ABSTRACT
WorkingPaper
Associaz ione p e r gli Studi I n t e r n a z i o n a l i e C o m p a r a t i s u l Diritto d e l l a v o r o e sulle R e l a z i o n i i n d u s t r i a l i
Il contratto di lavoro part-time
tra Jobs Act (decreto legislativo n. 81/2015) e diritto giurisprudenziale
Rosario Santucci
Professore ordinario di diritto del lavoro, Università degli Studi del Sannio
ISSN 2240-273X – Registrazione n. 1609, 11 novembre 2001 – Tribunale di Modena
Working Paper n. 16
@2017 ADAPT University Press • www.bollettinoadapt.it • redazione@adapt.it
I PUNTI CHIAVE DEL PAPER |
Il part time ha recentemente assunto cre- scente rilevanza a causa dell’elevata disoc- cupazione che costringe i lavoratori ad ac- cettare proposte lavorative a tempo parziale, anche a discapito delle proprie esigenze red- dituali. Il Jobs Act, ha introdotto significative inno- vazioni nella regolamentazione del part ti- me, al fine di aumentare la flessibilità del rapporto di lavoro, attraverso una semplifi- cazione dell’istituto normativo. Tra le novità introdotte in materia dal Jobs Act, nell’analisi svolta, assumono particolare rilevanza il superamento delle tradizionali varianti del part time, la riforma delle dispo- sizioni relative al lavoro supplementare, nonché gli effetti dell’estensione di tale normativa al lavoratore part time del settore pubblico. La nuova disciplina deve comunque tener conto dell’orientamento sinora espresso dal- la giurisprudenza e dalla dottrina. Si impone, dunque, un’approfondita analisi della nuova disciplina del contratto part time, anche al fine di valutare taluni dubbi interpretativi che emergono in sede di applicazione della novella normativa. |
ABSTRACT
L’autore analizza la nuova disciplina del contratto di lavoro a tempo parziale (d.lgs. n. 81/2015). Ne sottolinea gli aspetti positivi e le principali criticità, soffermandosi anche sulle innovazioni nel campo del diritto del lavoro pubbli- co. Fondandosi anche sugli orientamen- ti sinora espressi da giurisprudenza e dottrina, il saggio evidenzia gli squilibri
– tuttora presenti – tra gli interessi per- sonali del lavoratore e le esigenze di flessibilità delle aziende.
IL MESSAGGIO |
Sebbene la necessità di provvedere ad una sostanziale revisione della disciplina del lavoro part time apparisse ormai indifferibile, il d.lgs. n. 81/2015 non risponde appie- no alle esigenze di semplificazione che emergevano dal precedente quadro normati- vo. Inoltre, pur introducendo talune novità positive, la novella normativa, nel bilan- ciamento di interessi tra tutela del lavoratore ed esigenze organizzative aziendali, sembra privilegiare chiaramente quest’ultime. Al contrario, l’intento di assimilare la disciplina del lavoro part time nel settore pubblico a quella del settore privato, sem- bra di fatto scontrarsi con talune peculiari garanzie che permangono a favore del la- voratore assunto dalla pubblica amministrazione. In tal senso, sarebbe forse auspica- bile una maggiore coerenza in sede legislativa. |
Indice
1. La disciplina del contratto di lavoro part-time: regole altalenanti, innovazioni e squilibri consolidati 4
2. Le novità e le conferme in materia di definizioni e contenuti del part-time: omissioni, approssimazioni e acquisizioni del diritto giurisprudenziale 6
3. La forma scritta ad probationem e le incongruenze del regime sanzionatorio 13
4. I limiti legali insufficienti e le funzioni variegate del contratto collettivo nella disciplina del lavoro supplementare e straordinario… 19
5. …e in quella delle clausole elastiche 21
6. Il divieto di discriminazione e i trattamenti riproporzionati pro rata temporis 24
7. La trasformazione del contratto da full-time in part-time e viceversa: i benefici rarefatti per il lavoratore 28
8. Il sistema previdenziale: in continuità con il passato, evitando la soluzione di questioni dibattute e controverse 32
9. Il part-time nelle amministrazioni pubbliche: uno statuto quasi comune tra omissioni e vantaggi ingiustificati 35
10. Bilancio sintetico dello stato dell’arte 41
* L’articolo è destinato agli Scritti in onore di Giuseppe Santoro-Passarelli ed è in corso di pubblicazio- ne su Diritto delle Relazioni Industriali.
1. La disciplina del contratto di lavoro part-time: re- gole altalenanti, innovazioni e squilibri consolidati
Il lavoro a tempo parziale è la figura di flessibilità temporale di lavoro più ricorrente e importante. I dati sull’occupazione non solo ne mostrano l’accresciuta incidenza nell’ultimo quinquennio, ma evidenziano anche come l’aumento sia dovuto prevalente- mente alla scelta “involontaria” di lavoratori che, per la scarsezza di domanda di lavoro, accettano forme contrattuali anche inadeguate alle loro esigenze di vita (1). Nella tipolo- gia contrattuale, il contratto di lavoro part-time dovrebbe svolgere la funzione di conci- liare tempi di lavoro e di vita, anche in coerenza con il diritto dell’Unione europea. Nel- la disciplina italiana – dall’inizio del terzo millennio all’incirca – le esigenze produttive (l’adattabilità del lavoro alle necessità cicliche delle imprese) e di inclusione minima nel mercato del lavoro appaiono però prioritarie. Le regole pertanto si rivelano non del tutto equilibrate rispetto ai variegati interessi implicati, risultando sacrificato quello essenzia- le della persona del lavoratore alla programmazione di attività plurime di lavori e di im- pegni esistenziali (2), pur se il maggiore apprezzamento di quest’ultimo non necessa- riamente si contrapporrebbe alle aspettative del sistema economico e si mostrerebbe sin- tonico anche all’interesse generale alla diminuzione dell’inattività lavorativa e della di- soccupazione.
Un flash back storico della regolazione conferma l’assunto di fondo.
L’articolo 5 della legge n. 863/1984 realizzava, per la prima volta, la disciplina del con- tratto, superando la tradizionale ostilità delle organizzazioni sindacali, preoccupate dalla creazione di una fascia di lavoratori precari, soprattutto donne. Tuttavia nelle rigide re- gole legali, nel peso e nello squilibrio degli oneri contributivi si conservavano i pregiu- dizi e le diffidenze di partenza (3). Poi la disciplina del part-time fu assicurata, come no-
(1) Secondo i dati Eurostat la quota dei lavoratori con contratto di lavoro a tempo parziale tra i 15 e i 64 anni nell’UE-28 è in costante crescita e nel 2014 ammonta al 19,6% dei lavoratori occupati. La percentua- le di gran lunga più elevata di lavoratori a tempo parziale si è rilevata nei Paesi Bassi (49,6 %), seguiti da Austria, Germania, Regno Unito, Danimarca, Svezia, Belgio e Irlanda, dove i lavoratori a tempo parziale rappresentano in ciascun paese circa un quarto degli occupati. Per contro, il lavoro a tempo parziale è re- lativamente poco frequente in Bulgaria (2,5 % degli occupati) nonché in Slovacchia, Croazia, Repubblica Ceca e Ungheria (tra il 5,1 % e il 5,5 %). L’incidenza del lavoro part-time varia notevolmente tra uomini e donne. Nel 2014 nell’UE-28 poco meno di un terzo (32,2 %) delle donne occupate, di età compresa tra i 15 e i 64 anni, lavorava a tempo parziale, una quota molto superiore a quella registrata per gli uomini (8,8
%). Più di tre quarti (76,7 %) delle donne occupate nei Paesi Bassi lavoravano a tempo parziale nel 2014, facendo registrare il tasso di gran lunga più elevato tra tutti gli Stati membri dell’UE. In Italia, secondo un’indagine del Censis (cfr. comunicato di marzo 2017), ha un lavoro a tempo parziale il 32,6% delle oc- cupate ma per il 58,5% si tratta di un part-time involontario: dal 2008 a oggi, le donne che hanno scelto liberamente il part-time sono diminuite del 20,9%, mentre il part-time involontario ha registrato un in- cremento del 91,6%. È una situazione differente dagli altri grandi Paesi europei: siamo al terz’ultimo po- sto in Europa, seguiti solo da Cipro e Grecia. In Germania le donne costrette al part-time per mancanza di alternative full time sono solo il 12,1% e nel Regno Unito il 13,3%. È anche per questo motivo che il 23% delle donne occupate italiane ha come priorità quella di cambiare lavoro e il 27,6% dichiara di avere bi- sogno di integrare il proprio reddito con un secondo lavoro o con qualche lavoretto. Anche l’Istat, nel Rapporto annuale del 2016, conferma il dato: nel 2015 l’incidenza del part-time involontario sul totale degli occupati part-time si attesta al 63,9%, rispetto al 27,5% media UE, anche se torna a crescere, dopo la crisi, il part-time volontario.
(2) V. la sentenza n. 210/1992 per l’acquis costituzionale relativo agli interessi del lavoratore.
(3) Sulla disciplina delle origini cfr., per tutti, M. Brollo, Il lavoro a tempo parziale, in Diritto del lavoro. Commentario diretto da F. Carinci, II. Il rapporto di lavoro subordinato: costituzione e svolgimento, a
to, dal decreto legislativo n. 61/2000, che recepiva la direttiva 97/81/CE del 15 dicem- bre 1997. Quest’ultima, in attuazione dell’accordo quadro concluso dalle parti sociali il 6 giugno 1997, è finalizzata a promuovere il lavoro a tempo parziale su base volontaria, sostenere l’organizzazione flessibile degli orari di lavoro, bilanciando le esigenze dei datori di lavoro e dei lavoratori, e impedire le discriminazioni dei lavoratori a part-time (4). Il decreto legislativo n. 61/2000 (corretto dal decreto legislativo n. 100/2001), pur introducendo discrete flessibilità rispetto al passato (si pensi alla clausole elastiche), tra- scurava troppo le esigenze aziendali e quelle individuali, condizionando eccessivamente le opportunità attrattive al consenso esclusivo delle organizzazioni sindacali ( 5 ). Nell’arco di pochi anni si è assistito ad un andamento pendolare della regolazione na- zionale, specchio delle contrapposizioni politiche e valoriali (6). È intervenuto il decreto legislativo n. 276/2003 (articolo 46), che ha riplasmato la disciplina del contratto, ne ha reso molto più flessibile la gestione a vantaggio delle esigenze aziendali, valorizzando anche l’autonomia individuale sic et simpliciter nella fissazione di clausole flessibili ed elastiche, ed ha escluso la propria applicazione ai rapporti di lavoro alle dipendenze del- le amministrazioni pubbliche, creando problemi interpretativi sul quadro regolativo (7). La legge n. 247/2007 (articolo 1, comma 44) attenuava la flessibilità e valorizzava le tu- tele a favore della persona del lavoratore, restringendo gli spazi dell’autonomia indivi- duale. Ma durò poco. Con la legge n. 133/2008 e l’articolo 24, comma 4, della legge n. 183/2011 si ripristinava la flessibilità del 2003 e si riaprivano gli spazi dell’autonomia individuale. Da ultimo l’articolo 1, comma 20, della legge n. 92/2012 reintroduceva il diritto del lavoratore al ripensamento con riguardo alla disponibilità su elasticità e fles- sibilità della prestazione lavorativa, prevedendosi qualche misura di riequilibrio (8). Ma le scelte prevalenti di flessibilità organizzativa non mutavano e il pendolo della discipli- na rimaneva lontano dal giusto bilanciamento degli interessi (flessibilità gestionali per un verso e interessi esistenziali e/o professionali del lavoratore di rilevanza costituziona- le per l’altro verso, come delineati dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 210/1992).
Adesso, in attuazione della delega contenuta nella legge n. 183/2014 (articolo 1, comma
7) (9), con il decreto legislativo n. 81/2015 (articoli 4-12) (10) si razionalizza e s’innova
cura di C. Cester, Utet, 2007, t. II, 1301 ss.; M. Delfino, Il lavoro part-time nella prospettiva comunitaria. Studio sul principio volontaristico, Jovene, 2008; A. Minervini, Il lavoro a tempo parziale, Giuffrè, 2009;
L. Calafà, Il contratto di lavoro a tempo parziale, in Trattato di diritto del lavoro diretto da M. Persiani e
F. Carinci, Il mercato del lavoro a cura di M. Brollo, Cedam, 2012, 1195 ss.
(4) V. C. Cattabriga, I rapporti di lavoro speciali, in F. Carinci, A. Pizzoferrato, Diritto del lavoro dell’Unione europea, Giappichelli, 2015, 218 ss.; M. Roccella, T. Treu, Diritto del lavoro dell’Unione europea, Cedam, 2012, 238 ss.; A. Boscati, S. Ferrario, Il lavoro a tempo parziale, in Aa.Vv., Diritto del lavoro dell’Unione europea, a cura di F. Carinci e A. Pizzoferrato, Utet, 2010, 537. Sugli aspetti discri- minatori v. P. Bozzao, Part-time, genere e accesso al welfare: una lettura del caso Elbal Moreno nell’ottica dell’ordinamento italiano, in DLM, 1/2013, 187 ss.; R. Santucci, “Blow up” del divieto di di- scriminazione nella disciplina del part-time, in DLM, 2/2010, 486 ss.
(5) Si consenta il rinvio a R. Santucci, La riforma “europea” del part-time: cambiano le regole, rimango- no i timori, in DML, 2000, 563 ss.
6 Sulla metafora del pendolo cfr. F. Carinci, R. De Luca Tamajo, P. Tosi, T. Treu, Diritto del lavoro. 2. Il rapporto di lavoro subordinato, IX edizione, Utet, 2016, 530.
(7) V. M. Delfino, op. cit., 391 ss.
(8) V. M. Brollo, Lavoro a tempo parziale: meno flex, più security, in F. Carinci, Commentario alla ri- forma Fornero, Supplemento a DPL, 22/2012, 118 ss.
(9) Su l. delega, primi schemi di decreti e decreti delegati, v. F. Carinci (a cura di), La politica del lavoro del governo Renzi. Atti del X seminario di Bertinoro-Bologna del 23/24 ottobre 2014, Adapt University
Press, 2015. Sulla disciplina del part-time dopo il Jobs Act, cfr. V. Bavaro, Il lavoro part-time dopo il
la disciplina. Sia pure in un quadro di semplificazione normativa e di approccio legisla- tivo organico e di regolamentazione minimale all’istituto, la logica della prevalente fles- sibilità gestionale non s’inverte e permangono squilibri della disciplina del tipo contrat- tuale. Sembra, oltre le apparenze e il primo acchito, che il decreto legislativo n. 81/2015 non “semplifichi” e “razionalizzi” soltanto la disciplina, depurandola da pastoie proce- durali e sostanziali e abrogando il decreto legislativo n. 61/2000 (articolo 55, comma 1, lettera a, ma ne modifichi in modo sensibile anche l’assetto (11), senza negare la ratio prevalente negli interventi legislativi di questo secolo. L’analisi del Jobs Act – anche al- la luce delle determinazioni della giurisprudenza, che incidono sulla sistematica della figura contrattuale – consente quindi di toccare con mano novità, aporie (vecchie e nuo- ve) e grado di squilibrio.
2. Le novità e le conferme in materia di definizioni e contenuti del part-time: omissioni, approssimazioni e acquisizioni del diritto giurisprudenziale
L’articolo 4 del decreto legislativo n. 81/2015 rammenta che nel rapporto di lavoro su- bordinato, anche a tempo determinato, l’assunzione può avvenire a tempo pieno o par- ziale (12). Inoltre l’articolo 5, comma 2, del decreto legislativo n. 81/2015 conferma i contenuti del contratto part-time: in esso deve essere data puntuale indicazione «della durata della prestazione lavorativa e della collocazione temporale dell’orario con riferi-
d.lgs. 81/2015, in D. Garofalo, E. Ghera (a cura di), Contratti di lavoro, mansioni e misure di conciliazio- ne vita-lavoro nel Jobs Act 2, Cacucci, 2015, 215 ss.; L. Calafà, Lavoro a tempo parziale, in F. Carinci (a cura di), Commento al d.lgs. 15 giugno 2015, n. 81: le tipologie contrattuali e lo jus variandi, Adapt Uni- versity Press, 2015, 98 ss.; A. Cimarosti, Il part-time dopo il Jobs Act, in LG, n. 10/2015, 886 ss.; R. San- tucci, Il contratto di lavoro part-time all’epoca del jobs act: un agguato gattopardesco?, in LPA, 2015, 217 ss.; R. Voza, Il “riordino” del contratto di lavoro a tempo parziale, in LG, 2015, 12, 1115 ss.; M. Altimari, Nuova disciplina del lavoro a tempo parziale (artt. 4-12, d.lgs. n. 81/2015), in M. Magnani, A. Pandolfo, P.A. Varesi (a cura di), I contratti di lavoro, Giappichelli, 2016, 47 ss.; S. Bellomo, La riscrit- tura della disciplina in materia di contratto di lavoro a tempo parziale: semplificazione, unificazione e ricalibratura dell’equilibrio tra autonomia collettiva e individuale, in G. Zilio Grandi, M. Biasi (a cura di), Commentario breve alla riforma “Jobs Act”, Cedam, 2016, 503 ss.; Gamberini G., Part-time e lavoro a orario ridotto tra Jobs Act e legge di stabilità per il 2016, in M. Tiraboschi (a cura di), Le nuove regole del lavoro dopo il Jobs Act, Giuffrè, 2016, 138 ss.
(10) Gli articoli sono inseriti nella sezione I dedicata al lavoro a tempo parziale del Capo II (Lavoro a ora-
rio ridotto e flessibile); rilevano poi, anche in materia di part-time, gli artt. 51 (Norme di rinvio ai contrat- ti collettivi) e 55 (Abrogazioni e norme transitorie).
(11) Anche S. Bellomo, op. cit., 503 ss., ritiene assai approfondita la revisione della disciplina operata dal d.lgs. n. 81/2015.
(12) Su cui cfr. S. Bellomo, Artt. 2107-2109 cod. civ., in G. Amoroso, V. Di Cerbo, A. Maresca (a cura
di), Diritto del lavoro, Cedam, 2009; V. Ferrante, Orario e tempi di lavoro, Dike, 2014; A. Fenoglio, L’orario di lavoro tra legge e autonomia privata, Esi, 2012; P. Ichino, L. Valente, L’orario di lavoro e i riposi. Artt. 2107/2109, in Il codice civile. Commentario (diretto da F. D. Busnelli), Giuffrè, 2012; M.G. Mattarolo, I tempi di lavoro, in M. Martone (a cura di), Contratto di lavoro e organizzazione, Cedam, 2012; A. Occhino, Orari flessibili e libertà, in RIDL, 1/2012, 169 ss.; S. Buoso, Orario di lavoro: poten- zialità espresse e inespresse, in LD, 1/2017, 111 ss.
mento al giorno, alla settimana, al mese e all’anno». Manca però la completa e organica definizione del tempo parziale e cadono precedenti distinzioni (13).
Presumendosi quindi che il part-time sia determinabile in relazione al full-time, si defi- nisce il tempo pieno, rinviandosi all’articolo 3 del decreto legislativo n. 66/2003 sull’orario di lavoro. Il tempo pieno è perciò l’orario normale di lavoro, fissato in 40 ore settimanali dall’articolo 3, comma 1, del decreto legislativo n. 66/2003 ovvero l’eventuale minore orario normale, stabilito dai contratti collettivi stipulati da organiz- zazioni sindacali dei lavoratori comparativamente più rappresentative (14). Tali contratti collettivi possono poi riferire l’orario normale di lavoro (vale a dire le 40 ore o la minor durata fissata dagli stessi contratti) alla durata media delle prestazioni lavorative in un periodo non superiore all’anno (articolo 3, comma 2, decreto legislativo n. 66/2003). Si tratta, in quest’ultimo caso, dell’orario cd. multiperiodale nell’ambito del quale, in pe- riodi di maggiore attività, è possibile superare il limite delle 40 ore settimanali senza ri- cadere nella disciplina limitativa dello straordinario. Resta fermo però il limite della du- rata massima settimanale dell’orario di lavoro, che non può, in ogni caso, superare, per ogni periodo di sette giorni, le 48 ore medie, comprese le ore di straordinario, nell’arco temporale di riferimento non superiore a 4 mesi (articolo 4, commi 2 e 3, decreto legi- slativo n. 66/2003) (15).
È da sottolineare come nella normativa del 2003 si faccia riferimento ai “contratti col- lettivi”. Di conseguenza anche i contratti territoriali e aziendali, oltre quelli nazionali – purché stipulati da organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative – possono stabilire una durata minore ovvero prevedere orari multiperiodali. Va inoltre rammentato che il contratto collettivo aziendale potrebbe usufruire dell’ampia apertura derogatoria prevista dall’articolo 8 del decreto-legge n. 138/2011, convertito, con modi- ficazioni, dalla legge n. 148/2011 (16).
