CASI PRATICI DI CERTIFICAZIONE DEI CONTRATTI
CASI PRATICI DI CERTIFICAZIONE DEI CONTRATTI
di Xxxxxx Xxxxx D’Xxxxxx
Sommario: 1. Introduzione. 2. Collaborazione a progetto o lavoro subordinato “mascherato”? 3.
L’Associazione in partecipazione con apporto di solo lavoro. 4. Appalto genuino o somministrazione abusiva? 5. Assunzione a part-time. 6. Conclusioni.
1. Introduzione
Da quando è stata costituita, con decreto del 25 novembre 2004, la Commissione di Certificazione presso la Direzione Provinciale del Lavoro di Bari ha ricevuto 82 istanze di certificazione di contratti di lavoro, attinenti, nella maggioranza, a collaborazioni a progetto.
Un numero contenuto rispetto alla intrinseca portata innovativa della certificazione dei contratti nell’ambito degli strumenti di composizione extragiudiziale delle questioni di lavoro.
E’ utile ricordare, infatti, che quasi vent’anni fa l’llustre Xxxxx Xxxxx già l’aveva in mente, quale sistema di prevenzione delle controversie di lavoro da attivare al momento genetico della formulazione di un contratto individuale di lavoro, al fine di fare chiarezza e dare certezza sulla tipologia scelta dalle parti.
In presenza di un contratto certificato da un organo terzo e super partes, eventuali, successive questioni avrebbero riguardato solo la difformità dell’esecuzione concreta del rapporto rispetto alla tipologia certificata. Nell’Ipotesi di lavoro per la predisposizione di uno Statuto dei lavori del 1997, la certificazione doveva avere il fine pratico di “stoppare” le controversie sulla qualificazione ex post del rapporto stesso prima del giudice ordinario, secondo quanto fanno, in realtà, le Commissioni di conciliazione ex articolo 410, comma 3, c.p.c. presso le Direzioni Provinciali del lavoro1.
L’intuizione di Xxxxx fu grande, perché sia ieri che oggi la stragrande maggioranza delle cause di lavoro pendenti davanti al giudice ha ad oggetto proprio l’esatta qualificazione della natura del rapporto di lavoro, in senso autonomo o subordinato, con tutte le conseguenze contrattuali e contributive del caso.
L’effetto deflativo del contenzioso giudiziario era ulteriormente ribadito, sempre nell’idea di Xxxxx, con la previsione dell’obbligo per le parti, in ipotesi di controversia successiva, di esperire prima un tentativo obbligatorio di conciliazione davanti
1 X. Xxxxxx, La certificazione dei contratti di lavoro, in Working Papers C.S.D.L.E, Xxxxxxx X’Xxxxxx, n. 23/2003.
xxx.xxxxxxxxxxxxxxxx.xx xxxx@xxxxxxxxxxxxxxxx.xx
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alla stessa Commissione che aveva certificato il loro contratto.
La certificazione viene, infine, codificata all’articolo 5 della legge 14
febbraio 2003 n. 30 e collegata, appunto “al fine di ridurre il contenzioso in materia di qualificazione dei rapporti di lavoro”; questi ultimi diventano “contratti di lavoro” nella previsione successiva del decreto legislativo n. 276/2003.
E, in effetti, la qualificazione riguarda i contratti e non i rapporti di lavoro che continuano a dipendere, nella realtà delle cose, dalla volontà esecutiva delle parti stesse (più che altro del datore di lavoro). Ma il punto di criticità dell’istituto è proprio qui.
Dal momento che la certificazione è attività fondamentalmente ermeneutica, di esame e comprensione delle parole scritte nel contratto alla luce delle previsioni normative e contrattuali, rimane fuori dalla predetta attività qualsivoglia indagine (in quanto non di competenza della Commissione) sulla esatta esecuzione concreta di quanto formalmente certificato. E’ un esame qualificatorio sui requisiti formali e sui contenuti legali basati fondamentalmente su quanto dichiarano le stesse parti contraenti, trattandosi della fase di stipula del contratto stesso. Eventuali, successivi scostamenti nella concreta esecuzione del contratto appartengono ad un momento successivo che può anch’esso essere suscettibile di procedura certificatoria.
