insomma, di un esempio tipico di induzione a un errore massiccio di calcolo economico o di stima sul quale gli imprenditori finiranno per fondare il risultato dei loro differenti corsi d’azione. Questo errore di calcolo economico ha la sua origine nel fatto che uno degli indicatori essenziali di cui hanno tenuto conto gli imprenditori al momento di agire, il tasso di interesse (e le maggiori o minori facilitazioni del mercato creditizio), è temporalmente manipolato e artificialmente ridotto dalle banche nel processo di espansione creditizia che intraprendono68. Con parole di Xxxxxx xxx Xxxxx, «il ribasso dell’interesse viene a falsare il calcolo imprenditoriale. Nonostante non ci sia una maggior quantità di beni di capitale disponibili, si includono nei calcoli parametri che saranno conformi solo nel presupposto di aver aumentato le formazioni di beni di capitale. Il risultato, di conseguenza, induce all’errore. I calcoli fanno sì che sembrino profittevoli e praticabili attività che non lo sarebbero se il tasso di interesse non fosse stato ribassato artificialmente mediante l’espansione creditizia. Gli
67 «A lengthening of the period of production is only practicable, however, either when the means of subsistence have increased sufficiently to support the laborers and entrepreneurs during the longer period or when the wants of producers have decreased sufficiently to enable them to make the same means of subsistence do for the longer period». Xxxxxx xxx Xxxxx, The Theory of Money and Credit, op. cit., p. 400.
68 Altrove ho spiegato teoricamente perché l’esercizio sistematico della coercizione e la manipolazione degli indicatori del mercato,
risultato dell’intervento governativo o della concessione di privilegi da parte del governo a gruppi di interesse (sindacati, banche, ecc.), impediscano che si crei e si scopra l’informazione necessaria per coordinare la società, così che si generano in maniera sistematica gravi scombussolamenti e mancati coordinamenti sociali. Cfr. Xxxxx Xxxxxx xx Xxxx, Socialismo, cálculo económico y función empresarial, op. cit., cap. II e III.
imprenditori si imbarcano nella realizzazione di tali progetti. L’attività commerciale viene stimolata. Comincia un periodo di auge o espansione (boom)»69.
Il mancato coordinamento si manifesta, prima di tutto, nell’inizio di un periodo di grande ottimismo, esagerato e sproporzionato, che ha la sua ragione nel fatto che gli agenti economici si sentono capaci di ampliare la struttura produttiva senza vedersi costretti parallelamente a sacrificarsi riducendo il loro consumo per generare risparmio. Nel paragrafo precedente abbiamo visto come l’allargamento della struttura produttiva si rendesse possibile esattamente grazie al sacrificio precedente che esigeva ogni incremento del risparmio. Ora osserviamo come gli imprenditori si lancino ad ampliare e ad allungare gli stadi dei processi produttivi senza che tale risparmio precedente si sia verificato. Il mancato coordinamento non può essere più palese né l’eccesso iniziale di ottimismo più giustificato, poiché è come se fosse possibile intraprendere processi di produzione più lunghi senza nessun sacrificio né accumulazione preventiva di capitale. Insomma, va generandosi un equivoco massiccio da parte degli imprenditori, che assumono e iniziano processi produttivi che considerano profittevoli, quando in realtà non lo sono. Questo equivoco alimenta un generalizzato ottimismo, basato sulla credenza che è possibile ampliare e allargare gli stadi dei processi produttivi senza che nessuno si sia visto costretto a risparmiare. Il mancato coordinamento intertemporale si ingrandisce sempre di più: alcuni, gli imprenditori, investono come se il risparmio della società non smettesse di crescere; altri, i consumatori, continuano a consumare a un ritmo inalterato e non si preoccupano di incrementare il loro risparmio70.
Al fine di illustrare l’effetto iniziale che l’espansione creditizia ha sulla struttura produttiva reale, presenteremo, seguendo lo stesso sistema utilizzato nel paragrafo precedente, una serie di schemi che rappresentano in maniera grafica l’impatto sulla struttura produttiva dell’espansione creditizia. È necessario avvertire, tuttavia, che è praticamente impossibile rappresentare in forma grafica i complessi effetti che si producono sul mercato quando l’espansione creditizia dà luogo al processo generalizzato di mancato coordinamento che stiamo descrivendo. Pertanto, occorre essere molto cauti rispetto all’apprezzamento degli schemi grafici che presenteremo, dando loro unicamente ed esclusivamente il valore di illustrare e facilitare la comprensione dell’argomento economico
69 Xxxxxx xxx Xxxxx, La acción humana, op. cit., p. 656. Poiché tutti i risparmi si traducono o si materializzano sempre in beni di capitale, anche se da subito questi sono semplicemente i beni di consumo che all’aumentare del risparmio restano invenduti, l’espressione di Mises è pienamente corretta. Si ricordi il contenuto delle note 13 e 55 sopra.
70 Xxxxxx Xxxxxxx, nella sua opera The Great Depression, The Macmillan Company, New York 1934, elenca le seguenti dieci
caratteristiche tipiche di ogni processo di boom:prima, il tasso di interesse si riduce in termini relativi; seconda, i tassi di interesse a breve termine cominciano a cadere; terza, i tassi di interesse a lungo termine si riducono anch’essi; quarta, la quotazione delle obbligazioni si eleva; quinta, si incrementa la velocità di circolazione della moneta; sesta, salgono le azioni in borsa; settima, il valore degli immobili comincia a crescere a ritmo accelerato; ottava, si produce un boom industriale e sorge una gran quantità di emissioni di titoli sul mercato primario; nona, il prezzo delle risorse naturali e dei beni intermedi cresce; e, per ultimo, in decimo luogo, il mercato dei titoli sperimenta una crescita esorbitante che si basa sull’aspettativa di un aumento ininterrotto dei profitti imprenditoriali (pp. 39-42). Xxxxx Xxxxxxxx interpreta tutti questi fenomeni come un trasferimento verso l’esterno non sostenibile nella curva delle possibilità massime di produzione. Cfr. Time and Money: The Macroeconomics of Capital Structure, op. cit., pp. 67-76.
essenziale. E risulta praticamente impossibile rappresentare in grafici tutto ciò che non siano situazioni strettamente statiche, per il fatto che quelli inevitabilmente occultano i processi dinamici che si producono tra l’una e l’altra. Tuttavia, fatta questa avvertenza, la rappresentazione grafica degli stadi della struttura produttiva che proponiamo può, senza dubbio alcuno, aiutare a illustrare l’argomento teorico essenziale e facilitare molto la sua comprensione71.
Nel Grafico V-5 viene rappresentato, in maniera semplificata, l’effetto che ha sulla struttura degli stadi produttivi l’espansione creditizia prodotta dal sistema bancario senza che si sia prodotto il necessario aumento di risparmio della società. Vediamo, paragonandolo con il Grafico V-1 di questo medesimo capitolo, che il consumo finale permane inalterato in cento unità monetarie, in consonanza con il nostro presupposto che non si sia prodotto alcun aumento del risparmio netto. Tuttavia, c’è una creazione di nuova moneta (depositi o mezzi fiduciari) che entra nel sistema sotto forma di espansione creditizia, e che si colloca nello stesso mediante la riduzione, in termini relativi, del tasso di interesse (accompagnata dal tipico ammorbidimento nelle condizioni contrattuali e di concessione dei crediti), necessaria affinché gli agenti economici si decidano ad accettare di prendere a prestito i nuovi crediti creati. Perciò vediamo come il tasso di profitto dei differenti stadi produttivi, che come già sappiamo tende a coincidere con il tasso di interesse che si ottiene per anticipare beni presenti in cambio di beni futuri in ognuno di essi, allora si riduce dall’11 per cento del nostro esempio del Grafico V-1, a poco più del 4 per cento annuale. Inoltre, i nuovi crediti consentono che gli imprenditori di ogni stadio produttivo siano disposti a pagare di più ai corrispondenti fattori originari di produzione, così come ai beni di capitale provenienti dagli stadi precedenti e da quelli che forniscono i loro corrispondenti processi produttivi. Nella Tabella V-5 abbiamo rappresentato l’offerta e la domanda di beni presenti che si produce quando sorge l’espansione creditizia bancaria non coperta da risparmio. Si osserva come l’offerta di beni presenti si incrementi dalle duecentosettanta unità monetarie del nostro esempio della Tabella V-1 a qualcosa di più di trecentottanta unità monetarie, che a loro volta sono composte dalle stesse duecento settanta unità monetarie dell’esempio del paragrafo precedente e che avevano la loro
71 Vogliamo, con questa avvertenza, evitare l’errore nel quale potrebbero cadere tutti quelli che pretendessero di dare un’interpretazione strettamente teorica dei nostri grafici, come accadde a Xxxxxxxx Xxxxxx nella sua analisi critica della teoria di Xxxxx, così come recentemente hanno sottolineato Xxxxxxxx X. Xxxx e Xxxxx X. Xxxxxx, per i quali «the problem is not to learn about adjustments by comparing states of equilibrium but rather to ask if the conditions remaining at T1 make the transition to T2 at all possible. Xxxxxx’x approach indeed assumed away the very problem that Xxxxx’x theory was designed to analyze, the problem of the transition an economy undergoes in moving from one coordinated capital structure to another.» Si confronti il suo articolo
«Xxxxx’x Xxxxxxx Effect: A Second Look», in History of Political Economy, n.º 18:4, anno 1986, p. 564. Gli articoli nei quali Xxxxxx criticava Xxxxx furono «Capital Intensity and the Trade Cycle», Economica, febbraio del 1939, pp. 40-66; e anche «Professor Xxxxx and the Concertina Effect», Economica, novembre del 1942, pp. 359-382. Curiosamente, Xxxxxx aveva tradotto dal tedesco all’inglese l’opera di Xxxxx Monetary Theory and the Trade Cycle, pubblicata per la prima volta nel 1933 (Routledge, Londra). Recentemente Xxxx xxx Xxxx ha segnalato che le critiche di Xxxxxx e altri all’«Effetto Xxxxxxx» xxxxxxxxx derivavano dal fatto che partivano da un’ipotetica situazione di equilibrio generale che non ammetteva l’analisi dinamica del mancato coordinamento intertemporale che induce nel mercato tutta l’espansione creditizia. Cfr.e Xxxx xxx Xxxx, Austrian and New Classical Business Cycle Theory, Xxxxxx Xxxxx, Aldershot, Inghilterra 1994, pp. 51-53.
origine nelle risorse reali risparmiate, più altre centotredici unità monetarie che sono state create dall’espansione creditizia delle banche senza copertura di risparmio alcuno. Pertanto, l’espansione creditizia ha l’effetto di incrementare artificialmente l’offerta di beni presenti, che sono domandati a tassi di interesse più ridotti dai proprietari dei fattori originari di produzione e dai capitalisti degli stadi precedenti più lontani dal consumo. Inoltre, si constata nella Tabella V-5 che il reddito lordo dell’esercizio è di più di quattrocentottantatré unità monetarie, centotredici unità più del reddito lordo dell’esercizio prima dell’espansione creditizia rappresentata nella Tabella V-2
GRAFICO V-5 P. 283 TABELLA V-5 P. 284 GRAFICO V-6 P. 285
Nel Grafico V-6 rappresentiamo in maniera semplificata l’effetto che ha l’aumento dell’ espansione creditizia da parte delle banche (non coperta da un aumento precedente del risparmio volontario) sulla struttura produttiva. Questo effetto si materializza, nel nostro esempio, nell’allargamento della struttura produttiva mediante la comparsa di due nuovi stadi, il sesto e il settimo, che prima dell’espansione creditizia non esistevano e che sono ora i più lontani dal consumo finale. Ugualmente, si produce un ampliamento degli stadi produttivi preesistenti (dalla seconda alla quinta). La somma delle unità monetarie che costituiscono la domanda monetaria di ogni nuovo ampliamento e allungamento di stadi produttiv, e che è rappresentata nel grafico dalla zona ombreggiata, totalizza, precisamente, le 113,75 u.m. che costituiscono l’incremento di reddito monetario lordo dell’esercizio e che ha la sua origine, esclusivamente, nella creazione di nuova moneta sotto forma di espansione creditizia da parte delle banche.
Tuttavia, non ci dobbiamo lasciare ingannare dal contenuto del nostro Grafico V-5, poiché la nuova struttura di stadi produttivi che nello stesso rappresentiamo si basa su un generalizzato mancato coordinamento intertemporale, che ha la sua origine nell’errore imprenditoriale massivo indotto dalla comparsa con carattere esterno di un importante volume di nuovi crediti che sono concessi a tassi di interesse artificialmente ridotti senza l’esistenza di copertura di risparmio precedente reale. Questa anomala situazione di mancato coordinamento non potrà mantenersi e nel paragrafo seguente spiegheremo in dettaglio in che cosa consiste la reazione che in modo inesorabile si produce nel mercato come conseguenza dell’espansione creditizia. Cioè, spiegheremo quali sono le
ragioni di teoria microeconomica pura che vanno a mettere un limite e a far ritornare il mancato coordinamento «macroeconomico» che abbiamo mostrato.