(13) S. Bellomo, La riscrittura, cit., 505, ritiene che l’attuale nozione di part-time non si distacchi nella sostanza da quella del precedente sistema normativo.
(14) Così dispone, in merito ai soggetti sindacali del contratto collettivo, l’art. 1, co. 2, lett. m), del d.lgs. n. 66/2003.
(15) Il limite del periodo di riferimento può essere elevato dai contratti collettivi fino a sei mesi ovvero
fino a dodici a fronte di ragioni obiettive, tecniche o inerenti all’organizzazione del lavoro specificate nei contratti collettivi (art. 4, co. 4).
(16) Come noto, l’art. 8, dedicato a sostenere la contrattazione collettiva di prossimità, consente ai contrat- ti collettivi aziendali o territoriali – stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresenta-
tive sul piano nazionale o territoriale ovvero dalle loro rappresentanze sindacali operanti in azienda, ai sensi della normativa di legge e degli accordi interconfederali vigenti, compreso quello del 28 giugno 2011 – «di realizzare specifiche intese con efficacia nei confronti di tutti i lavoratori interessati, a condi- zione di essere sottoscritte sulla base di un criterio maggioritario relativo alle predette rappresentanze sin- dacali, finalizzate alla maggiore occupazione, alla qualità dei contratti di lavoro, all’adozione di forme di partecipazione dei lavoratori, alla emersione del lavoro irregolare, agli incrementi di competitività e di salario, alla gestione delle crisi aziendali e occupazionali, agli investimenti e all’avvio di nuove attività». Le specifiche intese possono riguardare la regolazione delle materie inerenti all’organizzazione del lavoro e della produttività con riferimento anche ai contratti a orario ridotto, modulato o flessibile nonché alla disciplina dell’orario di lavorio (art. 8, co. 2, lettere c e d). Di notevole rilevanza il comma 2-bis dell’art. 8 secondo cui, fermi restando il rispetto della Costituzione nonché i vincoli derivanti dalle normative co- munitarie e dalle convenzioni internazionali sul lavoro, «le specifiche intese di cui al comma 1 operano anche in deroga alle disposizioni di legge che disciplinano le materie richiamate dal co. 2 ed alle relative regolamentazioni contenute nei contratti collettivi nazionali di lavoro». Sul punto S. Buoso, op. cit., 121 ss., fa notare in ogni caso che per la materia oggetto di analisi (orario di lavoro), «tuttavia, i ben noti limiti esterni di rango costituzionale ed europeo sono idonei a ridurre l’impatto delle deroghe di cui all’art. 8» (122). Bisogna inoltre prendere atto dell’attuale ruolo marginale della disposizione e delle prassi attuati-
L’articolo 51 del decreto legislativo n. 81/2015 stabilisce tuttavia un nuovo sistema re- lazionale tra legge e contratto collettivo nelle materie ivi disciplinate, prevedendo che, salvo diversa previsione, ai fini del decreto, per contratti collettivi s’intendono i contrat- ti collettivi nazionali, territoriali o aziendali stipulati da «associazioni sindacali compa- rativamente più rappresentative sul piano nazionale e i contratti collettivi aziendali sti- pulati dalle loro rappresentanze sindacali aziendali ovvero dalla rappresentanza sindaca- le unitaria».
Nell’ambito dei rapporti collettivi, rispetto al decreto legislativo n. 66/2003 ma in sinto- nia con l’articolo 8 del decreto-legge n. 138/2011, ci si trova dinnanzi ad una restrizione dei soggetti sindacali a livello aziendale, in quanto possono essere, per un verso, le as- sociazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale (non le organizzazioni sindacali dei lavoratori comparativamente più rappresentative) e, per un secondo verso, sono le RSA costituite nell’ambito delle stesse associazioni (17), e ad almeno due problemi:
a. la sopravvivenza dell’articolo 8 del decreto-legge n. 138/2011;
b. la nozione di sindacato rappresentativo abilitato alla stipulazione dei contratti collet- tivi, derogatori o no (18).
Quanto al primo problema sembra evidente, a parte l’eventuale marginalizzazione o ri- strettezza di operatività per i vincoli costituzionali ed europei dell’articolo 8, che tale di- sciplina possa ritenersi vigente solo per le materie non toccate dalla riforma del Jobs Act nei rapporti tra legge e contratti collettivi; quindi per il part-time è superato quanto pre- visto dall’articolo 8 del decreto-legge n. 138/2011, nelle parti in cui sono state esplici- tamente affidate alla contrattazione collettiva dal decreto legislativo n. 81/2015, ma non per le parti non affidate al contratto collettivo e in ogni caso non per l’orario di lavoro ( 19 ). Quanto alla seconda questione, riscontrata l’approssimazione dell’articolo 51 nell’approccio alla materia, può interpretarsi il sistema Jobs Act nel senso di un rinvio implicito alle regole sindacali con riguardo alla specificazione dei soggetti sindacali abi-
ve: cfr. da ultimo R. Nunin, Game over o rilancio? La contrattazione della flessibilità dopo il Jobs Act, in
RGL, 2016, II, 373 ss.
(17) L’aspetto è sottolineato da V. Leccese, op. cit., 60, che, nel rilevare l’identità di soluzione con l’art. 8 del d. l. n. 138, ritiene che «la scelta selettiva si spiega, evidentemente, alla luce dell’ampiezza e della de-
licatezza delle competenze, anche derogatorie, attribuite dal decreto ai contratti collettivi (talune delle quali, ad es. in materia di contratti a termine, erano in passato riservate ai soli contratti nazionali) e, come già osservato a proposito del già citato art. 8, d.l. n. 138, contribuisce a ridimensionare il rischio che si creino in azienda RSA “di comodo”, allo specifico scopo di sfruttare gli spazi regolativi e derogatori con- cessi dalla legge».
(18) Sullo stato dell’arte in materia v. da ultimi M. Magnani, Aspetti istituzionali e prassi della contratta-
zione collettiva tra rinnovamento e tradizione: il rapporto tra legge e autonomia collettiva, in DRI, 1/2017, 1 ss.; M. Lai, Una “norma di sistema” per contrattazione e rappresentanza, ibidem, 45 ss.; A. Bel- lavista, Jobs Act, politiche del lavoro e autonomia collettiva, in F. Santoni, M. Ricci, R. Santucci (a cura di), Il diritto del lavoro all’epoca del jobs act, Esi, 2016, 27 ss.; R. De Luca Tamajo, La (in)derogabilità della normativa lavoristica ai tempi del Jobs Act, in O. Mazzotta (a cura di), Lavoro ed esigenze dell’impresa fra diritto sostanziale e processo dopo il Jobs Act, Giappichelli, 2016, 25 ss.; P. Passalacqua, L’equiordinazione tra i livelli della contrattazione quale modello di rinvio legale all’autonomia collettiva ex art. 51 del d.lgs. 81/2015, in DLM, 2016, 275 ss.; S. Mainardi, Le relazioni collettive nel “nuovo” di- ritto del lavoro, Relazione alle giornate di studio Aidlass, Legge e contrattazione collettiva nel diritto del lavoro post statutario, Napoli, 16-17 giugno 2016; L. Zoppoli, Le fonti (dopo il Jobs Act): autonomia ed eteronomia a confronto, in O. Mazzotta (a cura di), op. cit., 3 ss.; A. Pizzoferrato, L’autonomia collettiva nel nuovo diritto del lavoro, in DLRI, 2015, 411 ss. Con riguardo al part-time cfr. anche V. Leccese, op. cit., 45.
(19) V. sul punto già P. Passalacqua, L’equiordinazione, cit., 275 ss.
litati. A differenza dell’articolo 8 del decreto-legge n. 138/2011, stranamente manca nell’articolo 51 l’esplicito riferimento al sistema rappresentativo delineato dagli accordi interconfederali. Tuttavia, in attesa della nuova legge sulla rappresentatività del sindaca- to, il referente normativo sulla rappresentatività (criteri di misurazione della rappresen- tanza sindacale; regolamentazione delle rappresentanze in azienda; titolarità ed efficacia della contrattazione collettiva nazionale di categoria e aziendale) non può che essere l’accordo interconfederale del 10 gennaio 2014, sottoscritto da Confindustria e sindacati confederali Cgil, Cisl e Uil nonché quello sottoscritto, nella stessa data, con UGL, o, per meglio dire, il sistema normativo sindacale posto in essere dalle parti sociali, che rispet- teranno i predetti accordi (20).
Per quest’aspetto definitorio del tempo “parziale” rispetto a quello “pieno”, si osserva un’innovazione formale nella disciplina del part-time: il rinvio completo all’articolo 3 del decreto legislativo n. 66/2003, che consente e facilita l’utilizzazione del parametro dell’orario multiperiodale, laddove nell’articolo 1, comma 2, lettera a, del decreto legi- slativo n. 61/2000, come modificato dal decreto legislativo n. 276/2003, si stabiliva per tempo pieno «l’orario normale di lavoro di cui all’art. 3, comma 1, del d. lgs. n. 66/2003, o l’eventuale minor orario normale fissato dai contratti collettivi applicati»; pertanto, il riferimento all’orario multiperiodale poteva considerarsi compreso, solo in via interpretativa, nel rinvio alla competenza dei contratti collettivi sulla determinazione della durata dell’orario di lavoro (minore rispetto alla legge, rigida o flessibile). Sul con- tratto part-time, sulla fisiologica durata e collocazione oraria, si proietta espressamente la flessibilità realizzabile in base alla normativa contrattuale (autorizzata dalla legge) sull’orario di lavoro.
Nella formulazione del nuovo decreto viene inoltre meno la definizione di “tempo par- ziale”, precedentemente fissata dall’articolo 1, comma 2, lettera b, del decreto legislati- vo n. 61/2000, come il contratto in cui l’orario di lavoro, stabilito dal contratto indivi- duale, risulti comunque inferiore al tempo pieno. Nella sua foga di snellimento e sem- plificazione, il legislatore ha omesso tale indicazione, dando per scontato probabilmente che il part-time sia comunque inferiore al tempo pieno. Non può essere che così. Fortu- natamente soccorre il riferimento alla normativa europea – e dunque in caso di contro- versia non potrebbe che prevalere l’interpretazione conforme al diritto dell’Unione eu- ropea – in quanto la clausola 3, n. 1, dell’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale de- finisce il lavoratore a tempo parziale come quello il cui orario di lavoro normale, calco- lato su base settimanale o in media su un periodo di impiego fino ad un anno, è inferiore a quello di un lavoratore a tempo pieno comparabile (21).
Sono state eliminate poi le varianti del part-time (articolo 4) – orizzontale, verticale e misto – ma non sono scomparse né divenute irrilevanti (22). Di fatto continuano a per- manere e potrebbero utilizzarsi anche per operare, a livello negoziale, un più adeguato riproporzionamento dei diritti (23); in qualche caso la legislazione le richiama diretta- mente (24) o indirettamente (con riferimento all’articolazione dell’orario nell’articolo 7
(20) V. sul punto P. Lambertucci, Il contratto collettivo aziendale nell’assetto delle fonti di disciplina del rapporto di lavoro tra autonomia e decentramento controllato, in DML, n. 1/2016, 47 ss.; nonché M. Ma- gnani, op. cit.; M. Lai, op. cit.; A. Bellavista, op. cit., 35 e P. Passalacqua, L’equiordinazione, cit., 275 ss.
(21) Sul fatto che il tempo parziale risulti inferiore al tempo pieno v. anche V. Leccese, op. cit., 45.
(22) Diversamente S. Bellomo, La riscrittura, cit., 505; V. Leccese, op. cit., 46 ss.
(23) In tal senso v. anche G. Gamberini, op. cit., 139; V. Leccese, op. cit., 47.
(24) V. l’art. 24, co. 6, del d.lgs. n. 80/2015: si tratta della trasformazione del full time in part-time oriz- zontale o verticale (e viceversa) al quale hanno diritto le donne lavoratrici, vittime di violenza di genere, inserite nei percorsi di protezione. È evidente che si tratta di un difetto assoluto di coordinamento e le la-
sul divieto di discriminazione); l’Inps poi riconnette posizioni contributive diverse tra part-time orizzontale e verticale e la giurisprudenza ne tiene conto ai fini del riconosci- mento di diritti previdenziali: l’eliminazione delle varianti potrebbe ulteriormente sup- portare le interpretazioni finalizzate a superare disparità di trattamento previdenziale tra le diverse forme (si veda infra, § 8).
Nell’ambito del nuovo decreto, all’eliminazione delle varianti si accompagna comunque un riflesso nella disciplina del lavoro supplementare e delle clausole elastiche, che non incontrano restrizioni di applicazione nella varia tipologia del part-time. La “semplifica- zione” conferma allora un’utilizzazione ancora più flessibile del part-time.
Un’altra rilevante novità è costituita dalle modalità di determinazione della collocazione della prestazione lavorativa.
Innanzitutto, è individuabile un nucleo essenziale del contratto part-time costituito dalla minore durata rispetto al full-time, e dalla distribuzione oraria: elementi senza dei quali non può dirsi di essere in presenza di un contratto part-time e che sono oggetto di speci- fica disciplina e attenzione perché negli stessi si concentrano tanto l’interesse del lavo- ratore ad organizzarsi il tempo libero in modo da reperire ulteriori attività lavorative o svolgere altri propri impegni, quanto quello del datore di lavoro alla gestione flessibile del tempo di lavoro (25). Il legislatore l’ha un po’nascosto e ha continuato a perseguire una soluzione formalmente ambigua. Tuttavia nella disposizione in cui si occupa della forma probatoria (articolo 5) si dice espressamente quale debba essere il contenuto del contratto (durata e collocazione oraria); e tale contenuto emerge anche dal diritto giuri- sprudenziale. Si è ritenuto (26), invece, che elemento essenziale del contratto sia esclusi- vamente la durata in base al fatto che tra le sanzioni previste dall’articolo 10 del decreto legislativo n. 81/2015 è stabilita la trasformazione del contratto part-time in contratto full-time quando difetti la prova del contratto e quella sulla durata, mentre nel caso dell’omissione sulla distribuzione il giudice la determina e non è prevista la trasforma- zione. Ma la scelta opinabile e confusa del legislatore sul sistema sanzionatorio relativa ad effetti normativi che derivano dal difetto della forma processuale – che non riguarda il “contratto” ma la “prova” del contratto – non toglie che il contratto nella sua essenza di contenuti (come appunto afferma l’articolo 5, comma 2) e di finalità debba basarsi su durata e distribuzione dell’orario per consentire al lavoratore di organizzare gli altri suoi impegni di vita e di lavoro che potrebbero garantirgli la soddisfazione innanzitutto del diritto di cui all’articolo 36 Cost. e di altri suoi diritti esistenziali.
voratrici avranno diritto al part-time anche diverso disponibile in azienda. Per la segnalazione dell’aporia
v. Altimari M., op. cit., 51.
(25) Sulla libertà di programmare altre attività, con le quali integrare il reddito ricavato dal lavoro a tempo parziale, che va salvaguardata in quanto soltanto essa rende legittimo il fatto che, dal singolo rapporto di lavoro, il dipendente percepisca una retribuzione inferiore a quella “sufficiente” ex art. 36 Cost., v. da ul- timo Cass. n. 19918/2016, ma già Corte costituzionale sentenza n. 210/1992 secondo cui risulta «lesivo della libertà del lavoratore che da un contratto di lavoro subordinato possa derivare un suo assoggetta- mento ad un potere di chiamata esercitabile, non già entro coordinate temporali contrattualmente prede- terminate od oggettivamente predeterminabili, ma ad libitum, con soppressione, quindi, di qualunque spa- zio di libera disponibilità del proprio tempo di vita, compreso quello non impegnato dall’attività lavorati- va». Di recente la Cassazione (sent. n. 13196/2017) ha stabilito che il datore di lavoro non ha un potere incondizionato di incidere unilateralmente sul diritto del lavoratore in regime di part-time di svolgere un’altra attività lavorativa e quindi è nullo un divieto generale di svolgere altra attività lavorativa, mentre è ammissibile e coerente con il dettato costituzionale di cui agli artt. 4 e 35 Cost., la verifica della incom- patibilità in concreto della diversa attività, svolta al di fuori dell’orario di lavoro, con le finalità istituzio- nali e con i doveri connessi alla prestazione, ai sensi degli artt. 2104 e 2105 cod. civ.
(26) Cfr. V. Bavaro, op. cit., 217 ss.
Ciò detto, si osserva che la distribuzione e la durata possono adesso avvenire anche
«mediante rinvio a turni programmati di lavoro articolati su fasce orarie prestabilite» (articolo 5, comma 3). È chiaro che per un lavoratore che s’impegna a svolgere un lavo- ro part-time, inserendosi in una turnazione, è più difficile il reperimento di altra occupa- zione o lo svolgimento di altra attività personale. Il problema era già emerso in passato. La flessibilità era già considerata possibile dal Ministero del lavoro (27) che l’ancorava alle previsioni dei contratti collettivi: se i contratti collettivi avessero previsto la pro- grammabilità del part-time con riferimento a turni articolati su fasce orarie prestabilite e questi fossero stati recepiti nel contratto individuale, sarebbe risultata soddisfatta la pre- scrizione legislativa della puntuale indicazione della collocazione temporale della pre- stazione con riferimento al giorno, alla settimana, al mese e all’anno. Quindi turnazione sì, ma con la garanzia di una previa determinazione collettiva e conoscenza da parte del lavoratore. Anche la giurisprudenza se n’è occupata. In due sentenze la Cassazione ne traccia le coordinate. Considera legittima la proposta contrattuale del datore di lavoro che, fin dall’origine, preveda un rapporto di lavoro part-time con una precisa e prede- terminata articolazione della prestazione su turni, così da consentire al lavoratore di co- noscere con esattezza il tempo del suo impegno lavorativo, entro coordinate temporali contrattualmente definite ed oggettivamente predeterminabili (28). In particolare la Cas- sazione, affermando che la distribuzione oraria integra il nucleo stesso del contratto a tempo parziale (29) ritiene necessario che il lavoratore conosca preventivamente il pe- riodo di svolgimento della sua prestazione. Nel rispetto di tale preventiva determinazio- ne, il contratto di lavoro a tempo parziale è compatibile con un’organizzazione del lavo- ro articolata su turni predefiniti, purché ciò abbia carattere convenzionale, sottraendosi ad ogni variazione unilaterale del datore di lavoro. Per la Cassazione, la variazione uni- laterale della collocazione nel tempo della prestazione lavorativa è dunque illegittima, poiché il lavoratore è interessato alla puntuale osservanza del suo impegno presso l’azienda, onde conciliarlo con le proprie esigenze familiari e/o con altre attività di lavo- ro, con le quali egli potrebbe integrare il reddito ricavato dal lavoro a tempo parziale: possibilità che va salvaguardata in quanto essa soltanto giustifica la retribuzione spet- tante al dipendente, inferiore a quella “sufficiente” ex articolo 36 Cost. (30). Può così af- fermarsi che, ove il rapporto di lavoro part-time preveda una precisa e predeterminata articolazione della prestazione su turni, sì che il lavoratore sia posto in grado di cono- scere con esattezza il tempo del suo impegno lavorativo, il contratto deve ritenersi vali- damente stipulato, rimanendo escluso il potere del datore di lavoro di variare l’orario lavorativo a suo arbitrio, senza alcuna preventiva concertazione, ovvero al di fuori delle modalità fissate dal decreto legislativo n. 61/2000, articolo 3 (nel testo applicabile ra- tione temporis). È legittima dunque la proposta contrattuale che fin dall’origine deter- mini su turni l’articolazione dell’orario, entro coordinate temporali contrattualmente predeterminate od oggettivamente predeterminabili, non individuandosi nell’ordinamento norme che contraddicano tale potere di organizzazione del lavoro da parte dell’imprenditore. La formula legislativa stabilisce dunque le condizioni minimali che rendono ammissibile la determinazione della collocazione oraria del part-time, nel momento in cui si stipula il contratto stesso (accordo e condizioni per consentire al la-
(27) V. la circolare n. 9/2004.
(28) V. la sent. n. 17009 del 2014.
(29) In tal senso anche Cass. n. 1430/2012 e già Corte cost. sentenza n. 210/1992.
(30) Cfr., sia pure con riferimento alla disciplina previgente, di cui all’art. 5 della l. n. 863/1984, Cass. n. 3451/1997; n. 9134/2000; n. 3898/2003; n. 14215/2005; ma soprattutto Corte cost. n. 210/1992.
voratore di organizzarsi: turni programmati su fasce orarie prestabilite) (31). Bisogna poi stabilire se è possibile variare l’iniziale collocazione. La Cassazione sicuramente ritiene possibile la variazione pattizia, escludendo quella unilaterale.