Xxxxxx, infatti, ad altri organi istituzionali accertare che un determinato rapporto di lavoro sia effettivamente esecuzione di un contratto certificato oppure presenti aspetti dubbi, sintomatici, per esempio, di una subordinazione “mascherata” da lavoro a progetto.
A parere della scrivente i contratti certificati dovrebbero essere oggetto di un preciso programma di controllo ispettivo successivo, magari a campione, con l’obiettivo di rendere effettiva e persistente la tutela della parte più debole del rapporto di lavoro, la quale, nonostante la certificazione del contratto, continua ad essere il lavoratore.
Pensare di non collegare l’attività certificatoria a quella propriamente ispettiva significa mantenere in essere un istituto, sicuramente innovativo, ma praticamente privo della sua essenza, ossia quella di deflazionare il contenzioso giudiziario in materia.
E’ interessante conoscere gli sviluppi del recentissimo il disegno di legge di iniziativa governativa (n. 1441 quater) sulle “Norme riguardanti le controversie e il processo del lavoro”2, il quale, all’articolo 65, comma 4 (Clausole generali e certificazione), amplia l’ambito della certificazione dalla qualificazione della natura del contratto, cioè se subordinato o autonomo, ad altri aspetti dello stesso, come, orario di lavoro, retribuzione, ecc. Non solo. Circoscrive i poteri del Giudice del lavoro nel caso di ricorso contro un atto di certificazione del contratto di lavoro, (per erronea qualificazione, vizio del consenso o difformità tra il programma contrattuale certificato e quello attuato) nel senso che lo stesso dovrà tener conto in modo vincolante delle valutazioni delle parti del contratto manifestate durante la certificazione (più precisamente in sede di audizione di cui viene redatto apposito verbale). Enfasi sulla volontà delle parti o eccessiva discrezionalità del giudice è il primo, riteniamo giusto, quesito già posto da un organizzazione sindacale. I
2 Fonte sito istituzionale xxx.xxxxxxx.xx.
preannunciati sviluppi fanno presumere, quindi, un potenziamento dell’istituto, quale vero e proprio strumento di A.D.R. (le anglosassoni Alternative Despute Resolutions) sulla qualificazione esatta di un rapporto di lavoro. Attraverso la lettura delle relazioni rese da chi scrive durante le riunioni della Commissione di Certificazione della Direzione Provinciale del Lavoro di Bari per la certificazione di un contratto di collaborazione a progetto, di un’associazione in partecipazione, di un part-time e di un appalto è possibile rendersi conto di quale tipo di attività attiene la certificazione, la quale è una procedura “volontaria”, nel senso che viene attivata esclusivamente e solo su istanza di entrambe le Parti del contratto di lavoro.
2. Collaborazione a progetto o lavoro subordinato “mascherato”?
Le Parti:
Società X S.r.l. - Committente
Sig. (…) – Resistente (collaboratore)
RELAZIONE
Con istanza…, le sopra indicate parti hanno richiesto alla Commissione la certificazione del contratto di collaborazione a progetto. Elementi qualificanti la fattispecie, ai sensi della disciplina contenuta negli articoli 61-69 del D. Lgs. 276 del 2003, cui anche i contraenti fanno espresso riferimento nel contratto sono l’autonomia del collaboratore, la coordinazione con il committente, l’irrilevanza del tempo nell’esecuzione della prestazione e il requisito fondamentale del progetto (programma di lavoro o fase di esso). Nella fattispecie, trattandosi di un committente che ha come oggetto
sociale “la promozione ed offerta all’utenza di servizi e prodotti di telefonia...”, attraverso un’attività tipica di call center, assume importanza il riferimento alla recente circolare Ministeriale (la n. 17 del 14 giungo 2006) sulle xx.xx.xxx. nei call center. Pertanto, a seguito dell’esame da parte della sottoscritta relatrice del contratto in questione e del progetto ivi descritto, alla luce delle predette disposizioni normative, oltre che delle linee guida alla certificazione della Circolare Ministeriale n. 1 del 2004, secondo il parere della scrivente è possibile certificare il contratto tra la Società X e il sig. (…) quale contratto di collaborazione coordinata e continuativa nella modalità a progetto.