Studieremo, pertanto, le ragioni per le quali si va a riformare completamente il processo di mancato coordinamento intertemporale che l’espansione creditizia inizialmente ha causato. E tutta l’aggressione al processo sociale, sotto forma di interventismo, coercizione sistematica, manipolazione dei suoi indicatori essenziali (come è il prezzo dei beni presenti in funzione dei beni futuri o tasso di interesse di mercato) o concessione di privilegi contro i principi tradizionali del diritto, dà luogo, in maniera spontanea, a processi di interazione sociale che, mossi precisamente dalla capacità coordinatrice della funzione imprenditoriale, tendono a fermare e a replicare i mancati coordinamenti e gli errori commessi. Spetta a Xxxxxx xxx Xxxxx il grande merito di essere stato il primo a sottolineare, già nel 1912, che l’espansione creditizia dà luogo a effetti di boom e ottimismo che, forzatamente, presto o tardi finiscono per tornare indietro. Vediamo come lo espresse proprio con le sue parole: «L’aumento dell’attività produttiva che segue alla politica delle banche di concedere prestiti a un tasso inferiore a quello naturale fa sì che i prezzi dei beni di produzione si elevino, mentre quelli dei beni di consumo, benché salgano sempre, lo fanno in un grado più moderato, ossia, quello sperimentato dai salari. In questo modo si rafforza la tendenza alla caduta nel tasso di interesse dei prestiti originati dalla politica bancaria. Ma ha subito luogo un movimento opposto: i prezzi dei beni di consumo si elevano, quelli dei beni di produzione discendono. Questo è ciò che accade, il tasso di interesse dei prestiti si eleva nuovamente, approssimandosi al tasso naturale»72. Benché, come avremo l’opportunità di studiare più avanti, prima di Mises diversi trattatisti della Scuola di Salamanca (Xxxxxxx de la Calle) e altri del secolo XIX (Xxxxx Xxxxxxxx, Xxxxx Xxxxxx, Xxxxx, etc.), principalmente della cosiddetta Scuola Monetaria o Currency School già intuirono che i booms generati dall’espansione creditizia in ultima istanza si avvitavano in maniera spontanea dando luogo a crisi economiche, tuttavia fu Mises il
00Xxxxxx xxx Xxxxx, Teoría del dinero y del crédito, Unión Editorial, Madrid 1997, p. 335 (i corsivi sono miei). Le due ultime frasi sono così importanti che merita la pena riassumere come espresse l’idea essenziale Xxxxxx xxx Xxxxx nella sua edizione originale tedesca: «Aber bald setzt eine rückläufige Bewegung ein: Die Preise der Konsumgüter steigen, die der Produktivgüter sinken, das heibt der Darlehenszinsfub steigt wieder, er nähert sich wieder dem Satze des natürlichen Kapitalzinses.» Xxxxxx xxx Xxxxx, Theorie des Geldes und der Umlaufsmittel, Xxxxxxx & Humblot, 2.ª edizione tedesca, Munich e Leipzig 1924, p. 372. Occorre segnalare che Xxxxx, molto influenzato dalla dottrina dell’«interesse naturale» di Xxxxxxxx, articola la sua teoria in base alle disparità che si verificano lungo il ciclo tra l’«interesse naturale» e l’«interesse lordo del mercato creditizio» (o «monetario»), temporalmente ridotto dalla banca nel suo processo di espansione creditizia. Anche se l’analisi di Xxxxx ci pare impeccabile, noi abbiamo preferito esporre la teoria del ciclo basandoci direttamente sugli effetti dell’espansione creditizia sulla struttura produttiva, sottraendo qualcosa al protagonismo dell’analisi misesiana sulle disparità tra l’«interesse naturale» e quello «monetario». Il principale lavoro di Xxxx Xxxxxxxx è, ai nostri fini, Geldzins und Güterpreise: Eine Studie über die den Tauschwert des Geldes bestimmenden Urchachen, Verlag von Xxxxxx Xxxxxxx, Jena 1898, tradotto in inglese da R.F. Xxxx con il titolo di Interest and Prices: A Study of the Causes Regulating the Value of Money, Macmillan, Londra 1936 e Xxxxxxxx X. Xxxxxx, New York 1965. L’analisi di Xxxxxxxx è, ciò nonostante, molto inferiore a quella di Mises, specialmente perché si appoggia quasi esclusivamente sull’evoluzione del livello generale dei prezzi, più che sulle variazioni dei prezzi relativi nella struttura dei beni capitali, che è il cuore essenziale della nostra teoria. Mises ricapitolò e completò la sua teoria del ciclo in Geldwertstabilisierung und Konjunkturpolitik, Xxxxxx Xxxxxxx, Jena 1928 (trad. inglese di Xxxxxxx Bien Xxxxxxx, «Monetary Stabilization and Cyclical Policy», On the Manipulation of Money and Credit, Freemarket Books, Xxxxx Ferry, New York 1978).
primo ad articolare e a spiegare correttamente le ragioni di teoria economica per le quali questo necessariamente è così. Ciò nonostante il fondamentale apporto iniziale di Xxxxx, dovrà aspettare fino ai lavori del suo più brillante alunno, F.A. Hayek73, per disporre di un’analisi già completamente articolata dei differenti effetti economici che integrano la reazione del mercato davanti all’espansione creditizia e che passiamo a studiare in dettaglio nel paragrafo seguente74.
73 I lavori più importanti di Xxxxx sono: Geldtheorie und Konjunkturtheorie, Beitrage zur Konjuntkturforschung, herausgegeben vom Österreischisches Institut für Konjunkturforschung, n.º 1, Xxxxxx 0000, tradotto dall’inglese da X. Xxxxxx e pubblicato con il titolo di Monetary Theory and the Trade Cycle, Routledge, Londra 0000, x Xxxxxxxx X. Xxxxxx, Xxx Xxxxxx, 0000; Prices and Production, op. cit., la cui 1.ª edizione apparve nel 1931 e la seconda, revisionata e ampliata, nel 1935, venendo in seguito rieditata più di dieci volte in Inghilterra e negli Stati Uniti (Xxxxxxxx X. Xxxxxx); Profits, Interest and Investment, Routledge, Londra 1939, e Xxxxxxxx X. Xxxxxx, New Jersey, 1969 e 1975; la serie di saggi pubblicata nell’opera Money, Capital and Fluctuations: Early Essays, edita da Xxx XxXxxxxxxx, University of Chicago Press, Chicago 1984; e, per ultimo, The Pure Theory of Capital, Macmillan, Londra 1941 e quattro edizioni posteriori di Routledge. Proprio Xxxxx, in un’«Appendice» inclusa in Prices and Production (pp. 101-104) riassume i precedenti della teoria austriaca o del credito circolante del ciclo economico, e che si rifà proprio a Xxxxxxx (enunciatore dell’effetto che Xxxxx battezzò con il nome di «Effetto Xxxxxxx»), Xxxxx Xxxxxx, Xxxxx Xxxxxx e Xxxxxx Xxxxx, in Inghilterra e Stati Uniti; J.G. Xxxxxxxxx-Xxxxxxx, X. Xxxxxx e Xxxx Xxxxx in Francia; e in lingua tedesca, curiosamente idee molto somiglianti a quelle dei teorici della Scuola Austriaca possono trovarsi negli scritti di Xxxx Xxxx, e sopratutto, in quelli di Xxxxxx Xxxxx-Xxxxxxxxxx (si veda il suo articolo «Crisi Economiche e Produzione Capitalista», incluso in Lecturas de economía política, Xxxxxxxxx Xxxxxxxx (ed.), Minerva Ediciones, Madrid 1991, pp. 191-210) e, certamente, in X. xxx Xxxx-Bawerk (Capital and Interest, vol. II, Positive Theory of Capital, ob. cit., pp. 316 y ss.). In seguito, già coetanei con Xxxxx, lavorarono sulla stessa linea Xxxxxxx xxx Xxxxxx, nel suo Kapital und Produktion, pubblicato da Philosophia Verlag, Monaco e Xxxxxx 0000 e 1982; Bresciani-Turroni in Xxxxxx, Xx Xxxxxxx xxx Xxxxx Xxxxxxx, Xxxxxxxxxx Xxxxxxx, Xxxxxx 0000; Xxxxxxxxx Xxxxxxxx,
«Money and the Business Cycle», pubblicato nel 1932 e rieditato in The Austrian Theory of the Trade Cycle and Other Essays, The Xxxxxx xxx Xxxxx Institute, Washington D.C. 1978, pp. 7-20; Xxxxx Xxxxxxx, The Stock market, Credit and Capital Formation, originariamente pubblicato in tedesco nel 1931 e rieditato in inglese, Xxxxxxx Xxxxx, Xxxxxx 0000. Nel mondo anglosassone si devono segnalare i lavori di H.J. Xxxxxxxxx, The Economics of Enterprise, op. cit., cap. XIII; Xxxxxxxxx Xxxxxx, British Monetary Policy, X.X. Xxxx & Xxxx, Londra 1932; H.F. Xxxxxx, Great Britain and the Gold Standard, Macmillan, Londra 1933; T.E. Xxxxxxx, Xxxx, Unemployment and Capitalism, X.X. Xxxx & Xxxx, Londra 1933; E.F.M. Xxxxxx, Purchasing Power and Trade Depression: A Critique of Under-Consumption Theories, Xxxxxxxx Xxxx, Londra e Toronto 1933, e The Problem of Credit Policy, Xxxxxxx & Xxxx, Xxxxxx 0000; M.A. Xxxxxx, Money in a Changing Civilisation, Xxxx Xxxx, Londra 1934; e C.A. Philips, T.F. XxXxxxx y R.W. Xxxxxx, Banking and the Business Cycle, Arno Press, New York 1937. E anche negli Stati Uniti, Xxxxx Xxxxxx Xxxxxx, specialmente nel suo articolo «Interest Theory and Price Movements», American Economic Review, vol. XVII, n.º 1, 1926, pp. 72 e ss., incluso in Capital, Interest and Rent, M.N. Xxxxxxxx (ed.), Xxxxx, Xxxxxxx and XxXxxx, Xxxxxx Xxxx 0000.
74 È necessario ricordare che nel 1974 l’Accademia Svedese assegnò a F.A. Hayek il Premio Nobel per l’Economia proprio per il
xxx «pioneering work in the theory of money and economic fluctuations». Si vedano Xxxxxxx X. Xxxxx, The Nobel Prize Economics Lectures, Xxxxxxx, Xxxxxxxxx, Xxxxxxxxxxx, 0000, pp. 19 e 25-28. In spagnolo non è molta la bibliografia che tratta la teoria austriaca del ciclo economico benché si possa risalire all’articolo di Xxxxx pubblicato dalla Revista de Occidente nell’anno 1932 («La causa delle crisi economiche», Revista de Occidente, numero di febbraio del 1932), così come la traduzione di Xxxx Xxxxxxxx de La teoría monetaria y el ciclo económico di F.A. Xxxxx, pubblicata da Espasa-Calpe nel 1936. L’edizione di Olariaga di questo libro di Xxxxx incorpora come Appendice una traduzione in spagnolo (titolata «Previsiones de Precios, Perturbaciones Xxxxxxxxxx e Inversiones Fracasadas») dell’originale in inglese su «Price Expectations, Monetary Disturbances and Malinvestments», che compare come cap. IV dell’opera Profits, Interest and Investment, e che è, senza dubbi, uno degli articoli nei quali Hayek più chiaramente espone la sua teoria del ciclo economico (felicemente incluso nella traduzione spagnola di Xxxxxx e produzione pubblicata nel 1996). Anche nel fatidico anno di inizio della Guerra Civile spagnola venne pubblicata la prima traduzione in lingua spagnola da Xxxxxxx Xxxxx della Teoria della moneta e del credito di Xxxxxx xxx Xxxxx (Editorial Xxxxxxx, Madrid 1936). Non c’è da stupirsi, pertanto, che l’evento bellico facesse sì che l’impatto di queste opere in Spagna fosse molto ridotto. Dopo la guerra civile, spicca il riassunto della teoria austriaca del ciclo che da Xxxxxxx xxx Xxxxxx nel suo Curso medio de economía, tradotto in spagnolo da X. Xxxxxxx Xxxxx e pubblicato dal Fondo de Cultura Económica, México 1941. Nel 1947 fa la sua comparsa il libro di Xxxxxx de Xxxxxxxx, Teoría de los ciclos económicos (CSIC, Madrid 1947), nel cui Xxxx XX si espongono in forma comparata le teorie dei cicli di Xxxxx e Xxxxxx (pp. 44-63). Al Fondo de Cultura Económica dobbiamo anche la traduzione del libro di J.A. Xxxxx, Tratado sobre los ciclos económicos (Fondo de Cultura Económica, México 1948), in cui cap. XXXX si spiega in ogni dettaglio il contenuto della teoria austriaca. E non si traducono più in spagnolo opere su questo tema se non quella di Xxxxxxxxx Xxxxxxxx, Prosperidad y depresión: análisis teórico de los movimientos cíclicos, dovuta a Xxxxxxx Xxxxxx e Xxxxxx Xxxxxxx, pubblicata dal Fondo de Cultura Económica nel 1942, e che dedica il suo cap. III alla teoria del credito circolante della Scuola Austriaca; quella di F.A. Xxxxx, La teoría pura del capital, pubblicata da Xxxxxxx nel 1946; e quella di Xxxxxx xxx Xxxxx, La acción humana: tratado de economía, la cui 1.ª edizione fu pubblicata nel 1960 dalla Fondazione Xxxxxxx Xxxxxxxxxx. Dopo questi libri, in spagnolo è possibile solo menzionare il mio articolo su «La teoria austriaca del ciclo economico», pubblicato nel n.º 152 (marzo 1980) di Moneda y Crédito, e nel quale si raccoglie un’ampia bibliografia su questo tema; e anche la serie di saggi di F.A. Xxxxx pubblicata con il titolo ¿Inflación o Pleno Empleo?, Unión Editorial, Madrid 1976. Per ultimo, nel 1996 apparve la traduzione in spagnolo di Xxxxxx Xxxxxxxxx Xxxxx di Precios y producción, pubblicata da Edizioni Aosta e Unión Editorial. Di questo libro esiste una traduzione in italiano di Marina Colonna: Xxxxxx e produzione: Una spiegazione delle crisi delle economie capitalistiche, con un’Introduzione della stessa Xxxxxx Xxxxxxx, XXX, Xxxxxx 0000.