Si è sostenuto che l’innovazione legislativa consentirebbe alle parti, all’atto della stipu- lazione del contratto di lavoro, di autorizzare il datore di lavoro a provvedere volta a volta all’inserimento del lavoratore nei diversi turni sulla base delle contingenti esigen- ze organizzative, con il solo limite delle più ampie fasce orarie interessate dalla turna- zione. Una tale ipotesi viene considerata costituzionalmente illegittima in quanto irri- spettosa del tempo di vita da salvaguardare, secondo i dettami della sentenza n. 210 del 1982 della Corte costituzionale, per rendere compatibile la disposizione con il principio di programmabilità del tempo del part-time e della facoltà del lavoratore di svolgere al- tre eventuali attività, che gli consentono di percepire, con più rapporti a tempo parziale, una retribuzione complessivamente sufficiente a realizzare un’esistenza libera e dignito- sa (32). Effettivamente così impostata la turnazione, volta per volta, secondo le esigenze organizzative e senza alcun preavviso sarebbe sconvolgente per il part-timer e impatte- rebbe sui principi costituzionali. La disposizione fa riferimento però a turni programma- ti, e non solo alla fascia oraria: la programmazione implica che si enunci ciò che è ne- cessario o che ci si propone di fare. Si può richiamare poi la definizione del decreto le- gislativo n. 66/2003 in materia di lavoro a turni (articolo 1, comma 2, lettera f): «qual- siasi metodo di organizzazione del lavoro anche a squadre in base al quale i lavoratori siano successivamente occupati negli stessi posti di lavoro, secondo un determinato rit- mo, compreso il ritmo rotativo, che può essere di tipo continuo o discontinuo, e il quale comporti la necessità per i lavoratori di compiere un lavoro a ore differenti su un perio- do determinato di giorni o di settimane». Ci sono poi le clausole dei contratti collettivi che si occupano della possibilità del cambio turno, prevedendo preavvisi (33).
Se mancasse o fosse carente la programmazione puntuale dei turni ovvero se difettasse o fosse esiguo il preavviso per il cambio turno, si potrebbe ritenere che l’articolazione per turni per il contratto part-time sia illegittima. L’ammissibilità dell’articolazione po- trebbe assicurarsi attraverso la clausola elastica e le garanzie previste per la legittima apposizione di quest’ultima, che dovrebbero riguardare tutti gli aspetti della turnazione, compreso il cambio del turno: ma si tratterebbe di un salvataggio incerto e ambiguo, in quanto anche le regole sulle clausole elastiche – specie quella sul preavviso – non tute- lano del tutto gli interessi del lavoratore (si veda infra, § 5).
(31) Nello stesso senso v. S. Bellomo, La riscrittura, cit., 506.
(32) Cfr. V. Bavaro, op. cit., 218 ss.; V. Leccese, op. cit., 47 ss., che individua un percorso interpretativo finalizzato a rendere compatibile il disposto legislativo con i principi costituzionali.
(33) Cfr., ad esempio, l’art. 19 Ccnl 13 settembre 2012 per i dipendenti delle aziende esercenti l’industria della carta e cartone, e per le aziende cartotecniche e trasformatrici della carta e del cartone: per il cambio
turno prevede che «nel rispetto dell’orario di lavoro contrattuale e nel rispetto del numero previsto dall’organico tecnico, l’azienda può modificare con un preavviso minimo di 18 ore lo schema di turna- zione originariamente programmato di singoli lavoratori al fine di poter sopperire a temporanee necessità di carattere organizzativo e/o di carattere produttivo. Lo spostamento di turno, che è impegnativo per il lavoratore interessato, può essere effettuato entro un limite massimo di 24 volte l’anno. A fronte della provvisoria modifica del turno giornaliero di lavoro il lavoratore manterrà la maggiorazione originaria- mente applicabile, se più favorevole. Sono fatte salve comprovate situazioni di obiettivo impedimento da parte del lavoratore». Il contratto, rinnovato di recente (30 novembre 2016), esclude però che le presta- zioni a tempo parziale organizzate a turni configurino una fattispecie di clausola elastica, come disciplina- ta dall’art. 6 del d.lgs. n. 81/2015. V. anche l’art. 38 Ccnl 4 febbraio 2014 Tessili (industria) secondo cui le modificazioni dei turni devono essere notificate 24 ore prima e, in caso di modifica, al lavoratore che cambia turno deve essere garantito un adeguato periodo di riposo.
3. La forma scritta ad probationem e le incongruenze del regime sanzionatorio
Il contratto di lavoro a tempo parziale è stipulato in forma scritta ai fini della prova (ar- ticolo 5, comma 1). L’esame della disciplina della prova deve essere svolta in combina- zione con il regime sanzionatorio, che dispone anche la trasformazione del rapporto, in caso di difetto di prova, da part-time a full-time (articolo 10). In buona sostanza è con- servata la disciplina previgente, ma si segnalano alcune novità del decreto legislativo n. 81/2015. Sembra comunque opportuna una trattazione organica della tematica.
È confermata la forma ad probationem del contratto a tempo parziale (34).
Si snellisce la disposizione legislativa rispetto a quella del decreto legislativo n. 61/2000 (articolo 8, così come modificato dall’articolo 46, comma 2, del decreto legislativo n. 276/2003) relativamente alla forma, evitandosi richiami superflui. L’articolo 8, comma 1, del decreto legislativo n. 61/2000 stabiliva infatti che qualora «la scrittura risulti mancante, è ammessa la prova per testimoni nei limiti di cui all’articolo 2725 del codice civile». Nonostante l’omissione nel decreto legislativo n. 81, si può ritenere che si ap- plichino in ogni caso le disposizioni codicistiche sulla prova (35), cioè proprio l’articolo 2725 c.c. secondo cui, con riguardo agli atti per i quali è richiesta la prova per iscritto o la forma scritta, la prova per testimoni è ammessa solo in un caso: quando il contraente abbia perduto senza sua colpa il documento che gli forniva la prova (si richiama il pri- mo comma, n. 3, dell’articolo 2724 c.c.). C’è dunque una restrizione probatoria sulla prova testimoniale e su quella per le presunzioni (articolo 2729, secondo comma, c.c.) che non si possono ammettere nei casi in cui la legge esclude la prova per testimoni (36). Si fa notare che la restrizione conosce temperamenti: concernendo solo la prova dell’esistenza e dei contenuti del contratto, essa non riguarda fatti diversi «suscettibili d’influenzare il rapporto contrattuale (il luogo della conclusione del contratto, non risul- tante dal documento, può provarsi liberamente, e così pure ogni elemento utile per l’interpretazione del contratto) […] Inoltre, la mancanza del documento e l’inammissibilità della prova testimoniale non precludono che la prova possa raggiun- gersi con altri mezzi, non documentali: in particolare, con la confessione di controparte o col giuramento a lei deferito» (37). Si può dunque concludere che la mancanza del do- cumento probatorio su esistenza e contenuti del contratto non precluda ogni possibilità di prova.
L’inosservanza del vincolo di forma (sia pure probatorio), non diversamente dal passa- to, rileva anche a fini diversi da quelli strettamente probatori. L’articolo 10 del decreto legislativo n. 81, non distaccandosi dalla precedente disciplina, stabilisce che nelle ipo-
(34) Per un’approfondita e organica disamina degli aspetti formali del contratto di lavoro v. M. D’onghia, La forma vincolata nel diritto del lavoro, Giuffrè, 2005, anche con l’analisi specifica delle regole sul part- time (205 ss.). In generale sulla forma del contratto cfr. V. Roppo, Il contratto, Giuffrè, 2011, 231 ss.; P. Perlingieri, Manuale di diritto civile, Esi, 2017, 504 ss.
(35) In tal senso anche S. Bellomo, La riscrittura, cit., 516; V. Leccese, op. cit., 64.
(36) Così V. Roppo, op. cit., 233; P. Perlingieri, op. cit., 506, secondo cui anche la forma solenne preclude alle parti la possibilità di provare altrimenti la forma scritta del negozio.
(37) V. Roppo, Il contratto, cit., 233.
tesi di difetto di prova in ordine alla stipulazione a tempo parziale del contratto di lavoro oppure, qualora nel contratto scritto non sia determinata la durata della prestazione la- vorativa, il lavoratore può richiedere la sussistenza di un rapporto di lavoro a tempo pieno, fermo restando, per il periodo precedente alla pronuncia, il diritto del lavoratore alle retribuzioni dovute per le prestazioni effettivamente rese e, nel secondo caso (omis- sione della durata), a un’ulteriore somma a titolo di risarcimento del danno. Qualora manchi l’indicazione della collocazione temporale dell’orario, il giudice determina le modalità di svolgimento della prestazione, tenendo conto tanto delle esigenze del lavo- ratore (di tipo familiare e di integrazione del reddito mediante lo svolgimento di altra attività lavorativa) quanto di quelle del datore: in aggiunta alle retribuzioni dovute per le prestazioni effettivamente rese, il lavoratore ha diritto a un’ulteriore somma a titolo di risarcimento del danno. In quest’ultima ipotesi dunque il lavoratore non può chiedere la trasformazione del rapporto da tempo parziale a tempo pieno.
La somiglianza con la precedente disciplina rende attuali alcune osservazioni critiche svolte già in passato (38).
Sembra innanzitutto che sia rimasta poco chiara o irragionevole la soluzione per la de- correnza della conversione del contratto. Nel precedente testo si stabiliva la decorrenza a partire dalla data in cui la mancanza della scrittura fosse giudizialmente accertata, su- scettibile di essere intesa come sinonimo della data della sentenza ovvero di quella della domanda introduttiva del relativo giudizio ovvero dalla costituzione in mora del datore di lavoro, attraverso la manifestazione di disponibilità del lavoratore (39); adesso la di- sposizione stabilisce la decorrenza dalla pronuncia giudiziale. In questo modo il testo sembra meno elastico e ancorato chiaramente alla pronuncia del giudice, dando spazio ai rilievi critici sulla costituzionalità della scelta (in base agli articoli 3 e 24 Cost.) in quanto il trattamento differenziato si determina grazie alla «accidentale circostanza del- la differenza dei tempi processuali nei diversi uffici giudiziari» e il diritto di difesa è ga- rantito se è rispettato «il fondamentale principio secondo cui la durata del processo non può andare a danno dell’attore che ha ragione» (40).
Sicuramente è da condividere l’idea secondo la quale la conversione del contratto av- viene se ricorrano due condizioni: quella oggettiva di difetto di prova e quella soggetti- va della richiesta da parte del lavoratore (41). Ma ciò detto, si assiste alla presenza di un onere formale prescritto per la prova e, contraddittoriamente, di una sanzione normativa predeterminata, «tipica […] della violazione della forma costitutiva» (42). La disposi- zione suscita notevoli perplessità.
Sotto il profilo del diritto privato, l’istituto di riferimento dovrebbe essere quello della conversione: questo, come noto, però è un mezzo di recupero del contratto nullo che salva gli effetti contrattuali trasformandoli in effetti diversi. L’articolo 1424 c.c. prevede tale possibilità ove risulti che le parti avrebbero voluto il nuovo contratto se avessero conosciuto la nullità (perché il meccanismo operi è necessario che il contratto nullo ab- bia i requisiti di sostanza e di forma previsti per il contratto frutto della conversione). I
(38) Sia consentito il rinvio a R. Santucci, op. cit., 569 ss.; ma ampiamente cfr. M. D’onghia, op. cit., 213 ss.
(39) Sulle aporie del testo previgente cfr. M. D’onghia, op. cit., 213 ss.
(40) A. Vallebona, La nuova disciplina del rapporto a tempo parziale, in MGL, 2000, 494.
(41) V. ancora M. D’onghia, op. cit., 213, e già G. Bolego, Il nuovo apparato sanzionatorio, in M. Brollo (a cura di), Il lavoro a tempo parziale, Ipsoa, 2001, 186 ss.
(42) M. D’onghia, op. cit., 218: l’osservazione dell’a. riguarda il d. lgs. n. 61/2000, ma si attaglia perfet- tamente anche al d.lgs. n. 81/2015.
requisiti della conversione sono quindi la nullità del contratto di partenza, la possibilità che si utilizzi il mezzo e la volontà delle parti del nuovo contratto (che deve possedere i requisiti di sostanza e di forma prescritti dall’ordinamento). La fattispecie giuslavoristi- ca sembra ben lungi dal presentare i caratteri dello strumento privatistico in questione. Anche se si analizza la sistematica civilistica (43), le divergenze permangono pur se in qualche modo le fattispecie possono presentare profili di identità. Tra le teorie della conversione spicca quella della conversione come automatismo legale e che si fonda sul principio di buona fede che, consentendo di sfuggire agli estremismi della teoria sogget- tiva e di quella oggettiva, «opera quando i diversi effetti risultanti dalla conversione sono coerenti con il programma contrattuale affidato dalle parti al contratto nullo, sic- ché respingerli sarebbe contrario a buona fede. Peraltro il giudizio di coerenza deve fondarsi non su indagini psicologiche dirette ad accertare la “volontà ipotetica” delle parti, ma su criteri oggettivi desunti dal contenuto e dal contesto del contratto» (44). Si sottolinea come la tesi della conversione come automatismo legale non implichi che la stessa sia rilevabile d’ufficio. Si valorizza quanto dispone l’articolo 1424 c.c. secondo cui il contratto nullo “può” produrre i diversi effetti della conversione: «l’ambito di que- sta “possibilità” è segnato dall’iniziativa della parte interessata a essi. Ciò è coerente con la ratio del meccanismo: se questo serve a sistemare equilibratamente gli interessi delle parti, è ovvio che questa sistemazione – ovvero il “se” e il “come” dei diversi ef- fetti contrattuali – dipenda dall’iniziativa degli interessati, dal gioco delle domande e delle eccezioni di parte. Di contro, la tesi della conversione come frutto di volontà ipo- tetica può suggerire che essa presupponga l’ignoranza delle parti circa la nullità. Ma l’idea (pur accolta in giurisprudenza) non convince. La consapevolezza delle parti di avere concluso un contratto nullo non esclude che, secondo buona fede, possano e deb- bano restare fermi fra loro effetti contrattuali diversi da quelli programmati, compatibili con l’originario programma comune» (45). Infine si rammenta l’esistenza della cd. con- venzione legale che sfugge alla logica dell’articolo 1424 c.c. Essa ricorre quando di fronte a un negozio nullo o incapace di produrre gli effetti programmati «la legge stessa dispone la produzione di altri effetti, corrispondenti a un diverso negozio, prescindendo dalla valutazione in concreto circa la coerenza dei nuovi effetti con lo “scopo perseguito dalle parti”. Può farlo in uno spirito di sostegno dell’autonomia privata, […] oppure in
(43) Cfr. V. Roppo, op. cit., 806 ss.
(44) V. Roppo, op. cit., 808.
(45) V. Roppo, op. cit., 808. Cfr. però ora Cassazione civile sez. un. n. 26242/2014 secondo cui i poteri officiosi di rilevazione di una nullità negoziale «non possono estendersi alla rilevazione (non più di un vizio radicale dell’atto, ma anche) di una possibile conversione del contratto in assenza di esplicita do- manda di parte. È decisivo, in tal senso, il dato testuale dell’art. 1424 cod. civ., a mente del quale il con- tratto nullo può (non deve) produrre gli effetti di un contratto diverso. La rilevazione della eventuale con- versione, difatti, esorbiterebbe dai limiti del potere officioso di rilevare la nullità (i.e. di rilevare la inatti- tudine genetica dell’atto alla produzione di effetti), ma si estenderebbe, praeter legem, alla rilevazione di una diversa efficacia, sia pur ridotta, di quella convenzione negoziale. Soluzione del tutto inammissibile, in mancanza di un’istanza di parte, poiché in tal caso è di una dimensione di interessi soltanto individuali che si discorre, diversamente che per la nullità tout court (in tal senso, Cass. 195/1969, 3443/1973, 2651/2010, 6633/2012, nonché Cass. 10498/2001 in tema di conversione del licenziamento nullo in re- cesso ad nutum, “da eccepirsi ritualmente e tempestivamente da parte del datore di lavoro”, e Cass. 6004/2008 che ha escluso la facoltà del giudice, che aveva accertato la nullità di una cessione d’uso per- petuo di posti d’auto all’interno di un condominio, di convertire il relativo negozio in un contratto costitu- tivo di un diritto d’uso trentennale avvalendosi del disposto dell’art. 979 cod. civ., co. 2). Deve pertanto escludersi che l’orientamento minoritario di cui a Cass. 9102/1991, 5513/1987 e 6632/1987, favorevole alla rilevabilità d’ufficio della conversione, possa trovare ulteriore continuità».
uno spirito di correzione cogente dell’autonomia privata, anche in aperto contrasto con lo “scopo perseguito dalle parti”. È accaduto coi contratti agrari di tipo associativo: lo sfavore maturato nei loro confronti ha indotto il legislatore a disporne la conversione nel più apprezzabile tipo dell’affitto (art. 25 s. l. 203/1982)» (46).
Rispetto agli schemi e ai principi civilistici, ferma restando l’importante differenza co- stituita dalla mancanza del contratto nullo o inefficace, la conversione prevista dal de- creto legislativo n. 81assomiglia di più ad una speciale conversione legale: la valutazio- ne della conversione non è rimessa semplicemente alla valutazione soggettiva delle par- ti, né viene valutata secondo il principio di buona fede, come congruenza tra gli effetti giuridici codificati tra i due programmi contrattuali, ma prescinde o è addirittura contro lo scopo comune del contratto (il primo è part-time, il secondo full-time ma tenendo conto solo della volontà del lavoratore). La conversione legale è utilizzata come sanzio- ne per lo sfavore del legislatore verso la mancanza della forma scritta della prova del contratto, che alimenta il contenzioso, contratto tuttavia del tutto valido. Anche negli schemi privatistici esiste dunque una compressione dell’autonomia negoziale delle parti: è una compressione forte nella conversione legale; è attenuata nella conversione con- venzionale laddove il giudizio sulla coerenza sia fondato su elementi oggettivi. I punti di partenza sono la nullità o l’inefficacia del contratto e l’eccezionalità del mezzo nella conversione legale.
Prima di trarre una conclusione su opportunità, legittimità, razionalità o ragionevolezza della sanzione contemplata dal decreto legislativo n. 81, si possono aggiungere altri tas- selli. Nell’ipotesi di conversione legale si registra un’interessante sentenza della Corte costituzionale sulla trasformazione dei contratti associativi agrari in contratti di affitto
(47) che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale degli articoli 25 e 30 della legge n. 203/1982 nella parte in cui prevede che, nel caso di concedente il quale sia imprenditore a titolo principale o comunque abbia dato un adeguato apporto alla condirezione dell’impresa, la conversione richiesta dal mezzadro o dal colono abbia luogo senza il consenso del concedente stesso. Per la Corte la ratio legis con cui venne giustificata la conversione forzosa si fondava sul rilievo che nella grande maggioranza dei casi nelle imprese mezzadrili di fatto l’unico imprenditore è il mezzadro, perché il concedente ha trascurato i doveri inerenti alla condirezione dell’impresa, disinteressandosi di essa e percependo quindi la sua quota alla stregua di un canone di affitto. Per la Corte tale ra- tio merita, in linea di principio, di essere condivisa, non essendo certo irrazionale che egli abbia voluto impedire, non solo la nascita, ma anche la prosecuzione del rapporto in esame. Però «– e qui risiede il vizio della disciplina legislativa – non essendo il feno- meno dell’assenteismo assolutamente generalizzato […], non può ritenersi rispondente all’imprescindibile requisito dell’utilità sociale, voluto dall’art. 41 ed esplicato per la proprietà fondiaria dall’art. 44, una conversione indiscriminatamente disposta anche per i casi in cui il concedente abbia adempiuto i suoi oneri, e in cui quindi, funzionando il rapporto normalmente, risulta senza dubbio ingiustificata la trasformazione forzosa di- sposta dal legislatore […]. La corretta osservanza dei doveri del concedente, secondo i più elementari canoni di esperienza e di logica, non può, invero, non far ritenere
l’efficace funzionalità dell’impresa mezzadrile, sicché in questo caso la conversione au- tomatica non trova razionale fondamento. Il fine di stabilire equi rapporti sociali, pre- scritto dall’art. 44 della Costituzione, impone al legislatore ordinario di intervenire per
(46) V. Roppo, op. cit., 809.
(47) V. sent. n. 138 del 1984.
un superiore fine di giustizia, ossia per stabilire un equilibrio sostanziale fra le diverse categorie interessate e rimuovere così gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione dei coltivatori all’organizzazione eco- nomica del Paese: equilibrio che chiaramente rimane escluso in presenza di una norma- tiva che privilegia smisuratamente e senza alcun valido fondamento razionale una parte a danno dell’altra (cfr. per riferimenti sent. n. 107/1974). Ed infine può ricordarsi come in Francia tale istituto, pur in mancanza – il che è molto significativo – di espressi vin- coli di carattere costituzionale, quali invece quelli esistenti negli artt. 41 e 44 della no- stra Costituzione, è stato previsto soltanto in alcuni casi, nei quali emergono il disinte- resse del concedente e il conseguente pregiudizio derivante all’impresa agricola (art. 417/11 Code rural modificato dal decreto n. 83-212 del 16 marzo 1983)».
