CONTRATTAZIONE COLLETTIVA IN AMBITO SPORTIVO – ACCORDO COLLETTIVO A.I.C/F.I.G.C/ L.N.P.A 2012-2015
Facoltà di Giurisprudenza Cattedra: CONTRATTAZIONE COLLETTIVA
CONTRATTAZIONE COLLETTIVA IN AMBITO SPORTIVO – ACCORDO COLLETTIVO A.I.C/F.I.G.C/ L.N.P.A 2012-2015
Candidato: Xxxxxxx Xxxxxx Xxxxxxxxx 098263
Relatore: Prof. Xxxxxxxx Xxxxxxx Correlatore: Xxxx. Xxxxxxx Xxxxx
Anno Accademico 2014/2015
INDICE
L’ORDINAMENTO SPORTIVO E I SUOI RAPPORTI CON
1. La nozione di ordinamento giuridico, la teoria degli ordinamenti giuridici e i suoi sviluppi successivi 9
2. La giuridicità dell’ordinamento sportivo mondiale e i caratteri dell’ordinamento sportivo italiano 19
3. Rapporto tra ordinamento sportivo ed ordinamento statale 28
4. Diritto del Lavoro nello sport 34
LA DISCIPLINA DEL RAPPORTO DI LAVORO NELLO SPORT 43
5. LA LEGGE 23 MARZO 1981 N.91 44
6. Il suo contenuto e l’ambito di applicazione 47
7. La figura del professionista sportivo e la differenza con il dilettante 53
8. Autonomia e subordinazione dello sportivo professionista 63
9. Il contratto di lavoro sportivo subordinato ( articolo 4 della
10. Le vicende del rapporto di lavoro sportivo:
1) LA SOSPENSIONE DEL RAPPORTO DI LAVORO, ART. 2110 C.C.
2) LA RISOLUZIONE CONSENSUALE DEL CONTRATTO, LA CESSIONE DEL CONTRATTO
3) LA RISOLUZIONE UNILATERALE,DEL RAPPORTO DI LAVORO A TEMPO INDETERMINATO
4) IL RECESSO ANTE TEMPUS DEL CONTRATTO DI LAVORO A TEMPO DETERMINATO 81
11. La tutela sanitaria , assicurativa e previdenziale dello sportivo professionista 97
12. La sentenza Xxxxxx il contenuto ed i suoi effetti 108
CAPITOLO TERZO
L’ACCORDO COLLETTIVO NEL CALCIO PROFESSIONISTICO
( L.N.P.A/A.I.C/F.I.G.C) 117
13. Contenuto dell’Accordo Collettivo 117
14. Il contratto di lavoro del calciatore professionista 121
15. Obblighi delle società e dei calciatori 131
16. La risoluzione delle controversie nascenti dal rapporto tra
CALCIATORE E SOCIETÀ SPORTIVE 142
CAPITOLO QUARTO
XXXXXX/MAINZ , E LA LEGISLAZIONE ITALIANA 153
CONCLUSIONI 159
BIBLIOGRAFIA 162
RINGRAZIAMENTI 181
INTRODUZIONE
Con la presente tesi , andremo ad affrontare la disciplina prevista dall’Accordo Collettivo siglato dalla Federazione Italiana Giuoco Calcio (F.I.G.C. ) , la Lega Nazionale Professionisti Serie A (L.N.P.A. ) in rappresentanza delle società sportive di Serie A, e l’Associazione Italiana Calciatori ( A.I.C. ) in rappresentanza dei calciatori.
L’analisi e la comprensione di questo rapporto, non può essere tralasciata se prima non viene richiamato il contesto nel quale i soggetti si trovano a dover interagire.
Per poter iniziare nel miglior modo, dovremmo dare una definizione di ordinamento giuridico, andando a ricercare le varie teorie che si sono avvicendate nel tempo, soffermandoci su quella della Pluralità degli ordinamenti e come questa si sia sviluppata successivamente.
Essendo quindi qualificato come ordinamento giuridico settoriale da una gran parte della dottrina, ci concentreremo dopo attente riflessioni, ed avendo constatato il riconoscimento giuridico
dell’ordinamento sportivo, sulla presenza degli altri elementi fondamentali, plurisoggetività , normazione, ed organizzazione,portata avanti dal Giurista Xxxxxxxx in merito all’ordinamento sportivo nazionale italiano.
Ricordando che l’ordinamento giuridico sportivo manca del carattere della sovranità, andremo a vedere che tipo di rapporto s’instaura tra l’ordinamento statale e l’ordinamento sportivo , facendo riferimento alla riforma del 2003, che ha riconosciuto all’ordinamento sportivo il carattere dell’autonomia funzionale
Andremo poi ad analizzare le funzioni e l’importanza dell’applicazione del Diritto Del Lavoro all’interno dello sport .
Dopo avere definito il contesto della presente tesi, esamineremo la disciplina contenuta all’interno della Legge 23 Marzo 1981, n.91, riguardante il rapporto tra il professionista sportivo e le società sportive.
Verrà presa in considerazione la figura del professionista sportivo e le distinzioni intercorrenti con quella dello sportivo dilettante, valutando gli effetti che da essa nascono in merito al vincolo sportivo, essendo stato abolito per i professionisti ma rimasto in vigore per i dilettanti.
Altro punto su cui andremo a discutere sarà quello riguardante il tipo di prestazione lavorativa dedotta in contratto e del contratto stesso con tutte le sue possibili vicende: sospensione del rapporto di lavoro, risoluzione unilaterale e consensuale del rapporto di lavoro ed infine il recesso ante tempus del rapporto di lavoro.
Si farà poi menzione delle disposizione previste dalla Legge n.91
/ 1981 riguardanti la tutela sanitaria , assicurativa e previdenziale.
Breve cenno verrà fatto sulla cd. Sentenza Xxxxxx del 1995 che ha modificato per buona parte la disciplina comunitaria sui trasferimenti , mobilità e libera circolazione dei calciatori all’interno dell’ Unione Europea.
Nel terzo Capitolo affronteremo l’oggetto di studio del presente lavoro: l’Accordo Collettivo nel calcio professionistico siglato da: F.I.G.C.-A.I.C.-L.N.P.A prorogato fino al 30giugno 2015.
Questo accordo costituisce la base normativa in forza del quale viene disciplinato il rapporto di lavoro intercorrente tra società sportive ed i calciatori professionisti.
Si valuteranno poi, gli obblighi reciproci che da esso scaturiscono, posti a carico sia delle società che dei calciatori, nonché le azioni poste a tutela dei diritti del calciatore. Verrà poi fatta menzione di quelle che sono le modalità di risoluzione delle controversie che possono insorgere, dalla violazione del contratto, tra società e calciatore
Ed infine, verrà esposto un caso recente, riguardante la richiesta da parte del giocatore Xxxxxx Xxxxxx, portiere militante nelle file della società sportiva tedesca del Mainz FCV05, in merito al ricorso esposto al Tribunale del Lavoro tedesco, per la conversione del rapporto contrattuale, da contratto a tempo determinato a contratto a tempo indeterminato, precisando però che , per il momento,si augura anche nel futuro, non avrà la medesima rilevanza del caso Xxxxxx
CAPITOLO PRIMO
L’ORDINAMENTO SPORTIVO E I SUOI RAPPORTI CON L’ORDINAMENTO STATALE
Sommario: 1.1 La nozione di ordinamento giuridico, la teoria della pluralità degli ordinamenti giuridici e i suoi sviluppi successivi ; 2. La giuridicità dell‟ordinamento sportivo mondiale ed i caratteri dell‟ordinamento sportivo italiano; 3. Rapporto tra ordinamento sportivo ed ordinamento statale; 4. Diritto del lavoro nello sport
1. La nozione di ordinamento giuridico, la teoria degli ordinamenti giuridici e i suoi sviluppi successivi
Chiunque voglia fornire una definizione del termine “ordinamento giuridico”, non può non mettere in evidenzia come detta nozione sia tutt‟ora oggetto di un dibattito che ha visto e vede contrapposte due differenti teorie.
La prima, in ordine temporale, è la teoria normativista anche conosciuta come teoria pura del diritto, che ha in Xxxx Xxxxxx il suo massimo esponente. Quest‟ultimo considera l‟ordinamento giuridico come un insieme di norme che hanno lo scopo di disciplinare i comportamenti dell‟uomo secondo uno schema sostanzialmente fisso, che dal verificarsi di un comportamento difforme rispetto a quella che è la regola, fa discendere una sanzione giuridica. Xxxxxx mette in evidenzia come le norme giuridiche non collochino a seconda di un sistema casuale che risulti essere privo di qualsiasi logica razionale, ma come esse si devono porre all‟interno di una scala gerarchica in cui ogni norma è legittimata da una norma precedente.
Al vertice di questa struttura “piramidale” è possibile rintracciare l‟esistenza di una norma fondamentale, definita dal Xxxxxx “groundnorm” e che racchiude in se tutte le norme di cui l‟ordinamento si compone, consentendone nello stesso tempo, l‟individuazione. Tale norma fondamentale non è una norma posta, non è una legge positiva, ma risulta essere una norma presupposta che non esiste nel tempo e nello spazio 1 , e questa intuizione “kelseniana” ha esposto la teoria
1 Si veda sul punto X. XXXXXXXX, Diritto naturale e diritto positivo in X. Xxxxxxx X’Xxxxxx, Bologna, Edizioni Studio Domenicano, 1999, pp. 70 ss
normativista a critiche feroci da parte degli studiosi successivi, che hanno rilevato come detta teoria non consente di poter prendere in seria considerazione le fonti extra ordinem, cioè quelle consistenti in fatti , e non in atti normativi, attuati nella realtà sociale, si faccia il caso delle consuetudini o delle regole convenzionali o alle regole di correttezza costituzionale.
La seconda teoria da dover prendere in considerazione è quella istituzionale o meglio , istituzionalistica, che ha nel giurista italiano, Xxxxx Xxxxxx , il suo fondatore. Secondo Xxxxx Xxxxxx, l‟intero fenomeno giuridico non può essere pensato solamente in termini di norme giuridiche e di sanzioni da dover applicare nell‟ipotesi di inosservanza delle prima. Queste norme sono precedute, secondo questa teoria, da un corpo sociale, da un‟associazione che ha come caratteri pregnanti quelli della plurisoggettività, cioè un insieme di soggetti affiliati; dell‟organizzazione, vista la presenza di appositi apparati che disciplinano gli aspetti legislativi , esecutivi e giurisdizionali; e della normazione stessa vista come quel corpo di regole con l‟obiettivo di organizzare il corpo sociale2. Dunque, ogni associazione che possiede le caratteristiche ora elencate, è definibile, in base alla teoria istituzionalistica, come “Istituzione” o “ Ordinamento Giuridico “3.
2 M. S. XXXXXXXX, Prime osservazioni sugli ordinamenti giuridici sportivi, Riv. dir. sport., 1949
3 Per un’analisi più approfondita della concezione istituzionale si faccia riferimento a X. XXXXXX, L’ordinamento giuridico, Firenze, 1966. Particolarmente interessante risultano anche le riflessioni avanzate sul punto da P. X’XXXXXXX, Sport e giustizia, Sant’Arcangelo di Romagna, Maggioli Editore, 2004, pp. 15 ss.; egli infatti consente di comprendere, meglio di chiunque altro, come per Xxxxx Xxxxxx l’elemento normativo non esaurisca la nozione di ordinamento giuridico, ma costituisca semplicemente uno degli elementi che compongono la nozione stessa. A tal proposito vengono richiamati alla memoria diversi esempi di ordinamenti giuridici apportati dal giurista siciliano, primo tra tutti quello
Per poter spiegare questo concetto in modo differente, è possibile affermare che per Xxxxx Xxxxxx il diritto risulta essere prima di tutto un‟istituzione, ed è da questa idea che prende il nome la teoria portata avanti dal giurista.
In conclusione, quando si parla di ordinamento giuridico si fa riferimento , in contrapposizione con quanto sostenuto da Xxxxxx, a un qualcosa che vada oltre un semplice insieme di regole. Si prende in considerazione, difatti, un‟istituzione che deve possedere tre requisiti indefettibili e cioè, la normazione, la società e l‟ordine sociale.
Non può esistere ordinamento giuridico senza un insieme di norme cogenti che vadano a disciplinare le attività, i comportamenti e i rapporti tra i soggetti che ne fanno parte; non può aversi un ordinamento giuridico senza un‟organizzazione che permetta una relazione giuridicamente definita tra governanti e governati, tra autorità e libertà "Il diritto, prima di essere norma e prima di concernere un semplice rapporto o una serie di rapporti sociali, è organizzazione, struttura e posizione della stessa società in cui si svolge e che esso costituisce come unità, come ente per sé stante"4.
Il merito che viene dato alla teoria istituzionalistica consiste nell‟aver dimostrato che non esiste un unico ordinamento giuridico , ma anzi un pluralità di ordinamenti giuridici, numerosi e ben distinti tra di loro. Si tratta di quel principio meglio noto come “principio della pluralità degli ordinamenti giuridici”, che riempie l‟intera opera del Xxxxx Xxxxxx,
degli ordinamenti giuridici dei paesi anglosassoni (c.d. di Common Law), all’interno dei quali le leggi scritte e, conseguentemente, il legislatore rivestono un ruolo meramente secondario a fronte invece di una posizione di assoluto rilievo assunta dalla figura del giudice
4 X. XXXXXX, op. cit., p. 27
inducendolo a negare l‟unicità dell‟ordinamento statale a favore di una molteplicità di ordinamenti.
Individuate le caratteristiche appartenenti ad ogni ordinamento giuridico, il principio di pluralità discende proprio dalla possibilità di concepire numerosi e differenti tipologie di ordinamento in ragione delle disomogeneità esistenti negli aspetti essenziali di ciascuno di essi; un ordinamento può difatti essere diverso da un altro sotto un profilo della personalità, dato che diversi possono essere i soggetti affiliati; può differenziarsi in merito alla normazione, che non deve essere per forza di origine statale, potendo atteggiarsi difformemente riguardo all‟aspetto organizzativo. L‟esperienza quotidiana, in questo caso, non fa altro che dare conferma al fatto che, l‟appartenenza di ognuno di noi ad una pluralità di ordinamenti giuridici, partendo da quello comunitario, che ci “accomuna” ai cittadini di tutta l‟Europa, passando poi per l‟ordinamento statale, regionale, provinciale e giungendo infine agli ordinamenti limitati quali quelli di un‟associazione sportiva o dell‟azienda presso la quale prestiamo lavoro.
A questo punto Xxxxx Xxxxxx introduce una distinzione fondamentale all‟interno della vasta categoria degli ordinamenti giuridici quella tra: ordinamenti giuridici che esprimono interessi collettivi ed ordinamenti giuridici che esprimono interessi settoriali.
Nel primo dei due gruppi ora considerati rientra il più importante tra gli ordinamenti giuridici, cioè quello statale: lo Stato infatti è dotato di sovranità , intendendo quest‟ultima come un assenza di derivazione del potere statale che è originario, trovando legittimazione solo in se stesso. Nello stesso gruppo, il giurista, fa rientrare gli enti pubblici territoriali
diversi dallo Stato che perseguono finalità generali e dei quali va riconosciuto carattere originario.
All‟interno del secondo gruppo, all‟opposto, trovano fondamento, gli ordinamenti giuridici che il Xxxxx Xxxxxx concepisce come ordinamenti giuridici esprimenti interessi limitati, specifici, settoriali; questa sua analisi costituisce un passaggio importante per il riconoscimento di tali ordinamenti che è poi, alla luce di uno studio più approfondito, quella delle “formazioni sociali intermedie” vale a dire i partiti, i sindacati, le confessioni religiose, le associazioni. Si ritiene che tali ordinamenti territoriali, rappresentino dei veri e propri ordinamenti giuridici, in quanto al loro interno dispongono di un articolato complesso di norme e di sanzioni che presentano i tratti della giuridicità. Si configurano come ordinamenti dotati dei seguenti caratteri:
a) Autonomia nel senso che non dipendono dall‟ordinamento statale o dagli altri enti territoriali;
b) Originarietà avendo la facoltà di costruire i reciproci rapporti con lo Stato sulla base del principio dell‟indifferenza
Resta da chiarire cosa contraddistingue questo secondo gruppo di ordinamenti dal primo soprattutto perché altrimenti, non avrebbe alcun senso la distinzione menzionata in precedenza, e la risposta la ritroviamo nella caratteristica dell‟autosufficienza, della quale difettano gli ordinamenti esprimenti interessi settoriali.
Il merito di aver spiegato cosa bisogna intendersi per “autosufficienza” non deve essere attribuito però al Xxxxx Xxxxxx, quanto a Xxxxxx Xxxxxxxx Xxxxxx, che nel 1929, si dedicò alla prima applicazione concreta della teoria istituzionale al fenomeno sportivo. Il giurista, in un primo
momento ha posto l‟evidenza sul come , l‟ordinamento sportivo, rientri nella categoria delle “organizzazioni diffuse”, figura che corrisponde a quella degli ordinamenti settoriali e che, trattandosi di formazioni giuridiche non derivate da quella gerarchia statuale, come esse si sviluppino non su un piano di subordinazione, ma parallelamente all‟ordinamento statale. Però anche Xxxxxx ravvisa nell‟autosufficienza l‟elemento fondamentale che differenzia le due tipologie di ordinamento giuridico. Egli in particolare ritiene che, dall‟assenza dell‟autosufficienza, caratteristica propria degli ordinamenti che esprimono interesse circoscritti, discenda come conseguenza la possibilità che eventuali effetti connessi ad atti che provengano da un ordinamento settoriale che vanno in contrasto con i principi fondamentali dello Stato o di altro ente pubblico territoriale, siano legittimamente conosciuti i giudicati da quest‟ultimo5. Alcuni autori recenti hanno poi sviluppato la teoria in questione, arrivando ad affermare l‟esistenza di un autentico rapporto di collegamento tra ogni ordinamento settoriale ed il suo corrispondente ordinamento esprimente interessi collettivi, rapporto che non può essere visto come paritario dato che il primo ha ragione di esistere solo se riconosciuto dal secondo 6 . L‟opera di Xxxxx Xxxxxx ha avuto una notevole influenza nel riconoscimento delle formazioni sociali da parte del nostro legislatore costituente, dato che proprio tramite l‟utilizzo di tali formazioni intermedie, ha voluto negare l‟unicità dell‟ordinamento statale e l‟affermazione di una sua supremazia assoluta, garantendo lo
5 X. XXXXXX, X. VERDE, Diritto Sportivo, Padova 2008 cit., p. 12
6 Tra gli altri si veda L. DI NELLA, Il fenomeno sportivo nell’ordinamento giuridico, Napoli, Edizioni scientifiche italiane, 1999, e X. XXXXXXXXXXX, Il diritto civile nella legalità costituzionale, Napoli, Edizioni scientifiche italiane, 1991, accaniti sostenitori della concezione monista, in contrapposizione a quella pluralista.
sviluppo di una società pluralista. L‟art. 2 della nostra Costituzione recita “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità…”, il riferimento implicito era quindi ai partiti ed ai sindacati, espressamente tutelati nei propri rapporti con il potere, con lo Stato ma, come possiamo vedere, la riflessione ed il riconoscimento costituzionale possono essere estesi a tutti quegli ordinamenti che abbiamo definito ordinamenti settoriali.
L‟elemento di maggiore novità risiede in una rilettura “politica” della teoria in questione che, per delle ragioni dettate dall‟esigenza di evitare la creazione di formazioni sociali autonome, non è stata portata alle sue estreme conseguenze7.
Nell‟ambito della lettura costituzionale scompare la caratteristica fondante degli ordinamenti giuridici settoriali pensati da Xxxxx Xxxxxx , cioè quelle riguardanti la sovranità intesa come originari età del potere come assenza di derivazione dello stesso.
Le formazioni sociali allora, dovranno essere pensato come ordinamenti giuridici, ma ordinamenti giuridici non originari dato che la loro sovranità trae legittimazione proprio dallo Stato, pertanto, venendo meno l‟originaria autonomia reciproca affermata dal giurista isolano, sorge la necessità di definire i rapporti tra i due ordinamenti in questione e così, l‟ordinamento statale da un lato, e l‟ordinamento settoriale dall‟altro. Viene cosi lasciato spazio ad un riconoscimento costituzionale delle formazioni sociali a discapito di quell‟indifferenza reciproca sostenuta proprio da Xxxxx Xxxxxx.
7 X. XXXXX in X. XXXXXX,. Il diritto sportivo nel contesto nazionale ed europeo, Bologna, Xxxxxxx, 2006, p. 3.cit., p. 5
L‟intenzione del nostro legislatore non p stata quella di legittimare la facoltà d‟intervento dello Stato pur tutelando le formazioni sociali da possibili ingerenze non giustificate, e non quella di sopprimere l‟autonomia gestionale degli ordinamenti intermedi. Deve essere letto, utilizzando la stessa prospettiva, anche l‟art. 18 della Costituzione secondo cui “I cittadini hanno diritto di associarsi liberamente, senza autorizzazione per fini che non sono vietati ai singoli dalla legge penale. Sono proibite le associazioni segrete e quelle che perseguono, anche indirettamente, scopi politici mediante organizzazioni di carattere militare”. Autonomia funzionale delle associazioni da un verso e regolamentazione statale di carattere generale per un altro verso.
Nel corso dei decenni successivi, infine, al mutamento della realtà economica e sociale dello Stato italiano, si sono fatti seguito numerosi tentativi di un rilettura della teoria della pluralità degli ordinamenti giuridici piegati alle esigenze scaturenti dalle circostanze concrete.
