Tra
3862/2019
Accoglimento totale del 09/10/2022
RG n. 3862/2019
Repert. n. 3268/2022 del 10/10/2022
Il Tribunale di Torre Annunziata
Sezione civile
Il xxxx. Xxxxxx Xxxxxxx, in funzione di giudice monocratico, ha pronunciato la seguente
Ordinanza
nella causa civile iscritta al n. 3862/2019 del ruolo generale dei procedimenti civili
Tra
**************, rappr. e difeso dall’avv. Xxxxxxx
ricorrente
e
********* spa., in persona del proprio legale rappr. pro tempore, rappr. e difeso
dall’avv. *******
resistente
Svolgimento del giudizio e motivi della decisione
**************, in data 12 settembre 2000, stipulava con Banco ***** spa (poi
******* spa) contratto di mutuo fondiario, identificato al n. 00/51121071 (poi divenuto 00/51421261 a seguito di “rinegoziazione” presumibilmente intervenuta nel 2008, come da documento di sintesi risalente, tuttavia, al 30 settembre 2010, in allegato), per l’importo di £ 250mln ad un tasso dapprima variabile ovvero pari al 3,25% semestrale (“soggetto a variazioni secondo i criteri appresso indicati”) per un durata di 20 anni con rate semestrali, poi modificato (non è ben chiaro se per effetto dell’esercizio dello ius variandi dell’istituto di credito o in conseguenza di altra e successiva pattuizione intercorsa tra le parti) e divenuto, poi, fisso (6,00%) a seguito della predetta “rinegoziazione” con cui veniva, altresì, modificata sia la durata, pari a 281 rate mensili e non più semestrali, che, come anticipato, il TAN (pari a 6,00%), e di cui ************** lamenta, oltre che la mancata consegna del documento che ha consacrato la “rinegoziazione”, quanto segue i) il superamento del cd “tasso – soglia” ai fini dell’usura ex legge 108/1996 (TAEG 6,71%, TAN 6,5% come rapportati al “tasso
– soglia” pari a 9,435% essendo tali in base alle rilevazioni del periodo di riferimento) anche del solo tasso di mora ex art. 12 contratto come quest’ultimo calcolato ai sensi dell’art. 12 del contratto (pari al tasso per le operazioni di credito fondiario, maggiorato di 4 punti percentuali fissati con DM 21 dicembre 1994 ogni biennio dell’anno precedente) stimato pari a 10.541%, ovvero € 10,77% in capitalizzazione semplice, ma poi divenuto pari a 6.75% a seguito del più volta citata “rinegoziazione”
ii) mancata determinazione del tasso di interesse (3,250% “salvo variazioni secondo i criteri di cui appresso”) ivi compreso quello di pre - ammortamento dovuto fino al 31 dicembre 2000 (riferito all’Euribor senza specificazione se a 360 o 365 giorni) nonché la difformità tra il tasso nominale (3,4%) e quello effettivo (stimato 4,91%) iii) la mancata indicazione dell’ISC, tale da rendere nullo il contratto, dolendosi, infine, iv) della capitalizzazione illecita degli interessi insita nel piano di ammortamento cd “alla
francese”, rappresentando il ricorrente di aver già versato, quale quote di interessi di ammortamento, € 52mila e di agire per la ripetizione delle somme indebite nei confronti di ******* spa la quale, nel costituirsi, eccepisce, tra l’altro, come il “tasso
– soglia” ai fini della mora - giammai comunque corrisposta non essendosi verificate situazioni di mora - pattuita nel 10,541%, sia pari a 12,17%, come l’obbligo di inserimento nel contratto del TAEG/ISC sia sorto solo successivamente alla delibera CICR 14 marzo 2003, che la rinegoziazione del contratto è stata in realtà concertata essendo il ricorrente consapevole della modifica del rapporto nonché, infine, sollevando la prescrizione del diritto alla ripetizione dell’indebito nel decennio anteriore all’introduzione del giudizio.
In via istruttoria, nominato il dott. ****** quale CTU il quale, nel proprio elaborato, dopo aver accertato (stante il documento di sintesi) come a far data dal 1 ottobre 2010 il contratto sia stato modificato, previa descrizione delle condizioni economiche del contratto, evidenziava, in particolar modo, che i) il piano di ammortamento relativo al finanziamento in esame risulta essere stato elaborato nel regime dell’interesse composto pur non essendo specificato dal contratto (“Questo comporta di fatto, una indebita “capitalizzazione degli interessi” dovuti su ciascuna rata, ed in definitiva la produzione di “interessi su interessi”, in tal modo concretizzando il c.d. “fenomeno anatocistico” vietato dalla normativa vigente” - (cfr pag. 18) – “concretizzandosi ciò in un onere economico (i.e. rate semestrale) a carico del mutuatario pari a € 5.813,75 calcolata dall’Istituto di Credito, applicando il regime degli interessi composti (che genera anatocismo) anziché la minor somma, pari a € 4.544,18 che si sarebbe ottenuta calcolando la rata secondo il regime dell’interesse semplice” cfr pag. 19) giungendo a calcolare l’importo in eccedenza versato dal debitore in € 25.216,49, pari alla differenza tra il totale degli interessi passivi, pari ad
€ 59.516,10 (calcolati secondo l’originario piano di ammortamento – redatto in regime di interesse composto) ed il totale degli interessi passivi dovuti secondo il piano di ammortamento redatto in regime di interesse semplice (pari invece a soli € 34.299,62) concludendo (ma ciò non ha costituito oggetto di quesito) per la violazione delle norme sulla trasparenza bancaria e, segnatamente, rilevando la discrasia tra TAN e TAE il primo pari a 6.650% ed il secondo a 6.605% a causa della metodologia di calcolo della rata non più basata sul regime di interessi composto bensì semplice (il che comporta un innalzamento del tasso effettivo annuo, rispetto a quello-nominale annuo cfr pag. 17), rappresentando, infine, anche come il regime di interesse composto non fosse esplicitato nel contratto (pag. 28) nonché ii) in relazione al supposto superamento del “tasso – soglia” ai fini dell’usura ex legge 108/1996
(stimato dal CTU pari a 9,435% per i mutui ipotecari in a tasso variabile ), ha escluso ogni forma di usura stante il TAEG pari a 6,5% e parimenti per il tasso di mora (comunque mai applicati). In sede di integrazione della CTU (estrapolando dall’importo oggetto di ripetizione i versamenti astrattamente colpiti da prescrizione del diritto), l’ausiliario, con nuovo elaborato, illustrava sia la parte oggetto di ripetizione (€ 44.892,08) che gli importi prescritti € 13.727,36); a seguito di altra rimessione sul ruolo, al fine di rispondere al quesito integrativo (“redigere un prospetto di piano di ammortamento in regime di interesse semplice, estromettendo ogni forma di anatocismo, rappresentando l’importo delle rate pagate in regime di capitalizzazione composta e quanto il mutuatario avrebbe dovuto pagare in regime di capitalizzazione semplice al fine di quantificare gli importi oggetto di ripetizione (tale è l’oggetto del giudizio) specificando, altresì, gli importi (pagamenti) eseguiti oltre al decennio dall’introduzione del presente giudizio (giugno 2019) e presumibilmente coperti da prescrizione ordinaria nonché b) elabori, per le rate non ancora pagate (di futura scadenza), un piano di ammortamento in regime di capitalizzazione semplice”), il medesimo CTU precisava come il totale degli importi suscettibili di ripetizione (pari alla differenza tra quanto pagato in regime di capitalizzazione composta e quanto il mutuatario avrebbe pagato in regime di interessi semplici) è pari a € 24.765,60 (ivi compresi gli importi colpiti da prescrizione) con un debito residuo pari a € 20.230,68, come da piano di ammortamento ricalcolato (depurato di ogni forma di anatocismo) secondo l’allegato all’elaborato
All’udienza del 22 settembre 2022, il Tribunale si è riservato per la decisione. La domanda è fondata, seppur limitatamente a taluni profili di contestazioni.
Va preliminarmente esclusa la nullità del contratto “rinegoziato” stante la mancata consegna di un esemplare al cliente – mutuatario che si duole di non di aver giammai sottoscritto l’accordo modificativo ma di non aver ricevuto copia di questo (almeno stando alla narrazione difensiva) di guisa che è appena il caso di invocare l’orientamento del tutto univoco secondo cui va esclusa la nullità del contratto in caso di mancata consegna di una copia al cliente del contratto (in tal caso, quello modificativo) in violazione dell’art. 117 TUB (in parte qua dispone che i contratti sono redatti per iscritto e un esemplare è consegnato ai clienti) atteso che l’inadempimento da parte dell’istituto di credito a tale obbligo di condotta (la mera consegna) non ha effetti sulla validità del contratto bancario, che rimane intatta, ma eventualmente sul solo piano risarcitorio, ove il cliente dimostri in concreto di avere subito un danno (cfr Cass. 20 settembre 2013 n. 21600 secondo cui, nell’affermare principi stabiliti in tema di intermediazione finanziaria ma applicabili ai contratti bancari mutantis mutandis stante la comune disciplina, “In tema di intermediazione finanziaria, è irrilevante, ai fini della prova dell’errore invocato dal cliente sulla natura o sull’oggetto del contratto, l’inosservanza, da parte della banca, del dovere di consegnare la copia della documentazione contrattuale, incidendo il menzionato vizio sul momento genetico del rapporto e riguardando, invece, l’adempimento del suddetto dovere la fase successiva alla formazione del contratto”; nel merito, Trib. Torino 26 maggio 2010 che hanno statuito in termini affermando solo l’esistenza di obblighi risarcitori conseguenti all’inadempimento affermando il seguente principio di diritto secondo cui “la mancata consegna al cliente, al momento della sottoscrizione, delle copie di un contratto (…) non configura una ipotesi di nullità del contratto stesso ma semmai di inadempimento, la cui gravità deve essere valutata alla stregua delle conseguenze pregiudizievoli che ne sono eventualmente derivate” e, meno recentemente, Trib. Milano 15 giugno 2005).
Il punto è pacifico.
Nel merito, viceversa, degli asseriti vizi sostanziali del contratto di mutuo di cui agli atti di causa, va altresì esclusa la fondatezza di ogni forma di addebito circa sia la nullità per la mancata indicazione del TAEG/ISC che per indeterminatezza del tasso di interesse (corrispettivo) ritenuto, altresì, integrante gli estremi del carattere usuraio. Sotto il primo profilo, va detto come, in difetto di previsione normativa, nessuna sanzione di nullità può essere dunque invocata nel caso di violazione delle norme sulla trasparenza delle condizioni contrattuali (con l’indicazione contrattuale dei costi ed altri oneri economici a carico del cliente) atteso che una simile sanzione è prevista per il solo caso del credito al consumo, nell'ambito della cui disciplina l'articolo 125 bis, 6° comma, TUB, nella accezione di contratto di credito collegato all’acquisto di beni e/o servizi di cui all’art. 121 TUB (tra cui non pare potersi annoverare il mutuo in esame trattandosi di mutuo fondiario per l’acquisto della propria abitazione); norma, quest’ultima, peraltro, come sostenuto anche da parte resistente, non applicabile ratione temporis al mutuo in esame risalente al 2000 perché regola introdotta solo dal 2003 (cfr infra). Infatti, circa il contenuto del documento di sintesi allegato al contratto, ed in particolare le modalità di indicazione dell’ISC (indicatore sintetico dei costi), tale indicatore, introdotto dalla direttiva europea 90/88/CEE, e' stato recepito nel sistema normativo italiano, per la prima volta, dalla delibera CICR 10688/2003, che, all'art. 9, comma 2, prevede, in relazione alle operazioni e ai servizi individuati dalla Banca d'Italia, l'obbligo, per tutti gli intermediari, di "rendere noto un "Indicatore Sintetico di Costo" (ISC) comprensivo degli interessi e degli oneri che concorrono a determinare il costo effettivo dell'operazione per il cliente, secondo la formula stabilita dalla Banca d'Italia medesima, di cui si è paventata una ipotetica nullità, si osservi quanto segue. Sul punto, costituisce ius receptum, quello secondo
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cui l'indicazione dell’ISC non è elemento essenziale del contratto, per cui non trova applicazione la nullità del contratto per mancata o erronea indicazione di questo dato con conseguente applicazione del cd “tasso – sostitutivo” di cui all’art. 117 TUB ovvero, in altri termini, l’ISC (ma, parimenti, condividendone la medesima funzione, il TAEG), esprimendo in percentuale il costo effettivo di un finanziamento o di altra operazione bancaria di concessione di una linea di credito, non costituisce parte integrante del regolamento contrattuale svolgendo una funzione meramente informativa in ordine al contenuto del contratto stesso, quest'ultimo esplicitato dalle clausole negoziali che stabiliscono i tassi di interesse e le altre condizioni economiche da applicare al finanziamento, per cui va esclusa, con riferimento ad omissioni e/o inesattezze dell'ISC, la sanzione della nullità prevista dall’117 TUB che si riferisce alle clausole che prevedono la pattuizione di interessi, prezzi o altre condizioni, fra
le quali non è compreso, appunto, l'ISC, che rappresenta, come anticipato, non una