Infatti, emerge chiaramente dalla formulazione letterale delle pattuizioni che il collaboratore svolgerà “l’attività di promozione ed offerta di determinati e specifici servizi e prodotti di telefonia quali pc, adsl, linee telefoniche...” diretta in particolare a nuclei familiari e a professionisti in “piena autonomia tecnica ed organizzativa, senza alcun vincolo di subordinazione e di rispetto di orario di lavoro...”. Lo stesso compenso, a cui si aggiunge un “bonus” premiale, è svincolato dall’elemento temporale ed è collegato al raggiungimento di alcuni indici di produttività. La coordinazione con il committente viene effettuata per il tramite di un supervisor della Società, presente, di regola, nei locali di lavoro, individuato nella persona della sig.ra (…) e anche attraverso riunioni periodiche per fare il punto della situazione. La professionalità del collaboratore è stata preventivamente accertata dalla Società attraverso un colloquio ed un esame del curriculum cui è seguita la frequentazione di uno specifico corso di formazione della
durata di una settimana. Alla luce delle disposizioni ministeriali sui call center, lo stesso sistema informatico, chiamato predictive, di cui si avvale il collaboratore, consente a quest’ultimo di gestire in piena autonomia il proprio lavoro, in quanto non vincola assolutamente lo stesso a richiamate automatiche (cosiddette recall). La scheda tecnica sul funzionamento del sistema (allegata alla documentazione) mostra come l’operatore sia libero di scegliere fra varie opzioni, cioè se, quando, come rispondere alla chiamata generata automaticamente dal software. Tuttavia, si suggerisce di chiedere alle Parti in sede di audizione, le seguenti precisazioni, per una migliore chiarezza delle pattuizioni da loro sottoscritte:
a) se l’Azienda, alla scadenza della campagna promozionale e, quindi, del contratto, si considera, comunque, soddisfatta della realizzazione del progetto da parte del collaboratore a prescindere dalla quantità dei prodotti e servizi offerti all’utenza da quest’ultimo;
b) regolare dal punto di vista del compenso l’ipotesi del recesso anticipato con riguardo al risultato (la circolare n. 1 del 2004 sulle xx.xx.xxx. prevede, infatti, che le parti possano anche escludere o ridurre il compenso qualora il risultato non sia stato raggiunto o sia stato realizzato solo parzialmente).
Bari, 12 gennaio 2006
BREVE COMMENTO
Interessante per l’attività di certificazione in generale è conoscere gli orientamenti della più recente Giurisprudenza sulla tipologia contrattuale da qualificare. Sulla definizione di lavoro a progetto, per
fare un’esempio, la Corte di Appello di Firenze con sentenza del 29 gennaio 2008 n. 100 (Pres. est. Amato)3 ha ulteriormente ribadito l’orientamento giurisprudenziale costante della necessaria esistenza di un progetto che deve essere “dotato di una sua compiutezza ed autonomia ontologica realizzato dal collaboratore con la propria prestazione e reso all’impresa quale adempimento della propria obbligazione, ad adempimento istantaneo seppure ad esecuzione prolungata nel tempo, volta alla realizzazione di un bene o servizio in vantaggio del committente” (da nota a commento della sentenza di Xxxxx Xxxxxxxxx), insomma un’attività ben precisa, definita e individuata a priori. L’elemento, quindi, caratterizzante il nomen iuris di contratto di lavoro a progetto ai sensi dell’art. 61 D. Lgs. 276/2003 dovrà risiedere proprio nell’attività progettuale specifica proiettata al raggiungimento di un risultato finale, ritenuto così rilevante dalle parti tanto da indurle a sottoscrivere il relativo contratto. Un esame rigoroso in tal senso porterà ad escludere, almeno formalmente, che si possa trattare di un lavoro subordinato. Infatti, il legislatore delegato, nel ribadire il rilievo tipizzante della connessione con uno “specifico progetto, programma di lavoro o fase di esso” ha sancito due ipotesi di trasformazione della collaborazione a progetto in rapporto di lavoro subordinato: nel caso in cui per le modalità concrete di esecuzione del rapporto esistano indici della subordinazione (art. 69, co. 2) e quando la collaborazione sia instaurata
3 In Massimario di Giurisprudenza del lavoro, ottobre 2008 n. 10, Ed. IlSole24Ore.
“senza l’individuazione di uno specifico progetto…”4 (art. 61, co. 1).