Lasciando stare le singole vicende che si sono succedute negli anni, ciò che interessa sottolineare, è come sia tramontata lentamente l‟originaria concezione costituzionale, a sua volta frutto, come detto, di una rilettura dell‟opera di Xxxxx Xxxxxx, venendo meno così , insieme ad essa, anche l‟idea secondo cui le formazioni sociali trarrebbero la propria legittimazione esclusivamente dallo Stato.
Ad essere esaltata, in questa seconda fase, è di fatto la componente soggettivistica dell‟ordinamento giuridico, sulla quale viene incentrato l‟intero discorso e viene così costruita l‟autonomia degli ordinamenti intermedi rispetto all‟ordinamento statale.
Viene a diffondersi così l‟idea e la convinzione che il fondamento della legittimazione delle formazioni sociali vada rintracciato non più nello
Stato ed in quella posizione di supremazia assunta nei confronti degli altri ordinamenti, quanto all‟interno dello stesso ordinamento intermedio e nella volontà comune dei soggetti aderenti ad esso.
La legittimità degli ordinamenti settoriali venutasi a creare in questo frangente, deve essere inquadrata in un‟ottica definiti da molti come “contrattualistica”, dal momento che, riprendendo l‟omonima teoria cara ad i vari Xxxxx Xxxxxx e Xxxxxxxx, esalta la centralità del contratto, dell‟accordo tra i soggetti che fanno parte della formazione sociale.
Il contratto di associazione diventa uno strumento fondamentale per il riconoscimento costituzionale di quella espressione del pluralismo sociale, ponendo alla base della società, e non più al suo vertice, la fonte di questa legittimazione; l‟autonomia privata, non l‟autorità pubblica, guida lo sviluppo dell‟uomo e crea le premesse per tutelare i suoi diritti “sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità”8.
Questa presa di coscienza ha poi determinato , con il passare degli anni, una rinnovata centralità del singolo come membro dell‟organizzazione come soggetto che opera nell‟ambito di una formazione sociale 9; da questa impostazione nasce la necessità di porsi come obiettivo primario quello di difendere i suoi diritti nei rapporti interni all‟associazione stessa, affidando ad un giudice esterno il compito di dirimere eventuali controversie insorte.
Il Xxxxxxx sottolinea come l‟intervento del potere giudiziario, ricordiamo essere uno dei tre poteri fondamentali dell‟ordinamento
8 Art 2 Cost.
9 Si veda X. XXXXXXX, Delle associazioni non riconosciute e dei comitati (artt. 36 – 42) in SCAJOLA– BRANCA (a cura di), Commentario al codice civile, , Bologna, Zanichelli, 1976.
statale, postuli in maniera ineluttabile un interesse dello Stato alle vicende endoassociative che dovrebbero invece essere indifferenti al medesimo. La necessità di una regolamentazione statale, quasi diradatasi nella seconda fase al fine di esaltare l‟autonomia delle formazioni sociali, fa nuovamente il suo ingresso , rispettando il rapporto di reciproca indifferenza tra l‟ordinamento statale e l‟ordinamento giuridico intermedio, ma limitando l‟autonomia della singola formazione sociale, allorchè si tratti di dover intervenire per poter tutelare i diritti degli individui. Lo stesso art. 2 della Costituzione sembra dare una simile lettura del principio di pluralità degli ordinamenti giuridici nel parte dove afferma che “la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo”.
Risulta , questo punto, inutile o almeno limitativo, un esame ulteriore di sviluppi dottrinali successivi avendo riguardo al fenomeno associativo in generale. Dopo aver inquadrato le questioni suscitate dal principio di pluralità, bisogna vedere come esse risultino essere effettivamente applicate al fenomeno sportivo, quali rivolti abbiano avuto , se si può in concreto parlare dell‟esistenza di un ordinamento sportivo ed, in caso la risposta sia positiva, se esso rispecchi quelle che sono state individuate come caratteristiche indispensabili di ogni ordinamento giuridico. Quali sono i soggetti dell‟ordinamento sportivo? Si può affermare l‟esistenza di un‟organizzazione sportiva? L‟ordinamento sportivo risulta essere un ordinamento originario? Quale è il rapporto che intercorre tra l‟ordinamento sportivo italiano e l‟ordinamento statale?
2. La giuridicità dell’ordinamento sportivo mondiale e i caratteri dell’ordinamento sportivo italiano
Dopo le riflessioni effettuate nel paragrafo precedente, sembra quasi scontato il riconoscimento del carattere delle giuridicità dell‟ordinamento sportivo, però non tutti la pensano allo stesso modo e numerose risultano essere state le critiche apportate negli anni.
Per fornire una risposta che possa esaurire tale quesito, non appare in opportuno in primis utilizzare le conoscenze giuridiche, dar vita a costruzioni complesse, anzi il metodo migliore per poter verifica la giuridicità dell‟ordinamento sportivo è paragonabile ad una semplice operazione logica di sovrapposizione tra le caratteristiche di un ordinamento giuridico che possa definirsi tale e quelle riscontrate nel presunto ordinamento giuridico sportivo.
Lo scopo è quello di verificare se le caratteristiche della plurisoggetività, dell‟organizzazione e della normazione facciano parte o meno dell‟ordinamento sportivo.
Questa operazione è stata portata aventi dal giurista Xxxxxxx Xxxxxx Xxxxxxxx, il quale, all‟interno di un suo lavoro ha definito con chiarezza quali sono i veri elementi costitutivi dell‟ordinamento giuridico sportivo. Nonostante questo lavoro sia già stato svolto da chi, in quanto ad esperienza e conoscenza, è mille passi avanti a noi, si ritiene comunque necessario riprendere in sintesi il discorso, per poter poi comprendere meglio le tesi a questa contrapposte, cioè quelle che negano la giuridicità dell‟ordinamento sportivo.
Occorre rilevare, in primo luogo, l‟impossibilità di negare la molteplicità dei soggetti che fanno parte dell‟ordinamento sportivo, e quindi la plurisoggettività dello stesso.
La qualità di soggetto va riconosciuta innanzitutto agli atleti, protagonisti questi del fenomeno sportivo; il semplice fatto di svolgere un‟attività di tipo sportivo , costituisce condizione più che sufficiente per diventare soggetto facente parte dell‟ordinamento sportivo.
Nel caso in cui volessimo fermarci a questa prima approssimazione, il rischio risulterebbe quello di oscurare la complessità dell‟ordinamento sportivo, dettate prevalentemente dal carattere programmatico illimitato dell‟agonismo odierno, ma visto che ai giorni nostri le gare e le graduatorie sportive riguardano tutti i giocatori appartenenti a tutte le comunità del mondo, si è reso necessario la creazione di nuove figure soggettive. Si pensi agli arbitri, ai giudici, ai misuratori, ai tecnici, ai medici, ai giuristi cioè a tutti quei soggetti che si occupano di quanto serve per poter svolgere un‟attività sportiva 10. Diversi autori, come il Xxxxx Xxxxxx x Xxxxxxxx Xxxxxx hanno poi messo in rilievo il fatto che l‟ordinamento sportivo deve essere ricondotto nell‟alveo della categoria degli “ordinamenti diffusi” cioè quegli ordinamenti che non richiedono particolari atti formali per l‟acquisizione della qualità di soggetto, ma si basano su una generica manifestazione di volontà. Xxxxxxxx ha poi fatto notare che, in relazione a questa riflessione, ciò accomuna i diversi
10 Questo criterio generale ci è indicato da M. S. XXXXXXXX, op. cit., pp. 10 ss., il quale, in un secondo momento, pone l’attenzione sulle associazioni sportive sottolineando come loro peculiarità sia quella di godere di un duplice riconoscimento, il primo da parte dei soggetti aderenti, il secondo da parte dell’ordinamento statale.
ordinamenti sportivi 11 sia la caratteristica di essere ordinamenti aperti dove la plurisoggettività può riscontrarsi in una comunità diffusa di enti e di persone12.
Seconda caratteristica già menzionata, è quella dell‟organizzazione che rispecchi la rilevante complessità nella gestione dell‟ordinamento sportivo sia a livello nazione che a livello sovranazionale. L‟organizzazione risulta essere quell‟elemento dell‟ordinamento che consente una relazione tra autorità e libertà, è intesa come quel complesso di persone, enti e servizi che pone le norme atte a regolamentare lo svolgimento delle manifestazioni sportiva.
L‟organizzazione pone delle limitazioni importanti alla libertà dei singoli soggetti nell‟interesse della società, dell‟ordine sociale nella sua totalità difatti: senza un‟organizzazione adeguata, che sia in grado di ordinare la plurisoggettività . l‟ordinamento non potrebbe funzionare, non potrebbe venire ad esistere. Dell‟organizzazione internazionale di occupano il Comitato Olimpico Internazionale ( C.I.O.), che fissa in un certo senso , l‟indirizzo politico generale, e le Federazioni Internazionali, che invece hanno competenza normativa ed ordinativa per quanto riguarda le singole discipline sportive. Per quanto riguarda gli ordinamenti sportivi nazionali, la soluzione che viene adottata è quella che vede la compresenza di organi pubblici, enti privati e soggetti di tipo diverso, tutti questi accomunati dall‟obiettivo primario dello sviluppo e della cura dello sport.
11 Si parla di “ordinamenti sportivi” vista la molteplicità di ordinamenti sportivi nazionali e l’esistenza di un ordinamento sportivo mondiale
12 A. QUARANTA, I rapporti tra ordinamento sportivo e ordinamento giuridico, in Riv. dir. sport., 1979, pp. 29 ss.
Così come avviene nella dimensione internazionale,nei singoli ordinamento sportivi nazionali è possibile rintracciare l‟esistenza di un Compitato Olimpico Nazionale, del quale risultano farne parte le Federazioni sportive nazionali. Per quanto concerne la situazione italiana, ritroviamo al vertice del sistema organizzativo il Comitato Olimpico Nazionale Italiano ( C.O.N.I. ) m nato nel 1914 come ente a carattere permanente con funzioni di coordinamento e di controllo dell‟attività sportiva nazionale13.
Il CONI riveste sia la qualifica di soggetto dell‟ordinamento sportivo nazionale, dato che fa pare del CIO, e quella di ente fiduciario del CIO stesso. In base all‟art.2 D.Lgs 242/1999 “il C.O.N.I. è la Confederazione delle federazioni sportive nazionali e delle discipline sportive associate e si conforma ai principi dell’ordinamento sportivo internazionale, in armonia con le deliberazioni e gli indirizzi emanati dal Comitato Olimpico Internazionale, di seguito denominato CIO”.
Le federazioni sportiva nazionali italiane, cosi come quelle di ogni altro paese, sono enti che organizzano e disciplinano lo svolgimento dell‟attività agonistica di un determinato sport. Le federazione sportive riconosciute dal CONI sono 45 e tra queste rientra anche la Federazione Italiana Giuoco Calcio ( F.I.G.C. ). Ultimo aspetto da sottolineare per quanto riguarda l‟organizzazione dell‟ordinamento sportivo italiano è che, sia il CONI che le Federazioni sportive, sono stati oggetto negli anni precedenti, di una profonda rinnovazione, messa in atto attraverso diversi
13 X. XXXXXXXX, La legge n. 280/2003 e i rapporti tra ordinamento sportivo e ordinamento statale, in Materiale didattico a cura di N. BRICOLA, distribuito ai corsisti del “Master in Diritto dello Sport” presso l’Università di Trento, Facoltà di Giurisprudenza, anno accademico 2006/2007
interventi del legislatore tra cui il d.lgs n. 242/1999 noto più come “decreto Melandri” e contenente le norme per il “riordino del CONI”.
Tale decreto ha introdotto delle modifiche rispetto alla legge istitutiva del 1942, ridisegnando le finalità e la collocazione del CONI all‟interno del governo dello sport, e privatizzando le federazioni sportive. Queste non sono più organi di diritto pubblico, ma sono diventati degli enti dotati di personalità giuridica di diritto privato14. La riforma del 1999 è stata poi seguita dal D.L. n 138/2002, convertito dalla L. n.178/2002 che ha istituito la Coni Servizi S.p.a cioè una società per azioni interamente partecipare dal Ministero dell‟Economia e delle Finanze e volte a perseguire la massima efficacia di quelle risorse investite dal CONI ed a proporsi come punto di riferimento, sia a livello nazionale che internazionale, per quanto riguarda i servizi applicati allo sport.
Bisogna ricordare anche il D.Lgs 15/2004, meglio noto come il Decreto Pescante, risultante essere un provvedimento integrativo del decreto Melandri, che ha rafforzato , tra l‟altro, i poteri d‟indirizzo e di controllo del CONI sulle organizzazioni sportive, ed ha ridotto e semplificato tutti gli oneri burocratici e finanziari che gravavano sulle federazioni nazionali. Ritornando su quel processo intrapreso inizialmente, bisogna verificare la presenza nell‟ordinamento sportivo di un‟attività di normazione, cioè di na normazione sportiva.
Così come esposto in precedenza parlando di organizzazione, anche la terza caratteristica degli ordinamenti giuridici ha risentito del passaggio all‟agonismo a programma illimitato. L‟aumento dei soggetti affiliati ha reso necessaria l‟emanazione di nuove norme articolate in vari settori, tra
14 X. XXXXXXXXX, L’ordinamento sportivo e le organizzazioni collettive: il CONI, 2008. L’articolo è pubblicato da Altalex: quotidiano d’informazione giuridica
cui quelle riguardanti l‟organizzazione delle gare ed alla diffusione e propaganda, agli impianti sportivi, alla redazione e modificazione delle carte federali, ai rapporti con gli altri sport e con gli ordinamenti statuali15. Vediamo che l‟esistenza di una normazione sportiva è ormai un dato acquisito nella prassi giuridica , e sono proprio queste norme che vanno a costituire l‟essenza dell‟ordinamento sportivo. Il sistema normativo sportiva risulta essere incentrato, così come ogni altro sistema, su delle proprie basi e su propri principi, prescrivendo comportamenti sotto forma di comando o di divieto, definendo diritto e doveri dei soggetti che fanno parte dell‟ordinamento sportivo.
Da questa analisi emerge come gli ordinamenti sportivi possono considerarsi dei veri e propri ordinamenti giuridici, più nello specifici di ordinamenti giuridici settoriali.
Non sono però mancate in dottrina delle opinioni differenti e critiche in relazione alla possibilità di configurare un ordinamento giuridico sportivo. Tra i massimi esponenti, della tesi dell‟antigiuridicità visono Furno e Xxxxxxxxxx.
Il primo, all‟interno di un suo lavoro16, ha definito il fenomeno sportivo come “nient’altro che un complesso o sistema di giochi” sciolto questo da ogni vincolo e da ogni impegno economico-giuridico. Il secondo, invece , ha ribadito con forza l‟estraneità del fenomeno sportivo17 alle norme giuridiche, dominato dalla regola del “fair play”, cioè una regola non scritta inserita in un codice d‟onore dello sport che porta con se i valori della lealtà e della correttezza reciproca.
00 X. XXXXXX, X. XXXXX, op. cit., p. 15
16 X. XXXXX, Note critiche in tema di xxxxxxx, scommesse ed arbitraggi sportivi, in Riv. it. dir. proc. civ., 1952, pp. 619 ss
17 X. XXXXXXXXXX, Figura giuridica dell’arbitro sportivo, in Riv. dir. proc., 1953, pp. 16 ss.
Sono queste due tesi che si inseriscono all‟interno della tradizione italiano fino a qualche decennio fa indifferente , sia verso il fenomeno sportivo nel suo complesso, che verso la possibilità di poter coniugare, in un‟analisi unitaria, la realtà dello sport e la scienza del diritto.
Queste posizioni minoritari, nonostante i tentativi di recupero che si ripropongono spesso in dottrina, sono state superate a favor di una consapevolezza della giuridicità dell‟ordinamento giuridico sportivo, essendo questo retto da norme che, anche se di carattere convenzionale, essendo originate dall‟accordo dei soggetti che vi aderiscono, non escludono la teoria ordina mentale della realtà dello sport. In riferimento a questo, Xxxxxx Xxxx , ha sottolineto come l‟ipotesi ordina mentale è la sola che riesce ad individuare la pecularità del fenomeno sportivo, cioè al perseguimento del fini inutilaristico del miglioramento continuo risultato sportivo al quale vanno ad aggiungersi altri scopi secondari18.
Dopo aver attestato la qualificazione giuridica dell‟ordinamento sportivo,dobbiamo chiederci se tale ordinamento venga a configurarsi come ordinamento originario o come ordinamento derivato.
Prendendo in prestito le parole del Xxxxxxxx, si deve chiarire se l‟ordinamento sportivo “trovi il proprio titolo di validità in se stesso o nell’ordinamento statale” 19 . A questo proposito bisogna esplicitare l‟importanza della distinzione tra ordinamento sportivo mondiale e ordinamento sportivo nazionale. Il Xxxxxx ha difatti chiarito che l‟ordinamento sportivo mondiale, ponendosi anche questo come un ordinamento sovranazionale, non deve essere identificato come un ordinamento internazionale, vista una differente soggettività di fondo tra
00 X. XXXXXX, X. XXXXX, op. cit., p. 15
19 M. S. XXXXXXXX, Gli elementi degli ordinamenti giuridici, in Riv. trim. dir. pubbl., 3, 1958, p. 239
i due. Mentre soggetti giuridici dell‟ordinamento internazionale sono gli Stati, soggetti dell‟ordinamento sportivo mondiale risultano essere le persone fisiche e gli enti immateriali.
Per quanto riguarda l‟originarietà, molti giuristi italiani, tra cui Xxxxxxx Xxxxxxxx, hanno dimostrato che, nonostante siano fortemente connessi tra loro, l‟ordinamento sportivo mondiale e gli ordinamenti sportivi nazionale, si muovono su piani diversi. Da un lato, per quanto riguarda l‟ordinamento sportivo mondiale, questo può essere definito come un ordinamento originario dato che non deriva da un ordinamento statale ed ha competenza esclusiva a legiferare in materia sportiva e ad individuare le norme che disciplinano lo svolgimento delle manifestazioni sportive. Il riconoscimento del carattere originario dell‟ordinamento sportivo mondiale, a differenza di quanto fosse stato sostenuto da un parte della dottrina, non consente però di affermare in modo automatico che lo stesso possa configurarsi come ordinamento sovrano; la sovranità difatti , implica ma non si esaurisce nell‟originarietà, richiedendo un qualcosa in più, che è rappresentato dalla supremazia sugli ordinamenti inferiori. Su questo punto bisogna chiarire che l‟ordinamento sportivo mondiale non è un ordinamento ne sovrano ne dotato di poteri effettivi nell‟ambito delle diverse realtà territoriali, quindi è si un ordinamento originaria ma pecca del carattere delle sovranità. In ogni caso, l‟ordinamento sportivo gode di una propria autonomia che si esplica tramite la potestà di organizzazione e di normazione.
Diverso discorso va fatto per l‟ordinamento sportivo nazionale. Quest‟ultimo, vediamo, come l‟ordinamento sportivo mondiale è carente del carattere della sovranità, ed in più difetto del carattere dell‟originarietà, dato che trae la sua forza dagli ordinamenti sportivi
superstatali 20 e deriva dai corrispettivi ordinamenti statali che gli riconoscono il carattere della giuridicità dopo l‟attenta verifica del rispetto dei principi posti dall‟ordinamento giuridico generale21.
Questo principio costituisce l‟espressione della concezione definita in dottrina “monista” che, negando l‟esistenza di un rapporto paritario tra gli ordinamenti, e ritenendo poi che l‟ordinamento sportivo si gerarchicamente inquadrato nell‟ordinamento statale, mette in evidenzia quella convinzione secondo la quale, la regola sportiva non può mai essere applicata in assenza dell‟intervento del diritto statale. A tal proposito, importanti sono le parole ed il pensiero del Xx Xxxxx, ritenendo che “sia che le istituzioni nazionali restino articolazioni dell’organizzazione mondiale dello sport, sia che diventino ordinamento derivato, le relative norme sono sempre gerarchicamente inquadrate in un unico sistema, ossia quello dell’ordinamento generale, nel cui ambito operano e dal quale dipende la giuridicità delle stesse e dunque la qualificazione di atti e fatti”22.
In opposizione alla teoria monista si schiera la teoria pluralista, espressa da Xxxxxxxx e da Xxxxxx, che hanno posto l‟ordinamento sportivo non al di sotto , ma accanto a quello statale.
Siamo pronti adesso a chiarire, attraverso considerazioni di carattere generale quali sono i rapporti ,nella realtà italiana, che intercorrono tra l‟ordinamento sportivo e l‟ordinamento statale.
20M. SANINO, F. VERDE, op. cit., p. 17
21 X. XXXXXXXXXXX, Diritto dello sport. Profili penali, Torino, Xxxx Xxxxxxxxx, 2009. cit., p. 4.
22 9 L. DI NELLA, op. cit., pp. 80 s
3. Rapporto tra ordinamento sportivo ed ordinamento statale
L‟analisi dei rapporti tra ordinamento sportivo ed ordinamento statale presenta un punto di partenza costituito dal pensiero del Xxxxxxxx , il quale prevede necessariamente, una riflessione sull‟attuazione delle norme proprie dell‟uno e dell‟altro ordinamento.