pattuizione (e quindi il tasso, il prezzo o una condizione contrattuale) bensì un mero indicatore del costo del finanziamento imposto e previsto ai soli fini informativi ma privo di efficacia negoziale precettiva perché non regola i diritti e gli obblighi dei contraenti concorrendo solo ad informare il cliente sul costo effettivo dell'operazione quale esso risulta dalle clausole negoziali che lo determinano (ex plurimis, Xxxx. 9 dicembre 2021 n. 39169 secondo cui “In tema di contratti bancari, l'indice sintetico di costo (ISC), altrimenti detto tasso annuo effettivo globale (TAEG), è solo un indicatore sintetico del costo complessivo dell'operazione di finanziamento, che comprende anche gli oneri amministrativi di gestione e, come tale, non rientra nel novero dei tassi, prezzi ed altre condizioni, la cui mancata indicazione nella forma scritta è sanzionata con la nullità, seguita dalla sostituzione automatica ex art. 117 d.lgs. n. 385 del 1993, tenuto conto che essa, di per sé, non determina una maggiore onerosità del finanziamento, ma solo l'erronea rappresentazione del suo costo globale, pur sempre ricavabile dalla sommatoria degli oneri
e delle singole voci di costo elencati in contratto”; nel merito App. Torino 5 dicembre 2020 che ha statuito come “ISC / TAEG è un indicatore del costo complessivo del finanziamento, avente lo scopo di mettere il cliente in grado di conoscere il costo totale effettivo del credito che gli viene erogato mediante il mutuo, pertanto la sua inesatta indicazione non comporta, di per sé, una maggiore onerosità del finanziamento quanto piuttosto l'erronea rappresentazione del suo costo complessivo, pur sempre ricavabile dalla sommatoria degli oneri e delle singole voci di costo elencati nel contratto; stante il suo valore sintetico l'ISC non rientra nel novero dei tassi, prezzi ed altre condizioni la cui erronea indicazione è sanzionata dall'art. 117 TUB mediante la sostituzione dei tassi d'interessi normativamente stabiliti a quelli pattuiti”, App. L’aquila 1 dicembre 2020 secondo cui “Nel contatto di mutuo l'omessa o non corretta specificazione dell'indicatore sintetico di costo (ISC) non inficia la validità del contratto, in primo luogo, poiché l'ISC è un mero indicatore, previsto dalla normativa vigente ai fini della trasparenza bancaria, e non già un tasso, un prezzo o una condizione (l'art. 117 comma 6 seconda parte del T.U.B. si riferisce invece esclusivamente a "tassi, prezzi e condizioni"); in secondo luogo perché non è esso stesso la pattuizione (e quindi il tasso, il prezzo o una condizione contrattuale) ma un mero indice del costo effettivo del finanziamento o della sovvenzione, imposto e previsto ai soli fini informativi. Non essendo un tasso, un prezzo o una condizione deve pertanto escludersi l'applicabilità dell'evocato articolo 117 comma 6 del T.U.B” la quale ha anche precisato come “Si rileva, peraltro, che la sanzione della nullità per la mancata o non corretta indicazione dell'ISC/TAEG è prevista esclusivamente per il caso del credito al consumo, nell'ambito della cui disciplina l'art. 125 bis comma 6 TUB prevede che 'Sono nulle le clausole del contratto relative a costi a carico del consumatore che, contrariamente a quanto previsto ai sensi dell'articolo 121, comma 1, lettera e), non sono stati inclusi o sono stati inclusi in modo non corretto nel TAEG pubblicizzato nella documentazione predisposta secondo quanto previsto dall'articolo 124. La nullità della clausola non comporta la nullità del contratto'; appare allora evidente che se il legislatore avesse voluto sanzionare
con la nullità la difformità tra ISC dichiarato e ISC concretamente applicato anche nell'ambito di operazioni diverse dal credito al consumo, lo avrebbe espressamente previsto con una specifica norma analoga a quella di cui all'art. 125 bis comma 6 TUB. L'art. 117, comma 6, TUB non contiene una tale previsione” ed analogamente Trib. Napoli 5 maggio 2021 secondo cui, analogamente, “In tema di mutuo, la difformità tra ISC pattuito ed ISC applicato non rende nulle le pattuizioni sugli interessi, in quanto l'indicatore sintetico di costo (o il TAEG) serve solo ad informare il mutuatario del costo complessivo del credito a lui erogato, mentre le varie voci di costo, compresa prima di tutto la misura degli interessi corrispettivi, sono pattuite in altre specifiche clausole. In altri termini, l'ISC non rappresenta una specifica condizione economica da applicare al contratto di finanziamento, svolgendo unicamente una funzione informativa finalizzata a porre il cliente nella posizione di conoscere il costo totale effettivo del finanziamento prima di accedervi. L'erronea quantificazione dell'ISC, quindi, non potrebbe comportare una maggiore onerosità del finanziamento (non mettendo in discussione la determinazione delle singole clausole contrattuali che fissano i tassi di interesse e gli altri oneri a carico del mutuatario) e, conseguentemente, non renderebbe applicabile a tale situazione quanto disposto dall'art. 117, comma 6 T.U.B.”, Trib. Verona 8 febbraio 2021 che insiste ancora sulla valenza informativa dell’ISC laddove afferma che “La mancata indicazione dell'ISC non comporta la nullità del contratto, giacché l'indicatore sintetico di costo, comprensivo degli interessi e degli oneri che concorrono a determinare il costo effettivo dell'operazione del cliente, non costituisce un tasso di interesse o una specifica condizione economica da applicare al contratto di finanziamento, ma svolge solo una funzione informativa finalizzata a consentire al cliente di conoscere il costo totale effettivo del finanziamento prima di accedervi. Ne discende che l'omessa o erronea indicazione dell'ISC non incide sulla validità del contratto ai sensi dell'art. 117 t.u.b., ma al più può rilevare sotto il profilo della responsabilità contrattuale e/o precontrattuale” ed in termini Trib. Benevento 7 gennaio 2021, Trib. Larino 3 gennaio 2021, che si segnala per la completezza argomentativa, nonché Trib. Siena 21 novembre 2020
e Trib. Catania 12 ottobre 2020 nonché, meno recentemente ma nell’analogo senso che l'incompleta e non corretta indicazione dell'ISC nei contratti di finanziamento non inficia la validità del contratto, costituendo tale indicatore, al pari del documento di sintesi, uno strumento di carattere informativo, ma non un requisito tassativo ed indefettibile del regolamento negoziale cfr Trib. Torino 14 novembre 2018 secondo cui “applicando il canone ermeneutico dell'argomento a contrario espresso dal brocardo latino "ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit" - che, qualora il legislatore avesse voluto sanzionare con la nullità la difformità tra ISC e TAEG dichiarati e ISC e TAEG concretamente applicati allora lo avrebbe espressamente previsto, con una specifica norma dal tenere analogo a quella di cui all'art. 125 bis, comma 6, del T.U.B. laddove una tale previsione, tuttavia, non si riscontra nell'ambito dell'art. 117 comma 6 del T.U.B., e, dunque, deve inferirsi che l'asserita, erronea, applicazione dell'ISC rispetto a quanto indicato in contratto non comporterebbe – quand' anche fosse sussistente - alcuna nullità ai sensi della cennata disposizione” nonché Trib. Monza 2 maggio 2019 per cui “Ne consegue che l'errata indicazione del TAEG non comporta l'invalidità del contratto e non rientra tra le condizioni contrattuali la cui assenza è sanzionata ai sensi dell'art. 117 T.U.B: infatti, il TAEG è uno strumento finalizzato ad informare il cliente circa l'effettivo costo del finanziamento richiesto e pertanto, non rientra tra i tassi di interesse nè tra le condizioni economiche del contratto di mutuo” ed analogamente Trib. Catania 28 febbraio 2018 e Trib. Napoli 9 gennaio 2018 che ha sancito in termini come “In conformità all'orientamento espresso dalla consolidata giurisprudenza di merito, l'omessa specificazione nel contatto di mutuo dell'indicatore sintetico di costo non inficia la validità del contratto, costituendo tale indicatore, al pari del documento di sintesi, uno strumento di carattere informativo, ma non un requisito tassativo ed indefettibile del regolamento negoziale") ponendo fine ad ogni indagine sul punto (e fatti salvi i profili di responsabilità dell’istituto di credito e del risarcimento dei danni qualora ne vengano dedotti gli elementi costitutivi cfr Trib. Torino 21 settembre 2020, Trib. Roma, 23 settembre 2019, Trib. Torino 14 novembre 2018 e Trib. Milano 26 ottobre 2017) per cui anche
sotto questo profilo il motivo di contestazione è infondato. Xxxx è che solitamente la parte interessata invoca l’orientamento contrario espresso con la pregevole (sotto il profilo motivazionale) sentenza emessa dal Trib. Cagliari 29 marzo 2016 (in parte qua ha statuito in termini di nullità del contratto per mancata indicazione dell’ISC), ma detta pronuncia sembra sottostimare la valenza (senza dubbio) informativa che l’ordinamento assegna a tale indicatore, al fine di colmare l’asimmetria informativa nel rapporto istituto di credito – cliente correntista (o mutuatario, come nel caso in esame), ponendosi in tal modo in posizione antitetica alla paventata nullità potendo la sua violazione generare solo responsabilità risarcitoria come ben rilevato da Cass., sez. un., 19 dicembre 26724 (leading case in materia) laddove ha sancito il principio (affermato in tema di obblighi di informazione nei confronti del cliente nella prestazione di un servizio di investimento da parte dell’istituto di credito ma, mutatis mutandis, applicabile ad ogni servizio bancario prestato) secondo cui, stante la distinzione tra le norme di comportamento e norme di validità del contratto, la violazione dei doveri d'informazione del cliente e di corretta esecuzione delle operazioni, che la legge pone a carico dei soggetti autorizzati alla prestazione dei servizi di investimento finanziario (al pari di ogni altra operazione bancaria), può dar luogo a responsabilità precontrattuale e/o contrattuale, con conseguente obbligo di risarcimento dei danni, ma, in nessun caso, in difetto di previsione normativa in tal senso, la violazione dei suaccennati doveri di comportamento può, però, determinare la nullità del contratto d'intermediazione o dei singoli atti negoziali conseguenti, a norma dell'art. 1418 cc e
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tale pronuncia, a distanza di tempo, conserva sempre la sua validità perché coerente con il consolidato principio quello secondo cui la contrarietà a norme imperative, considerata dall’art. 1418 cc quale causa di nullità del contratto, postula che essa attenga ad elementi intrinseci della fattispecie negoziale, che riguardino cioè la struttura o il contenuto del contratto tra cui non vanno annoverati i comportamenti tenuti dalle parti nel corso delle trattative o durante l'esecuzione del contratto che rimangono estranei alla fattispecie negoziale mentre la loro eventuale illegittimità, quale che sia la natura delle norme violate, non può dar luogo alla nullità del contratto, a meno che tale incidenza non sia espressamente prevista dal legislatore (Cass. 29 settembre 2005 n. 19024).
Sotto l’altro e diverso profilo circa la nullità dei tassi di interesse (variamente argomentata sotto il profilo della indeterminatezza del criterio di calcolo nonché del carattere usuraio), è noto che l’oggetto del contratto deve essere determinato e/o determinabile mediante criteri certi ed obiettivi o anche per relationem, ossia attraverso il rinvio a dati prestabiliti ed estrinseci al contratto, purché obiettivamente individuabili con sicurezza al di fuori di ogni margine di discrezionalità del creditore e sottratti all'arbitrio di questi (ex plurimis, Xxxx. 26 giugno 2019 n. 17110 secondo cui "nella vigenza del d.lgs. n. 385 del 1993, art. 117, il tasso di interesse può essere determinato per relationem, con esclusione del rinvio agli usi, ma in tal caso il contratto deve richiamare criteri prestabiliti ed elementi estrinseci che, oltre ad essere oggettivamente individuabili e funzionali alla concreta determinazione del tasso, risultano essere sottratti all'unilaterale determinazione della banca" nonché, in termini analoghi, Cass. 29 gennaio 2013 n. 2072 secondo cui “In tema di contratti di mutuo, affinché una convenzione relativa agli interessi ultralegali sia validamente stipulata ai sensi dell'art. 1284, comma 3, c.c., che è norma imperativa, deve avere forma scritta e contenere l'indicazione della percentuale del tasso di interesse in ragione di un periodo predeterminato; tale condizione può ritenersi soddisfatta anche per relationem, attraverso il richiamo a criteri prestabiliti ed elementi estrinseci, purché obbiettivamente individuabili, funzionali alla concreta determinazione del saggio di interesse e si realizza anche quando il tasso di interesse è desumibile dal contratto, senza alcun margine di incertezza o di discrezionalità in capo all'istituto mutuante…”, ma anche Xxxx. 11 novembre 2005 nm. 22898 nonché Cass. 21 giugno 2002 n. 9080). Ciò posto, il contratto di mutuo in esame prevedeva, almeno nelle pattuizioni originarie, un tasso di interesse corrispettivo pari a 3,250% semestrale “salvo variazioni secondo i criteri di cui appresso” (criteri non rinvenuti nel contratto), salvo l’altro tasso di pre - ammortamento dovuto fino al 31 dicembre 2000 riferito
all’Euribor a 6 mesi (senza specificazione se a 360 o 365 giorni secondo la prospettiva di parte ricorrente), cui ha fatto seguito la successiva “rinegoziazione” come da documento di sintesi risalente al 1 ottobre 2010 modificativa, tra l’altro, del tasso di interessi divenuto fisso e pari al 6%. Sul punto, non vi è alcun dubbio circa l’indeterminatezza della clausola relativa al pagamento degli interessi corrispettivi non essendo chiara la previsione “salvo variazioni secondo i criteri di cui appresso” (e non contenendo il contratto alcuna successiva specificazione in tal senso) lasciando intendere un obbligo di pagamento delle rate a carico del mutuatario in misura variabile perché collegato all'oscillazione di un indice finanziario di riferimento (generalmente viene utilizzato l'Euribor) implicando come l’importo della rata, in siffatti mutui, dipenda dall'andamento del mercato riferito al periodo previsto per il pagamento della nuova rata; tuttavia, se la ratio del requisito formale di cui all’art. 1284 cc (in parte qua prevede la determinazione per iscritto del tasso di interessi corrispettivo ultra – legale in misura tale da escludere ogni discrezionalità del creditore nella individuazione del tasso gravante sulla controparte) va individuata nell’esigenza di garantire la consapevolezza del debitore – mutuatario circa il contenuto e la gravosità degli obblighi restitutori assunti verso l’istituto di credito (superiori rispetto al tasso normale legale), atteso che il piano di ammortamento prevede (come giustamente rilevato da parte resistente) tempi, modalità e, soprattutto, l’ammontare delle singole periodiche rate (sebbene il piano originario preveda solo “quota capitale” laddove il piano “rinegoziato” distingue tra quota capitale e interessi), ne consegue che il (seppur astrattamente vero) rilievo di nullità della clausola perché indeterminata perde consistenza rispetto alla certezza degli impegni assunti dal mutuatario perché compiutamente regolamentati sul piano negoziale mediante la redazione di un dettagliato piano di ammortamento tale da escludere ogni margine di discrezionalità in capo al creditore nella determinazione del
contenuto della prestazione della controparte contro cui il diritto vivente ha predisposto i presidi a tutela del mutuatario ovvero, in altri termini, la nullità non risulta sanata (né potrebbe esserlo, come noto) ma semplicemente irrilevante per effetto dell’assenza di alcun pregiudizio in capo al debitore (infatti allorché nei mutui in cui siano espressamente indicati e accettati mediante sottoscrizione l’importo mutuato, i periodi di pagamento, il numero complessivo delle rate costanti, il tasso e il piano di ammortamento, l’applicazione dell’interesse non può condurre ad una pronuncia di nullità della clausola relativa agli interessi, per indeterminatezza dell’oggetto, ai sensi dell’art. 1284 cc cfr Trib. Monza 18 agosto 2017, Trib. Milan 28 giugno 2017, Pisa 21 aprile 2017, Trib. Roma 5 aprile 2017 e Trib. Benevento 19 novembre 2012). Analogamente (nel senso che le argomentazioni poc’anzi illustrate valgono anche per quanto infra) per l’altra asserita nullità (parimenti per indeterminatezza) del tasso di pre - ammortamento collegato all’Euribor a 6 mesi senza specificazione se a 360 o 365 giorni (anche se poi il tasso è stato accertato a 365 giorni) in ordine al quale vale quanto poc’anzi illustrato, non senza aggiungere come la mancata puntuale specificazione del divisore 360 o 365 giorni, riferito all'Euribor:, non genera la nullità del contratto sotto il profilo denunciato rimanendo comunque escluso ogni potere di unilaterale determinazione del tasso in capo all’ente mutuante potendosi, con certezza, ricavarsi questo aliunde (avendo Trib. Parma 3 dicembre 2021 e Trib. Catania, 14 ottobre 2020 statuito come “nel contratto di mutuo è irrilevante la mancata indicazione in contratto del coefficiente del divisore Euribor per cui non si determina alcuna violazione degli articoli 1345,1418 e 1284 del Codice Civile' mentre 'il requisito della pattuizione scritta degli interessi ultralegali, prescritta dall'art. 1284 cod. civ., viene ritenuto soddisfatto anche 'per relationem' non essendo necessario che il documento contrattuale contenga l'indicazione in cifre del tasso d'interesse pattuito'” atteso che “il tasso di interesse non può 'considerarsi
indeterminato' laddove 'gli interessi corrispettivi' siano 'fissati con rinvio per relationem al tasso Euribor a – in quel caso - tre mesi, che costituisce un indice determinabile in modo costante, sulla base di un articolato procedimento di rilevazione (...) e certamente sottratto a qualsiasi rischio di determinazione unilaterale a cura della sola banca' atteso che l'Euribor rappresenta comunque 'un indice medio, calcolato e diffuso giornalmente dalla Federazione delle banche europee sulla base del comportamento adottato dalle principali banche europee e internazionali in relazione alle variazioni del tasso ufficiale BCE e dunque sulla scorta di dati che si assumono oggettivi”) e non senza, infine, sottolineare il carattere non decisivo (in termini di interesse ad agire) del rilievo trattandosi di impegni finanziari, calcolati secondo questa imperfetta metodologia, circoscritti al 31 dicembre 2000.
Inoltre, va esclusa la fondatezza dei rilievi relativi al superamento del cd “tasso – soglia”
(ivi compreso quello di mora), con le precisazioni di seguito.
Infatti, per gli interessi corrispettivi (ed altri oneri economici connessi all’erogazione del credito), il cd “tasso – soglia” (9,435%) si è palesato ben superiore al TAEG (ca 6%) laddove, per l’interesse di mora (stimato pari a 10.541%), asseritamente superiore alla soglia di legge, è appena il caso di richiamare quanto statuito da Xxxx., sez. un., 18 settembre 2020 n. 19597 la quale (senza poter ripercorrere l’indubbio percorso argomentativo) ha affermato come la disciplina antiusura trova applicazione anche agli interessi moratori intendendo essa sanzionare la pattuizione di interessi eccessivi convenuti al momento della stipula del contratto quale corrispettivo per la concessione del denaro e l’accertamento del carattere usurario del tasso di mora va condotto separatamente ed autonomamente e non cumulato con quello corrispettivo; circa il metodo di accertamento in concreto, la mancata indicazione dell'interesse di mora nell'ambito del TEGM non preclude l'applicazione dei decreti ministeriali i quali contengano comunque la rilevazione del tasso medio praticato dagli operatori professionali, statisticamente rilevato in modo del pari oggettivo ed unitario, essendo questo idoneo a palesare che una clausola sugli interessi moratori sia usuraria, perché "fuori mercato", donde la formula: "Tegm più la maggiorazione media degli interessi morati, il tutto moltiplicato per il coefficiente in aumento, più i punti percentuali aggiuntivi, previsti quel ulteriore tolleranza dal predetto decreto". La rilevazione del tasso medio praticato dagli operatori professionali, tuttavia, risale ai decreti ministeriale a partire dal 25 marzo 2003 allorché, in base all'indagine statistica condotta a fini conoscitivi dalla Banca d'Italia, era stata rilevata la maggiorazione stabilita contrattualmente per i casi di ritardato pagamento mediamente pari a 2,1 punti percentuali; prima di siffatta indagine (traslata nel decreto del 2003), era assente la mancata rilevazione della maggiorazione propria degli interessi moratori nei decreti ministeriali (ed è appena il caso di rilevare come per ogni contratto, infatti, deve essere preso a termine di riferimento il decreto ministeriale all'epoca vigente
stante il carattere originario dell’usura) e ciò riguarda proprio la vicenda in esame atteso che risulta che il contratto di mutuo fu concluso nell’anno 2000 (allorché, come detto, mancava la rilevazione degli interessi moratori, che ha iniziato ad essere compiuta a partire dal DM 25 marzo 2003) di guisa che (ha statuito il giudice della monofilachia) laddove, ove i decreti ministeriali non rechino neppure l'indicazione della maggiorazione media dei moratori, resta il termine di confronto del TEGM così come rilevato, con la maggiorazione prevista applicandosi, in caso di accertata usurarietà, l'art. 1815 cc onde non sono dovuti gli interessi moratori pattuiti ma vigendo l'art. 1224 cc con la conseguente debenza degli interessi nella misure dei corrispettivi lecitamente convenuti. Dunque, nel caso in esame, stante la data di conclusione del contratto risalente all’anno 2000, per i contratti conclusi fino al 31 marzo 2003, il “tasso – soglia” in relazione agli interessi di mora coincide con il “tasso
– soglia” dei interessi corrispettivi, atteso che i decreti ministeriali anteriori al DM 25 marzo 2003 (applicabile alle operazioni di credito dal 1 aprile 2003) non indicavano la maggiorazione media degli interessi moratori donde la formula da seguire è la seguente “TEGM maggiorato della metà”, laddove, viceversa, solo per i contratti conclusi dal 1 aprile 2003 (data di entrata in vigore del DM 25 marzo 2003) al 30 giugno 2011, il “tasso – soglia” di mora si determina sommando al TAEG il valore del 2,1 % (maggiorazione media interessi di mora indicata nei decreti ministeriali), il tutto maggiorato del 50% donde la formula diviene la seguente: “TEGM + 2,1 x 1,5”. Se esatto quanto precede, allora, in ragione del tasso di mora pattuito nella misura del 10,541% (come sembrerebbe essere affermato anche da parte resistente) è ipotizzabile il superamento del cd “tasso – soglia” seppur ai fini della sola mora (9.435%, coincidente con il tasso - soglia corrispettivo e non 12.17% come sostenuto da ******* spa), con conseguente sostituzione del tasso di mora con quello legale (senza azzeramento del tasso di interesse come statuito dalla pronuncia in
commento). La circostanza secondo cui il rapporto contrattuale è ancora in corso ed il mutuatario non sia incorso in alcun inadempimento (continuando a versare le rate del mutuo anche in pendenza dell’odierno giudizio) non fa venir meno l’’interesse ad agire (come statuito parimenti dal giudice della monofilachia in esame che richiama il precedente espresso da Cass.31 luglio 2015 n. 16262) che persiste in relazione ad una clausola reputata in tesi nulla o inefficace in quanto risponde ad un bisogno di certezza del diritto che le convenzioni negoziali siano accertate come valide ed efficaci atteso che l'interesse ad agire in un'azione di mero accertamento non implica necessariamente l'attualità della lesione di un diritto (con l’inadempimento e conseguenziale applicazione della sanzione della mora), essendo sufficiente uno stato di incertezza oggettiva onde se, da un lato, non può essere disconosciuto l'interesse ad agire ex art. 100 cpc per la presenza attuale in contratto di una clausola degli interessi usurari, dall'altro lato, questo sarà limitato l'effetto del giudicato di accertamento, non idoneo automaticamente a valere con riguardo alla futura applicazione di un interesse moratorio in concreto, ma solo ad escludere che l'interesse pattuito sia dovuto (in altri termini, ciò che rileva in concreto in ipotesi di inadempimento è il tasso moratorio applicato di guisa che se il finanziato intenda agire prima, allo scopo di far accertare l'illiceità del patto sugli interessi rispetto alla soglia usuraria, come fissata al momento del patto, la sentenza ottenuta vale come accertamento, in astratto, circa detta nullità, laddove esso fosse, in futuro, utilizzato dal finanziatore). In realtà, l’interesse ad agire per il ricorrente viene meno per effetto di una altra circostanza di fatto ovvero la sostituzione, a seguito della “rinegoziazione” del contratto, del tasso di mora ultra – soglia con altro tasso di interesse (6,75%) molto inferiore alla soglia ex lege rilevante ai fini dell’usura per cui l’addebito perde consistenza alla luce di questa fatto sopravvenuto che in nulla incide sul rapporto fino
ad allora intercorso in cui il ricorrente non ha mai versato interessi di mora adempiendo regolarmente al pagamento delle rate periodiche.
E pari sorte anche per l’altro vizio denunciato integrante la violazione delle norme sulla trasparenza bancaria di cui agli artt. 117 e ss TUB avendo accertato il CTU una divergenza tra il TAN (6,50%) ed il TAE (6.605%). Sul punto, vero è che l’art. 117 TUB prevede la sanzione della nullità in caso di difformità tra pattuizioni contrattuali e oneri economici come pubblicizzati con applicazione del cd “tasso - sostitutivo” (in caso di divergenza tra tassi - ed altre condizioni economiche - rispetto ai costi “pubblicizzati” dispone l’art. 117 TUB che “Sono nulle le clausole contrattuali che prevedono tassi, prezzi e condizioni più sfavorevoli per i clienti di quelli pubblicizzati”), ma il giudicante non ignora l’orientamento espresso da questo Tribunale circa l’applicazione analogica della norma anche al caso della difformità tra condizioni contrattuali da quelle effettive, segnatamente sotto forma di mancata indicazione del tasso debitorio di interessi effettivo (TAE) in aggiunta a quello nominale (TAN), con la conseguente applicazione – analogica - del cd “tasso – sostitutivo” di cui all’art. 117 TUB in base ad una interpretazione costituzionalmente orientata (principio di uguaglianza sostanziale di cui all’art. 3, 2° comma, Cost.) a tutela della parte economicamente svantaggiata del rapporto, considerando che il termine “pubblicità” non faccia esclusivo riferimento ai fogli informativi delle condizioni contrattuali (ciò perché la pubblicità si riferirebbe alla generalità del pubblico) per cui il tasso contrattuale nominale inferiore a quello effettivo non sarebbe sanzionato dall’art. 117 TUB , bensì, atteso che l’obiettivo della trasparenza è far sì che il cliente si renda conto delle condizioni pattuite, la disposizione in oggetto sia da intendersi estesa altresì al caso di divergenza del tasso effettivo rispetto a quelli comunicati al cliente mediante la consegna del documento di sintesi. Ciò anche al fine di evitare la contraddizione intrinseca al sistema di protezione con la sanzione massima (nullità) quando il tasso
manca, omettendo il caso più grave del tasso ingannevole su cui in concreto si forma il convincimento del cliente, perché un tasso inferiore al reale è molto più grave (induce maggiormente in errore) di un tasso assente. Tuttavia, nel caso in esame, non solo va preso atto non solo della divaricazione modesta tra i due valori (6.50% e 6,605%) tanto da rendere iniqua la sanzione prevista dall’art. 117 TUB (senza dubbio con un forte incidenza sulle condizioni economiche determinando un inammissibile squilibrio del contratto a danno dell’ente - mutuante), ma anche dalla circostanza secondo cui la divergenza tra i valori è da attribuirsi (usando le parole del CTU) alla diversa metodologia di calcolo della rata non più basata sul regime di interesse composto bensì semplice implicando un innalzamento del tasso effettivo annuo, rispetto a quello-nominale annuo, e non già ad un comportamento decettivo dell’istituto di credito diretto a fuorviare il cliente sulle condizioni economiche applicate e la cui condotta non è immeritevole di censura per scorrettezza nei rapporto con il cliente. Ma, in realtà, va osservato come sia ontologicamente errato invocare, già sotto un profilo ex ante, una patologia del contratto per effetto della divaricazione tra TAN e TAE essendo questa, viceversa, fisiologica e tanto più significativa quanto è maggiore il numero delle rate e più alto il tasso di interesse. Infatti, mentre il tasso annuo nominale (TAN) è stabilito su base annua, le rate hanno spesso una periodicità inferiore, e, conseguentemente, il tasso effettivamente applicato risulta più alto. In altri termini, le due grandezze, TAE e TAN, non sono dunque alternative tra loro, ma coesistono e non possono essere identiche. Nei contratti di mutuo, infatti, al TAE si perviene dopo aver concordato il TAN e la periodicità delle rate di rimborso, di talché la differenza tra TAN e TAE è la normale conseguenza del fatto che, nei piani di ammortamento di prestiti e mutui, l’interesse annuale generalmente non viene pagato in un’unica soluzione a fine anno, ma ripartito su ogni rata infra - annuale in scadenza; e appunto la corresponsione
anticipata delle rate rispetto alla scadenza annuale comporta che il costo effettivo da interessi del finanziamento per il contraente non è pari al tasso annuale stabilito da contratto, ma (lievemente) maggiore, come registrato nel caso in esame.
Per tutti i motivi poc’anzi illustrati, non possono, pertanto, essere accolti gli scenari di calcolo di cui all’elaborato tecnico depositato in data 18 aprile 2021 (ed in particolar modo, quelli di cui al punto 7 “Rielaborazioni del piano di ammortamento e conclusioni”) avendo l’ausiliario proceduto all’applicazione dei cd “tassi – sostitutivi” di cui all’art. 117 TUB di cui, come visto, difettano i presupposti di legge.
I motivi di accoglimento della domanda risiedono, in realtà, altrove e, segnatamente, nell’applicazione di un regime di capitalizzazione degli interessi passivi occulto, perché non pattuito, tenendo conto della particolarità del fenomeno dell’anatocismo per i mutui fondiari il cui regime, per effetto di leggi speciali intervenute nel corso del tempo, è interamente regolato ex lege sottraendosi (almeno ciò è avvenuto per lungo tempo) al divieto generale contemplato dall'art. 1283 cc.
Circa il rapporto (molto tormentati) tra mutuo fondiario ed il fenomeno
dell’anatocismo, si osservi quanto segue.
Nei contratti di mutuo fondiario, il quadro legislativo fino all’entrata in vigore del TUB (1° gennaio 1994), è sempre stato ben definito e favorevole all’applicazione del meccanismo dell’anatocismo alle operazioni di credito fondiario, avendo la normativa speciale di riferimento sempre previsto che le somme dovute e non pagate “producono, di pieno diritto, interesse dal giorno della scadenza” (cfr Regio -
Decreto 16 luglio 1905 n. 646, art. 38 -, DPR 6 giugno 1991 n. 175 – art. 16, 2° comma – e DPR 21 gennaio 1976 n. 7 – art. 14, 2° comma, e tale ultima norma è stata abrogata dall’art. 161, comma 1, TUB con riguardo ai contratti conclusi dal 1 gennaio 1994). Con l’entrata in vigore del Tub e della delibera CICR 9 febbraio 2000, in riferimento ai finanziamenti in essere al 1° gennaio 2014 o stipulati dopo, si è delineato il seguente quadro normativo ovvero i) contratti di mutuo fondiario stipulati prima del 1° gennaio 1994, gli interessi moratori vanno calcolati sulla intera rata (quota capitale e quota interessi), in quanto l’anatocismo è espressamente previsto dalla previgente normativa in materia di credito fondiario (cfr supra) (in questo senso Cass. 27 agosto 2014 n. 18325, Cass. 3 maggio 2011 n. 9695, Cass. 5
maggio 2009 n. 10297, Cass. 3 marzo 2009 n.5059, Cass. 31 gennaio 2006 n. 2140,
Cass. 20 marzo 2003 n. 2593; nel merito, App. Salerno 5 febbraio 2007 tutte univoche nell’affermare che, in tema di credito fondiario, il mancato pagamento di una rata di mutuo comporta, ai sensi dell’art. 00, Xxxxx - Xxxxxxx 16 luglio 1905 n. 646, l’obbligo di corrispondere gli interessi di mora sull’intera rata, inclusa la parte che rappresenta gli interessi di ammortamento e ciò in quanto nei mutui fondiari l’anatocismo è previsto dalla legge) ii) contratti di mutuo fondiario stipulati dal 1 gennaio 1994 all’entrata in vigore delibera CICR 9
febbraio 2000 (22 aprile 2000) in cui il computo anatocistico degli interessi è illegittimo, atteso che il TUB ha abrogato il DPR 6 giugno 1991 n. 175 che, reiterando le precedenti previsioni normative, autorizzava l’anatocismo per i mutui fondiari, operando, dunque, il principio generale di cui all’art. 1283 cc iii) contratti di mutuo fondiario stipulati dal 22 aprile 2000 (entrata in vigore della citata delibera CICR) – ed è questo il caso che occupa il giudicante -, le clausole anatocistiche sono legittime nel senso che, il mutuo fondiario si configura come una speciale ipotesi di anatocismo legale che si sottrae al divieto generale di cui all’art. 1283 cc sicché gli interessi corrispettivi compresi nella rata di mutuo scaduta possono essere capitalizzati purché il contratto lo prevede (Trib. Torino 3 novembre 2006). In tale ultima ipotesi, non avendo il contratto in esame nulla previsto (tacendo anche del fenomeno dell’anatocismo), va approvato l’elaborato del CTU in parte qua ha stimato gli importi oggetto dell’indebito. Infatti, il CTU, sebbene il contratto di mutuo non abbia esplicitato il metodo finanziario di calcolo della rata, ha riscontrato come il piano di ammortamento adottato nel caso in esame si sia fondato sul regime degli interessi composti atteso che il capitale via via rimborsato è produttivo di un interesse che incorpora anche interessi non ancora esigibili perché non giunti a scadenza ovvero in corso di maturazione (generando, dunque, un effetto anatocistico vietato - cfr pag. 18), come arguito dalla comparazione tra le diverse formule di costruzione della rata in regime di capitalizzazione composta (formula adoperata dall’ente mutuante) rispetto all’alternativa semplice (cfr pagg. 18 e 19), con un aggravio dell’impegno finanziario rispetto al regime di interesse semplice per il pagamento delle rate in capo al mutuatario stimato in € 24.765,60, pari alla differenza tra il totale degli interessi passivi, calcolati secondo l’originario piano di ammortamento, redatto in regime di interesse composto, ed il totale degli interessi passivi dovuti secondo il piano di ammortamento redatto in regime di interesse semplice e tale importo costituisce oggetto di ripetizione in favore del ricorrente, fatta salva la maggiorazione degli interessi legali a decorrere dalla domanda: l’importo così
(faticosamente) determinato è inclusivo anche della parte residua prescritta atteso che, costituisce principio consolidato che, in tema di contratto di mutuo, la prescrizione dell’azione di ripetizione di indebita percezione di somme inizia a decorrere dalla scadenza dell’ultima rata, atteso che il pagamento dei ratei configura un’obbligazione unica ed il relativo debito non può considerarsi scaduto prima della scadenza laddove il pagamento rateale non costituisce il frazionamento di detta obbligazioni in una pluralità di obbligazioni autonome (Cass. 30 agosto 2011 n. 17798 e Cass. 6 febbraio 2004 n. 2301 secondo cui “con riferimento al contratto di mutuo l'obbligazione è unica e la divisione in rate costituisce solo una modalità per agevolare una delle parti, per cui deve rilevarsi che la rateizzazione dell'unico debito contratto con la banca non determina il frazionamento di esso in una serie di autonome obbligazioni neanche con riferimento agli interessi corrispettivi previsti nel piano di ammortamento che del finanziamento costituiscono il corrispettivo, o agli interessi moratori, fondati sul presupposto dell'inadempimento e privi di cadenza periodica. Ne consegue che il debito non può considerarsi scaduto prima della scadenza dell'ultima rata, per cui la prescrizione decennale dell'azione di ripetizione di indebito non si pone quando il rapporto è ancora in corso e decorrerà dal pagamento dell'ultima rata”; nel merito, Trib. Ivrea 23 dicembre 2019, Trib. L’Aquila 6 febbraio 201 che ha precisato come “Il debito del mutuatario non può considerarsi scaduto prima della scadenza dell'ultima rata, per cui la prescrizione decennale dell'azione di ripetizione di indebito non si pone quando il rapporto è ancora in corso e decorrerà dal pagamento dell'ultima rata” nonché Trib. Torino 28 novembre 2018). Infine, il CTU ha stimato un debito residuo pari a € 20.230,68 (ovviamente per la quota interessi residui), come da piano di ammortamento ricalcolato (depurato di ogni forma di anatocismo) secondo l’allegato all’elaborato qui integralmente richiamato e parte integrante del presente provvedimento (n parte dispositiva).
Le spese di lite sono liquidate in dispositivo tenuto conto della soglia di valore compresa tra € 5,2mila e € 26mila di cui alla tabella 2 ”Procedimenti di cognizione sommaria ed ordinaria innanzi il Tribunale” di cui al DM 55/2014, in relazione all’attività processuale svolta (studio ed introduzione della lite, istruttoria e fase decisoria), per un importo complessivo pari a € ******, oltre oneri accessori.
P.Q.M.
pronunciando sulla domanda proposta, così dispone:
- accoglie il ricorso e, per l’effetto, condanna ******* spa, in persona del proprio legale rappr. pro tempore, resistente, al pagamento in favore di
**************, ricorrente, dell’importo complessivo, maggiorato degli interessi legali come in motivazione, pari a € 24.765,60 e, altresì, al pagamento delle spese di lite che si liquidano in € *****, oltre voci accessorie, per compenso professionale, con attribuzione al procuratore per dichiarato anticipo, con accollo integrale delle spese liquidate a titolo di compenso per il CTU
- dispone che il piano di ammortamento si articoli secondo quanto stabilito dal CTU, con il pagamento del residuo pari a € 20.230,68 (quota interessi)
Torre Annunziata, 5 ottobre 2022
Il giudice
xxxx. Xxxxxx Xxxxxxx