La reazione spontanea del mercato davanti all’espansione creditizia
Studieremo ora le ragioni di natura microeconomica che porranno fine al processo di ottimismo esagerato e di espansione economica artificiale che risultano dalla concessione di crediti bancari senza la copertura dell’aumento precedente di risparmio volontario. In questa maniera saremo pienamente in grado di far risalire fenomeni tipicamente macroeconomici (boom, crisi economica, depressione e disoccupazione) alle loro radici e alle loro cause fondamentali di natura microeconomica. In seguito studieremo a uno a uno i sei effetti microeconomici che spiegano l’inversione del processo di boom che risulta da tutta l’espansione creditizia:
1.º La salita del prezzo che occorre pagare per i fattori originari di produzione. - Il primo effetto che temporalmente si fa sentire come conseguenza dell’espansione creditizia è quello della crescita nel prezzo relativo dei fattori originari della produzione (lavoro e risorse della natura). Questa salita del prezzo dei fattori ha la sua ragion d’essere in due cause distinte che si rafforzano mutualmente. Da un lato, la maggior domanda monetaria di risorse originarie ad opera dei capitalisti dei differenti stadi del processo produttivo, e che si rende possibile grazie ai nuovi crediti che concede loro il sistema bancario. Dal lato dell’offerta, occorre tener conto che, essendosi prodotta l’espansione creditizia senza la copertura di un aumento precedente del risparmio, non si liberano fattori originari di produzione degli stadi più vicini al consumo, così come accadeva nel processo iniziato da un incremento reale del risparmio volontario che abbiamo studiato in precedenza. Pertanto, come risultato dell’incremento della domanda dei fattori originari di produzione negli stadi più lontani dal consumo, senza che la stessa sia accompagnata da un aumento dell’offerta, è inevitabile che gradualmente si finisca per produrre una progressiva salita nel prezzo di mercato dei fattori produttivi. Questa salita, in ultima istanza, tende ad accelerarsi proprio come risultato della concorrenza tra gli imprenditori dei differenti stadi del processo produttivo che, con il desiderio de attrarre risorse originarie verso i loro progetti, sono disposti a pagare prezzi sempre più alti per detti fattori, prezzi che possono offrire grazie alla nuova liquidità che hanno appena ricevuto dalla banca sotto forma di crediti e che questa ha creato dal nulla. Questa salita nel prezzo dei fattori originari di produzione fa sì che il costo dei nuovi progetti di investimento che si sono appena iniziati cominci a deviare al rialzo rispetto a quanto originariamente presupposto. Tuttavia, questo effetto, di per sé, non è ancora sufficiente per sopprimere la ondata di ottimismo, e gli imprenditori,
che ancora si sentono sicuri e sostenuti dalla banca, senza alcun timore, sono soliti andare avanti con i loro progetti di investimento75.
2.º Susseguente salita nel prezzo dei beni di consumo. - Dopo un periodo di tempo più o meno lungo, e in maniera graduale, inizia a sperimentarsi una crescita nel prezzo dei beni di consumo, mentre il prezzo dei servizi dei fattori originari di produzione non aumenta tanto in fretta (o, se si preferisce, decresce in termini relativi). La ragione di questo fenomeno si deve all’effetto combinato delle tre cause seguenti:
a) Primariamente, la crescita nel reddito monetario dei fattori originari di produzione. In effetti, se, come stiamo supponendo, permane stabile il tasso di preferenza temporale dei seguenti agenti economici e, pertanto, la proporzione dei loro ricavi che dedicano al risparmio, si produce una crescita nella domanda monetaria di beni di consumo, che ha la sua origine nel maggior reddito monetario che i fattori originari di produzione stanno ricevendo. Tuttavia, questo effetto spiegherebbe soltanto un incremento simile nel prezzo dei beni di consumo se non fosse perché si combina con i due effetti seguenti b) e c), che studiamo di seguito.
b) In secondo luogo, occorre tener conto che l’allungamento dei processi produttivi e la maggior domanda di fattori originari di produzione negli stadi più lontani dal consumo finale produce, a breve e medio periodo, un rallentamento nella produzione di nuovi beni e servizi di consumo. Questa distinzione nel ritmo di arrivo di nuovi beni di consumo allo stadio finale del processo produttivo si spiega nella misura in cui, da un lato, si ritirano fattori originari di produzione dagli stadi più vicini al consumo, con cui queste sperimentano una scarsità relativa di detti fattori che colpisce la produzione e la consegna immediata di beni e servizi di consumo finale. Però, l’allungamento generalizzato dei processi produttivi e l’incorporazione negli stessi di un maggior numero di stadi finali lontani dal consumo dovrà per forza produrre, così come spiega la teoria del capitale che abbozzammo all’inizio di questo capitolo, una diminuzione a breve termine nel ritmo di produzione di nuovi beni di consumo, che durerà tutto il periodo di tempo che sarà necessario per completare e culminare i nuovi processi di investimento di recente intrapresi. È chiaro che i processi produttivi, più sono lunghi, cioè, man mano che incorporano più stadi, più si fanno produttivi; ma è anche evidente che fin quando i nuovi processi di investimento non si culminano, non permetteranno l’arrivo di un maggior numero di beni di consumo allo stadio
75 Nel paragrafo 11 del prossimo Capitolo VI vedremo come la nostra analisi non si modifica sostanzialmente, perfino nel caso in cui esista un importante volume precedente di fattori produttivi non impiegati.
finale. Perciò, l’effetto dell’incremento del reddito dei fattori originari di produzione e, pertanto, della domanda monetaria sui beni di consumo, combinata con l’effetto del rallentamento o della diminuzione a breve termine dell’arrivo di nuovi beni di consumo sul mercato, spiega perché i prezzi dei beni e dei servizi di consumo finiscono, in ultima istanza, per crescere più che proporzionalmente, cioè, più in fretta dell’aumento del reddito dei fattori originari di produzione.
c) In terzo luogo, è necessario menzionare l’effetto dell’incremento nella domanda monetaria di beni di consumo che ha la sua origine nell’apparizione di profitti imprenditoriali artificiali come risultato del processo di espansione creditizia. La creazione di crediti da parte della banca presuppone, in ultima istanza, un aumento nell’offerta monetaria e un incremento nel prezzo dei fattori di produzione e dei beni di consumo che finisce per distorcere il calcolo imprenditoriale di costi e ricavi. In effetti, gli imprenditori tendono a calcolare i loro costi in funzione del costo storico e della capacità acquisitiva che avevano le unità monetarie quando il processo inflazionistico ancora non era iniziato. Tuttavia, computano i loro ricavi sulla base di redditi le cui unità monetarie hanno un potere d’acquisto molto ridotto. Tutto questo fa sì che sorgano importanti profitti puramente fittizi, il che produce un’illusione di bonaccia imprenditoriale che è priva di base, e spiega che gli imprenditori cominciano a consumare profitti che in realtà non si sono prodotti, il che incrementa ancor di più la pressione della domanda monetaria sui beni di consumo finale76.
È importante mettere in risalto l’effetto dell’incremento, più che proporzionale, nel prezzo dei beni di consumo, in relazione all’aumento che si sperimenta nel prezzo dei fattori originari di produzione. Questo è il fenomeno che storicamente è passato più inosservato a molti trattatisti che, non comprendendo bene la teoria del capitale, non hanno incorporato nella loro analisi il fatto che, dedicandosi più risorse produttive a processi più lontani dal consumo che solo dopo un periodo di tempo prolungato cominciano a produrre i loro risultati, si genera un effetto di diminuzione del tempo d’arrivo di nuovi beni di consumo all’ultimo stadio del processo produttivo. Inoltre, questo effetto è uno dei fenomeni differenziali più importanti che esistono tra il processo di incremento nel risparmio volontario che abbiamo studiato in precedenza (che, per definizione, dava luogo a un
76 «The additional demand on the part of the expanding entrepreneurs tends to raise the prices of producers’ goods and wage rates. With the rise in wage rates, the prices of consumers’ goods rise too. Besides, the entrepreneurs are contributing a share to the rise in the prices of consumers’ goods as they too, deluded by de illusory gains which their business accounts show, are ready to consume more. The general upstream in prices spreads optimism. If only the prices of producers’ goods had risen and those of consumers’ goods had not been affected, the entrepreneurs would have become embarrassed. They would have had doubts concerning the soundness of their plans, as the rise in costs of production would have upset their calculations. But they are reassured by the fact that the demand for consumers’ goods is intensified and makes it possible to expand sales in spite of rising prices. Thus they are confident that production will pay, notwithstanding the higher costs it involves. They are resolved to go on.» Xxxxxx xxx Xxxxx, Human Action, op. cit., p. 553.
aumento degli stocks dei beni di consumo che restavano invenduti e che rendeva possibile il sostentamento dei proprietari di risorse originarie di produzione mentre si culminavano i nuovi processi produttivi), e il caso che ora stiamo analizzando nel quale l’allargamento dei processi produttivi si finanzia a carico di crediti creati dal nulla dalla banca. Non esistendo quindi un aumento precedente del risparmio e, pertanto, non essendo liberati beni e servizi di consumo per rendere possibile il mantenimento della società mentre si culmina l’allargamento degli stadi produttivi e il trasferimento dei fattori originari dalle stadi più vicini al consumo alle più lontane, tende a incrementarsi inevitabilmente il prezzo relativo dei beni di consumo77.
3° Grande aumento relativo nei profitti contabili delle imprese degli stadi più vicini al consumo finale.- L’aumento, che abbiamo spiegato, nel prezzo dei beni di consumo a un ritmo più che proporzionale all’incremento del prezzo dei fattori originari di produzione fa sì che i profitti contabili delle imprese che sviluppano le loro attività negli stadi più lontani dal consumo crescano, in termini relativi, rispetto ai profitti contabili delle imprese che sviluppano la loro attività negli stadi più lontani dal consumo. In effetti, negli stadi più vicini al consumo si osserva come il prezzo relativo dei beni o dei servizi che si vendono si incrementi a un ritmo molto rapido, mentre i costi, benché pressati verso l’alto, non crescono a un ritmo tanto elevato, il che fa sì che il differenziale o profitto contabile tra ricavi e costi vada aumentando negli stadi finali. Per contro, negli stadi più lontani dal consumo, il prezzo dei beni intermedi che si producono in ogni stadio non sperimenta una variazione molto significativa, mentre il costo originario dei fattori di produzione impiegati in ogni stadio sperimenta un aumento continuato, risultato della maggior domanda monetaria degli stessi che ha la sua origine diretta nell’espansione creditizia. Questo fa sì che il profitto delle imprese dedicato agli stadi più lontani dal consumo tenda a diminuire, come risultato contabile di un aumento dei costi più rapido del corrispondente aumento dei ricavi. La conseguenza combinata di ambedue gli effetti è che comincia a evidenziarsi lungo tutta la struttura produttiva che i profitti contabili negli stadi più vicini al consumo sono più elevati in termini relativi dei profitti contabili negli stadi più lontani dal consumo stesso. Ciò dà inizio a un movimento spontaneo degli imprenditori per riconsiderare i loro investimenti, e persino a dubitarne, e a reimpostare gli investimenti iniziali delle loro risorse ritirandoli dai progetti con più alta intensità di capitale iniziati non da molto, per portarli di nuovo negli stadi più vicini al consumo78.
77 In maniera molto concisa spiega Xxxxx: «For a time, consumption may even go on at an unchanged rate after the more roundabout processes have actually started, because the goods which have already advanced to the lower stages of production, being of a highly specific character, will continue to come forward for some little time. But this cannot go on. When the reduced output from the stages of production, from which producers’ goods have been withdrawn for use in higher stages, has matured into consumers’ goods, a scarcity of consumers’ goods will make itself felt, and the prices of those goods will rise.» F.A. Xxxxx, Xxxxxx and Production, op. cit., p. 88.
78 «Sooner or later, then, the increase in the demand for consumers’ goods will lead to an increase of their prices and of the profits
made on the production of consumers’ goods. But once prices begin to rise, the additional demand for funds will no longer be
4° «Effetto Xxxxxxx». – Inoltre, l’aumento più che proporzionale nel prezzo dei beni di consumo rispetto alla crescita nei redditi dei fattori originari di produzione fa sì che, in termini relativi, i redditi reali di questi fattori e, in concreto, i salari del lavoro, inizino ad abbassarsi. Questa riduzione in termini reali dei salari mette in funzionamento l’«Effetto Xxxxxxx», che già spiegammo in dettaglio, ma che adesso agisce in senso contrario a quello che vedemmo che aveva quando si produceva un incremento reale del risparmio volontario. In effetti, così come nel caso del risparmio volontario la diminuzione temporale nella domanda di beni di consumo dava luogo a un aumento in termini reali dei salari che tendeva a stimolare la sostituzione dei lavoratori con macchinari e, pertanto, ad allungare gli stadi produttivi, allontanandoli dal consumo e rendendoli a più alta intensità di capitale, adesso l’effetto che si sperimenta è esattamente il contrario: la crescita più che proporzionale nel prezzo dei beni di consumo rispetto all’aumento dei redditi dei fattori di produzione fa sì che, in termini reali, questi, e in concreto i salari, diminuiscano, e con questo gli imprenditori hanno un potente incentivo economico per sostituire, in virtù dell’«Effetto Xxxxxxx», macchinari e capitale immobilizzato con lavoratori. Si produce così una diminuzione in termini relativi della domanda di beni di capitale e di prodotti intermedi degli stadi più lontani dal consumo, il che va ad aggravare ancor di più il problema latente della diminuzione dei profitti contabili (e perfino delle perdite) che già iniziò a farsi sentire negli stadi più vicini al consumo e che menzionammo nel numero precedente79.
Insomma, l’«Effetto Xxxxxxx»80 agisce in questo caso in un senso contrario a come agiva nel caso dell’aumento del risparmio volontario. Allora vedemmo che un aumento del risparmio dava luogo a
confined to the purposes of new additional investment intended to satisfy the new demand. At first —and this is a point of importance which is often overlooked— only the prices of consumers’ goods, and of such other goods as can rapidly be turned into consumers’ goods, will rise, and consequently profits also will increase only in the late stages of production ... The prices of consumers’ goods would always keep a step ahead of the prices of factors. That is, so long as any part of the additional income thus created is spent on consumers’ goods (i.e. unless all of it is saved), the prices of consumers’ goods must rise permanently in relation to those of the various kinds of input. And this, as will by now be evident, cannot be lastingly without effect on the relative prices of the various kinds of input and on the methods of production that will appear profitable». F.A. Xxxxx, The Pure Theory of Capital, op. cit., pp. 377-378 (i corsivi sono miei). Dobbiamo aggiungere che in un contesto di aumento della produttività non si osserverà un incremento dei prezzi (unitari) dei beni di consumo, ma se un grande aumento nell’importo (monetario) delle vendite e dei profitti globali delle imprese più vicine al consumo.
79 Inoltre, l’Effetto Xxxxxxx non è che una manifestazione del fatto che i nuovi progetti di investimento maturano in un futuro troppo
distante, tenendo conto delle circostanze reali del mercato, per cui non potranno essere portati a termine per mancanza di redditività. Com’è logico, il fatto che per via sindacale e coercitiva si ottenga una crescita dei salari a un ritmo pari a quello dell’aumento del prezzo dei beni di consumo, in nulla pregiudica il nostro argomento, poiché continueranno a esercitare il loro effetto le altre cinque ragioni che menzioniamo nel testo; e finanche lo stesso «Effetto Xxxxxxx», posto che sempre, almeno in termini relativi, il prezzo dei fattori di produzione impiegati negli stadi più vicini al consumo sarà più ridotto di quello delle risorse impiegate negli stadi più lontani, così che l’«Effetto Xxxxxxx», che si basa su un confronto relativo di costi, continuerà a operare (gli stadi più vicini al consumo continueranno a contrattare in termini relativi più mano d’opera che capitale immobilizzato). Gli incrementi coercitivi dei redditi dei fattori originari otterranno soltanto, in ultima istanza, che si produca un’importante crescita nel volume di disoccupazione involontaria degli stessi, aggravato specialmente negli stadi più lontani dal consumo.
80 La prima volta che Xxxxx fece riferimento espressamente all’«Effetto Xxxxxxx» per spiegare il processo di inversione degli effetti
iniziali dell’espansione creditizia, fu nel suo saggio «Profits, Interest and Investment», incluso nelle pp. 3-71 del libro con lo stesso titolo che pubblicò nel 1939 (Routledge, Londra 1939). In concreto, possiamo leggere una descrizione molto concisa dell’«Effetto Xxxxxxx» nella p. 13 di questo saggio, nella quale Xxxxx ci dice che: «It is here that the ‘Xxxxxxx Effect’ comes into action and
una diminuzione a breve termine nella domanda e nel prezzo dei beni di consumo e, pertanto, a un incremento dei salari in termini reali che dava impulso alla sostituzione di lavoratori con macchinario, e all’aumento della domanda di beni immobili e a un allargamento degli stadi produttivi. Ora vediamo che l’incremento, più che proporzionale, del prezzo dei beni di consumo provoca una diminuzione in termini reali dei salari che fa sì che gli imprenditori sostituiscano macchinari con lavoratori, il che pregiudica la domanda di beni immobili e fa sì che i profitti delle imprese degli stadi lontani dal consumo decrescano ancora di più81.
5° Incremento dei tassi di interesse dei crediti a un livello, perfino superiore, a quello che avevano prima dell’espansione creditizia. – L’ultimo effetto che si verifica temporalmente è l’aumento dei tassi di interesse del mercato creditizio. Questa crescita si produce, presto o tardi, quando il ritmo dell’espansione creditizia, non coperta da risparmio reale, cessa di aumentare. In questo caso, il tasso di interesse tenderà a ritornare ai livelli più elevati che aveva prima dell’inizio dell’espansione creditizia. In effetti, se il tasso di interesse prima dell’espansione creditizia era intorno al 10 per cento, e i nuovi crediti creati dal nulla dal sistema bancario si collocano nei settori produttivi via riduzione del tasso di interesse, per esempio, al 4 per cento e facilitando il resto dei requisiti «periferici» nella concessione dei crediti (garanzie contrattuali, ecc.) è chiaro che qualora l’espansione creditizia si arresti, se, come stiamo supponendo, non si produce un aumento del risparmio volontario, i tassi di interesse torneranno a salire al loro livello precedente (cioè, nel nostro esempio saliranno dal 4 al 10 per cento). E saliranno perfino oltre il livello precedente che avevano prima dell’espansione creditizia (cioè, si eleveranno oltre la percentuale originaria del 10 per cento) come conseguenza dell’effetto combinato dei due seguenti fenomeni:
becomes of decisive importance. The rise in the prices of consumers’ goods and the consequent fall in real wages means a rise in the rate of profit in the consumers’ goods industries, but, as we have seen, a very different rise in the time rates of profit that can now be earned on more direct labour and on the investment of additional capital in machinery. A much higher rate of profit will now be obtainable on money spent on labour than on money invested in machinery. The effect of this rise in the rate of profit in the consumers’ goods industries will be twofold. On the one hand it will cause a tendency to use more labour with the existing machinery, by working over time and double shifts, by using outworn and obsolete machinery, etc., etc. On the other hand, in so far as new machinery is being installed, either by way of replacement or in order to increase capacity, this, so long as real wages remain low compared with the marginal productivity of labour, will be of a less expensive, less labour-saving or less durable type.» Il funzionamento dell’«Effetto Xxxxxxx» negli stadi più espansivi del boom può vedersi anche, oltre che nel lavoro menzionato, nell’articolo «The Xxxxxxx Effect» pubblicato in Economica nel 1942 (IX, n.º 34, pp. 127-152), e anche nel già citato «Three Elucidations of the Xxxxxxx Effect», pubblicato nel Journal of Political Economy, vol. 7-7, n.º 2, anno 1969. Sono interessanti in questo senso anche i lavori di Xxxxxxxx X. Xxxx y Xxxxx X. Xxxxxx, «Xxxxx’x Xxxxxxx Effect: A Second Look» (History of Political Economy, n.º 18:4, anno 1986, pp. 545-565), G.P. X’Xxxxxxxx, «The Specialization Gap and the Xxxxxxx Effect: Comment xx Xxxxxxxx», pubblicato in History of Political Economy, vol. 7, estate del 1975, pp. 261-269, e X. Xxxxxx xx Xxxx, «Xxxxxxx Effect», in An Eponymous Dictionary of Economics: A Guide to Laws and Theorems Named After Economists, X. Xxxxxx y X. Xxxxxxxxx Xxxxx (eds.), Xxxxxx Xxxxx, Xxxxxxxxxx, Xxxxxxxxxxx 0000.
81 O come spiega Mises: «With further progress of the expansionist movement the rise in the prices of consumers’ goods will
outstrip the rise in the prices of producers’ goods. The rise in wages and salaries and the additional gains of the capitalists, entrepreneurs, and farmers, although a great part of them is merely apparent, intensify the demand for consumers’ goods... At any rate, it is certain that the intensified demand for consumers’ goods affects the market at a time when the additional investments are not yet in a position to turn out their products. The gulf between the prices of present goods and those of future goods widens again. A tendency toward a rise in the rate of originary interest is substituted for the tendency toward the opposite which may have come into operation at the earlier stages of the expansion.» Xxxxxx xxx Xxxxx, Human Action, op. cit., p. 558.
a) Da un lato, l’espansione creditizia e l’incremento dell’offerta monetaria che la stessa presuppone tenderanno, ceteris paribus, a incrementare i prezzi dei beni di consumo, cioè, a diminuire il potere d’acquisto dell’unità monetaria. Perciò, se i prestatori vogliono chiedere in termini reali gli stessi tassi di interesse, dovranno aggiungere una componente per l’inflazione o, se si preferisce, per la diminuzione prevista del potere d’acquisto dell’unità monetaria, al tasso di interesse precedente all’inizio del processo di espansione creditizia82.
b) Inoltre, esiste un’importante ragione addizionale perché i tassi di interesse tornino, non solo al loro importo precedente, ma a un livello persino superiore. E gli imprenditori che hanno intrapreso l’allungamento dei processi produttivi, nonostante il fatto che i tassi di interesse siano saliti, e nella misura in cui abbiano già impegnato importanti risorse nei nuovi progetti di investimento, saranno disposti a pagare tassi di interesse molto alti, a patto che si forniscano loro i fondi necessari per poter culminare i progetti che per errore hanno intrapreso. Questo è un importante aspetto che fino a che non fu studiato in dettaglio da Xxxxx nel 1937 era passato completamente inosservato83. Hayek dimostrò che il processo di investimento in beni di capitale genera una domanda autonoma di ulteriori beni di capitale, esattamente di quelli che hanno un carattere complementare rispetto a quelli già prodotti. Inoltre, questo fenomeno durerà finché si mantengano le aspettative secondo cui i processi di produzione si potranno terminare, per cui gli imprenditori si lanceranno a domandare nuovi crediti, non importa quale sia il costo degli stessi, prima di vedersi costretti a riconoscere il loro fallimento e ad abbandonare definitivamente i loro progetti di investimento nei quali hanno messo a repentaglio il loro prestigio e volumi molto importanti di risorse. Come conseguenza di tutto ciò, la crescita del tasso di interesse nel mercato creditizio che si sperimenta alla fine del boom non si deve soltanto a fenomeni monetari, come in precedenza Xxxxx aveva pensato, ma anche a fattori reali che
82 Inoltre, il premio di rischio inizia a crescere man mano che sorgono dubbi sulla percorribilità dei distinti progetti di investimento. Xxxxxx xxx Xxxxx, da parte sua, già nel 1928 scrisse: «The banks can no longer make additional loans at the same interest rates. As a result, they must raise the loan rate once more for two reasons. In the first place, the appearance of the positive price premium forces them to pay higher interest for outside funds which they borrow. Then, also they must discriminate among the many applicants for credit. Not all enterprises can afford this increased interest rate. Those which cannot run into difficulties.» Cfr. On the Manipulation of Money and Credit, Freemarket Books, New York 1978, p. 127. Questa è la traduzione in inglese che dobbiamo a Xxxxxxx Bien Xxxxxxx del libro pubblicato nel 1928 da Xxxxxx xxx Xxxxx con il titolo di Geldwertstabilisierung und Konjunkturpolitik, Xxxxxx Xxxxxxx, Jena 1928. La citazione che abbiamo appena fatto in inglese si trova nelle pp. 51-52 di questa edizione tedesca che incorpora in maniera dettagliata tutta la teoria di Mises sul ciclo economico e che si pubblicò in precedenza a Prices and Production, e all’edizione tedesca de La teoría monetaria y el ciclo económico di Xxxxx (1929). È curioso che Xxxxx quasi mai citi questa importante opera, nella quale Xxxxx elabora e approfondisce la teoria del ciclo che ebbe solo l’opportunità di abbozzare nella sua Teoría del dinero y del crédito pubblicata 16 anni prima. Forse questa dimenticanza di Xxxxx è deliberata e ha la sua origine nel desiderio di far vedere alla comunità scientifica che le prime cose da approfondire nella teoria misesiana furono le sue opere su La teoría monetaria y el ciclo económico y Precios y producción, (in italiano La teoria monetaria e il ciclo economico e Prezzi e produzione), sorvolando così sul trattamento già molto completo dato al tema da Mises nel 1928.
83 Cfr. F.A. Hayek, «Investment that raises the Demand for Capital», pubblicato in The Review of Economics and Statistics, vol.
XIX, n.º 4, novembre del 1937 e ripreso in Profits, Interest and Investment, op. cit., pp. 73-82.
toccano la domanda di nuovi crediti84. Insomma, gli imprenditori impegnati a completare i nuovi stadi con più alta intensità di capitale che hanno intrapreso, e che cominciano a vedere il pericolo, ricorrono alle banche domandando dosi addizionali di crediti, e offrendo un interesse per gli stessi sempre più elevato, di modo che cominciano una
«guerra a morte» per ottenere risorse addizionali85.
6° L’apparizione di perdite contabili nelle imprese negli stadi relativamente più lontani dal consumo: l’inevitabile arrivo della crisi. – Il risultato combinato dei cinque effetti precedenti determina che, presto o tardi, comincino ad apparire importanti perdite contabili nelle imprese che sviluppano la loro attività negli stadi relativamente più lontani dal consumo. Queste perdite contabili, messe a paragone con i profitti che si ottengono negli stadi più vicini al consumo, evidenziano perfino inequivocabilmente i gravi errori imprenditoriali commessi, così come la necessità imperiosa di riconvertirsi, procedendo al blocco e in seguito alla liquidazione dei progetti di investimento erroneamente intrapresi, ritirando risorse produttive dagli stadi più lontani dal consumo per trasferirle di nuovo a quelle più vicini allo stesso.
Insomma, gli imprenditori cominciano a rendersi conto che è necessario effettuare un massiccio riassestamento nella struttura produttiva. Cioè, una riconversione o una «ristrutturazione» in virtù della quale si ritirano dai progetti che intrapresero negli stadi delle industrie di beni di capitale e che
84 Xxxxxxx Xxxxx, riferendosi alla salita dei tassi di interesse nello stadio finale del boom, afferma che: «The most important cause practically of such false expectations probably is a temporary increase in the supply of such funds through credit expansion at a rate which cannot be maintained. In this case, the increased quantity of current investment will induce people to expect investment to continue at a similar rate for some time, and in consequence to invest now in a form which requires for its successful completion further investment at a similar rate... And the greater the amount of investment which has already been made compared with that which is still required to utilize the equipment already in existence, the greater will be the rate of interest which can advantageously be borne in raising capital for these investments completing the chain». F.A. Xxxxx, «Investment that raises the Demand for Capital», op. cit., pp. 76 e 80. Mises ci chiarisce che il boom si arresta esattamente quando gli imprenditori iniziano ad avere difficoltà a ottenere il crescente finanziamento di cui necessitano per i loro progetti d’investimento: «The entrepreneurs cannot procure the funds they need for the further conduct of their ventures. The gross market rate of interest rises because the increased demand for loans is not counterpoised by a corresponding increase in the quantity of money available for lending». Xxxxxx xxx Xxxxx, Human Action, op. cit., p. 554.
85 «Entrepreneurs determined to complete their endangered long-term capital projects turn to the banks for more bank credit, and a
tug-of-war begins. Producers seek new bank loans, the banking system accommodates the new loan demand by creating new money, product prices rise ahead of wage costs. In each market period the process repeats itself, with product prices always rising ahead of wages.» Xxxxxxxx X. Xxxx e Xxxxx X. Xxxxxx, «Xxxxx’x Xxxxxxx Effect: A Second Look», op. cit., p. 554. Mises, da parte sua, spiega il processo ne La azione umana nel modo seguente: «This tendency toward a rise in the rate of originary interest and the emergence of a positive price premium explain some characteristics of the boom. The banks are faced with an increased demand for loans and advances on the part of business. The entrepreneurs are prepared to borrow money at higher gross rates of interest. They go on borrowing in spite of the fact that banks charge more interest. Arithmetically, the gross rates of interest are rising above their height on the eve of the expansion. Nonetheless, they lag catalactically behind the height at which they would cover originary interest plus entrepreneurial component and price premium. The banks believe that they have done all that is needed to stop ‘unsound’ speculation when they lend on more onerous terms. They think that those critics who blame them for xxxxxxx the flames of the boom-frenzy of the market are wrong. They fail to see that in injecting more and more fiduciary media into the market they are in fact kindling the boom. It is the continuous increase in the supply of the fiduciary media that produces, feeds, and accelerates the boom. The state of the gross market rates of interest is only an outgrowth of this increase. If one wants to know whether or not there is credit expansion, one must look at the state of the supply of fiduciary media, not at the arithmetical state of the interest rates.» Xxxxxx xxx Xxxxx, Human Action, op. cit., p. 558-559.
non poterono culminare con successo, trasferendo quel che è rimasto delle loro risorse verso le industrie più vicine al consumo. Occorre liquidare i progetti di investimento che ora è evidente che non sono profittevoli e trasferire in maniera massiccia le corrispondenti risorse produttive, e in concreto la mano d’opera, verso gli stadi più vicini al consumo. È arrivata, pertanto, la crisi e la depressione economica, fondamentalmente per mancanza di risorse reali risparmiate per completare alcuni progetti di investimento che, secondo quanto si è evidenziato, erano eccessivamente ambiziosi. La crisi si manifesta in un eccesso di investimento negli stadi più lontani dal consumo, cioè, nelle industrie dei beni di capitale (altiforni, cantieri navali, costruzioni, comunicazioni, nuove tecnologie, ecc.), così come nel resto degli stadi che restrinsero la loro struttura di beni di capitale; e si manifesta anche da una parallela scarsità relativa di investimento nelle industrie più vicine al consumo. Il risultato combinato di entrambi gli errori è che si è portato a termine un generalizzato cattivo investimento delle risorse produttive, cioè, un investimento con stile, qualità, quantità e distribuzione geografica e imprenditoriale propri di una situazione nella quale il risparmio volontario è molto maggiore di quello che realmente è stato prodotto. Insomma, si è investito in forma e quantità indebite nei luoghi erronei della struttura produttiva, perché gli imprenditori pensavano, ingannati dall’espansione creditizia della banca, che il risparmio della società fosse molto maggiore. Gli agenti economici si sono dedicati ad allargare gli stadi con più alta intensità di capitale, con la speranza che, una volta che i nuovi processi di investimento si fossero culminati temporalmente, si sarebbe incrementata in maniera molto significativa l’affluenza finale di beni e servizi di consumo. Tuttavia, il processo di allungamento della struttura produttiva esige un periodo di tempo molto prolungato fino a che la società possa arrivare a beneficiare del corrispondente aumento nella produzione di beni e servizi di consumo. E gli agenti economici non sono disposti ad aspettare questi periodi di tempo più prolungati, ma, agendo, manifestano le loro preferenze domandando i beni e i servizi di consumo ora, cioè, molto ma molto prima di quanto sarebbe necessario per culminare l’allargamento intrapreso nella struttura produttiva86.
Il risparmio della società si può investire bene o male. L’espansione creditizia creata a partire dal nulla dal sistema bancario fa sì che gli imprenditori agiscano come se il risparmio della società fosse aumentato molto, esattamente del volume in cui la banca ha creato nuovi crediti o mezzi fiduciari. I processi microeconomici che abbiamo analizzato nei punti precedenti fanno sì che, in maniera
86 Con parole dello stesso F.A. Xxxxx: «The crux of the whole capital problem is that while it is almost always possible to postpone the use of things now ready or almost ready for consumption, it is in many cases impossible to anticipate returns which were intended to become available at a later date. The consequence is that, while a relative deficiency in the demand for consumers’ goods compared with supply will cause only comparatively minor losses, a relative excess of this demand is apt to have much more serious effects. It will make it altogether impossible to use some resources which are destined to give a consumable return only in the more distant future but will do so only in collaboration with other resources which are now more profitably used to provide consumables for the more immediate future». F.A. Xxxxx, The Pure Theory of Capital, pp. 345-346.
spontanea e ineludibile, si sottolinei l’errore commesso. Questo ha la sua origine nel fatto che gli agenti economici per molto tempo credettero che il risparmio disponibile fosse molto maggiore di quanto fosse in realtà. Questa situazione è molto simile a quella in cui si troverebbe il nostro Xxxxxxxx Crusoe del paragrafo 1 se, avendo risparmiato un cestino di more, che gli consentisse di elaborare un bene di capitale durante un periodo massimo di cinque giorni senza doversi dedicare alla raccolta elle stesse, per un errore di calcolo87, pensasse che con quel risparmio potrebbe intraprendere la costruzione della sua capanna, consumando le more del cestino dopo aver dedicato i cinque giorni semplicemente a scavare le fondamenta e all’accaparramento dei materiali, senza essere in grado pertanto di culminare il suo illusorio progetto di investimento. O, seguendo l’esempio di Xxxxx, l’errore commesso generalmente è molto simile a quello in cui incorse un costruttore che, equivocando in quanto alla quantità dei materiali a sua disposizione, li esaurì completamente nella costruzione delle fondamenta, vedendosi costretto a lasciare incompiuto l’immobile88. Come bene indica Xxxxx, si tratta pertanto di una crisi da eccesso di consumo o, se si preferisce, da scarsità di risparmio, che si è evidenziato non essere sufficiente per completare gli investimenti a più alta intensità di capitale che si iniziarono per errore. La situazione sarà simile a quella degli abitanti immaginari di un’isola perduta che, avendo intrapreso la costruzione di un’enorme macchina capace di coprire completamente le necessità della popolazione, avesse esaurito tutti i suoi risparmi e i suoi capitali prima di terminarla e non avessero più alcun rimedio se non quello di abbandonare temporaneamente la sua costruzione, dedicandosi di nuovo con tutta la loro energia a cercare l’alimento giornaliero a un livello di mera sussistenza, cioè, senza far conto perciò su nessun capitale immobilizzato89. Come risultato di tutto questo, numerose fabbriche chiudono, specialmente negli stadi più lontani dal consumo, si bloccano grandi quantità di progetti di investimento intrapresi per errore e molti lavoratori sono licenziati. Inoltre, lungo tutta la società il pessimismo diviene generale, e l’idea che si è entrati in un’inspiegabile crisi economica, appena
87 È precisamente questo il motivo per il quale in un altro sito ho argomentato che il ciclo economico è un caso particolare degli errori di calcolo economico a cui dà luogo l’interventismo dello Stato in economia (in questo caso nel campo monetario e creditizio). Cfr. Xxxxx Xxxxxx xx Xxxx, Socialismo, cálculo económico y función empresarial, op. cit., pp. 111 e ss. Cioè, si può considerare che tutto il contenuto di questo libro non è che l’applicazione al caso particolare del settore creditizio e finanziario del teorema dell’impossibilità del calcolo economico socialista.
88 «The whole entrepreneurial class is, as it were, in the position of a master-builder whose task it is to erect a building out of a
limited supply of building materials. If this man overestimates the quantity of the available supply, he drafts a plan for the execution of which the means at his disposal are not sufficient. He oversizes the groundwork and the foundations and only discovers later in the progress of the construction that he lacks the material needed for the completion of the structure. It is obvious that our masterbuilder’s fault was not overinvestment, but an inappropriate employment of the means at his disposal.» Xxxxxx xxx Xxxxx, Human Action, op. cit., p. 560.
89 Cfr. Xxxxx Xxxxxx xx Xxxx, «La teoría austriaca del ciclo económico», in Estudios de economía política, Unión Editorial, Madrid
1994, cap. 13, p. 175. Xxxxx pone questo esempio con le seguenti parole: «The situation would be similar to that of a people of an isolated island, if, after having partially constructed an enormous machine which was to provide them with all necessities, they found out that they had exhausted all their savings and available free capital before the new machine could turn out its product. They would then have no choice but to abandon temporarily the work on the new process and to devote all their labour to producing their daily food without any capital.» F.A. Xxxxx, Xxxxxx and Production, op. cit., p. 94.
poco tempo dopo che si arrivasse a credere che il boom e l’ottimismo, lungi dall’aver raggiunto il loro zenit, avrebbero avuto una durata illimitata, demoralizza perfino quelli che abitualmente godono di una maggior presenza d’animo90.
GRAFICO V-7 P. 301 TABELLA V-6 P. 302
Nel Grafico V-7 rappresentiamo come rimane la struttura produttiva dopo che la crisi e la recessione economica indotte dall’espansione creditizia (non coperta dall’aumento precedente di risparmio volontario) si sono evidenziate e sono stati effettuati i riaggiustamenti necessari. Come si vede, si tratta di una struttura produttiva molto appiattita, nella quale esistono solo cinque stadi, essendo scomparse i due stadi più lontani dal consumo che, in un primo momento, e così come vedemmo nei grafici V-5 e V-6, l’espansione creditizia ne aveva erroneamente reso possibile l’impresa. Inoltre, vediamo nella Tabella V-6 come, anche se il reddito lordo dell’esercizio è identica a quella segnalata nella Tabella V-5 (483,7 unità monetarie), la distribuzione tra la parte della stessa che viene dedicata alla domanda diretta di beni e servizi di consumo finale e alla domanda di beni intermedi di produzione si sia modificata in favore della prima. In effetti, ora ci sono centotrentadue unità monetarie di domanda monetaria di beni di consumo, un terzo superiore alle cento unità di domanda monetaria che esistevano nell’esempio del Grafico V-5 e della Tabella V-5. Mentre la domanda monetaria globale di beni intermedi di produzione è scesa passando da trecentottantatré a trecentocinquantuno unità monetarie. Insomma, c’è una struttura più «appiattita» che, per essere con minore intensità di capitale, dà luogo a una minore produzione di beni e servizi di consumo che, tuttavia, riceve una domanda monetaria più elevata. Tutto questo genera un forte incremento nel prezzo di beni e servizi di consumo, e un impoverimento generalizzato della società. Questo è evidenziato dalla discesa, in termini reali, del prezzo dei differenti fattori produttivi che, benché abbiano nominalmente visto di molto aumentate i loro redditi monetari, crescendo ancor più
90 «The entrepreneurs must restrict their activities because they lack the funds for their continuation on the exaggerated scale. Prices drop suddenly because these distressed firms try to obtain cash by throwing inventories on the market dirt cheap. Factories are closed, the continuation of construction projects in progress is halted, workers are discharged. As on the one hand many firms badly need money in order to avoid bankruptcy, and on the other hand no firm any longer enjoys confidence, the entrepreneurial component in the gross market rate of interest jumps to an excessive height.» Xxxxxx xxx Xxxxx, Human Action, op. cit., p. 562. Xxxx Xxxxxxx, da parte sua, segnala che nello stadio recessivo si producono i seguenti effetti sul prezzo dei prodotti dei differenti stadi: primo, le diminuzioni maggiori nei prezzi e nell’impiego normalmente avvengono nelle imprese che si dedicano alle attività più lontane dal consumo. In secondo luogo, cadono anche i prezzi dei prodotti degli stadi intermedi, sebbene in minor proporzione. In terzo luogo, il prezzo dei mercati tutt’al più si riduce, anche se proporzionalmente in minor quantità; e in quarto e ultimo luogo, anche il prezzo dei beni di consumo tende a cadere, sebbene in una proporzione molto più piccola di quella che si produce nel resto dei beni che abbiamo commentato. Inoltre, è possibile perfino che il prezzo dei beni di consumo, invece di cadere, salga, se ci troviamo in un contesto di recessione inflazionistica. Cfr. Xxxx Xxxxxxx, The Structure of Production, op. cit., p. 304.
in fretta il prezzo dei beni di consumo vanno sensibilmente perdendo in termini reali. Inoltre, osserviamo come il tasso di interesse, o tasso di profitto contabile a cui tende ogni stadio, si sia incrementato oltre il 13,5 per cento, cioè, a un livello perfino superiore a quello che esisteva nel mercato creditizio prima dell’espansione creditizia (dell’11 per cento annuo), e raccoglie gli effetti del premio per la diminuzione del potere d’acquisto della moneta, della maggior concorrenza esistente tra gli imprenditori per correre alla disperata ricerca di nuovi prestiti, e dell’incremento nelle componenti di rischio e incertezza imprenditoriale del tasso di interesse che si produce in ogni situazione dove si diffonde il pessimismo e la sfiducia economica.
È importante mettere in risalto che la struttura produttiva che rimane dopo che si sia prodotto il necessario riaggiustamento, e che abbiamo voluto illustrare con il Grafico V-7, non può continuare a essere uguale a quella che aveva prima dell’espansione creditizia. Questo è così perché le circostanze sono cambiate notevolmente. Da un lato, irrimediabilmente, si sono prodotte importanti perdite di capitale, nella misura in cui le risorse scarse della società in molte occasioni si sono materializzate in investimenti che non si possono riconvertire e che, pertanto, sono prive di valore economico. Ciò fa sì che si verifichi un impoverimento generalizzato della società che si manifesta in una diminuzione del bene di capitale pro capite, per cui diminuirà la produttività del lavoro, e i salari, coerentemente, dovranno ridursi ancor di più in termini reali. Inoltre, si è prodotta una redistribuzione del reddito tra i distinti fattori della produzione, così come una ristrutturazione di tutti quei processi di investimento che, intrapresi per errore, tuttavia conservano ancora qualche uso e qualche valore economico. Tutte queste nuove circostanze determinano che la struttura produttiva sia qualitativamente molto diversa e quantitativamente molto più appiattita, e impoverita, di quella che esisteva prima che iniziasse dalle banche l’espansione creditizia91.
91 Xxxxx Xxxxxxx ha studiato in dettaglio le cause che provocano l’appiattimento della struttura produttiva e perché dopo il riaggiustamento sia diversa e più povera di quella che esisteva prima dell’espansione creditizia: «(1) Many capital goods are specific, i.e., not capable of being used for other purposes than those they were originally planned for; major losses follow then from the change in production structure. (2) Capital values in general —i.e., anticipated values of the future income— are reduced by higher rates of capitalization; the owners of capital goods and property rights experience, therefore, serious losses. (3) The specific capital goods serviceable as ‘complementary’ equipment for those lines of production which would correspond to the consumers’ demand are probably not ready; employment in these lines is, therefore, smaller than it could be otherwise. (4) Marginal-value productivity of labour in shortened investment periods is lower, wage rates are, therefore, depressed. (5) Under inflexible wage rates unemployment ensues from the decreased demand prices for labour». Cfr. Xxxxx Xxxxxxx, «Professor Xxxxxx and the ‘Period of Production’», Journal of Political Economy, ottobre del 1935, n.º 5, vol. 43, p. 623. Xxxxxx xxx Xxxxx è, forse, ancor più tassativo rispetto alla possibilità che la nuova struttura produttiva sia simile a quella che esisteva prima dell’espansione creditizia, quando afferma che:
«These data, however, are no longer identical with those that prevailed on the eve of the expansionist process. A good many things have changed. Forced saving and, to an even greater extent, regular voluntary saving may have provided new capital goods which were not totally squandered through malinvestment and overconsumption as induced by the boom. Changes in the wealth and income of various individuals and groups of individuals have been brought about by the unevenness inherent in every inflationary movement. Apart from any causal relation to the credit expansion, population may have changed with regard to figures and the characteristics of the individuals comprising them; technological knowledge may have advanced, demand for certain goods may have been altered. The final state to the establishment of which the market tends is no longer the same toward which it tended before the disturbances created by the credit expansion.» Xxxxxx xxx Xxxxx, Human Action, op. cit., p. 563.
Riassumendo, abbiamo spiegato i fondamenti microeconomici del movimento contrario di carattere spontaneo che tende a prodursi nel mercato, sempre che si verifichi un’espansione creditizia non coperta da un aumento precedente del risparmio volontario, e che dà luogo ai cicli successivi di auge e depressione che con carattere regolare vengono sperimentando le economie occidentali già da quasi due secoli (e perfino da molto prima, come abbiamo visto nel capitolo II). Abbiamo anche evidenziato che non esiste nessuna possibilità teorica che un incremento espansivo dei crediti da parte del settore bancario, che non sia coperto dal corrispondente aumento precedente del risparmio volontario, permetta di ridurre i necessari sacrifici che ogni processo di crescita economica esige, e stimolare e accelerare lo stesso, senza che i cittadini volontariamente decidano di sacrificarsi e di risparmiare92. Essendo queste conclusioni di grande importanza, ci occuperemo tuttavia nel paragrafo seguente dell’analisi degli effetti specifici che le stesse hanno sul settore bancario e, in concreto, in quale modo spieghino che questo non possa funzionare in modo autonomo (cioè senza l’esistenza di una banca centrale) utilizzando un coefficiente di riserva frazionaria. In questo modo, culmineremo l’analisi teorica che ci proponemmo nel capitolo III, ossia: dimostrare teoricamente che era impossibile che mediante il coefficiente frazionario di riserva il sistema bancario potesse auto-assicurarsi contro la sospensione dei pagamenti e i fallimenti, poiché ciò che si supponeva sicuro (il coefficiente di riserva frazionaria) è esattamente ciò che mette in funzionamento un processo di espansione creditizia, boom, crisi e recessione economica che ineludibilmente finisce sempre per pregiudicare la solvibilità e la capacità di pagamento delle banche.
4
LA BANCA, IL COEFICIENTE DI RISERVA FRAZIONARIA
92 Nelle parole rotonde di Xxxxxxxx X. Xxxx e Xxxxx X. Xxxxxx: «Any real growth in the capital stock takes time and requires voluntary net savings. There is no way for an expansion of the money supply in the form of bank credit to short-circuit the process of economic growth.» «Xxxxx’x Xxxxxxx Effect: A Second Look», op. cit., p. 555 (i xxxxxxx sono miei). Forse l’articolo nel quale in maniera più sintetica e xxxxxx Xxxxx spiega tutto questo processo e il suo lavoro «Price Expectations, Monetary Disturbances and Malinvestment», pubblicato nel 1933 e incluso nel suo Profits, Interest and Investment, op. cit., p. 135-156. Fortunatamente questo chiarissimo articolo di Xxxxx fu incluso da Xxxx Xxxxxxxx come Appendice all’edizione del 1936 pubblicata da Espasa-Calpe de La teoría monetaria y el ciclo económico (op. cit., pp. 191-202) e che Xxxxxxxx tradusse in castigliano con il non molto fortunato titolo di
«Previsiones de precios, perturbaciones monetarias e inversiones fracasadas» (rieditato come Appendice alla recente edizione spagnola di Prezzi e produzione, op. cit., pp. 145-159). Su questa stessa linea è anche necessario menzionare i lavori di Xxxxx X. Xxxxxxxx, illustrando graficamente la teoria austriaca del capitale e dei cicli e paragonandola con le esposizioni grafiche più usuali utilizzate nei libri di testo di macroeconomia per esporre i modelli classico e keynesiano, e in special modo «Austrian Macroeconomics: A Diagrammatical Exposition», originariamente pubblicato alle pp. 167-201 del libro New Directions in Austrian Economics, Xxxxx X. Xxxxxxx (ed.), Sheed Xxxxxxx & McMeel, Kansas City 1978 (questo lavoro è stato in seguito rieditato come monografia indipendente all’Institute for Humane Studies nel anno 1978 e ampliato e generalizzato nel suo libro Time and Money, op. cit.), e il lavoro di Xxxxxx X. Xxxxxxxx «A Reconsideration of the Austrian Theory of Industrial Fluctuations», originariamente pubblicato in Economica, n.º 7, maggio del 1940, e incluso nelle pp. 267-284 del libro Capital, Expectations and the Market Process: Essays on the Theory of the Market Economy, Xxxxxx X. Xxxxxxxx, Sheed, Xxxxxxx & XxXxxx, Xxxxxx Xxxx 0000. Infine, si può consultare la descrizione di tutto il processo che in maniera sintetica faccio nel mio articolo «La teoria austriaca del ciclo economico», opera già citata.