Il giurista italiano, pone all‟attenzione dello studio, un tripartizione in riferimento alla normazione sportiva individuando tre diversi contesti di materie, chiamte “zone”:
- Una zona retta “esclusivamente” dal diritto statale e dalle sue norme
- Una zona retta “esclusivamente” dal diritto sportivo e dalle sue norme
- Una zone intermedia retta sia dal diritto statale che dal diritto sportivo e dalle relative norme
Senza far menzione delle varie critiche mosse dalla dottrina nei confronti di questa tripartizione normativa 23 che tutt‟oggi viene presa in
23 Si fa riferimento in primo luogo a L. DI NELLA, op. cit., fortemente convinto che un eventuale contrasto tra diritto sportivo e diritto statale nella zona “intermedia” costituisca, ad ogni modo, soltanto un contrasto apparente, in quanto risolvibile, senza alcun problema, ricorrendo agli usuali criteri a disposizione dell’interprete. In altre parole Xx Xxxxx, partendo, come visto, da una forte critica alla concezione pluralista sostenuta dallo stesso Xxxxxxxx, si dimostra intimamente convinto del fatto che l’ordinamento sportivo debba considerarsi come articolazione interna subordinata dell’ordinamento statale e che, pertanto, non possa mai parlarsi di conflitto tra norme statali e norme sportive. Più opportuna, per l’autore, risulta la nozione di “antinomia”, intesa come
considerazione in questa materia, è chiaro che nessun problema si riscontra per quanto riguarda le prime due zone.
L‟uso dell‟avverbio “esclusivamente” presente per poter individuare e descrivere meglio le prime due zone , serve per indicare una competenza che appartiene o solo alle norme del diritto statale ,nel primo caso, o solo alle norme del diritto sportivo nel secondo caso.
Non vi sono possibilità di conflitti di attribuzione delle zone di competenza “esclusiva” .
Nella zona “intermedia” invece, siamo in presenza di una situazione ben diversa, dove l‟utilizzo della denominazione “intermedia” denoto l‟esistenza di un punto di contatto tra i due ordinamenti, ed è proprio questa zona che risulta essere maggiormente interessante e ricca di risvolti per quanto riguarda il nostro lavoro.
Il fatto che detta zone venga retta sia dalle norme del diritto sportivo, quanto dalle norme di diritto statale, porta con se la probabilità del verificarsi di occasioni di contrasto, di sovrapposizione o di esclusione dell‟uno o dell‟altro ordine di norme. Il Xxxxxxxx prospetta sostanzialmente tre ipotesi di conflitto all‟interno del suo operato: la prima , risulta essere quella riguardante l‟esistenza di norme dell‟ordinamento sportivo che contengono una qualificazione giuridica dei fatti che vanno in contrasto con quella contenuta all‟interno delle norme presenti nell‟ordinamento statale, ad esempio può accadere che un atto, ritenuto lecito dall‟ordinamento sportivo, si configuri come illecito civile o penale in base ad una norma statale..
eccesso di norme che disciplinano la medesima fattispecie, ricollegando alla stessa conseguenze diverse e logicamente incompatibili.
Una seconda ipotesi di conflitto è quella caratterizzata dall‟esistenza di norme dell‟ordinamento sportivo che , al loro interno, contengano una medesima qualificazione giuridica dei fatti rispetto a quelle contenute nell‟ordinamento statale che, però, fanno discendere delle conseguenze giuridiche differenti rispetto a quelle delle „ordinamento statale, possiamo vedere l‟esempio di un determinato fatto che venga sanzionato con la squalifica nell‟ambito sportivo ma che può dar vita all‟espulsione da un‟associazione sportiva ai sensi delle norme statali.
Infine, terza ipotesi conflittuale , è quella che vede la presenza di norme dell‟ordinamento sportivo che contengono la stessa qualificazione dei fatti e che danno vita le stesse conseguenze giuridiche, contemplate da norme di diritto statale, ma che prevedono delle misure giuridiche differenti per quanto riguarda la tutela dei diritti. Può cosi verificarsi che entrambe gli ordinamenti rivendichino la competenza dei propri organi giurisdizionali a conoscere di una determinata controversia.
Bene, nel caso in cui sorga una di queste controversie appena ipotizzate, viste le considerazione avanzate precedentemente, a prevalere è necessariamente la norma statale, dato che abbiamo visto come l‟ordinamento sportivo nazionale venga collocato tra gli ordinamenti non originari, ma derivati, e come la sovranità dello Stato non trovi alcun limite all‟esistenza di un ordinamento sportivo, pur cercando di ridurre l‟ingerenza statale nel fenomeno sportivo.
Nella zona intermedia, che ricordiamo essere retta da entrambe gli ordinamenti, a prevalere sarà quindi la norma derivante dall‟ordinamento statale , visto che quest‟ultimo è l‟unico ad essere dotato del carattere della sovranità. Quindi, l‟ordinamento sportivo italiano, essendo un articolazione dell‟ordinamento sportivo territoriale, dovrà adeguarsi agli
indirizzi dettati dal CIO, che si pone al vertice del “governo sportivo”, ma lo stesso ordinamento sportivo italiano, agendo nel territorio dello Stato, non può fare a meno di adeguarsi ai principi costituzionali e comunitari , pensabili questi, come fonti di rango primario rispetto alle norme di gradi regolamentare emanate da organi prettamente sportivi24.
Per quanto riguarda il problema dei rapporti tra gli ordinamenti, può essere concepito come un problema di autonomia dell‟ ordinamento sportivo rispetto all‟ordinamento statale.
Dopo aver riconosciuto la sovranità dello Stato, di cui l‟ordinamento sportivo difetta , e la relativa supremazia delle norma statali su quelle sportive in ipotesi conflittuali, bisogna comprendere in che modo possa riconoscersi una spazio di autonomia dell‟ordinamento sportivo nazionale.
Vediamo che da un lato gli organi normativi dell‟ordinamento sportivo hanno imposto ai soggetti affiliati la sottoscrizione di clausole compromissorie importanti, tra cui l‟impiego da parte degli stessi a non adire gli organi giurisdizionali statali, minacciando così l‟inflizione di sanzioni in caso quest‟obbligo non venga osservato 25. Dall‟altro lato invece, il legislatore nazionale, ha prima riconosciuto alla federazioni sportive rilevanti spazi di autonomia nel rispetto dei precetti contenuti nelle fonti legislative statali e di origine comunitaria, ed in un secondo momento sono state introdotte delle riserve di competenza in determinate materie, a favore degli organi di giustizia sportiva, fino a giungere alla loro legittimazione nelle L. 280/2003.
24 X. XXXXXXXX, op. cit., p. 12.
25 Si veda a proposito X. XXXXXX, F. VERDE, op. cit., p. 26.
Dunque, anche prima della riforma del 2003, se non proprio con il “decreto melandri” del 1999, l‟ammissione dell‟autonomia sportiva da parte del nostro legislatore , ha posta la necessità di individuare quali possano essere “i casi di rilevanza per l’ordinamento giuridico della Repubblica di situazioni giuridiche soggettive connesse con l’ordinamento sportivo” 26.
Si viene così a prospettarsi l‟esigenza di definire le situazioni in cui, in virtù della rilevanza rivestita dall‟ordinamento statale di situazioni giuridiche connesse con l‟ordinamento sportivo, le controversie che riguardino tali situazioni, dovranno essere attribuite alla giurisdizione del giudice ordinario nei casi l‟oggetto riguardi atti patrimoniali tra società, atleti, nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo per quanto concerne gli atti del CONI o delle federazioni nazionali.
In merito a ciò, Xxxxxxx e Xxxxx consentono di poter prendere coscienza del fatto che, anche prima della riforma del 1999, un orientamento giurisprudenziale delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, aveva ritenuto rilevanti , per l‟ordinamento statale, quelle situazioni giuridiche possibili di essere tradotte in termine di diritto soggettivo o di interesse legittimo. Il riferimento è alla sentenza n. 4399/1989, all‟interno della quale la Suprema Corte ribadiva “non si vede quale possa essere l’interesse dell’ordinamento generale alla determinazione delle regole tecniche che sono proprie delle competizioni sportive”27.
26 Si tratta della deroga all’autonomia oggi riconosciuta espressamente dall’art. 1, Legge 280/2003 il quale sancisce dunque l’autonomia tra i due ordinamenti, facendo tuttavia salva la rilevanza che situazioni giuridiche soggettive connesse con l’ordinamento sportivo possano assumere per l’ordinamento statale: quest’ultimo conserva infatti il potere di sindacare, attraverso i propri organi giurisdizionali, l’operato dell’ordinamento sportivo.
00 X. XXXXXX, X. XXXXX, op. cit., p. 29
L‟ordinamento generale, all‟opposto, impone all‟ordinamento sportivo che le norme fondamentali di questo, di armonizzino con quelle proprie, assicurando la tutela delle posizioni giuridiche soggettive connesse con l‟ordinamento sportivo. La Corte, quindi, ha gettato le basi per una distinzione tra norme tecniche e norme di natura diversa.
Possiamo così concludere che, la giurisprudenza anteriore alla riforma del 2003 ed il contenuto riformatore della L. 280/2003 siano i migliori strumenti per capire come il problema dell‟autonomia dell‟ordinamento sportivo dall‟ordinamento statale è riconducibile a quello dei rapporti tra giustizia sportiva e giurisdizione dello Stato, cioè quello dei rapporti tra processo amministrativo e processo sportivo.
I rapporti intercorrenti tra l‟ordinamento statale e l‟ordinamento sportivo vengono, alla luce di tutto, presi in considerazione dalla L. 280/2003 e , come detto, dall‟art. 1 dove è scolpito il principio secondo cui “la Repubblica riconosce e favorisce l’autonomia dell’ordinamento sportivo nazionale (...) I rapporti tra l’ordinamento sportivo e l’ordinamento della Repubblica sono regolati in base al principio di autonomia, salvi i casi di rilevanza per l’ordinamento giuridico della Repubblica di situazioni giuridiche soggettive connesse con l’ordinamento sportivo”.
L‟ordinamento sportivo coesiste quindi con l‟ordinamento statale, ma da esso ne subisce dei condizionamenti , si può quindi parlare di un‟autonomia funzionale28 dell‟ordinamento sportivo.
28 Con autonomia funzionale si indica una tipologia di enti pubblici che si collocano in una posizione intermedia tra lo Stao e gli enti territoriali e si caratterizzano per avere come elemento costitutivo la rappresentanza di specifici interessi. Gli enti di autonomia funzionale assumono quindi come riferimento la funzione, a differenza degli enti territoriali, i quali sono rappresentativi di un’intera comunità di cittadini, residenti su un determinato territorio. Le autonomie funzionali sono state introdotte nel nostro ordinamento in seguito alla riforma amministrativa
4. Diritto del Lavoro nello sport
Come noi ben sappiamo, il legislatore costituente sancisce all‟art. 1 della Cost. che “L‟Italia è una Repubblica fondata sul lavoro”, senza lasciar dubbi all‟importanza che la Carta Costituzionale attribuisce al Lavoro, ponendolo tra gli elementi irrinunciabili dell‟esperienza repubblicana.
Per quanto riguarda la materia del lavoro, la Carta pone un‟attenzione particolare, dedicando al lavoro diverse norme poste nel Titolo III della parte prima dedicato ai rapporti economici.
Occorre ricordare , tra l‟altro, l‟art. 36 che enuncia il diritto ad una retribuzione sufficiente, al riposo settimanale ed alle ferie retribuite e l‟art. 37 che sancisce il diritto alla parità per lavoratrici e minori.
L‟art. 41 inoltre, enuncia la Libertà d‟iniziativa economica privata, limitando però tale diritto stabilendo che questa “ non può svolgersi in
avviata dalla legge n. 59/1997 che stabiliva, tra le funzioni e i compiti di carattere amministrativo da sottrarre al conferimento alle regioni e agli enti locali, “i compiti esercitati localmente in regime di autonomia funzionale dalle Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e dalle Università degli studi” (art. 1, comma 3, letter d)
contrasto con l‟utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà ed alla dignità umana”.
La Costituzione però, prima della L. Cost. 18 ottobre 2001 n.3, non riservava una particolare attenzione al fenomeno sportivo, né tantomeno riconosceva i soggetti che operano in quest‟ambito. Con detta legge è stato modificato l‟art. 117 Cost., ed è nel comma terzo, nell‟ambito della definizione della materie da doversi attribuire alla legislazione concorrente, che s‟inserisce il “l‟ordinamento sportivo”29.
La legislazione concorrente, non è altro che un‟attribuzione complessa di potestà legislativa là dove viene previsto che alle Regioni è affidata la potestà legislativa di dettaglio, mentre allo Stato viene affidato il compito di determinare i principi fondamentali della materia.
E‟ possibile affermare così che la Costituzione non risulta contenere dei riferimenti diretti al fenomeno sportivo ma che, in modo indiretto, lo sport costituisce oggetto di considerazione e disciplina indiretta da parte di alcune disposizioni costituzionale tra cui:
• Art.2 Cost. in base al quale “ La repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell‟uomo sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove svolge la sua personalità”
• Art. 18 Cost. secondo il quale nel primo comma “ i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente, senza autorizzazione, per fini che non sono vietati ai singoli dalla legge penale”
• Art. 32 Cost. , che al primo comma afferma che “ La Repubblica tutela la salute, come fondamentale diritto dell‟individuo ed interessa della collettività”
29 Art. 117 Cost. comma terzo: “ sono materie di legislazione concorrente quelle relativo a: rapporti *…+ ORDINAMENTO SPORTIVO.
Possiamo prendere in considerazioni queste disposizioni nel momento in cui definiamo lo Sport quell‟insieme di tutte quelle attività, individuali o collettive, che sono organizzati secondo un sistema di regole che ne stabiliscono precisamente le modalità di svolgimento ed impegnano o sviluppano determinate capacità psicomotorie, svolte anche ai fini ricreativi o salutari30.
Possiamo così ritenere che lavoro e sport godono di una più che convincente tutela fornita loro dalla Carta fondamentale del nostro ordinamento ed anche tutele più incisive ed irrinunciabili, poiché sono fenomeni che coinvolgono l‟individuo nelle manifestazioni più profonde della propria personalità.
In ogni caso, si riscontrano delle difficoltà nel trovare, al diritto del lavoro ed al diritto del lavoro sportivo, una loro precisa collocazione all‟interno della classica bipartizione sistematica fra diritto pubblico e diritto privato31.
L‟impianto di norme che caratterizza il diritto del lavoro, difatti, risulta essere di natura tendenzialmente privatistica che vedo però l‟innesto di norme di carattere pubblicistico che garantiscono il soddisfacimento d‟interessi di più ampia portata.
Il diritto del Lavoro, risulta così apparire estremamente eterogeneo, ricomprendendo norme di diritto privato, che tendono a disciplinare il rapporto di lavoro in se e norme di diritto pubblico per quanto riguarda la legislazione sociale.
30 Sport, Dizionario Italiano
31 Perone G. Lineamenti di diritto del lavoro. Evoluzione e ripartizione della materia, tipologie lavorative e fonti. Torino 1999
Devono essere incluse, all‟interno dell‟ambito di diritto del lavoro, quelle norme riguardanti i contratti collettivi che riguardano il Diritto Sindacale e che, anche se non appartengono al diritto statale, vincolano alla loro osservanza i soggetti rappresentati dalle organizzazioni sindacali.
Come visto precedentemente, la Costituzione, quale legge fondamentale dello Stato posta al vertice della gerarchia delle fonti del diritto, dedica una particolare attenzione al lavoro nella sua eccezione che lo vede come un‟attività concorrente al progresso della società.
Bisogna qui richiamare l‟art. 35, 2°Comma secondo cui la Repubblica “promuove e favorisce gli accordi e le organizzazione internazionali intese ad affermare e regolare i diritti del lavoro”. Assumono così grande importanza le norme di diritto internazionale del lavoro di origine pattizia provenienti dalle organizzazioni internazionali autorizzate ad emanare atti vincolanti gli Stati membri di accordi internazionali con altri Stati esteri. Queste norme entrano a far parte dell‟ordinamento italiano attraverso leggi ordinarie del Parlamento che le colloca a livello di fonte primaria.
Nell‟ambito che a noi riguarda, il Consiglio D‟Europa ha emanato, nel 1961, la Carta Sociale Europea, ratificata dal Governo Italiano con Legge 3 luglio 1965, n.969, dove vengono ribaditi i diritti alla costituzione ed alla partecipazione ai sindacati, alla contrattazione collettiva all‟esercizio di sciopero.
Assumono poi particolare importanza, sia nel diritto del lavoro che nel diritto del lavoro sportivo, le fonti comunitarie previste dal trattato istitutivo della Comunità Europea, i suoi regolamenti, le direttive, le
decisioni e le raccomandazioni che, nel tempo, hanno influenzato l‟evoluzione delle legislazioni nazionali.
Come sappiamo, trattati e regolamenti comunitari costituiscono fonti sovranazionale che, nella gerarchia delle fonti di produzione del diritto, si pongono in una posiziona subordinata alla Costituzione , collocandosi però in una posizione superiore alla legge ordinaria dello Stato.
Il Giudice nazionale sarà tenuto a disapplicare le norme intere nel caso in cui queste risultassero in contrasto con le norme comunitarie.
Con gli interventi della Corte di Giustizia Europea, tramite l‟opera d‟interpretazione delle norme comunitarie e l‟emanazione di sentenze che riguardano la conformità delle normative nazionali ei principi comunitari, si è favorita la formazione di un Diritto del Lavoro Comunitario.
Tornando a parlare del Diritto interno, osserviamo come il lavoro trovi ampia regolamentazione delle legge ordinaria, attraverso però una legislazione speciale che ne tempo si è allargata sempre di più, andando a coprire quasi per intero la disciplina del lavoro subordinato, che nel nostro Codice Civile risulta avere una regolamentazione solo marginale. Nel sistema normativo del diritto del lavoro però, va riconosciuta una maggiore rilevanza agli “usi normativi”, come nel caso dell‟art. 2078 del
C.c. , ammettendo questo articolo l‟applicazione degli usi in mancanza di leggi e di un contratto collettivo stabilendo poi che “gli usi più favorevoli ai prestatori di lavoro prevalgono sulle norme dispositive di legge”.
Da questa disposizione deriva che le norme di legge prevalgono sugli usi meno favorevoli ai lavoratori; le norme di legge imperative prevalgono
sugli usi anche se questi sono più favorevoli; le norme di legge dispositive cedono di fronte agli usi più favorevoli ai lavoratori.
All‟interno della disciplina da noi trattata, rientrano anche le fonti contrattuali, costituite dai contratti collettivi stipulati tra le organizzazioni sindacali dei lavoratori e quelle dei datori di lavoro, con lo scopo di determinare il contenuto del rapporto di lavoro e di disciplinarne lo svolgimento.
La possibilità che viene data ai sindacati di stipulare contratti collettivi è prevista dall‟art.39 Cost, con una norma che ne subordina l‟efficacia generalizzata alla registrazione ed al conseguente acquisto della personalità giuridica da parte dei sindacati. I sindacati in Italia però, non sono mai diventati organizzazioni registrate ed operano alla stregua di mere associazioni di fatto, con la conseguenza che i contratti stipulati dai sindacati risultano vincolanti solo per i soggetti che ne fanno parte, ma una serie di fattori hanno favorita una tendenza espansiva dell‟efficacia del contratto collettivo di diritto comune.
L‟attività sportiva, essendo configurata come attività lavorativa, gode dell‟applicazione di tutti quei principi e delle norme costituzionali in materia di lavoro. Anche mancando un espresso riferimento allo sport, è riconosciuto ad ogni cittadino la libertà ed il diritto di esercitare attività sportiva ai diversi livelli previsti e disciplinati dall‟ordinamento sportivo.
Il rilievo nei confronti dell‟interesse pubblico della diffusione e dell‟incremento dell‟attività sportiva sul territorio nazionale, ha portato, come detto in precedenza, il nostro legislatore ad introdurre con legge Costituzionale n.31 /2001 un esplicito riferimento allo sport nell‟art. 117 Cost. riconoscendo potestà legislativa alle regione in “materia di
ordinamento sportivo”. Questa competenza , attribuita alle regioni, non va oltre gli ambiti di autonomia legislativa riconosciuti ed affermati dall‟ordinamento sportivo, essendo queste di competenza del Comitato Olimpico Internazionale ( CIO ); la competenza di cui parliamo, attribuita alle regioni, risulta essere quella che prodotta dall‟ente territoriale in collaborazione con le articolazioni locali del CONI e con gli altri enti pubblici , per poter così ottenere una più efficiente realizzazione dell‟interesse pubblico alla diffusione della pratica sportiva. A livello legislativo, il lavoro sportivo subordinato è disciplinato dalla Legge 91/1981, e se non espressamente escluse, da altre norme riguardanti il lavoro subordinato.
D‟importanza fondamentale risulta poi essere il ruolo che detta legge attribuisce agli accordi collettivi cui la stessa legge deferisce il compito della disciplina del rapporto di lavoro sportivo.
Per la disciplina del lavoro sportivo, data la supremazia dell‟ordinamento comunitario, si è sentita la necessità di un adeguamento ai principi comunitari in materia generale di lavoro, estendendosi questa anche ai lavoratori sportivi, con il conseguente aumento di pronunce da parte della Corte di Giustizia Europea32.
La Corte sin dal 1974 ha affermato, in base ai principi di libera circolazione nei paesi della CEE, che nella definizione di lavoratore rientra anche chi pratica uno sport, se tale attività riveste il carattere di una prestazione di lavoro subordinato o di una prestazione di servizi retribuita, eliminando anche ogni discriminazione basata sulla nazionalità.
32 DE CRISTOFARO M., Legge 23 Marzo 1981 n. 91. Norme in materia di rapporti tra società e sportivi professionisti, in Nuove leggi civ. comm., 1982, p. 580.
Con la più nota sentenza Xxxxxx del 1995, la Corte di Giustizia, ha posto in questo senso le basi per una riforma radicale dell‟intero sistema di lavoro sportivo33.
All‟attività sportiva, configurata come attività lavorativa, viene assicurata l‟applicazione di tutti questi principi e norme Costituzionali, richiamate in precedenza, in tema di diritto di lavoro.