Con questa disposizione il diritto del lavoro sembra porsi, nella coercizione totale della volontà della parte datoriale e con forzatura (il contratto non è nullo né inefficace), nell’ambito delle ipotesi eccezionali di conversione legale. Come nel caso dei rapporti associativi trasformati, la disposizione lavoristica forza l’assetto contrattuale, impone la conversione, trovando giustificazione nel carattere sanzionatorio della disposizione. Prescinde però dai comportamenti attuativi del legittimo contratto di lavoro sia se nell’esecuzione del contratto si è rispettato il programma contrattuale a tempo parziale, sia se non lo si è rispettato. È evidente che in quest’ultimo caso si potrebbe essere di fronte ad un contratto di lavoro a tempo pieno e quindi la conversione è puramente for- male perché si riconosce quanto si è nel tempo attuato, si potrebbe dedurre in buona fe- de che il contratto di lavoro a tempo pieno risponde allo scopo delle parti, che emerge dall’attuazione contrattuale pregressa. Nel primo caso – esecuzione di un contratti di la- voro a tempo parziale in cui sia stata omessa la precisazione della durata o comunque non sia stato stipulato in forma scritta – ci si trova di fronte solo ad un problema di re- strizione della prova: una volta dimostrata la correttezza dell’attuazione, non si capisce perché il giudice dovrebbe dichiarare un contratto diverso. Lo può fare solo contro la volontà di una delle parti, né può ricavare la volontà del datore di lavoro dal programma contrattuale e dall’esecuzione dello stesso, che erano a tempo parziale e non a tempo pieno. Mancherebbe dunque un razionale fondamento della conversione nei casi in cui ci sia perfetta coincidenza tra programma contrattuale e attuazione del medesimo. Qui sembra emergere un’incompatibilità con principi costituzionali: imponendo la conclu- sione di un contratto di lavoro a tempo pieno, a prescindere dal consenso del datore di lavoro – si arginano solo i danni, se, contraddittoriamente, si tiene conto della limitazio- ne della retribuzione e dei contributi previdenziali a quanto effettivamente dovuto! –, realizza una violazione dei principi di autonomia negoziale e contrattuale, garantiti dalla Costituzione in quanto strumentali anche all’esercizio della libertà economica (articoli 118, quarto comma, e 41 Cost.) (48). La compressione della libertà negoziale relativa al-
(48) Sul tema V. Roppo, op. cit., 76 ss., secondo cui la libertà contrattuale riceve nel nostro sistema una tutela costituzionale indiretta da parte degli artt. 3, 41 e 42 Cost.; nonché P. Perlingieri, op. cit., 443 ss., secondo cui, distinta l’autonomia negoziale da quella contrattuale, ribadita la rilevanza costituzionale di entrambe con riguardo sia al fondamento sia ai limiti e individuati analiticamente le libertà contrattuali (di contrarre, di scelta del contraente, di contenuto, di creazione di nuovi tipi contrattuali, di determinazione della forma del contratto, di scelta della struttura negoziale, di incidere sull’efficacia contrattuale e di de- viare gli effetti contrattuali, di sanzionare i contraenti “indisciplinati”), esistono “fondamenti” dell’autonomia negoziale e contrattuale individuabili sulla base degli interessi per i quali essa è in concre- to esplicata. Individua tuttavia accanto alle tante norme costituzionali il principio di sussidiarietà (art. 118, co. 4, Cost.) quale unitario fondamento dell’autonomia, sottolineando che si tratta della formalizza- zione di un dato già presente nel sistema (art. 1322 cod. civ.).
la conclusione del contratto di lavoro presenta quindi profili di sproporzionalità e irra- gionevolezza potendosi colpire le irregolarità con strumenti rispettosi delle scelte di- screzionali dell’autonomia privata (sanzioni amministrative ovvero esclusioni da bene- fici) (49) e del regime probatorio della forma scritta, piuttosto che imporre una forma contrattuale diversa da quella concordata, la cui validità è comunque garantita dal mo- mento che la forma non ne costituisce requisito. La sanzione della conversione si sareb- be potuta limitare al caso in cui fosse emerso di fatto – diversamente dall’accordo con- trattuale – un rapporto di lavoro full-time. Invece esso si converte a prescindere, tanto è vero che il legislatore limita la retribuzione e i contributi previdenziali, per il periodo antecedente alla pronuncia del giudice, a quanto dovuto per le prestazioni effettivamen- te rese. Sia chiaro: la soppressione della libertà negoziale di una parte, garantita da nor- ma costituzionale, deve essere un provvedimento eccezionale e giustificato dal perse- guimento di altre pari finalità, laddove la soluzione non è proporzionata rispetto ai diritti in gioco, con la soppressione di un diritto rispetto ad un altro, è irrazionale rispetto alla struttura dell’istituto e irragionevole perché difetta di giustificazione legittima, alla stre- gua dei criteri utilizzati dalla Corte costituzionale per bilanciare i diritti costituzionali (50).
Si può comunque adesso immaginare, nel contesto normativo che ha facilitato la flessi- bilità in uscita (articolo 18 Stat. lav., nuovo testo, decreto legislativo n. 23/2015), che la conversione sia più una sanzione d’effetto, destinata ad essere superata con un licen- ziamento successivo, eventualmente illegittimo (ovviamente non connesso alla mancata accettazione del part-time perché sarebbe discriminatorio), che comporti solo un ulterio- re risarcimento del danno.
Un’altra innovazione riguarda il potere del giudice: si diminuisce per un verso il vincolo per il potere deliberativo del giudice in ordine alla collocazione dell’orario, che la pre- cedente disciplina ancorava in primo luogo alle previsioni dei contratti collettivi; ma, per un secondo verso, i parametri di riferimento sono per il giudice tassativi e inderoga- bili: esigenze dell’impresa; esigenze del lavoratore con riguardo a responsabilità fami- liari, necessità di integrazione del reddito mediante svolgimento di altra attività lavora- tiva (51). Anche in questo caso la soluzione appare negativa laddove in prima battuta sa- rebbe stato preferibile affidarsi ad un equilibrio raggiunto dalle parti contraenti, seppure sotto il controllo giudiziale. La compressione dell’autonomia negoziale, prima o poi, potrebbe determinare la cessazione del rapporto di lavoro in un contesto normativo ca- ratterizzato dalla forte flessibilità in uscita. Il datore di lavoro che è costretto alla tra- sformazione del rapporto e che poi licenzia sia pure illegittimamente un dipendente a tempo pieno (fatta salva la discriminazione) è in via prevalente sanzionato con un ob- bligo risarcitorio, essendo stata la reintegrazione limitata sia nella nuova versione dell’articolo 18 Stat. lav., riformato dalla legge n. 92/2012, sia nel decreto legislativo n. 23/2015 sul contratto a tutele crescenti (52).
(49) Cfr. ancora R. Santucci, op. cit., 573. (50) V. la sent. n. 85/2013.
(51) In questo senso anche S. Bellomo, La riscrittura, cit., 516.
(52) Sia consentito rinviare a R. Santucci, «Quel che resta» della reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro: un colpo mortale all’effettività del diritto leso, in Aa. Vv., Il regime dei licenziamenti in Italia e Spagna: ordinamenti a confronto, Esi, 2017, 285 ss.
4. I limiti legali insufficienti e le funzioni variegate del contratto collettivo nella disciplina del lavoro sup- plementare e straordinario…
Nella nuova disciplina (articolo 6, commi 1-3) sono ammessi il lavoro supplementare – inteso come quello che si svolge entro i limiti dell’orario normale di lavoro di cui all’articolo 3 del decreto legislativo n. 66/2003 ma oltre l’orario concordato fra le parti ai sensi dell’articolo 5, comma 2, anche in relazione alle giornate, alle settimane o ai mesi – e le prestazioni di lavoro straordinario – così come è definito dall’articolo 1, comma 2, lettera c, del decreto legislativo n. 66/2003 cioè il lavoro prestato oltre l’orario normale di lavoro, secondo le definizioni dell’articolo 3 del decreto legislativo
n. 66/2003, su cui si veda supra, § 2 –, qualsiasi possa essere la collocazione temporale dell’orario.
Il datore di lavoro ha inoltre la facoltà di richiedere il lavoro supplementare, nell’osservanza delle condizioni eventuali fissate dai contratti collettivi, che stabiliscono quel che vogliono. È archiviato pertanto il tipo di vincolo contenutistico che in prece- denza era imposto al contratto collettivo: causali, massimo delle ore di lavoro supple- mentari effettuabili, conseguenze del superamento di tale tetto e possibile previsione di una percentuale di maggiorazione sull’importo della retribuzione oraria globale di fatto (53).
Se il contratto collettivo applicato al rapporto di lavoro non regola il lavoro supplemen- tare, vige la regolamentazione minima fissata dal decreto legislativo: il datore di lavoro può richiedere al lavoratore lo svolgimento di prestazioni di lavoro supplementare in misura non superiore al 25% delle ore di lavoro settimanali concordate. In tale ipotesi il lavoratore può rifiutare lo svolgimento del lavoro supplementare, ove il rifiuto sia giu- stificato da comprovate esigenze lavorative, di salute, familiari o di formazione profes- sionale. Il lavoro supplementare è retribuito con una percentuale di maggiorazione sull’importo della retribuzione oraria globale di fatto pari al 15%, comprensiva dell’incidenza della retribuzione delle ore supplementari sugli istituti retributivi indiretti e differiti.
Per il lavoro straordinario valgono le regole fissate dal decreto legislativo n. 66/2003. La disciplina presenta evidenti chiaroscuri.
È utile la definizione del lavoro supplementare che utilizza anche l’arco temporale rife- rito alle giornate, alle settimane o ai mesi, risolvendo problemi di adattamento rispetto a qualsiasi forma di part-time: il lavoro supplementare è ora possibile anche nel part-time
(53) Ai sensi degli artt. 1, co. 1, lett. e), e 3, co. 1-4, d.lgs. n. 61 del 2000, il datore di lavoro aveva pertan- to la facoltà di richiederlo, nell’osservanza di una serie di condizioni fissate dallo stesso decreto legislati- vo. I contratti collettivi dovevano stabilire il massimo delle ore di lavoro supplementari effettuabili, le re- lative causali e le conseguenze del superamento di tale tetto. Potevano inoltre prevedere una percentuale di maggiorazione sull’importo della retribuzione oraria globale di fatto. Il consenso del lavoratore era ri- chiesto solo nel caso in cui difettasse la previsione del contratto collettivo; il rifiuto del lavoratore, inam- missibile nel caso della previsione collettiva (se vincolante), non poteva integrare in nessun caso gli estremi del giustificato motivo di licenziamento (art. 3, co. 3, d.lgs. n. 61/2000). Lo svolgimento del lavo- ro straordinario, eccedente la prestazione a tempo pieno, si aveva soltanto nell’ipotesi di part-time vertica- le o misto, con applicazione della stessa disciplina legale e contrattuale vigente per i rapporti a tempo pie- no (art. 3, co. 5, d.lgs. n. 61/2000).
verticale e in quello misto, in quanto il parametro di riferimento è l’orario normale (set- timanale) di lavoro (54).
Sicuramente il diritto al rifiuto, garantito dal legislatore, è importante; ma, se si osser- vano i rapporti di forza tra le parti contrattuali, sarebbe stato opportuno prevedere anche il preavviso per il lavoro supplementare e lo straordinario in modo da consentire al lavo- ratore di organizzarsi e scegliere la soluzione migliore, invece di dover seccamente ac- cettare o rifiutare la richiesta del datore di lavoro.
Senza la specificazione di quali aspetti debbano essere regolamentati dal contratto col- lettivo, è possibile che la disciplina legislativa non trovi applicazione anche quando non siano regolati gli aspetti “sensibili”: ad esempio il contratto collettivo potrebbe non pre- vedere il diritto al rifiuto, come quello contemplato dal legislatore, e obbligare il lavora- tore allo svolgimento del lavoro supplementare.
Nel caso del lavoro supplementare sembra dunque affidata al contratto collettivo una funzione integrativa della disposizione legislativa e i vincoli previsti dal legislatore as- sumono una funzione dispositiva. Al contratto collettivo è però indirettamente garantita una funzione derogatoria, potendo fissare un plafond di ore superiore al 25% delle ore di lavoro settimanali concordate e una maggiorazione sull’importo della retribuzione in- feriore al 15%, con la possibilità di determinare anche la retribuzione parametro.
Il rifiuto del lavoratore – che apparentemente sembra previsto solo nell’ipotesi del bina- rio legislativo – non può però essere limitato al caso in cui manchi la disciplina colletti- va (55): sarebbe irrazionale in quanto foriero di disparità di trattamento considerare legit- timo il rifiuto nel caso della disciplina di legge e illegittimo per le medesime motivazio- ni in quello del contratto collettivo (56).
Potrebbe risultare utile il riferimento anche alla disciplina del lavoro straordinario, ap- plicabile analogicamente al lavoro supplementare ( 57 ). A quest’ultimo è noto che l’articolo 5 del decreto legislativo n. 66/2003 ha imposto vincoli procedurali e sostan- ziali. Esistono diversi binari regolativi: innanzitutto i contratti collettivi di lavoro che ne regolamentano le eventuali modalità di esecuzione (comma 2); in difetto di disciplina collettiva (anche derogatoria), il ricorso al lavoro straordinario è ammesso soltanto pre- vio accordo con il lavoratore per un periodo che non superi le 250 ore annuali (comma 3); vi è poi un ambito in cui lo straordinario è legalmente obbligatorio (senza consenso del lavoratore e oltre le 250 ore annue): si tratta delle ipotesi elencate dal comma 4 (esi- genze tecnico-produttive non fronteggiabili con l’assunzione di altri lavoratori; casi di forza maggiore o situazioni in cui si debba evitare un danno a cose o persone; eventi particolari, come mostre, fiere o manifestazioni collegate all’attività produttiva) e salvo diversa disposizione dei contratti collettivi (l’elenco dei casi non è dunque tassativo). A fronte della disciplina legislativa è ragionevole sostenere che, anche nelle ipotesi in cui la contrattazione collettiva prevede la facoltà, per il datore di lavoro, di richiedere pre- stazioni straordinarie, l’esercizio di tale facoltà debba esercitarsi secondo le regole di correttezza e di buona fede, poste dagli articoli 1175 e 1375 c.c., nel contenuto determi-
(54) L’innovazione è apprezzata anche da S. Bellomo, La riscrittura, cit., 508, pur se si chiede ragione- volmente per quale motivo non riferirsi all’orario complessivo annuo, come base di calcolo per la percen- tuale del 25% di incremento: in questo modo si sarebbero risolti i dubbi sui criteri di computo da adottare in caso di orario distribuito in maniera non uniforme nelle settimane.
(55) In questo modo è intesa da S. Bellomo, La riscrittura, cit., 508 secondo cui in questo modo è confer- mato il doppio binario regolativo già riscontrabile nella previgente disciplina.
(56) Per un’analoga conclusione cfr. V. Leccese, op. cit., 53 ss.
(57) Sulla quale v. da ultimo O. Mazzotta, Manuale di diritto del lavoro, Giuffrè, 2017, 397 ss.
nato dall’articolo 41, secondo comma, Cost.; se la contrattazione collettiva configura lo straordinario come obbligatorio, in ogni caso è ammesso il rifiuto sulla base di un legit- timo motivo, mentre il rifiuto immotivato di svolgerlo legittima il provvedimento disci- plinare (58).
Esiste quindi la possibilità di rifiutarsi sia in presenza della disciplina collettiva, sia in assenza della disciplina contrattuale collettiva.
Ulteriore argomento potrebbe essere tratto dalla disciplina delle clausole elastiche, che possono riguardare anche l’ampliamento della durata della prestazione lavorativa per le quali il legislatore, come si dirà nel prossimo paragrafo, richiede il patto scritto.
Il rifiuto del lavoratore di concordare variazioni dell’orario di lavoro non costituisce giustificato motivo di licenziamento (articolo 6, comma 8). La previsione è applicabile anche al lavoro supplementare dove si verifica un aumento della durata della prestazio- ne lavorativa (59). La disposizione si riferisce al caso in cui il rifiuto del lavoratore ri- guardi l’accordo sulle variazioni di orario: sembra pertanto riguardare più le clausole elastiche che il lavoro supplementare. Ma anche nel lavoro supplementare ci deve essere un accordo quando difetti la contrattazione collettiva. Sembra però irrazionale che la ga- ranzia non riguardi le ipotesi obbligatorie di lavoro supplementare derivanti dalle previ- sioni dei contratti collettivi. L’impossibilità di procedere al licenziamento non esclude la minaccia dell’irrogazione di altre sanzioni disciplinari al fine di indurre il lavoratore a svolgere il lavoro supplementare (l’argomentazione riguarda anche le clausole elastiche e si poteva proporre anche con la disciplina previgente). Mentre il rischio del licenzia- mento non si corre mai, con le cautele da adottarsi alla luce del nuovo quadro normativo sul recesso datoriale, certamente il rischio sussiste per altre sanzioni disciplinari, quando non ricorrano le comprovate ragioni giustificatrici previste dalla legge.
5. …e in quella delle clausole elastiche
Per quel che riguarda l’ulteriore elasticità del part-time, come si è accennato poc’anzi, il decreto legislativo n. 81/2015 innova fortemente, riducendo le clausole a quelle elasti- che e ricomprendendo nella categoria tanto quelle relative alla variazione della colloca- zione temporale della prestazione lavorativa, quanto quelle relative alla variazione in aumento della sua durata (si veda l’articolo 6, commi 4-8). Non si distingue più dunque
(58) Cfr. Cass. n. 17582/2014 secondo cui l’art. 5-bis dispone che il ricorso al lavoro straordinario è am- messo “soltanto” previo accordo tra datore e prestatore di lavoro ed “inoltre” in casi di eccezionali esi- genze tecnico-produttive. L’uso di tale ultimo avverbio, in luogo della locuzione “in ogni caso”, eviden- zia che, oltre all’imprescindibile consenso del prestatore di lavoro, occorre anche la sussistenza delle esi- genze anzidette, peraltro non fronteggiabili attraverso l’assunzione di altri lavoratori. Inoltre – con riguar- do all’aspetto qui preso in considerazione – nelle ipotesi in cui la contrattazione collettiva prevede la fa- coltà, per il datore di lavoro, di richiedere prestazioni straordinarie l’esercizio di tale facoltà deve essere esercitato secondo le regole di correttezza e di buona fede, poste dagli artt. 1175 e 1375 c. c., nel contenu- to determinato dall’art. 41, co. 2, Cost. (in senso conforme Cass. n. 11821/2003; Cass. n. 2073/1993, la quale ha escluso la configurabilità dell’illecito disciplinare in relazione al rifiuto da parte del lavoratore di riprendere servizio dopo circa otto ore dalla fine del turno notturno per svolgere lavoro straordinario, non essendo la relativa richiesta giustificata da esigenze aziendali assolutamente prevalenti). In generale sul tema v. G. Bolego, Il lavoro straordinario. Fattispecie, disciplina e tecniche di tutela, Cedam, 2004.
(59) Diversamente S. Bellomo, La riscrittura, cit., 509.
tra part-time verticale e misto e part-time orizzontale e la variazione della collocazione oraria si può avere anche nel caso del part-time verticale. Rispetto alla variazione della durata consentita dal lavoro supplementare e straordinario, la clausola elastica consente, una volta per tutte e preventivamente, l’estensione della durata, laddove, nel caso del lavoro supplementare e straordinario, volta per volta si attiva la procedura per l’estensione della durata.
La limitazione precedente rispondeva all’esigenza di restringere in qualche modo l’uso di clausole che la Corte costituzionale, nella vigenza della legge n. 863/1984, aveva trat- tato con sfavore, in quanto facevano venire meno la possibilità del lavoratore di pro- grammare altre attività con cui integrare il reddito lavorativo ricavato dal rapporto a tempo parziale (60). Pian piano le restrizioni sono state superate con la previsione di cau- tele assai esigue e oggi, con il decreto legislativo n. 81, si elimina anche quest’ultima restrizione, controbilanciata, nell’ottica del legislatore, da regole minime legali in as- senza di condizioni e modalità prescritte da parte dei contratti collettivi (si veda l’articolo 6, comma 6).
Si predispone pertanto un duplice percorso perché il datore di lavoro possa esercitare il suo ius variandi di aumentare la durata della prestazione lavorativa o modificare la col- locazione dell’orario: si supera l’impasse della doppia chiave di tutela o della secca scelta dell’autonomia individuale, ma le criticità e lo squilibrio delle regole non sono del tutto superate.
Alternativa 1. Nel rispetto di quanto previsto dai contratti collettivi, le parti possono pattuire per iscritto le clausole elastiche (articolo 6, comma 4). In questi casi il datore di lavoro può esercitare il suo potere nel rispetto di un preavviso di due giorni lavorativi (fatte salve le diverse intese tra le parti), riconoscendo al lavoratore specifiche compen- sazioni, nella misura o nelle forme fissate dai contratti collettivi (si veda il comma 5). Sembra dunque evidente che il legislatore impone vincoli (anche se elastici) ai contratti collettivi. Il contratto collettivo è chiamato a svolgere una funzione integrativa, ma nello stesso tempo si prevede una disciplina inderogabile nel se (il preavviso) e derogabile nel quando (preavviso di due giorni).
Alternativa 2. Nel caso in cui il contratto collettivo, applicato al rapporto, non contenga una specifica disciplina delle clausole elastiche, queste comunque possono essere pattui- te per iscritto dalle parti del contratto di lavoro a tempo parziale davanti alle Commis- sioni di certificazione di cui all’articolo 76 del decreto legislativo n. 276/2003, con fa- coltà del lavoratore di farsi assistere da un rappresentante dell’associazione sindacale cui aderisce o conferisce mandato o da un avvocato o da un consulente del lavoro. Il le- gislatore impone però che le clausole prevedano, a pena di nullità, le condizioni e le modalità con le quali il datore di lavoro, con preavviso di due giorni lavorativi, può mo- dificare la collocazione temporale della prestazione e variare in aumento la durata della stessa, nonché la misura massima dell’aumento, che non può eccedere il limite del 25 per cento della normale prestazione annua a tempo parziale. Le modifiche dell’orario inoltre comportano il diritto del lavoratore ad una maggiorazione della retribuzione ora- ria globale di fatto pari al 15 per cento, comprensiva dell’incidenza della retribuzione sugli istituti retributivi indiretti e differiti.
Il legislatore inoltre garantisce al lavoratore che si trovi nelle condizioni di aver diritto alla trasformazione o alla priorità nella trasformazione del rapporto da full-time a part- time (cfr. articolo 8, commi 3-5, decreto legislativo n. 81; articolo 10, primo comma,
(60) V. ancora sent. n. 210/1992.
Stat. lav.) – quindi per gravi ragioni di salute propria, dei familiari, dei conviventi o di cura dei figli fino a 13 anni ovvero per studio – la facoltà di revocare il consenso (diritto al ripensamento) prestato alla clausola elastica (comma 7). Si tratta di una conferma (61), ma con una nuova veste, senza rinvio ai contratti collettivi e dalle linee più precise e de- finite (62).
Infine si statuisce che il rifiuto del lavoratore di concordare variazioni dell’orario di la- voro non costituisce giustificato motivo di licenziamento (comma 8).
A ben vedere il tipo di intervento, in astratto positivo perché non lascia all’autonomia individuale la piena disponibilità delle condizioni dello scambio, ma prevede alcune condizioni minime (preavviso; limite massimo dell’aumento della durata; diritto alla maggiorazione della retribuzione; previsione, a pena di nullità, di condizioni e modalità con le quali il datore di lavoro può esercitare lo “ius variandi”; diritto al ripensamento), suscita tuttavia qualche perplessità per i limiti sia sostanziali, sia procedurali.
Il preavviso minimo di due giorni (come già previsto nella normativa previgente), secco o fatte salve “anche” le intese tra le parti, è, obiettivamente, troppo ridotto per consenti- re una serena riorganizzazione di attività lavorative, che si ripercuotono sull’assetto del tempo di lavoro/tempo di vita del lavoratore. La maggiorazione della retribuzione oraria pari al 15% sembra troppo esigua per compensare lo sconvolgimento organizzativo in- dotto dall’utilizzazione di clausole elastiche e per rimediare alla rinuncia di altro lavoro, divenuto incompatibile. Proprio perché la maggiorazione della retribuzione è diretta a rimediare allo scombussolamento indotto dalla variazione dell’assetto iniziale del part- time, essa va applicata sull’intera retribuzione sia se si tratti di un aumento della durata, sia se riguardi un mutamento della collocazione oraria, non limitandosi in questo caso alla retribuzione connessa alla prestazione resa per le ore prestate in più o per quelle collocate diversamente rispetto al patto originario (63).
Il ricorso alla cd. volontà assistita è in linea teorica convincente ma il sistema che si rea- lizza non lo è del tutto: sia perché il lavoratore può appunto non utilizzare la procedura, sia perché può scegliere di non farsi assistere e di presentarsi da solo. Il nuovo assetto della certificazione, poi, al fine della riduzione del contenzioso in materia di lavoro, specie dopo la novella del collegato lavoro (legge n. 183/2010), risulta squilibrato, re- stringendosi il controllo giudiziale, ampliando il ruolo della valutazione delle parti av- venuta in sede di certificazione (articolo 30, commi 2 e 3, legge n. 183/2010), di cui il giudice deve tenere conto, limitando l’impugnazione della certificazione ai casi in cui sussistano erronee qualificazioni del contratto, vizi del consenso, difformità tra il pro-
(61) Cfr. V. Leccese, A volte ritornano: il “diritto di ripensamento” nel lavoro a tempo parziale, in P. Chieco (a cura di), Flessibilità e tutele nel lavoro. Commentario della legge 28 giugno 2012, n. 92, Ca- cucci, 2013, 93 ss.; Id., Il lavoro a tempo parziale, cit., 61 ss.
(62) In tal senso anche S. Bellomo, La riscrittura, cit., 510; è da condividere il plauso di V. Leccese, Il la-
voro a tempo parziale, cit., 63 ss., alla disposizione del d. n. 81 che, a differenza del d.lgs. n. 61, come modificato dalla l. n. 92/2012, fissando un preciso regime non rinvia ai contratti collettivi, che in materia non avevano ben operato.
(63) Diversamente S. Bellomo, La riscrittura, cit., 511. Si potrebbe accogliere la proposta ove fosse possi- bile dedurre dalla normativa in questione un compenso per la disponibilità espressa dal lavoratore (a cui
accenna l’autore), che pur comporta la limitazione di chances aggiuntive di guadagno del lavoratore. Ma ciò dipenderà dalla contrattazione collettiva o dal contratto individuale, mentre, in assenza di determina- zioni dell’autonomia negoziale, dal co. 6 dell’art. 6 si inferisce l’obbligo della maggiorazione retributiva solo a seguito del concreto esercizio del potere di variazione dell’orario (ancora S. Bellomo, op. cit., p. 511, che dubita della legittimità costituzionale di soluzioni che non compensino anche la disponibilità manifestata dal prestatore di lavoro).
gramma negoziale certificato e la sua successiva attuazione (64). La soluzione, seppure diretta ad evitare o aggirare pregiudizi sindacali (65), appare squilibrata e la finalità ra- gionevole sarebbe stata possibile perseguirla senza mettere a rischio le eventuali e con- crete deboli volontà individuali dei lavoratori (magari rendendola obbligatoria almeno nelle sedi più autorevoli e imparziali della certificazione). Vero è che nel caso del part- time ci sono le determinazioni obbligatorie per l’autonomia individuale, previste dal de- creto legislativo n. 81/2015; ma è anche vero che non sono esaustive delle condizioni e modalità delle clausole e sono comunque astratte rispetto alle condizioni in cui è im- mersa la relazione di lavoro e degli interessi concreti delle parti. Il legislatore forse avrebbe dovuto prendere spunto dalla necessità di varare un più solido ed equilibrato si- stema di volontà assistita e di promuoverlo su più larga scala, assecondando il forte inte- resse per una gestione personalizzata degli istituti lavoristici finalizzati a garantire un bilanciamento tra interessi personali e professionali del lavoratore, modificando le fasi più squilibrate della procedura di certificazione.
Va infine ricordato che se si effettuano prestazioni in esecuzione di clausole elastiche senza il rispetto delle condizioni, delle modalità e dei limiti previsti dalla legge o dai contratti collettivi, viene confermato il diritto del lavoratore, in aggiunta alla retribuzio- ne dovuta, alla corresponsione di un’ulteriore somma a titolo di risarcimento del danno (articolo 10, comma 3).
6. Il divieto di discriminazione e i trattamenti ripro- porzionati pro rata temporis
La qualità del lavoro part-time subisce una battuta d’arresto con la riformulazione del divieto di discriminazione, sancito dalla direttiva 97/81/CE e dalla convenzione ILO n. 175/1994. Sia chiaro, il divieto è sancito e ribadito (articolo 7, comma 1). Il lavoratore a tempo parziale non deve ricevere un trattamento meno favorevole rispetto al lavoratore a tempo pieno di pari inquadramento; ciò sicuramente non esclude che un trattamento diverso sia giustificato da ragioni oggettive (come nella clausola 4 dell’accordo euro- peo). La rivisitazione riguarda il trattamento del part-timer che si dovrà ispirare rigoro- samente al principio del pro rata temporis per tutti gli istituti, tanto economici quanto normativi (l’accordo europeo àncora in verità il pro rata temporis all’opportunità): «2.
(64) V. M. Novella, Certificazione in materia di lavoro e tutela giurisdizionale, in LD, 2 e 3/2014, 347 ss. Sulla certificazione v., con valutazioni diverse, S. Ciucciovino (a cura di), La certificazione dei contratti di lavoro, Giappichelli, 2014; V. Speziale, La certificazione e l’arbitrato dopo il “Collegato lavoro” ( legge 4 novembre 2010, n. 183), in WP CSDLE “Massimo D’Antona”, 119/2011; G. Ferraro, La compo- sizione stragiudiziale delle controversie di lavoro: profili generali, in M. Cinelli, G. Ferraro (a cura di), Il contenzioso lavoro nella l. 4 novembre 2010 n. 183, Giappichelli, 2011; A. Vallebona, Il collegato lavo- ro: un bilancio tecnico, in MGL, 2010, p. 900 ss. Per una sintesi pregevole dell’istituto della certificazio- ne, cfr. O. Mazzotta, op. cit., 196 ss.
(65) Esprime apprezzamento per la previsione S. Bellomo, La riscrittura, cit., 510, secondo cui tale solu- zione favorisce l’attenta valutazione delle specifiche situazioni individuali «prevenendo possibili (e non
auspicabili) forme di opposizione generalizzata ed aprioristica (riconducibile a più generali motivazioni di politica sindacale) da parte di rappresentanti dei lavoratori, ovvero atteggiamenti che, pur apparendo a rischio di oltranzismo oltre che di illegittimità, non sarebbero stati efficacemente arginabili nell’assetto dell’istituto anteriore all’odierna riforma».
Il lavoratore a tempo parziale ha i medesimi diritti di un lavoratore a tempo pieno com- parabile ed il suo trattamento economico e normativo è riproporzionato in ragione della ridotta entità della prestazione lavorativa. I contratti collettivi possono modulare la du- rata del periodo di prova, del periodo di preavviso in caso di licenziamento o dimissioni e quella del periodo di conservazione del posto di lavoro in caso di malattia ed infortu- nio in relazione all’articolazione dell’orario di lavoro». Scompare dunque la parità di trattamento per alcuni istituti (ad es. la durata del periodo di prova e delle ferie annuali), che svolgeva una funzione, anche promozionale, per la stipulazione di contratti a tempo parziale e che sottraeva alcuni istituti, connessi alla persona del lavoratore, al rigore del- la stretta corrispettività che si traduce in una discriminazione derivante dal fatto di svol- gere la prestazione a tempo parziale (66).
Ciò è tanto vero che lo stesso legislatore conserva l’articolo 60, comma 1, del decreto legislativo n. 151/2001 in base al quale, in attuazione “non casuale” del principio di non discriminazione, lavoratore e lavoratrice a tempo parziale beneficiano dei medesimi di- ritti del dipendente a tempo pieno comparabile per quanto riguarda la durata dei congedi previsti dal TU n. 151/2001 in materia di tutela e sostegno della maternità e della pater- nità. L’articolo 60 del decreto legislativo n. 151/2001 stabilisce che, in attuazione di quanto previsto dal decreto legislativo n. 61/2000 e, in particolare, del principio di non discriminazione, la lavoratrice e il lavoratore a tempo parziale beneficiano dei medesimi diritti di un dipendente a tempo pieno comparabile, per quanto riguarda la durata dei congedi previsti dal presente testo unico. Il relativo trattamento economico è ripropor- zionato in ragione della ridotta entità della prestazione lavorativa. La disciplina non è stata abrogata espressamente e conserva vigore in quanto si tratta di una disciplina spe- ciale rispetto al nuovo assetto generale del part-time. Come del resto la disciplina pro- mozionale: «2. Ove la lavoratrice o il lavoratore a tempo parziale e il datore di lavoro abbiano concordato la trasformazione del rapporto di lavoro in rapporto a tempo pieno per un periodo in parte coincidente con quello del congedo di maternità, è assunta a rife- rimento la base di calcolo più favorevole della retribuzione, agli effetti di quanto previ- sto dall’art. 23, co. 4.
3. Alle lavoratrici e ai lavoratori di cui al comma 1 si applicano le disposizioni dell’art. 8 del d. lgs. n. 564/1996, in materia contributiva».
Va da sé poi che contratto collettivo e contratto individuale possano disporre emolu- menti economici e trattamenti normativi in misura più che proporzionale a favore dei lavoratori a part-time. Potrebbe apparire quindi superflua la conservazione del ricono- scimento, da parte del decreto, della possibilità per i contratti collettivi di modulare la durata del periodo di prova, del periodo di preavviso e quella di conservazione del posto di lavoro in caso di malattia e infortunio, in relazione all’articolazione dell’orario di la- voro (nel testo precedente si faceva riferimento in modo più chiaro al contratto a tempo parziale di tipo verticale). Nel nuovo contesto la disposizione avrebbe senso solo se vin- colasse l’autonomia negoziale. Unica funzione che potrebbe assolvere: quella di esclu- dere una rimodulazione ad opera della giurisprudenza, laddove questa interveniva per affermarne la necessità (67). Si tratterebbe di un obiettivo irrazionale ed impossibile in quanto i giudici potrebbero esprimersi sulla discriminazione sostanziale che affligge- rebbe il part-timer.
(66) Per valutazioni critiche su questa parte della disciplina v. anche M. Roccella, op. cit., p. 181, dove si rileva che, come insegna la giurisprudenza della Corte di giustizia UE e quella nazionale, non tutto il trat- tamento va riproporzionato.
(67) Sul punto v. R. Santucci, “Blow up”, cit., e Cass. n. 27762/2009.
Della disposizione è ragionevole dunque una lettura sfavorevole, nel senso di consentire la rimodulazione dei trattamenti, anche quelli non corrispettivi, attinenti alla tutela della persona, sulla base della durata della prestazione: ciò trasforma il pro rata temporis, nella maggior parte dei casi, in un’evidente discriminazione (68) e il riferimento norma- tivo all’articolazione degli orari non chiarisce in modo generalizzato il tipo di interven- to, conforme al principio di non discriminazione, tarato sulla maggiore rarefazione dell’attività lavorativa rispetto alle frequenze per i lavoratori a tempo pieno (69).
Altro aspetto su cui riflettere: per il divieto di discriminazione la comparazione si isti- tuisce con il lavoratore di pari inquadramento; per il trattamento economico e normativo si fa riferimento al lavoratore a tempo pieno comparabile. mentre nel previgente sistema la comparazione doveva riguardare il lavoratore a tempo pieno comparabile, intenden- dosi per tale quello inquadrato nello stesso livello in forza dei criteri di classificazione stabiliti dai contratti collettivi di cui all’articolo 1, comma 3, per il solo motivo di lavo- rare a tempo parziale (di veda l’articolo 4 del decreto legislativo n. 61/2000) (70). Forse però il legislatore ha voluto inserire una discontinuità rispetto al passato. Per quanto concerne la discriminazione ha legificato quanto la giurisprudenza da tempo afferma. Di recente la Cassazione ha ribadito l’interpretazione (71). Per focalizzare il problema oc- corre partire dal caso, dal merito: un dipendente, in virtù di contratto a tempo indeter- minato a prestazione part-time a 80 ore mensili, articolate su turni giornalieri di 8 ore ciascuno per un minimo di 10 giorni al mese e 120 giorni l’anno a cui era corrisposta una retribuzione oraria inferiore a quella dovuta al personale dipendente a tempo pieno, aveva chiesto il pagamento delle differenze maturate con le maggiorazioni per il lavoro notturno. La Cassazione statuisce che in tema di lavoro a tempo parziale, il rispetto del principio di non discriminazione, di cui all’articolo 4 del decreto legislativo n. 61/2000, attuativo della direttiva 97/81/CE relativa all’accordo-quadro sul lavoro a tempo parzia- le, «comporta che il lavoratore in regime di part-time non deve ricevere un trattamento meno favorevole rispetto al lavoratore a tempo pieno comparabile, che va individuato esclusivamente in quello inquadrato nello stesso livello in forza dei criteri di classifica- zione stabiliti dai contratti collettivi di cui all’art. 1, co. 3» dello stesso decreto (contratti collettivi nazionali stipulati dai sindacati comparativamente più rappresentativi, contratti collettivi territoriali stipulati dai medesimi sindacati e contratti collettivi aziendali stipu- lati dalle rappresentanze sindacali aziendali, di cui all’articolo 19 della legge n. 300/1970, e successive modificazioni). Ne consegue che, ai fini della comparazione, non sono ammissibili criteri alternativi, quale quello del sistema della turnazione conti- nua ed avvicendata seguita dai lavoratori a tempo pieno. Per quanto, poi, specificamente attiene alla comparazione con il lavoratori turnisti a tempo pieno in relazione alle mag- giorazioni per lavoro notturno, la Corte ribadisce altresì, che «la maggiorazione retribu- tiva per il lavoro notturno, si applica anche ai lavoratori in regime part-time che abbiano
(68) Cfr. V. Bavaro, op. cit., 222; giustamente S. Bellomo, La riscrittura, cit., 512, sottolinea come il ri- proporzionamento debba essere limitato ai trattamenti oggettivamente riproporzionabili in ragione della ridotta entità della prestazione lavorativa, non apparendo immaginabile l’applicazione del principio a ma- terie come la tutela della sicurezza dei lavoratori o all’accesso alle iniziative di formazione professionale organizzate dal datore di lavoro. Però in altri casi la soluzione non è così semplice.
(69) Così S. Bellomo, La riscrittura, cit., 512, nt. 15.
(70) A tal riguardo v. M. Roccella, T. Treu, op. cit., 240 secondo cui, in base alla clausola dell’accordo recepito nella direttiva, il raffronto va effettuato tra posizioni lavorative omogenee differenziate sotto il
profilo dell’entità dell’orario, potendo elementi come l’anzianità o la professionalità individuali determi- nare legittime diversità di trattamento.
(71) Cfr. Cass. n. 6087/2017; conf. Cass. n. 24333/2014; Cass. n. 17726 del 2011.
lo stesso livello di inquadramento, e svolgano le stesse modalità di prestazione lavorati- va del personale turnista a tempo pieno, in quanto la maggiore retribuzione per i lavora- tori impiegati in turni continui e avvicendati non può essere esclusa in caso di diversità di sequenza oraria, che, tuttavia, contempli il lavoro notturno con caratteristiche di co- stanza, dovendosi ritenere che una diversa interpretazione contrasti con il principio di non discriminazione di cui all’art. 4 del d.lgs. n. 61/2000, attuativo della direttiva 97/81/CE» (72).
L’interpretazione citata della giurisprudenza sembra dunque ancorare il criterio del la- voratore comparabile all’inquadramento. Ma la conclusione non è del tutto vera perché poi, al fine di riconoscere al lavoratore part-time, la maggiorazione per lavoro notturno verifica che lo stesso si sia svolto con modalità diverse dal lavoratore a tempo pieno ma in ogni caso con costanza. Quindi è stata verificata l’identità non solo dell’inquadramento, ma anche del lavoro svolto.
Il legislatore, inserendo il riferimento al solo inquadramento, sembra pertanto irrigidire la comparazione, quasi si trattasse solo di un problema di inquadramento; per un verso sembra fare propria la determinazione del lavoratore comparabile (nel caso della di- scriminazione considera tale il lavoratore con lo stesso inquadramento); per un secondo verso riprende la comparazione del lavoratore comparabile senza alcuna specificazione come in passato: ma si può immaginare che l’articolazione sarebbe stata utile, in quanto rispettosa dell’accordo europeo; e l’articolazione può essere ripresa direttamente dall’accordo (clausola 3) per il quale 2) «lavoratore a tempo pieno comparabile» è il la- voratore a tempo pieno dello stesso stabilimento, che ha lo stesso tipo di contratto o di rapporto di lavoro e un lavoro/occupazione identico o simile, tenendo conto di altre considerazioni che possono includere l’anzianità e le qualifiche/competenze.
Qualora non esistesse nessun lavoratore a tempo pieno comparabile nello stesso stabili- mento, il paragone si effettuerebbe con riferimento al contratto collettivo applicabile o, in assenza di contratto collettivo applicabile, conformemente alla legge, ai contratti col- lettivi o alle prassi nazionali. In tale accordo è molto evidente che si tenga conto di ele- menti ulteriori rispetto a quello del solo inquadramento, criterio questo a cui si accede solo in mancanza di nessun lavoratore a tempo pieno e comparabile.
Anche in questo caso la furia semplificativa sembra aver giocato un brutto scherzo con una normativa certo più soft rispetto alla precedente ma che apre – se ce ne fossero – più problemi di quanto ne risolve. Tra l’altro mostra che l’analisi della giurisprudenza in materia sia stata fatta in modo superficiale, senza tener conto della vera operazione an- che di verifica dell’identità di lavori svolti.
(72) Conf. Cass. n. 24333 del 2014; Cass. n. 20843/2015.
7. La trasformazione del contratto da full-time in part-time e viceversa: i benefici rarefatti per il la- voratore
Per la trasformazione del rapporto a tempo pieno in rapporto a tempo parziale o vice- versa ad opera del decreto legislativo n. 81/2015 (articolo 8), si registrano innovazioni con l’ampliamento del diritto del lavoratore.
Innanzitutto si conferma tanto che la trasformazione da tempo pieno a parziale è am- messa su accordo delle parti, formalizzato per iscritto (articolo 8, comma 2), quanto che il rifiuto del lavoratore di trasformare il proprio rapporto di lavoro a tempo pieno in rap- porto a tempo parziale, o viceversa, non costituisce giustificato motivo di licenziamento (articolo 8, comma 1) (73). Il divieto, che riprende la previsione (non solo) europea (74), va inteso comunque in senso relativo, restando salva la facoltà di un valido recesso con- forme alla disciplina sul licenziamento (75).
In secondo luogo si amplia il diritto alla trasformazione del rapporto di lavoro che sussi- ste non più solo nei casi in cui il lavoratore sia affetto da gravi patologie oncologiche, ma anche quando si tratti di malattie cronico-degenerative ingravescenti. In entrambi i casi le malattie devono comunque lasciare al lavoratore una ridotta capacità lavorativa, eventualmente anche a causa di effetti invalidanti di terapie salvavita, accertata da una Commissione medica istituita dall’Asl competente per territorio (76). Sarebbe stato pre- feribile se il legislatore avesse indicato un’invalidità minima, per evitare di rimettersi alle discrezionalità totale delle Commissioni mediche (77).
Il diritto sussiste poi nel caso di congedo parentale (articolo 8, comma 7, decreto legi- slativo n. 81), in applicazione degli articoli 32-38 del decreto legislativo n. 151/2001, limitato ad una sola volta, in sostituzione del congedo oppure entro i limiti del congedo ancora spettante, purché con riduzione di orario non superiore al 50% (il datore di lavo- ro è tenuto a dar corso alla trasformazione, entro quindici giorni dalla richiesta). La convenienza di tale part-time è adesso diminuita in quanto l’articolo 32, commi 1-bis e
(73) Sul punto del consenso nella trasformazione e sul divieto di licenziamento in caso di rifiuto va segna- lata la sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea 15 ottobre 2014, C-221/13, Mascellani c. Ministero della giustizia, secondo la quale è conforme alla direttiva europea la previsione legislativa ita- liana (art. 16 l. n. 183/2010) che ha riconosciuto alle amministrazioni pubbliche il potere di riesaminare e trasformare unilateralmente il contratto a tempo parziale in contratto a tempo pieno, in applicazione delle speciali previsioni legislative (la disposizione legislativa ha completato la cessazione di un sistema di part-time nelle amministrazioni pubbliche di completo favore per il dipendente pubblico e di marginalis- sima considerazione per l’organizzazione dei servizi pubblici). Sulla questione ci si soffermerà più avanti, quando l’analisi riguarderà il lavoro nelle amministrazioni pubbliche. In ogni caso cfr. S. Bellomo, La ri- scrittura, 513 e, criticamente, M. Delfino, La Corte di giustizia e la via tortuosa alla tutela del consenso individuale nel part-time, in RIDL, 2015, II, 357 ss.
(74) Si tratta della clausola 5.2 dell’accordo quadro recepito nella direttiva europea. Ma una regola analo- ga è contenuta nell’art. 19 della raccomandazione OIL n. 182/1994. In materia cfr. M. Altimari, op. cit., 58.
(75) V. la sentenza della Corte di giustizia citata nella nota 73; M. Altimari, op. cit., 58.
(76) Dubbi applicativi sollevano A. Cimarosti, op. cit., 892; S. Bruzzone, F. Romano, Patologie oncologi- che, patologie cronico-degenerative e diritto al part-time, in M. Tiraboschi (a cura di), Le nuove regole del lavoro dopo il Jobs Act, Giuffrè, 2016, 613 ss.
(77) In questo senso già A. Cimarosti, op. cit., 892.
1-ter, del decreto legislativo n. 151/2001 (78) prevede la possibilità di fruire su base ora- ria del congedo: in caso di mancata regolamentazione da parte della contrattazione col- lettiva, la fruizione su base oraria, eventualmente scelta da ciascun genitore, è consentita in misura pari alla metà dell’orario medio giornaliero del periodo di paga quadrisetti- manale o mensile immediatamente precedente a quello in cui ha inizio il congedo paren- tale.
Di recente si registrano alcune altre ipotesi di part-time “scelto”, in presenza di determi- nate condizioni.
Il decreto legislativo n. 80/2015, dedicato alla conciliazione delle esigenze di cura, di vita e di lavoro (79), annovera il caso della trasformazione del rapporto, ove disponibile in organico, assicurato alla lavoratrice inserita nei percorsi di protezione relativi alla violenza di genere, debitamente certificati dai servizi sociali del comune di residenza o dai centri antiviolenza o dalle case rifugio. Il rapporto di lavoro a tempo parziale deve essere nuovamente trasformato, a richiesta della lavoratrice in rapporto a tempo pieno (articolo 24, comma 6). Si ha in questo caso un diritto alla trasformazione, scelto dalla lavoratrice, condizionato alla disponibilità nell’organico dell’azienda.
L’articolo 41, comma 5, del decreto legislativo n. 148/2015 contempla una misura per i lavoratori delle imprese nelle quali siano stati stipulati contratti di solidarietà espansiva (80), che abbiano un’età inferiore a quella prevista per la pensione di vecchiaia di non più di 24 mesi e i requisiti minimi di contribuzione per avere diritto alla pensione mede- sima (81). A tali lavoratori spetta, a domanda, il trattamento pensionistico a condizione che abbiano accettato di svolgere una prestazione di lavoro ridotta (non superiore alla metà dell’orario di lavoro praticato prima della riduzione convenuta nel contratto collet- tivo), che la trasformazione del rapporto avvenga entro un anno dalla data di stipulazio- ne del contratto collettivo e in forza di clausole che prevedano, in corrispondenza alla riduzione di orario, un incremento dell’occupazione. Il trattamento di pensione è cumu- labile con la retribuzione nel limite massimo della somma corrispondente al trattamento retributivo perso al momento della trasformazione da tempo pieno a tempo parziale, ferma restando, negli altri casi, la disciplina in tema di cumulo tra pensione e reddito di lavoro. Terminato il periodo di lavoro a orario ridotto, le settimane relative sono «neu- tralizzate» per individuare la base di calcolo della pensione, ove ciò sia più favorevole per il pensionato (articolo 41, comma 6).
L’articolo 1, comma 284, della legge n. 208/2015 (82) consente ai lavoratori dipendenti a tempo pieno e indeterminato del settore privato di chiedere la trasformazione del rap- porto da full-time a part-time, con relativa riduzione dell’orario di lavoro in una percen-
(78) Come inseriti il primo dall’art. 1, co. 339 lett. a, l. n. 228 del 2012, il secondo dall’art. 7, co. 1 lett. b, d.lgs. n. 80/2015.
(79) Sul tema si consenta il rinvio a R. Santucci, La conciliazione tra cura, vita e lavoro (il work life ba-
lance), in F. Santoni, M. Ricci, R. Santucci (a cura di), op. cit., 183 ss.; v. inoltre V. Pasquarella, Work- life balance: esiste un modello italiano di «conciliazione condivisa» dopo il jobs act?, in RIDL, 1/2017, 41.
(80) Sul part-time connesso alla “solidarietà espansiva”, v. da ultimo P. Passalacqua, L’età pensionabile, cit., 154 ss.; D. Garofalo, Il contratto di solidarietà espansivo, in E. Balletti e D. Garofalo (a cura di), La
riforma della Cassa integrazione guadagni nel Jobs Act 2, Cacucci, 2016, 343 ss.; G. Gamberini, op. cit., 143 ss.
(81) Cfr. gli Aa. citati nella nt. 88.
(82) Il comma è stato modificato dall’art. 2-quater, co. 3, del d. l. n. 210/2015, convertito, con modifica- zioni, dalla l. n. 21/2016. Per le modalità di riconoscimento di quanto previsto v. anche il d. m. 7 aprile 2016.
tuale non inferiore al 40% e non superiore al 60%, per un periodo massimo di tre anni dal raggiungimento della pensione di vecchiaia. Si tratta di una misura finalizzata alla flessibilità in uscita dal mondo del lavoro, con costi condivisi tra lavoratore, datore di lavoro e Stato. I lavoratori, oltre ad essere titolari di un rapporto di lavoro full time a tempo indeterminato, devono raggiungere i requisiti per l’accesso alla pensione di vec- chiaia entro il 31 dicembre 2018 (cioè 66 anni e 7 mesi) e devono avere maturato i re- quisiti minimi di contribuzione per il diritto al predetto trattamento pensionistico di vec- chiaia (almeno 20 anni di contributi al momento della trasformazione del rapporto di la- voro in part-time). Si ottiene una riduzione dell’orario di lavoro tra il 40% e il 60% dell’orario a tempo pieno, ma il calo della retribuzione è temperato però dall’erogazione da parte del datore di lavoro dei contributi relativi alla prestazione lavorativa non effet- tuata. Tale emolumento non concorre alla formazione del reddito da lavoro dipendente e non è assoggettato ad alcuna forma di contribuzione previdenziale, ivi inclusa quella re- lativa all’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali. Lo Sta- to copre figurativamente la quota di retribuzione perduta dal lavoratore. In questo modo la pensione sarà erogata come se il rapporto non fosse mai stato trasformato in part- time, evitandosi che la trasformazione del rapporto di lavoro abbia un’incidenza negati- va sulla misura del trattamento pensionistico (83).
Per attivare il part-time agevolato il lavoratore deve presentare una richiesta all’Inps di certificazione del raggiungimento dell’età pensionabile di vecchiaia al 31/12/2018 e del possesso dell’anzianità contributiva minima di 20 anni. Ottenuta la certificazione, le parti possono procedere alla stipulazione dell’accordo individuale di trasformazione del contratto di lavoro da full-time a part-time con una riduzione di orario compresa tra il 40 e il 60%. Il datore di lavoro trasmette quindi tale accordo alla DTL competente per territorio, che entro cinque giorni emana il provvedimento di autorizzazione. Decorsi inutilmente i cinque giorni, l’autorizzazione s’intende rilasciata. Dopo aver ottenuto il provvedimento di autorizzazione, il datore di lavoro trasmette l’istanza all’INPS che ri- sponderà entro il termine di 5 giorni lavorativi indicando l’accoglimento o il rigetto dell’istanza. L’accoglimento dell’istanza dipenderà anche dallo stato delle risorse finan- ziarie messe a copertura dell’intervento (il Governo ha stanziato specifici limiti di spe- sa) che dovranno essere verificati per ciascun anno con relativo rigetto delle domande che saranno presentate successivamente al superamento di tali limiti, anche qualora tale superamento si realizzi solo per un singolo anno. In questo caso il part-time è dunque scelto da entrambe le parti del rapporto di lavoro. L’istituto, a differenza del contratto di solidarietà espansiva, non presenta una finalità occupazionale ed è diretto ad avvantag- giare sicuramente il lavoratore che beneficia di un trattamento economico che riceve dal datore di lavoro: oltre alla retribuzione per l’attività lavorativa svolta, una somma esente dall’Irpef e pari ai contributi a carico del datore di lavoro corrispondenti alla retribuzio- ne persa. In ogni caso non riconoscendosi un diritto soggettivo in capo al lavoratore di avvalersene, ma presupponendosi un accordo con il datore di lavoro, conta anche la convenienza del datore di lavoro. Questa «sembra emergere laddove la prestazione la- vorativa persa a causa della trasformazione del rapporto risulti eccedente, tanto da non essere affidata ad altro lavoratore. In questa eventualità, il datore di lavoro riduce il pro- prio costo del lavoro, in una somma pari alla differenza tra retribuzione non più corri- sposta, con riguardo alla quota parte di rapporto trasformato e non più reso, e la relativa
(83) Sull’istituto v. P. Passalacqua, L’età pensionabile nella prospettiva del ricambio generazionale, in
VTDL, 1/2017, 149 ss., spec. 156 ss.
contribuzione previdenziale che versa monetizzata al lavoratore. Ipotesi diversa appare quella in cui la stessa prestazione persa debba essere redistribuita all’interno dell’azienda oppure richieda l’assunzione ex novo di altro personale, giacché in questi casi i costi per il datore di lavoro potrebbero anche essere maggiori rispetto a quelli so- stenuti in precedenza attraverso l’utilizzo full-time di quel lavoratore richiedente la tra- sformazione del proprio contratto in part-time» ( 84 ). Ciò potrebbe spiegarne l’utilizzazione limitata.
Un diritto alla priorità nella trasformazione è riconosciuto quando le gravi patologie, prima indicate, riguardino il coniuge, i figli o i genitori del lavoratore, nonché nel caso in cui il lavoratore assista una persona convivente con grave handicap oppure conviva con figlio di età non superiore a tredici anni (85).
Nel percorso inverso, da part-time a full-time, la posizione dei lavoratori, che abbiano trasformato il rapporto di lavoro a tempo pieno in rapporto a tempo parziale, è invariata in quanto si attribuisce loro un diritto di precedenza nelle assunzioni con contratto a tempo pieno per l’espletamento delle stesse mansioni o di quelle di pari livello e catego- ria legale rispetto a quelle oggetto del rapporto di lavoro a tempo parziale (comma 6) (86). Si rileva, rispetto all’assetto previgente, solo un aggiornamento di tale diritto, che determina un ampliamento con riguardo all’ambito professionale di copertura, in con- formità al nuovo articolo 2103 c.c., come modificato dall’articolo 3 del decreto legisla- tivo n. 81/2015.
È eliminata la previsione superflua secondo cui il contratto individuale può prevedere, in caso di assunzione di personale a tempo pieno, un diritto di precedenza in favore dei lavoratori assunti a tempo parziale in attività presso unità produttive site nello stesso ambito comunale, adibiti alle stesse mansioni od a mansioni equivalenti rispetto a quelle con riguardo alle quali è prevista l’assunzione (articolo 5, comma 2, decreto legislativo
n. 61/2000). Del resto è evidente che le pattuizioni individuali possano attribuire diritti non garantiti dalla legge o dal contratto collettivo.
Il legislatore stabilisce inoltre (comma 8):
a. un diritto di informazione per i lavoratori: in caso di assunzione di personale a tempo parziale, il datore di lavoro è tenuto a darne tempestiva informazione al personale già dipendente con rapporto a tempo pieno occupato in unità produttive site nello stesso ambito comunale, anche mediante comunicazione scritta in luogo accessibile a tutti nei locali dell’impresa;
b) l’obbligo del datore di lavoro di considerare le eventuali domande di trasformazione a tempo parziale del rapporto dei dipendenti a tempo pieno.
(84) Lucidamente P. Passalacqua, L’età pensionabile, cit., 158, mette a nudo limiti e finalità vere, volute o no, dell’istituto.
(85) Secondo Cass. n. 215/2016 con la precedente norma che prevedeva come criterio per il diritto di pre- cedenza nell’assunzione full time (e nella relativa trasformazione del rapporto) quello dei “maggiori cari-
chi familiari” (art. 5, co. 2, d.lgs. n. 61/2000, nel testo precedente alla modifica del 2003), occorreva far riferimento alla nozione, evincibile dalla disciplina fiscale, sia del numero dei figli, sia della situazione patrimoniale della famiglia. La norma in questione era diretta a tutelare la situazione reddituale deteriore del lavoratore part-time, per il maggior aggravio derivante sia dal numero dei familiari a carico, sia del relativo onere economico.
(86) Per una disamina accurata della fattispecie v. M. Altimari, op. cit., 65 ss.
È stato eliminato, rispetto al testo previgente, il rinvio ai contratti collettivi per l’individuazione di criteri applicativi: in questo modo si è fugato il rischio che l’obbligo datoriale fosse condizionato dalla previsione degli stessi (87).
8. Il sistema previdenziale: in continuità con il passa- to, evitando la soluzione di questioni dibattute e controverse
Non ci sono innovazioni nell’articolo 11 del decreto legislativo n. 81rispetto al passato per quel che concerne la disciplina previdenziale (88). Eppure sarebbe stata opportuna qualche modifica o integrazione per risolvere definitivamente alcuni problemi interpre- tativi che sono stati finora affrontati in sede giurisprudenziale.
Pertanto l’articolo 11 del decreto legislativo n. 81stabilisce che:
a. la retribuzione minima, da assumere come base per il calcolo dei contributi previ- denziali dovuti per i lavoratori a tempo parziale, è oraria, e non giornaliera, fondan- dosi quindi sulle ore effettivamente lavorate (comma 1) (89);
b. gli assegni per il nucleo familiare spettano per l’intera misura settimanale in presenza di una prestazione lavorativa settimanale di durata non inferiore al minimo di 24 ore (a tal fine sono cumulate le ore prestate in diversi rapporti di lavoro); in caso contra- rio spettano tanti assegni giornalieri quante sono le giornate di lavoro effettivamente prestate, qualunque sia il numero delle ore lavorate nella giornata (comma 2) (90);
c. la retribuzione dei lavoratori a tempo parziale, a valere ai fini dell’assicurazione con- tro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, è uguale alla retribuzione tabel-
(87) Sul punto diversamente, per una valutazione di carattere pleonastico della disposizione, cfr. S. Bello- mo, La riscrittura, cit., 514.
(88) In tal senso con riferimento alla disciplina dell’anzianità contributiva pensionistica, nel caso della tra- sformazione del rapporto (art. 81, co. 4), cfr. Cass. n. 21376 del 2016. Per una sintetica ricostruzione dell’evoluzione normativa, cfr. M. Altimari, op. cit., 73 ss. Per le discipline degli istituti previdenziali cfr.
M. Cinelli, Diritto della previdenza sociale, Giappichelli, 2015; V. Ferrante, T. Tranquillo, Nozioni di di- ritto della previdenza sociale, Wolters Kluwer Cedam, 2016; M. Persiani, M. D’Onghia, Fondamenti di diritto della previdenza sociale, Giappichelli, 2016; R. Pessi, Lezioni di diritto della previdenza sociale, Wolters Kluwer Cedam, 2016.
(89) La disposizione prevede che la retribuzione si determina rapportando alle giornate di lavoro settima- nale ad orario normale il minimale giornaliero (di cui all’art 7 del d.l. n. 463/1983 conv. con mod. dalla l.
n. 638/1983), e dividendo l’importo così ottenuto per il numero delle ore di orario normale settimanale, previsto dal contratto collettivo nazionale di categoria per i lavoratori a tempo pieno. Se il lavoratore è retribuito mensilmente e lavora con settimana corta, le giornate da considerare sono sempre sei, mentre se è retribuito a ore, il sabato non lavorativo deve essere escluso. Per determinare l’imponibile contributivo occorre verificare il rispetto delle seguenti condizioni: se la retribuzione effettiva è superiore ai minimali e a quella contrattuale, la contribuzione deve essere calcolata sulla retribuzione effettiva; se la retribuzio- ne effettiva è inferiore ai minimali o a quella contrattuale, deve essere adeguata all’importo più elevato tra i due.
(90) L’importo dell’assegno è calcolato in base alla tipologia del nucleo familiare, al numero dei compo- nenti e al reddito complessivo del nucleo. Sono previsti importi e fasce reddituali più favorevoli per situa-
zioni di particolare disagio (ad esempio, nuclei monoparentali o con componenti inabili). L’importo dell’assegno è pubblicato annualmente dall’INPS in tabelle valide dal 1° luglio di ogni anno, fino al 30 giugno dell’anno seguente.
lare prevista dalla contrattazione collettiva per il corrispondente rapporto di lavoro a tempo pieno. La retribuzione è determinata su base oraria in relazione alla durata normale annua della prestazione di lavoro espressa in ore. La retribuzione minima oraria da assumere quale base di calcolo dei premi è quella stessa stabilita per il cal- colo dei contributi previdenziali al comma 1 dell’articolo 11 (comma 3);
d. per la pensione, in caso di trasformazione del rapporto di lavoro a tempo pieno in rapporto di lavoro a tempo parziale e viceversa, si computa per intero l’anzianità re- lativa ai periodi di lavoro a tempo pieno e proporzionalmente all’orario effettivamen- te svolto l’anzianità inerente ai periodi di lavoro a tempo parziale (comma 4).