E LA LEGGE DEI GRANDI NUMERI
L’analisi che abbiamo fatto fin qui ci permette di chiederci se sia possibile, come ha sostenuto la dottrina, applicare la legge dei grandi numeri per assicurare l’esercizio della banca con un coefficiente di riserva frazionaria. Si tratta, in ultima istanza, di rispondere all’argomento secondo cui le banche, in virtù della legge dei grandi numeri, necessitano di disporre sotto forma di riserva di cassa di una frazione soltanto della moneta presso di loro depositata in contanti per far fronte alle domande di liquidità che ricevono dai loro clienti. Questo è l’argomento che costituisce il cuore delle dottrine giuridiche che tentano di giustificare il contratto bancario di deposito irregolare di moneta con riserva frazionaria e che già studiammo criticamente nel capitolo III.
Il riferimento in questo ambito alla legge dei grandi numeri equivale a pretendere di applicare i principi della tecnica assicuratrice per coprire il rischio di ritiro dei depositi, rischio che si considera a priori potersi quantificare e che, pertanto, è perfettamente assicurabile. Tuttavia, questa credenza è teoricamente erronea e si basa, come vedremo, su una concezione equivoca della natura dei fenomeni di cui ci occupiamo. In effetti, i fenomeni relazionati con l’attività bancaria, lungi da riferirsi alla classe dei fenomeni che corrispondono al mondo naturale, e il cui rischio è assicurabile, si riferiscono ai fenomeni che si trovano dentro l’orbita dell’azione umana, immersi pertanto in una situazione di incertezza (non di rischio), che non è, proprio per la sua natura, tecnicamente assicurabile.
E nel campo dell’azione umana il futuro è sempre incerto, nel senso che deve ancora accadere e che gli attori che si accingono a esserne i protagonisti hanno di esso solo certe idee, immagini o aspettative che sperano di trasformare in realtà mediante la propria azione personale e l’interazione con altri attori. Inoltre, il futuro è aperto a tutte le possibilità creative dell’uomo, per cui ogni attore si raffronta a esso con un’incertezza inestirpabile, che potrà diminuire grazie ai comportamenti regolari propri e altrui (istituzioni) e se agisce ed esercita bene la funzione imprenditoriale, ma che non sarà in grado di eliminare totalmente93. Il carattere aperto e inestirpabile dell’incertezza di cui parliamo fa sì che non siano applicabili al campo dell’interazione umana le nozioni tradizionali della probabilità oggettiva e soggettiva, né tantomeno la concezione bayesiana sviluppata intorno a quest’ultima. E il Teorema di Xxxxx richiede una struttura stocastica sottostante di carattere stabile che è incompatibile con la capacità creativa dell’essere umano94. Questo è così non solo perché non
93 Si confronti in questo senso Xxxxx Xxxxxx xx Xxxx, Socialismo, cálculo económico y función empresarial, op. cit., pp. 46-47.
94 «The Bayesian approach rules out the possibility of surprise». J.D. Hey, Economics in Disequilibrium, New York University
Press, New York 1981, p. 99. E nello stesso senso, Xxxxx F.M. Xxxxxx, nel suo articolo «Austrian Economics and Uncertainty», manoscritto presentato alla First European Conference on Austrian Economics (Maastricht, aprile del 1992, p. 13), afferma che: «the conclusion to be drawn is the impossibility of talking about subjective probabilities that tend to objective probabilities. The dimensions are not on the same footing but cover different levels of knowledge».
si conoscono nemmeno tutte le alternative o tutti i casi possibili, ma perché, tra l’altro, solo l’attore possiede determinate credenze o convinzioni soggettive – denominate da Mises probabilità casuali o eventi unici95 – che man mano che si modificano o si ampliano, tendono a variare a sorpresa, cioè, in forma radicale e non convergente, tutta la sua mappa di credenze e conoscenze. In questo modo l’attore scopre di continuo situazioni completamente nuove che prima nemmeno era stato in grado di intuire.
Questa concezione dell’incertezza, corrispondente ai fenomeni propri dell’azione umana e pertanto dell’economia, è radicalmente distinta dal concetto di rischio che si trova nel mondo della fisica e della scienza naturale, e può riassumersi nella seguente Tabella V-7:
TABELLA V-7
Mondo della scienza naturale Mondo dell’azione umana
1. Probabilità di classe: si conosce o si può arrivare a conoscere il com- portamento della classe, ma non
il comportamento individuale dei suoi elementi.
2. Esiste una situazione di rischio, assicurabile per tutta la classe.
3. La probabilità è matematizzabile.
4. Si giunge ad essa mediante la logica e l’indagine empirica. Il teorema
di Xxxxx permette di approssimare
1. «Probabilità» del caso o evento uni- co: non esiste classe, ma si conosco- no alcuni fattori che riguardano l’evento unico e altri no. La stessa azione può provocare o creare detto evento
2. C’è incertezza inestirpabile, dato il carattere creativo dell’azione umana. L’incertezza non è, pertanto, assicurabile.
3. Non è matematizzabile
4. Si scopre mediante la comprensione e la stima imprenditoriale. Ogni nuova informazione modifica ex
95 Xxxxxx xxx Xxxxx, Human Action, op. cit., pp. 110-118.
5. Concetto tipico utilizzato dall’attore-
imprenditore, o dallo storico.
novo tutta la mappa di credenze e
aspettative (concetto di sorpresa).
5. È oggetto di indagine da parte della
scienza naturale
la probabilità di classe, non appe-
na appare nuova informazione.
È evidente che i fenomeni relativi al ritiro più o meno massiccio e imprevisto dei depositi da una banca da parte dei propri clienti corrispondono all’ambito proprio dell’azione umana, e si trovano immersi in una situazione di incertezza che, proprio per sua natura, non è tecnicamente assicurabile. La ragione tecnico-economica dell’impossibilità di assicurare l’incertezza si radica, fondamentalmente, nel fatto che proprio l’azione umana provoca o crea gli eventi che si pretende di assicurare. Cioè, i fenomeni di ritiro dei depositi si vedono inesorabilmente colpiti e influenzati proprio dall’esistenza dell’«assicurazione» (coefficiente di riserva frazionaria ipoteticamente stabilito in funzione della legge dei grandi numeri e dall’esperienza dei banchieri) e dall’accadimento del fenomeno (crisi e panico bancario che danno luogo al ritiro massiccio dei depositi) che si pretende appunto assicurare96.
96 Ci stiamo riferendo, insomma, al fenomeno di moral hazard o rischio morale, che già fu analizzato in termini teorici da M.V. Xxxxx («The Economics of Moral Hazard», American Economic Review, vol. 58, 1968, pp. 531-537). In questo stesso senso è possibile rimarcare il lavoro di Xxxxxxx X. Xxxxx, «The Economics of Moral Hazard: Further Comments», pubblicato originariamente in American Economic Review, vol. 58, 1968, pp. 537-53, dove Xxxxx continua le indagini su questo fenomeno che iniziò nel suo articolo del 1963 su «Uncertainty in the Welfare Economics of Medical Care», American Economic Review, vol. 53, 1963, pp. 941-973. Per Arrow, il rischio morale sembra sempre che «the insurance policy might itself change incentives and therefore the probabilities upon which the insurance company has relied». Questi due articoli di Arrow sono stati inclusi nel suo libro Essays in the Xxxxxx xx Xxxx-Xxxxxxx, Xxxxx Xxxxxxx Xxxxxxxxxx Xxxxxxx, Xxxxxxxxx, Xxxxxx e New York 1974, pp. 177-222, e in
La dimostrazione dettagliata dell’intima connessione che esiste tra l’intento di applicare la legge dei grandi numeri mantenendo un coefficiente di riserva frazionaria e il fatto che questa
«assicurazione» inevitabilmente genera e fomenta processi di ritiro massiccio di depositi è semplice e si è resa possibile grazie allo sviluppo della teoria austriaca o del credito circolante del ciclo economico che abbiamo esposto in questo capitolo. In effetti, l’attività bancaria con riserva frazionaria permette la concessione massiccia di crediti non coperti dall’aumento precedente di risparmio (espansione creditizia) e dà luogo, come già abbiamo visto, in un primo momento, a un ampliamento e a un allungamento artificiale della struttura produttiva (che illustriamo nella parte ombreggiata del Grafico V-6). Tuttavia, presto o tardi, e per le ragioni microeconomiche che in dettaglio abbiamo analizzato nel precedente capitolo, si mettono inesorabilmente in funzione processi sociali che tendono a far ricomparire gli errori imprenditoriali commessi, tornando a una struttura produttiva come quella che abbiamo illustrato nel Grafico V-7. In esso, non solo spariscono completamente i nuovi stadi con i quali si era tentato di allargare la struttura produttiva (stadi sesto e settimo del Grafico V-6), ma si liquidano anche gli «ampliamenti» degli stadi dal secondo al quinto, producendosi un impoverimento generale della società, causato dal cattivo investimento delle sue scarse risorse reali risparmiate. Conseguenza di tutto ciò è che un numero molto importante di percettori dei prestiti provenienti dall’espansione creditizia non è, in ultima istanza, in grado di restituirli e tali percettori si convertono in morosi, così che si inizia un processo nel quale si moltiplicano, e di molto, sia le sospensioni di pagamento che i fallimenti. La morosità, pertanto, va a colpire una quota molto importante dei prestiti concessi dalle banche. E il valore di mercato dei progetti di investimento iniziati per errore, una volta che arriva la crisi e si evidenzia che non si dovevano intraprendere, si riduce a una frazione di quanto valeva in principio, se non sparisce del tutto.
Questa diminuzione generalizzata nel valore dei beni di capitale si trasferisce alle attività delle banche in un volume che può essere illustrato graficamente proprio con l’importo dei prestiti corrispondenti
alla zona ombreggiata del Grafico V-6, che rappresenta, in termini monetari, l’errato allungamento e ampliamento della struttura produttiva che si tentò di realizzare negli stadi espansivi del ciclo economico grazie al finanziamento facile e a buon mercato dei crediti concessi dalla banca (senza nessuna copertura di aumento precedente del risparmio volontario). Nella stessa misura in cui si evidenziano gli errori commessi e si abbandonano, si liquidano o si ristrutturano gli
special modo le pp. 202-204. Infine, è necessario consultare tanto il capitolo VII dedicato ai rischi non assicurabili del notevole libro di Xxxx X. Xxxxx, Economics of Insurance, North Xxxxxxx, Amsterdam e New York 1990, e in special modo le pp. 317 e 325-330; come anche il lavoro di J.E. Xxxxxxxx «Risk, Incentives and Insurance: The Pure Theory of Moral Hazard», pubblicato in The Geneva Papers on Risk and Insurance, n.º 26, anno 1983, pp. 4-33.
«allungamenti» e i «ampliamenti» della struttura produttiva, si produce una diminuzione nel valore delle attività di tutto il sistema bancario. Inoltre, questa diminuzione nel valore delle attività del sistema bancario va gradualmente accompagnata dal processo di contrazione creditizia che già analizzammo contabilmente alla fine del capitolo IV e che tende ad aggravare ancor di più gli effetti negativi della recessione sulle attività del sistema bancario. Effettivamente, quegli imprenditori che riescono a salvare le proprie imprese dalla sospensione dei pagamenti e dai fallimenti ristrutturano i processi di investimento intrapresi, bloccandoli, liquidandoli e accumulando la liquidità necessaria per restituire i prestiti che ottennero dalla banca. Inoltre, il pessimismo e la demoralizzazione degli agenti economici97 fa sì che la richiesta e la concessione di nuovi crediti non possa compensare il ritmo al quale questi si liquidano o si restituiscono. Tutto ciò genera una grande contrazione creditizia.