Così facendo l‟ordinamento s‟impegna nel garantire la libertà di espressione della personalità di ciascun soggetto, sia come singole che nelle diverse formazioni sociali, riconoscendo ad ogni cittadino la liberta di esercitare un „ attività sportiva ai diversi livelli previsti e disciplinati dall‟ordinamento sportivo34.
33 X.Xxxxxxxx X.Xxxx, DIIRITTO DEL LAVORO NELL’UNIONE EUROPEA
(sesta edizione) Cedam
34 Con l’Atto Unico Europeo del 1987, si è evidenziato il ruolo dello sport sia a livello economico che sociale. Nel 1990 inoltre, si registra l’istituzione del Forum Europeo dello sport con funzioni consultive cui fa seguito, nel 1992, la Carta Europea dello Sport, primo atto normativo di fonte comunitaria in materia di sport. Tuttavia è con il Trattato di Amsterdam del 1997 che si riconosce a livello europeo l’importanza dello sport. In particolare è nella dichiarazione n. 29 sullo sport allegata all’atto finale della conferenza che ha adottato il testo del Trattato, che si sottolinea la rilevanza dello sport come strumento che forgia le identità ravvicina le persone. Sempre nella dichiarazione n. 29 poi, si invitano gli organi della UE a prestare ascolto alle associazioni sportive laddove trattino questioni importanti in materia di sport, con particolare attenzione allo sport dilettantistico. Per quanto riguarda la configurazione dello sport a livello organizzativo, risulta fondamentale il documento di consultazione elaborato dalla Direzione Generale X intitolato “il modello europeo di sport”, posto a base della Relazione di Helsinki sullo sport, presentata alla riunione del Consiglio Europeo tenutasi ad Helsinki il 10-11 dicembre 1999. Più recentemente, nella conferenza intergovernativa tenutasi a Nizza il 7-9 dicembre 2000 si è affermato il principio secondo il quale all’ordinamento sportivo deve essere riconosciuta autonomia organizzativa per mezzo di adeguate strutture associative tra le quali le federazioni mantengono il loro ruolo centrale. Sullo sport nell’Unione Europea : PESCANTE M. , L’Atto Unico Europeo e lo sport, Relazione al convegno L’atto Unico Europeo e lo sport, Roma, 24 novembre 1989; XXXXXX X. Xx Comunità Europea e lo sport, a cura della Commissione delle comunità europee generali con comunicazione del 19 settembre 1991, in Riv. dir. Sport., 1992, p. 630; XXXXXXX X., Lo sport ed il diritto comunitario dopo Maastricht: profili generali in Riv. dir. Sport., 1993, p. 653. Più in
Vale la pena ricorda che, l‟elevazione ad interesse pubblico della diffusione e dell‟incremento dell‟attività sportiva sul territorio nazionale abbia portato il legislatore ad introdurre, tramite legge Costituzionale !8 ottobre 2001 n.3 un riferimento esplicito allo sport nell‟art.117 Cost. riconoscendo così la potestà legislativa in “materia di ordinamento sportivo “ alle regioni.
La potestà regionale non deve essere posta in conflitto con l‟autonomia dell‟ordinamento sportivo, quest‟ultima confermata dal legislatore anche dall‟art.1 della legge n.280/2003 in tema di giustizia sportiva35.
Il lavoro subordinato professionistico viene disciplinato specificamente dalla legge 23 Marzo 1981, n.91 e, dove non risultino essere incompatibili o espressamente esclusa, in tutte la altre norme generali dettate per il lavoro subordinato.
Detta legge riconosce poi un ruolo fondamentale agli accordi collettivi, cui la stessa demanda il compito di predisposizione concreta del rapporto di lavoro sportivo professionistico.
generale: BARBERA M. Dopo Amsterdam, I nuovi confini del diritto sociale comunitario, Promodis, Brescia, 2000.
35 L’art. 1 della Legge 280/2003 sancisce dunque l’autonomia tra i due ordinamenti, facendo tuttavia salva la rilevanza che situazioni giuridiche soggettive connesse con l’ordinamento sportivo possano assumere per l’ordinamento statale: quest’ultimo conserva infatti il potere di sindacare, attraverso i propri organi giurisdizionali, l’operato dell’ordinamento sportivo.
CAPITOLO SECONDO
La Disciplina del rapporto di lavoro nello sport
Sommario: 1 La legge 23 Marzo 1981, n.91; 2 Il suo contenuto e l‟ambito di applicazione; 3 La figura del professionista sportivo e la differenza con il dilettante 4 Autonomia e subordinazione dello sportivo professionista; 5 Il contratto di lavoro sportivo subordinato ( articolo 4 della legge n.91 del 1981 ) ; 6 Le vicende del rapporto di lavoro sportivo:
1) la sospensione del rapporto di lavoro, art. 2110 c.c 2) la risoluzione consensuale del contratto, la cessione del contratto 3) la risoluzione unilaterale,del rapporto di lavoro a tempo indeterminato, 4) il recesso ante tempus del contratto di lavoro a tempo determinato; 7 La tutela sanitaria , assicurativa e previdenziale dello sportivo professionista; 8 La sentenza Xxxxxx il contenuto ed i suoi effetti
5. La legge 23 Marzo 1981 n.91
L‟emanazione della legge 23 marzo 1981, n.91 , viene collocata in un contesto storico molto confuso, dominato da ricorrenti cambiamenti giurisprudenziali e ad accesi dibattiti dottrinali, sulla definizione degli elementi fondamentali che riguardano il rapporto tra atleta e società sportiva.
In una situazione del genere, in particolar modo nel mondo sportivo dove il forte sviluppo sociale delle varie discipline minavano quel già instabile equilibrio regolamentare creatosi nel corsi degli anni, gli operatori giuridici avvertirono la necessità di arrivare ad una soluzione legislativa in modo tale da poter soddisfare, tramite una normativa ad hoc, le esigenze concrete dello sport.
Il presupposto che fece da traino a questo cambiamento di vedute prese spunto dal mondo calcistico, poiché il 7 luglio del 1978 il Pretore di Milano, a seguito di un esposto da parte dell‟ avv. Xxxxxxx in quanto presidente dell‟A.I.C, , emanò un decreto 36 che prevedeva l‟impedimento da parte di società sportive appartenenti alla Lega Nazionale Professionisti di poter svolgere le sessioni estive di “calciomercato”.
Questa decisione da parte del Pretore milanese, si basava sul presupposto che, poiché si riconosceva la natura subordinata del rapporto di lavoro tra sportivi e società, allo stesso modo si doveva applicare la disciplina di divieto d‟intermediazione privata nel collocamento previsto per ogni rapporto di lavoro dipendente dalla Legge 29 Aprile 1949, n.246 ,
36 Pret. Milano, 7 luglio 1978, in Foro it., 1978, II, 319.
nonostante in passato ci fossero state diverse pronunce della Cassazione in senso diametralmente opposto37.
Il legislatore , per fare in modo che il campionato 78/79 si svolgesse, ed evitare eventuali problemi legati al piano politico ed all‟ordine pubblico, emanò il decreto legge 14 luglio 1978, n.367 recante “l‟interpretazione autentica in materia di disciplina giuridica dei rapporti tra enti sportivi e atleti iscritti alle Federazioni di categoria”.
L‟art.1 di detto Decreto affermava che la costituzione, lo svolgimento e l‟estinzione dei rapporti tra società o associazioni sportive ed i propri atleti o tecnici, dovevano continuare ad essere regolati dagli Statuti e dai regolamenti delle Federazioni riconosciute dal C.O.N.I. alle quali gli stessi risultavano iscritti. L‟art. 2 prevedeva poi che, entro un anno dall‟entrata in vigore del decreto, il Governo avrebbe dovuto emanare una legge che tutelasse gli interessi economici e professionali degli atleti. Veniva così a crearsi una disciplina ambigua che lasciava irrisolte diverse questioni , come quella relativa al “vincolo sportivo”, cioè quel
37 Cfr. Cass., 8 settembre 1970, n. 1349, in Foro it., Rep., 1970, voce
Sport, n.34 e Cass., 2 aprile 1963, n. 811, in Riv. Dir. Sport. 1963, 100, nelle quali la Suprema Corte afferma che i rapporti relativi al cosiddetto acquisto di giocatori di calcio da parte delle associazioni sportive e alla cessione degli stessi da una squadra a un’altra non possono ritenersi assoggettabili alla disciplina pubblicistica del collocamento dei lavoratori subordinati, per i principi cui questa stessa disciplina è ispirata e per le funzioni sociali cui adempie; tutto ciò porta alla conseguenza che il divieto di attività privata di mediazione in ordine al collocamento dei lavoratori non può dirsi operante nei confronti dei rapporti di acquisto e cessione dei calciatori. Al proposito X. XXXXX, Una legge per lo sport, in Foro it., 1981, II, 298 afferma addirittura: “Il decreto del pretore Xxxxxxxxxxx era piuttosto dissennato, non solo perché credeva che si potessero sequestrare contratti, o perché dimostrava di conoscere poco i soggetti che erano inquisiti, parlando indifferentemente di società e associazioni calcistiche per indicare gli stessi clubs, e, molto peggio, infilando in uno stesso calderone società e mediatori, ma anche perché disattendeva bruscamente la giurisprudenza della Cassazione che aveva escluso che nel trasferimento dei calciatori trovasse applicazione la disciplina del collocamento della mano d’opera, non già disapprovandola, bensì mostrando semplicemente di non conoscerla”
legame in base al quale lo sportivo, firmando il tesseramento, diventava di proprietà della società, non potendo avere né libertà contrattuale, né libertà di recesso.
Di questa ambiguità se ne rese conto il Parlamento che, in sede di conversione del decreto legge 367/78 nella legge 430/78, confermò la parte dell‟art. 1 riguardante l‟inapplicabilità delle norme ordinarie sul collocamento, ed abolì la parte della norma che rinviava alle norme federali. Le Camere poi, invitarono il Governo a prendere una posizione, chiedendo di presentare un disegno di legge riguardante la disciplina dei rapporti tra società sportive e atleti, in modo tale da poter chiarire la precisa dimensione del rapporto e dello status del professionista. Il Consiglio Dei Ministri presentò così un disegno di legge “ Norme in materia di rapporti tra società e sportivi professionisti”.
Questa proposta di legge sembrò un tentativo di compromesso38 dato che, se da una parte prevedeva l‟abolizione graduale del vincolo e il richiamo della disciplina dei rapporti tra società e sportivi nell‟ordinamento giuridico dello Stato; dall‟altra definiva la prestazione dell‟atleta professionista come una prestazione di lavoro autonomo caratterizzata dalla collaborazione coordinata e continuativa tra le parte, andando sia contro la dottrina che contro la giurisprudenza.
Al Senato questo disegno di legge veniva poi approvato senza sostanziali modifiche; alla Camera dei deputati invece, si assisteva ad un vero e proprio ribaltamento dell‟impostazione , vista la spinta della dottrina e
38 Per un’analisi dettagliata degli aspetti relativi all’iter formativo della legge e sui suoi risvolti giuridici si vedano X. XXXXXXX, La Legge 23 marzo 1981, n. 91 e il professionismo sportivo: genesi, effettività e prospettive future, in Riv. Dir. Sport., 1990, 316; X. XXXXXXXX e X. XXXXXX XXXX, L’iter parlamentare della Legge 23 marzo 1981, n. 91 sui rapporti tra società e sportivi professionisti, in Riv. Dir. Sport., 1981, 492 e ss
della giurisprudenza prevalente, nonché di una parte politica dei deputati, ed infatti il rapporto di lavoro sportivo dell‟atleta professionista veniva così qualificato come subordinato39
Il testo elaborato poi dalla Camera fu trasferito nuovamente al Senato e ricevette l‟approvazione nella seduta del 4 marzo 1981, costituendo questo il testo contenuto nella LEGGE 23 MARZO 1981, n.91 sul professionismo sportivo.
6. Il suo contenuto e l’ambito di applicazione
La legge 23 Marzo 1981, n.91 che contiene “Norme in materia di rapporti tra società e sportivi professionisti” è divisa in quattro capi:
• Il primo, comprendente gli articoli da 1 a 9, relativo allo “Sport Professionistico” ;
39 Per una ricostruzione politico-storica del percorso formativo della legge si veda M. DELLA COSTA, La disciplina giuridica del lavoro sportivo, Vicenza, 1993, 44 il quale afferma che : “ Il cammino che portò all’emanazione della legge 91 non fu semplice. Dapprima il Senato approvò un disegno di legge in cui i professionisti venivano qualificati come lavoratori autonomi sul rilievo che non essendo loro applicabile la normativa sul collocamento, non si poteva ritenerli lavoratori subordinati. Giunto all’esame della Camera tuttavia, il disegno di legge come approvato dal Senato risentì delle forti pressioni della sinistra, che pretese la modifica della qualifica degli sportivi professionisti da lavoratori autonomi a lavoratori subordinati, attribuendo così di nuovo un ruolo centrale ai sindacati e alla contrattazione collettiva”.
• Il secondo, che comprende gli articoli da 10 a 14, che riguarda il funzionamento e l‟attività delle “Società Sportive e Federazioni Sportive Nazionali”;
• Il terzo, che prevede all‟interno del solo articolo 15, relativo alle “ Disposizioni di carattere Tributario”;
• Il quarto ed ultimo, contenente gli articoli dal 16 al 18 “Disposizioni transitorie e finali”.
Da questo schema possiamo dedurre che il legislatore ha dettato una disciplina globale per questo settore. La definizione dei rapporti tra le società sportive e gli atleti professionisti sul quale si basa il primo capo e che rappresenta l‟oggetto principale della normativa ex lege n.91/1981 , quest‟ultima prevista per garantire la figura del professionista sportivo nei rapporti con le società sportive liberandolo dall‟istituto del vincolo sportivo, ha imposto anche una disciplina dell‟attività e del funzionamento delle società sportive in merito alla loro struttura commerciale e societaria e ai rapporti con le federazioni sportive nazionali nel cui ambito esse svolgono la propria attività ( capo II e III). Il quarto ed ultimo Capo invece, regola quegli aspetti di carattere transitorio che derivano dall‟emanazione delle legge stessa, con maggior riguardo per quelli relativi all‟abolizione del vincolo sportivo ed alle sue conseguenze e gli aspetti relativi alla trasformazione , necessaria, delle società sportive in società per azioni o in società a responsabilità limitata40.
40 X. XXXXXXXXX, L’atleta professionista e l’atleta dilettante, in Riv. Dir. Sport., 1997, afferma: “Attraverso la tecnica redazionale dei cerchi
La struttura utilizzata da questo schema risulta essere coerente con il punto di vista scelto per disciplinare il fenomeno sportivo, preso in considerazione con riferimento ai rapporti contrattuali nei quali viene svolta l‟attività sportiva professionistica.
Questo tipo di rapporti sono oggetto di una valutazione globale da parte dell‟ordinamento quindi, la disciplina prende in considerazione anche la normativa precedente all‟entrata in vigore della legge , introducendo così diverse disposizioni transitorie volte a temperarne la sua portata.
Per quanto concerne l‟applicazione della legge , vediamo che l‟art.1 risulta essere una norma programmatica, che riconosce ed incentiva l‟attività sportiva in generale41, ma quella che fissa le coordinate per applicare la legge nei confronti del lavoratore è l‟art. 2. Il secondo articolo della legge in esame, limita l‟applicazione di questa al professionismo previsto dalle discipline regolamentate dal CONI, alle attività sportive che vengono svolte a titolo oneroso e con carattere di continuità, a precise figure di sportivi professionisti.
Per sportivi professionisti s‟intendono : gli atleti, gli allenatori, i direttori tecnico-sportivi ed i preparatori atletici che esercitano l‟attività sportiva a titolo oneroso con caratteri di continuità nell‟ambito delle discipline regolamentate dal CONI e che conseguono la qualificazione delle federazioni sportive nazionali, in base alle norme che sono contenute
concentrici l’uno iscritto all’altro, il legislatore ha dapprima tracciato il discrimine tra dilettantismo e professionismo (articolo 2), quindi ha individuato nel campo del professionismo la distinzione tra atleta lavoratore subordinato e lavoratore autonomo (articolo 3), infine ha forgiato una disciplina speciale per quanto concerne il rapporto di lavoro sportivo (articoli 4 e seguenti)”.
41 Art. 1: “L’esercizio dell’ attività sportiva, sia essa svolta in forma individuale o collettiva, sia in forma professionistica o dilettantistica, è libero.”
dalle stesse federazioni in osservanza delle direttive stabilite dal CONI per poter distinguere l‟attività professionistica da quella professionistica. Tramite l‟art.2 , il legislatore ha delegato alle federazioni la delimitazione del campo applicativo dell‟intera legge n.91, identificando così l‟area del professionismo riconosciuto, all‟esterno del quale trova applicazione la tutela generale nei confronti di quegli sportivi che possono definirsi lavoratori subordinati in base all‟art. 2094 del c.c.
Possiamo vedere che, mentre un normale rapporto di lavoro subordinato è qualificato come tale vista l‟attività svolta dal lavoratore, nel caso del lavoro sportivo è richiesta, preventivamente, la qualificazione risultante dalla norma in commento, il tesseramento42. Quest‟ultimo ed il contratto si distinguono tra loro. Il giocatore che viene tesserato come professionista, stipula con la società sportiva un contratto di lavoro valido per la federazione, anche nelle ipotesi in cui le parti stipulino prima il contratto di lavoro e poi il giocatore sia tesserato, ed infine il contratto viene depositato presso la federazione. Possiamo così dire che il tesseramento sia il presupposto logico del contratto di lavoro dello sportivo professionista. Nel caso in cui il tesseramento non venisse effettuato , potrebbe scaturire la nullità del rapporto di lavoro dell‟atleta che ne sia privo, con conseguente applicazione dell‟art 2126 c.c.43.
42 La dottrina prevalente ritiene che l’ art. 2, l., n. 91/81, laddove faccia dipendere l’acquisizione di uno status da un elemento astratto come la qualificazione, anziché dalla situazione di fatto, rappresenti un anomalia all’interno della legislazione giuslavorista: v. X. XXXXXX, Il tempo della prestazione nel rapporto di lavoro, vol. I, Milano, 1984, 60; X. XX XXXX XXXXXX, Il tempo nel rapporto di lavoro, in Giorn. dir. lav. rel. ind., 1986, 460.
43 I. TELCHINI, Il caso Xxxxxx: diritto comunitario e attività calcistica, in Diritto comunitario e degli scambi commerciali, 1996, 335. V. anche X. XXXXXXX, Il rapporto di lavoro nel mondo dello Sport, in Lo sport e il diritto,
X. XXXXXXX (a cura di), Xxxxxx, Xxxxxx ,0000, 21.
E‟ opportuno andare ad analizzare l‟ambito di applicazione della legge n.91/1981 previsto dall‟art.2 della presente legge.
Questo articolo44 individua i soggetti ai quali è destinata la disciplina delle legge. Buona parte della dottrina ha affermato che l‟elenco presente nella norma sia tassativo45, però la maggior parte degli autori ritiene che il legislatore ha inteso fare un elenco solo di quelle figure più significative e conosciute, senza lasciare esclusa l‟estensione della tutela propria del professionista ad altre eventualmente previste o prevedibili dagli ordinamenti federali46.
Per essere qualificati come professionisti, la norma prevede che occorrano tre requisiti:
• Continuità dell‟attività sportiva
• L‟onerosità di essa
• La qualificazione attribuita dalla federazione competente in base alle direttive CONI
In ambito sportivo quindi, l‟onerosità e la continuità dell‟attività svolta, anche se elementi necessari , non risultano essere di per sé sufficienti ad inquadrare il soggetto che svolge quel tipo di attività come professionista. Per far si che ciò accada è necessario che la federazione sportiva di
44 Art. 2 “Ai fini dell’applicazione della presente legge, sono sportivi professionisti gli atleti, gli allenatori, i direttori tecnico-sportivi ed i preparatori atletici, che esercitano l’attività sportiva a titolo oneroso con carattere di continuità nell’ambito delle discipline regolamentate dal CONI, e che conseguono la qualificazione delle federazioni sportive nazionali, secondo le norme emanate dalle federazioni stesse, con l’osservanza delle direttive stabilite dal CONI per la distinzione dell’attività dilettantistica da quella professionistica”
45 X. Xxxxxxxx, Norme in materia di rapporti tra società e sportivi professionisti-Commento all’art.2, in Nuove Leggi civ.. comm. 1982, 563.
46 X. Xxxxx La disciplina del lavoro autonomo e subordinato, cit. 210
competenza intervenga, ponendo il proprio intervento come presupposto legale del contratto tra società ed atleta, ciò costituisce il punto di unione tra l‟ordinamento sportivo e l‟ordinamento statale47.
Questo sistema, venutosi a creare dalla normativa in questione, ha determinato l‟inapplicabilità della L. 91/1981 a tutte quelle discipline sportive le cui federazioni non si sono ancora date una regolamentazione nel settore professionistico 48 e che ancora si attribuiscono natura dilettantistica, nonostante l‟agonismo degli atleti che si dedicano a tempo pieno a determinate discipline sportive.
Dette situazioni hanno così determinato la diffusione del fenomeno del “professionismo di fatto”, che viene richiamato in giurisprudenza dall‟art. 2126 c.c.