3. L’Associazione in partecipazione con apporto di solo lavoro
Le Parti:
Ditta X - Associante
Sigg.ri (…) - Associati
RELAZIONE
Con istanza…, le parti indicate sopra hanno richiesto alla Commissione la certificazione dei contratti da loro stipulati di associazione in partecipazione con apporto di solo lavoro. Nei casi di specie, l’Impresa associate è la s.r.l. con sede ad Altamura, avente ad oggetto sociale, come da visura effettuata, il commercio al dettaglio di articoli e accessori di abbigliamento e calzature, la produzione, importazione ed esportazione, il commercio di tessuti, di articoli, di abbigliamento e confezioni, calzature e attrezzature sportive, ecc. Gli associati sono ben 18, un numero abbastanza elevato rispetto al totale dei lavoratori dell’azienda (30). Occorre, quindi, oggi, prestare una particolare attenzione durante l’esame dei contratti finalizzato al giudizio qualificatorio relativo all’associazione in partecipazione. Infatti, in linea teorica, quest’ultimo è un contratto, previsto dagli articoli 2549-2554 c.c., caratterizzato dalla peculiarità dello scambio delle prestazioni tra i due contraenti, nel senso che l’associante conferisce all’associato una partecipazione agli utili della sua impresa o ad uno o più affari in ragione di un determinato
0 X. Xxxxx, Xx collaborazioni coordinate e continuative e il lavoro a progetto, Xxxxxx pubblicato in Lavoro e diritti dopo il Decreto legislativo n. 276/2003, a cura di X. Xxxxxx, Xxxx, Xxxxxxx, 0000.
apporto che può essere costituito da somme di danaro, opere, beni o servizi. Non si determina un rapporto di società, in quanto non viene creato alcun patrimonio societario. L’associante è il titolare e il responsabile della gestione dell’azienda o dell’affare; allo stesso sono imputabili gli effetti sui terzi. L’associato può e deve controllare l’andamento dell’impresa e le relative modalità devono essere stabilite nel contratto. In ogni caso ha diritto al rendiconto annuale dell’impresa.
In sostanza si tratta di un lavoro autonomo caratterizzato dall’alea del guadagno. E’ richiamato dalla legge Xxxxx, proprio con l’intento di evitare un uso distorto dello stesso, in quanto la realtà dei fatti ha rivelato che è uno dei mezzi contrattuali più utilizzati dalle aziende per “mascherare”, almeno formalmente, veri e propri rapporti di lavoro subordinato. Infatti, a mente dell’articolo 86 del D. Lgs. 276/03 la mancanza degli elementi della “partecipazione agli utili” e di “adeguate erogazioni” all’associato fa sì che il rapporto di lavoro venga considerato di tipo subordinato e, pertanto, il lavoratore avrà diritto allo stesso trattamento contributivo ed economico stabilito dai CCNL per il lavoro subordinato. Inoltre un fondamentale contributo all’esatta delimitazione dei confini tra l’associazione in partecipazione e la subordinazione viene fornito dalla giurisprudenza frequente della Cassazione sezione lavoro, la quale sul punto è costante nel ritenere che l’elemento differenziale tra le due fattispecie “risiede nel contesto regolamentare pattizio in cui si inserisce l’apporto della prestazione lavorativa, dovendosi verificare l’autenticità del rapporto di associazione, che ha come elemento
essenziale, connotante la causa, la partecipazione dell’associato al rischio di impresa, dovendo egli partecipare sia agli utili che alle perdite” (Cass. civ., Sez. lav., 28 maggio 2007, n. 12357 ed anche Cass. civ., Xxx, lav., n. 290/2000; Cass. civ., Sez. lav., n. 3578/1999; Cass. civ., Sez. lav., n. 655/1999 e di recente Cass. civ., Sez. lav., n. 9264/2007)5. Nella fattispecie in esame, in cui la Società associante era titolare di alcuni punti vendita gestiti dalle lavoratrici, la Suprema Corte di Cassazione ha escluso che quest’ultime partecipassero al rischio di impresa, in quanto percepivano i soli ricavi lordi e non partecipavano alle perdite. Ha, invece, rilevato che le stesse erano soggette al potere di controllo della società e che avevano l’obbligo di produrre un rendiconto periodico all’azienda, tutti indici che consentivano di configurare veri e propri rapporti di lavoro subordinato con tutte le conseguenze di legge e di contratto sotto il profilo retributivo, contributivo e previdenziale. Il richiamo giurisprudenziale, con puro fine indicativo, è, tuttavia, quanto mai pertinente al caso in esame, in quanto la ditta (…) s.r.l. associante è titolate di numerosi punti vendita di abbigliamento, sedi di lavoro degli associati, i quali, secondo la descrizione sommaria del loro apporto lavorativo contenuto nei relativi contratti, dovrebbero, appunto, gestire in piena autonomia i negozi loro affidati. Dunque, ai fini della certificazione dei contratti prodotti quali contratti di associazione in partecipazione occorre escludere in toto qualsiasi forma, esplicita o implicita di subordinazione, da intendersi come soggezione del lavoratore al potere direttivo,