Per le questioni previdenziali rimaste irrisolte (totalmente o parzialmente), è opportuno partire da quella relativa al riconoscimento al lavoratore a tempo indeterminato con part-time verticale del diritto all’indennità di disoccupazione (ordinaria o ridotta) nei pe- riodi di inattività. La posizione dell’istituto previdenziale è stata sempre negativa (91) in quanto il rapporto di lavoro nei periodi di inattività non è cessato, ma è solo sospeso. Tale posizione è stata convalidata dalla Corte Costituzionale (92), in quanto nel lavoro a tempo parziale verticale il rapporto prosegue anche durante il periodo di sosta, pur con la sospensione delle corrispettive prestazioni, in attesa della nuova fase lavorativa. Di recente con la nuova prestazione di assicurazione sociale per l’impiego cd. Naspi (si ve- da il decreto legislativo n. 22/2015) si è fatto un passo avanti: l’articolo 9, comma 3, del decreto legislativo n. 22/2015 (comma come modificato dall’articolo 34, comma 3, let- tera a, del decreto legislativo n. 150/2015) prevede che il lavoratore «titolare di due o più rapporti di lavoro subordinato a tempo parziale che cessi da uno dei detti rapporti a seguito di licenziamento, dimissioni per giusta causa, o di risoluzione consensuale in- tervenuta nell’ambito della procedura di cui all’art. 7 della l. n. 604/1966, come modifi- cato dall’art. 1, co. 40, della l. n. 92/2012, e il cui reddito corrisponda a un’imposta lor- da pari o inferiore alle detrazioni spettanti ai sensi dell’articolo 13 del testo unico delle imposte sui redditi di cui al d. P.R. n. 917/1986 (cioè pari a 8.000 euro), ha diritto, ricor- rendo tutti gli altri requisiti, di percepire la NASpI, ridotta nei termini di cui all’art. 10 (93), a condizione che comunichi all’INPS entro trenta giorni dalla domanda di presta- zione il reddito annuo previsto». Si rammenta che la Naspi spetta ai lavoratori con rap- porto di lavoro subordinato che hanno perduto involontariamente l’occupazione e siano disposti allo svolgimento di attività lavorativa e alla partecipazione alle misure di politi- ca attiva del lavoro concordate con il centro per l’impiego (siano dunque in stato di di- soccupazione ai sensi dell’articolo 19 del decreto legislativo n. 150/2015, che sostituisce l’articolo 1, comma 2, lettera c, del decreto legislativo n. 181/2000). Quindi viene corri- sposta una Naspi ridotta ad un lavoratore rimasto con un rapporto part-time a tempo in-
(91) Cfr. circ. INPS n. 55 del 2006 e già n. 198/1995. Si era rilevata l’irragionevolezza del mancato rico- noscimento dell’indennità per i periodi di tempo non lavorati in caso di lavoro a tempo parziale verticale in quanto la forma part-time del contratto non costituisce il più delle volte una scelta volontaria del lavo- ratore: v. M. Brollo, Part-time e lavoro intermittente alla prova dei numeri, in ADL, 2014, 1245 ss., spec. 1253-1254.
(92) Cfr. sentenza n. 121/2006 e già Cass. S.U. n. 1732 del 2003.
(93) La NASpI è ridotta di un importo pari all’80 per cento del reddito previsto, rapportato al periodo di tempo intercorrente tra la data di inizio dell’attività e la data in cui termina il periodo di godimento dell’indennità o, se antecedente, la fine dell’anno. La riduzione di cui al periodo precedente è ricalcolata d’ufficio al momento della presentazione della dichiarazione dei redditi. Il lavoratore esentato dall’obbligo di presentazione della dichiarazione dei redditi è tenuto a presentare all’INPS un’apposita autodichiarazione concernente il reddito ricavato dall’attività lavorativa autonoma o di impresa individua- le entro il 31 marzo dell’anno successivo.
determinato con reddito insufficiente. In effetti, se prima la disparità di trattamento era giustificata da una diversità di situazioni di partenza (ad esempio con i lavoratori sta- gionali a termine il cui rapporto di lavoro cessa alla fine della stagione e potrebbe riatti- varsi all’inizio della successiva), adesso è più evidente tra lavoratori che fin dall’origine sono titolari di un solo rapporto di lavoro part-time senza raggiungere il limite di reddito indicato per la Naspi ridotta (94).
Un secondo problema sollevato in sede giurisprudenziale è quello relativo alla valuta- zione dell’anzianità contributiva di servizio per un lavoratore assunto a tempo indeter- minato con part-time verticale che, pur svolgendo un identico numero di ore di lavoro rispetto al lavoratore con part-time orizzontale, vede ristretto il calcolo della sua anzia- nità al periodo in cui ha svolto la prestazione. La giurisprudenza, seppure sulla base del- la previgente ma identica disciplina, ha ritenuto che vada computato come anzianità contributiva tutto l’anno. In recente arresti la Cassazione (95), condivisa l’opinione della Corte costituzionale (sentenza n. 121/2006) con riguardo al fatto che assicurando il rap- porto di lavoro a tempo parziale verticale al lavoratore una stabilità ed una sicurezza re- tributiva, non si può considerare costituzionalmente obbligata una tutela previdenziale integrativa della retribuzione nei periodi di pausa della prestazione, ritiene tale conclu- sione logicamente possibile a condizione di interpretare il decreto-legge n. 726/1984, articolo 5, comma 11 (96), nel senso che l’ammontare dei contributi debba essere ripro- porzionato sull’intero anno cui i contributi si riferiscono. I periodi non lavorati non pos- sono escludersi dal calcolo dell’anzianità contributiva necessaria per acquisire il diritto alla pensione, ciò costituendo una logica conseguenza del principio per cui, nel contrat- to a tempo parziale verticale, il rapporto di lavoro perdura anche nei periodi di sosta. Diversamente, il lavoratore impiegato in regime di part-time verticale si troverebbe a fruire di un trattamento deteriore rispetto al suo omologo a tempo pieno, dal momento che i periodi di interruzione della prestazione lavorativa, che pure non gli danno diritto ad alcuna prestazione previdenziale, non gli gioverebbero nemmeno ai fini dell’anzianità contributiva. E non ci sono dubbi che codesta possibile disparità di trat- tamento genererebbe sospetti di illegittimità costituzionale ex articolo 3, primo comma, Cost., dal momento che, pur potendo concedersi che l’esclusione delle indennità di ca- rattere previdenziale potesse in passato parzialmente giustificarsi in ragione della volon- tarietà della scelta del tempo parziale e della consequenziale impossibilità di considerare i periodi di pausa come disoccupazione involontaria, l’assenza di tutela previdenziale trova in realtà ben più solido fondamento oggettivo nella natura continuativa del rappor- to instaurato inter partes (97). Nelle sentenze sopra richiamate, si valorizza la giurispru-
(94) Un’analoga questione era sorta nel sistema previgente: cfr. Cass. n.705/2016 secondo cui il lavoratore titolare, contemporaneamente, di due rapporti di lavoro subordinato a tempo parziale orizzontale, colloca- to in mobilità per uno dei due con prosecuzione dell’altro, ha diritto alla relativa indennità, stante la pre- visione dell’art. 8, co. 6, della l. n. 223 del 1991, che consente all’iscritto alle liste di mobilità di svolgere lavoro a tempo parziale pur mantenendo l’iscrizione; né rileva la circostanza che l’emolumento, corrispo- sto su base giornaliera, non sia frazionabile su base oraria, in quanto una limitazione alle sole giornate di totale inattività determinerebbe un’ingiustificata disparità di trattamento tra part-time verticale e part-time orizzontale.
(95) Cfr. sentt. n. 22936, 21376 e 8565 del 2016; in senso conforme v. Cass. nn. 24647, 24535 e 24532 del
2015.
(96) Secondo il quale, com’è noto, ai fini della determinazione del trattamento di pensione l’anzianità con- tributiva «inerente ai periodi di lavoro a tempo parziale» va calcolata «proporzionalmente all’orario effet- tivamente svolto».
(97) Il rispetto del divieto di discriminazione risulta un aspetto trainante richiamato da parte di Cass. nn.
23948 e 24647 del 2015 e 8565 del 2016 che si rifanno, per questo profilo, alla sentenza della Corte di
denza della Corte europea (98), secondo la quale la clausola 4 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale deve essere interpretata, con riferimento alle pensioni, «nel sen- so che osta a una normativa nazionale la quale, per i lavoratori a tempo parziale di tipo verticale ciclico, escluda i periodi non lavorati dal calcolo dell’anzianità contributiva necessaria per acquisire il diritto alla pensione, salvo che una tale differenza di tratta- mento sia giustificata da ragioni obiettive». In motivazione, la Corte UE ritiene che si tratti di un’esplicitazione del principio di non discriminazione (i lavoratori a tempo par- ziale non devono essere trattati in modo meno favorevole rispetto ai lavoratori a tempo pieno comparabili per il solo motivo che lavorano a tempo parziale, a meno che un trat- tamento differente sia giustificato da ragioni obiettive).
9. Il part-time nelle amministrazioni pubbliche: uno statuto quasi comune tra omissioni e vantaggi in- giustificati
Le regole sul part-time nelle amministrazioni pubbliche migliorano e tendono verso l’unificazione tra privato e pubblico. Ma non è fugata l’idea secondo cui costituiscano un complicato e a volte irragionevole sottosistema normativo (99).
L’articolo 12 del decreto legislativo n. 81 stabilisce che le disposizioni della sezione de- dicata al lavoro part-time si applicano, ove non diversamente disposto, ai rapporti di la- voro “privatizzati” alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni (si richiama l’articolo 2, comma 2, del decreto legislativo n. 165/2001), con esclusione di alcune di- sposizioni (l’articolo 6, commi 2 e 6, e l’articolo 10), e comunque fermo restando quan- to previsto da disposizioni speciali in materia. Questa è la punta dell’iceberg. L’analisi deve essere quindi approfondita.
Innanzitutto occorre far riferimento all’articolo 36 del decreto legislativo 165/2001 (nel testo modificato o integrato dal decreto legislativo n. 75/2017) che si occupa dell’utilizzo dei contratti di lavoro flessibile. Il comma 2, pur se non cita espressamente il contratto a tempo parziale, stabilendo che le amministrazioni pubbliche possono avva- lersi delle forme contrattuali flessibili previste dal codice civile e dalle altre leggi sui rapporti di lavoro nell’impresa, esclusivamente nei limiti e con le modalità in cui se ne preveda l’applicazione nelle amministrazioni pubbliche, fa cadere la finalità della ri- spondenza ad esigenze di carattere esclusivamente temporaneo o eccezionale (100) e conferma l’utilizzabilità del contratto part-time nelle amministrazioni pubbliche, rin- viando alla specifica disciplina. Il comma 2-bis introduce un’importante restrizione sul-
giustizia dell’Unione Europea, 10 giugno 2010, Bruno et al. (anche se la stessa si riferisce al campo priva- to delle pensioni).
(98) V. la sent. n. 395 del 10 giugno 2010, sulla quale cfr. la dottrina citata supra nella nt. 4.
(99) Un’attenzione specifica al tema è dedicata da M. Altimari, op. cit., 75 ss.; sull’argomento sia consen- tito il rinvio a R. Santucci, Il contratto di lavoro part-time all’epoca del jobs act: un agguato gattoparde- sco?, in LPA, 2/2015, 216 ss.
(100) Giustamente la finalità indicata nel testo previgente aveva portato ad escludere la riferibilità dell’art.
36 al contratto di lavoro a tempo parziale: v. R. Voza, Il lavoro a tempo parziale e il regime delle incom- patibilità, in U. Carabelli, M.T. Carinci (a cura di), Il lavoro pubblico in Italia, Cacucci, 2010, 257 ss., spec. 258.
la competenza dei contratti collettivi, stabilendo che i rinvii operati dall’articolo 51 del decreto legislativo n. 81/2015 ai contratti collettivi debbano intendersi riferiti, per quan- to riguarda le amministrazioni pubbliche, ai contratti collettivi nazionali stipulati dall’Aran.
In secondo luogo vanno precisati i contenuti delle disposizioni del decreto legislativo n. 81 escluse dall’applicazione: si tratta di quella riguardante le sanzioni (articolo 10) – già esclusa nel sistema previgente – e della recente disciplina minima legale sul lavoro sup- plementare (articolo 6, comma 2) e sulle clausole elastiche (articolo 6, comma 6). In questi ultimi casi si condiziona pertanto l’ammissibilità e la regolamentazione del lavo- ro flessibile e delle clausole elastiche alle previsioni dei contratti collettivi, che sono chiamati a svolgere dunque anche una funzione autorizzativa. Le esclusioni della disci- plina comune sono comunque minori del passato.
Se si considera poi che il decreto legislativo n. 81 lascia in vigore le normative speciali, senza indicarle con precisione a differenza di quanto faceva il decreto legislativo n. 61/2000, all’interprete è lasciato un complicato lavoro di individuazione e di coordina- mento delle stesse con le nuove regole: in alcuni casi, il compito è semplice perché la disciplina pubblicistica riguarda aspetti diversi, in altri casi la soluzione si presenta più difficile perché riguarda gli stessi istituti considerati dal decreto legislativo n. 81 (101). Occorre dunque infine una ricognizione “funzionale” delle disposizioni speciali in ma- teria (102).
A) In materia di costituzione del rapporto, il part-time può costituirsi con i lavoratori di tutti i profili professionali appartenenti alle varie qualifiche o livelli, ad esclusione del personale militare, di quello delle Forze di Polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco (articolo 1, comma 57, legge n. 662/1996). Per il personale che esercita compe- tenze istituzionali in materia di giustizia, difesa, sicurezza dello Stato, ordine e sicurezza pubblica (con esclusione di polizia municipale e provinciale) (103), le modalità di costi-
(101) Per l’individuazione e la disamina della disciplina in materia di part-time prima della riforma del 2015, cfr. L. Galantino, op. cit., 101 ss.
(102) Per la ricostruzione critica del quadro normativo cfr. P. Passalacqua, L’assetto del lavoro a tempo parziale a seguito degli ultimi interventi del legislatore, in RIDL, n. 3/2010, 552 ss., spec. 575 ss.; R. San-
tucci, Il lavoro part-time, in Diritto del lavoro. Commentario diretto da F. Carinci, V. Il lavoro nelle pub- bliche amministrazioni a cura di F. Carinci e L. Zoppoli, t. I, Utet, 2004, 597 ss.
(103) Sulla possibilità che, sulla base di una legge regionale (in particolare l’art. 10, co. 7, e l’art. 26, co. 8, della l. della Regione Friuli-Venezia Giulia n. 9/2009 in materia di politiche di sicurezza e ordinamento
della polizia locale), si vieti la stipulazione di contratti part-time con il personale di polizia municipale, cfr. C. cost. n. 141/2012. Per la Corte la prima disposizione non interviene direttamente sulla disciplina del contratto di lavoro a tempo parziale, ma si limita a stabilire, per il futuro, che il personale addetto a funzioni di polizia locale non potrà usufruire di tale modalità di prestazione del rapporto di lavoro. Questa previsione non altera il contenuto di un contratto regolato dalla legge statale, ma sceglie quale tipo di con- tratto dovrà essere applicato ad una determinata categoria di dipendenti. Anche alla luce dell’evoluzione della normativa statale in materia, la possibilità (o il divieto) di prestazione di lavoro con contratto a tem- po parziale si inserisce in un ambito di scelte di organizzazione amministrativa; ambito che si colloca in un momento antecedente a quello del sorgere del rapporto di lavoro. La norma, quindi, spiega la sua effi- cacia nella fase anteriore all’instaurazione del contratto di lavoro e incide in modo diretto sul comporta- mento delle amministrazioni nell’organizzazione delle proprie risorse umane e solo in via riflessa ed eventualmente sulle posizioni soggettive (sent. n. 235 del 2010). Essa non incide sulla struttura della di- sciplina del rapporto di lavoro ma regola l’uso di quell’istituto da parte delle amministrazioni locali, su cui la legge regionale ha competenza. In particolare, non disciplina il part-time con modalità diverse da quelle stabilite dalla legge statale, ma regola la sua applicabilità, con riferimento ad una categoria di di- pendenti con caratteri e funzioni particolari, attinenti alla sicurezza, come emerge dalla stessa motivazio- ne contenuta nella norma, la quale richiama il «fine di garantire l’efficace svolgimento delle funzioni di
tuzione del rapporto e i contingenti massimi del personale che può accedervi sono fissati con decreto del Ministro competente (articolo 1, comma 58, della legge n. 662/1996 come modificato dall’articolo 73, commi 1 e 2, del decreto-legge n. 112/2008, converti- to, con modificazioni, dalla legge n. 133/2008). Il rapporto può costituirsi anche con personale appartenente alla qualifica dirigenziale non sanitaria purché non sia preposto alla titolarità di uffici, con conseguenti effetti sul trattamento economico, secondo criteri definiti dai contratti collettivi nazionali di lavoro (articolo 39, comma 18-bis, della leg- ge n. 449/1997, come integrato dall’articolo 20 della legge n. 488/1999).
L’articolo 39, comma 18, della legge n. 449/1997 stabilisce che, allo scopo di ridurre la spesa derivante da nuove assunzioni, il Consiglio dei Ministri, definisce, entro il primo semestre di ciascun anno, anche la percentuale del personale da assumere annualmente con contratto di lavoro a tempo parziale o altre tipologie contrattuali flessibili, salvo che per le Forze armate, le Forze di polizia ed il Corpo nazionale dei vigili del fuoco. Tale percentuale non può essere inferiore al 50 per cento delle assunzioni autorizzate, salvo che le corrispondenti riduzioni di spesa siano ugualmente realizzate anche mediante ri- corso ad ulteriori tipologie di assunzioni comportanti oneri unitari inferiori rispetto a quelli derivanti dalle ordinarie assunzioni di personale. Per le amministrazioni che non hanno raggiunto una quota di personale a tempo parziale pari almeno al 4 per cento del totale dei dipendenti, le assunzioni possono essere autorizzate, salvo motivate deroghe, esclusivamente con contratto a tempo parziale. L’eventuale trasformazione a tempo pie- no può intervenire purché ciò non comporti riduzione complessiva delle unità con rap- porto di lavoro a tempo parziale (comma sostituito dall’articolo 22, comma 1, lettera d, della legge n. 448/1998, dall’articolo 20, comma 1, lettera f, della legge n. 488/1999 e successivamente modificato dall’articolo 51, comma 1, lettera b, della legge n. 388/2000).
L’articolo 31, comma 41, della legge n. 448/1998 stabilisce che, fermo quanto disposto dall’articolo 39, comma 27, della legge n. 449/1997 (104), per quanto riguarda il tempo parziale la contrattazione collettiva può individuare particolari modalità applicative, an- che prevedendo una riduzione delle percentuali previste per la generalità dei casi e l’esclusione di determinate figure professionali che siano ritenute particolarmente ne- cessarie per la funzionalità dei servizi.
B) Con riguardo alle incompatibilità e al cumulo di impieghi, premesso che al personale pubblico è fatto divieto di svolgere qualsiasi altra attività di lavoro subordinato o auto- nomo tranne che la legge o altra fonte normativa ne prevedano l’autorizzazione rilascia- ta dall’amministrazione di appartenenza (articolo 1, comma 60, legge n. 662/1996) (105),
polizia locale e migliorare le condizioni di sicurezza urbana». Pertanto, l’art. 10, co. 7, della legge regio- nale è da ricondurre alla competenza residuale della Regione ed è legittimo costituzionalmente. Non al- trettanto vale per l’altra disposizione, ossia l’art. 26, co. 8, che, stabilendo l’obbligatoria conversione dei contratti di lavoro a tempo parziale, in precedenza stipulati, in contratti a tempo pieno entro la data del 31 dicembre 2012, incide direttamente sulla disciplina di contratti che già esistono. La natura transitoria della disposizione in esame manifesta la sua illegittimità costituzionale, perché essa non regola, per il futuro, la possibilità o il diniego di utilizzazione di una determinata forma contrattuale, ma altera il contenuto di contratti a tempo parziale conclusi in precedenza e già in corso, in tal modo intervenendo nella materia dell’ordinamento civile, riservata alla competenza esclusiva dello Stato.
(104) Cioè che le disposizioni dell’art. 1, co. 58 e 59, l. n. 662/1996, in materia di rapporto di lavoro a tempo parziale, si applicano al personale dipendente dalle regioni e dagli enti locali finché non diversa-
mente disposto da ciascun ente con proprio atto normativo.
(105) Si tratta di una specificazione del dovere di esclusività e incompatibilità per i dipendenti pubblici, imposto dagli artt. 60 ss. d.P.R. n. 3/1957 (testo unico concernente lo statuto degli impiegati civili dello Stato), richiamato espressamente dall’art. 53 del d.lgs. n. 165/2001 (l’art. 60 del t. u. sancisce che
occorre innanzitutto tenere conto di quanto dispone l’articolo 53, comma 1, del decreto legislativo n. 165/2001. Quest’ultimo, per i rapporti di lavoro a tempo parziale dei di- pendenti pubblici, fa salva la deroga alla disciplina delle incompatibilità dettata dagli articoli 60 ss. del TU approvato con decreto del Presidente della Repubblica n. 3/1957, dall’articolo 6, comma 2, del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri n. 117/1989 (106) e dall’articolo 1, commi 57 ss., della legge n. 662/1996. Pertanto i dipen- denti pubblici che hanno un rapporto a tempo parziale con riduzione della prestazione lavorativa non superiore al 50% di quello a tempo pieno, possono svolgere una seconda attività subordinata o autonoma: l’articolo 1, comma 56, della legge n. 662/1996 stabili- sce che le disposizioni di cui all’articolo 58, comma 1, del decreto legislativo n. 29/1993 e successive modificazioni ed integrazioni – ora articolo 53, comma 1, decreto legislati- vo n. 165/2001 – che riguarda la disciplina delle incompatibilità e del cumulo di impie- ghi e incarichi, e le disposizioni di legge che vietano l’iscrizione in albi professionali non si applicano ai predetti dipendenti. Il comma 56-bis dell’articolo 1 (aggiunto dall’articolo 6 del decreto-legge n. 79/1997 convertito, con modificazioni, dalla legge n. 140/1997) abroga le disposizioni che vietano l’iscrizione ad albi e l’esercizio di attività professionali per i soggetti di cui al comma 56 (107).
Conferma le altre disposizioni in materia di requisiti per l’iscrizione ad albi professiona- li e per l’esercizio delle relative attività. Ai dipendenti pubblici iscritti ad albi professio- nali e che esercitino attività professionale non possono essere conferiti incarichi profes- sionali dalle amministrazioni pubbliche; gli stessi dipendenti non possono assumere il patrocinio in controversie nelle quali sia parte una pubblica amministrazione.
La legge n. 339/2003 ha successivamente soppresso la facoltà da parte del pubblico di- pendente part-time di svolgere la professione di avvocato e i pubblici dipendenti che hanno ottenuto l’iscrizione all’albo degli avvocati successivamente alla data di entrata in vigore della legge n. 662/1996, e risultano ancora iscritti, possono optare per il man- tenimento del rapporto d’impiego, dandone comunicazione al consiglio dell’ordine presso il quale risultano iscritti, entro trentasei mesi dalla data di entrata in vigore della legge. In mancanza di comunicazione entro il termine previsto, i consigli degli ordini degli avvocati provvedono alla cancellazione di ufficio dell’iscritto al proprio albo. Il
l’impiegato «non può esercitare il commercio, l’industria, né alcuna professione o assumere impieghi alle dipendenze di privati o accettare cariche in società costituite a fine di lucro, tranne che si tratti di cariche in società o enti per le quali la nomina è riservata allo Stato e sia all’uopo intervenuta l’autorizzazione del Ministro competente»; l’art. 65 vieta il cumulo di impieghi pubblici, salve le eccezioni stabilite dalle leg- gi speciali). Sulla disciplina v. il classico P. Virga, Il pubblico impiego, Giuffrè, 1991, 194 ss. e, di recen- te, S. Battini, Il personale, in S. Cassese (a cura di), Istituzioni di diritto amministrativo, Giuffrè, 2015, 194 ss.
(106) Questo stabilisce regole analoghe a quelle varate successivamente, vale a dire che al personale inte- ressato è consentito, previa motivata autorizzazione dell’amministrazione o dell’ente di appartenenza,
l’esercizio di altre prestazioni di lavoro che non arrechino pregiudizio alle esigenze di servizio e non sia- no incompatibili con le attività di istituto della stessa amministrazione o ente. Sorprende che con le nume- rose revisioni della disciplina non si sia avvertita l’esigenza di razionalizzare e snellire anche quelle rela- tive all’incompatibilità e al part-time.
(107) L’art. 1, co. 56-65, della l. n. 662/1996 ha superato con successo lo scrutinio di questa Corte, cui era- no state sottoposte varie questioni di legittimità costituzionale nell’ambito di giudizi in via principale
promossi da diverse Regioni (sentenza n. 171 del 1999); in quella pronuncia – peraltro emessa nel vigore del precedente quadro costituzionale, anteriore alla riforma di cui alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione) – si è già posto in luce che l’estensione del contratto a tempo parziale anche ai pubblici dipendenti si collocava «nell’ottica del con- tenimento della spesa pubblica e dell’aumento dell’efficienza della pubblica amministrazione». Su questi aspetti si sofferma P. Passalacqua, L’assetto del lavoro, cit.
pubblico dipendente ha diritto ad essere reintegrato nel rapporto di lavoro a tempo pie- no. Entro lo stesso già citato termine di trentasei mesi, il pubblico dipendente può optare per la cessazione del rapporto di impiego e conseguentemente mantenere l’iscrizione all’albo degli avvocati. Il dipendente pubblico part-timer che ha esercitato l’opzione per la professione forense ai sensi della presente legge conserva per cinque anni il diritto al- la riammissione in servizio a tempo pieno entro tre mesi dalla richiesta, purché non in soprannumero, nella qualifica ricoperta al momento dell’opzione presso l’Amministrazione di appartenenza. In tal caso l’anzianità resta sospesa per tutto il pe- riodo di cessazione dal servizio e ricomincia a decorrere dalla data di riammissione.
Il comma 58-bis stabilisce che ferma restando la valutazione in concreto dei singoli casi di conflitto di interesse, le amministrazioni provvedono, con decreto del Ministro com- petente, di concerto con il Ministro per la funzione pubblica, ad indicare le attività che in ragione della interferenza con i compiti istituzionali, sono comunque non consentite ai dipendenti con rapporto di lavoro a tempo parziale con prestazione lavorativa non su- periore al 50 per cento di quella a tempo pieno. I dipendenti degli enti locali possono svolgere prestazioni per conto di altri enti previa autorizzazione rilasciata dall’amministrazione di appartenenza (comma aggiunto dall’articolo 6 del decreto-legge
n. 79/1997 convertito con modificazioni dalla legge n. 140/1997).
Inoltre (comma 6) i commi 7-13 dell’articolo 53 – che riguardano la disciplina limitati- va degli incarichi retribuiti ai dipendenti pubblici – non si applicano ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche con rapporto di lavoro a tempo parziale con prestazione la- vorativa non superiore al cinquanta per cento di quella a tempo pieno. Sono nulli tutti gli atti e provvedimenti comunque denominati, regolamentari e amministrativi, adottati dalle amministrazioni di appartenenza in contrasto con il disposto legislativo.
C) Relativamente alla trasformazione del rapporto da full-time a part-time, i pubblici dipendenti possono chiederla alla propria amministrazione, indicando l’eventuale attivi- tà di lavoro subordinato o autonomo che intendono svolgere. L’articolo 73 del decreto- legge n. 112/2008 convertito dalla legge n. 133/2008 ha modificato il regime dell’originaria legge n. 662/1996 che fissava il diritto del dipendente alla trasformazione del rapporto. La disposizione menzionata prevede che la trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale non costituisce più una scelta esclusiva del di- pendente; l’Amministrazione, infatti, può negare la trasformazione, fra l’altro, nel caso in cui comporti, «in relazione alle mansioni e alla posizione organizzativa ricoperta dal dipendente, pregiudizio alla finalità dell’amministrazione stessa». L’amministrazione deve dunque motivare il rifiuto del part-time. Si può condividere al riguardo la posizio- ne di chi osserva per un verso la nuova espansione della sfera di discrezionalità della pubblica amministrazione e per l’altro verso sottolinea come non si tratti di una preva- lenza assoluta, immotivata (108).
Ne consegue che la possibilità di svolgere il rapporto di lavoro a tempo parziale è, nel regime attualmente vigente, strettamente connessa con gli assetti organizzativi della pubblica amministrazione di appartenenza. Ora la trasformazione non avviene più au- tomaticamente ma può essere concessa dall’amministrazione entro 60 gg. dalla doman- da. L’amministrazione può rifiutare di accogliere la richiesta qualora vi sia conflitto di interessi con la specifica attività di servizio svolta dal dipendente o che il dipendente in-
(108) Cfr. M. Brollo, Il tramonto del diritto al part-time nei rapporti di lavoro alle dipendenze della ammi- nistrazioni pubbliche, in LPA, 2008, 517 ss.; P. Passalacqua, L’assetto del lavoro, cit., 577 ss.; A. Bosca- ti, S. Ferrario, Il lavoro a tempo parziale, cit., 569; M. Altimari, op. cit., 79.
tende svolgere ovvero qualora la trasformazione rechi pregiudizio alla funzionalità del servizio (articolo 1, comma 58, legge n. 662/1996).
La rilevanza di tale modifica è confermata dall’articolo 16 della legge n. 183/2010, con cui si è prevista la facoltà per le amministrazioni pubbliche, in sede di prima applicazio- ne del menzionato articolo 73, di sottoporre a nuova valutazione i provvedimenti di concessione della trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parzia- le già adottati prima dell’entrata in vigore del decreto-legge n. 112/2008. La disposizio- ne ha dato vita ad un contrasto giurisprudenziale. Sulla questione da ultimo è intervenu- ta la Corte di giustizia dell’Unione europea (109), secondo la quale è conforme alla diret- tiva europea la previsione legislativa italiana (articolo 16, legge n. 183/2010). Per la Corte, per un verso non ricorrono regole contrarie nella direttiva e l’obiettivo dell’accordo quadro consiste in particolare, come enunciato alla clausola 1, lettera b, del medesimo, nel contribuire all’organizzazione flessibile dell’orario di lavoro in modo da tener conto delle esigenze dei datori di lavoro e dei lavoratori; per l’altro verso, la situa- zione in cui un contratto di lavoro a tempo parziale è trasformato in un contratto di lavo- ro a tempo pieno senza l’accordo del lavoratore interessato e una situazione in cui un lavoratore vede il suo contratto di lavoro a tempo pieno trasformato in un contratto di lavoro a tempo parziale contro la sua volontà, non possono considerarsi situazioni com- parabili, dato che la riduzione del tempo di lavoro non comporta le stesse conseguenze del suo aumento, in particolare a livello di remunerazione del lavoratore, che rappresen- ta la contropartita della prestazione di lavoro. A ben vedere, tenuto conto del fatto che l’amministrazione pubblica ha fatto decorrere un ampio periodo di preavviso prima del- la trasformazione, la soluzione della Corte di Giustizia raccoglie in modo ragionevole l’esigenza di contemperamento presente nella direttiva fra gli interessi organizzativi del- le aziende e quelli esistenziali del lavoratore (110).
Anche la Corte costituzionale aveva valutato positivamente e in modo condivisibile la normativa, valorizzando gli aspetti non solo retributivi ma anche temporali, di riorga- nizzazione del tempo di vita dei lavoratori (111). Per la Corte, infatti, il potere di rivalu- tazione dei rapporti di lavoro part-time a suo tempo concessi automaticamente, in appli- cazione della normativa dell’epoca «non è arbitrario, né indiscriminato, ma saldamente ancorato alla presenza obiettiva di verificabili esigenze di funzionalità dell’organizzazione amministrativa e condizionato a modalità di esercizio scrupolosa- mente rispettose dei canoni generali di correttezza e di buona fede. Ne sono espressione, a titolo esemplificativo, la tutela delle peculiari situazioni personali e familiari consoli- datesi in capo ai singoli lavoratori, da valutarsi in contraddittorio con gli stessi, il vaglio della fattibilità di soluzioni alternative alla revoca del part-time, la concessione di un congruo periodo di preavviso prima che la trasformazione (ciò nonostante disposta) di- venga operativa. In tal modo, i criteri di correttezza e di buona fede cui le pubbliche amministrazioni devono attenersi nell’esercizio della suddetta “rivalutazione” si presta- no ad esaltare, in una prospettiva costituzionalmente orientata di stampo solidaristico, proprio la salvaguardia delle ragioni della controparte, senza comportare un apprezzabi- le sacrificio. In definitiva, il lavoratore non è assoggettato incondizionatamente alle de- terminazioni unilaterali del datore di lavoro pubblico ai fini della trasformazione del
(109) Sent. 15 ottobre 2014 C-221/13, Mascellani c. Ministero della giustizia.
(110) Sulla questione cfr. S. Bellomo, La riscrittura, 513 e, criticamente, M. Delfino, La Corte di giustizia e la via tortuosa alla tutela del consenso individuale nel part-time, in RIDL, 2015, II, 357 ss.; M. Altima- ri, op. cit., 78.
(111) Cfr. sent. n. 224/2013.
rapporto da part-time a full-time. L’iniziativa dell’amministrazione, infatti, dev’essere sorretta da serie ragioni organizzative e gestionali ed attuata nel rispetto dei principi di correttezza e buona fede. In mancanza di tali presupposti, il dipendente può legittima- mente rifiutare di passare al tempo pieno e, per ciò solo, non può mai essere licenziato. Così interpretata, la possibilità di “revisione” del part-time riconosciuta alle pubbliche amministrazioni dall’art. 16 della legge n. 183 del 2010 (oltre tutto contenuta entro limi- ti stringenti di tempo) (112) è da ritenere perfettamente compatibile con i principi desu- mibili dall’invocata clausola 5, punto 2, della direttiva 97/81/CE, donde la non fonda- tezza della questione di legittimità costituzionale sollevata, con la interposizione di detta
clausola, in relazione al rispetto dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario» (113).
Per il personale delle Regioni e degli enti locali, l’automaticità del passaggio da full- time a part-time opera purché non sia diversamente disposto da ciascun ente con proprio atto normativo (articolo 39, legge n. 449/1997). La trasformazione non può essere con- cessa qualora il lavoro subordinato debba intercorrere con un’amministrazione pubblica; per gli enti locali l’articolo 17, comma 18, della legge n. 127/1997 consente ai dipen- denti di tali enti la prestazione di attività lavorativa presso altro ente locale, anche in re- gime di subordinazione, purché autorizzati dalla propria amministrazione.
D) Con riguardo alla trasformazione da part-time a full-time, i dipendenti che trasfor- mano il rapporto da tempo pieno a tempo parziale hanno diritto di ottenere il ritorno a tempo pieno alla scadenza di un biennio dalla trasformazione, nonché alle successive scadenze previste dai contrati collettivi (si veda l’articolo 6, comma 4, del decreto-legge
n. 79/1997 convertito dalla legge n. 140/1997).
E) Sul trattamento retributivo, l’articolo 39, comma 25, della legge n. 449/1997, per in- centivare il ricorso al part-time, autorizza i contratti collettivi a prevedere che i tratta- menti accessori collegati al raggiungimento di obiettivi o alla realizzazione di progetti nonché ad altri istituti contrattuali non legati alla durata della prestazione lavorativa sia- no applicati in favore del personale a part-time in misura non frazionata o non diretta- mente proporzionale al regime di orario adottato.
10. Bilancio sintetico dello stato dell’arte
Non c’è dubbio, dall’analisi svolta, sul fatto che la disciplina del contratto di lavoro part-time avesse bisogno di una nuova sistemazione e di una semplificazione. Della nuova regolamentazione sono apprezzabili il rafforzamento delle tutele legali minime e le innovazioni per il lavoro nelle amministrazioni pubbliche (114).
Sorprende tuttavia la qualità della disciplina introdotta dal decreto legislativo n. 81: si registrano snellimenti e superficialità che generano omissioni o nuovi problemi interpre- tativi o lasciano immutati i pregressi. Si necessitava inoltre di una regolazione in cui
(112) Nel termine circoscritto di centottanta giorni dalla data dell’entrata in vigore della l. n. 183/2010.
(113) Sulla sentenza cfr. E. Pasqualetto, Il potere di nuova valutazione dei part-time già concordati con la
p.a. e il ripudio della logica del consenso, in RIDL, 2014, II, 331 ss.
(114) Sul punto dissentono le curatrici del manuale di M. Roccella, op. cit., p. 189, secondo le quali l’art. 55, lett. m del d. n. 81, che abroga tutte le disposizioni incompatibili, crea incertezza e indeterminatezza nell’ordinamento giuridico.
l’interesse della persona del lavoratore fosse più seriamente apprezzato, laddove si par- torisce una disciplina funzionale in via prevalente alle esigenze organizzative delle aziende, occultandola dietro un paravento di semplificazione, che accresce gli spazi di flessibilità e di illusorie garanzie, promosse con il crisma legislativo di alcune regole minime ma insufficienti ad assicurare il bilanciamento degli interessi. Tale dubbio pre- scinde dalla minore incisività assicurata ai contratti collettivi che, nel previgente siste- ma, non avevano dato un’ottima prova (flessibilità a maglie larghe e a buon mercato come per maggiorazioni/compensazioni talora simboliche) (115).
Le novità nell’ambito del lavoro pubblico non sono del tutto lineari e coerenti con l’impostazione sistematica della cd. privatizzazione del lavoro pubblico, non smentita dalla legge delega n. 124/2015 e dalle modifiche dei decreti legislativi n. 165/2001 e n. 150/2009, ad opera dei decreti legislativi n. 74 e 75 del 2017 (116). Sembra essersi non del tutta realizzata l’unificazione essenziale e giusta delle regole e si assiste invece ad un irrazionale, persistente allontanamento dalla logica unificatrice. Si consideri il diritto alla trasformazione del full-time in part-time, previsto dal nuovo articolo 8 del decreto legislativo n. 81, che si applica anche al lavoratore del settore pubblico, come espressa- mente affermato nel comma 3; il lavoratore del settore pubblico conserva però anche il generale diritto alla trasformazione, condizionato dal fatto di non arrecare pregiudizio alla funzionalità dell’amministrazione (articolo 73, comma 1, del decreto-legge n. 112/2008 convertito dalla legge n. 133/2008).
Insomma, come si è già detto, organicità e linearità avrebbero preteso maggior rigore regolativo. Probabilmente il legislatore sembra, per un verso, attratto dall’idea della di- sciplina unitaria del lavoro privato e di quello pubblico; per un altro verso, sembra voler conservare spazio ad una disciplina di maggiore attenzione alle esigenze personali dei dipendenti pubblici, laddove le logiche dell’unificazione normativa pretenderebbero identiche soluzioni, qualora non ci siano qualità soggettive datoriali ovvero organizzati- ve tali da giustificare la differenziazione della tutela (117).
Forse si esprime in tal modo l’intimo e inconsapevole pregiudizio di consentire la ge- stione inefficiente e inefficace dell’amministrazione pubblica ritenuta idonea a soppor- tare regole più onerose – ma per i cittadini, per le imprese e per i lavoratori – di quelle previste per il lavoro privato. Bisognerebbe chiedere al legislatore più coerenza tra le riforme della pubblica amministrazione e le regole sul lavoro che spesso trascurano le finalità dell’organizzazione pubblica, come se fosse meno rilevante dell’interesse im- prenditoriale. E si sa che, a livello costituzionale (articolo 97) non è così.
Nel lavoro part-time il lavoro privato e quello pubblico non dovrebbero essere separati nelle discipline: se deve prestarsi maggiore attenzione alle esigenze dei lavoratori, ciò vale tanto nel settore privato quanto in quello pubblico; se viceversa l’obiettivo è di
(115) Si riprende la valutazione di V. Leccese, op. cit., 58 ss.
(116) Sulla continuità dell’attuale disegno riformatore con il passato, anche se con diversa connotazione, cfr. A. Boscati, La politica del Governo Renzi per il settore pubblico tra conservazione e innovazione: il cielo illuminato diverrà luce perpetua?, in F. Carinci (a cura di), La politica del lavoro del governo Renzi. Atti del X seminario di Bertinoro-Bologna del 23/24 ottobre 2014, Adapt University Press, 2015, p. 70 ss.; B. G. Mattarella, E. D’Alterio (a cura di), La riforma della pubblica amministrazione. Commento alla Legge 124/2015 (Madia) e ai suoi decreti attuativi,, Il Sole 24 Ore, 2017 (e-book). Sugli schemi dei de- creti attuativi della l. n. 124/2015, cfr. LPA, 1-2/2016 che, seppure concentrati sulla dirigenza, contengo- no riflessioni sul sistema privatistico del lavoro nelle amministrazioni pubbliche.
(117) Per uno sguardo panoramico sulla questione v. M. Cerbone, Jobs act e pubbliche amministrazioni: fine dell’unificazione normativa del lavoro pubblico e del lavoro privato?, in F. Santoni, M. Ricci, R.
Santucci (a cura di), op. cit., 401 ss.
adattare il lavoro alle esigenze organizzative, ebbene tale finalità riguarda anche le pub- bliche amministrazioni.