La disciplina prevista dalla legge 91/1981 non trova applicazione né nei confronti dei rapporti di lavoro , anche se previsti all‟interno di società sportive, riguardanti attività amministrative ( gestione del personale, segreteria ) o legate alla cura ed alla manutenzione degli impianti ( nei confronti di questi soggetti si costituiranno rapporti di diritto pubblico o privato a seconda dell‟ente cui tali soggetti appartengono ), né in merito ad i rapporti tra i dipendenti delle federazioni e le federazioni stesse, che ai sensi dell‟art. 14 della presente legge dovranno avvalersi del
47 X.Xxxxxxxx, Una legge per lo sport? Il lavoro subordinato, in Foro it. 1981. IV, 304
48 Le Federazioni caratterizzate anche da un settore professionistico sono, a norma della delibera CONI n.469 del 2 marzo 1988: la Federazione Italiana Giuoco Calcio ( F.I.G.C ) in merito alle serie A, B, LegaPro maschile; la Federazione Italiana Pallacanestro ( F.I.P ), quanto alla serie A, LegaDue maschile; la Federazione Ciclistica Italiana ( F.I.C ) in merito alle gare su pista e su strada approvate dalla lega ciclismo; la Federazione Motociclistica Italiana ( F.I.M ) quanto alle gare di velocità ed al motocross; la Federazione Pugilistica Italiana ( F.P.I ); la Federazione Italiana Golf ( F.I.G)
personale CONI costituendo così dei rapporti di carattere pubblico regolati dalla legge.
Le controparti contrattuali, cioè i creditori delle prestazioni fornite dai soggetti previsti a norma dell‟art. 2 , sono le società sportive. La legge si riferisce ad esse all‟interno dell‟art 10, indicandole come le sole che hanno la capacità giuridica per poter stipulare contratti con atleti professionisti. Dette società devono essere costituite in forma di società per azioni o a responsabilità limitata, così come richiesto dalla norma e che, come prevede il secondo comma dell‟art. 10, possono svolgere esclusivamente attività sportive ed attività ad esse connesse o strumentali, destinando una parte degli utili, non inferiore al 10% ,a scuole giovanili di formazione tecnico-sportiva . L‟art. 10 , prima delle riforma introdotta dal Decreto Legge 20 settembre 1996 n.485 emanato in seguito alla Sentenza Xxxxxx de 1995 ( che vedremo più avanti), vietava alle società sportive la possibilità di perseguire ogni tipo di scopo di lucro, divieto che è venuto meno con l‟introduzione dei commi 2 e 3 dell‟art.10.
7. La figura del professionista sportivo e la differenza con il dilettante
Dopo aver analizzato il contenuto e l‟ambito di applicazione della legge, e quindi del rapporto di lavoro, emerge che questo è diretto nei confronti delle società sportive e lo sportivo.
Una parte della dottrina, fa notare che il rapporto coinvolge anche una terza parte, difatti per ogni contratto di lavoro che viene stipulato tra le due parti menzionate in precedenza ci deve essere l‟approvazione da parte della Federazione.
Fermandoci solamente ai primi 2 soggetti, bisogna partire dall‟analizzare la parte forte del rapporto, cioè il Datore di Lavoro, ricoperto nel lavoro sportivo dalle società o associazioni sportive che rivestono un ruolo di assolute protagoniste nell‟ambito dell‟ordinamento sportivo, difatti queste, tramite l‟istituto del tesseramento, permettono lo svolgimento dell‟attività sportiva.
Tra le società noi distinguiamo quelle professionistiche da quelle che invece perseguono un naturale dilettantismo e che si muovo per realizzare puri scopi agonistici.
La prima previsione normativa di determinate forme associative che hanno ad oggetto lo svolgimento dell‟attività sportiva, era contenuta nella legge istitutiva del C.O.N.I. n.426 del 1942. L‟articolo 10 di detta disposizione prevedeva l‟esistenza di società e sezioni sportive che per essere prese in considerazione dall‟ordinamento sportivo nazionale, dovevano essere riconosciute dal C.O.N.I. ed al conseguente assoggettamento alle normative delle rispettive federazione Nazionali.
In tempi più o meno recenti, il titolo terzo del D.P.R. 28 Marzo, n.157 che contiene “nuove norme di attuazione della legge n.426 recante costituzione ed ordinamento C.O.N.I.” ha previsto che:
• Società, associazione ed enti sportivi non hanno scopi di lucro e sono riconosciute dal consiglio nazionale del C.O.N.I. o dalle federazioni sportive nazionale
• Tali organismi associativi sono retti da uno statuto approvato dall‟organo che procede al loro riconoscimento
• Essi sono soggetti all‟ordinamento sportivo ed esercitano le loro attività secondo le norme e le consuetudini sportive
Ora però, la disciplina sull‟ordinamento ed il riconoscimento delle associazioni e delle società sportive, risulta essere contenuta nello statuto del C.O.N.I. modificato a seguito del d.lgs. 23 Luglio 1999, n.242 .
Le associazioni o le società sportive, quali soggetti dell‟ordinamento sportivo sono tenute ad esercitare la loro attività con lealtà sportiva, osservando principi, norme e consuetudini sportive.
Per quanto concerne la L. 91/1981, la disciplina dettata per la società, riguarda solamente quelle considerate PROFESSIONISTICHE, cioè quelle che intendono stipulare contratti con sportivi professionisti, il tutto elencato nell‟art. 10 della seguente legge prevedendo che “ Possono stipulare contratti con atleti professionisti solo società sportive costituite nella forma di società per azioni o società a responsabilità limitata”.
Detto articolo prosegue poi prevedendo un raccordo nella fase costitutiva tra ordinamento statale ed ordinamento sportivo. E‟ previsto infatti che la società deve ottenere l‟affiliazione alla federazione , che l‟atto costitutivo della società deve essere depositato presso l‟ufficio del
registro delle imprese ed infine il tribunale provvede all‟omologazione della società.
Dopo aver accertato l‟adempimento delle condizioni previste dalla legge, il tribunale ordina con decreto, l‟iscrizione della società nel registro ed entro 30 giorni dal decreto, la società sportiva deve depositare l‟atto costitutivo presso la federazione di appartenenza.
L‟affiliazione alla federazione, costituisce il c.d. titolo sportivo, cioè l‟abilitazione a svolgere attività sportiva. L‟affiliazione però può essere anche revocata, nel corso del tempo, dalla federazione sportiva nazionale per gravi infrazioni all‟ordinamento sportivo. La revoca comporta solamente l‟inibizione alla società di poter svolgere attività sportiva, ma anche la perdita della capacità di poter stipulare contratti con atleti professionisti, nonché lo scioglimento della società per la sopravvenuta impossibilità di conseguire l‟oggetto sociale art. 2448 c.c.49
A norma del successivo art. 12, le società sono poi sottoposte all‟approvazione ed ai controlli sulla gestione da parte delle federazioni sportive nazionali cui risultano essere affiliate.
Un‟altra caratteristica che caratterizzava le società sportive all‟epoca dell‟emanazione delle L. 91/1981 era la completa assenza dello scopo di lucro, difatti gli utili non venivano distribuiti tra i soci, ma dovevano essere reinvestiti esclusivamente nell‟esercizio dell‟attività sportiva50.
I legislatore , modificando il comma II dell‟art. 10 tramite il decreto legge n.485 del 1996 poi convertito in Legge 18 novembre 1996, n.586,
49 7 Xxxxxxxx S., La legge n.91 del 1981 e la “emersione” dell‟ordinamento sportivo, in Riv. dir. sport., 1982, 36.
50 Contrariamente a quanto indicato dal nostro diritto comune secondo cui gli utili perseguiti dalle società di capitali, vengono divisi tra i soci, come, espresso da disposizioni di legge: le società commerciali, devono produrre profitti, che poi verranno distribuiti tra i soci
ha legittimato il perseguimento dello scopo di lucro da parte delle società sportive professionistiche, rimanendo però l‟obbligo da parte delle stesse di destinare almeno il 10% degli utili alla promozione del settore giovanile ed alla formazione.
Tra le grandi novità introdotte con la L. 586/1996, vi è la possibilità della quotazione in borse anche delle società sportive come accaduto per Roma, Juventus e Lazio.
In ogni caso, la società sportiva, pur essendo una società atipica, è sottoposta alla disciplina del codice civile e per essa viene utilizzato il modello della società di capitali aventi finalità di natura sportiva.
Vi sono poi, dall‟altra parte, diversi enti e sodalizi sportivi di tipo dilettantistico ed amatoriale, costituite sotto forma di associazioni, alle quali si applica la disciplina del codice civile in materia51.
A fronte della specifica normativa emanata per gli enti professionisti, per quelli dilettantistici si è visto un forte disinteresse da parte del legislatore, nonostante ci fosse un enorme diffusione delle pratiche dilettantistiche.
Passando ora all‟altra parte del contratto, cioè il lavoratore, ed in questo caso si tratta di quelle persone fisiche che realizzano concretamente la prestazione sportiva, cioè gli atleti, veri e propri protagonisti dell‟attività sportiva, ma anche i dirigenti ed i tecnici sportivi che, essendo inquadrati nell‟ambito di società ed associazioni sportive, acquisiscono qualifiche previste dall‟ordinamento sportivo alle quali risulta essere collegata una funzione regolata dalle stesse norme.
Gli atleti risultano essere i veri destinatari della legge 91/1981, ed all‟interno del capo I il legislatore ha indicato la linea discriminante tra dilettantismo e professionismo ( art 2) , individuando poi nel campo del
51 Art. 14-42 del c.c
professionismo la distinzione tra atleta subordinato ed atleta autonomo ( art 3 ) ed infine ha dettato la disciplina del rapporto di lavoro subordinato sportivo ( art 4 ss. ).
Una buona parte della dottrina in materia52, individua la figura dell‟atleta tramite il necessario collegamento al concetto di agonismo programmatico dove si definisce atleta colui che pratica un certo esercizio fisico e che vuole misurarsi con gli altri praticanti di quel medesimo esercizio per risultare vincitore o per consentire la compilazione di una graduatoria dei valori atletici. Per il raggiungimento di tale scopo, occorre che altri “atleti” pratichino quella stessa disciplina sportiva e competano tra loro.
Questo confronto deve svolgersi all‟interno di un‟istituzione che si assuma i compiti di fissare determinate regole dell‟esercizio e delle gare, controllarne l‟applicazione ed organizzare le gare stesse omologandone poi i risultati.
Gli individui che vogliono esercitare attività sportive agonistiche nell‟ambito dei programmi federali nazionali ed internazionali, sono tenuti ad affiliarsi ad una federazione, diventando così soggetti di tale sistema. Avvenuto il tesseramento, saranno a loro volta inquadrati in determinate categorie a cui corrisponderà la capacità di poter partecipare alle competizione secondo determinate regole.
Con il tesseramento l‟atleta acquisisce uno status e diventa titolare di svariati rapporti giuridici che creano reciproci diritti ed obblighi nei confronti degli altri atleti, dell‟associazione sportiva, della federazione nazionale, internazionale e di tutti i soggetti dell‟ordinamento sportivo.
52 Xxxxxxx Xxxxxx Toro Gli ordinamenti sportivi, Milano 1994, 44.
Il complesso degli atleti è comprensivo di svariate differenza, tra cui quella di nostro interesse, professionisti e dilettanti.
Gli statuti ed i regolamenti federali, differenziano la categoria “ATLETI” sulla base di vari criteri. Il principale criterio di distinzione degli atleti è quello che prende in considerazione la disciplina sportiva praticata; altro criterio di differenziazione è quello che distingue gli atleti a seconda del collocamento territoriale; vi è poi il criterio sessuale, cioè quello che differenzia gli atleti in base al loro sesso; il più importante criterio che differenzia gli atleti è infine quello tra professionisti e dilettanti.
Individuare il confine tra quest‟ultime categorie non è facile, anche perché vi sono falsi dilettanti e falsi professionisti, anche se entrambe le categorie sono chiamate a svolgere una prestazione sportiva in senso tecnico che è ugualmente espressione di una volontà rivolta alla vittoria e frutto di una costante preparazione. Vi è, però, una‟apprezzabile diversità quantitativa delle prestazione svolte.
La distinzione tra professionisti e dilettanti, è rimessa alle singole federazioni sportive nazionali, secondo i proprio regolamenti e con l‟osservanza della disciplina del C.O.N.I. Difatti, secondo la disposizione presente nell‟art. 5 del d.p.r. n.157 del 1986, è il Consiglio Nazionale del Comitato Olimpico che fissa e limita i criteri per questa distinzione.
Distinzione che risulta essere puramente formale, dato che i praticanti sportivi , di un certo livello anche di discipline dilettantistiche, svolgono la loro attività in forma continuativa, percependo compensi più o meno elevati.
Il legislatore ha lasciato il compito di precisare questa distinzione agli ordinamenti federali delle singole discipline sportive.
Ritornando però alla L.91/1981, l‟art. 2 qualifica come professionista l‟atleta che esercita l‟attività sportiva a titolo oneroso, con carattere di continuità.
E‟ opinione diffusa 53 , che i caratteri della continuità ed onerosità dell‟attività sportiva, non sono sufficienti a differire lo sportivo professionista ed il dilettante, infatti è necessario il riconoscimento della figura dell‟atleta professionista da parte della federazione competente all‟interno della disciplina considerata.
Questa necessità è stata però criticata dalla dottrina prevalente, denunciando quelle disparità di trattamento che si sono prodotte per quanto riguarda il professionismo di fatto. Così facendo, data la mancanza dell‟intervento qualificatore da parte della rispettiva federazione, continuano ad essere inquadrati come dilettanti atleti che prestano la propria attività a favore di società sportive in modo continuativo ed a titolo oneroso 54 . Per evitare che questi rapporti risultassero privi di tutela, è stato suggerito di fare riferimento, in ogni caso, alla normativa delineata dalla legge n. 91 prescindendo così dal requisito della qualificazione55.
Altri invece ipotizzano il ricorso alla disciplina del diritto comune, facendo notare come al di fuori della disciplina prevista dalla L.91 , restino gli sportivi sostanzialmente o formalmente dilettanti, cioè rispettivamente coloro che svolgono tale attività senza corrispettivo ovvero per puro diletto fisico, nonché quelli che, nonostante vengano
53 Sul punto, si veda Realmonte F., L‟atleta professionista e l‟atleta dilettante, in Riv. dir. sport., 1997, 371.
54 Un esempio possono essere i giocatori di pallavolo
55 Si veda Mercuri L. Sport professionistico, in Noviss. Dig. it., 1987,
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ricompensati in vario modo, non possono essere inquadrati nell‟art. 2 della L. 9156.
La scelta di affidare tale potere di qualificazione alle federazioni tramite l‟emanazione del Decreto Legislativo n. 242 del 1999, trova la sua ragione nel poter evitare un dilatazione dell‟area del professionismo sportivo dove sarebbe poi potuta rientrare ogni attività sportiva svolta dietro compenso con carattere di continuità.
La L. 91 ha in concreto escluso dal suo ambito d‟applicazione tutti i casi del professionismo di fatto: i professionisti di fatto sono quegli atleti inquadrati come dilettanti solo perché la loro federazione di appartenenza non ha provveduto a distinguere dilettanti e professionisti ma che svolgono attività a titolo oneroso e continuativo a favore di società sportive, traendo dalla stessa l‟unica fonte di sostentamento.
Quindi possiamo meglio capire come la sussistenza dei requisiti della continuità e dell‟onerosità non è sufficiente di per sé a determinare con certezza la natura professionistica o dilettantistica dell‟attività sportiva praticata dall‟atleta dunque, ma rileva unicamente per la configurabilità o meno del rapporto di lavoro tra sportivo e società d‟appartenenza57
56 Si veda Zoli C. Rapporto di lavoro sportivo professionistico, in Giust. civ., 1985, I, 2088.
57 Com’è stato giustamente sottolineato ( vedi E. XXXXXXXX XXXXXXXX, Il rapporto di lavoro nel diritto sportivo, in Dig. Disc. Priv., 2003, 757), il fatto grave in materia di distinzione tra professionismo e dilettantismo è costituita dal fatto che il C.O.N.I. non ha mai emanato direttive al riguardo, limitandosi soltanto a deliberare nella Circolare del 22 marzo 1988, n. 469, che “l’attività sportiva professionistica è quella definita o inquadrata come tale dalle norme statutarie delle federazioni sportive nazionali, approvate dal C.O.N.I., in armonia con l’ordinamento delle rispettive federazioni internazionali interessate”. Inoltre, nel noto caso Xxxxxx – sul quale ci soffermeremo nel seguito della trattazione – la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha precisato come essa consideri da un lato, non dilettante, e quindi professionista, ogni calciatore che abbia percepito indennità superiori all’importo delle spese da lui sostenute per l’esercizio della sua attività, e come, dall’altro, debba essere ritenuta
economica, ai sensi dell’articolo 2 del Trattato dell’Unione Europea, l’attività svolta dai calciatori professionisti o che comunque effettuano prestazioni di servizi retribuite, a prescindere dalla qualità di imprenditore del datore di lavoro (Corte di Giustizia delle Comunità Europee, 15 dicembre 1995, causa c. 415/93, in Riv. Dir. Sport., 1996, 541, con nota di
X. XXXXXX, La sentenza Xxxxxx: summum ius, summa iuris?). Rimarrebbe dunque invalicabile solo il limite dello sport meramente amatoriale, per il quale si esclude l’applicabilità delle norme comunitarie, difettando, appunto, il carattere economico dell’attività stessa ( vedi F. AGNINO, Statuti sportivi discriminatori e attività sportiva: quale futuro?, in Foro it., 2002, 898). Se si procede infatti all’esame delle modalità di svolgimento delle prestazioni sportive ai massimi livelli del calcio dilettantistico, al di là del contenuto degli eventuali accordi scritti intervenuti tra le parti, i parametri di fatto che rinvengono ( ad esempio la sottoposizione alle direttive societarie, la continuità della prestazione, lo stabile inserimento nell’organizzazione, la soggezione a possibili sanzioni disciplinari) sono tipici del rapporto di lavoro subordinato, con la conseguenza che, paradossalmente, le prestazioni dei dilettanti possono beneficiare di una tutela più intensa di quella prevista per un atleta professionista. Un notevole passo in avanti in materia di dilettantismo è stato fatto tuttavia dalla F.I.G.C. con il Comunicato Ufficiale 14 maggio 2002, n. 34/A: esso oltre a modificare l’istituto del cosiddetto vincolo sportivo a vita, prevede la possibilità per i calciatori non professionisti che disputano i campionati organizzati dalla Lega Pro, di stipulare accordi economici annuali relativi alle proprie prestazioni sportive. Se si considera che un calciatore di serie B, con un regolare contratto di lavoro, può percepire una retribuzione annuale netta molto minore, è difficile non inquadrare l’accordo economico di cui al comunicato, come una forma di lavoro retribuito. Sembrerebbe quindi che la distinzione tra professionismo e dilettantismo nella prestazione sportiva si mostri priva di ogni rilievo, non comprendendosi per quale via potrebbe mai legittimarsi una discriminazione del dilettante.
8. Autonomia e subordinazione dello sportivo professionista
Dopo avere limitato l‟ambito di applicazione al professionismo sportivo della L.91 all‟art. 2, quest‟ultima stabilisce nel successivo art. 3:
- Oggetto del contratto di lavoro subordinato risulta essere la prestazione a titolo oneroso dell‟atleta
- La stessa prestazione però, può costituire anche oggetto di contratto di lavoro autonomo, ma solo nel caso in cui ricorrano determinati requisiti che sono:
a) L‟attività deve essere svolta nell‟ambito di una singola manifestazione o di più manifestazioni tra loro collegate in un breve periodo di tempo;
b) L‟atleta non sia contrattualmente vincolato per quanto riguarda la frequenza alle sedute di allenamento e di preparazione;
c) Nonostante la prestazione abbia carattere continuativo, non deve essere superiore alle otto ore settimanali, oppure cinque giorni ogni mese, ovvero 30 giorni annuali.
Questa norma deve essere analizzata alla luce del primo e del secondo comma dell‟articolo 3.
Il primo comma stabilisce per „atleta professionista, una presunzione assoluta di rapporto di lavoro subordinato nei confronti della società di
appartenenza, destinata a venir meno in quei casi previsti dal secondo comma.
Quindi solamente l‟attività sportiva svolta dall‟atleta in maniera continuativa, onerosa ed in favore di una società di capitali ( art. 10 L. 91 ) sarà considerata di natura subordinata , venendo ad essa applicate le norme delle L. 91/198158.
Detta norma non nomina gli altri soggetti presenti nell‟art. 2, ossia gli allenatori, i direttori tecnico-sportivi e preparatori atletici. Il legislatore, per questi soggetti, non ha voluto estendere la presunzione valida per l‟atleta, ritenendo che per questi soggetti, la subordinazione del rapporto deve essere verificata caso per caso , ma con i criteri previsti dal diritto comune del lavoro 59. Dopo un‟attenta verifica, si deciderà se poter
58 5Per una delimitazione non restrittiva del campo d’azione della legge n. 91, cfr. M. DE CRISTOFARO, Xxxxx 23 marzo 1981 norme in materia di rapporti tra società e sportivi professionisti - Commentario, in Nuove leggi civ. comm., 1982, 577, il quale dopo aver premesso che non assume rilevanza ai fini dell’ambito applicativo della normativa speciale la circostanza che alcune disposizioni della legge 91 facciano riferimento solo agli atleti dal momento che soltanto questi possono essere i destinatari di tali disposizioni, ha poi osservato che la ragione della specialità del rapporto di lavoro sportivo e quindi della sua differenziata disciplina va ravvisata non tanto nella natura dell’attività oggetto dell’obbligazione e nemmeno nel peculiare atteggiarsi della subordinazione che soltanto per l’atleta può esser inteso come derogatorio dell’articolo 2094 c.c., ma piuttosto nella sua connessione con le peculiari esigenze dell’organizzazione in cui viene inserito, entrandone a far parte come elemento costitutivo.