5 Fonte: xxx.XxxxxxxxXxxxxxx.xx.
organizzativo e disciplinare del datore di lavoro, considerando anche gli altri indici presuntivi della stessa, e incentrare, invece, l’esame su come le parti hanno letteralmente descritto le modalità della prestazione lavorativa degli associati rispetto agli altri eventuali lavoratori occupati in azienda e se tale descrizione è sufficiente o meno a inquadrare l’associato come una sorta di “capo negozio”, dotato di piena autonomia nei fatti, sottoposto unicamente all’alea del guadagno. Infatti, tale indagine si rende ancor più necessaria e irrinunciabile considerato il numero elevato di persone titolari di questo tipo di contratto all’interno dell’azienda. Perplessità nascono dal fatto che esistono altre forme contrattuali più favorevoli per i lavoratori (vista anche la giovane età di alcuni associati), quali l’apprendistato o il part-time, convenienti anche per la ditta stessa.
Come giustificare, infatti, davanti ad un eventuale accesso ispettivo la presenza di ben 18 associati in partecipazione su un totale di 30 lavoratori? Il rischio vero è che la peculiarità di questa figura possa nei fatti confondersi con altri lavoratori subordinati, finendo per sovrapporsi nelle mansioni e nei compiti.
Quindi, pattuizioni assolutamente richieste nel contratto di associazione in partecipazione devono essere quelle riguardanti la natura del contratto, la sua durata, il compenso, il recesso anticipato e la possibilità di prendere visione dei rendiconti economici e dei bilanci. La mancanza di una sola di queste disposizioni non solo non permettere la certificazione dello stesso come associazione in partecipazione, ma priverebbe il lavoratore delle più elementari tutele.
Di conseguenza, si suggerisce alle parti di:
a) esplicitare in modo più preciso e dettagliato le modalità e i criteri distintivi dell’apporto lavorativo dell’associato rispetto ad un lavoratore subordinato, applicato nello stesso punto vendita; per esempio, costituisce già un problema se la scelta degli orari in cui tenere aperto il negozio coincide sempre con la stessa fascia oraria stabilita dall’azienda;
b) precisare al punto 3 del contratto che non si tratta di una sorta di obbligo di rendiconto periodico in capo all’associato;
c) togliere il riferimento agli acconti mensili perché descritto in modo generico e non chiaro nelle modalità. Giurisprudenza costante in merito (Cass. civ. Sez. lav., n. 19475/03; Cass. civ. Sez. lav., n. 1420/02; Cass. civ. Sez. lav. n. 1188/00)6 ha stabilito che prevedere nel contratto erogazioni fisse mensili (sia pure sottoforma di acconti sugli utili) potrebbe comportare il rischio di configurare, in effetti, una retribuzione fissa, da sempre considerata indice rivelatore della subordinazione;
d) riscrivere il punto 7 così: “Ai sensi dell’art. 2552 co. 3 c.c. la ditta…S.r.l. ha l’obbligo di fornire la rendicontazione contabile della gestione all’associato attraverso il bilancio aziendale e/o le scritture contabili ogni sei mesi. Sono a carico della ditta tutti gli obblighi di legge, ivi compresi quelli di natura fiscale che riguardano la stessa”.
e) aggiungere il seguente punto: “La ditta…. Srl si obbliga a iscrivere l’associato all’INAIL, qualora ricorrano i presupposti ex D.P.R. 1124/65 ed effettuare gli
6 Fonte: xxx.XxxxxxxxXxxxxxx.xx.
adempimenti previsti dal regime previdenziale (gestione separata INPS)”.
f) al punto 8 eliminare il riferimento al tempo indeterminato è indicare “Il contratto avrà inizio il giorno… e terminerà il….., ovvero con l’eventuale cessazione dell’attività. Potrà essere rinnovato tacitamente secondo la volontà comune delle parti stesse”.
g) aggiungere il punto seguente: “In caso di malattia che superi i 15 giorni o di maternità la scadenza contrattuale si intende prorogata di eguale periodo”.
h) aggiungere il seguente punto: “La ditta dichiara di essere in regola con gli adempimenti ex legge 626 con particolare riferimento all’articolo 7”.
Ricordiamo: Obbligo di comunicazione al Centro per l’impiego: entro il giorno antecedente l’inizio del rapporto di lavoro.
Con la precisazione che oggetto di trattativa tra le parti potrebbero essere clausole più favorevoli relative per esempio alla stipula di una polizza infortuni all’associante o il diritto alla formazione per la durata del rapporto, ecc..
Considerati i presupposti sopra descritti e apportate le modifiche e integrazioni suggerite dalla sottoscritta relatrice, secondo anche finalità di consulenza e assistenza alle parti stipulanti, i contratti in esame potranno essere certificati quali di associazione in partecipazione con apporto di solo lavoro.
Bari, 17 settembre 2007
BREVE COMMENTO
In sede di relazione, la quale avviene prima della convocazione delle parti per la prescritta audizione, il contratto
viene comunque “esaminato” in toto, anche nelle pattuizioni che non costituiscono elementi necessari previsti dalle Linee Guida Ministeriali, nell’ambito dell’attività consulenziale utile a definire meglio il rapporto contrattuale. Infatti, “Particolarmente rilevante risulta essere la fase dell’audizione delle Parti, in quanto così come previsto dall’art. 4 del D.M. 21/04/2004 che riprende i contenuti dell’art. 81 del Decreto legislativo 276/2003, la Commissione svolge, altresì, compiti di consulenza e assistenza per la stipula del contratto e del programma negoziale”7.
4. Appalto genuino o somministrazione abusiva?
Le Parti:
Ditta X - Appaltatrice
Ditta Y - Appaltante
RELAZIONE
Con istanza del……, le suddette parti hanno richiesto alla Commissione la certificazione del contratto di appalto da loro stipulato ai sensi degli articoli 1655 e seguenti del codice civile. In questo caso, il giudizio qualificatorio deve, in via preliminare, verificare che, formalmente, si tratti della tipologia contrattuale prevista dall’articolo 1655 del codice civile che definisce, appunto, l’appalto come il “contratto con il quale una parte assume, con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio, il compimento di un’opera o di un servizio verso un corrispettivo in danaro”. Fermo restando la predetta nozione, secondo il dettato legislativo
7 Circolare Ministero del Lavoro, D.G. Attività Ispettiva del 15/12/2004 n. 48 in xxx.xxxxxx.xxx.xx.
del Decreto n. 276 del 2003 art. 29, l’organizzazione dei mezzi da parte della Ditta appaltatrice può anche essere desunta dall’esercizio del potere organizzativo e direttivo dell’appaltatore nei confronti dei lavoratori impiegati nell’appalto e dal possesso della professionalità specifica relativa alla prestazione da effettuare. L’intento della legge è, comunque, quello di distinguere l’appalto dalla somministrazione e di prevenire forme illegittime o illecite di impiego della manodopera, in quanto prive dei requisiti e dei caratteri legali, basti pensare, per esempio, ad un appalto che dissimuli una somministrazione non autorizzata. Altro elemento distintivo da quest’ultima è l’assunzione del rischio di impresa da parte dell’appaltatore durante la gestione dell’appalto. Le linee guida ministeriali per la certificazione di un contratto di appalto suggeriscono che la verifica dell’esistenza del rischio di impresa risulti nel contratto attraverso gli indici della “preesistenza consolidata dell’impresa rispetto alla stipulazione dell’appalto”, o come anche dello “svolgimento da parte dell’appaltatore di un’attività imprenditoriale per conto di una pluralità di committenti”. L’appaltante è solo coobliggato per il pagamento delle retribuzioni e dei contributi entro un anno dalla cessazione dell’appalto (di servizi), oltre al pagamento del corrispettivo.
Del resto il regime sanzionatorio previsto per casi del genere conferma la volontà del legislatore di tutelare in primo luogo i lavoratori. Difatti, conseguenza diretta di un appalto stipulato in violazione della legge è che il lavoratore può rivolgersi al Giudice del lavoro per costituire un rapporto di lavoro (vedi comma 3-bis dell’art 29 D. Lgs. 276/03). L’attività certificatoria odierna, quindi, è piuttosto delicata,
solo se si considera che la certificazione di un contratto di appalto, allorquando si scopra successivamente un difetto dei requisiti di legge del contratto, esclude contestazioni di natura amministrativa fino all’intervento del giudice ex articolo 80 (D. Lgs. 276/03) ma è subito inopponibile in sede penale. Inoltre, proprio in virtù della disposizione dell’articolo 29 del decreto legislativo
n. 276/03 ogni contratto di appalto è diverso dall’altro, essendo necessario verificarne di volta in volta la genuinità legata appunto al tipo di servizio fornito ed alla organizzazione di impresa di entrambe le parti coinvolte.
Pertanto, oltre agli articoli del codice civile citati i riferimenti cui attenersi per un corretto giudizio qualificatorio del presente contratto di appalto sono i cosiddetti limiti legali elencati nelle apposite linee guida predisposte dal Ministero ed allegate alla citata Circolare del 15/12/2004 n. 48/04 e l’art. 29 del D.Lgs. 276/03, nell’attesa del decreto del Ministro del lavoro che individui i casi legittimi di stipula di un contratto di appalto di servizi, oltre ai codici di buone pratiche ed agli indici presuntivi cui attenersi in materia. E’ opportuno ricordare che oggi si procede ad un esame qualificatorio sui requisiti formali e sui contenuti legali basati fondamentalmente su quanto dichiarano le stesse Parti contraenti, trattandosi della fase di stipula del contratto stesso. Eventuali, successivi scostamenti nella concreta esecuzione dell’appalto appartengono ad un momento successivo che può anch’esso essere suscettibile di procedura certificatoria.
Nel contratto oggi all’esame della Commissione, gli elementi fondamentali dell’appalto, ossia apporto dell’appaltatore, rischio di impresa, previsione dell’obbligo
solidale, oltre gli elementi essenziali del contratto sono elencati in modo sintetico nella nota di integrazione alla istanza di certificazione che, però, andrebbe sottoscritta anche dalla ditta appaltante trattandosi di integrazione ad una istanza firmata da entrambe le parti.
E’ opportuno, poi, che la ditta appaltatrice dichiari che i lavoratori sono assunti con regolare contratto di lavoro subordinato e che venga indicato l’oggetto sociale della ditta appaltante della quale conosciamo in sostanza solo la sede legale e il luogo di svolgimenti del servizio appaltato.
Considerati i presupposti sopra descritti e apportate le modifiche e integrazioni suggerite dalla sottoscritta relatrice, secondo anche finalità di consulenza e assistenza alle parti stipulanti, sarà possibile procedere alla certificazione del contratto in esame.
Bari, 22 settembre 2006
BREVE COMMENTO
Durante la certificazione del contratto di appalto le disposizioni prevedono la partecipazione alla riunione della Commissione di un Ispettore del Lavoro, considerata la particolare attenzione che l’intera normativa e le prescrizioni ministeriali prestano alla necessità di escludere in modo categorico ipotesi di somministrazione abusiva di manodopera “mascherate” da un contratto di appalto.
5. Assunzione a part-time
Le Parti:
Società X S.r.l. – Datore di lavoro
Sig.ra (…) – Lavoratrice
RELAZIONE
Con istanze del…, le suddette parti hanno chiesto alla Commissione la certificazione di due contratti di assunzione a part-time. Ai sensi della Circolare Ministeriale n. 9 del 20048 e della normativa ivi richiamata (D. Lgs.
n. 66 del 2003; D. Lgs. n. 276 del 2003), dopo attento esame dei contenuti dei contratti si suggeriscono le seguenti modifiche ai testi dei contratti che per altro sono identici, per l’esatta qualificazione di questi ultimi come rapporti di lavoro a part- time, secondo la tipologia di lavoro subordinato a tempo indeterminato con orario “inferiore a quello normale” che è fissato a 40 ore settimanali dal D. Lgs. n. 66 del 2003.
Il D. Lgs. 276 del 2003 ha modificato la precedente disciplina sul part-time, rendendo l’istituto più flessibile sotto gli aspetti della gestione dell’orario di lavoro e della richiesta da parte del datore di lavoro di prestazioni straordinarie, supplementari, flessibili od elastiche. In particolare, è da rammentare alle Parti che le clausole elastiche (variazione in aumento e definitiva della prestazione lavorativa nel p.t. verticale o misto) e flessibili (periodi di tempo diversi da quelli concordati) devono essere pattuite per iscritto e il datore di lavoro deve preavvisare il lavoratore con almeno due giorni lavorativi. Questo anche in assenza di disposizioni del C.C.N.L..
Nel caso di specie si tratta di part- time di tipo orizzontale in cui già è specificata la collocazione oraria della prestazione con riferimento ai giorni della settimana. E’ consentito il lavoro supplementare (oltre l’orario concordato entro il limite del tempo pieno) la cui regolamentazione rimane
affidata al C.C.N.L., anche se non quello effettivamente applicato. Si tratta di una novità della riforma. In assenza di disposizioni contrattuali collettive le parti possono, comunque, accordarsi sul lavoro supplementare e il consenso del lavoratore può essere dato anche prima dell’inizio della settimana o del mese.
Inoltre, è opportuno rammentare alle parti che la nuova disciplina della legge ha abolito il diritto di precedenza in favore del lavoratore già in part-time, ma qualora l’azienda, nell’intento di fare nuove assunzioni, voglia trasformare il rapporto part-time in tempo pieno, le parti stesse possono inserire tale diritto nel relativo contratto individuale.
Modifiche suggerite:
La paga base oraria indicata nei contratti di euro 4, 96 non corrisponde a quella prevista dal C.C.N.L. Terziario Servizi UNCI/UCICT9 richiamato e applicato, che per il 4° livello prevede l’importo mensile di € 880,01 diviso per un coefficiente convenzionale di € 168,00 e, quindi, una paga base oraria di € 5,23.
Bari, 3 maggio 2006
6. Conclusioni
Condividiamo l’auspicio di Xxxxxxx Xxxxxxx, il quale, nel suo interessante saggio “Certificazione dei contratti di Lavoro”, si augura che il lavoratore stesso “possa avere un personale concreto interesse a richiedere la certificazione, che non sia limitato a quello, ovvio, di poter lavorare, ma che derivi dalla consapevolezza di
8 Fonte: Intranet del Ministero del Lavoro.
ottenere migliori garanzie di tutela nel rapporto di lavoro”10(12).
In effetti, il punto è questo: non è un caso che la certificazione sia, nella pratica, voluta e seguita dalle stesse Aziende, nelle persone dei professionisti abilitati.
Il lavoratore, per lo più, accetta l’iniziativa di conseguenza, non avendo motivazioni sostanzialmente contrarie, a maggior ragione se al primo lavoro.
Per come è strutturata attualmente, la certificazione va a vantaggio del datore di lavoro, in quanto atto opponibile ai terzi, anche in sede di verifica ispettiva. Non è un caso che la maggior parte dei contratti certificati presso le Direzioni Provinciali del Lavoro sono collaborazioni a progetto!
Dunque, ben venga il potenziamento legislativo dell’istituto, purchè quest’ultimo, alla fine, sia strumento di tutela effettiva del lavoratore e di certezza delle regole contrattuali, anche e soprattutto nella concreta esecuzione dei rapporti di lavoro.
* * * * * * * * *
Le considerazioni contenute nella presente monografia sono frutto esclusivo del pensiero dell’autrice e non hanno carattere impegnativo per l’Amministrazione di appartenenza.
10 X. Xxxxxxx, Certificazione dei contratti di lavoro, L’editrice S.r.l., Foggia, 2006.