La conclusione è, pertanto, che la depressione economica a cui dà luogo l’espansione creditizia provoca una diminuzione generalizzata nel valore delle attività contabili del sistema bancario, proprio in un momento nel quale vengono meno l’ottimismo e la fiducia dei depositanti. Cioè, il valore dei prestiti e delle altre attività della banca diminuisce per colpa della recessione e della morosità, mentre il suo collaterale nelle passività, i depositi ora a disposizione di terzi, permane inalterato. Contabilmente, la situazione patrimoniale di molte banche si fa molto problematica e difficile, e cominciano ad annunciarsi sospensioni di pagamenti e fallimenti bancari. Come è logico, da un punto di vista teorico, non si può determinare a priori quali banche concrete si vedranno, in termini relativi, più colpite. Ma ciò che si può prevedere con sicurezza è che quelle marginalmente meno solvibili avranno grossi problemi di liquidità e si vedranno soggette alla sospensione dei pagamenti e perfino al fallimento. Questa situazione può creare molto facilmente una crisi generalizzata di fiducia in tutto il sistema bancario che farà sì che i cittadini privati corrano massicciamente a ritirare i loro depositi, e non solo dalle banche con maggiori difficoltà in termini relativi, ma, e per un fenomeno di contagio, da tutte le altre. E tutte le banche che operano con riserva frazionaria sono endemicamente insolventi, essendo soltanto di grado, e relativamente piccole, le differenze che esistono tra l’una e l’altra. È, pertanto, inevitabile che si produca un’importante contrazione creditizia e finanziaria, che storicamente si è ripetuta in numerose occasioni da che esistono banche che operano con riserva frazionaria, come già vedemmo quando studiammo la crisi economica prodotta dalla banca a Firenze nel secolo XIV. In ogni caso, è stato dimostrato che il sistema di riserva frazionaria mette in funzionamento in maniera endogena processi che rendono impossibile l’assicurazione della banca mediante l’applicazione della legge
97 «The boom produces impoverishment. But still more disastrous are its moral ravages. It makes people despondent and dispirited. The more optimistic they were under the illusory prosperity of the boom, the greater is their despair and their feeling of frustration». Xxxxxx xxx Xxxxx, Human Action, op. cit., p. 576.
dei grandi numeri, provocando crisi sistematiche nel sistema bancario che, presto o tardi, creano difficoltà insostenibili nello stesso. Sparisce così uno degli argomenti più logori per giustificare tecnicamente l’esistenza di un contratto che, come il deposito bancario di moneta con riserva frazionaria, possiede, come già vedemmo nel capitolo III, una natura giuridica inammissibile, poiché ha la sua origine unicamente ed esclusivamente nella concessione di un privilegio da parte dei poteri pubblici alle banche private.
Si potrebbe pensare erroneamente che l’importante morosità bancaria e la distruzione generalizzata di valori nell’attivo dei bilanci delle banche che si producono in una crisi economica potessero compensarsi, senza nessun problema dal punto di vista contabile, con la corrispondente eliminazione dei depositi che equilibrano detti prestiti nel passivo. Non invano abbiamo dimostrato nel capitolo IV che la banca crea i depositi nel processo di espansione creditizia. Tuttavia, dal punto di vista economico questo argomento non è valido. La creazione da parte delle banche di offerta monetaria in forma di depositi, pur se è certo che in un primo momento si effettua congiuntamente alla creazione di crediti e si concedono gli uni e gli altri ai medesimi attori, non è meno certo che chi riceve i prestiti si disfi immediatamente delle unità monetarie ricevute in forma di depositi, pagando con le stesse unità monetarie i fattori originari di produzione e i propri fornitori. In questo modo, i percettori diretti conservano un debito con la banca per l’importo dei prestiti, ma i depositi cambiano subito titolari. È qui dove si radica, esattamente, l’endemica insolvenza delle banche che mette in pericolo la loro sopravvivenza durante i periodi di crisi economica acuta. In effetti, gli imprenditori titolari dei prestiti commettono in modo generalizzato errori imprenditoriali che nella crisi vengono evidenziati, sotto forma di processi di investimento in beni di capitale nei quali si materializzano i prestiti che, o sono totalmente privi di valore, o si vedono diminuiti in una proporzione considerevole, il che genera una consistente morosità e la perdita di valore di gran parte degli attivi della banca. Tuttavia, parallelamente, i titolari dei depositi, che già sono altri, continuano a mantenere intatto il loro titolo nei confronti delle banche che originariamente iniziarono l’espansione creditizia, per cui il passivo di queste non può eliminarsi allo stesso ritmo della diminuzione di valori nell’attivo. Il risultato è uno scombussolamento contabile che porta alla sospensione dei pagamenti e al fallimento delle istituzioni bancarie marginalmente meno solvibili. Se il pessimismo e la mancanza di fiducia si generalizzano, la situazione di insolvenza può arrivare a colpire tutte le banche, producendosi così il terribile fallimento del sistema bancario e del sistema monetario basato sulla banca con un coefficiente di riserva frazionaria. Questa endemica instabilità del sistema bancario basato sulla riserva frazionaria è quella che rende inevitabile la presenza di una banca centrale come prestatore di ultima istanza, allo stesso modo in cui il sistema di completa
libertà bancaria esigerebbe per un suo corretto funzionamento il ritorno ai principi tradizionali del diritto e, pertanto, il mantenimento di un coefficiente di cassa del 100 per cento.
Orbene, se l’utilizzazione di un contratto di deposito bancario di moneta, non adempiendo all’obbligo di mantenere un coefficiente di cassa del 100 per cento può perfino finire con la rovina del sistema bancario (e di molti dei suoi clienti), come è possibile che i banchieri storicamente si vadano impegnando in questo modo di agire? I motivi e le circostanze che nella storia hanno dato luogo al contratto di deposito bancario con riserva frazionaria sono stati studiati nei primi tre capitoli di questo libro. Lì vedemmo come questo contratto ebbe le sue origini nella concessione di un privilegio da parte dei governi ai banchieri affinché potessero utilizzare a loro profitto il denaro dei propri depositanti, la maggior parte delle volte sotto forma di crediti concessi al proprio erogatore del privilegio, ossia, il governo o lo Stato, sempre assillato da pressioni di carattere finanziario. Se i governi, adempiendo alla loro funzione essenziale, avessero definito e difeso adeguatamente i corrispondenti diritti di proprietà dei depositanti, una tanto anomala istituzione non sarebbe mai sorta.
Ora, con carattere addizionale, possiamo proporre alcune spiegazioni complementari sulla nascita del contratto di deposito bancario di moneta con riserva frazionaria. Così, è possibile menzionare la grande difficoltà teorica che, dato il carattere astratto e difficile dei processi sociali relazionati con il credito e la moneta, fa sì che pochissimi cittadini, nemmeno i più coinvolti in tali processi, siano stati capaci di analizzare e comprendere gli effetti che, in ultima istanza, crea l’espansione creditizia. Del tutto all’opposto, generalmente lungo la storia, sono sempre state in maggioranza le voci che hanno considerato positivi gli effetti dell’espansione creditizia sull’economia, fissandosi unicamente ed esclusivamente sui risultati più visibili e a breve scadenza di essa (ondate di ottimismo, boom economico). Ma cosa possiamo dire proprio dei banchieri che hanno sperimentato lungo la storia numerose crisi e panici bancari che in maniera ripetitiva hanno messo in grave pericolo e perfino posto fine alla loro attività? E, dato che i banchieri hanno sofferto sulla propria carne le conseguenze di aver esercitato la loro attività con un coefficiente di riserva frazionaria, si potrà pensare che è proprio nel loro interesse modificare la loro attività adattandola ai principi tradizionali del diritto (cioè, utilizzando un coefficiente di cassa del 100 per cento). Questa è un’idea che perfino Xxxxxx xxx Xxxxx, in un primo momento, mantenne98 e che tuttavia non è
98 Xxxxxx xxx Xxxxx già nel 1928 confessava che «I could not understand why the banks didn’t learn from experience. I thought they would certainly persist in a policy of caution and restraint, if they were not led by outside circumstances to abandon it. Only later did I become convinced that it was useless to look to an outside stimulus for the change in the conduct of the banks. Only later did I also become convinced that fluctuations in general business conditions were completely dependent on the relationship of the quantity of fiduciary media in circulation to demand ... We can readily understand that the banks issuing fiduciary media, in order to improve their chances for profit, may be ready to expand the volume of credit granted and the number of notes issued. What calls for a special explanation is why attempts are made again and again to improve general economic conditions by the expansion of circulation credit in spite of the spectacular failure of such efforts in the past. The answer must run as follows: According to the
giustificata né dall’esperienza storica, in quanto le banche sono ricadute sempre nella riserva frazionaria (nonostante i gravi rischi in cui incorrono), né per l’analisi teorica. In effetti, anche ammesso che i banchieri siano coscienti che lo sviluppo della loro attività, utilizzando una riserva frazionaria, è alla lunga condannato al fallimento, è certo che la possibilità di creare moneta dal nulla, che è il presupposto di tutta l’espansione creditizia, genera profitti a tal punto esorbitanti che si fa insopportabile la tentazione di ricadere di nuovo nella riserva frazionaria. Inoltre, dal punto di vista del banchiere individuale, non esiste l’assoluta sicurezza che la sua banca sarà una di quelle marginali che finiranno per soffrire una sospensione dei pagamenti o un fallimento, poiché è sempre possibile farsi l’illusione di potersi ritirare in tempo dal processo prima che abbia inizio la crisi, domandando la restituzione dei prestiti ed evitando le morosità. Si mette così in funzionamento un tipico processo di tragedia dei beni pubblici, che studieremo più dettagliatamente nel capitolo VIII e che, come è risaputo, sorge sempre, come nel caso di cui ci occupiamo, ogni volta che non si definiscono o non si difendono adeguatamente i diritti di proprietà dei terzi. Tutto ciò spiega che nasca una tentazione insopportabile da parte delle banche per espandere il loro credito prima degli altri, approfittando interamente dei profitti di tale espansione e facendo ricadere sul resto delle banche e, in generale, su tutto il sistema economico in maniera diluita e differita nel tempo, le conseguenze molto perniciose della sua espansione creditizia99.
Per ultimo, l’impossibilità teorica di assicurare il rischio di ritiro dei depositi mediante il mantenimento di un coefficiente di riserva frazionaria spiega anche perché, come vedremo nel capitolo VIII, siano stati proprio i banchieri i difensori e i protettori dell’esistenza di una banca centrale che, come prestatore di ultima istanza, potesse garantire loro la sopravvivenza negli stadi di angoscia che l’esperienza mostrava che, una volta o l’altra, sorgevano in maniera ricorrente100. Da
prevailing ideology of businessman and economist-politician, the reduction of the interest rate is considered an essential goal of economic policy. Moreover, the expansion of circulation credit is assumed to be the appropriate means to achieve this goal.»
«Monetary Stabilization and Cyclical Policy», incluso nel libro On the Manipulation of Money and Credit, Freemarket Books, New York 1978, pp. 135-136. Questo lavoro è la traduzione in inglese dell’importante libro pubblicato da Mises nel 1928 con il titolo di Geldwertstabilisierung und Konjunkturpolitik, Xxxxxx Xxxxxxx, Jena 1928.
99 La prima volta che xxxx l’opportunità di difendere la tesi che dovevo applicare all’attività bancaria, ossia la teoria della «tragedia
dei beni pubblici», fu nella Riunione Regionale della Mont-Pèlerin Society che ebbe luogo a Río de Janeiro dal 5 all’8 di settembre del 1993 e in cui spiegai l’applicazione del tipico processo di «tragedia dei beni pubblici» applicato all’attività bancaria come qualcosa di evidente, giacché tutto il processo espansivo ha la sua origine, come già abbiamo visto, in un privilegio contro il diritto di proprietà, poiché ogni banca internalizza tutti i profitti dovuti all’espansione del proprio credito, facendo ricadere i corrispondenti costi in forma diluita tra il resto delle banche e in tutto il sistema economico. Inoltre, e come vedremo nel capitolo VIII, un meccanismo di compensazione interbancaria dentro un sistema di banca libera può porre un limite a iniziative individuali e isolate di espansione, ma è inservibile se tutti, in maggior o minor misura, e mossi dall’animo del lucro in un tipico processo di «tragedia dei beni pubblici», si lasciano trasportare dall’«ottimismo» nella concessione di crediti. Si veda in questo senso la mia «Introduzione Critica all’Edizione spagnola» all’opera di Xxxx X. Xxxxx Xxxxxxxxxxx xx xx xxxxx xxxxxxx x xx xx xxxxxxxx xxxxxxxx, Xxxxx Editorial/Edizioni Aosta, Madrid 1993, nota 16 a piè della p. 38.
100 Si potrà tirare in ballo tutta l’analisi della «Scuola della Public Choice» per spiegare come le banche, in quanto poderoso gruppo
di interesse, si siano mobilitate per mantenere il loro privilegio, dargli fondamento giuridico e ottenere l’appoggio governativo che è sempre stato necessario. Perciò non c’è da stupirsi che autori come Xxxxxxxx concludano che «bankers are inherently inclined toward statism». Xxxxxx X. Xxxxxxxx, Wall Street, Banks, and American Foreign Policy, Center for Libertarian Studies, Burlingame, California 1995, p. 1. Dobbiamo anche fare riferimento a tutta la letteratura apparsa nell’ambito dell’economia finanziaria sugli effetti economici dei contratti dei depositi a vista e che manca di ipotizzare l’esistenza di una banca centrale, concentrarsi nell’analisi