59 Così D’HARMANT XXXXXXXX, Il rapporto di lavoro subordinato e autonomo nelle società sportive, in Riv. Dir. Sport., 1986, 7; X. XXXXXXXX, Norme in materia di rapporti tra società e sportivi professionisti – Commentario, in Nuove leggi civ. comm., 1982, 568. Inoltre occorre ricordare la Cassazione 28 dicembre 1996, n. 11540, disponibile in Giust. Civ. Mass., 1996, 1799, secondo cui “la legge 91/81, in materia di rapporti tra società e sportivi professionisti, detta regole per la qualificazione del rapporto di lavoro dell’atleta professionista, stabilendo specificamente all’articolo 3 i presupposti della fattispecie in cui la prestazione pattuita a titolo oneroso costituisce oggetto di contratto di lavoro subordinato; per le altre figure di lavoratori sportivi contemplate nell’articolo 2 (allenatori, direttori tecnico-sportivi, preparatori atletici) la sussistenza o meno del
applicare la normativa prevista dalla L.91, nel caso di natura subordinata del rapporto, oppure la normativa comune, nel caso in cui la natura del rapporto risulti essere autonoma.
Nonostante la disciplina del primo comma, la legge sul professionismo, non esclude che l‟attività dell‟atleta professionista svolta nei confronti della società, può rivestire i caratteri della prestazione di lavoro autonomo.
La prestazione sportiva a titolo oneroso come detto, può costituire rapporto di natura autonoma, escludendo così l‟applicabilità della L.91 quando ricorra almeno uno dei requisiti tassativi60 previsti dal secondo comma dell‟articolo 3. Infatti la presenza di uno solo di questi, risulta essere sufficiente ad integrare il contratto di lavoro autonomo ed a escludere il lavoro subordinato altrimenti configurabile61.
La prestazione per potersi considerare subordinata, deve avere il carattere della non occasionalità ed il contratto deve avere per oggetto un prestazione che sia estesa nel tempo e non riguardi il singolo evento sportivo. Il fatto di svolgere l‟attività sportiva per una singola manifestazione o più manifestazioni collegate tra loro in un breve periodo, difetta di due presupposti: l‟inserimento nella struttura organizzativa predisposta dal datore di lavoro e l‟eterodirezione della prestazione.
Questi due presupposti sono individuati dalla dottrina e dalla giurisprudenza come quei caratteri tipici della subordinazione.
vincolo di subordinazione deve esser accertata di volta in volta nel caso concreto, in applicazione dei criteri forniti dal diritto comune del lavoro”
60 X. XXXXXXX, Lo sport e il diritto, 2004, Jovene Editore, Napoli, 23.
00 X. XXXXXXXXXX, Xx rapporto di lavoro sportivo, 2004, Xxxxxxx Editore, Milano, 31.
Un problema può essere visto nella valutazione della brevità temporale della manifestazione, dato che questo potrebbe dar luogo alla fattispecie di lavoro autonomo. Si è ritenuto , infatti, che la manifestazione sportiva per dar vita ad un rapporto di lavoro subordinato, deve consistere in un evento completo ed unitario rispetto al risultato sportivo da conseguire, anche se ripartito in una molteplicità o successione di gare in uno o più giorni. In merito la Corte di Cassazione ha avuto modo di affermare più volte la natura di lavoro autonomo delle prestazione atletica svolta dal calciatore in favore della propria squadra nazionale, non ritenendo la possibile configurazione in tale ipotesi, di un distacco o comando della società di appartenenza presso la federazione, ed escludendo il venir meno della natura lavorativa della prestazione sportiva in tale contesto62. Il secondo requisito rimpiazza al venir meno del coordinamento spazio- temporale come tratto distintivo del lavoro subordinato sportivo, imponendo così, nei casi in cui l‟atleta si trovi in mancanza di un obbligo contrattuale di partecipare a sedute di allenamento e di preparazione, la ricorrenza di un rapporto di lavoro autonomo63.
Quanto fin qui detto , va letto unitamente con l‟art. 4 comma 1, il quale stabilisce che nella stipulazione del contratto tra società e sportivo
62 Cassazione 14 luglio 1999, n. 5866, in Xxxx xx., xxxx Xxxxx, x. 00;
Cassazione 20 aprile 1990, n. 3303, in Dir. Lav., 1992, II, 14 con nota di X. XXXXXXX, Problemi di qualificazione della prestazione atletica degli “azzurri”, il quale propende per l’inquadramento della prestazione nel quadro del lavoro gratuito; Cassazione 20 aprile 1990, in Foro it., 1990, I, 3169, con nota di X. XXXXXXX X’XXXX e X. XXXXXX, Sul rapporto tra Figc e calciatori delle squadre nazionali, secondo i quali la fattispecie in oggetto si articola in due momenti interdipendenti ossia quello della sospensione del rapporto di lavoro con la società di appartenenza e quello della costituzione di un nuovo rapporto di lavoro con la Figc. In dottrina X. XXXXXXXX, Autonomia collettiva e diritto sportivo, in Dir. Lav., 1988, 287, ritiene invece che la prestazione dei c.d. nazionali sia da configurare come di natura subordinata con comando presso le Federazioni
63 X. XXXXXXX, Lo sport e il diritto, Jovene editore, Napoli, 2004, 24
professionista, deve essere menzionata la clausola gravante sull‟atleta, del rispetto delle istruzioni tecniche e le prescrizioni impartite per il conseguimento degli obiettivi agonistici, tra i quali l‟obbligo di partecipare agli allenamenti.
La giurisprudenza di merito, però ha criticato questa impostazione, riconoscendo in ogni caso la natura subordinato e non autonoma del rapporto di lavoro che lega un calciatore ad un‟associazione sportiva qualora il relativo contratto, pur mancante della relativa clausola in ordine all‟attività preparatoria e di allenamento, abbia in sostanza recepito il contratto tipo predisposto dalla F.I.G.C.64
L‟ultimo requisito previsto all‟art. 3 stabilisce infine un limite settimanale, mensile ed annuale, al di sotto del quale è esclusa la tutela prevista per il lavoratore subordinato: ciò avviene, su considerazione del legislatore, che il rapporto di lavoro che s‟instaura tra le parti non abbia un peso predominante nella vita dell‟atleta al di sotto di tale limite. Si tratta di un requisito che può destare problemi, vista la precisa indicazione nella norma, degli elementi utili per la definizione del minimo di durata della prestazione nel tempo affinché risulti applicabile la tutela del contratto di lavoro sportivo subordinato. Problemi poi potrebbero scaturire dall‟applicazione pratica del criterio.
Occorre così determinare se, nel computo delle ora o dei giorni indicati nella lettera c) , rientri il tempo impiegato per la preparazione degli allenamenti: la risposta è affermativa, visto che questa attività fa parte delle prestazione sportiva intesa come attività lavorativa richiesta all‟atleta e ne costituisce il completamento.
64 Cfr. Pret. Treviso, 30 ottobre 1991, n. 174, in Riv. Dir. Sport, 1991,
360
Per quanto riguarda il contenuto normativo di questa disposizione, il problema scaturisce nel momento in cui il contratto di lavora tra atleta e società non duri una settimana , un mese o un anno, ma venga a collocarsi nelle fasi intermedie di questi periodi, dato che la stessa disposizione, se da un lato assegna ad ognuno di essi un limite proprio, dall‟altro indica parametri temporali differenti , le ore per le settimane, i giorni per il mese e l‟anno. Il calcolo quindi va eseguito in riferimento a quei periodi durante i quali la prestazione venga a prolungarsi , senza la possibilità di sovrapporre il calcolo per settimane nell‟arco dei mesi e dell‟anno , e quello per mesi nell‟arco dell‟anno. In questo modo così, si può spiegare l‟adozione del sistema di calcolo ad ore e a giorni affermando che, in quest‟ultimo caso, sia indifferente determinare di quante ore sia formata la giornata lavorativa di un atleta, essendo sufficiente stabilire l‟impegno lavorativo in cinque e trenta giorni, risultando indipendente il numero di ore della prestazione di ciascun giorno65
65 X. XXXXXXXX, Legge 23 marzo 1981, n. 91. Norme in materia di rapporti fra società e sportivi professionisti, in Le nuove leggi civ. comm., sostiene al contrario che il riferimento al giorno corrisponde a quello delle ore che lo compongono, equivalente a otto alla stregua dell’articolo 1 della legge 17 aprile 1925, n. 473, norma di carattere generale e di conseguenza applicabile anche alla disciplina speciale del lavoro sportivo, per cui i limiti devono considerarsi superati quando le ore di lavoro prestate, ragguagliate al giorno, superano i giorni stabiliti dalla lettera c)
9. Il contratto di lavoro sportivo subordinato ( articolo 4 della legge n.91 del 1981 )
Gli elementi caratteristici del rapporto di lavoro sportivo subordinato, sono indicati all‟interno dell‟art. 4 delle Legge n.91/1981, che detta un‟articolata disciplina , con punti divergenti da quella del comune rapporto di lavoro subordinato, partendo dalla premessa che l‟attività lavorativa degli sportivi professionisti presenta natura e caratteristiche proprie, tanto da differenziarla da ogni restante attività umana.
Sotto il profilo specificamente giuslavoristico, l‟art. 4 risulta essere la norma centrale della legge: all‟interno dei suoi 9 commi, questo articolo, racchiude la disciplina delle forma e del contenuto del contratto di lavoro sportivo subordinato stipulato tra l‟atleta professionista e la società sportiva.
Bisognerà quindi, analizzare l‟art. 466.
66 L’articolo 4 stabilisce:
1. Il rapporto di prestazione a titolo oneroso si costituisce mediante assunzione diretta e con la stipulazione di un contratto in forma scritta, a pena di nullità, tra lo sportivo e la società destinataria delle prestazioni sportive, secondo il contratto tipo predisposto, conformemente all’accordo stipulato, ogni tre anni dalla Federazione Sportiva Nazionale e dei rappresentanti delle categorie interessate.
2. La società ha l’obbligo di depositare il contratto presso la Federazione Sportiva Nazionale per l’approvazione.
Ai sensi del primo comma, il rapporto di prestazione sportiva a titolo oneroso inter partes, si costituisce mediante assunzione diretta. La norma non fa altro che ribadire il principio presente anche all‟interno dell‟articolo 3 , per quanto riguarda l‟incompatibilità tra rapporto di lavoro subordinato e gratuità del rapporto stesso; mentre dall‟altro sancisce l‟inapplicabilità al rapporto di lavoro sportivo degli articoli 33 e 34 dello Statuto dei Lavoratori67: l‟atleta professionista potrà negoziare
3. Le eventuali clausole contenenti deroghe peggiorative sono sostituite di diritto da quelle del contratto tipo.
4. Nel contratto individuale dovrà essere prevista la clausola contenente l’obbligo dello sportivo al rispetto delle istruzioni tecniche e delle prescrizioni impartite per il conseguimento degli scopi agonistici.
5. Nello stesso contratto potrà essere prevista una clausola compromissoria con la quale le controversie concernenti l’attuazione del contratto e insorte fra la società sportiva e lo sportivo sono deferite a un collegio arbitrale. La stessa clausola dovrà contenere la nomina degli arbitri oppure stabilire il numero degli arbitri e il modo di nominarli.
6. Il contratto non può contenere clausole di non concorrenza o, comunque, limitative della libertà professionale dello sportivo per il periodo successivo alla risoluzione del contratto stesso né può essere integrato, durante lo svolgimento del rapporto, con tali pattuizioni.
7. Le Federazioni Sportive Nazionali possono prevedere la costituzione di un fondo gestito da rappresentanti delle società e degli sportivi per la corresponsione delle indennità di anzianità al termine dell’attività sportiva a norma dell’articolo 2123 del codice civile.
8. Ai contratti di cui al presente articolo non si applicano comunque le norme contenute negli articoli 4, 5, 13, 18, 33, 34 della legge 20 maggio 1970, n. 300 e negli articoli 1, 2, 3, 5, 6, 7, 8, della legge 15 luglio 1996, n. 604. Ai contratti di lavoro a termine non si applicano le norme della legge 18 aprile 1962, n. 230.
9. L’articolo 7 della legge 20 maggio 1970, n. 300 non si applica alle sanzioni disciplinari irrogate dalle Federazioni Sportive Nazionali.
67 Art. 33 Statuto dei lavoratori COLLOCAMENTO : La commissione per il collocamento, di cui all'art. 26 della legge 29 aprile 1949, n. 264, è costituita obbligatoriamente presso le sezioni zonali, comunali e frazionali degli Uffici provinciali del lavoro e della massima occupazione, quando ne facciano richiesta le organizzazioni sindacali dei lavoratori più rappresentative.
Alla nomina della commissione provvede il direttore dell'Ufficio provinciale del lavoro e della massima occupazione, il quale, nel richiedere la designazione dei rappresentanti dei lavoratori e dei datori di lavoro, tiene conto del grado di rappresentatività delle organizzazioni sindacali e assegna loro un termine di 15 giorni, decorso il quale provvede d'ufficio. La commissione è presieduta dal dirigente della sezione zonale, comunale, frazionale, ovvero da un suo delegato, e delibera a maggioranza dei
presenti, in caso di parità prevale il voto del presidente. La commissione ha il compito di stabilire e di aggiornare periodicamente la graduatoria delle precedenze per l'avviamento al lavoro, secondo i criteri di cui al quarto comma dell'art. 15 della legge 29 aprile 1949, n. 264. Salvo il caso nel quale sia ammessa la richiesta nominativa, la sezione di collocamento, nella scelta del lavoratore da avviare al lavoro, deve uniformarsi alla graduatoria di cui al comma precedente, che deve essere esposta al pubblico presso la sezione medesima e deve essere aggiornata ad ogni chiusura dell'ufficio con la indicazione degli avviati. Devono altresì essere esposte al pubblico le richieste numeriche che pervengono dalle ditte. La commissione ha anche il compito di rilasciare il nulla osta per l'avviamento al lavoro ad accoglimento di richieste nominative o di quelle di ogni altro tipo che siano disposte dalle leggi o dai contratti di lavoro. Nei casi di motivata urgenza, l'avviamento è provvisoriamente autorizzato dalla sezione di collocamento e deve essere convalidato dalla commissione di cui al primo comma del presente articolo entro dieci giorni. Dei dinieghi di avviamento al lavoro per richiesta nominativa deve essere data motivazione scritta su apposito verbale in duplice copia, una da tenere presso la sezione di collocamento e l'altra presso il direttore dell'Ufficio provinciale del lavoro. Tale motivazione scritta deve essere immediatamente trasmessa al datore di lavoro richiedente. Nel caso in cui la commissione neghi la convalida ovvero non si pronunci entro venti giorni dalla data della comunicazione di avviamento, gli interessati possono inoltrare ricorso al direttore dell'Ufficio provinciale del lavoro, il quale decide in via definitiva, su conforme parere della commissione di cui all'art. 25 della legge 29 aprile 1949, n. 264. I turni di lavoro di cui all'art. 16 della legge 29 aprile 1949, n. 264, sono stabiliti dalla commissione e in nessun caso possono essere modificati dalla sezione.
Il direttore dell'Ufficio provinciale del lavoro annulla d'ufficio i provvedimenti di avviamento e di diniego di avviamento al lavoro in contrasto con le disposizioni di legge. Contro le decisioni del direttore dell'Ufficio provinciale del lavoro è ammesso ricorso al Ministro per il lavoro e la previdenza sociale.
Per il passaggio del lavoratore dall'azienda nella quale è occupato ad un'altra occorre il nulla osta della sezione di collocamento competente.
Ai datori di lavoro che non assumono i lavoratori per il tramite degli uffici di collocamento, sono applicate le sanzioni previste dall'art. 38 della presente legge. Le norme contenute nella legge 29 aprile 1949, n. 264, rimangono in vigore in quanto non modificate dalla presente legge;
ART. 34 Statuto dei lavoratori, RICHIESTE NOMINATIVE DI MANODOPERA: A decorrere dal novantesimo giorno all'entrata in vigore della presente legge, le richieste, nominative di manodopera da avviare al lavoro sono ammesse esclusivamente per i componenti del nucleo familiare del datore di lavoro, per i lavoratori di
direttamente, o a mezzo del suo procuratore ( dal 1° aprile 2015 è scomparsa la figura dell‟agente sportivo, ed è stata introdotta quella dell‟intermediario sportivo ) , la stipulazione del contratto con la società sportiva.
La seconda parte del primo comma ed il secondo comma , dell‟art. 4 , stabiliscono i requisiti formali che il contratto di lavoro sportivo degli atleti professionisti deve contenere per essere così considerato valido. Deve quindi essere stipulato in forma scritta, pena la nullità dello stesso, conforme all‟accordo stipulato dalla federazione sportiva e dei rappresentanti delle categorie interessate ed infine deve essere depositato presso la federazione competente per essere approvato.
La forma scritta è richiesta ab substantiam. A differenza di quanto accade per i contratti di lavoro subordinato ordinari, rispetto ai quali opera il principio generale della libertà di forma, per la costituzione del rapporto di lavoro sportivo professionistico il legislatore ha imposto espressamente la forma scritta68. La ragione della previsione di questo requisito formale risulta duplice. La forma scritta non viene richiesta solamente per tutelare al meglio il lavoratore, ma anche per poter soddisfare le esigenze dell‟ordinamento sportivo, per agevolare il controllo della Federazione sull‟operato delle singole società ed anche
concetto e per gli appartenenti a ristrette categorie di lavoratori altamente specializzati. da stabilirsi con decreto del Ministro per il lavoro e la previdenza sociale, sentita la commissione centrale di cui alla legge 29 aprile 1949, n. 264.
68 Si ricorda che nella disciplina generale del contratto di lavoro subordinato la forma scritta ad substantiam è richiesta soltanto per il patto di prova, per il contratto a termine, per il contratto di somministrazione, per il contratto di formazione e lavoro, per il contratto d’inserimento e per quello di arruolamento marittimo
per poter garantire una maggior certezza e velocità per quanto riguarda la risoluzione di controversie nascenti tra atleti e sodalizi sportivi69.
L‟omissione della forma scritta, potrebbe far sembrare che il contratto stipulato in qualsiasi altre forma tra calciatore e la società destinataria delle sue prestazioni debba ritenersi nullo.
La Suprema Corte di Cassazione è tuttavia intervenuta sulla questione con due sentenze ravvicinate70, stabilendo che la nullità del contratto deve essere comminata sia per carenza della forma scritta, ma anche per altre violazioni dell‟art.4 . Bisogna ritenere quindi che, il contratto di lavoro sportivo , nei casi in cui non venga stipulato secondo il contratto tipo, ovvero conforme all‟accordo collettivo e quando non sia depositato presso la competente Federazione, risulti essere viziato da nullità.
Altro requisito formale richiesto per la valida costituzione del rapporto di lavoro sportivo professionistico, risulta essere il deposito presso la Federazione sportiva d‟appartenenza per poter essere approvato. Questa norma deve essere letto in combinato con l‟art. 12 della legge 91/198171. Il deposito, che deve essere effettuato dalla società, e la relativa
69 X. XXXXXX, La disciplina del lavoro sportivo autonomo e subordinato, in Giust. Civ., 1993, II, 215.
70 Cfr. Cass. Civ., 4 marzo 1999, n. 1855, in Giust. Civ., 1999, I, 1611, che ha affermato che l’iter formativo del contratto, dalla stipula all’approvazione federale, costituisce “una fattispecie formale complessa a formazione progressiva”; Cass. Civ., 12 ottobre 1999, n. 11462, in Riv. Dir. Sport., 1999, 530, che statuisce invece che l’approvazione federale rappresenta una condicio iuris del contratto e che, pertanto, il contratto privo di approvazione non è nullo ma solo incapace di produrre effetti: quindi a parere della Corte sarebbe possibile un’approvazione successiva con effetti sananti.
71 Esso stabilisce: “Al solo scopo di garantire il regolare svolgimento dei campionati sportivi, le società di cui all’articolo 10 sono sottoposte, al fine di verificarne l’equilibrio finanziario, ai controlli e ai conseguenti provvedimenti stabiliti dalle Federazioni Sportive, per delega del C.O.N.I., secondo modalità e principi da questo approvati”
approvazione del contratto, hanno funzione di controllo tanto di legittimità che di merito.
Il comma 3 dell‟articolo 4, a tutela della conformità del contratto individuale al contratto tipo, prevede la sostituzione delle clausole peggiorative del contratto individuale con quelle del contratto tipo. Questa previsione richiama quella disciplina codicistica stabilita dall‟articolo 2007 comma 2 del c.c. per i contratti di lavoro subordinato, svolgendo anche la funzione di proteggere la parte contrattualmente più debole che potrebbe essere indotta a sottoscrivere clausole peggiorative. Nel silenzio della legge, è ritenuto che sia consentito poter introdurre , nel contratto individuale, delle clausole migliorative rispetto a quelle del contratto tipo, a favore del lavoratore sportivo 72 . Il quarto comma dell‟articolo 4 impone poi un contenuto obbligatorio ex lege al contratto di lavoro sportivo: stabilendo la necessità, per quanto riguarda le parti, d‟inserire all‟interno del contratto individuale, una clausola che vincoli il professionista al rispetto delle istruzioni tecniche e delle prescrizioni impartite dalla società, nonché di ciò che viene richiamato negli accordi collettivi di settore e dai regolamenti della federazione nei cui confronti, il tesserato, è vincolato da un rapporto associativo di affiliazione. Questa previsione, richiamo l‟obbligo previsto in capo al prestatore di lavoro, di sottostare alle direttive datoriali dell‟art. 2094 c.c. Anche se non previsto espressamente dalla L.91 , va ricordato poi che , la società ha l‟obbligo di consentire all‟atleta, la partecipazione ad allenamenti ed alla preparazione atletica. Siffatto obbligo, che corrisponde ad un diritto per l‟atleta, è riconosciuto sia dalla giurisprudenza che dagli accordi collettivi e dai contratti tipo, ma solo per quanto riguarda gli allenamenti,
72 X. XXXXXX, op. cit, 215
mentre l‟atleta non potrà usufruire di un vero e proprio diritto di partecipazione alle gare73.
Il successivo comma 5 autorizza la possibilità d‟inserire , all‟interno del contratto di lavoro, una clausola compromissoria che sia diretta a deferire a un collegio arbitrale eventuali controversie che possano scaturire, tra l‟atleta e la società sportiva, che riguardino l‟attuazione del contratto. La clausola, nel caso in cui sia apposta, dovrà poi contenere il numero e le modalità di nomina degli arbitri. Questa è una clausola facoltativa, ciò vuol dire che spetta alle parti se inserirla o meno nel contratto. Spesso la facoltatività di questa norma viene elusa attraverso l‟introduzione di essa nei contratti collettivi, ovvero con la previsione nel contratto individuale dell‟obbligo delle parti di dover rispettare le norme regolamentari della Federazione competente, ed in queste norme è sempre contenuta una generale clausola compromissoria che gli associato s‟impegnano a rispettare, pena l‟esclusione dalla Federazione medesima.
Per quanto riguardo l‟ambito calcistico, l‟articolo 21 dell‟Accordo Collettivo stipulato tra F.I.G.C., L.N.P.A, e A.I.C, prevede espressamente che l‟arbitrato abbia natura irrituale, disponendo che il collegio si pronuncerà in modo irrituale su ogni controversia ad esso devoluta.
73 Si tratta di un diritto riconosciuto invece in via indiretta dall’articolo 15 del Regolamento F.I.F.A. Status e trasferimento dei calciatori, che prevede la c.d. risolvibilità del contratto per giusta causa sportiva: in particolare esso stabilisce che il calciatore ha diritto di chiedere la risoluzione del contratto qualora non abbia preso parte nel corso della stagione sportiva ad almeno il 10% delle gare ufficiali disputate dalla propria squadra. Si ricorda tuttavia che attualmente tale istituto non risulta essere stato ancora recepito dal nostro ordinamento sportivo.
Alla specialità del rapporto di lavoro sportivo si allaccia il divieto previsto poi dal comma 6 di poter inserire nel contratto di lavoro clausole di non concorrenza o limitative della libertà contrattuale dello sportivo, per il periodo successivo alla risoluzione del contratto.
La ragione di questa norma è evidente: non si vuole limitare la mobilità dei professionista, visto che l‟attività sportiva ha come uno dei suoi elementi principali la concorrenza. La lettura di questa norma , vista come una non limitazione della circolarità degli sportivi professionisti, risulta avere maggior valore vista la previsione dell‟art. 16 della legge sul professionismo sportivo che ha così sancito l‟abolizione del vincolo sportivo, e dell‟articolo 1 della stessa, stabilendo il principio del libero esercizio dell‟attività sportiva professionistica74.
Il comma 7 dell‟art. 4 prevede la facoltà per le singole Federazioni di costituire un fondo, a norma dell‟art. 2123 c.c., gestito da rappresentanti delle società e degli sportivi, per la corresponsione di un‟indennità di anzianità al termine dell‟attività sportiva. Bisogna ricordare però, che prima dell‟entrata in vigore della l.91/81, la giurisprudenza si era pronunciata sul tema negando ai calciatori il diritto a ricevere tale indennità di anzianità, vista l‟atipicità del rapporto di lavoro sportivo75.
Tutt‟oggi però, si discuta su cosa il legislatore abbia voluto intendere con la previsione presente nel comma 7.
Difatti si è osservato che , la norma così formulata è ambigua visto l‟utilizzo dell‟espressione “termine dell‟attività sportiva”, anziché di
74 X. XXXXXXXXXX, Il contratto di lavoro sportivo professionistico, in Lineamenti di diritto sportivo, a cura di X. XXXXXXXXXX, G. M. XXXXXX, X. XXXXXXXXXXXXX, Milano, 2008, Xxxxxxx Editore, 163
75 Cfr. Pret. Napoli, 6 febbraio 1980, in Riv. Dir. Sport., 1980, 362, che pur riconoscendo al rapporto società/calciatore la natura di lavoro subordinato, ne ha altresì dichiarato l’atipicità, negando in particolare ai calciatori il diritto all’indennità di anzianità.
“termine di rapporto” e in seguito al riferimento all‟articolo 2121 c.c. che riguarda le forme di previdenza, essa risulta essere riferita ai fondi di previdenza piuttosto che all‟indennità di anzianità cui si sostituisce 76. Questo uso improprio della terminologia da parte del legislatore, lascia impregiudicato il problema dell‟applicazione della normativa comune sul tipo d‟indennità, ossia trattamento di fine rapporto. La dottrina si è divisa sul punto: un primo indirizzo ritiene che, nel lavoro sportivo l‟indennità di anzianità degraderebbe al rango d‟indennità di fine carriera e potrà essere riscossa solo se è presente un fondo istituito presso la competente Federazione77.
Secondo altri autori invece, lo sportivo nel caso di costituzione del fondo, avrà diritto di ricevere l‟indennità al termine della carriera; nel caso in cui il fondo manchi invece, potrà rivolgere la sua richiesta alla società di cui ha fatto parte, al termine di ciascun rapporto di lavoro, ai sensi dell‟art. 9 della legge n.604 1996, che non figura tra quelle norme che sono dichiarate inapplicabile al rapporto di lavoro sportivo dal comma 8 dell‟art. 4 della l. n.91.78.
Come previsto poi, nell‟Accordo Collettivo , all‟art. 20 è prevista la costituzione di un fondo di accantonamento per l‟indennità di fine carriera presso la F.I.G.C. Questo fondo prevede che ogni società è tenuta a versare un contributo a suo carico pari al 6,25% della retribuzione annua del professionista ed un contributo a carico del
76 Cfr. X. XXXXXXXXXX, L’ordinamento sportivo nella giurisprudenza, Milano, 2005, 342
77 Cfr. X. XXXXXXXXX, L’attività sportiva professionistica: disciplina giuridica delle prestazioni degli atleti e degli sportivi professionisti, in Dir. Lav., 1982, I, 29.
78 Vedi X. XXXXXX, La disciplina del lavoro autonomo e subordinato,op. cit., 219 e X. XXXXXXXX, Una legge per lo sport? Il lavoro subordinato, op. cit, 305
professionista pari all‟1,25% della retribuzione stessa, nei limiti del massimale previsto per i calciatori dagli enti previdenziali.
Gli ultimi due commi presenti nell‟art. 4 stabiliscono l‟inapplicabilità al rapporto di lavoro professionistico, di alcune norme che disciplinano il rapporto di lavoro subordinato ordinario. Sono previsioni che rilevano per configurare il rapporto di lavoro sportivo come un rapporto di lavoro speciale:questo, anche se presenta gli elementi essenziali del rapporto di lavoro subordinato, è sottoposto ad una disciplina differente per alcuni aspetti da quella comune.
Al rapporto di lavoro non si applicano gli articoli 4,5,13,18,33 e 34 dello Statuto dei Lavoratori79, gli articoli 1,2,3,5,6,7 e della legge 604 del 199680, ed infine non si applica l‟intera legge n.230 del 1962 relativa ai contratti di lavoro a termine ( legge sostituita con il d.lgs. 6 settembre 2001, n.368)81.
L‟esclusione dell‟art. 4 dello Statuto dei Lavoratori, è motivata dal fatto che , l‟attività sportiva risulta essere caratterizzata da una diffusione
79 L’articolo 4 vieta l’uso di impianti audiovisivi per il controllo dell’attività lavorativa; l’articolo 5 vieta al datore di lavoro di compiere accertamenti sanitari sul lavoratore in caso di malattia o infortunio sul lavoro; l’articolo 13 prevede che il lavoratore debba essere adibito alle mansioni per cui è stato assunto, ovvero a mansioni equivalenti; l’articolo 18 disciplina il diritto alla reintegrazione nel posto di lavoro; gli articoli 33 e
34 regolano infine l’assunzione dei lavoratori mediante liste di collocamento
80L’articolo 1 tratta della giusta causa e del giustificato motivo del licenziamento; l’articolo 2 stabilisce le modalità con le quali viene effettuato il licenziamento; l’articolo 3 tratta della causa del licenziamento; l’articolo 5 dell’onere della prova; l’articolo 6 dell’impugnazione del licenziamento; l’articolo 7 del tentativo di conciliazione; l’articolo 8 infine della riassunzione e del risarcimento.
81 L’elenco non risulta essere tassativo: esso risulta pertanto integrabile a seguito di un giudizio di inadattabilità in concreto della disciplina comune al lavoro sportivo. Cfr. in tal senso X. XXXXXXXXX, L’attività sportiva professionistica: disciplina giuridica delle prestazioni degli atleti e degli sportivi professionisti, cit., 38; X. XXXXXXX, Sport professionistico (rapporto di lavoro e previdenza sociale), in Noviss. Dig. It., VII, Torino, 1987, 516
pubblicitaria molto ampia e da una notevole riduzione della riservatezza dei soggetti che la praticano: l‟installazione di apparecchi audiovisivi è necessaria ed è diretta a svolgere più che una funzione di controllo sui lavoratori, una funzione di spettacolarizzazione della loro attività lavorativa. Per quanto riguarda l‟esclusione dell‟art. 5 possiamo dire che è vero che è interesse della società verificare lo state fisico e psichico dello sportivo professionista , ma è altrettanto vero che lo stesso professionista avrà un proprio diritto alla salute, meglio esso sarà curato, migliori potranno essere le prestazioni che potrà fornire. L‟inapplicabilità dell‟art. 13 poi, è motivata dal fatto che sembri impossibile applicare l‟attività sportiva svolta dagli atleti professionisti, i concetti di mansione o di qualifica utilizzati per l‟attività lavorativa ordinaria. Per esempio: se fosse applicabile la normativa prevista nell‟art. 13, un giocatore, assunto per svolgere le mansioni di terzino, non potrebbe poi essere schierato , per scelta tecnica, come attaccante, e sarebbe in contrasto con le esigenze tecnico tattiche valevoli in ogni disciplina sportiva. La disciplina dell‟art. 18 deve essere letta unitamente con il richiamo all‟inapplicabilità al rapporto sportivo delle norme della legge 604/66. La dottrina in questo è stata unanime82: il legislatore , con questa previsione, ha inteso creare, quanto al lavoro sportivo a tempo indeterminato, un regime di libera re cedibilità dal contratto, regime stesso al quale devono potersi ritenere applicabili anche gli artico 2118 e 2119 c.c. ( recesso dal contratto a tempo indeterminato e recesso per giusta causa ).
82 X. XXXXXX, La disciplina del lavoro sportivo autonomo e subordinato, op. cit., 220.
Ed infine, per quanto riguarda il contratto di lavoro sportivo a termine, il comma 8 dell‟art. 4 esclude l‟applicabilità della legge 23/62, sul contratto di lavoro a determinato, abrogata e sostituita dal d.lgs. 368/2001, ammettendo la successione di più contratti a termine83.
83 Peraltro questa è gia espressamente prevista dall’articolo 5 della legge 91/81
10. Le vicende del rapporto di lavoro sportivo: 1) la sospensione del rapporto di lavoro, art. 2110 c.c. 2) la risoluzione consensuale del contratto, la cessione del contratto 3) la risoluzione unilaterale,del rapporto di lavoro a tempo indeterminato, 4) il recesso ante tempus del contratto di lavoro a tempo determinato
1. La sospensione del rapporto di lavoro, art. 2110 c.c.
Durante lo svolgimento del rapporto di lavoro possono verificarsi delle situazioni che impediscono ad una delle parti di poter adempiere a quelle obbligazioni assunte, ed al concretizzarsi di queste situazioni consegue la sospensione del rapporto di lavoro per il tempo previsto dalla legge o dai contratti collettivi: l‟impossibilità sopravvenuta può essere dettata da esigenze aziendali o da eventi che siano relativi alla persona del lavoratore, ma per quanto riguarda il rapporto di lavoro sportivo, risulta evidente che la situazione ipoteticamente verificabile è soltanto quest‟ultima ( la sospensione del rapporto di lavoro per esigenze aziendali difatti, può dar luogo , se sussistano determinati presupposti, al ricorso all‟istituto della cassa integrazione guadagni , che non risulta essere applicabile agli sportivi )84 .
84 L'unica ipotesi di impossibilità sopravvenuta definitiva della prestazione per fatto riguardante la società sportiva si verifica nel caso di inattività della stessa, allorché non partecipi al campionato di competenza, se ne ritiri, oppure ne sia esclusa o le venga revocata l'affiliazione, da cui consegue che i calciatori tesserati sono svincolati d'autorità e possono tesserarsi per altra società, a meno che non abbiano già disputato anche una solo partita del girone di ritorno del campionato.
Tra le cause che interessano il lavoratore, invocabili anche dallo sportivo professionista, le più diffuso risultano essere quelle connesse al verificarsi di un infortunio, di una malattia, gravidanza e puerperio, che sono disciplinate, in xxx xxxxxxxx, xxxx‟xxx. 0000 x.x. , xxx fa un espresso rinvio , per la regolamentazione specifica delle diverse ipotesi, alle leggi speciale ed alla contrattazione collettiva.
Questo articolo statuisce appunto che, in dette circostanza, se la legge non prevede forme equivalenti di previdenza o di assistenza, è dovuta al prestatore di lavoro la retribuzione o un‟indennità nelle misure e per il tempo determinati dalle leggi speciali, dagli usi o secondo equità , e che il periodo dal lavoro deve essere computato all‟anzianità di servizio.
Questa garanzia non ha però una durata indefinita, previsto ciò dal secondo comma dello stesso articolo, dove appunto, non riconosce al datore di lavoro il diritto di recedere dal contratto a norma dell‟art. 2118
c.c. quando sia decorso il periodo stabilito dalla legge, dagli usi o secondo equità: bisogna, a tal proposito, sottolineare che , per la determinazione del periodo di comporto per malattia o per infortunio, provvede la contrattazione collettiva più che la legge, che stabilisce periodi diversi a seconda dell‟anzianità di servizio delle categorie aziendali.
Una disciplina in materia, viene rinvenuta all‟interno dell‟accordo collettivo F.I.G.C. / L.N.P.A. / A.I.C. agli art. 14 e 15, dove è stato previsto che: durante il periodo di malattia o di assenza dal lavoro per infortunio, all‟atleta spetteranno i compensi stabiliti dal contratto fino alla scadenza dello stesso, e che, se questo periodo di inabilità o inidoneità ecceda i sei mesi, è data la facoltà alla società di poter chiedere la risoluzione del contratto con ricorso al collegio arbitrale,
oppure di ridurre a metà la retribuzione maturanda fino alla cessazione dell‟inabilità e non oltre il termine di scadenza del contratto. Però, se la malattia o la menomazioni delle condizioni fisiche risultino essere imputabili a colpa grave del giocatore, verranno applicate le norme generali in materia di inadempimento, con la possibilità per la società di risolvere il contratto o ridurre i compensi. Se poi dall‟infortunio, invece, derivi la definitiva inidoneità a svolgere attività sportiva, la società avrà il diritto di richiedere immediatamente, sempre al collegio arbitrale, la risoluzione del contratto. Queste disposizioni vengono riportate anche all‟interno dell‟accordo collettivo per la pallacanestro dove, l‟unica differenza , risulta essere il periodo di comporto per malattia o infortunio, fissato a sette mesi e mezzo.
Notiamo che entrambi i contratti collettivi non precisano se il periodo di comporto sia da riferire solo ad un unico evento ( comporto secco ) oppure è possibile collegarlo ad una pluralità di episodi in un certo arco di tempo ( comporto per sommatoria ); non sembra esclusa, l possibilità per le società, di poter invocare l‟applicazione della relativa disciplina anche nel “ comporto per sommatoria”, lasciando così , all‟organo giudicante , stabilire secondo equità l‟arco temporale entro il quale sommare i periodi di xxxxxxx00.
Particolare ipotesi d‟impossibilità sopravvenuta del lavoratore sportivo, quindi di sospensione del rapporto di lavoro fino alla scadenza del provvedimento, è quella che deriva dalla squalifica inflitta dagli organi della giustizia Sportiva nazionale o internazionale. L‟accordo collettivo, per i professionisti di serie A prevede che, al fine di poter riequilibrare il sinallagma contrattuale, la possibilità della riduzione, non superiore al
85 X. Xxxxxxxxxx, Il rapporto di lavoro sportivo, Milano, 2004
50%, della parte fissa di retribuzione per il periodo di squalifica, a meno che il giocatore dimostri che la sanzione ad egli comminata, è dovuta al seguito di comportamenti tenuti nell‟esclusivo interesse sportivo della squadra.
Questa previsione contrattuale deroga al principio di corrispettività delle prestazioni, retributiva e lavorativa, che all‟interno del contratto lavoro, viene superata in alcune e limitate ipotesi previste dall‟art. 2110 c.c., e per il quale se una parte non adempie agli obblighi contrattuali assunti, l‟altre parte ha diritto a non effettuare per intero la propria prestazione.
2. la risoluzione consensuale del contratto, la cessione del contratto
Come abbiamo potuto constatare, l‟art. 5 della l. 91/81 prevedeva al primo comma la possibilità che al contratto degli sportivi professionisti può essere apposto un termine risolutivo non superiore a cinque anni e che è ammessa la successione di contratti a termine tra le stesse parti, al secondo comma ha ritenuto , invece, ammissibile la cessione del contratto, prima della scadenza del termine risolutivo , da una società ad un‟altra, essendo però presente il consenso dell‟altra parte, e che vengano osservate le modalità fissate dalle federazioni sportive nazionali.
Questo è un istituto tipico del lavoro sportivo non previsto con riferimento agli ordinari rapporti di lavoro, se si eccettua l‟ipotesi del trasferimento d‟azienda che, come sappiamo, determina la cessione automatica dei contratti di lavoro subordinato in capo alla società cessionaria dell‟azienda o di un suo ramo.
Questa fattispecie in esame, costituisce una speciale applicazione dell‟art. 1406 c.c. in materia di cessione del contratto86, in forza del quale il cedente sostituisce a sé un terzo, cioè il cessionario, nel rapporto che deriva da un contratto, e con la conseguenza che quest‟ultimo assume rispetto al ceduto, la medesima posizione del cedente, salve le modifiche che tra ceduto e cessionario si vogliono introdurre, compresa anche la variazione del termine contrattuale, sempre che sia fatta entro i limiti del quinquennio.
Una parte della dottrina ha parzialmente ripreso, negli ultimi anni, la tesi giurisprudenziale maggioritaria prima dell‟entrata in vigore della legge sul professionismo sportivo, la quale aveva escluso che il trasferimento di un calciatore fosse giuridicamente inquadrabile nello schema della figura codicistica di cessione del contratto87.
Secondo tale tesi, sarebbe risultato erroneo, poter parlare di cessione di contratto prevista dall‟art. 1406 c.c., dato che non si riteneva che la società cessionaria subentrasse alla società cedente nel rapporto contrattuale con il giocatore; questo avrebbe presupposto la persistenza in vita dell‟originario contratto , mentre invece, avvenuto il trasferimento
86 X. Xxxxxxxx, Una legge per lo sport?, op cit.; X. Xxxxxxx, L'attività sportiva come prestazione di lavoro, op cit
87 X. Xxxxxxxxxxx, La cessione del contratto: dalla disciplina codicistica alle peculiari ipotesi di applicazione in ambito calcistico, in Riv. dir. econ. sport, 2008; X. Xxxxxx-X. Xxxxxxxx, Aspetti fiscali della “cessione” dei calciatori con particolare riguardo al regime IRAP, in Rass. Trib., 1999.
del giocatore, s‟instaurava tra questo e la società acquirente un nuovo rapporto, con un contenuto parzialmente diverso da quello precedente, ma dove però, s‟inserisce quel diritto della società cessionaria di ottenere dal giocatore la prestazione di gioco.
Senza questo diritto, il trasferimento non avrebbe potuto avere vita, e quindi non si sarebbe instaurato un nuovo rapporto contrattuale, sia per impossibilità giuridica, dovendo quindi il giocatore prestare la propria attività a favore di una sola società; sia per impossibilità di fatto, non potendo l‟atleta giocare con entrambe le squadre88.
Si riteneva che con il trasferimento di un calciatore, si verificasse “il trasferimento di un diritto, di un‟obbligazione di un soggetto ad un altro soggetto” e che quindi, doveva così parlarsi “non di cessione di contratto ma di cessione si un diritto di credito”.
Parte della dottrina ha rispeso questa teoria, ed ha sostenuto che la cessione del contratto di prestazione sportiva vada ad integrare un fattispecie tipica che non risulta essere riconducibile allo schema codici stico previsto agli artt. 1406 e seguenti c.c. , in ragione della possibilità per le parti, sia ceduta che cessionario, di poter apportare al contratto delle modifiche non solo marginali, come quelle riguardanti la retribuzione fissa, o i diversi obiettivi ( reti, presenza, assist, ect.. ) che vanno ad incidere sulla retribuzione variabile, ma anche essenziali come quella relativa alla durata del contratto stesso.
Il potere di entrambe le parti, ceduta e cessionario, di poter modificare codesto elemento contrattuale, fa propendere parte della dottrina per l‟idea che la cessione di contratto sportivo non ha come oggetto, o meglio, non trasferisce il diritto all‟utilizzo esclusivo della prestazione
88 Cfr. Trib. Milano, 10 marzo 1955, in Foro pad., 1955.
offerta dall‟atleta dietro corrispettivo, bensì il diritto della società cessionaria a contrarre con il calciatore in costanza di vincola con la società cedente, ovvero il diritto alla risoluzione contrattuale , e che il corrispettivo pagato avrebbe causa , non nella cessione del contratto precedente, ma nel suo anticipato scioglimento ( c.d. tesi tributaristica ). La nostra idea invece è quella che qualifica detta “cessione” prevista all‟art. 5 l. 91/81, come una cessione atipica a norma dell‟art. 1406 c.c.
Innanzitutto per la chiarezza letterale dell‟art. 5 , ma anche perché, nonostante risulti difficile negare che, entità del corrispettivo e durata, non appartengono all‟area di quegli elementi oggettivi essenziali che dovrebbero rimanere immutati in modo da porte parlare di cessione del contratto. E‟ stato poi affermato, in modo costante in giurisprudenza89, che “ nella cessione del contratto deve restare immutato, nei suoi elementi oggetti essenziali o elementi essenziali , il complesso giuridico che è oggetto della cessione”.
E‟ pur vero però che, cessionario e ceduto dopo che sia stato stipulato il contratto di cessione, hanno la facoltà di convenire, per il loro rapporto, condizioni diverse visto che nessuna norma positiva lo vieta90; e che in
89 Tra le altre, Cass. Civ., 15 giugno 1957, n. 2292; Cass. Civ, 5
novembre 2003, n. 16635.
90 Così oltre alle sentenze citate nella nota precedente, in dottrina,
X. Xxxxxx, La cessione del contratto, in Trattato del contratto, osserva che
«la disciplina dei rapporti tra i soggetti della cessione dettata negli art. 1408, 1409, 1410 *…+ presuppone la persistenza del rapporto nei termini originari e richiede perciò adattamenti allorché esso subisca mutilazioni od altre modifiche» che dunque considera legittime, senza che sia intaccata la figura negoziale; X. Xxxxxxx, La compravendita dei calciatori, osserva che
«Nulla impedisce alle parti di un contratto a esecuzione continuata di modificare, nel corso dell'esecuzione del rapporto, il contenuto del contratto, di variare l'importo del corrispettivo periodico dovuto, di prolungare la durata. E nulla impedisce che la modificazione consensuale del contenuto del contratto intervenga, fra cessionario e contraente ceduto, contestualmente alla cessione del contratto. Xxx può allora la società cessionaria del contratto di lavoro sportivo pattuire con l'atleta
quanto al mutamento degli elementi oggettivi essenziali, la giurisprudenza intende riferirsi alla necessità che il contratto ceduto non sia modificato nella sua natura, quanto alla causa ed all‟oggetto, dato che al contrario non avrebbe senso la portata degli interventi modificativi.
Da questi due aspetti ne deriva che, nonostante la regola ( cioè la modifica delle condizioni contrattuali tra la società cessionaria e calciatore ceduto ) rappresenti un‟eccezione nello schema codicistico, non sembra che questa anomalia possa rappresentare un argomento sufficiente per porre dei dubbi sulla medesima natura di negozio giuridico della cessione del contratto disciplinata dall‟art. 5 della L. 91/81.
L‟art. 5 non limita il campo di applicazione ai soli atleti , ed il trasferimento può essere non solo definitivo ma anche temporaneo ( prestiti ), disposto per un periodo limitato di tempo , trascorso il quale sarà previsto il rientro nella società sportiva detentrice del cartellino91.
3. la risoluzione unilaterale,del rapporto di lavoro a tempo indeterminato
contraente ceduto ogni opportuna variazione del contenuto contrattuale, inclusa la durata residua del contratto».
91 L'art. 103 NOIF ( Norme organizzative interne federali ) prevede che la cessione temporanea abbia durata pari ad una sola stagione sportiva, salvo il rinnovo tra le stesse società per la stagione successiva.
Il favore nei confronti del lavoratore che caratterizza la legislazione giuslavoristica italiana si manifesta, per quanto riguarda la disciplina della cessazione del rapporto di lavoro, in una serie di limitazioni poste alla libera re cedibilità da parte del datore di lavoro nonché alla predisposizione di strumenti idonei che tutelino il lavoratore illegittimamente licenziato.
Vediamo che da un lato, a partire dal 1966, per effetto della legge n. 604 ( le cui previsioni sono state poi estese nel loro ambito applicativo ad opera della L. 108/1990 ) non è più concesso al datore di lavoro ( a meno di specifiche eccezioni ) licenziare liberamente, essendo subordinata la legittimità del recesso da parte del datore di lavoro quando ricorre una giusta causa ad esempio il verificarsi di un evento che vada ad incidere irrimediabilmente sul rapporto di fiducia tra le parti a cui consegue il licenziamento senza preavviso, cioè senza il diritto ad un periodo di tempo compreso tra la comunicazione del licenziamento e la sua efficacia ( stabilito dalla contrattazione collettiva dagli usi o secondo equità ), durante il quale, il lavorate licenziato, potrebbe attivarsi e mettersi alla ricerca di una nuova occupazione; oppure nei casi di giustificato motivo di licenziamento, cioè un notevole inadempimento di obblighi contrattuali da parte del lavoratore , o il verificarsi di esigenze societarie che riguardino lo svolgimento ed il funzionamento regolare dell‟attività produttiva o del suo aspetto organizzativo.
Da un altro lato invece, è stata posta, in favore dei lavoratori dipendenti da datori di lavoro che superino determinate soglie dimensionali, la tutela reale del posto di lavoro. Grazie a questa tutela, in caso di
licenziamento dichiarato illegittimo in sede giudiziale, il lavoratore ha diritto ad essere reintegrato nel posto di lavoro ed alla conseguente ricostruzione della posizione lavorativa, anche per quanto riguarda la posizione contributiva ( art. 18 Statuto dei Lavoratori ).
Tuttavia però, con la Legge 92/2012 ( riforma Fornero ) , si assiste alla modifica dell‟art. 18 dove ,accanto alla tutela reale che prescinde , adesso, dalle dimensioni occupazionali del datore di lavoro, in caso di licenziamento discriminatorio o nullo per violazione di norme sostanziali, viene inserita una tutela meramente indennitaria quando il licenziamento è disciplinare o economico.
Questo tipo di tutela voluta da legislatore italiano nei confronti di licenziamenti illegittimi però, non viene applicata al lavoro subordinato sportivo, come previsto dall‟art. 4 della L. 91/81.
Detto articolo, al comma 8, esclude l‟applicabilità al rapporto di lavoro degli sportivi professionisti dell‟art. 18 dello Statuto dei lavoratori ( cosi come altri articoli visti in precedenza ).
Questo rapporto lavorativo, rientra tra le poche ipotesi in cui, dove il rapporto è stato costituito a tempo indeterminato, è operante il recesso ad nutum, quel tipo di recesso che non richiede giustificazione, disciplinato dagli articoli 2118 e 2119 c.c.
L‟art. 2118 c.c. , prevede che nel contratto a tempo indeterminato, ciascun contraente può recedere a sua discrezione, dando però preavviso o, in mancanza del quale si dovrà provvedere al pagamento di un‟indennità di mancato preavviso, consistente nell‟importo della retribuzione che sarebbe spettata per il periodo di preavviso.
L‟art. 2119 c.c., invece, esclude che spetti il preavviso nei casi in cui si parla di recesso per giusta causa, a meno che non sia il lavorato a dare le
dimissioni per giusta causa, visto che, in questo caso, il datore di lavoro dovrà corrispondere l‟indennità di mancato preavviso.
Dall‟applicazione di queste disposizione al rapporto di lavoro sportivo, discende che non esistono per l‟ordinamento statale, limiti o vincoli alla volontà di poter sciogliere il contratto, tantomeno sussistono particolari formalità da adempiere.
Tutto ciò è giustificato vista la specialità del rapporto.
Risulterebbe infatti, penalizzante l‟impedimento alle società sportive di recedere dal contratto quando si determini una situazione che impedisca allo sportivo di rendere la prestazione al meglio, ciò comprometterebbe l‟esito delle competizioni. In modo analogo, l‟applicazione di tale norma, porta all‟esclusione di eventuali limiti al recesso da parte dello sportivo, il quale difatti, potrebbe recedere legittimamente dal contratto anche nel corso del campionato.
Dato che, l‟art. 4 al comma 8 non esclude l‟applicabilità delle disposizioni presenti nell‟art. 4 della L.604/1966 e dell‟art. 15 dello statuto dei lavoratori al rapporto di lavoro sportivo, che riguardano il licenziamento discriminatorio cioè quello determinato da ragioni ideologiche, religiose, politiche, sindacali , o da discriminazioni razziali riguardanti il sesso o la lingua, è da ritenere che dette norme risultino essere invocabili anche dallo sportivo professionista il quale, caso in cui venga accertata l‟illegittimità del licenziamento, vedrà dichiarare la nullità del provvedimento adottato nei suoi confronti e godrà della tutela reale prevista per tale tipo di licenziamento dall‟art. 3 della legge 108/199092.
92 L’art. 3 della Legge 108/1990 disciplina le conseguenze in caso di licenziamento discriminatorio e prevede l'applicazione della tutela reale
4. Il recesso ante tempus del contratto di lavoro a tempo determinato
In quelle ipotesi, che in realtà sono quelle che si riscontrano in concreto, di contratto a tempo determinato, è consentita, prima della scadenza del termine, la risoluzione consensuale del contratto oppure il recesso unilaterale quando sussiste la giusta causa, cioè una situazione che renda, per una delle parti, impossibile il proseguimento negli impegni assunti ( art. 2119 c.c. ).
Non potendo ipotizzare, e nel caso utilizzare, una tipizzazione di tutte quelle possibili eventualità idonee ad integrare la fattispecie, la ricorrenza di una giusta causa di recesso dovrà essere accertata caso per caso93.
disciplinata dall'art. 18 Statuto dei Lavoratori indipendentemente dal
numero dei dipendenti dell'organizzazione datoriale; infatti, dispone: “ Il
licenziamento determinato da ragioni discriminatorie ai sensi dell’art. 4 della legge 15 luglio 1966, n. 604, e dell’art. 15 della legge 20 maggio 1970, n. 300, come modificato dall’art. 13 della legge 9 dicembre 1977, n. 903, è nullo indipendentemente dalla motivazione addotta e comporta, quale che sia il numero dei dipendenti occupati dal datore di lavoro, le conseguenze previste dall’art. 18 della legge 20 maggio 1970, n. 300, come modificato dalla presente legge. Xxxx disposizioni si applicano anche ai dirigenti”.
93 Cass, 28 dicembre 1996, n. 11540, ha ritenuto legittimo il recesso di società sportiva di calcio dal rapporto di lavoro subordinato intercorso con il direttore tecnico sportivo, giustificato dalla sequenza di risultati negativi della squadra tali da far venir meno ogni fiducia nella persona prescelta. In dottrina critico sulla sentenza adottata dalla Suprema Corte:
Si potrebbe, tuttavia, ritenere che costituisca ormai, come prassi, una giusta causa di recesso nell‟ambito degli sport di squadra l‟esclusione reiterata dalla rosa della prima squadra di un determinato giocatore, esprimendo tale ipotesi una lesione del diritto al lavoro ( art. 4 Cost. ), ed alla prestazione dell‟atleta, a cui consegue la compromissione della sua immagine professionale.
Altre indicazioni sulle ipotesi di giusta causa di recesso sono, inoltre, fornite dagli stessi accordi collettivi. L‟accordo collettivo per i calciatori di serie A prevede, infatti per l‟atleta, come causa di risoluzione del contratto stipulato , la morosità della società oltre certi limiti temporali ( art. 13 ) e, in generale, sia il calciatore che la società, hanno il diritto di poter risolvere il contratto in caso di violazione degli obblighi contrattuali assunti reciprocamente ( artt. 12 e 13 ), ed in caso di violazione della disposizione presente all‟art. 7.1 del medesimo contratto, del diritto del calciatore di poter ottenere il risarcimento del danno in misura non inferiore al 20% della parte fissa della retribuzione annua lorda ( art. 12.2 ) .
Dove venga accertata, al contrario, la mancanza della giusta causa,il recesso si considera illegittimo, implicando cos‟, a favore della parte inadempiente, l‟obbligo del risarcimento del danno. Ne possono conseguire due eventualità:
X.Xxxxxx, Il lavoro sportivo tra codice civile e norma speciale, in Riv. It. dir. lav., 2002, il quale ritiene più convincente la tesi che legittima il ricorso soltanto all'esito di una valutazione globale della condotta del direttore sportivo o dell'allenatore non circoscritta alla sequela di sconfitte in campo ma che rivolga lo sguardo all'intero settore tecnico ed organizzativo del sodalizio sportivo.
- Recesso ingiustificato della società sportiva: in questo caso, la società , sarà tenuta a norma dell‟art. 1223 c.c.94, a corrispondere al lavoratore le retribuzioni che avrebbe percepito se il rapporto non fosse stato risolto in maniera anticipata, fatta salva la possibilità di detrarre ciò che il lavoratore abbia percepito o avrebbe potuto percepire dopo il licenziamento da una nuova occupazione che abbia trovato o che avrebbe potuto trovare usando l‟ordinaria diligenza;
- Recesso ante tempus ingiustificato dell‟atleta: quest‟ultimo sarà in ogni caso tenuto al risarcimento del danno verso la società sportiva. In virtù poi della difficoltà di provare quali possano essere in concreto i danni derivabili al club, non può certo escludersi ex ante , la possibilità di una determinazione convenzionale del danno risarcibili, attraverso il ricorso a strumenti di carattere civilistico, come appunto l‟inserimento , all‟interno del contratto di prestazione sportiva, di una multa penitenziale ( ex art. 1373, terzo comma c.c. ) o di una clausola penale ( ex art. 1382
c.c. ). D‟altronde , ai sensi dell‟art 1384 c.c. il giudice potrà diminuire l‟importo su richiesta dell‟obbligato, tramite una valutazione equitativa che tenga conto della parte di prestazione eseguita, ed in ogni caso qualora l‟ammontare sia ritenuto troppo eccessivo.
In astratto, risulta essere sempre possibile il recesso unilaterale dello sportivo, in concreto ad iniziative di tal genere ostano le pesanti sanzioni che l‟ordinamento sportivo prevede in caso di recesso senza giusta causa che possono arrivare fino al rifiuto, da parte della Federazione, del
94 All’art. 1223 codice civile : “il risarcimento del danno per l'inadempimento o per il ritardo deve comprendere così la perdita subita dal creditore come il mancato guadagno, in quanto ne siano conseguenza immediata e diretta (1382, 1479, 2056 e seguenti)”
tesseramento presso una nuova società; da vedere poi che in numerosi contratti di lavoro sportivo sono state inserite delle clausole , ed in forza di queste , il soggetto che avesse receduto senza giusta causa, sarebbe stato tenuto a corrispondere alla controparte una somma superiore a quella complessiva del valore del contratto. Cosi facendo, le società, hanno di fatto precluso al lavoratore di interrompere unilateralmente il rapporto di lavoro prima della sua scadenza, a meno di non corrispondere al datore di lavoro l‟importo già fissato.
Sono state poi inserite , all‟interno dell‟accordo collettivo per i calciatori di serie B firmato nel novembre del 2011 , delle novità per quanto riguarda una maggiore flessibilità nella gestione del rapporto di lavoro, riproposte anche all‟interno del nuovo accordo del luglio 2014.
Ferme restando le ipotesi di recesso per giusta causa, nell‟art. 2 comma
2.3 dell‟accordo collettivo per i calciatori di serie B ( diverso invece quello per i calciatori di serie A che non dispone nulla in merito ), viene disciplinata la facoltà delle parti di poter inserire nel contratto individuale una clausola che consenta il recesso anticipato del rapporto, sia pur subordinandone la legittimità ad alcune contestuali condizioni che sono:
a) Diritto di recesso sia reciprocamente concesso
b) Durata del contratto sia superiore a due stagioni sportive
c) Il diritto di recesso sia esercitabile in relazione all‟ultima stagione sportiva
d) Previsto per entrambe le parti il versamento di un corrispettivo lordo quantificato nello stesso contratto
e) Il calciatore abbia compiuto 28 anni al momento della sottoscrizione del contratto
Il recesso che risulta essere operato al di fuori di questi presupposti, o che non sia sorretto dalla giusta causa, integrerà, un recesso ingiustificato, con ogni conseguenza in termini risarcitori e sanzionatori. Da ciò vediamo che emergere che il regime contrattuale che si è inteso creare nel lavoro sportivo, da una parte consente al professionista di godere di una maggiore mobilità e di una cresciuta libertà contrattuale; dall‟altra parte invece, viene a crearsi un sistema in forza del quale il professionista stesso risulta più tutelato da un rapporto a tempo determinato che da uno a tempo indeterminato, recedibile ad nutum anche da parte della società.
Vi sono poi anche altre ragione che tendono verso la stipulazione del contratto a tempo determinato e non a tempo indeterminato, e cioè: la società si tutela maggiormente dal rischio che l‟atleta si riveli un “brocco” o sia vittima di gravi infortuni; gli atleti liberi da contratto, possono ricevere offerte più allettanti da parte di altre società e trovare nuovi stimoli o cimentarsi in ambiti diversi.
11. La tutela sanitaria , assicurativa e previdenziale dello sportivo professionista
La tutela sanitaria degli sportivi professionisti è affidata al‟art. 7 della L.
n. 91 , disponendo che l‟attività sportiva venga svolta sotto controlli medici, secondo norme stabilite dalle federazioni sportive nazionali ed approvate con decreto del Ministro della Sanità.
Queste norme devono prevedere l‟istituzione di una scheda sanitaria per ciascun sportivo professionista, aggiornata periodicamente sulla base di accertamenti clinici e diagnostici.
Questa scheda sanitaria è istituita, aggiornata e custodita a cura della società sportiva, e su di essa gravano i relativi oneri economici. Detti obblighi, ai sensi del 5° comma dell‟art. 7 , risultano essere a carico dell‟atleta nel caso in cui rivesta la posizione di un lavoratore autonomo ai sensi dell‟art. 3 della L. 91/81.
L‟istituzione della scheda sanitaria ed il relativo aggiornamento costituiscono anche condizione per l‟autorizzazione da parte delle
singole federazioni, allo svolgimento dell‟attività sportiva. Si tratta di un potere di controllo più vasto, difatti non si tratta solamente di constatare che la scheda esista e che venga aggiornata, ma anche di verificare nel merito gli esami clinici e diagnostici che sono stati eseguiti, non potendo negare alle federazioni il potere di far ripetere gli esami che non convincono , ed infine di poter disporre d‟ufficio l‟esecuzione degli accertamenti diversi da quelli già stati fatti. Le federazioni, di conseguenza, potranno non concedere l‟autorizzazione all‟esercizio dell‟attività sportiva professionistica, oppure revocare o sospendere l‟autorizzazione già concessa, nonostante il fatto che la scheda sanitaria dell‟atleta sia stata regolarmente istituita ed aggiornata.
L‟art. 7 disciplina però solo il momento della prevenzione, trascurando quelle prestazioni curative e riabilitative che rimarrebbero a carico degli atleti pur essendo lavoratori subordinati a tutti gli effetti.
Possiamo però obiettare che, il legislatore, abbia volutamente limitarsi, con le disposizioni presenti nell‟art. 7, a nel disciplinare il momento della prevenzione sanitaria che, riguardo agli atleti, presenta aspetti peculiari rispetto a tutti gli altri lavoratori e che, dunque, per le prestazioni curative e riabilitative valgono in ogni caso le norme previste in genere per i lavoratori dipendenti.
L‟obiettivo che il legislatore si è posto, con tali disposizioni, è quello di garantire un costante monitoraggio dello stato di salute dello sportivo, la cui efficienza deve sussistere nel momento di avvio dell‟attività sportiva e permanere durante l‟intero periodo di svolgimento della stessa.
Per questo motivo, è previsto che l‟esercizio dell‟attività sportiva professionista sia subordinata al possesso del certificato d‟idoneità alla pratica sportiva, rilasciato a seguito di controlli medici obbligatori ( di
norma vengono svolti prima dell‟inizio della preparazione atletica ), che accertino l‟idoneità generica e specifica alla pratica dello sport95.
La scheda sanitaria , istituita in attuazione della legge, dal D.M. 13 marzo 1995 e che accompagna per l‟intera carriera lo sportivo professionista, deve attestare con periodicità semestrale l‟avvenuta effettuazione degli accertamenti sanitari e deve inoltre contenere una valutazione sintetica madico-sportiva dello stato di salute dell‟atleta, fornendo così delle indicazioni sull‟eventuale esistenza di controindicazioni, anche temporanee, alla pratica sportiva agonistica professionistica.
Responsabile dell‟esercizio di determinati controlli, è il medico sociale , regolamentato anch‟esso dal D.M. 13 marzo 1995, che può disporre l‟effettuazione di ogni ulteriore accertamento che egli ritenga opportuno, anche per poter decidere in ordine alla prosecuzione o meno dell‟attività sportiva in presenza di patologie che possono pregiudicare l‟incolumità dello sportivo.
La società , però, non risulta essere esonerata dall‟eventuale obbligo risarcitorio per danni provocati da inadempienze da parte del medico sociale, posto che l‟eventuale negligenza o imperizia dello stesso non libera il datore di lavoro dalla responsabilità prevista all‟art. 2087 c.c.96 Obbligato contrattualmente a dare sicurezza, risulta essere il datore di lavoro, il quale, sarà chiamato a rispondere anche per la violazione degli
95 Decreto Ministeriale !3 marzo 1995, Norme sulla tutela sanitaria degli sportivi professionisti
96 Art 2087 c.c Tutela delle condizioni di lavoro: L'imprenditore è tenuto ad adottare nell'esercizio dell'impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro