DOTTORATO DI RICERCA
Università degli Studi di Cagliari
DOTTORATO DI RICERCA
DIRITTO DEI CONTRATTI
Ciclo XXXIII
I CONTRATTI DERIVATI
Settore scientifico disciplinare di afferenza: IUS/01
Presentata da: Xxxxxxx Xxxxx Coordinatore Dottorato Xxxx. Xxxxxxx Xxxxxxx Xxxxx Xxxx. Xxxxxxxxxxx Xxxxxxx
Esame finale anno accademico 2009 – 2010
INDICE - SOMMARIO
CAPITOLO I – I DERIVATI NELLA PRASSI
1. Origine ed evoluzione delle contrattazioni su derivati…………........................ 4
2. Inquadramento del problema………………………………............................... 8
3. I derivati di tipo future……………………………............................................ 9
3.1. Currency future……………................................................................. 11
3.2. Stock index financial future…………………………………….......... 13
3.3. Interest rate future…………………………………………………… 15
3.4. Ulteriori fattispecie riconducibili alla categoria dei future…………. 16
4. I derivati di tipo option………………………………………………………… 18
4.1. Opzioni su tassi di interesse…………………………………………. 20
4.2. Currency option……………………………………………………… 23
4.3. Opzioni su indici……………………………………………………... 25
4.4. Opzioni su swap e future……………………………………………... 26
4.5. Warrant: riconducibili alla categoria dei derivati?…………………. 27
5. I derivati di tipo swap………………………………………………….............. 29
5.1. Currency swap……………………………………………………….. 32
5.2. Domestic currency swap……………………………………………... 35
5.3. Interest rate swap……………………………………………………. 38
5.4. Swap su indici e su merci; equity swap……………………………… 41
6. I derivati di credito…………………………………………………………….. 44
6.1. Credit default swap e credit default option………………………….. 47
6.2. Altre tipologie di credit derivatives………………………………….. 50
7. Xxxxx sui contratti differenziali……………………………………………….. 52
8. Considerazioni di sintesi alla luce della descrizione delle principali fattispecie……………………………………………………………………… 53
CAPITOLO II – I DERIVATI NELL’ORDINAMENTO ITALIANO
1. Il recepimento normativo delle fattispecie diffuse nella prassi………………... 56
2. Derivati uniformi e over the counter: necessità di una distinzione …………… 66
2.1. Derivati uniformi: modalità di contrattazione e disciplina positiva… 68
2.2. Derivati negoziati over the counter………………………………….. 79
3. Il ruolo svolto dagli intermediari finanziari nelle operazioni riguardanti
contratti derivati……………………………………………………………….. 81
3.1. Limitazioni soggettive alla stipula di contratti derivati……………... 81
3.2. I contratti derivati nel sistema dell’intermediazione finanziaria e dei
servizi di investimento……………………………………………….. 86
4. Mark to market, up-front, rinegoziazione 100
5. Cenno sugli ulteriori provvedimenti normativi aventi ad oggetto derivati 103
CAPITOLO III – IL DIBATTITO SULLA NATURA GIURIDICA DEI DERIVATI
1. Premessa 105
2. Il derivato nella duplice veste di contratto e strumento finanziario 105
3. Funzione economica e meritevolezza di tutela 110
4. Natura aleatoria o commutativa dei contratti derivati 114
5. Applicabilità dell’art. 1933 c.c 119
6. Qualche considerazione finale 125
Bibliografia 129
CAPITOLO I
I DERIVATI NELLA PRASSI
SOMMARIO: 1. Origine ed evoluzione delle contrattazioni su derivati. – 2. Inquadramento del problema. – 3. I derivati di tipo future. – 3.1. Currency future. – 3.2. Stock index financial future. – 3.3. Interest rate future. – 3.4. Ulteriori fattispecie riconducibili alla categoria dei future. – 4. I derivati di tipo option. – 4.1. Opzioni su tassi di interesse. – 4.2. Currency option. – 4.3. Opzioni su indici. – 4.4. Opzioni su swap e future. – 4.5. Warrant: riconducibili alla categoria dei derivati?. – 5. I derivati di tipo swap. – 5.1. Currency swap. – 5.2. Domestic currency swap. – 5.3. Interest rate swap. – 5.4. Swap su indici e su merci; equity swap. – 6. I derivati di credito. – 6.1. Credit default swap e credit default option. – 6.2. Altre tipologie di credit derivatives. – 7. Cenni sui contratti differenziali. – 8. Considerazioni di sintesi alla luce della descrizione delle principali fattispecie.
1. Origine ed evoluzione delle contrattazioni su derivati.
La formidabile varietà di modelli contrattuali riconducibili al genus dei contratti derivati, nonché la complessità delle formule sulla base delle quali ne vengono determinate le prestazioni negoziali, rendono immediatamente cosciente lo studioso, che si accinga ad approfondirne l’analisi, del fatto di dover dissodare un tema ricco di difficoltà. Considerando, poi, che per la comprensione dei meccanismi sottesi a tali negoziazioni si rivela, talvolta, insufficiente il bagaglio tecnico a disposizione del giurista e più consono quello dell’economista - se non, in certi casi, del matematico - si inizia ad acquistare la consapevolezza di dover affrontare problematiche inconsuete rispetto a quelle sollevate dai tipi negoziali che il civilista definirebbe “tradizionali”.
Eppure, il percorso evolutivo che ha condotto, specialmente negli ultimi decenni, all’elaborazione di figure così complesse, frutto delle moderne tecniche di ingegneria finanziaria, ha avuto origine in epoche assai remote e diverse rispetto a quella attuale1. Ciò è accaduto, inizialmente, secondo schemi ben diversi rispetto a quelli che oggi vengono proposti ad un investitore che voglia portare a termine un’operazione relativa
1 Sull’origine e sull’evoluzione dei derivati, meritano di essere menzionati, tra gli altri, i contributi di BALESTRA, Il contratto aleatorio e l’alea normale, Padova, 2000; XXXXXXXXXX, Contratti derivati e sistema bancario: problematiche di controllo e profili di vigilanza, in L’innovazione finanziaria – Gli amici in memoria di Xxxxxxxx Xxxxxxxx, Milano, 2003, p. 415; PADOA SCHIOPPA, I prodotti derivati: profili di pubblico interesse, in Bollett. econom. Banca d’Italia, 1996, 26, p. 59; XXXXX, Nuovi strumenti del mercato finanziario: futures e options, in Il diritto della borsa nella prospettiva degli anni Novanta, a cura di Xxxxxxxxx, Napoli, 1993, p. 149; VALLE, Il contratto future, in I contratti del commercio, dell’industria e del mercato finanziario, diretto da Xxxxxxx, Torino, 1997, p. 393.
a derivati: ossia, mediante il ricorso a figure dalla struttura assai semplice le quali, peraltro, consentivano di risolvere con successo problematiche assai rilevanti per l’economia del tempo.
Analizzare le ragioni che hanno condotto all’elaborazione dei primi, sia pur elementari, modelli di derivato, può essere utile per capire in che modo i processi economici riguardanti questo settore abbiano condotto all’elaborazione di quelle che oggi possono essere ormai annoverate nella gamma delle più importanti figure di strumento finanziario.
Il primo elemento che, a tal proposito, va tenuto presente, è senz’altro quello temporale. Tra il momento della contrattazione e quello dell’esecuzione delle prestazioni negoziali può trascorrere un periodo più o meno lungo durante il quale possono mutare molteplici fattori; e questo discorso vale a maggior ragione, ad esempio, in ambito agricolo; un settore sul quale incide in misura essenziale l’imprevedibilità delle condizioni climatiche. Dall’andamento degli eventi meteorologici può dipendere in massima misura la quantità e la qualità del raccolto. Si pensi, a tal proposito, ai casi nei quali si renda necessario acquistare o vendere i prodotti della terra con largo anticipo rispetto al momento in cui si prevede che questi vengano ad esistenza. Spesso le contrattazioni devono avere luogo con un anticipo di diversi mesi rispetto a tale frangente; e questa eventualità espone al rischio di fallire le previsioni, rendendo un’operazione economica del genere disastrosa o comunque sconveniente per chi incorra in un errore di questo tipo.
È evidente che le tecnologie di cui si dispone attualmente sono venute in soccorso di chi opera in questi ambiti. Ma si provi ad immaginare quanto diverse fossero le condizioni in cui ci si trovava ad agire in epoche ben più remote; tempi in cui le previsioni sul buon esito delle stagioni agricole venivano rimesse ai saggi, ma comunque rudimentali, accorgimenti tramandati di padre in figlio nei secoli. Ecco, si può senz’altro dire che i contratti derivati nacquero con lo scopo di rendere economicamente meno incerte le operazioni economiche aventi ad oggetto i prodotti agricoli.
Non vi è certezza sul luogo in cui tali figure (o meglio: alcune delle figure riconducibili alla più ampia categoria dei derivati) sono sorte per la prima volta; quel che è sicuro è che esse avevano uno scopo cautelativo, e che hanno avuto origine nell’ambito del commercio di beni negoziati in via largamente anticipata rispetto al momento della loro venuta ad esistenza.
A questo punto, però, è necessario operare una precisazione: tale discorso vale prevalentemente per i derivati appartenenti alla categoria dei future, mentre un discorso leggermente diverso va fatto con riferimento agli swap, ideati in epoca ben più recente per risolvere problematiche sorte in ambito valutario.
Quel che è certo è, dunque, che la prima tipologia di contratto derivato di cui si abbia notizia è senz’altro il future, nonostante non sia chiaro se di esso si siano avute le prime applicazioni in Giappone o negli Stati Uniti, o in entrambe queste regioni contemporaneamente2. In Giappone, i feudatari avevano necessità di procurarsi le risorse economiche necessarie per la vita a corte. Essendo proprietari di grandi latifondi, nei quali veniva coltivato il riso, per essere certi di incamerare somme di una certa entità, iniziarono a stipulare contratti a termine aventi ad oggetto determinate quantità di tale merce. Grosso modo, accadeva altrettanto nell’America del Nord, nel settore del commercio di derrate agricole che necessariamente restava bloccato per diversi mesi a causa del congelamento dei fiumi – il trasporto avveniva, appunto, per via fluviale – con la necessità, anche in questo caso, di regolare in via largamente anticipata le condizioni negoziali per la futura consegna di tali beni.
Appare evidente il rischio connesso a operazioni di questo tipo. Una contrattazione effettuata con così largo anticipo non offriva alcuna garanzia in ordine a un profilo fondamentale: ossia, al fatto che, alla scadenza, il prezzo originariamente fissato dai contraenti corrispondesse effettivamente al prezzo di mercato di quel bene in quel preciso periodo. Per chiarire meglio questo concetto, basti pensare all’eventualità in cui una stagione particolarmente rigida desse luogo a un raccolto di entità esigua: in tal caso, il prezzo di questi beni, scarseggianti al momento della scadenza, sarebbe stato assai più elevato rispetto a quello preventivato al momento della contrattazione. In questo caso, il venditore avrebbe dissipato un valore pari alla differenza tra il prezzo in precedenza pattuito e quello di mercato, mentre il compratore, sulla base dell’acquisto a termine, avrebbe avuto a disposizione ad un costo assai basso beni che altrimenti avrebbe dovuto negoziare sulla base di cifre ben più elevate. Un discorso esattamente speculare va fatto, come è evidente, per l’ipotesi opposta: un raccolto particolarmente abbondante avrebbe causato il crollo del costo dei beni, al momento del raccolto:
2 XXXXX, Nuovi strumenti del mercato finanziario: futures e options, cit., p. 149, infatti, sostiene che “il contratto future è nato in due parti del mondo lontane ed in epoche diverse: è nato in Giappone nel 1600 ed è rinato in modo del tutto indipendente dal primo negli Stati Uniti verso la metà del secolo scorso”. XXXXXX, I contratti derivati, Milano, 2010, p. 31, ritiene invece che “collocare con esattezza la nascita degli strumenti derivati è un’opera pressoché impossibile”. Sulle contrattazioni a termine che avevano luogo, in Europa, nel XVIII e XIX secolo, nonché sull’evoluzione del problema con specifico riferimento all’Italia, x. XXXXXXXX, Il contratto aleatorio e l’alea normale, cit., p. 190 ss.
l’offerta avrebbe superato la domanda, con un relativo abbassamento del prezzo di queste merci.
Per evitare questi effetti negativi pur potendo ottenere, allo stesso tempo, l’impegno della controparte ad eseguire comunque le prestazioni negoziali, si escogitò un meccanismo – che differenzia i derivati da altre negoziazioni a termine - basato su un costante aggiornamento dell’entità delle prestazioni, al quale era connesso il deposito di una cauzione di entità più o meno elevata. Con l’evoluzione di tali mercati, il compito di gestire queste borse fu assunto da associazioni di commercianti; e per rendere possibile un meccanismo così strutturato si fece ricorso a modelli contrattuali standardizzati, che consentivano di gestire domanda e offerta secondo meccanismi compensativi, come peraltro si vedrà meglio più avanti.
Nella seconda metà del XX secolo, identici espedienti vennero applicati alle contrattazioni aventi ad oggetto non più merci ma valute ed, in seguito, indici di borsa, con la creazione di appositi mercati3. Nacquero, così, i contratti future della tipologia attualmente più diffusa nei mercati finanziari.
L’origine degli swap va ricercata, invece, in un’esigenza differente; ossia, nella necessità di arginare gli effetti negativi cagionati dalle fluttuazioni del cambio valutario. Questo tipo di contrattazione è sorta intorno agli anni ’70 del secolo scorso; si può affermare che - a differenza dei future - tali negoziazioni sono state adoperate fin dall’origine per perseguire finalità ben più sofisticate e non legate, dunque, alle contrattazioni su beni di tipo primario4.
3 XXXXX, Nuovi strumenti del mercato finanziario: futures e options, cit., p. 155, fa presente che nei primi anni ’70, negli stessi mercati in cui prima avevano luogo le contrattazioni su beni agricoli, “sono state aperte le contrattazioni di contratti futures che non avevano come base prodotti agricoli, ma particolari prodotti o titoli finanziari”; in seguito a tale fenomeno, “negli Stati Uniti si è poi passati ai futures su valute e sugli indici di borsa”. Successivamente, “questi mercati hanno preso piede in tutto il mondo: dopo gli Stati Uniti si è aperto a Londra il London International Financial Futures Exchange, il LIFFE”.
4 GIOIA, Il contratto di swap, in Giur. it., 1999, IV, p. 2209, ricorda, infatti, che “l’apertura di un mercato libero dell’oro, alla fine degli anni Sessanta, e la decisione del presidente Xxxxx di sospendere la convertibilità del dollaro in oro, al prezzo fisso di 35 dollari l’oncia (golden exchange standard), il 15 novembre 1971 misero in crisi il sistema valutario di cambi fissi, ancorato alla convertibilità del dollaro in oro, concordato a Bretton Woods, ove si istituì il Fondo Monetario Internazionale”. All’abbandono degli accordi di Xxxxxxx Xxxxx, fece seguito il ricorso a un sistema “basato sulla fluttuazione controllata dei cambi da parte delle Banche centrali”; nacque, così, l’esigenza di controllare i rischi di questo momento di cambiamento, ed è così che “cominciarono a delinearsi una serie di strumenti finanziari derivati, tendenti a contenere i rischi di cambio”. I contratti di tipo swap nacquero, infatti, “come contratti tra banche centrali o tra una banca centrale e il FMI, a guisa di riporto”; in seguito, le operazioni di swap si sono diffuse anche tra privati. Sul venir meno degli accordi di Xxxxxxx Xxxxx come uno dei fattori che hanno contribuito all’origine degli swap, v. anche BALESTRA, Il contratto aleatorio e l’alea normale, cit., p. 213.
2. Inquadramento del problema.
Il primo interrogativo, di matrice metodologica, posto dall’approfondimento di questa materia, discende dal fatto che la prassi, specie negli ultimi anni, ha proposto innumerevoli varietà di modelli di derivati; e ciò rende assai arduo procedere alla descrizione particolareggiata di ogni singola figura. Nel medesimo problema si è imbattuto lo stesso legislatore, il quale, nell’apprestare le norme del Tuf dedicate alla descrizione degli strumenti finanziari derivati, ha preferito fare ricorso a formule aperte, in grado di inglobare non solo i numerosi modelli contrattuali già esistenti sul mercato, ma anche le novità che potrebbero, in futuro, manifestarsi nella realtà dei traffici economici. In altre parole, il legislatore ha rinunciato ad effettuare la compiuta descrizione delle singole figure, tenuto conto delle complicazioni alle quali un tentativo di questo tipo avrebbe dato luogo: sia perché, appunto, il vasto numero di modelli già esistenti sul mercato non avrebbe consentito una ricognizione completa del fenomeno; sia in previsione del fatto che questo settore è in continua evoluzione e fin dal momento immediatamente successivo all’entrata in vigore della legge avrebbe dato luogo a nuove fattispecie, rendendo vano qualsiasi sforzo finalizzato a minuziose definizioni normative.
Ci si soffermerà più avanti sui problemi connessi alla tipizzazione legislativa di queste figure5. Per il momento, è sembrato opportuno farvi un mero cenno per rimarcare che sarebbe pressochè impossibile procedere alla puntuale descrizione di ogni singola fattispecie riconducibile alla categoria dei derivati. Anche gli autori che hanno affrontato il problema hanno preferito, finora, semplificare il proprio compito individuando delle aree classificatorie più ampie nelle quali includere i modelli di derivato che tra loro presentano maggiori affinità. In questa sede, pertanto, pare preferibile procedere in prima battuta ad una descrizione generale delle figure riconducibili alle aree dei future, delle option, degli swap e dei derivati di credito; successivamente, si esamineranno le particolarità, anche normative, che contraddistinguono questo genere di contrattazioni nonchè i criteri adoperati dal legislatore per la tipizzazione di tali figure.
5 V. infra, Cap. II, § 1.
3. I derivati di tipo future.
I contratti di tipo future possono essere ritenuti, tra i derivati, quelli caratterizzati dalla struttura meno articolata6. Non è un caso, infatti, che le prime forme di contrattazione su derivati di cui si abbia notizia siano proprio costituite, come si è detto in precedenza, dagli antecedenti storici dei modelli future attualmente diffusi.
Volendo procedere ad una iniziale, sommaria, definizione degli stessi, si incorre, tuttavia, nelle prime difficoltà. Non sembra, infatti, possibile individuare un contratto future, tout court; e questo costituisce un problema che si ripresenterà anche con riferimento ad altre figure (in particolare gli swap) che si esamineranno in seguito. Esiste, infatti, una serie di contratti riconducibili, per comodità, alla famiglia dei future; ma poiché, come si vedrà, tali fattispecie presentano, tra loro, differenze di una certa entità, non può parlarsi di contratto future come se si trattasse di una fattispecie singola. Addivenire ad una definizione complessiva può essere utile per comprendere i tratti essenziali e comuni dei contratti di tipo future, ma costituisce necessariamente una semplificazione, in quanto rappresenta una sorta di sintesi di figure con caratteristiche non esattamente corrispondenti.
Il Regolamento di Borsa Italiana s.p.a.7 definisce il contratto future come il negozio con il quale “le parti si impegnano alla scadenza a scambiarsi un certo quantitativo dell’attività sottostante ad un prezzo prestabilito”, precisando che la liquidazione a scadenza del contratto può altresì avvenire mediante lo scambio di una somma di denaro determinata come differenza tra il prezzo di conclusione del contratto e il suo prezzo di liquidazione”.
Si tratta di una definizione molto generale, che può soddisfare solo parzialmente in quanto non in grado di cogliere le peculiarità delle singole fattispecie; a ciò provvedono, invece, le Istruzioni emanate per l’attuazione di tale Regolamento8. Essa si rivela, peraltro, utile perché già consente di intuire che non sempre, al versamento di tale somma differenziale, fa seguito la consegna materiale del bene c.d. sottostante, nel momento della scadenza. Si tratta, al contrario, di un’eventualità poco frequente, in quanto accade assai più spesso che la posizione contrattuale venga ceduta, da parte di uno dei contraenti, anticipatamente rispetto al momento della scadenza del contratto;
6 XXXXXX, I contratti derivati, cit., p. 55. Sui future, in generale, v. anche BALESTRA, Il contratto aleatorio e l’alea normale, cit., p. 225.
7 Si tratta del Regolamento dei Mercati Organizzati e gestiti da Borsa Italiana S.p.a., entrato in vigore in data 8 novembre 2010. Per una disamina completa di tale provvedimento, v. infra, Cap. II, § 2.1.
8 Tali Istruzioni verranno esaminate al Cap. II, § 2.1.
senza che si arrivi, dunque, a poter effettuare la consegna materiale del bene. Xxxx, assai spesso si esaurisce il rapporto mediante la conclusione di operazioni negoziali di segno opposto, che consentono di porre fine al rapporto prima della scadenza e di evitare, di conseguenza, che abbia luogo la consegna del bene9.
Ciò è possibile in quanto i future sono strutturati secondo modelli standardizzati che vengono negoziati nell’ambito di mercati regolamentati, proprio per consentire che la circolazione delle posizioni negoziali avvenga con maggiore facilità; ma sulle modalità di contrattazione si tornerà approfonditamente più avanti.
Sulla base della descrizione poc’anzi riportata, si potrebbe essere indotti a pensare che i contratti future non siano altro che semplici compravendite a termine. Ma la dottrina lo esclude. I future, infatti, vengono negoziati in borsa e le prestazioni che ne scaturiscono sono fortemente standardizzate: gli unici margini di negoziazione lasciati all’autonomia delle parti sono ravvisabili nella determinazione del prezzo e della data di scadenza; l’esecuzione avviene mediante l’intervento di stanze di compensazione ed è previsto il deposito di somme di danaro a garanzia della corretta esecuzione delle prestazioni contrattuali10. Inoltre – e questo pare l’argomento di maggior pregio - si fa notare che mentre la compravendita a termine è finalizzata al materiale ottenimento, da parte dell’acquirente, del bene che viene scambiato, nel caso del future l’obiettivo principale dei contraenti è quello di ottenere un differenziale di valore positivo tra il prezzo fissato contrattualmente e quello di mercato al momento della scadenza11, mentre l’eventuale acquisto della res costituisce un effetto di secondaria importanza, dato che, come si è visto, non necessariamente ha luogo; pertanto, costituendo un’ipotesi solo eventuale, non vale a connotare l’essenza del contratto.
9 ARPE, Il mercato degli strumenti derivati. Il mercato per blocchi. Il mercato degli investitori istituzionali, in Il diritto della borsa nella prospettiva degli anni Novanta, a cura di Xxxxxxxxx, Napoli, 1993, p. 104, rileva infatti che “anche in presenza di contratti aventi uno strumento sottostante, il valore dei titoli materialmente consegnati a fronte dei contratti posti in essere risulta assolutamente esiguo data la tendenza prevalente a chiudere in anticipo la posizione assunta in precedenza con una operazione di segno opposto”; ciò è desumibile dalla funzione svolta dai future, i quali “sono strumenti trattati al fine di agevolare la gestione del rischio e non per sostituire le classiche funzioni dei mercati a pronti, tra le quali rientra, appunto, il compito di facilitare il collocamento e lo scambio di titoli primari”. Così anche BALESTRA, Il contratto aleatorio e l’alea normale, cit., p. 229, il quale osserva come “nella maggioranza dei casi si provvede, in un momento anteriore alla data prevista per l’esecuzione, ad acquistare sul mercato una posizione uguale e contraria a quella detenuta, in tal modo provocando l’operatività del meccanismo della compensazione”.
10 XXXXXX XXXXXXXX, Profili civilistici dei contratti “derivati” finanziari, Milano, 2007, 259. Sulle modalità di funzionamento della stanza di compensazione e garanzia, v. infra, Cap. II, § 2.1.
11 XXXXXX, I contratti derivati, cit., p. 225 ricorda che “il fattore dirimente [tra le due figure, n.d.r.] risiede dunque nella natura acquisitiva del contratto a termine su valute, nella sua preordinazione all’acquisizione della res e non già nella ricerca del solo differenziale di valore”.
Nell’ambito dei future si suole operare una basilare suddivisione tra commodity future e financial future12. Questa distinzione è basata sulla natura dei beni che vengono posti ad oggetto dello scambio13. Nella prima ipotesi, infatti, si tratta di materie prime o beni agricoli; nel secondo caso, invece, esso ha luogo con riferimento a entità di tipo finanziario (ad esempio, titoli obbligazionari, tassi di interesse, indici, divise estere).
È stato posto in evidenza che i commodity future hanno, non a caso, avuto origine con riguardo a prodotti del settore agroalimentare, mentre i financial future sono stati pensati con l’obiettivo di contrastare le fluttuazioni dei tassi di interesse e di cambio nella seconda metà del secolo scorso14.
Pur essendo nati in epoca più recente, i contratti appartenenti alla categoria dei financial future hanno raggiunto una diffusione pratica più ampia rispetto ai future su merci.
Nell’ambito dei financial future viene individuata una vasta gamma di figure contrattuali. Per capire meglio il meccanismo di funzionamento di questi contratti, può essere utile esaminare quelle maggiormente diffuse.
3.1 Currency future.
La prima fattispecie che pare opportuno analizzare è costituita dai c.d. currency future, i quali hanno ad oggetto operazioni su valute estere e svolgono la funzione di arginare le conseguenze negative discendenti dalla fluttuazione dei tassi di cambio. Mediante la stipula di questo contratto, uno dei contraenti si obbliga ad acquistare o alienare una certa quantità di valuta nel termine e sulla base di un corrispettivo predeterminati al momento della conclusione del contratto15.
12 VALLE, Il contratto future, cit., p. 402.
13 XXXXXX XXXXXXXX, Profili civilistici dei contratti “derivati” finanziari, cit., p. 255 ss. osserva che il contratto future su merci “ha una storia ultra-secolare ed una struttura giuridica generalmente assai semplice”, in quanto esso “è sostanzialmente una compravendita a termine di materie prime, prodotti agricoli o simili beni fungibili da consegnarsi a data futura con prezzo predeterminato”. Invece, il contratto di financial future “è apparso sulla scena mondiale soltanto di recente, ma ha avuto uno sviluppo straordinario in termini di volumi e distribuzione geografica”. La distinzione tra financial future e commodity future si rinviene nel diverso oggetto del contratto, che, nel primo caso, “consiste in un elemento finanziario (si usa qui il termine in senso generico per indicare titoli, divise, depositi, indici di borsa ecc.)”.
14 VALLE, Il contratto future, cit., p. 405.
15 CAVALLO BORGIA, Le operazioni su rischio di cambio, in I contratti del commercio, dell’industria e del mercato finanziario, diretto da Xxxxxxx, Torino, 1995, p. 2411 osserva che “l’impegno a consegnare o, meglio, la vendita di currency futures alla scadenza va a contrapporsi ad una posizione attiva in
Si tratta di contrattazioni che si svolgono nell’ambito di mercati regolamentati; non potrebbe accadere diversamente, perché è proprio la standardizzazione delle condizioni contrattuali a consentire a chi opera in questi mercati di reperire una controparte disposta ad assumersi un rischio di segno esattamente opposto al proprio.
Pur trattandosi di un contratto che ha ad oggetto, come si è detto, scambi su valute, accade di rado che abbia luogo la consegna materiale delle stesse, in quanto, generalmente, prima della scadenza si giunge all’estinzione delle posizioni contrattuali mediante l’effettuazione di operazioni di segno opposto, con relativa corresponsione dei soli differenziali di prezzo, secondo le modalità di cui si è detto in precedenza.
La dottrina esclude che il currency future possa essere qualificato come una compravendita a termine di valute. Ciò non solo per via della standardizzazione delle condizioni contrattuali e del fatto che questo tipo di operazioni vengano svolte unicamente nell’ambito di mercati regolamentati; ma anche in ragione del fatto che l’esecuzione delle prestazioni avviene, generalmente, mediante la corresponsione del solo differenziale, diversamente da quanto accade nel caso delle compravendite a termine16.
Si palesa, poi, ancor più convincente un’ulteriore osservazione, fondata sull’analisi della funzione svolta dal contratto, che “non è giammai di natura acquisitiva”17: l’obiettivo del contraente si sostanzia, infatti, nel mirare ad ottenere, sulla base di una corretta previsione in ordine all’andamento dei tassi di cambio, un differenziale positivo tra il valore pattuito contrattualmente e quello che si registra alla scadenza o anche in un momento precedente in caso di chiusura anticipata della posizione18.
Va detto, in ogni caso, che la realtà dei traffici ha portato gli operatori a preferire al currency future il diverso contratto di domestic currency swap19, soprattutto per via di limiti di tipo legislativo che, tra le due, hanno reso più agevole il ricorso a quest’ultima figura20.
valuta, mentre l’impegno di ricevere o, meglio, l’acquisto di futures alla scadenza va a contrapporsi ad una posizione negativa in valuta”.
16 Così CAVALLO BORGIA, Le operazioni su rischio di cambio, in I contratti del commercio, dell’industria e del mercato finanziario, diretto da Xxxxxxx, Torino, 1995, p. 2412, la quale rimarca che elementi quali la standardizzazione contrattuale, la negoziazione nei soli mercati ufficiali, il regolamento per differenze consentono di distinguere questo contratto dai contratti a termine.
17 XXXXXX, I contratti derivati, cit., p. 70.
18 XXXXXX, I contratti derivati, cit., p. 71.
19 Su tale figura si tornerà più avanti, v. infra, Cap. I, § 5.2.
20 Osserva GIRINO, I contratti derivati, cit., p. 72, come “lo sviluppo del future avrebbe dovuto coincidere con la caduta delle barriere valutarie. All’incirca sino agli anni Ottanta gli operatori nazionali infatti non godevano della possibilità di intervenire direttamente sul mercato, in quanto il testo unico valutario allora vigente precludeva ai soggetti residenti l’effettuazione con contropartite estere di operazioni in cambi a termine o con opzione. Siffatti limiti rendevano assai difficoltosa l’attuazione di
3.2. Stock index financial future.
Gli stock index future vengono negoziati nei mercati regolamentati e sono, come si desume dalla denominazione, contratti di tipo future le cui prestazioni vengono determinate in base all’andamento degli indici azionari scelti come parametro di riferimento.
Come si può ben vedere, si tratta di uno dei casi emblematici nei quali non può avere luogo, al momento della scadenza, la consegna materiale del bene sottostante: non si potrebbe, ovviamente, consegnare un indice azionario21.
La prestazione che scaturisce da tale contratto consiste, invece, nel versamento di una somma di denaro, corrispondente al differenziale ricavato sulla base dell’andamento di un indice di borsa oppure di un paniere di titoli.
In altre parole, gli accordi di questo tipo prevedono che le parti si scambino la differenza, trasposta in termini monetari, tra il valore numerico dell’indice – preso in considerazione nel contratto – così come attestatosi al momento del perfezionamento dell’accordo e il valore fatto registrare dallo stesso indicatore al momento della scadenza prefissata dalle parti. Ad ogni punto di indice viene attribuita una convenzionale valutazione in denaro; per cui, la differenza numerica tra i punti di indice, che si crea tra i due frangenti temporali per via della fluttuazione di tale parametro, viene moltiplicata per la cifra in denaro pattuita e riferita ad ogni punto dello stesso.
Ad esempio, se ad ogni punto di indice viene attribuito un valore di dieci euro e tra il momento della stipula e quello della scadenza si sarà prodotta una differenza pari a cento punti di indice, la somma differenziale corrisponderà a un valore di mille euro.
È evidente come un contratto di questo tipo possa avere luogo unicamente tra soggetti che siano portatori di aspettative di segno opposto in ordine all’andamento futuro dell’indice prescelto. Uno dei contraenti prevederà la crescita di tale parametro, mentre l’altro soggetto si aspetterà un suo decremento.
operazioni su future valutari, sia perché l’intermediazione bancaria, in un mercato ancora relativamente disorganizzato, se da un lato poteva agevolare l’incontro degli operatori, dall’altro poteva costituire un passaggio obbligato talora poco gradito, sia perché, soprattutto, la possibilità di assumere posizioni sull’estero era limitata e dunque insufficiente ad assicurare una libera utilizzazione dello strumento”. E così, “fu proprio la scarsa utilizzabilità del future valutario che, nel periodo citato, determinò un massicciò ricorso alle operazioni di domestic swap, in cui la valuta è soltanto il parametro per la stima dei controvalori da liquidarsi alla scadenza. Con la caduta delle barriere valutarie, il currency future avrebbe potuto liberamente svilupparsi. Ma una sua effettiva affermazione non si registrerà mai nei nostri mercati finanziari, perché gli operatori, per abitudine e per comodità, continueranno ad avvalersi di domestic currency swap”.
21 XXXXXX, I future su indici azionari, in Amm. fin., 1991, 7, p. 365.
Sono previste, in genere, più scadenze annuali; a seconda del valore dell’indice, così come attestatosi al momento di ciascuna di tali scadenze, sarà calcolato, secondo le modalità che sono state menzionate, il differenziale.
Questo, ovviamente, verrà incamerato dal soggetto che avrà centrato la previsione corretta, e sarà posto a carico dell’altro contraente il quale, invece, avrà fallito nell’effettuare il proprio pronostico.
La prestazione contrattuale consisterà, dunque, nella corresponsione del differenziale da parte di quest’ultimo soggetto, senza che abbia, dunque, luogo alcuna consegna materiale di titoli o beni22. Va detto, peraltro, che la liquidazione di tali somme avviene secondo le regole previste per il funzionamento della cassa di compensazione, che caratterizzano questo tipo di mercati e che verranno esaminati più in là23.
L’acquisto dedotto in contratto dalle parti è stato definito, per tale ragione, “ipotetico”24: non esiste, infatti, una vera e propria compravendita, ma uno scambio convenzionale che si risolve nella corresponsione di un differenziale sulla base di una previsione rivelatasi più o meno corretta. Ci si soffermerà in seguito sulla riconducibilità di un programma negoziale siffatto al contratto di scommessa25, ma si può anticipare brevemente fin d’ora che a tale ipotesi qualificatoria si replica affermando che gli stock index financial future non sarebbero finalizzati alla mera speculazione borsistica ma che, anzi, svolgerebbero la funzione di ridurne le conseguenze negative: dal fatto che le operazioni abbiano luogo su un intero paniere, e non su singoli titoli, deriverebbe, infatti, un effetto di redistribuzione del xxxxxxx00.
Dalle considerazioni che precedono si ricavano, altresì, le ragioni che hanno condotto all’elaborazione e alla diffusione di uno strumento come l’index future. Innanzitutto, esso consente di ripartire i rischi su un indicatore che riguarda un intero
22 LA PICCIRELLA – XXXXXXX, Gli investimenti finanziari, Milano, 2002, p. 185, indica un esempio di future parametrato all’indice di borsa MIB 30, in cui ogni punto indice ha un valore pari a 5 euro. “Esempio: il 15 aprile acquisto un future FIB 30 scadenza giugno; valore dell’indice: 32.500; valore del contratto: 32.500 x 5 euro = 162.500 euro; margine iniziale: 162.500 x 7,5% = 12.187,50 euro; il giorno 16 aprile il valore di chiusura per il contratto Fib 30 è pari a 32.750. Il compratore riceve la differenza a suo favore in punti indice (32.750 – 32.500) pari a 250 x 5 euro = 1250 euro”. Si precisa, inoltre, che “tale differenza non viene, in realtà, liquidata solo alla scadenza, ma giornalmente secondo il meccanismo dei margini di variazione calcolato dalla Clearing House (che determina il prezzo di chiusura per i contratti sia di tipo opzione che future – prezzo ufficiale)”.
23 V. Cap. I, § 2.1.
24 Rammenta, infatti, XXXXXX, I contratti derivati, cit., p.. 72, che “lo stock index financial future si discosta sensibilmente dagli altri contratti analoghi, in quanto gli impegni dei contraenti riguardano la liquidazione dei differenziali calcolati su un acquisto convenzionale e ipotetico e commisurati alle variazioni dell’indice borsistico (o di un paniere, solitamente di blue chips)”.
25 X. xxxxx, Xxx. XXX, § 0.
26 XXXXXX, I contratti derivati, cit., p. 75. Ciò in quanto si ha la possibilità “di beneficiare dell’andamento complessivo di un mercato borsistico (o di una quota significativa di esso) riducendo così i rischi di fluttuazione, ben più marcati in caso di investimento in pochi titoli o in uno solo”.
mercato, anziché su singoli titoli: le fluttuazioni di questi ultimi potrebbero essere ben più marcate rispetto a quanto generalmente avviene prendendo in considerazione un paniere più ampio. In secondo luogo, il fatto che i differenziali vengano ricalcolati sulla base di più scansioni temporali, anziché in un’unica scadenza, consente di “conferire maggiore elasticità all’investimento”27.
3.3 Interest rate future.
Esistono diversi tipi di future su tassi di interesse28. Il meccanismo attraverso il quale vengono calcolate le prestazioni contrattuali è piuttosto complesso, essendo regolato da articolate formule matematiche.
Esso si basa sulle fluttuazioni di determinati tassi di interesse che vengono presi in considerazione dalle parti (ad esempio il tasso Euribor). È chiaro, dunque, che un contratto di questo tipo potrà essere stipulato per cautelarsi da svantaggiose oscillazioni dei tassi di interesse, oppure per speculare e lucrare sulle stesse.
Gli interest rate future sono, di norma, strutturati in questo modo: si prende in considerazione l’andamento di un determinato tasso di interesse in un certo lasso di tempo; si fissa, dunque, una scadenza (o, anche, più scadenze nel corso dell’anno) e si fa riferimento ad un capitale nozionale di un determinato ammontare. Va premesso che, così come nel caso dei future su indici azionari, anche in questo caso i contraenti saranno soggetti che nutriranno previsioni di segno esattamente opposto in ordine all’andamento di quel tasso di interesse: una delle parti confiderà in una sua crescita, mentre la controparte contrattuale ne prevederà un calo.
In base alla variazione che il tasso di interesse avrà avuto al momento della scadenza, rispetto al valore preso in considerazione alla stipula del contratto, si otterrà una cifra percentuale la quale, applicata al capitale nozionale di riferimento, verrà tradotta in termini monetari. Il risultato di questa operazione darà luogo ad un differenziale di prezzo: proprio questo scarto corrisponderà alla somma che verrà incassata dal soggetto che avrà effettuato una previsione corretta in ordine all’andamento del parametro di riferimento e che dovrà, di conseguenza, essere versata
27 Così GIRINO, Stock index financial future, in Amm. fin., 1989, p. 414.
28 Sul punto, XXXXXX, I contratti derivati, cit., p. 69 ss.; LA PICCIRELLA – XXXXXXX, Gli investimenti finanziari, cit., p. 183 ss.; XXXXXX XXXXXXXX, Profili civilistici dei contratti “derivati” finanziari, cit., p. 271 ss.
dalla controparte. Va detto, peraltro, che l’effettuazione di queste operazioni avviene sulla base delle regole di funzionamento della cassa di compensazione, di cui si parlerà nell’apposito paragrafo29.
3.4 Ulteriori fattispecie riconducibili alla categoria dei future.
Quelle esaminate finora costituiscono le figure paradigmatiche dei contratti di tipo
future.
Tra le altre tipologie contrattuali appartenenti a tale categoria, le quali presentino profili peculiari rispetto a quelle finora considerate, vanno ricordati, innanzitutto, i future su azioni.
Essi hanno ad oggetto, appunto, operazioni su azioni quotate in borsa. Alla scadenza del contratto si tiene conto del prezzo di mercato delle azioni scelte come parametro dalle parti, e lo si confronta con quello determinato nel contratto. Il fattore che consente di determinare la prestazione contrattuale è costituito proprio dal differenziale del prezzo di tali azioni nei due momenti temporali (stipula del contratto e scadenza) presi in considerazione dai contraenti. L’obbligo di pagare la somma corrispondente a tale differenziale viene posto a carico del “venditore”, se il prezzo alla scadenza è superiore rispetto a quello stabilito nel contratto; del “compratore”, in caso contrario30. Come si può notare, anche in questo caso le parti effettuano una previsione (di segno opposto) sulle fluttuazioni del prezzo delle azioni.
L’elemento che vale a distinguere il negozio in esame da una ordinaria compravendita a termine di azioni è costituito, anche in questo caso, dal fatto che il contratto può essere eseguito attraverso il soddisfacimento di un’unica obbligazione, costituita, appunto, dal pagamento del differenziale31. Anche questo tipo di contrattazioni ha luogo nell’ambito di mercati regolamentati e attraverso l’intervento della cassa di compensazione.
Un altro contratto, assai diffuso, facente parte della famiglia dei future è quello parametrato sul valore delle merci. Si è già parlato in precedenza della distinzione tra commodity future e financial future. L’importanza dei future su merci si avverte anche
29 V. infra, Cap. II, § 2.1.
30 “Le parti vengono definite nel contratto standard rispettivamente “venditore” e “compratore”. XXXXXX XXXXXXXX, Profili civilistici dei contratti “derivati” finanziari, cit., p. 274.
31 XXXXXX XXXXXXXX, Profili civilistici dei contratti “derivati” finanziari, cit., p. 274.
dal punto di vista storico: proprio questo tipo di contratto, come si è ricordato all’inizio, ha dato origine alle negoziazioni su derivati.
Nell’ambito dei commodity future si distingue tra soft commodities, che hanno ad oggetto prodotti agricoli, e hard commodities, che invece consistono in operazioni su minerali32.
I future su merci prendono in considerazione una determinata quantità di un certo prodotto; del tipo, normalmente, di quelli appena menzionati. Uno dei contraenti (compratore) è il soggetto al quale, alla scadenza, dovrà essere consegnata la merce; l’altro (venditore) è il soggetto che consegnerà la merce e al quale dovrà essere corrisposto il prezzo. Al momento della scadenza, viene calcolato un prezzo di riferimento33. Attraverso una serie di operazioni matematiche, si giunge a determinare il differenziale tra il prezzo di tali beni alla scadenza - stabilito in base alla media matematica del costo degli stessi nel periodo di riferimento - e quello determinato nel contratto. A seconda che il prezzo alla scadenza risulti più elevato o inferiore rispetto a quello specificato nell’accordo, uno, tra il compratore e il venditore, dovrà corrispondere il differenziale alla controparte, in aggiunta al corrispettivo già determinato per l’acquisto della merce34. Nei casi in cui ha luogo la consegna materiale delle merci, la dottrina qualifica il contratto come una compravendita a termine35.
32 XXXXXX XXXXXXXX, Profili civilistici dei contratti “derivati” finanziari, cit., p. 275. In particolare, fanno parte della categoria delle c.d. soft commodities prodotti quali “cacao, caffè, patate, zucchero, frumento, semi di colza e mais”. Invece, rientrano nell’ambito delle hard commodities minerali quali “carbone, stagno e rame”.
33 Il prezzo di riferimento viene calcolato alla scadenza del contratto, e viene denominato exchange delivery settlmement price (Esdp). Esso “riflette il prezzo medio dei contratti future per quel mese di consegna” e “il prezzo da pagarsi alla scadenza corrisponde all’Esdp per tutti i contratti conclusi per quel mese di consegna”. Così XXXXXX XXXXXXXX, Profili civilistici dei contratti “derivati” finanziari, cit., p. 276.
34 Un esempio di un’operazione di questo tipo viene fornito da XXXXXX XXXXXXXX, Profili civilistici dei contratti “derivati” finanziari, cit., p. 276. “Xxxx xxxxxxxx un contratto future sullo zucchero (50 tonnellate) al prezzo di 100 dollari alla tonnellata per consegna settembre dell’anno successivo. Xxxxxxxxx vende lo stesso future. Alla scadenza pattuita, Euronext calcola l’Edsp, che supponiamo essere 102 dollari per tonnellata. Caio deve pagare 5.100 dollari (102 dollari per 50 tonnellate), mentre Xxxxxxxxx deve pagare 100 dollari (2 dollari – la differenza tra Edsp e 100 – per 50 tonnellate). Il risultato è il seguente: Xxxx ha un costo effettivo di 5.000 dollari, pari a 100 dollari a tonnellata e Xxxxxxxxx ha un ricavo netto corrispondente, nonostante il prezzo di riferimento sia salito di 2 dollari a tonnellata”.
35 XXXXXX XXXXXXXX, Profili civilistici dei contratti “derivati” finanziari, cit., p. 277.
4. I derivati di tipo option.
I contratti derivati appartenenti alla categoria delle option (opzioni)36 si differenziano, rispetto a quelli di tipo future, per le diverse caratteristiche dell’impegno negoziale al quale i contraenti decidono di sottoporsi.
Si è visto, infatti, che nel caso dei future le parti sono obbligate a procedere all’acquisto o alla vendita del bene scambiato o comunque alla corresponsione del differenziale di prezzo (secondo le modalità che si è cercato di descrivere) anche nel caso in cui questa, alla scadenza, si riveli poco conveniente o addirittura del tutto svantaggiosa.
I derivati di tipo option consentono, al contrario, di ovviare a tali inconvenienti; mediante il ricorso ad essi, uno dei due contraenti, ossia il beneficiario dell’opzione, godrà, infatti, della possibilità di porre in essere operazioni con finalità analoghe a quelle di cui si è detto analizzando i future ma l’ulteriore, vantaggiosa, opportunità di poter effettuare una nuova e decisiva valutazione sull’utilità dell’operazione al momento della scadenza, sulla base del nuovo contesto che ovviamente, col passare del tempo, sarà mutato37.
In seguito a tale apprezzamento, tale soggetto potrà decidere se dare, effettivamente, esecuzione alla stessa oppure rinunciarvi: in quest’ultimo caso, la perdita sarà circoscritta al premio pagato per ottenere il beneficio dell’opzione. Questa facoltà non viene, infatti, attribuita gratuitamente, bensì a seguito della corresponsione di una somma in denaro che dovrà essere versata alla controparte in tutti i casi; ovviamente, anche nell’eventualità in cui si decida di abbandonare l’operazione.
Così come nel caso dei future, anche i contratti di tipo option presentano numerose varianti, sebbene paia di poter affermare che si tratti di una categoria più omogenea rispetto a quella descritta in precedenza. Ancor prima di scendere nel dettaglio delle
36 Sul tema, x. XXXXXXX, Options e contratti derivati, in Contr. impr., 1999, p. 1269; LA PICCIRELLA – XXXXXXX, Gli investimenti finanziari, cit., p. 186; INZITARI, Il contratto di swap, in I contratti del commercio, dell’industria e del mercato finanziario, diretto da Xxxxxxx, Torino, 1995, p. 2441; CAVALLO BORGIA, Le operazioni su rischio di cambio, cit., p. 2408; XXXXXX XXXXXXXX, Profili civilistici dei contratti “derivati” finanziari, cit., p. 291 ss.; PREITE, Recenti sviluppi in tema di contratti differenziali semplici, in Dir. comm. int., 1992, p. 171.
37 ARPE, Il mercato degli strumenti derivati, cit., p. 87, ricorda che le opzioni sono sorte nel mercato dei prodotti agricoli. I commercianti “percepivano il rischio derivante da improvvise oscillazioni dei prezzi dei beni detenuti in magazzino dal momento in cui venivano acquistati al momento in cui venivano ceduti”, che poteva causare guadagni speculativi in caso di rialzo del prezzo della merce o consistenti perdite nell’ipotesi opposta. Così, “la necessità di difendersi da queste variazioni improvvise dei prezzi delle commodities ha spinto ad individuare strumenti di copertura dotati di una covarianza negativa nei confronti del mercato o del singolo bene; strumenti in grado, quindi, di aumentare il loro valore nel momento in cui il valore dei beni trattati sul mercato diminuiva e viceversa”.
singole fattispecie, si può fin d’ora dire che, attraverso la stipula di un contratto di tipo option, ad una delle parti viene attribuita la facoltà di acquistare (in tal caso l’opzione viene definita call) o alienare (in questo caso si parla di opzione di tipo put) un bene sottostante38; oppure, di determinare la conclusione di un contratto sulla base di condizioni negoziali predeterminate in precedenza. Il corrispettivo dell’attribuzione di tale facoltà è costituito da una somma di denaro, detta, appunto, premio o, per usare un gergo più diffuso tra gli operatori dei mercati, strike price.
Nel caso di opzioni di tipo c.d. europeo, il beneficiario può avvalersi di tale facoltà solo al momento della scadenza, e non precedentemente; al contrario, nell’ipotesi delle opzioni di tipo c.d. americano l’esercizio di tali prerogative può avvenire entro tutto l’arco temporale compreso tra il momento della stipula e quello della scadenza.
La pur sommaria descrizione appena fornita rende palese la funzione svolta da questo tipo di contratti. Essi consentono al beneficiario, interessato all’operazione connessa all’option, di circoscrivere l’entità di una eventuale perdita, in caso di mancato esercizio dell’opzione, al valore del premio: questo, infatti, dovrà essere corrisposto in ogni caso; ossia, anche qualora egli decida di non avvalersi della facoltà attribuitagli dall’option. Viceversa, il soggetto che concede l’opzione ha la certezza di incamerare il valore del premio, ma si accolla il rischio di attribuire alla controparte la possibilità di concludere un affare con margini di profitto quantificabili in somme ben più consistenti rispetto a quelle sborsate per il pagamento del premio.
La dottrina ha, così, rilevato che il beneficiario dell’opzione, a fronte di un esborso limitato e circoscritto (pari al valore dello strike price) si assicura la possibilità di ottenere un profitto teoricamente illimitato o comunque, più realisticamente, ragguardevole; al contrario, il concedente ha la certezza di ottenere un profitto limitato (la somma incassata a titolo di premio) ma di subire – se l’affare si rivelasse vantaggioso per la controparte – una perdita potenzialmente illimitata o, in ogni modo, notevole39.
Pertanto, a differenza di quanto avviene nel caso dei future, il beneficiario dell’opzione può rimediare ad una errata previsione iniziale rinunciando ad avvalersi
38 ARPE, Il mercato degli strumenti derivati, cit., p. 88, rammenta che “un call genera utili se il prezzo del titolo oggetto dell’opzione sale, mentre il put genera utili se il prezzo del titolo scende”.
39 Così FERRERO, Profili civilistici dei nuovi strumenti finanziari, in Riv. dir. comm., 1992, p. 633, il quale ricorda che tra il concedente e il beneficiario dell’opzione ha luogo una asimmetrica distribuzione dei rischi; ciò in quanto “Un venditore di options, qualora non si faccia ricorso a particolari strategie che comportino la predeterminazione dei potenziali profitti conseguibili dall’acquirente, è esposto ad un rischio illimitato. Esso persegue, quindi, per lo più, finalità speculative, cioè tende ad ottenere un profitto, peraltro limitato all’ammontare del premio”. XXXXXX, I contratti derivati, cit., p. 61, riconduce i derivati di tipo option al modello generale di opzione di cui all’art. 1331 c.c.
della facoltà che aveva acquistato mediante la corresponsione del premio. È evidente, dunque, l’utilità di questo strumento, che consente di cautelarsi contro errori di previsione legati all’andamento di determinate attività finanziarie.
Ovviamente, la convenienza dell’operazione, per entrambi i soggetti che danno vita all’accordo, è legata al costo del premio, il quale dipende dal pregio dell’attività sottostante, dal tempo intercorrente tra la stipula e la scadenza, dall’andamento del parametro preso in considerazione (ad esempio tassi di interesse).
L’opzione si rivelerà redditizia (in the money) per il beneficiario qualora il prezzo stabilito al momento della stipula risulti inferiore rispetto al prezzo di mercato dell’attività sottostante. In caso contrario (out of the money), per il beneficiario sarà più conveniente abbandonare l’opzione, piuttosto che procedere all’acquisto.
Fatta questa premessa generale sulle caratteristiche comuni alle varie figure di option, è opportuno esaminare più da vicino le principali fattispecie riconducibili a questa tipologia di strumenti derivati.
4.1. Opzioni su tassi di interesse.
Mediante il ricorso alle interest rate option, i contraenti danno vita a operazioni economiche basate, come si può intuire dalla denominazione che le contraddistingue, sull’andamento di un tasso di interesse variabile, assunto dai contraenti come parametro di riferimento per la determinazione delle prestazioni negoziali.
Nell’ambito delle interest rate option vengono, comunemente, individuate tre fattispecie più specifiche: ossia, le opzioni di tipo cap, quelle di genere floor e, infine, quelle denominate collar. Diviene pertanto necessario, piuttosto che descrivere in generale le opzioni su tassi di interesse, procedere all’esame di queste tre tipologie contrattuali, le quali presentano aspetti peculiari che richiedono una trattazione separata. Va detto, peraltro, che tali tipi di contratto, pur essendo generalmente ricondotti alla categoria delle option, presentano una particolarità di rilievo rispetto allo schema tipico che contraddistingue queste ultime40. Infatti, il pagamento del premio
40 Parla, infatti, di “travisamento terminologico” XXXXXX, I contratti derivati, cit., p. 88 s. Altri autori condividono questa impostazione. In particolare, secondo CORTI, Esperienze in tema di opzioni, in I derivati finanziari, a cura di Xxxxx, 1993, p. 131, “per l’opzione, la qualificazione civilistica tende a farsi meno agevole in relazione a quelle particolari varianti nelle quali l’entità contrattuale finale o di riferimento è fortemente dissolta, se non addirittura inesistente”. E così, nel citare i cap, i floor e i collar, ricorda che “in questi casi il meccanismo stesso dell’opzione sembra essere superato, poiché gli
non attribuisce al beneficiario il diritto potestativo di procedere all’acquisto di un bene o alla conclusione di un ulteriore contratto, bensì gli conferisce il diritto di ricevere un determinato corrispettivo se il tasso di interesse variabile preso in considerazione non oscilla al di fuori di determinati valori prefissati dalle parti.
Scendendo maggiormente nel dettaglio, si può affermare che nel caso degli interest rate cap (è questo, infatti, il nome completo di questi contratti, generalmente abbreviato, per comodità espositiva, in cap) il soggetto acquirente, dietro il pagamento del premio, si assicura la possibilità di ottenere dalla controparte una determinata somma qualora il tasso di interesse variabile si attesti, al momento della scadenza, su un valore superiore rispetto a quello, di riferimento, preso in considerazione dalle parti al momento della stipula. La somma dovuta dal venditore verrà calcolata applicando la cifra percentuale - risultante dalla differenza tra il valore del tasso variabile alla scadenza e quello di soglia predeterminato dalle parti - ad una somma convenzionale, e tenendo conto del periodo di tempo intercorso tra le varie scadenze.
Il senso dell’operazione dal lato del venditore si rinviene nel fatto che questi si assicura in ogni caso il premio e non deve alcun corrispettivo all’acquirente del cap nel caso in cui il tasso variabile alla scadenza si attesti ad un valore inferiore rispetto a quello fissato dalle parti. Come si può notare, le parti decidono di correre un rischio legato all’andamento del tasso variabile: il compratore confida nella crescita oltre una determinata soglia del valore percentuale del tasso; il venditore prevede, invece, un suo attestarsi entro valori inferiori rispetto alla medesima.
Il compratore sa che dovrà, in ogni caso, effettuare un esborso pari al valore del premio, ma che potrà ottenere un profitto di entità ben maggiore; il venditore, dal canto suo, nutre la certezza di incassare la somma pari al premio ma rischia di dover corrispondere alla controparte una cifra assai più cospicua.
Generalmente, chi procede all’acquisto dei cap (quindi uno di quei soggetti che abbiamo definito “compratori”) lo fa in quanto, indebitato, per via di altri rapporti contrattuali, sulla base di un determinato tasso di interesse, ha la possibilità, se il tasso cresce oltre un determinato valore, di attenuare le conseguenze di tale crescita grazie al guadagno proveniente dal derivato stipulato a copertura41.
accrediti e gli addebiti hanno luogo automaticamente in dipendenza del verificarsi dell’oscillazione”. Dello stesso avviso CLARIZIA, Le option tra disciplina codicistica e regolamentazione pattizia, in I derivati finanziari, a cura di Xxxxx, 1993, p. 121.
41 Sulla funzione di copertura dei derivati si tornerà nel paragrafo appositamente dedicato a questo tema.
X. xxxxx, Xxx. XXX, § 0.
La medesima logica sottesa ai cap è applicabile al funzionamento del secondo tipo di opzioni su tassi di interesse, i c.d. interest rate floor. La differenza riguarda unicamente il tipo di soglia prescelta dalle parti.
Si è detto, infatti, che il venditore di un cap è tenuto a corrispondere una somma alla controparte nel caso in cui il tasso di interesse superi, alla scadenza, la soglia prefissata. Nell’ipotesi del floor accade, invece, esattamente l’opposto: il venditore, che ovviamente avrà diritto, anche stavolta, di ottenere comunque il premio, sarà tenuto a corrispondere alla controparte una somma - calcolata secondo gli stessi criteri previsti per i cap – qualora il tasso variabile di riferimento si attesti non al di sopra, bensì al di sotto della soglia convenzionale stabilita dalle parti. Anche in questo caso, il venditore non sarà tenuto a versare alcunché qualora tale eventualità non abbia luogo e il tasso variabile non scenda al di sotto del limite prefissato.
È evidente come valgano pure in questa ipotesi le considerazioni fatte poc’anzi con riferimento ai cap. Il venditore si assicura un profitto certo, corrispondente al valore del premio. Xxxxxxx, tuttavia, di dover sborsare una somma ben più elevata. Un discorso esattamente speculare vale, invece, per il compratore, che sborsa sicuramente il premio ma può ottenere un profitto notevole.
Si è visto come i cap possano rivelarsi molto utili per soggetti i quali, indebitatisi ad un tasso variabile, possono ottenere, mediante il ricorso a questi strumenti, un benefico effetto di copertura che consente di cautelarsi contro il rischio di eccessive fluttuazioni dei tassi di interesse.
Nel caso dei floor, all’opposto, di un esito vantaggioso di analogo tenore può beneficiare un soggetto che abbia effettuato un investimento su un titolo assoggettato ad un tasso di interesse variabile, il quale, a causa dell’andamento del mercato, possa rivelarsi poco vantaggioso a causa dell’attestarsi del medesimo tasso su valori ridotti. In questo caso, lo svantaggio derivante dallo scarso rendimento del titolo viene compensato col profitto che il soggetto otterrebbe dalla stipula dell’interest rate floor. Quest’ultimo, appunto, diviene per lui conveniente se il tasso di interesse preso in considerazione (che ovviamente sarà il medesimo applicato al titolo sul quale egli ha investito) scende sotto la soglia di riferimento. Dalla combinazione tra le due operazioni consegue che il mancato profitto derivante all’investitore dall’attestarsi del tasso variabile su livelli bassi viene compensato dal corrispettivo versatogli dal venditore, sua controparte nel rapporto floor.
La terza fattispecie di opzione su tassi di interesse che è sembrato opportuno prendere in considerazione è quella c.d. collar, la quale costituisce una combinazione tra un cap ed un floor. In questa ipotesi, i tassi-soglia presi in considerazione dalle parti sono due: uno massimo (che quindi corrisponde a un cap); e uno minimo (che corrisponde ad un floor). Il soggetto che, tra i due contraenti del collar, versa il premio alla controparte, avrà diritto ad ottenere il corrispettivo - calcolato secondo le modalità viste in precedenza e che non è il caso di riportare nuovamente - qualora il tasso variabile si attesti su valori più elevati rispetto alla soglia massima o inferiori rispetto alla soglia minima. Non avrà, ovviamente, diritto ad alcun corrispettivo qualora il tasso variabile, alle scadenze, non fuoriesca dalla fascia di valori compresa tra il tasso massimo e il tasso minimo. Anche in questa ipotesi, chiaramente, il compratore sarà tenuto a corrispondere in ogni caso il premio, il costo del quale dipenderà, com’è ovvio, dall’ampiezza della fascia di riferimento. A questo fattore è, infatti, legata la possibilità che il tasso raggiunga i valori che danno origine al diritto al corrispettivo42. Può anche accadere che lo stesso effetto derivante da un contratto collar venga ottenuto da un soggetto il quale diventi allo stesso tempo venditore di un floor e compratore di un cap, e viceversa, mediante la stipula di due contratti autonomi con due controparti differenti43.
4.2. Currency option.
A differenza delle interest rate option, che danno luogo a operazioni basate sull’andamento del tasso di interesse, le prestazioni delle currency option, opzioni su valute estere, sono, invece, legate alle oscillazioni del tasso di cambio di una determinata divisa44. Le due fattispecie si distinguono, peraltro, anche per via di un ulteriore, fondamentale, elemento. Si è visto che le interest rate option consentono, a fronte dell’esborso di un premio, di ottenere una determinata prestazione semplicemente sulla base dell’andamento di un tasso variabile; nel caso delle option su
42 XXXXXX XXXXXXXX, Profili civilistici dei contratti “derivati” finanziari, cit., p. 299.
43 GIRINO – VECCHIO, Future, option, swap commercial papers – Aspetti contrattuali e giuridici, Milano, 1988, p. 78 osservano come nel caso dell’interest rate collar “si uniscono le possibilità offerte dai cap e dai floor”, in quanto “lo stesso soggetto si impegna a vendere contestualmente un cap e un floor: in tal modo si fissano due tassi (…) che devono essere confrontati con un tasso di riferimento per stabilire se il venditore del collar deve corrispondere il differenziale di interessi, calcolato sul capitale convenzionale”.
44 Sul tema, v. XXXXXXX XXXXXX, Le operazioni su rischio di cambio, cit., p. 2408 ss.; XXXXXX, I contratti derivati, cit., p. 94 ss.
divise, invece, il pagamento del premio attribuisce al soggetto beneficiario dell’opzione un vero e proprio diritto potestativo di procedere o meno al perfezionamento dell’acquisto delle stesse in un momento futuro e a condizioni prestabilite; gli è, dunque, concessa la possibilità di una valutazione ulteriore al momento della scadenza, in base alla quale potrà decidere se sia più conveniente procedere alla definitiva conclusione dell’operazione oppure accantonarla in quanto resa svantaggiosa da una sfavorevole fluttuazione del tasso di cambio.
Nel caso della compravendita futura di una valuta estera può, infatti, accadere che, durante il periodo temporale che intercorre tra la stipula e la scadenza, le oscillazioni del tasso di cambio rendano l’operazione svantaggiosa per una delle parti. Ad esempio, il soggetto acquirente potrebbe ritrovarsi a dover acquistare tale bene ad un prezzo prestabilito di gran lunga superiore rispetto a quello di mercato, corrente in quel momento. Il ricorso al contratto di currency option scongiura questo rischio, o, perlomeno, lo attenua. Attraverso la corresponsione di un premio, infatti, il compratore si assicura la possibilità, alla scadenza prestabilita, di decidere se procedere o meno all’acquisto secondo le condizioni predeterminate al momento della stipula. Egli dovrà valutare se il prezzo pattuito per l’acquisto, al quale va sommato il costo del premio, consenta un margine di profitto, tenuto conto del prezzo corrente delle divise alla scadenza; ovviamente, gli converrà abbandonare l’operazione – rimettendoci, in ogni caso, il costo del premio – qualora l’esborso complessivo si riveli superiore rispetto al prezzo di mercato, alla scadenza, della valuta dedotta in contratto45.
Di un’opzione di questo tipo può beneficiare anche il venditore: si parla, in tale evenienza, di put option (opzione di vendita), mentre nell’ipotesi precedente si era al cospetto di una c.d. call option (opzione d’acquisto).
45 XXXXXX, I contratti derivati, cit., p. 94, propone alcuni esempi. “Si supponga che A acquisti per euro 1000 il diritto di comprare da B, ad un prezzo di euro 1,3, 10.000 dollari fra 3 mesi. Possono ipotizzarsi cinque diversi scenari: 1) Fra 3 mesi il prezzo alla scadenza è 1,5. A potrà comprare $ 10.000 per euro
13.000. Cumulando il premio (1000) l’esborso è di euro 14.000, con un differenziale positivo di 1000 euro rispetto al prezzo di mercato (15.000). 2) Fra 3 mesi il prezzo a scadenza è 1,4. L’opzione può ancora essere esercitata, il costo complessivo essendo pari a euro 14.000 (13.000 per l’acquisto più il premio), pari a quello di mercato (14.000). Il differenziale positivo va ad annullare il costo del premio.
3) Fra 3 mesi il prezzo alla scadenza è 1,35. Esercitando l’opzione, A spende complessivamente euro
14.000 (10.000 moltiplicato per il prezzo di esercizio oltre il premio), dunque un prezzo superiore al mercato (13.500). Il differenziale positivo copre solo parzialmente il premio. 4) Fra 3 mesi il prezzo a scadenza è 1,3. L’esercizio dell’opzione è indifferente. Si ha comunque una perdita secca pari al premio.
5) Fra 3 mesi il prezzo a scadenza è 1,25. L’opzione va senz’altro abbandonata. Infatti, il suo esercizio comporterebbe un differenziale negativo di 500 che cumulato al premio di 1000 dilaterebbe la perdita dell’operatore A. Ovviamente, nel caso in cui l’opzione sia di vendita (put option), la posizione del titolare è esattamente eguale e contraria a quella precedente”.
Va detto, comunque, che questo tipo di operazione non ha, generalmente, ad oggetto il materiale acquisto della valuta, bensì - secondo la logica che connota i derivati e di cui si è parlato a proposito dei future – il differenziale tra il prezzo fissato nel contratto e quello di mercato alla scadenza46.
Un meccanismo analogo è sotteso al funzionamento delle opzioni su titoli azionari e titoli di Stato47. In questa ipotesi, rispetto alle opzioni su divise, il contratto differisce unicamente per la tipologia di bene posta ad oggetto della contrattazione.
4.3. Opzioni su indici.
Nel caso delle opzioni su indici48, può essere individuato, grosso modo, un meccanismo analogo a quello già visto per i future su indici, con la differenza che la possibilità di dare corso definitivo all’operazione è rimessa, nel momento stabilito, alla valutazione del beneficiario dell’opzione.
Anche in questo caso, infatti, viene assegnato ad ogni punto dell’indice di riferimento (in genere un indice di borsa) un valore convenzionale in denaro. In secondo luogo, le parti fissano, per la scadenza, una soglia corrispondente ad un determinato valore di tale indice. A seconda che, al momento dello spirare del termine, il valore effettivo dell’indice si riveli superiore o inferiore rispetto a tale soglia, la parte che avrà effettuato la previsione corretta avrà diritto ad ottenere, dall’altra, una somma pari alla differenza tra i punti indice al momento della stipula e i punti indice al momento della scadenza, moltiplicati per il valore convenzionale attribuito ad ogni punto.
A differenza di quanto si era visto per i future su indici, nell’ipotesi dell’option su indici il beneficiario dell’opzione, a fronte del versamento di un premio alla controparte, avrà la possibilità di valutare, alla scadenza, se dare corso o meno all’esecuzione dell’operazione. Anche in questo caso, il concedente avrà la certezza di un profitto limitato, costituito dal premio; ma non potrà fare nulla per evitare una perdita elevata qualora l’operazione si rivelasse, alla scadenza, vantaggiosa per la
46 XXXXXX, I contratti derivati, cit., p. 95.
47 La definizione di tali contratti è offerta da XXXXXX XXXXXXXX, Profili civilistici dei contratti “derivati” finanziari, cit., p. 346 ss.: “le opzioni su titoli azionari, su titoli di Stato, su divise consistono nell’accordo in base al quale una parte ha il diritto – normalmente dietro pagamento di un premio – di acquistare o vendere titoli o divise a condizioni prestabilite”.
48 LA PICCIRELLA – XXXXXXX, Gli investimenti finanziari, cit., p. 191.
controparte e questa decidesse, avvalendosi dell’opzione, di pretendere la corresponsione del differenziale. Al contrario, il soggetto beneficiario dell’opzione potrebbe accorgersi, alla scadenza, del fatto che l’operazione si sia rivelata inopportuna; in questo caso, sia pur evitando perdite maggiori dovrà nondimeno versare il premio e, dunque, sopportare un costo, sia pur di entità circoscritta e nota fin dal momento della stipula.
Si tratta di contrattazioni che avvengono, usualmente, nell’ambito di mercati regolamentati e il cui contenuto pattizio è standardizzato, con minimi margini lasciati all’autonomia dei contraenti in sede di trattative negoziali.
4.4. Opzioni su swap e future.
Un’altra tipologia di opzione, senz’altro di notevole rilevanza, è quella che consente al beneficiario non già di procedere all’acquisto o alla vendita di un’attività sottostante, bensì di addivenire alla stipula di un ulteriore contratto derivato, di tipo swap o future, sulla base di una semplice dichiarazione di volontà, alla quale corrisponde una posizione di assoluta soggezione della controparte.
Il soggetto beneficiario dell’opzione acquista, infatti, la possibilità, dietro corresponsione del premio, di concludere un contratto di tipo swap o future sulla base delle condizioni prestabilite al momento della stipula dell’option. La dottrina ritiene, infatti, che il secondo contratto si concluda automaticamente nel momento in cui egli dichiari di avvalersi del diritto d’opzione; il che fa pensare che quella del concedente possa essere qualificata in termini di proposta irrevocabile49. Da quel momento, l’opzione avrà esaurito la sua funzione e sorgeranno le obbligazioni scaturenti dal future o dallo swap ormai concluso.
Anche alla luce di quanto si è detto in precedenza a proposito della logica sottesa alle option, è agevole comprendere la ratio di questa ulteriore tipologia di contratto: il soggetto beneficiario si assicura la possibilità di valutare, nel termine stabilito, se possa ritenersi ancora conveniente, in base all’andamento dei parametri di riferimento, la stipula dei contratti derivati ad oggetto dell’opzione; subirà con certezza la circoscritta perdita derivante dal pagamento del premio, anche nel caso in cui dovesse abbandonare l’operazione; ma avrà la certezza di evitare un affare divenuto
49 XXXXXX XXXXXXXX, Profili civilistici dei contratti “derivati” finanziari, cit., p. 355 s.
sconveniente. Il concedente, d’altro canto, si assicura la somma derivante dal premio, ma corre il rischio di subire la volontà della controparte anche nell’ipotesi in cui la stipula del secondo contratto dovesse rivelarsi, per lui, del tutto svantaggiosa.
4.5. Warrant: riconducibili alla categoria dei derivati?
E’ controverso se i c.d. xxxxxxx00 possano essere qualificati come strumenti finanziari derivati, con tutte le conseguenze che dalla soluzione di questo problema, scaturiscono anche dal punto di vista della normativa applicabile. In ogni caso, pare utile, in questa sede, dare brevemente conto di questa figura e del dibattito sorto attorno ad essa.
Il soggetto che emette il warrant attribuisce, a quello che lo acquista, il diritto di sottoscrivere, vendere o acquistare - entro un determinato termine e ad un prezzo predefinito – azioni di società51.
Il già citato Regolamento di Borsa Italiana s.p.a. definisce, infatti, il warrant come lo “strumento finanziario che conferisce al detentore la facoltà di sottoscrivere (warrant per sottoscrivere) o di acquistare (warrant per acquistare) o di vendere (warrant per vendere), alla o entro la data di scadenza, un certo quantitativo di azioni (azioni di compendio) contro versamento di un importo prestabilito o da stabilire secondo criteri prefissati nel caso di warrant per sottoscrivere o per acquistare e, viceversa, incassando un importo prestabilito o da stabilire secondo criteri prefissati nel caso di warrant per
vendere”52.
La ragione per cui i warrant vengono, generalmente, esaminati contestualmente ai contratti derivati sta nel fatto che essi sembrerebbero assimilabili alle option e dunque riconducibili al novero delle xxxxxxx00.
A prima vista, parrebbero, in effetti, riscontrarsi tutti gli elementi che caratterizzano queste ultime: una facoltà, attribuita a fronte del pagamento di un premio, di acquistare un’attività sottostante; un termine prestabilito; la possibilità di accantonare l’affare al momento della scadenza; il tipo di logica sottesa all’operazione, che consente al
50 Ci si riferisce ai c.d. warrant in senso stretto; si vedrà tra breve che questa precisazione vale a differenziare queste figure da altre le quali, pur essendo indicate con nomi simili, presentano caratteristiche diverse. Ci si riferisce, in particolare, agli hedge warrant ed ai covered warrant.
51 Esempi sono rinvenibili in LA PICCIRELLA – XXXXXXX, Gli investimenti finanziari, cit., p. 192.
52 Art. 2.2.14 del Regolamento di Borsa Italiana s.p.a. attualmente in vigore.
53 LA PICCIRELLA – XXXXXXX, Gli investimenti finanziari, cit., p. 192, ritengono, appunto, che “equivale ad un’opzione”.
soggetto che acquista il warrant di circoscrivere l’ambito di un’eventuale perdita ma di ottenere un profitto ben maggiore.
Nel silenzio del legislatore, ci si chiede, pertanto, se essi possano essere considerati come contratti di tipo option, per i quali adottare, di conseguenza, la normativa applicabile a queste ultime.
In dottrina è stata esclusa la assimilabilità tra queste due figure. Non solo in ragione delle definizioni approntate in sede di normativa regolamentare le quali, pur essendo state ormai superate, vengono considerate come un elemento di riflessione ancora utile54; ma, soprattutto, tenendo conto di un altro elemento, costituito dal fatto che i warrant sono finalizzati all’acquisizione del titolo che ne è posto ad oggetto e non all’ottenimento di un differenziale55: ciò non consentirebbe di ravvisare in tali strumenti quest’ultima funzione, tipica dei derivati56. E’ un’affermazione che persuade solo in parte, in quanto non dà conto del fatto che i soggetti che portano a termine operazioni di tipo warrant lo fanno, comunque, prevedendo di ottenere un profitto tenuto conto della fluttuazione del prezzo delle azioni durante il periodo che precede la scadenza; inoltre, anche le option possono portare alla materiale consegna dell’attività sottostante.
Un discorso a parte va fatto per le ulteriori figure degli hedge warrant e dei covered warrant. In questo caso, non ci si deve far trarre in inganno dall’elemento terminologico: questi contratti, pur essendo individuati mediante un nome che richiama la figura finora esaminata, vengono, al contrario, pacificamente ricompresi nell’ambito degli strumenti derivati57.
54 Nell’argomentare tale tesi, XXXXXX, I contratti derivati, cit., p. 194, fa riferimento, in particolare, al Provvedimento della Banca d’Italia del 20 settembre 1999 (poi sostituito dal Provvedimento del 14 maggio 2005) relativo all’impiego di strumenti derivati da parte di organismi di investimento collettivo del risparmio. Al paragrafo II.I.4.1.1, tale provvedimento precisava che “i warrant non sono considerati strumenti finanziari derivati”.
55 DI XXXXXXX, Strumenti finanziari derivati e tutela dei risparmiatori. Gli speculatori meritano giustizia?, in Soc., 2006, p. 332, afferma che “la causa del contratto di emissione di un warrant consiste, ricorrentemente, nell’attribuzione a una parte del diritto potestativo di concludere con l’altra un contratto di compravendita di azioni”.
56 XXXXXX, I contratti derivati, cit., p. 196.
57 Così XXXXXX, I contratti derivati, cit., p. 100, che definisce gli hedge warrant come lo strumento che “assume ad attività fondamentale il rapporto tra la valorizzazione di due azioni o di due indici azionari (…). Qualora, alla scadenza, il rapporto tra i due titoli esprima un coefficiente superiore a quello dello strike price, l’opzione, risultando in the money, è soggetta all’esercizio automatico e l’investitore riceve un pagamento proporzionale ottenuto applicando il differenziale positivo al nozionale convenuto. Nel caso opposto, ove cioè la differenza sia negativa e l’opzione sia quindi out of the money, la stessa è abbandonata e l’investitore registra una perdita secca pari all’intero premio versato”. I covered warrant vengono, invece, definiti dalle Istruzioni al Regolamento di Borsa Italiana s.p.a. (art. 5.1.2), le quali distinguono tra: covered warrant plain vanilla, definiti “strumenti finanziari derivati cartolarizzati che consistono in un’opzione call o put”; e covered warrant strutturati / esotici”, ossia “strumenti finanziari derivati cartolarizzati che consistono in opzioni esotiche o che sono combinazioni di opzioni call e/o
5. I derivati di tipo swap.
Tra tutti i modelli di contratto derivato, quelli appartenenti alla categoria degli swap risultano i più intriganti da approfondire. Non solo per le particolari modalità di formazione del contratto e per la complessità dei meccanismi di calcolo delle loro prestazioni, che si rivelano del tutto particolari nell’ambito della contrattualistica e che danno luogo a problematiche rilevanti e di vario genere; ma, soprattutto, perché sono quelli che hanno originato il più alto numero di controversie giudiziarie; eventualità che ha favorito, rispetto alle figure finora esaminate, un maggiore coinvolgimento di dottrina e giurisprudenza nel dibattito che ruota attorno ai problemi scaturenti da questo tipo di xxxxxxx00.
Gli swap generano, infatti, rischi di notevole entità; maggiori rispetto a quelli derivanti dai future e ancor di più, senza alcun dubbio, rispetto a quelli scaturenti dalle option.
Il procedimento di formazione di uno swap è condizionato in misura minore, rispetto a quel che accade per future e option, dalla standardizzazione degli elementi negoziali. Con una importante conseguenza: la più intensa autonomia di cui godono le
put”. Entrambe queste tipologie di strumento vengono, dunque, ricondotte espressamente alla categoria delle option. V. anche LA PICCIRELLA – XXXXXXX, Gli investimenti finanziari, cit., p. 201 ss.
58 Tra gli interpreti che si sono occupati specificamente degli swap, si ricordano, in particolare, XXXXXXXXXXX, Le operazioni di swap e la struttura contrattuale sottostante, in Banca, borsa, tit. cred., 1997, I, p. 112; XXXXXXX, Profili civilistici del rischio finanziario e contratto di swap, Milano, 1999; CAPRIGLIONE, Gli swaps come valori mobiliari, in Banca, borsa, tit. cred., 1991, I, p. 792; XXXXXX XXXXXXXX, Della causa del contratto di swap domestico, in Studium iuris, 1998, I, p. 245; COSSU, Domestic currency swap e disciplina applicabile ai contratti su strumenti finanziari. Brevi note sul collegamento negoziale, nota a App. Milano, 29 giugno 2004, in Banca, borsa, tit. cred., 2006, 2, II, p. 168; DE IULIIS, Lo swap d’interessi o di divise nell’ordinamento italiano, in Banca, borsa, tit. cred., 2004, I, p. 391; FILOGRANA, “Swaps” abusivi: profili di invalidità e responsabilità precontrattuale, nota a Cass., 6 aprile 2001, n. 5114 e a Cass., 5 aprile 2001, n. 5052, in Foro it., 2001, I, c. 2186; XXXXXXX, In tema di interest rate swap, nota a Trib. Lanciano, 6 dicembre 2005, in Giur. comm., 2007, II, p. 134; GIOIA, Il contratto di swap, cit., p. 2209; XXXXXXXXX, Il contratto di swap, in Quad. giur. impr., 1990,
p. 27; XXXXXXX, Contratti di swap, in I contratti del mercato finanziario, a cura di Xxxxxxxxx e Xxxxx, Torino, 2004, p. 1075; PARIS, Gli swaps, in Il diritto della borsa nella prospettiva degli anni Novanta, a cura di Xxxxxxxxx, Napoli, 1993, p. 159; XXXXXXX, Contratti di swap con finalità speculative ed eccezione di gioco, nota a Trib. Milano, 24 novembre 1993 (ord.) e Trib. Milano, 26 maggio 1994, in Banca, borsa, tit. cred., 1995, II, p. 82; RAGNO, Commodity swaps conclusi tra non intermediari e disciplina dei servizi di investimento, in Giur. comm., 2004, I, p. 158; RIMINI, Contratti di swap e “operatori qualificati”, nota a Trib. Milano, 3 aprile 2004 (ord.), in Giur. comm., 2004, II, p. 532; SQUILLACE, La legge 2 gennaio 1991, n. 1, e i contratti di swap, nota a Trib. Milano 21 febbraio 1995 (ord.) e a Trib. Milano 11 maggio 1995 (ord.), in Giur. comm., 1996, II, p. 85; XXXXXXX, L’offerta al pubblico di swap e l’attività di intermediazione mobiliare, in Banca, borsa, tit. cred., 1993, I, p. 342, oltre, naturalmente, a XXXXXX XXXXXXXX, Profili civilistici dei contratti “derivati” finanziari, cit., p. 21 ss. e GIRINO, I contratti derivati, cit., p. 102. Tuttavia, pare opportuno sottolineare che uno dei primi autori, in Italia, a porre solide basi per lo studio del tema è stato senza dubbio INZITARI, Swap (contratto di), in Contr. impr., 1988, p. 597 ss. Per un confronto con le esperienze straniere, x. XXXXX, Profili giuridici del mercato degli swaps di interessi e di divise in Italia, in Banca, borsa, tit. cred., 1993, I, p. 617 ss.
parti in sede di contrattazione - che si riflette, sostanzialmente, in una più ampia libertà d’azione soprattutto per gli intermediari, i veri domini del procedimento di formazione di questi contratti59 - accresce notevolmente i rischi per un investitore inesperto. Questi, spesso quasi inconsapevolmente, si ritrova vincolato a rapporti giuridici assai complessi, potenzialmente in grado di causargli perdite di entità notevole; che si rivelano, talvolta, deleteri per i bilanci di imprese ed enti pubblici ma anche per i patrimoni di semplici risparmiatori persone fisiche. Ecco la ragione per cui, con riferimento al tema trattato, gli swap rappresentano la fattispecie meritevole di più ampie riflessioni; ed ecco perché – non a caso – hanno attirato l’interesse di accreditati studiosi e costituito oggetto di numerose pronunce da parte della giurisprudenza, chiamata di frequente a risolvere contrasti di particolare delicatezza e a prendere posizione su importanti problematiche tra le quali, su tutte, prevale per importanza quella concernente la meritevolezza di tutela di figure siffatte. Questioni sulle quali, sia pure in maniera piuttosto superficiale, è poi intervenuto lo stesso legislatore, che peraltro ha saputo risolverle solo in parte60.
Il problema, su cui si tornerà approfonditamente, della particolare rischiosità di questo tipo di contratti, dal quale poi si dipanano, a cascata, tutti gli altri aspetti dubbi legati a questo tema, nasce dal fatto che a queste fattispecie, nate con finalità di copertura dei rischi, quasi in senso assicurativo, si sia ricorso in misura sempre maggiore, col passare del tempo, per il perseguimento di finalità prettamente speculative, nonostante gli avvertimenti pervenuti tempestivamente da pulpiti autorevoli61; in questo modo, i rischi si sono moltiplicati, in quanto non più sorretti da operazioni sottostanti.
Il momento di origine degli swap può essere collocato intorno agli anni ’70 del ‘900; in epoca, dunque, ben più recente rispetto a quella di creazione dei primi futures La ragione di tale ritardo è immediatamente intuibile, se si tiene conto delle esigenze che hanno condotto alla nascita degli swap. Questi furono immaginati con lo scopo di offrire una forma di copertura economica a due soggetti i quali, magari in seguito alla precedente stipula di determinati contratti, si ritrovavano esposti alle conseguenze derivanti dalle oscillazioni del valore del cambio di divise estere. Infatti, così come si è visto nel caso dei future e delle option, il rischio corso da uno dei contraenti di uno
59 Sul ruolo degli intermediari nella stipula degli swap, x. xxxxx, Xxx. XX, § 0.
00 X. xxxxx, Xxx. XX, § 0.
61 CAPRIGLIONE, I prodotti “derivati”: strumenti per la copertura dei rischi o per nuove forme di speculazione finanziaria?, in Banca, borsa, tit. cred., 1995, I, p. 365; PADOA SCHIOPPA, I prodotti derivati: profili di pubblico interesse, cit., p. 59 ss. Sul punto si tornerà al Cap. III, § 3.
swap è di segno opposto rispetto a quello sopportato dalla controparte, nel senso che una delle parti prevede, ad esempio, un rialzo del valore di cambio di una valuta mentre la controparte confida in un ribasso. Al momento della scadenza, soltanto una di esse otterrà un esito economicamente vantaggioso dalla stipula di un siffatto contratto.
La ragione del ricorso a tale fattispecie contrattuale - che peraltro affonda le proprie radici nelle ormai obsolete operazioni di parallel loan e di back to back loan62 - viene, generalmente, ricondotto al tentativo di fronteggiare le limitazioni valutarie che ebbero luogo, in Europa e negli U.S.A., a cavallo dell’epoca citata, e che furono contestuali ad un periodo di forti oscillazioni dei valori di cambio delle valute.
Vi ricorrevano, dunque, soggetti che intendevano sfuggire a rischi di cambio particolarmente intensi63.
In breve tempo, la logica applicata a questi accordi, basati su scambi di tipo valutario, venne trasposta ad operazioni relative alla copertura di rischi di natura diversa, quali quelli connessi all’andamento dei tassi di interesse, di indici azionari, del prezzo di merci. Ci si iniziò ad accorgere, in poco tempo, che lo swap avrebbe potuto svolgere ulteriori funzioni, tra cui quella di facilitare l’accesso a fonti finanziarie alternative oppure quella di ridurre i costi del debito64. Di qui, fu breve il passo che condusse alla trasposizione di tali tecniche finanziarie a contrattazioni aventi luogo per finalità meramente speculative.
La multiforme varietà di modelli di swap, e la relativa diversità di funzioni economiche svolte da ciascuno di essi, induce ad escludere che si possa parlare di un contratto di swap inteso in senso univoco65; anche stavolta può individuarsi, semmai,
62 BALESTRA, Il contratto aleatorio e l’alea normale, cit., p. 231 ss., ricorda come attraverso l’operazione di parallel loan (prestiti paralleli), “allo scopo di evitare il trasferimento di divisa all’estero, accadeva che due società, l’una americana e l’altra inglese, si accordassero per prestare alla filiale delle controparte un ammontare equivalente nella moneta di riferimento di ciascuna società al tasso di interesse in vigore nel paese in cui avveniva l’emissione del prestito”. Si trattò, in realtà, di negoziazioni che non riscossero grandi successi non solo per la complessità che le caratterizzava, ma anche per i forti rischi di inadempimento dei mutuatari nonché per il fatto di richiedere, sotto il profilo contabile, “l’iscrizione in bilancio di due prestiti”. Nel caso del back to back loan, invece, “due soli soggetti sono coinvolti nell’operazione, essendo i mutuanti al tempo stesso i beneficiari dei prestiti”. Tornando all’esempio precedente, “una società inglese presta ad una società americana un certo ammontare di sterline inglesi e al contempo la società americana presta alla società inglese un ammontare equivalente in dollari. Le società sono poi libere di utilizzare la somma ottenuta destinandola alle rispettive filiali ovvero per ogni altro tipo di operazione”. Scopo dell’operazione è quello di “diminuire il costo e rafforzare la sicurezza, sotto il profilo del rischio di cambio, di un finanziamento”.
63 CAVALLO BORGIA, Le operazioni su rischio di cambio, cit., p. 2403; GIOIA, Il contratto di swap, cit.,
p. 2209; SQUILLACE, La legge 2 gennaio 1991, n. 1, e i contratti di swap, cit., p. 87.
64 CAVALLO BORGIA, Le operazioni su rischio di cambio, cit., p. 2403.
65 Nello stesso senso sembrerebbero pronunciarsi XXXXXXXXXXX, Le operazioni di swap, cit., p. 112 ss. e SQUILLACE, La legge 2 gennaio 1991, n. 1, e i contratti di swap, cit., p. 87. Il primo, in particolare,
una categoria composita, quella degli swap, formata da figure affini ma caratterizzate da profili di dissomiglianza, che impediscono di considerare lo swap come un tipo unico. In altre parole, non esiste “lo swap”, ma esistono “gli swap”: figure appartenenti ad un’unica famiglia ma ciascuna dotata di caratteristiche peculiari e pertanto meritevoli di considerazione separata.
Appare, perciò, possibile abbozzare una definizione introduttiva di swap solo se lo si prende in considerazione come categoria.
A tal proposito, è assai utile far riferimento alle indicazioni offerte proprio dal termine inglese swap, il quale ricorre in tutte le singole fattispecie, che si tratti di swap su valute, su tassi di interesse, su indici o su merci. Tale vocabolo può essere tradotto col termine “scambio”; non a caso, le prestazioni alle quali le parti si obbligano - sebbene vengano, generalmente, regolate dal punto di vista materiale col semplice versamento delle somme differenziali66, secondo modalità sulle quali si tornerà a breve ma che costituiscono semplicemente una modalità più agevole di esecuzione delle prestazioni – sono costituite, appunto, dal versamento reciproco di somme di denaro calcolate sulla base dell’andamento del parametro di riferimento preso in considerazione: il cambio di una valuta estera; l’andamento di un tasso di interesse di un indice; il prezzo di una merce.
Si tratta, comunque, di una semplificazione; non è, pertanto, possibile proseguire la presente trattazione senza procedere all’analisi dettagliata delle principali tipologie di swap.
osserva come “facendo un censimento delle fattispecie contrattuali che nella prassi commerciale interna e internazionale sono indicate con il termine swap, si ha subito la sensazione di trovarsi di fronte ad un insieme di negozi giuridici tra loro eterogenei”. Ed infatti, costituendo un prodotto della prassi commerciale, “è naturale che essi non esistano allo stato puro (ossia come modello astratto) ma siano necessariamente contaminati dagli interessi concreti delle parti”. Tale Autore, comunque, rinviene almeno due caratteristiche comuni a tutti questi contratti: “a) gli swaps comportano pagamenti incrociati di somme ad una o più scadenze; b) l’entità dei pagamenti dipende dai parametri presi in considerazione dalle parti, che vengono applicati ad un ammontare nozionale”. Esclude tuttavia che costituisca elemento tipico della fattispecie il pagamento attraverso compensazione delle posizioni attive e passive, in quanto in alcune operazioni non viene previsto e non può, pertanto, “essere considerato come elemento costante dell’operazione di swap”.
66 PARIS, Gli swaps, cit., p. 160; XXXXXXXXXXX, Le operazioni di swap, cit., p. 127, il quale rileva che “si afferma in maniera molto chiara il principio per cui lo swap integra uno scambio di somme di denaro, che solo in via eventuale comporta il pagamento di un differenziale”.
5.1. Currency swap.
Considerato che proprio in ambito valutario sono sorte le prime fattispecie di swap, pare giusto iniziare l’esame dei contratti appartenenti a tale categoria dallo swap su valute, o currency swap67.
A onor del vero, anche il genere degli swap su valute annovera una miriade di contrattazioni di diverso tipo, per la cui esauriente trattazione si renderebbe necessario un ulteriore e apposito studio68. È comunque possibile, in questo caso, fornire una descrizione sostanzialmente in grado di cogliere gli elementi comuni a tutti i currency swap; spetta, poi, ad un esame dettagliato, da effettuarsi contratto per contratto, individuare le varianti che caratterizzano le singole fattispecie; rette, comunque, da logiche sostanzialmente affini.
È piuttosto arduo descrivere a parole un contratto regolato da formule matematiche talvolta complesse. Tuttavia, il funzionamento di tale operazione può essere schematizzato in questo modo: le parti, sostanzialmente, si impegnano a scambiarsi, alla scadenza programmata, due somme di denaro in valute diverse le quali, sulla base del tasso di cambio sussistente tra le due divise al momento della stipula, si rivelano, in partenza, di valore equipollente.
Ad esempio, una delle due parti si impegna ad effettuare, al momento della scadenza, un pagamento in dollari; contestualmente, acquista il diritto di ricevere, sempre alla scadenza, una somma predeterminata la quale, al momento della stipula, ne costituisce l’esatto equivalente in euro.
È chiaro, dunque, che, al momento del perfezionamento dell’accordo, le obbligazioni di pagamento delle due parti si rivelano economicamente in equilibrio, attestandosi su valori corrispondenti; con un’unica differenza, costituita dal fatto che il medesimo pagamento dovrà avvenire mediante l’impiego di valute diverse69.
67 In dottrina, taluni autori preferiscono parlare di interest rate and currency swap, tenendo conto che lo scambio non riguarda solo valute ma anche tassi di interesse; tale fattispecie viene, comunque, tenuta distinta dalle operazioni pure su tassi di interessi, denominate interest rate swap. Sul punto, XXXXXX XXXXXXXX, Profili civilistici dei contratti “derivati” finanziari, cit., p. 21 ss. Tra gli autori che si sono occupati della figura, v. anche CAVALLO BORGIA, Le operazioni su rischio di cambio, cit., p. 2404 ss.; XXXXXXXXX, Il contratto di swap, cit., p. 27 ss.
68 XXXXXXXXXXX, Le operazioni di swap, cit., p. 116, rileva, infatti, che esistono diverse tipologie di swap su valute, accomunate dal fatto che “i parametri presi in considerazione sono costituiti da diversi tassi di cambio” e menziona, tra i principali, il c.d. straight currency swap e il c.d. forward currency agreement.
69 “Si deve intendere una equivalenza generica tra il valore di mercato dei due capitali al momento della conclusione del contratto”. XXXXXX XXXXXXXX, Profili civilistici dei contratti “derivati” finanziari, cit., p. 47.
Il senso dell’operazione si coglie facilmente solo se si osserva che la presumibile oscillazione, nel periodo intercorrente tra stipula e scadenza, del tasso di cambio tra le due valute prese in considerazione dalle parti farà venir meno, assai probabilmente, l’equivalenza del valore tra i due capitali. Ragion per cui, di fatto, uno dei contraenti si troverà a dover corrispondere una somma che – sulla base, appunto, della variazione dei tassi di cambio – si rivelerà di valore più elevato rispetto a quella che incasserà dalla controparte.
Va sottolineato, per non lasciare adito a dubbi, che generalmente non si assiste, in fase esecutiva, ad un effettivo scambio dei due importi monetari. Il rapporto viene regolato, di solito, mediante la corresponsione del solo differenziale tra i due valori. Si tratta, come si è anticipato in precedenza, di una modalità di esecuzione delle prestazioni volta alla semplificazione, ma che non vale a mutare la natura dell’operazione, la quale rimane quella dell’obbligo di corresponsione incrociata di due pagamenti in denaro70.
Dalle considerazioni che precedono si intuisce a quali soggetti possa giovare un’operazione di questo tipo. Ad essa, qualora non abbia luogo con finalità di speculazione sulle fluttuazioni dei tassi di cambio, potrà ricorrere un soggetto indebitato, ad esempio, in dollari, sulla base di un contratto stipulato in precedenza; va precisato che quest’ultimo negozio rimarrà causalmente estraneo rispetto alla fattispecie di cui si discorre71. Questo soggetto, il quale, come si diceva, è debitore in dollari, potrà concludere un contratto di currency swap che gli darà diritto di diventare, a sua volta, creditore di una somma in dollari nei confronti di un ulteriore soggetto a fronte dell’effettuazione, da parte sua, di un corrispondente pagamento in euro.
È evidente che il rischio di cambio da lui sopportato a causa dell’indebitamento precedente viene azzerato o attenuato (a seconda dell’entità del capitale ad oggetto dello swap) dal fatto che la sua posizione di rischio rispetto al tasso di cambio si rivela esattamente opposta con riferimento alla sua posizione contrattuale originata dal rapporto di swap.
In altre parole, ipotizzando un esempio, un soggetto italiano indebitato in dollari nutrirà la speranza della permanenza del cambio dell’euro su un valore più basso, rispetto a quello del dollaro; ma potrà neutralizzare le conseguenze derivanti dall’eventualità che ciò non accada stipulando uno swap che gli consenta di ricevere un pagamento in dollari. Così operando, infatti, l’eventuale tasso di cambio svantaggioso,
70 XXXXXXXXXXX, Le operazioni di swap, cit., p. 119.
71 Sulle discussioni circa l’esistenza di un collegamento negoziale tra i due contratti, v. Cap. III, § 3.
che lo penalizzerà con riferimento all’indebitamento precedente, verrà annullato o limitato dai vantaggi che il medesimo tasso di cambio gli procurerà nel momento in cui riceverà, in dollari, la somma pattuita nell’accordo di swap.
La fattispecie che si è descritta costituisce, nell’ambito dei derivati di tipo currency swap, quella connotata dalla maggiore semplicità. Tuttavia, una ricognizione dei traffici economici fa capire che queste operazioni possono essere dotate di una struttura ben più articolata.
Ad esempio, sono molto diffusi i currency swap i quali prevedono che lo scambio di denaro avvenga in frangenti diversi: uno al momento della conclusione e un altro alla scadenza.
Oppure, possono avere luogo pagamenti multipli, attraverso la previsione di più scadenze, durante il periodo di durata del rapporto; o, ancora, lo scambio dei flussi di tipo valutario può intrecciarsi con contestuali operazioni su tassi di interesse.
L’aspetto che preme maggiormente precisare è che tali contratti, sulla base del meccanismo dei pagamenti incrociati, sono imperniati, in ogni caso, sulle variazioni del valore dei capitali che le parti si scambiano: o per le finalità di copertura di precedenti posizioni debitorie, secondo lo schema poc’anzi descritto; o per eludere eventuali restrizioni, di matrice legislativa, concernenti operazioni in ambito valutario; oppure, ancora, per finalità di mera speculazione, che inducono i soggetti contraenti a procedere al perfezionamento di tali accordi nella speranza che un determinato andamento del cambio tra due divise possa generare un profitto a proprio favore72.
5.2. Domestic currency swap.
È importante tenere ben distinto il currency swap da un diverso tipo di contratto, denominato domestic currency swap, o swap domestico73. L’affinità terminologica tra le due figure rischia di trarre in inganno, in quanto cela, in realtà, rilevanti differenze sotto il profilo della natura delle prestazioni alle quali le parti si impegnano.
72 Sul dibattito sorto intorno alla meritevolezza di tutela di tali operazioni, x. xxxxx, Xxx. XXX, § 0.
00 Xx sono occupati di tale figura, XXXXXX XXXXXXXX, Della causa del contratto di swap domestico, cit.,
p. 245 ss.; ID., Profili civilistici dei contratti “derivati” finanziari, cit., p. 183 ss.; CAVALLO BORGIA, Le operazioni su rischio di cambio, cit., p. 2406 ss.; COSSU, Domestic currency swap, cit., p. 168 ss.; GIOIA, Il contratto di swap, cit., p. 2209; INZITARI, Swap (contratto di), cit., p. 601 ss.; XXXXXX, I contratti derivati, cit., p. 107; XXXXXXXXX, Il contratto di swap, cit., p. 28.
Sia il currency swap, di cui si è parlato finora, che il domestic currency swap, hanno ad oggetto prestazioni parametrate sull’andamento del tasso di cambio di una valuta; ma vanno tenuti distinti per via di un fondamentale tratto caratteristico.
Nel primo caso, come si è visto, le parti si scambiavano due importi in denaro, ciascuno calcolato utilizzando monete diverse. Un pagamento in dollari a fronte di un pagamento in euro, basato sull’auspicio, nutrito da ciascuno dei partecipanti all’accordo, che una delle due valute benefici, trascorso un determinato lasso di tempo, di un tasso di cambio più vantaggioso rispetto all’altra.
I soggetti i quali, invece, convengono di concludere il diverso contratto di domestic currency swap, anch’esso fondato sull’andamento dei tassi di cambio valutari, utilizzano, per il soddisfacimento delle proprie obbligazioni, la medesima moneta: ad esempio, l’euro. Per cui, indipendentemente dall’andamento del parametro di riferimento, il sinallagma non sarà costituito da una prestazione in dollari e da una corrispondente contropartita in euro: il pagamento dovrà essere effettuato, in ogni caso, in euro.
È naturale, a questo punto, chiedersi secondo quali modalità venga determinata questa prestazione. La quantificazione avviene sulla base del seguente procedimento. Le parti prendono in considerazione una determinata valuta straniera: ipoteticamente, il dollaro. Si procede, quindi, a determinare un importo convenzionale, che è quello al quale verranno applicati i tassi di cambio. L’importo convenzionale viene fissato nella valuta straniera: nell’esempio fatto, in dollari. Si precisa, poi, una data di scadenza.
Al momento della stipula, si quantifica, al tasso di cambio corrente, il valore, in valuta interna, dell’importo convenzionale già predeterminato in valuta straniera: riprendendo l’esempio proposto, si calcola il valore in euro dell’importo fissato dalle parti in dollari.
La medesima operazione viene effettuata al momento della scadenza: si calcolerà, infatti, al tasso di cambio corrente in quel momento – che presumibilmente sarà variato, col decorso del tempo, rispetto alla fase in cui il contratto è stato stipulato – il valore in divisa interna dell’importo convenzionale determinato in valuta estera.
Per tornare al nostro esempio: così come è accaduto al momento della stipula, si ricalcolerà, stavolta al momento della scadenza, il valore in euro, secondo il cambio corrente, dell’importo convenzionale determinato in dollari: se questo ammontasse, in ipotesi, a 50.000 dollari, si dovrebbe, dunque stabilire a quale somma corrisponderebbe quell’importo se convertito in euro.
È evidente che la variazione del tasso di cambio darà luogo a due importi in euro: quello calcolato in sede di stipula e quello calcolato alla scadenza. La conversione in euro della somma di 50.000 dollari condurrà, infatti, ad un risultato diverso, a seconda che il tasso di cambio si attesti su un valore x (al momento della stipula) o sul diverso valore y (al momento della scadenza).
Questa variazione darà luogo ad un differenziale, costituito dallo scarto tra i due importi, convertiti in euro, così come risultanti alla scadenza e alla stipula. L’esecuzione del contratto avverrà proprio attraverso il pagamento, da parte di uno dei due soggetti e a favore dell’altro, di tale somma differenziale. Infatti, solo uno dei due contraenti sarà tenuto alla corresponsione di una somma in denaro: si tratterà della parte che potremmo definire “soccombente”, ovvero quella che avrà fallito la propria previsione in ordine all’andamento del cambio. L’individuazione di colui che sarà tenuto all’effettuazione della prestazione potrà essere effettuata unicamente al momento della scadenza, sulla base dell’andamento del tasso di cambio. Questo perché al momento della stipula – così come si è visto per altri modelli di derivati – i contraenti sono portatori di aspettative di segno opposto: uno confiderà in un rialzo dell’euro rispetto al dollaro (o delle diverse valute prese in considerazione); l’altro, invece, prevederà l’eventualità esattamente opposta.
Avrà diritto di ottenere un importo pari al differenziale il soggetto che avrà effettuato la previsione esatta, in quanto, per lui, la differenza tra i due importi (alla stipula e alla scadenza) si sarà rivelata positiva; viceversa, la somma dovrà essere corrisposta dal soggetto che avrà effettuato una previsione errata, in quanto per lui la differenza tra i due importi si sarà rivelata negativa74.
74 Per una migliore comprensione della figura, pare utile l’esempio proposto da XXXXXX, I contratti derivati, cit., p. 108. “Si supponga che la società A sia creditrice di un importo di 10.000 dollari da incassare a sei mesi e che la società B sia viceversa debitrice verso terzi dello stesso importo alla stessa scadenza. A avrà interesse a proteggersi contro eventuali ribassi del dollaro, che le provocherebbero una perdita secca sul cambio al momento dell’incasso. B nutrirà l’interesse esattamente opposto, in quanto un rialzo del dollaro comporterebbe un aggravamento della sua esposizione debitoria. Posto un capitale convenzionale pari a 10.000 dollari, le parti convengono un tasso di cambio convenzionale pari a $ 1 = € 1,6. Nel caso in cui, alla scadenza del semestre, il cambio a pronti sia inferiore (poniamo € 1,5) al cambio convenzionale, B verserà ad A la differenza fra detti cambi applicata al capitale di base, ossia
10.000 x (1,6 – 1,5) = € 1000. In tal modo, B non avrà corso alcun rischio superiore a quello predefinito nella determinazione del cambio 1/1,6. Viceversa, A, ricevendo 0,1 euro a dollaro da B, coprirà la perdita che il ribasso della moneta statunitense gli avrà provocato al momento dell’incasso. Nel caso in cui, alla scadenza del semestre, il cambio a pronti sia superiore (poniamo € 1,7) al cambio convenzionale, A verserà a B la differenza tra detti cambi applicata al capitale di base, ossia: 10.000 x (1,7 – 1,6) = € 1000. In tal modo, B si è cautelato contro il rialzo del dollaro, per cui la differenza tra il limite massimo di rischio assunto (1/1,6) e il valore corrente della valuta (1/1,7) viene coperta dal versamento fatto da A. Quest’ultimo perde 0,1 euro a dollaro che in realtà recupera sul mercato incassando una valuta nel frattempo apprezzatasi in pari misura”.
È stato evidenziato come un contratto di questo tipo consenta a soggetti che pongano in essere operazioni d’affari oltre confine di “riequilibrare i rischi” derivanti, appunto, dalle fluttuazioni della valuta75. Un imprenditore che intrattenga rapporti commerciali con una controparte estera, e che tema di essere penalizzato da una fluttuazione sfavorevole del tasso di cambio, avrà la possibilità, stipulando un domestic currency swap di segno opposto, di annullare tale posizione negativa: la fluttuazione, eventualmente svantaggiosa con riferimento al rapporto obbligatorio precedente, si rivelerà conveniente con riguardo al contratto di swap di copertura di segno opposto, in quanto consentirà di incassare la somma differenziale. Si tratta, chiaramente, delle medesime logiche che sono state esaminate quando si è parlato dei contratti di currency swap.
5.3 Interest rate swap.
Non è complicato comprendere la ratio sottostante ad una ulteriore fattispecie di swap, ossia quella degli interest rate swap, o swap su tassi di interesse76, se si tiene presente quanto è stato detto in precedenza con riferimento agli swap su valute.
Si tratta, infatti, di contratti che fanno ricorso alle medesime logiche che governano i currency swap; tuttavia, la divergenza sostanziale si rinviene in due elementi. In primis, nel fatto che lo scambio avviene non in valute diverse, ma nella medesima moneta, dato che, in caso contrario, si avrebbe a che fare col diverso contratto di interest rate and currency swap77. In secondo luogo, il parametro di riferimento, la cui fluttuazione vale a determinare le prestazioni negoziali, è costituito non dal tasso di cambio tra due valute ma da un determinato tasso di interesse preso in considerazione dalle parti.
Per il resto, la struttura negoziale delle due fattispecie non diverge. Le parti, infatti, si impegnano a scambiarsi due somme di denaro - determinate, come detto, nella
75 INZITARI, Swap (contratto di), cit., p. 602, il quale aggiunge, altresì, come un contratto di questo tipo consente, ad esempio, ad un importatore che intrattenga rapporti commerciali con un esportatore e che vogliano, stipulando un domestic currency swap, neutralizzare i rischi derivanti dalle oscillazioni dei cambi, “di ottenere dall’altro partner contrattuale una somma di danaro che è di ammontare pari al danno rischiato o al vantaggio sperato, una somma di danaro cioè di entità pari sia al danno che si sarebbe verificato ed al vantaggio che l’altra parte avrebbe conseguito per effetto delle intervenute variazioni del tasso di cambio”.
76 Si sono occupati del problema, tra gli altri, XXXXXXXXXXX, Struttura e funzione dei contratti di swap, cit., p. 114; DE IULIIS, Lo swap d’interessi o di divise nell’ordinamento italiano, cit., p. 391 ss.; XXXXXXX, In tema di interest rate swap, cit., p. 134 ss.; INZITARI, Swap (contratto di), cit., p. 608 ss.
77 V. supra, nota 67.
medesima valuta – alla scadenza o alle scadenze prefissate. Tali somme di denaro, al momento della stipula, sono identiche; l’elemento che, allo spirare del termine, farà divergere le due prestazioni sarà costituito, invece, dal differente tasso di interesse applicato ai due importi. Una prestazione verrà determinata, infatti, applicando al capitale di riferimento un tasso di interesse x; l’altra, invece, verrà quantificata mediante l’applicazione del tasso di interesse y.
Se la struttura contrattuale è così predisposta, quel che in realtà accade nella prassi è che non si verifica un materiale scambio di somme, bensì i due tassi di interesse vengono applicati ad un determinato capitale convenzionale fissato dalle parti; le prestazioni vengono eseguite attraverso la corresponsione del solo differenziale - risultante dall’applicazione dei due valori percentuali all’importo di riferimento - a carico del soggetto il cui tasso di interesse avrà avuto un andamento meno vantaggioso rispetto a quello applicato alla prestazione della controparte.
Xxxxxxxx, però, alla descrizione della fattispecie, si può dire che questa operazione può essere effettuata sulla base di diverse varianti, rinvenibili nelle differenti combinazioni tra tassi di interesse utilizzati come termine di raffronto.
In un primo caso, una delle parti si obbliga al pagamento di una somma sulla base di un tasso di interesse fisso, mentre all’obbligazione dell’altra si applicherà un tasso variabile: in questi casi si parla, appunto, di fixed-floating interest rate swap, ossia swap su tasso di interesse fisso contro tasso variabile. È chiaro che la parte soggetta alle fluttuazioni del tasso variabile otterrà un profitto dal contratto qualora il tasso percentuale di riferimento si attesti su valori più bassi rispetto al tasso fisso applicato al capitale dovuto dalla controparte. Tale eventualità, infatti, comporterà, per xxx xxx xxxxxx interessi dovuti, che il pagamento al quale sarà tenuto risulterà inferiore rispetto alla cifra che avrà diritto di ottenere dalla controparte; ciò darà luogo ad un differenziale a suo favore, che gli consentirà di ottenere un profitto dall’affare.
Viceversa, per il motivo opposto, un’operazione di tal natura diverrà per lui svantaggiosa qualora, alla scadenza, il tasso variabile di riferimento raggiunga valori più elevati rispetto al tasso fisso riguardante la controparte; in tale ipotesi, lo swap lo penalizzerà in fase esecutiva, in quanto si creerà un differenziale a favore dell’altro contraente, tenuto ad un pagamento di entità inferiore per le ragioni esattamente inverse a quelle viste nell’ipotesi precedente.
Modalità di funzionamento identiche stanno alla base di un secondo gruppo di
interest rate swap, detti floating-floating (swap su tasso di interesse variabile contro
tasso variabile). La struttura negoziale è analoga ai contratti che prevedono il ricorso ad un tasso fisso contro un tasso variabile; con un’unica, importante, differenza, costituita, come si desume dal nome che contraddistingue tali accordi, dal fatto che entrambe le obbligazioni di pagamento saranno soggette a due differenti tassi variabili. In questo caso, il contratto diverrà vantaggioso per il soggetto obbligatosi sulla base del tasso di interesse il quale, al momento della scadenza, si sarà attestato su valori più bassi. Tale evenienza, nello scambio dei pagamenti, gli consentirà, infatti, di sborsare una somma inferiore e di ottenere, conseguentemente, un margine di guadagno pari allo scarto tra le due prestazioni pecuniarie.
Esistono anche tipologie di swap in cui entrambi i contraenti si obbligano sulla base di tassi di interesse fissi; oppure altre in base alle quali le parti si obbligano entrambe mediante l’applicazione di tassi variabili, ma prendendo come parametro di riferimento il medesimo indicatore (ad esempio il tasso Libor)78. In questi casi, è possibile ottenere un differenziale diversificando le scadenze per ciascuno dei contraenti.
La varietà di interest rate swap reperibili sul mercato è assai vasta. Molto diffusi sono, ad esempio, i contratti i quali, secondo un meccanismo simile a quello già visto per i contratti cap, floor e collar, contemplano che una parte sia tenuta al pagamento del differenziale qualora il tasso di interesse variabile superi una determinata soglia; oppure rimanga inferiore ad essa; o, ancora, si mantenga all’interno di una fascia delimitata da un valore minimo e da uno massimo.
Esistono, poi, tipologie di interest rate swap in base alle quali un soggetto è tenuto al pagamento della propria prestazione pecuniaria al momento della stipula o del termine finale del contratto mentre la controparte dovrà effettuare più pagamenti in diversi momenti (generalmente uno all’anno), con una convenienza determinata proprio dai valori su cui il tasso variabile si attesterà ad ognuna di queste scadenze.
La ragione per cui gli investitori ricorrono a cotali contrattazioni può essere individuata, quando non si tratti di finalità speculative, nell’obiettivo di proteggersi contro fluttuazioni sfavorevoli dei tassi di interesse che rischierebbero di rendere penalizzanti affari sottostanti.
Si pensi, in ipotesi, al caso di un soggetto precedentemente indebitatosi sulla base di un tasso variabile. Un rialzo eccessivo di quel valore percentuale potrebbe rendere svantaggiosa tale operazione economica. Questo rischio potrà essere neutralizzato mediante la stipula di uno swap sulla base di condizioni di segno opposto. In altre
78 XXXXXX XXXXXXXX, Profili civilistici dei contratti “derivati” finanziari, cit., p. 53.
parole, il soggetto indebitatosi ad un tasso variabile può stipulare uno swap in cui egli stesso diventi controparte di un soggetto tenuto ad un pagamento al medesimo tasso variabile. In questo modo, in caso di rialzo eccessivo di quel tasso di interesse, gli svantaggi causati per via dell’indebitamento precedente saranno compensati dai profitti generati dal contratto di swap, con riferimento al quale l’attestarsi del tasso oltre una determinata soglia consentirà all’investitore di cui si parla di ottenere un profitto, tanto maggiore quanto rilevante sarà l’entità del capitale convenzionale sul quale saranno calcolati gli interessi.
Si tratta, dunque, della medesima logica che governa i currency swap; solo che, in questo caso, il rischio non concerne il cambio di una determinata valuta ma il trend, nel tempo, di un tasso di interesse.
Nei casi in cui, invece, l’operazione venga conclusa a copertura di una posizione creditoria, anziché debitoria, si ricorre a quel particolare strumento che viene denominato asset swap79.
5.4 Swap su indici e su merci; equity swap.
Mediante la semplice trasposizione dei congegni finanziari che regolano gli swap su valuta e su tassi di interesse, sono stati creati ulteriori modelli di contratti di swap che si differenziano dai primi unicamente per il tipo di parametro adottato dalle parti per la determinazione delle prestazioni.
Utilizzando quelle logiche, diviene, infatti, possibile creare swap di vario genere, imperniati sui più diversi indicatori di riferimento, purchè in grado di variare nel tempo.
Innanzitutto, è stata individuata la categoria dei commodity swap, o swap su merci80. Si tratta di figure nelle quali il capitale convenzionale di riferimento – quello che, per intendersi, nel caso degli interest rate swap era costituito da una determinata somma di denaro alla quale venivano applicati i tassi di interesse prescelti dalle parti – è
79 Il contratto di asset swap “si caratterizza per il fatto che l’inversione dei tassi ha luogo su posizioni attive, anziché passive. In pratica, il creditore varia sul mercato il realizzo di una certa posizione attiva, trasformando in variabile un tasso fisso e viceversa. Per far questo, il creditore, ad esempio, di un interesse a tasso fisso, deve reperire sul mercato una controparte disposta a riconoscergli, a fronte dell’attribuzione del tasso fisso, un tasso variabile (o viceversa)”. Così XXXXXX, I contratti derivati, cit.,
p. 103. Si occupa del tema dello swap sovrapposto a posizioni creditorie anche XXXXXXXXXXX, Le operazioni di swap, cit., p. 115.
80 Tali figure sono state esaminate da XXXXXXXXXXX, Le operazioni di swap, cit., p. 118 e, più in particolare, da RAGNO, Commodity swaps conclusi tra non intermediari, cit., p. 158 ss.
costituito da una determinata quantità di merce, ad esempio l’oro o il petrolio. Questi beni non costituiscono assolutamente oggetto di scambio, ma semplicemente un indicatore, in base alla fluttuazione del valore del quale verranno determinate le prestazioni pecuniarie, costituite dallo scambio di due somme di denaro. Tali importi, infatti, verranno calcolati tenendo presente l’oscillazione della quotazione delle merci dedotte in contratto; una delle due parti si impegnerà a versare una somma, determinata attribuendo a quella merce un prezzo prefissato; la controparte si impegnerà, invece, a versare una somma calcolata tenendo conto della quotazione della medesima merce al momento della scadenza.
Può essere d’ausilio un esempio. Si ipotizzi che i contraenti utilizzino come capitale convenzionale 100 barili di petrolio. Una delle due parti dovrà corrispondere, alla scadenza, una somma pari a x dollari al barile moltiplicata per 100 barili, dove x costituisce una somma fissa (ad esempio 100 dollari). La prestazione di tale soggetto si rivela, dunque, certa fin dal momento della stipula, e assommerà a 10.000 dollari.
Diversa è la situazione nella quale versa la controparte: essa, infatti, sarà tenuta, al momento della scadenza, a corrispondere un ammontare pari a y dollari al barile per 100 barili, dove y costituisce non una cifra prefissata ma una variabile, quantificabile al momento della scadenza: nel frangente, cioè, in cui diviene rilevante, ai fini del contratto, il valore di quotazione di quella merce.
Il senso dell’operazione sta nell’effettuare una previsione corretta su quello che sarà il prezzo della merce di riferimento (in questo caso il petrolio) al momento della scadenza. Il soggetto obbligatosi sulla base di una cifra fissa potrà realizzare un guadagno nell’ipotesi in cui il prezzo della merce, al momento della scadenza, avrà una quotazione più elevata rispetto al valore fisso in base al quale lui si è obbligato.
Nell’esempio proposto, il primo dei contraenti dovrà confidare in un rialzo del prezzo del petrolio che porti la quotazione ad un valore superiore a 100 dollari al barile: in questo caso, infatti, la controparte sarà tenuta a corrispondere una somma superiore ai 10.000 dollari ai quali si era obbligato il contraente vincolatosi su prezzo fisso. L’altra parte dovrà, dunque, corrispondere un quantum pari alla differenza tra i due importi.
Una vicenda esattamente speculare si verificherà, invece, qualora, alla scadenza, il valore al barile del petrolio si dovesse attestare su valori inferiori a 100 dollari. In tal caso, infatti, il soggetto obbligatosi a prezzo fisso avrà effettuato una previsione eccessivamente ottimistica sul rialzo del costo del petrolio, e ciò lo costringerà a
versare la differenza tra la somma fissa alla quale si era impegnato e la somma variabile dovuta dalla controparte e calcolata secondo le modalità viste poc’anzi.
Anche le operazioni di questo tipo possono avere luogo per finalità di copertura contro il rischio di particolari fluttuazioni dei prezzi, nel caso di acquisti, effettuati con precedenti contratti, di una determinata merce; oppure per finalità speculative, volte a ottenere un profitto tramite previsioni sull’andamento di tali prezzi.
Applicando canoni analoghi, è evidente che parametri di riferimento di diversa natura possono essere utilizzati per la determinazione delle prestazioni di uno swap. Si pensi ai c.d. swap su indici, le cui prestazioni verranno calcolate sulla base, appunto dell’andamento di un indice di mercato81, attribuendo ai punti di indice un determinato valore monetario, così come si era visto quando si è parlato degli index future82. Anche in questo caso, la precisazione del soggetto tenuto all’effettuazione della prestazione e l’entità di quest’ultima dipenderanno dal fatto che l’indicatore prescelto varchi o meno una determinata soglia; la differenza tra i punti di indice che costituiscono la soglia e quelli registrati al momento della scadenza verrà moltiplicata per il valore attribuito a ciascun punto di indice; il risultato così ottenuto darà luogo al differenziale che dovrà essere corrisposto - dalla parte che potremmo definire soccombente - secondo le modalità di cui si è detto a proposito, ad esempio, degli interest rate swap.
Va, infine, ricordato un ulteriore tipo di contratto, denominato equity swap83. Sostanzialmente, si tratta di un accordo dalla struttura analoga rispetto agli swap esaminati finora, con la previsione di uno scambio incrociato di pagamenti al momento della scadenza. La sua particolarità si rinviene, però, nel fatto di utilizzare come parametro di riferimento il valore di una determinata azione societaria. Le prestazioni sono strutturate in maniera affine a quanto accade per gli swap su interessi o su merci e vengono determinate tenendo conto della differenza tra il valore dell’azione presa in considerazione al momento della scadenza e quello, convenzionale, stabilito nel contratto; ovviamente, applicato a un determinato numero di azioni. Il soggetto che si sarà obbligato a corrispondere la somma calcolata sulla base del prezzo convenzionale otterrà un margine di profitto dal contratto qualora il valore di mercato delle azioni dovesse risultare, al momento della scadenza, superiore rispetto alla somma (predeterminata) che si sia obbligato a corrispondere. Infatti, nell’incrocio tra i pagamenti, avrà diritto ad ottenere un importo maggiore, che produrrà un margine di
81 Ad esempio, l’indice Dow Xxxxx. XXXXXXXXXXX, Le operazioni di swap, cit., p. 119.
82 V. supra, § 2.1.2.
83 XXXXXX, I contratti derivati, cit., p. 111.
profitto costituito dal differenziale. Accadrà l’opposto nel caso in cui il prezzo dell’azione si attesti, alla scadenza, su valori più bassi.
Quelle fin qui descritte costituiscono le fattispecie di swap più comuni nella prassi; o, comunque, quelle che possono essere definite paradigmatiche. Infatti, i vari contratti di swap diffusisi nei mercati, quand’anche caratterizzati da particolarità di diverso tipo, sono configurati sulla base di una struttura che deriva, fondamentalmente, dagli archetipi illustrati nelle pagine precedenti84.
6. I derivati di credito.
Si era espressa, in precedenza85, la considerazione in base alla quale la categoria degli swap parrebbe, tra i derivati, quella più stimolante da esaminare, per via delle ragioni espresse in tale sede. Se ciò può essere vero, non può sottacersi che un riconoscimento di questo tipo potrebbe essere attribuito a pari merito anche alla famiglia dei derivati di credito, o credit derivatives86. Quest’ultima costituisce, senza dubbio, una delle categorie più interessanti, ma anche maggiormente controverse, tra quelle emerse nell’ambito della contrattualistica che questi studi cercano di investigare.
La trattazione di tale istituto nell’ambito di una ricerca vertente sui contratti derivati è, ormai, imposta dal suo recente recepimento da parte del T.u.f., il quale all’art. 1, comma 2°, lett. h) - da leggersi in combinato disposto col comma 3° del medesimo articolo - stabilisce che per strumenti finanziari derivati si intendono, tra gli altri, quelli per il trasferimento del rischio di credito; ossia, i credit derivatives. All’elencazione offerta dal T.u.f. verranno dedicate, più in là, riflessioni maggiormente articolate87; ma è opportuno precisare fin da ora che questa figura rientra ormai a pieno titolo – se non altro, dal punto di vista delle definizioni legislative – nell’ambito della categoria dei
84 Esistono numerosissime variabili di contratti swap. Solo per menzionarne alcuni, si possono ricordare i debt to equity swap, nei quali ha luogo uno scambio tra crediti e azioni; i cocktail swap, nei quali ha luogo la combinazione tra operazioni differenti in un unico contratto; oppure, ancora, gli escalating rate swap, gli overnight swap, i rollercoaster swap, gli spreadlock swap, gli inflation swap. Ma l’elenco potrebbe continuare a lungo. Sul punto, GIRINO, I contratti derivati, cit., p. 111 ss.
85 Cfr. § 5 di questo Capitolo.
86 Sui derivati di credito, X. XXXXXXXXXX, Note sui derivati creditizi: market failure o regulation failure?, in Banca, borsa, tit. cred., 2009, 6, p. 652; XXXXXX XXXXXXXX – X. XXXXXX, Trattato sui contratti derivati di credito, Milano, 2007; DE XXXXX, Derivati di credito. Le Definitions ISDA del 2003, in Dir. banca e merc. fin., 2003, 3, p. 591; XXXXX, Credit default option, in Contratti, 2006, p. 823; XXXXXXX, I credit derivatives quali strumenti finanziari derivati, in Contratti, 2003, II, p. 839 e, nell’ambito di trattazioni più generali, XXXXXX XXXXXXXX, Profili civilistici dei contratti “derivati” finanziari, cit., p. 391 ss.; XXXXXX, I contratti derivati, cit., p. 134 ss.
87 V. infra, Cap. II, § 1.
derivati. Questa precisazione appare ancor più pertinente se si rammenta che antecedentemente a questa recente novità normativa, una parte della dottrina, in assenza di una presa di posizione chiara da parte del legislatore, escludeva, sulla base di profili distintivi concernenti la natura di questi accordi, che i credit derivatives potessero essere ricondotti nel novero dei contratti derivati88.
È sorprendente constatare quanto sia stata rapida la diffusione che questi contratti hanno avuto, specie se si considera che la loro origine può essere fatta risalire temporalmente, grosso modo, a non più tardi di due decenni or sono. Le ragioni delle notevoli proporzioni, in termine di capitali negoziati, fatte registrare da questo tipo di operazioni si possono intuire se si considera l’importante funzione economica che essi sono in grado di svolgere89.
Tali contratti consentono, infatti, di trasferire il rischio del credito senza, però, procedere ad una vera e propria cessione del credito stesso90: in altre parole, in presenza di un rapporto obbligatorio sorto in precedenza, il creditore si assicura una forma di protezione dall’eventuale inadempimento del debitore mediante il ricorso ad un nuovo contratto, costituito, appunto, dal derivato di credito.
Esistono una serie di tipologie contrattuali, riconducibili a questa categoria; tuttavia, si può dire che ognuna di esse dà vita, fondamentalmente, ad un modello di rapporto nel quale il soggetto creditore, che intende acquistare questa forma di protezione, paga un premio alla controparte91; quest’ultima, dal canto suo, si impegna a corrispondergli una determinata somma di denaro nell’eventualità in cui abbia luogo un inadempimento da parte del soggetto che riveste la posizione di debitore nel rapporto obbligatorio che si intende “coprire”.
In altri termini, si ipotizzi che il soggetto A sia creditore del soggetto B; A, temendo un inadempimento di B, stipula con C un derivato di credito in base al quale
88 GIRINO, I contratti derivati, Milano, 2001, p, 141 ss. Tale autore, nella precedente edizione del suo contributo monografico, metteva in luce le divergenze esistenti tra i derivati di credito e gli altri derivati, in particolare evidenziando l’assenza della “valorizzazione del differenziale” nel caso dei credit derivatives nonché la mancanza della componente previsionale che caratterizza i derivati. Secondo tale interprete, pertanto “il concomitare di tali carenze” valeva ad “escludere lo strumento in esame dal novero dei contratti derivati”.
89 XXXXXX XXXXXXXX, Profili civilistici dei contratti “derivati” finanziari, cit., p. 393, rifacendosi ai dati forniti dalla International Swaps and Derivatives Association, sottolinea che al 30 giugno 2006 tali strumenti hanno raggiunto un volume d’affari pari a 20.352 miliardi di dollari di contratti in essere. Secondo tale autore, “l’utilizzo crescente di tali nuovi derivati è dovuto al fatto che essi consentono di isolare il rischio di credito dall’attività sottostante e di trattarlo a tutti gli effetti come una commodity, alla stessa stregua delle valute, dei tassi di interesse, dei metalli preziosi, dei cereali ecc.”.
90 E. BARCELLONA, Note sui derivati creditizi, cit., p. 658; XXXXXX XXXXXXXX, Profili civilistici dei contratti “derivati” finanziari, cit., p. 393 s.; DE XXXXX, Derivati di credito, cit., p. 591.
91 Si fa riferimento, ovviamente, alla controparte del derivato di credito, non a quella del rapporto obbligatorio precedente.
quest’ultimo, qualora abbia effettivamente luogo il paventato inadempimento da parte di B, si impegna, sussistendo determinate condizioni, a corrispondere ad A un determinato importo, fissato nel contratto.
Si tratta, ovviamente, di una semplificazione: esistono credit derivatives di vario tipo, alcuni dei quali presentano meccanismi di funzionamento ben più complessi; ma si consideri questa definizione preliminare, corredata da un esempio elementare, una sorta di introduzione semplificata a un argomento la cui complessità merita ben altro approfondimento.
Il vantaggio principale offerto da un contratto così articolato è stato individuato, fondamentalmente, nel fatto che esso offre la possibilità di dare luogo alla copertura di una posizione di rischio evitando, allo stesso tempo, di procedere alla cessione del credito e a tutte le conseguenze che questa comporta92. Peraltro, tale tipo di contratto è stato adoperato, dopo breve tempo, anche come strumento di speculazione93, a dispetto della sua natura che dovrebbe renderlo un rimedio di protezione per antonomasia.
I derivati di credito suscitano, tra gli altri, un interrogativo di particolare rilievo, concernente la determinazione di quelli che possono essere considerati credit event; ossia, quali criteri debbano essere adoperati per considerare, ai fini di questo contratto, rilevante un inadempimento e far scattare l’obbligazione del pagamento della somma da parte del protection seller, venditore della protezione, a favore del protection buyer, acquirente della protezione.
Tuttavia, considerato che si sono diffuse diverse tipologie di credit derivatives, sarà possibile affrontare queste questioni solo successivamente alle descrizione delle fattispecie esistenti sul mercato o, perlomeno, di quelle dotate di maggiore diffusione e importanza.
92 XXXXXX XXXXXXXX, Profili civilistici dei contratti “derivati” finanziari, cit., p. 394 ss. ricorda, altresì, che mediante i derivati di credito è inoltre possibile “diversificare il portafoglio rischi attraverso l’assunzione di esposizioni nei confronti di nominativi o paesi nei cui confronti non è facile avere una relazione diretta oppure dove non si è presenti geograficamente”; inoltre, essi consentono una “attiva ed efficiente gestione del capitale regolamentare”: infatti, poiché le autorità di vigilanza “hanno stabilito che le banche devono mantenere un capitale regolamentare minimo, fronte della propria attività, che viene calcolato in base alle differenti tipologie di operazioni in essere”, attraverso i derivati di credito “è possibile liberare capitale regolamentare in quanto il rischio di credito è traslato sul venditore di protezione che si assume il rischio finale”.
00 XX XXXXX, Xxxxxxxx di credito, cit., p. 594 pone giustamente in luce che “il credit derivative nasce e può essere impiegato come strategia di copertura dal rischio di un’attività sottostante, ma viene poi impiegato largamente – dai soggetti tecnicamente più evoluti – come strumento di speculazione, indipendente dalla circostanza che si trovino esposti con un’attività reale soggetta ad un rischio. Visto da questa angolazione, il derivato di credito perde la sua connotazione “assicurativa”, con la curiosa conseguenza che un contratto derivato di credito stipulato da chi debba proteggere un sottostante potrebbe essere configurato come un’assicurazione, contratto che può essere “venduto” solo da una compagnia abilitata all’esercizio del ramo danni, laddove un contratto privo di sottostante, e quindi privo del connotato assicurativo, potrebbe essere liberamente stipulato tra le parti”.
6.1. Credit default swap e credit default option.
È opportuno iniziare questa panoramica sui derivati di credito soffermandosi, innanzitutto, sulla figura del credit default swap. Si tratta, infatti, di un contratto dotato di una struttura paradigmatica rispetto a quella degli altri modelli di derivati di credito.
Non tragga in inganno il nome: non si tratta di un contratto di tipo swap, il quale, come si è visto, è un contratto finalizzato, mediante lo scambio dei pagamenti incrociati, ad ottenere un differenziale positivo tra le due somme94. Il credit default swap si caratterizza, invece, per essere fornito di una struttura diversa e per perseguire finalità differenti.
Ad un accordo di questo tipo si fa ricorso, solitamente, in presenza di un rapporto obbligatorio preesistente tra due soggetti. Il creditore, temendo un inadempimento del proprio debitore, stipula, divenendo “acquirente di protezione”, un contratto di credit default swap con un ulteriore soggetto - terzo ed estraneo rispetto al rapporto sottostante - detto “venditore di protezione”. Quest’ultimo si impegna a versare all’acquirente di protezione una somma di denaro, nell’eventualità in cui abbia luogo l’inadempimento (i cui caratteri verranno precisati nel contratto) da parte del debitore nel rapporto sottostante. L’acquirente di protezione, per avere diritto ad ottenere una prestazione di questo tipo, si impegna a pagare, in ogni caso, un premio, che verrà trattenuto dal venditore di protezione anche nel caso in cui l’inadempimento del terzo soggetto non si verifichi.
In questo modo, l’acquirente di protezione beneficia di una forma di salvaguardia notevole contro il rischio di un inadempimento della propria controparte; ha, dall’altro lato, la certezza di dover sopportare una perdita limitata, costituita dal premio.
Il venditore di protezione, dal canto suo, rischia, è vero, di dover corrispondere una somma per via della condotta di un terzo, ma ha la certezza di incassare una somma pari al premio. Generalmente, rischi di questo tipo vengono gestiti su larga scala, un po’ come accade nel caso delle assicurazioni; ciò consente al venditore di protezione, il quale sia in grado di stipulare numerosi contratti, di avere la certezza, su base statistica, di non incorrere in situazioni di perdita.
A questo proposito, si può notare come la convenienza dell’operazione dipenda, in larga misura, dal tipo di inadempimento il quale, sulla base delle pattuizioni negoziali, viene considerato rilevante per far scattare l’obbligo al pagamento della somma di
94 Sul punto v. anche XXXXXXX, I credit derivatives quali strumenti finanziari derivati, cit., p. 842.
denaro. Per evitare situazioni di eccessiva incertezza, vengono, normalmente, previsti dei criteri finalizzati a rendere il più possibile oggettivo l’accertamento di un credit event rilevante ai fini del derivato di cui si discorre. Talvolta, viene previsto nelle pattuizioni negoziali che un avvenimento di questo tipo potrà considerarsi avverato unicamente nel momento in cui la notizia venga riportata su determinati organi di stampa e, ovviamente, ciò avvenga indipendentemente dall’intervento dell’acquirente di protezione95.
In determinate circostanze, tuttavia, questa modalità di rilevazione del credit event
non viene ritenuta idonea e si utilizzano criteri maggiormente oggettivi96.
Si è discusso sulla riconducibilità di questo contratto a figure quali il contratto condizionato, la fideiussione, l’assicurazione, l’espromissione o la scommessa, ma le peculiarità che lo connotano hanno condotto ad escluderne l’assimilabilità, tanto più a seguito del recepimento della Mifid che lo ha reso un tipo legislativamente nominato97.
Restano, al momento, da precisare i criteri in base ai quali vengono determinate le prestazioni del credit default swap.
Si è già detto che queste sono costituite da un pagamento in danaro, concernente il premio, che avviene in ogni caso; al quale fa riscontro un pagamento eventuale ad opera della controparte in caso di realizzazione dell’evento.
L’entità del premio dipenderà, logicamente, da fattori quali la situazione patrimoniale del debitore del rapporto sottostante, e quindi la sua solvibilità e la presumibilità che il credit event abbia effettivamente luogo; nonché dalla entità della
95 XXXXXX XXXXXXXX, Profili civilistici dei contratti “derivati” finanziari, cit., p. 399, rileva come “le fonti generalmente riportate in contratto sono quotidiani internazionali a larga diffusione, quali il New York Times ed il Financial Times, o reti di informazioni elettroniche, quali la Reuters ed il Bloomberg”.
96 XXXXXX XXXXXXXX, Profili civilistici dei contratti “derivati” finanziari, cit., p. 400, fa riferimento al criterio della c.d. materiality, in base al quale le parti prevedono che l’evento di credito debba essere sostanziale: in altre parole, “le parti stabiliscono che affinchè l’obbligazione di pagamento del venditore di protezione diventi effettiva, è necessario che il prezzo dell’obbligazione di riferimento diminuisca di una percentuale predefinita a seguito del verificarsi del credit event. Qualora la realizzazione del credit event non dia luogo ad una variazione del prezzo dell’obbligazione di riferimento oltre la soglia concordata, questo sarà da ritenere non sostanziale e, quindi, non integrante la condizione contrattuale cui è subordinata la prestazione del venditore di protezione”.
97 E. BARCELLONA, Note sui derivati creditizi, cit., p. 658 ss., rileva la differenza rispetto alla fideiussione osservando che il derivato può essere venduto “anche ad un soggetto diverso dal creditore” e “più volte anche a fronte di una stessa obbligazione”; inoltre, “la garanzia concessa dal protection seller è suscettibile di essere incorporata in un titolo di credito o comunque in un contratto che può circolare esattamente come l’azione di società”. XXXXXX XXXXXXXX, Profili civilistici dei contratti “derivati” finanziari, cit., p. 401 ss, rileva che il venditore di protezione di un derivato di credito, a differenza di quanto accade nella espromissione, si obbliga a pagare unicamente al verificarsi di un credit event; rispetto all’assicurazione si rileva la differente funzione economico-sociale svolta dai due contratti; quanto al contratto condizionato, si osserva che nell’ipotesi del derivato di credito il contratto è “pienamente efficace fin dal momento della conclusione”; infine, si individua la differenza con la scommessa nel fatto che nei derivati di credito “manca la leggerezza tipica di chi punta sui cavalli o sulla contraddizione della parola altrui”.
somma che il venditore di protezione si impegna a versare qualora sorga l’obbligo di pagamento della stessa alla controparte. L’ammontare del premio sarà rappresentato, ovviamente, da un valore strettamente legato a queste variabili.
Quanto, invece, al calcolo della prestazione dovuta da soggetto che concede la protezione, va detto che questa viene, usualmente, configurata sulla base di una serie di alternative98.
La somma viene conteggiata sulla base di un importo nozionale stabilito nel rapporto di credit default swap. Bisogna rammentare, infatti, che rispetto a quest’ultimo il rapporto sottostante rimane del tutto estraneo: le parti potrebbero non fare alcun riferimento al debito preesistente e pertanto le prestazioni dovranno essere determinate in via autonoma. La quantificazione della cifra dipende dalle scelte pattizie espresse in ordine alla determinazione dell’importo nozionale su cui insiste il derivato di credito.
Talvolta, l’entità della somma corrisponde esattamente all’ammontare del credito vantato dall’acquirente di protezione nel rapporto sottostante. È evidente che una previsione di questo tipo farà lievitare notevolmente il costo del premio: al verificarsi del credit event, infatti, il disavanzo dovrà essere neutralizzato interamente.
In altri casi, invece, l’importo verrà determinato mediante il calcolo di un valore percentuale, rapportato al capitale nozionale dedotto nel contratto di credit default swap. Più precisamente, il venditore di protezione non sarà tenuto a corrispondere una cifra pari all’intero importo debitorio, bensì una somma inferiore calcolato in misura percentuale rispetto alla cifra di riferimento.
Infine, va ricordato che i contratti prevedono, talvolta, che la prestazione del venditore di protezione venga parametrata sulla base di determinati indici di riferimento99.
La dottrina ha individuato una variante rispetto a questo contratto. Si tratta di una figura denominata credit default swap “complesso”, in cui alle obbligazioni già viste se ne aggiunge una ulteriore, costituita dal trasferimento, da parte del compratore e a favore del venditore di protezione, di un credito pecuniario100.
Contestualmente al credit default swap pare conveniente trattare anche un altro tipo di derivato di credito, denominato credit default option. Questo contratto costituisce,
98 Sul punto, XXXXXXX, I credit derivatives quali strumenti finanziari derivati, cit., p. 842.
99 Così XXXXXX XXXXXXXX, Profili civilistici dei contratti “derivati” finanziari, cit., p. 401.
100 La descrizione di tale fattispecie e la sua riconducibilità, sotto il profilo causale, al credit default swap semplice è stata proposta, in dottrina, da XXXXXX XXXXXXXX, Profili civilistici dei contratti “derivati” finanziari, cit., p. 418.
infatti, il risultato di una sorta di combinazione tra la fattispecie di cui si è parlato finora e i derivati di tipo option101.
Nel caso dei credit default option, infatti, il compratore di protezione non acquista, come nel caso precedente, il diritto, al verificarsi del credit event, di ottenere una determinata somma dalla controparte; bensì quello di pervenire, con quest’ultima, alla stipula di un ulteriore negozio: generalmente, una cessione del credito o una compravendita di titoli obbligazionari102. In altre parole, il venditore di protezione, a fronte dell’ottenimento di un premio, si vincola alla stipula di questi contratti.
La ratio di un’operazione di questo tipo è intuibile, se si pensa alla funzione svolta dai credit derivatives. Ad essa ricorrerà, come nell’ipotesi precedente, un soggetto il quale sia titolare di una posizione creditizia derivante da un rapporto sorto in precedenza. Venditore di protezione sarà, invece, un soggetto che avrà interesse ad incamerare il valore del premio.
Nell’eventualità in cui si verifichi l’evento rilevante, il soggetto beneficiario dell’opzione non riceverà una somma di denaro, bensì potrà decidere, se vorrà, di liberarsi del proprio credito sulla base delle condizioni prestabilite in sede di stipula dell’opzione. Il venditore di protezione avrà diritto sempre e comunque al premio, e ciò gli permetterà di ottenere un profitto qualora l’evento non abbia luogo. Ovviamente, la probabilità che questo si realizzi si ripercuoterà sul costo del premio.
Nell’ipotesi opposta, ossia quella di realizzazione del credit event, il medesimo soggetto sarà, invece, tenuto a sottostare alla decisione della controparte; la quale, ovviamente, godrà della vantaggiosa possibilità di valutare se, alla luce della situazione esistente in quel momento, permanga la convenienza di procedere al trasferimento del credito sulla base delle condizioni stabilite in partenza.
6.2. Altre tipologie di credit derivatives.
La categoria dei derivati di credito è composta, oltre che dalle due fattispecie contrattuali appena esaminate, da una serie di modelli talmente variegati da far seriamente dubitare – come è stato posto in luce anche dalla dottrina103 - della
101 L’osservazione è di XXXXX, Credit default option, cit., p. 824.
102 XXXXX, Credit default option, cit., p. 824; XXXXXX XXXXXXXX, Profili civilistici dei contratti “derivati” finanziari, cit., p. 431.
103 XXXXXXX, I credit derivatives quali strumenti finanziari derivati, cit., p. 840 rileva, infatti, che “la centralità del credito, così rilevante da un punto di vista finanziario da far ipotizzare il credito quale
possibilità di considerare quella di cui si discorre in termini di categoria unitaria. Tali accordi, che hanno, tutti, in comune l’elemento del credit event nonché del rapporto tra un acquirente e un venditore di protezione, differiscono per i criteri adoperati ai fini della determinazione e delle modalità di esecuzione delle prestazioni contrattuali. Esaminati i contratti credit default swap e option, ecco una rapida panoramica sugli altri derivati di credito maggiormente significativi104.
Anche il credit spread swap si caratterizza in quanto l’obbligazione del venditore di protezione è costituita dal pagamento di una prestazione pecuniaria al verificarsi del credit event. L’evento rilevante è, tuttavia, rappresentato, in questo caso, dal fatto che il valore di una determinata obbligazione di riferimento superi una determinata soglia. Il pagamento di una prestazione pecuniaria sarà, invece, dovuto dall’acquirente di protezione qualora tale valore rimanga al di sotto di un determinato livello.
È legato a questa fattispecie il diverso contratto di credit spread option. Esso attribuisce, infatti, al beneficiario, il diritto di concludere, nel termine stabilito, proprio un contratto di credit spread swap (il che spiega il nome attribuito a questo tipo di opzione) sulla base di condizioni prestabilite in sede di stipula. Pertanto, il venditore di protezione, a fronte dell’ottenimento di un quantum in misura fissa, sarà tenuto a “subire” la scelta della controparte, a cui spetta ogni decisione in ordine alla possibilità di avvalersi o meno della facoltà acquisita mediante il pagamento del premio.
È legato all’andamento di una obbligazione di riferimento anche il complesso contratto denominato Total rate of return swap105.
Infine, merita di essere citata la c.d. credit linked note, un particolare tipo di obbligazione che costituisce la risultante della cartolarizzazione di un derivato di credito; essa si caratterizza per il fatto di essere rimborsabile a seguito del verificarsi di un credit event costituito, appunto, dal “deterioramento del merito creditizio di soggetti terzi”106.
“merce” in senso lato, non consente certo di superare le differenze tra i vari schemi contrattuali né di raggrupparli in un unico genere, salva la possibilità di utilizzare una espressione (contratti derivati di credito) meramente descrittiva a fini di semplicità comunicativa”. Tale autore conclude nel senso di non ritenere possibile parlare “unitariamente, da un punto di vista giuridico, di contratti derivati sui crediti”.
104 GIRINO, I contratti derivati, cit., p. 137 ss; XXXXXX XXXXXXXX, Profili civilistici dei contratti “derivati” finanziari, cit., p. 436 ss.; XXXXXXX, I credit derivatives quali strumenti finanziari derivati, cit., p., 839 ss.
105 TAROLLI, Trasferimento del rischio di credito e trasparenza del mercato: i credit derivatives, in Giur. comm., 2008, 6, p. 1169; XXXXXX XXXXXXXX, Profili civilistici dei contratti “derivati” finanziari, cit., p. 453 ss.
106 GIRINO, I contratti derivati, cit., p. 140. Sul punto, cfr., altresì, XXXXXXX, I credit derivatives quali strumenti finanziari derivati, cit., p. 839; XXXXXX XXXXXXXX, Profili civilistici dei contratti “derivati” finanziari, cit., p. 465.
7. Cenni sui contratti differenziali.
Non si può concludere questo excursus descrittivo sulle principali fattispecie di contratti derivati senza fare un breve cenno sui contratti differenziali. Di questi contratti non si sarebbe, probabilmente, parlato in questo studio se esso fosse stato svolto antecedentemente al recepimento della direttiva Xxxxx; sennonchè, il d. lgs. 17 settembre 2007, n. 164, ha modificato l’art. 1 del Tuf, il quale ora afferma espressamente che anche i contratti differenziali vanno considerati strumenti finanziari derivati. La questione merita una precisazione, anche alla luce delle considerazioni espresse, in merito, dagli interpreti. Prima di questa modifica legislativa, infatti, gli studiosi più attenti tendevano a tenere separata la categoria dei derivati da quella dei differenziali107.
Si parla, in dottrina, di differenziali semplici e complessi. I primi consistono, sostanzialmente, in una compravendita a termine, senza consegna del bene né pagamento del corrispettivo in denaro, che viene regolata attraverso la corresponsione della differenza tra il prezzo del bene compravenduto determinato nella stipula e quello di mercato al momento della scadenza108.
I differenziali complessi vengono, invece, distinti in propri e impropri. Entrambi hanno luogo mediante la conclusione di due differenti contratti a termine: nel caso dei differenziali propri, tra le medesime parti; nell’altra ipotesi, tra soggetti diversi. Si tratta sempre di contratti di segno opposto, ma con identica scadenza, aventi ad oggetto la compravendita di determinati beni. Lo scarto tra i prezzi al momento della scadenza dà luogo ad una differenza la quale viene regolata attraverso l’istituto della compensazione. Ovviamente, solamente una delle parti otterrà un profitto da tale differenziale.
In dottrina è stata esclusa l’assimilabilità dei differenziali ai derivati. Con riferimento ai differenziali complessi si è argomentato nel senso che essi, rilevata l’autonomia dei due contratti che danno luogo alla fattispecie, sarebbero, semmai, riconducibili ai titoli sintetici109; con riguardo ai differenziali semplici, invece, l’esclusione viene motivata rilevando che la corresponsione dello scarto tra i due importi, nel caso del differenziale, costituisce, semplicemente, una modalità di esecuzione delle prestazioni contrattuali che peraltro potrebbe anche non avere luogo;
107 XXXXXX, I contratti derivati, cit., p.189 ss.
108 XXXXXX XXXXXXXX, Profili civilistici dei contratti “derivati” finanziari, cit., p. 438.
109 XXXXXX, I contratti derivati, cit., p. 190.
diversamente dal caso dei derivati, nei quali l’ottenimento del differenziale rappresenta, invece, la finalità stessa del contratto110. E’ stato, così, affermato che la scelta legislativa che ha inserito i differenziali nell’ambito dei derivati sarebbe il frutto della riproduzione testuale del testo della direttiva Mifid, operata attraverso una traduzione strettamente letterale che non è riuscita a coordinare i dettami comunitari con le categorie proprie dell’ordinamento italiano111.
Il problema, comunque, permane; sarà interessante verificare quale posizione sarà assunta dalla giurisprudenza quando verranno emanate le prime pronunce su fattispecie riguardate dalla nuova classificazione legislativa.
Va detto, in ogni caso, che a questo punto la distinzione teorica perderà, probabilmente, importanza, dato che differenziali e derivati saranno assoggettati alla medesima disciplina; e forse si può pensare che l’intenzione del legislatore sia stata proprio quella di evitare le conseguenze negative potenzialmente discendenti dalla difficoltà di distinguere le due categorie: la loro assimilazione a fini normativi potrebbe generare, da questo punto di vista, una semplificazione che agevolerà l’interprete nelle decisioni in ordine alla disciplina applicabile a tali fattispecie.
8. Considerazioni di sintesi alla luce della descrizione delle principali fattispecie.
Questa fase del presente studio, sebbene tesa alla descrizione delle fattispecie contrattuali, rende comunque utile la proposizione di alcune brevi riflessioni scaturenti da quanto si è fin qui osservato.
Va detto, innanzitutto, che la ricognizione finora svolta non nutriva l’ambizione di abbracciare l’intero ambito delle contrattazioni in derivati o di coglierne ogni tipo di peculiarità. Esistono, infatti, nella prassi, numerosissime figure le quali differiscono dagli archetipi per via di una serie più o meno ampia di varianti, che possono valere a distinguere un determinato derivato dagli altri. Mutano, talvolta, il parametro di riferimento; la modalità di calcolo delle prestazioni; le scansioni temporali; le modalità
110 GIRINO, I contratti derivati, cit., p. 191.
111 Secondo GIRINO, I contratti derivati, cit., p. 192, “i contratti finanziari differenziali menzionati dal nuovo art. 1 T.u.f non coincidono né con la storica nozione di affare differenziale semplice né con una nuova o atipica categoria, la locuzione consistendo in una mera traduzione del suaccennato termine inglese sostanzialmente priva di rilievo per il nostro ordinamento, sia perché la differenzialità è altrove già prevista dalla norma, sia perché l’equity derivative ricade de plano nella nozione di derivato classico di cui all’art. 1, comma 2°, lettera a) del Tuf”.
di negoziazione. Ma la logica che governa ciascuna di queste figure non diverge più di tanto da quella applicata ai modelli che ci si è impegnati a descrivere.
Tentare di inseguire la creatività degli operatori del mercato, i quali propongono continuamente strutture contrattuali di nuovo conio, sarebbe proibitivo.
Vi è stata, negli ultimi decenni, una fioritura di nuovi derivati che sorprenderebbe per originalità unicamente se non si tenesse a mente quanto si è detto nel ricordare che essi potrebbero funzionare riferendosi ai parametri più diversi. Ed infatti, sono stati ideati, ad esempio, derivati meteorologici, che consentono di ovviare alle negative conseguenze economiche originate dalle avverse condizioni climatiche112; derivati sulle tariffe di trasporto, con cui si cerca di far fronte alle variazioni dei costi di tali attività che spesso incidono in misura determinante sulla vita delle imprese113; per non parlare dei derivati legati al mercato degli immobili o a quello dell’energia114.
Esistono, poi, fattispecie per le quali è discussa la riconducibilità alle categorie descritte in precedenza, costituendo forse modelli a sé stanti: si pensi ai forward rate agreement115. Oppure altre che invece sono costituite dalla combinazione di più derivati: ci si riferisce ai derivati sintetici e a quelli complessi116.
112 Nei contratti di questo genere, lo strumento sottostante è costituito dalla variazione climatica; si tiene conto, ad esempio, della variazione della temperatura atmosferica oltre una certa misura. Questa variazione viene applicata ad un capitale convenzionale, e darà luogo ad un flusso di pagamento a favore di una delle parti. Cfr. XXXXXX, I contratti derivati, cit., p. 144.
113 Si tratta di un “contratto in base al quale un contraente si impegna a pagare all’altro una somma di denaro calcolata come una tariffa di trasporto determinata al momento della conclusione del contratto e l’altro contraente si obbliga a effettuare il pagamento di una somma alla stessa tariffa calcolata in un momento successivo”; tali derivati consentono di coprire i rischi derivanti dagli aumenti delle tariffe. Così, XXXXXX XXXXXXXX, Profili civilistici dei contratti “derivati” finanziari, cit., p. 561 ss.
114 XXXXXX XXXXXXXX, Profili civilistici dei contratti “derivati” finanziari, cit., p. 575, ricorda che tradizionalmente chi avesse voluto investire nel settore immobiliare aveva a disposizione tre alternative: acquistare beni immobili, azioni di società immobiliari o quote di fondi immobiliari. Ora se ne aggiunge una quarta, che consiste “nell’assumere esposizione al mercato immobiliare attraverso un total rate of return swap”, e lo spiega col seguente esempio: “si supponga che un gestore di un portafoglio immobiliare di 500 milioni di euro tema un calo del mercato immobiliare. Egli potrà vendere gli immobili, nei tempi non brevi che sono necessari per tali operazioni sopportando i relativi costi e implicazioni fiscali, oppure può concludere un total return swap nel quale paga un importo pari alla performance dell’indice immobiliare che meglio replica il suo portafoglio immobiliare”.
Quanto, invece, ai derivati sull’energia, va detto che essi vengono negoziati nel segmento IDEX della Borsa. Si tratta, in particolare, di contratti di tipo future, parametrati sul prodotto del prezzo di un Megawatt di potenza per il numero di Megawatt forniti in un determinato periodo di tempo. Sul punto,
v. anche XXXXXX, I contratti derivati, cit., p. 569.
115 XXXXXXXXXXX, Le operazioni di swap, cit., p. 115 ss., definisce il F.r.a. come il contratto in forza del quale “due soggetti convengono di scambiarsi l’eventuale futuro vantaggio derivante dalla fluttuazione dei tassi di interesse con l’eventuale futuro svantaggio” e lo riconduce alla famiglia degli swap. Una definizione leggermente diversa viene apprestata da MAZZALOVO – XXXX XXXXXX, Forward rate agreement, in Amm. fin., 1988, 20, p. 1153, il quale descrive il F.r.a. come “un contratto in forza del quale due controparti si accordano su un tasso di interesse che sarà liquidato sulla base di un deposito di importo certo con scadenza predefinita a partire da una specifica data futura”.
116 I derivati c.d. sintetici, sono stati definiti come una “sintesi economica frutto della combinazione di unità contrattuali giuridicamente distinte”, mentre i derivati c.d. complessi, sono costituiti dal “connubio tra derivati che la volontà delle parti fonde in un unico titolo negoziale”. Entrambe le definizioni sono di
Come si può notare, la gamma è vastissima. Tuttavia, partendo dalla descrizione dei modelli di base selezionati per questo studio, ci si può impadronire dei criteri utili per intuire i congegni giuridico-economici sottesi ad ogni tipo di derivato. In questa sede ci si può limitare unicamente a fornire tale tipo di spunto; solamente l’analisi concreta e pratica della miriade di singoli contratti, negoziati nel mondo reale dei mercati finanziari, può, infatti, consentire di individuarne le varianti che rendono unico ciascuno di essi.
Per il momento, pare prematuro procedere al tentativo di individuare – qualora esistano – i tratti comuni a tutte le singole categorie di derivati fin qui considerate. A tal fine, non è sufficiente la descrizione di questi contratti ma è necessario coglierne l’essenza giuridica. È necessario, dunque, rinviare tale esperimento alla fase conclusiva della presente analisi, quando si avrà un quadro completo del problema non solo dal punto di vista descrittivo ma anche sotto il profilo concernente la natura di questi accordi così particolari.
XXXXXX, I contratti derivati, (ed. 2001), cit., p. 123. Al riguardo, si veda anche CAPRIGLIONE, I prodotti “derivati”, cit., p. 365.
CAPITOLO II
I DERIVATI NELL’ORDINAMENTO ITALIANO
SOMMARIO: 1. Il recepimento normativo delle fattispecie diffuse nella prassi. – 2. Derivati uniformi e over the counter: necessità di una distinzione. – 2.1. Derivati uniformi: modalità di contrattazione e disciplina positiva. – 2.2. Derivati negoziati over the counter. – 3. Il ruolo svolto dagli intermediari finanziari nelle operazioni riguardanti contratti derivati. – 3.1. Limitazioni soggettive alla stipula di contratti derivati. – 3.2. I contratti derivati nel sistema dell’intermediazione finanziaria e dei servizi di investimento. – 4. Mark to market, up-front, rinegoziazione. – 5. Cenno sugli ulteriori provvedimento normativi aventi ad oggetto derivati.
1. Recepimento normativo delle fattispecie diffuse nella prassi.
Nel momento in cui si è riflettuto su come articolare il presente studio, si è ritenuto preferibile, come si sarà notato, anteporre un quadro ricognitivo delle negoziazioni in voga nella prassi rispetto all’illustrazione delle definizioni che, delle medesime, sono state offerte dal legislatore.
Si è trattato, dunque, di una scelta non casuale, volta all’effettuazione di un esperimento che è parso utile ed interessante. In sostanza, ci si è voluti collocare nel medesimo angolo visuale del legislatore; il quale, chiamato a regolare una materia tanto complessa, si è trovato nella non semplice condizione di dover prima valutare e quindi selezionare il criterio maggiormente idoneo a recepire normativamente al meglio, ed in maniera organica, una così vasta e multiforme varietà di figure contrattuali.
Si è, così, pensato che muovendo dalla descrizione delle negoziazioni più diffuse nei mercati, piuttosto che dal quadro che di esse è stato fornito dalla legge, si potessero offrire spunti di ragionamento più significativi: innanzitutto, stabilire quali alternative fossero a disposizione del legislatore nel momento in cui si è dovuta approntare la regolamentazione di questi contratti; in secondo luogo, verificare se l’impostazione adottata dalla legge possa essere condivisa o meno; ovviamente, argomentandone le valutazioni.
In sintesi: esaminare il testo normativo avendo ben presenti le figure che esso mira a disciplinare consente di cogliere meglio la portata di tali disposizioni rispetto a quanto avverrebbe se si scegliesse il percorso metodologico inverso.
Il compito che il legislatore ha dovuto svolgere, nel momento in cui è divenuto necessario recepire normativamente figure socialmente tipiche, si rivela in tutta la sua importanza se solo si tiene conto di alcuni aspetti.
I rischi che si correvano erano almeno due: in primis, quello di lasciar fuori dal dettato della legge figure comunque riconducibili alla categoria dei derivati. Ciò sarebbe potuto accadere qualora si fosse optato per una descrizione troppo dettagliata dei singoli contratti. D’altro canto, una definizione troppo generica avrebbe potuto rivelarsi sostanzialmente superflua, in quanto, in caso di controversie giudiziarie, avrebbe rimesso all’elaborazione giurisprudenziale il compito di precisare la natura di questi accordi.
Il dilemma del legislatore stava, pertanto, nel dover scegliere se optare per una tipizzazione puntuale e particolareggiata delle singole fattispecie, col connesso pericolo di non riuscire ad offrire una definizione in grado di abbracciare tutte le varianti sviluppate dagli operatori; oppure, viceversa, se fornire definizioni più sfumate le quali, pur scongiurando il rischio derivante dalla prima alternativa, avrebbero potuto prestare il fianco ad un’altra critica, altrettanto fondata: quella incentrata sull’indeterminatezza di un dettato normativo vago, con ovvi riflessi sotto il profilo della certezza del diritto.
L’importanza di una corretta ricostruzione normativa si coglie immediatamente se si considera che l’esclusione di determinate fattispecie dal novero dei derivati comporterebbe l’impossibilità di applicare ad esse una disciplina finalizzata, in massima misura, a tutelare l’investitore.
Ecco individuata – lo si può premettere fin d’ora – la ragione per la quale ci pare che il legislatore abbia preferito predisporre formule il più possibile inclusive, le quali, nel dubbio sulla riconducibilità di determinati contratti al novero dei derivati, consentono di optare per la soluzione affermativa.
Del resto, nel nostro ordinamento si erano avute esperienze concrete, e non certo positive, legate alle incertezze che, con riferimento all’argomento di cui si discorre, possono derivare da un recepimento legislativo non del tutto puntuale. Nel vigore della
l. 2 gennaio 1991, n. 1 - con cui si effettuò uno dei primi tentativi di regolamentazione della materia - sorsero rilevanti problemi in ordine alla qualificazione degli swap e,
conseguentemente, al regime legale ad essi applicabile. Tale normativa aveva, infatti, preso in considerazione in maniera netta unicamente i future e le option. Così, per ripianare i contrasti interpretativi originati da tale lacuna, fu necessaria una chiara presa di posizione da parte della giurisprudenza117.
L’entrata in vigore del d. lgs. 23 luglio 1996, n. 415 – noto come Decreto Eurosim - e, dopo breve tempo, del d. lgs. 23 febbraio 1998, n. 58 - Testo Unico della Finanza – consentì di risolvere più d’uno dei dubbi sorti a causa delle disposizioni previgenti; peraltro lasciandone, al contempo, insoluti diversi altri.
Il T.u.f. qualificava espressamente come “strumenti finanziari derivati” i future, le option, gli swap e i contratti a termine collegati a strumenti finanziari, a tassi di interesse, a valute, a merci e ai relativi indici, anche nelle ipotesi in cui l’esecuzione avvenisse “attraverso il pagamento di differenziali in contanti”. Includeva, altresì, nell’ambito di tale gamma le combinazioni tra i contratti citati118.
Da un lato, dunque, il legislatore operava un’importante tipizzazione di figure già diffuse nella prassi; senza, peraltro, procedere ad una descrizione puntuale della struttura negoziale, lasciata alle elaborazioni degli interpreti.
E’ evidente come la genericità della definizione avesse il preciso scopo di inglobare tutti i contratti riconducibili all’area degli swap, dei future ecc., anche quando caratterizzati da profili peculiari rispetto ai modelli paradigmatici.
Peraltro, come anticipato poc’anzi, tale intervento normativo lasciava aperte altre questioni; ad esempio, non chiariva se potessero essere annoverati nell’ambito di tale categoria i derivati di credito; tanto che una parte della dottrina giunse a fornire una risposta negativa a tale quesito119. Si può ben immaginare quali ripercussioni potessero essere determinate da tale situazione di incertezza: non tanto nella prospettiva di mere
117 La ricostruzione di tale problema verrà effettuata in via più approfondita in un apposito paragrafo. X.
xxxxx, Xxx. XXX, § 0.
118 Più precisamente, l’art. 1, comma 2°, T.u.f. nella sua formulazione previgente qualificava come strumenti finanziari derivati: “f) i contratti futures su strumenti finanziari, su tassi di interesse, su valute, su merci e sui relativi indici, anche quando l’esecuzione avvenga attraverso il pagamento di differenziali in contanti; g) i contratti di scambio a pronti e a termine (swaps) su tassi di interesse, su valute, su merci nonché su indici azionari (equity swaps) anche quando l’esecuzione avvenga attraverso il pagamento di differenziali in contanti; h) i contratti a termine collegati a strumenti finanziari, a tassi di interesse, a valute, a merci e ai relativi indici, anche quando l’esecuzione avvenga attraverso il pagamento di differenziali in contanti; i) i contratti di opzione per acquistare o vendere gli strumenti indicati nelle precedenti lettere e i relativi indici, nonché i contratti di opzione su valute, su tassi di interesse, su merci e sui relativi indici, anche quando l’esecuzione avvenga attraverso il pagamento di differenziali in contanti; j) le combinazioni di contratti o di titoli indicati nelle precedenti lettere”.
119 X. XXXXXX, I contratti derivati, ediz. 2001, cit., 135 ss., prendendo in considerazione la figura del credit default swap, affermava che in questo tipo di operazione difetterebbero le caratteristiche della “compravendita del differenziale” e della stima previsionale in ordine al valore dell’entità fondamentale.
schematizzazioni teoriche, quanto sotto il profilo della disciplina applicabile a contrattazioni ormai in grado di generare volumi d’affari ragguardevoli.
Le discussioni legate a tali incertezze testuali hanno avuto, però, breve durata: il quadro normativo è stato, infatti, nuovamente alterato a seguito dell’impulso proveniente dalle fonti comunitarie. In data 21 aprile 2004, per la precisione, è stata approvata la Direttiva n. 2004/39/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio, relativa ai mercati degli strumenti finanziari e meglio conosciuta con l’acronimo Mifid (Market in Financial Instruments Directive).
Con riferimento allo specifico settore dei derivati, il recepimento della direttiva Mifid nell’ordinamento italiano – che ha avuto luogo mediante l’entrata in vigore del d.lgs. 17 settembre 2007, n. 164 il quale, a sua volta, ha novellato il Testo Unico della Finanza120 – è avvenuto secondo modalità che suscitano talune perplessità per diversi motivi. In primo luogo, perché è stata operata una mera traduzione letterale del testo comunitario121, senza alcun adattamento delle disposizioni della direttiva alla realtà
120 Sul recepimento della Mifid nell’ordinamento italiano, CAPRIGLIONE, I “prodotti” di un sistema finanziario evoluto. Quali regole per le banche?, in Banca, borsa, tit. cred., 2008, 1, p. 21 ss.
121 Ci si riferisce, in particolare, alla sezione C dell’Allegato I alla Direttiva, il quale riporta l’elenco di quelli che, secondo tale provvedimento, vanno considerati strumenti finanziari. Tra questi, compaiono gli strumenti finanziari derivati; più in particolare:
“(4) Contratti di opzione, contratti finanziari a termine standardizzati («future»), «swap», accordi per scambi futuri di tassi di interesse e altri contratti su strumenti derivati connessi a valori mobiliari, valute, tassi di interesse o rendimenti, o di altri strumenti finanziari derivati, indici finanziari o misure finanziarie che possono essere regolati con consegna fisica del sottostante o attraverso il pagamento di differenziali in contanti.
(5) Contratti di opzione, contratti finanziari a termine standardizzati («future»), «swap», accordi per scambi futuri di tassi di interesse ed altri contratti su strumenti derivati connessi a merci quando l'esecuzione deve avvenire attraverso il pagamento di differenziali in contanti oppure possa avvenire in contanti a discrezione di una delle parti (invece che in caso di inadempimento o di altro evento che determini la risoluzione).
(6) Contratti di opzione, contratti finanziari a termine standardizzati («future»), «swap» ed altri contratti su strumenti derivati connessi a merci quando l'esecuzione avvenga attraverso il pagamento di differenziali in contanti purché negoziati su un mercato regolamentato e/o in un sistema multilaterale di negoziazione.
(7) Contratti di opzione, contratti finanziari a termine standardizzati («future»), «swap», contratti a termine («forward») ed altri contratti su strumenti derivati connessi a merci che non possano essere eseguiti in modi diversi da quelli citati al punto C.6 e non abbiano scopi commerciali, aventi le caratteristiche di altri strumenti finanziari derivati, considerando, tra l'altro, se sono compensati ed eseguiti attraverso stanze di compensazione riconosciute o se sono soggetti a regolari richieste di margini.
(8) Strumenti finanziari derivati per il trasferimento del rischio di credito.
(9) Contratti finanziari differenziali.
(10)Contratti di opzione, contratti finanziari a termine standardizzati («future»), «swap», contratti a termine sui tassi d'interesse e altri contratti su strumenti derivati connessi a variabili climatiche, tariffe di trasporto, quote di emissione, tassi di inflazione o altre statistiche economiche ufficiali, quando l'esecuzione debba avvenire attraverso il pagamento di differenziali in contanti o possa avvenire in tal modo a discrezione di una delle parti (invece che in caso di inadempimento o di altro evento che determini la risoluzione del contratto), nonché altri contratti su strumenti derivati connessi a beni, diritti, obblighi, indici e misure, non altrimenti citati nella presente sezione, aventi le caratteristiche di altri strumenti finanziari derivati, considerando, tra l'altro, se sono negoziati su un mercato regolamentato o
economica italiana (basti pensare all’inclusione nell’elenco della discussa categoria dei differenziali)122; secondariamente, perché la nuova classificazione è stata nettamente incentrata sulla natura del parametro di riferimento, anziché sulle caratteristiche della struttura negoziale dei contratti derivati presi in considerazione. Su questo problema, tuttavia, è preferibile tornare in seguito ad un commento sul dettato normativo attualmente vigente, del quale è giunto, a questo punto, il momento di avviare l’analisi. L’art. 1, comma 1°, lett. u), T.u.f., stabilisce che costituiscono prodotti finanziari gli strumenti finanziari e “ogni altra forma di investimento di natura finanziaria”. Pertanto
– e si tratta di una distinzione che ha rilievo sotto numerosi ed importanti profili - gli strumenti finanziari costituiscono una species della più ampia categoria dei prodotti finanziari123.
Per comprendere quali siano, concretamente, gli strumenti finanziari considerati dalla norma, ci si deve riallacciare a quanto previsto dal secondo comma del medesimo art. 1 T.u.f.: tale disposizione, infatti, predispone un elenco di figure, stabilendo che esse vanno considerate, ex lege, strumenti finanziari. L’enumerazione inizia prendendo in considerazione alla lett. a) i valori mobiliari e, alle lett. b) e c), gli strumenti del mercato monetario e le quote di un organismo di investimento collettivo del risparmio124.
Tuttavia, i punti di tale elenco che si rivelano di maggiore interesse ai fini della presente ricerca sono i successivi, i quali, tra l’altro, completano la categoria degli strumenti finanziari: più, in particolare, quelli contrassegnati dalle lettere d), e), f), g), h), i) e j).
La ragione è semplice, e va ricercata nel disposto dell’art. 1, comma 3°, T.u.f.: tale norma, infatti, afferma espressamente che gli strumenti finanziari previsti dal comma 2° ai punti appena menzionati, ai quali vanno aggiunti gli strumenti indicati all’art. 1 bis, lett. d), sono, appunto, classificati dalla legge come “strumenti finanziari derivati”. Pare opportuno riportare di seguito l’elenco apprestato dal T.u.f.: sia per non tralasciare alcun elemento tra quelli presi in considerazione dal legislatore; sia per valutare meglio la tecnica legislativa utilizzata; la quale, in quanto a chiarezza testuale,
non può che suscitare serie perplessità.
In base alla legge italiana, sono, dunque, considerati strumenti finanziari derivati:
in un sistema multilaterale di negoziazione, se sono compensati ed eseguiti attraverso stanze di compensazione riconosciute o se sono soggetti a regolari richieste di margini”.
122 X. xxxxx, Xxx. X, § 0.
000 Xx tale questione si rinvia al Cap. III, § 2.
124 Si tornerà più avanti sul tema concernente gli strumenti finanziari. X. xxxxx, Xxx. XXX, § 0.
“d) contratti di opzione, contratti finanziari a termine standardizzati («future»),
«swap», accordi per scambi futuri di tassi di interesse e altri contratti derivati connessi a valori mobiliari, valute, tassi di interesse o rendimenti, o ad altri strumenti derivati, indici finanziari o misure finanziarie che possono essere regolati con consegna fisica del sottostante o attraverso il pagamento di differenziali in contanti;
e) contratti di opzione, contratti finanziari a termine standardizzati («future»),
«swap», accordi per scambi futuri di tassi di interesse e altri contratti derivati connessi a merci il cui regolamento avviene attraverso il pagamento di differenziali in contanti o può avvenire in tal modo a discrezione di una delle parti, con esclusione dei casi in cui tale facoltà consegue a inadempimento o ad altro evento che determina la risoluzione del contratto;
f) contratti di opzione, contratti finanziari a termine standardizzati («future»),
«swap» e altri contratti derivati connessi a merci il cui regolamento può avvenire attraverso la consegna del sottostante e che sono negoziati su un mercato regolamentato e/o in un sistema multilaterale di negoziazione;
g) contratti di opzione, contratti finanziari a termine standardizzati («future»),
«swap», contratti a termine («forward») e altri contratti derivati connessi a merci il cui regolamento può avvenire attraverso la consegna fisica del sottostante, diversi da quelli indicati alla lettera f), che non hanno scopi commerciali, e aventi le caratteristiche di altri strumenti finanziari derivati, considerando, tra l'altro, se sono compensati ed eseguiti attraverso stanze di compensazione riconosciute o se sono soggetti a regolari richiami di margini;
h) strumenti derivati per il trasferimento del rischio di credito;
i) contratti finanziari differenziali;
j) contratti di opzione, contratti finanziari a termine standardizzati («future»),
«swap», contratti a termine sui tassi d'interesse e altri contratti derivati connessi a variabili climatiche, tariffe di trasporto, quote di emissione, tassi di inflazione o altre statistiche economiche ufficiali, il cui regolamento avviene attraverso il pagamento di differenziali in contanti o può avvenire in tal modo a discrezione di una delle parti, con esclusione dei casi in cui tale facoltà consegue a inadempimento o ad altro evento che determina la risoluzione del contratto, nonché altri contratti derivati connessi a beni, diritti, obblighi, indici e misure, diversi da quelli indicati alle lettere precedenti, aventi le caratteristiche di altri strumenti finanziari derivati, considerando, tra l'altro, se sono negoziati su un mercato regolamentato o in un sistema multilaterale di
negoziazione, se sono compensati ed eseguiti attraverso stanze di compensazione riconosciute o se sono soggetti a regolari richiami di margini”;
nonché, in base al citato richiamo operato dall’art. 1, comma 3°, all’art. 1, comma 1-bis, lett. d), “qualsiasi altro titolo che comporta un regolamento in contanti determinato con riferimento ai valori mobiliari indicati alle precedenti lettere, a valute, a tassi di interesse, a rendimenti, a merci, a indici o a misure”.
L’elencazione degli strumenti finanziari derivati, peraltro, non termina qui: si deve, infatti, considerare quanto previsto dal comma 2-bis del medesimo art. 1 T.u.f., il quale predispone, per le ragioni di cui in seguito si dirà ma che paiono fin d’ora intuibili, una formula aperta, di chiusura, in base alla quale “il Ministro dell’economia e delle finanze, con il regolamento di cui all’articolo 18, comma 5125, individua:
a) gli altri contratti derivati di cui al comma 2, lettera g), aventi le caratteristiche di altri strumenti finanziari derivati, compensati ed eseguiti attraverso stanze di compensazione riconosciute o soggetti a regolari richiami di margine;
b) gli altri contratti derivati di cui al comma 2, lettera j), aventi le caratteristiche di altri strumenti finanziari derivati, negoziati su un mercato regolamentato o in un sistema multilaterale di negoziazione, compensati ed eseguiti attraverso stanze di compensazione riconosciute o soggetti a regolari richiami di margine”.
Disposizioni normative così ampie e – va detto - criptiche, non possono che fornire lo spunto per più di una riflessione.
La prima osservazione da farsi concerne la tecnica adottata dal legislatore nella descrizione delle figure contrattuali. È stato scelto, anche in questo caso, un approccio che ha l’ambizione – o almeno così pare - di consentire l’inclusione, all’interno di tali formule, del maggior numero possibile di figure contrattuali.
Si prenda in considerazione, ad esempio, la nozione che è stata offerta di contratto future, e la si confronti con la definizione che della medesima figura è stata fornita dal Regolamento della Borsa Italiana126. In quest’ultima ipotesi, infatti, la norma regolamentare fa espresso riferimento allo scambio del sottostante, al prezzo predefinito, allo scambio di una somma di denaro determinata come differenza. Si fornisce, in altre parole, almeno un’idea sulla conformazione del contratto.
125 Si tratta di un regolamento adottato “sentite la Banca d’Italia e la Consob”.
126 Si rammenta, per comodità, che l’art. 4.7.1 del Regolamento di Borsa Italiana prevede che “per contratto futures si intende uno strumento finanziario di cui all’articolo 1, comma 2, lettera f) del Testo Unico della Finanza con il quale le parti si impegnano a scambiarsi alla scadenza un certo quantitativo dell’attività sottostante a un prezzo prestabilito. La liquidazione a scadenza del contratto può altresì avvenire mediante lo scambio di una somma di denaro determinata come differenza tra il prezzo di conclusione del contratto e il suo prezzo di liquidazione”.
Il T.u.f., invece, parla dei future come di “contratti a termine standardizzati”, ma nulla dice sulla struttura contrattuale, se non che possono essere regolati anche mediante il pagamento del solo differenziale. Un giurista il quale, ipoteticamente, dovesse esaminare questi due testi normativi senza essere venuto preventivamente a conoscenza dell’operazione economica che essi mirano a disciplinare, potrebbe intuire i meccanismi di funzionamento del contratto se si rifacesse al testo del Regolamento di Xxxxx; esaminando il dettato del T.u.f, invece, sarebbe costretto a ricorrere a precedenti elaborazioni dottrinali o giurisprudenziali, nonchè ad esaminare singoli contratti, per rendersi conto del tipo di fattispecie con le quali si sta rapportando.
Sembra trattarsi, pare utile ribadirlo, di una precisa scelta politica, volta ad abbracciare - e sottoporre alla disciplina del T.u.f. - uno spettro di modelli negoziali che si riveli il più ampio possibile. Si ha l’impressione che il legislatore abbia voluto dare vita ad una formula aperta, in grado di inglobare non solo i numerosi modelli contrattuali già esistenti sul mercato, ma anche le novità che potrebbero, in futuro, diffondersi nella prassi.
Ciò si intuisce tenendo presente in primis che il comma 2-bis dell’art. 1 T.u.f. attribuisce al Ministro dell’Economia e delle Finanze la possibilità di individuare con regolamento “gli altri contratti derivati” di cui al comma 2, lett. g) e j).
In secondo luogo, il perseguimento di tale intento emerge in quanto nelle elencazioni di cui all’art. 1, comma 2, si utilizza sempre, come formula definitoria di chiusura, l’espressione “e altri contratti derivati connessi a...”, il che conferma la difficoltà di comprimere entro rigide formule le innovazioni continuamente proposte in questo settore finanziario. Si è, così, dato vita ad un sistema elastico, che consentirà di includere nuove tipologie di derivati mediante l’emanazione di un semplice regolamento ministeriale127.
La seconda osservazione imposta dal dato normativo è stata già anticipata in precedenza, e concerne l’importante inserimento, nell’elenco dei derivati, dei contratti finanziari differenziali e degli strumenti derivati per il trasferimento del rischio di credito.
Va, poi evidenziato un ulteriore dato, assai significativo: ossia, il fatto che la nuova formulazione del T.u.f. sia stata incentrata sulla natura del parametro di riferimento, anzichè sulle peculiarità delle singole strutture negoziali. In altre parole, mentre non si pongono in evidenza le particolarità dello swap rispetto al future o agli altri contratti, si
127 Cfr. SANGIOVANNI, I contratti derivati fra normativa e giurisprudenza, in Nuova giur. civ. comm., 2010, 1, p. 41.
dà massimo risalto al tipo di indicatore scelto dalle parti per la determinazione delle prestazioni contrattuali, che si tratti di valute, tassi di interesse, indici o quant’altro.
Questa scelta è stata criticata da quella dottrina che ha rimarcato come il nuovo testo attribuisca rilievo prevalente all’indicatore di riferimento, il quale, invece, svolge una funzione di “mero parametro valutativo”128. È una critica che può ritenersi in parte fondata; ma l’impostazione adottata dal legislatore, sia italiano che comunitario, può essere considerata accettabile se si tiene conto che è stata l’intenzione di includere le novità che emergono nella prassi a rendere preferibile l’adozione di formule prive di rigide definizioni. È così che si spiega la predilezione per disposizioni che offrono ampio spazio alla precisazione dei parametri sottostanti ma che poco dicono sotto il profilo della descrizione delle fattispecie, se non dal punto di vista della possibilità di regolare le obbligazioni mediante il pagamento del solo differenziale o con consegna del sottostante.
Certo è, non lo si può negare, che in futuro potrebbero continuare a sorgere dei dubbi sulla possibilità di considerare un determinato contratto quale sottospecie di uno swap piuttosto che di un credit derivative.
L’elencazione apprestata dal legislatore può essere schematizzata come segue129. Oltre ai derivati di credito e ai contratti differenziali, i quali costituiscono categorie a sé stanti, si può individuare nella definizione di cui alla lett. d) la categoria dei derivati finanziari, o financial derivatives, che possono essere collegati a vari parametri (valori mobiliari, valute, tassi di interesse o rendimenti, altri strumenti derivati, indici o misure finanziarie).
La norma precisa che l’esecuzione delle prestazioni di questi contratti – ossia
option, future, swap e altri contratti derivati connessi ai parametri menzionati poc’anzi
– può avvenire mediante la consegna fisica del sottostante o con la semplice corresponsione della somma differenziale, secondo l’accezione che si è vista quando sono stati descritte le singole fattispecie. È evidente l’ampiezza della formula, che si preoccupa, sostanzialmente, di nominare le varie figure e che, mediante l’inciso di chiusura “e altri derivati connessi a…”, consente di annoverare entro tale categoria una varietà veramente ampia di negoziazioni.
128 GIRINO, I contratti derivati, cit., p. 162.
129 Sul punto cfr. XXXXXX, I contratti derivati, cit., p. 163.
Le lettere e), f), g) contemplano, invece - in contrapposizione ai derivati finanziari - i derivati su merci, ossia i c.d. commodities derivatives130. Si attribuisce, come è evidente, ampio risalto a tale categoria. Il legislatore precisa che l’esecuzione delle prestazioni può avvenire attraverso il pagamento del differenziale o mediante la consegna della merce stessa.
Da parte della legge, in quest’ultimo caso, viene, però, operata una distinzione, volta a qualificare come tali solo quei derivati che abbiano effettivamente una componente finanziaria e non siano diretti, al contrario, alla mera acquisizione del bene. Infatti, solamente in due casi sono considerati strumenti finanziari derivati quei contratti, connessi a merci, che prevedano la consegna fisica del sottostante: ossia, nell’ipotesi in cui ciò avvenga nell’ambito di un mercato regolamentato o di un sistema multilaterale di negoziazione; oppure, come afferma letteralmente la norma, qualora tali contratti “non abbiano scopi commerciali”.
Che questa fosse l’intenzione del legislatore è confermato da una recente comunicazione della Consob, la quale rammenta come si volessero ricomprendere nella categoria dei derivati su merci solamente quelli “connotati da particolari indici di finanziarietà, proprio al fine di escludere i contratti a prevalente scopo commerciale”131.
Infine, la lettera j) prende in considerazione quei derivati – anch’essi riconducibili a swap, option, future o ad altri modelli di derivati – che si caratterizzano per utilizzare, come parametro di riferimento per la determinazione delle prestazioni, fattori quali
130 Sulla distinzione tra financial derivatives e commodities derivatives si è già detto in precedenza con riferimento a future e swap. Cfr. Cap. I, § 1 e 5.
131 Com. Consob 26 febbraio 2010, DEM/10016056, reperibile sul sito xxx.xxxxxx.xx. L’Authority, alla quale era stato chiesto un parere relativo alla riconducibilità dei c.d. certificati en primeur alla categoria dei prodotti finanziari, opera un breve excursus sui derivati connessi a merci, e afferma che con riferimento a questi ultimi, “il nuovo testo dell’art. 1, comma 2, TUF, così come modificato dal d.lgs. n. 164 del 17.9.2007 di recepimento della Direttiva MIFID, prevede che siano qualificabili come strumenti finanziari i derivati (future, opzioni, swap) connessi a merci allorquando il regolamento avvenga attraverso il pagamento di differenziali in contanti, ovvero, nel caso di regolamento tramite consegna del sottostante, quando i derivati siano: i) negoziati su un mercato regolamentato e/o in un sistema multilaterale di negoziazione; ii) privi di scopi commerciali e aventi le caratteristiche di altri strumenti finanziari derivati, considerando, tra l'altro, se sono compensati ed eseguiti attraverso stanze di compensazione riconosciute o se sono soggetti a regolari richiami di margini. Tale articolata definizione testimonia la preoccupazione del legislatore europeo di ricomprendere nella regolamentazione solo quei derivati su merci connotati da particolari indici di finanziarietà, proprio al fine di escludere i contratti a prevalente scopo commerciale. Alla luce di tale definizione che appare più ristretta rispetto a quella contenuta nel testo originario del TUF, i certificati “en primeur” oggetto del quesito appaiono esclusi dalla nozione di strumento finanziario. I medesimi infatti, oltre a non prevedere forme di regolamento alternative alla consegna fisica, non risultano estranei a scopi commerciali, né assimilabili ad altri strumenti finanziari derivati. Con riferimento agli stessi non si prevede inoltre l’intervento di una stanza di compensazione riconosciuta, né tantomeno una disciplina relativa ai margini”.
variabili climatiche, tariffe di trasporto, quote di emissione, tassi di inflazione o altre statistiche economiche ufficiali.
Il legislatore si è avvalso, in questo modo, di un espediente finalizzato ad includere, accanto ai modelli principali, le figure di nuova generazione.
In ogni caso, le formule aperte – che, come detto, si riferiscono ad “altri contratti derivati” nonché alle figure che saranno individuate mediante il citato regolamento ministeriale - consentiranno l’inglobamento di nuovi tipi di contratti, caratterizzati per utilizzare un sottostante e modalità di esecuzione delle prestazioni anche diversi rispetto a quelli attualmente indicati in modo espresso dal T.u.f..
Per concludere questo commento sul nuovo testo del T.u.f. così come modificato dalla Xxxxx, va posta in luce un ulteriore, convincente, rilievo mosso dalla dottrina132.
Il legislatore accomuna indifferenziatamente i derivati normalmente negoziati su mercati regolamentati, caratterizzati per la notevole standardizzazione del contenuto contrattuale, e quelli stipulati al di fuori di tali mercati, normalmente indicati come derivati over the counter.
Si tratta di una distinzione molto importante sotto i diversi profili delle modalità di contrattazione, del contenuto negoziale, dei soggetti legittimati a farvi ricorso e, soprattutto, della disciplina applicabile. La questione merita, pertanto, di essere approfondita nelle pagine che seguono.
2. Derivati uniformi e over the counter: necessità di una distinzione.
È stato chiarito che dal dettato del T.u.f. non si possono ricavare elementi utili per distinguere i derivati uniformi da quelli over the counter. Gli aspetti fondanti di tale differenziazione vanno, pertanto, ricercati altrove.
Prima di soffermarci dettagliatamente sull’osservazione delle singole categorie, si possono anticipare i tratti salienti di tale suddivisione.
Si rivela assai efficace, in proposito, la metafora elaborata da autorevole dottrina133, la quale ha efficacemente osservato che la differenza tra derivati uniformi e derivati over the counter (che da qui in poi indicheremo, per semplicità, mediante l’acronimo otc), può essere paragonata a quella tra gli abiti preconfezionati e quelli cuciti su
132 MAFFEIS, voce Contratti derivati, in Digesto, disc. priv., sez. civ., Agg., Torino, 2010, p. 354.
133 PADOA SCHIOPPA, I prodotti derivati: profili di pubblico interesse, cit., p. 66.
misura: ciò in quanto “i mercati otc contrappongono alla standardizzazione la possibilità di personalizzare le caratteristiche finanziarie degli strumenti scambiati”134.
Oltre a questa caratteristica, ne va, tuttavia, messa in luce un’altra, non meno importante: ossia, il fatto che i derivati uniformi, a differenza degli altri, vengono negoziati nell’ambito di mercati organizzati135.
Da questi fattori promanano benefici quali la trasparenza delle negoziazioni e la sostanziale attenuazione, grazie al ricorso alle tecniche di cui si dirà più avanti, del rischio di inadempimento della controparte. Tuttavia, una uniformazione di tal tenore comporta, inevitabilmente, anche una corrispondente, notevole, riduzione dell’autonomia contrattuale delle parti.
A differenza degli altri, i derivati otc vengono negoziati al di fuori dei mercati regolamentati. Ciò è dovuto, tra le altre cose, alla funzione economica da essi svolta. Chi vi fa ricorso per finalità di copertura di preesistenti posizioni debitorie ha, infatti, bisogno di ottenere condizioni contrattuali non predefinite ma, al contrario, adattate alle proprie peculiari esigenze; ciò sarebbe meno semplice se tali operazioni avessero luogo sui mercati regolamentati; specie tenendo conto delle caratteristiche di tali luoghi di scambio, come si avrà modo di constatare tra poco.
I derivati otc si caratterizzano, altresì, per il rapporto immediato che viene instaurato tra intermediario finanziario e cliente. La delicata posizione rivestita, in questo senso, dall’intermediario, pone non solo il problema di capire se tale rapporto abbia natura “di cooperazione ovvero di scambio”136, ma fa sorgere numerose questioni sotto il profilo della asimmetria di conoscenze e informazioni possedute dai due soggetti.
Per comprendere a fondo tali problematiche diviene, dunque, indispensabile fornire la descrizione dei due tipi di negoziazione. Si inizierà dalle operazioni che si svolgono nei mercati regolamentati e che hanno ad oggetto derivati uniformi.
134 PADOA SCHIOPPA, Op.ult. cit., p. 66.
135 XXXXXX, I contratti derivati, cit., p. 541.
136 MAFFEIS, Intermediario contro investitore: i derivati over the counter, in Banca, borsa, tit. cred., 2010, 6, p. 779.
2.1. Derivati uniformi: modalità di contrattazione e disciplina positiva.
L’approfondimento del tema concernente le negoziazioni su derivati uniformi dovrà fornire la risposta a diversi interrogativi. Interessa capire, infatti, come funzionino i mercati sui quali avvengono tali contrattazioni e quali tipologie di derivati vi siano ammesse; chi siano i soggetti autorizzati a parteciparvi; che tipo di disciplina risulti applicabile e se essa si riveli differente rispetto alla normativa apprestata per le operazioni vertenti su derivati otc.
Nel nostro Paese, il primo mercato organizzato specificamente dedicato alla negoziazione di strumenti derivati è sorto nei primi anni ’90137, dopo che la possibilità di dare vita a mercati siffatti era stata contemplata dalla l. 2 gennaio 1991, n. 1, c.d. Legge Sim. Si trattava, più precisamente, del c.d. Mercato Italiano Futures (MIF), nato come risposta italiana ad analoghe, fortunate, esperienze sorte a Londra e Parigi. Nel frattempo, peraltro, hanno avuto luogo sia la soppressione del MIF, sostituito da altri mercati, sia un rilevante mutamento della normativa di riferimento. Si cercherà, dunque, di delineare in sintesi il quadro dell’attuale situazione italiana sotto il profilo della regolamentazione e delle caratteristiche proprie di tali mercati.
Il T.u.f., all’art. 1, lett. w-ter, definisce mercato regolamentato un “sistema multilaterale che consente o facilita l’incontro, al suo interno e in base a regole non discrezionali, di interessi multipli di acquisto e di vendita di terzi relativi a strumenti finanziari, ammessi alla negoziazione conformemente alle regole del mercato stesso, in modo da dare luogo a contratti, e che è gestito da una società di gestione, è autorizzato e funziona regolarmente”138.
L’emanazione del d. lgs. n. 461/1996 ha avviato un processo finalizzato ad affidare a soggetti privati l’attività di organizzazione e gestione di mercati regolamentati di strumenti finanziari. Il vigente art. 61 T.u.f. stabilisce, non a caso, che tale attività ha carattere di impresa ed è esercitata da società per azioni, anche senza scopo di lucro:
137 Per una illustrazione delle premesse che portarono alla creazione, in Italia, di un mercato di questo tipo, v., in particolare, VALLE, Il contratto future, cit., p. 407 ss.. Cfr. anche GALASSO, Options e contratti derivati, cit., p. 1279; XXXXXX, I contratti derivati, cit., p. 542.
138 In seguito al recepimento della Mifid, si è posto il problema della distinzione tra mercati regolamentati e sistemi multilaterali di negoziazione. Secondo la dottrina, “la nozione di mercato regolamentato mantiene – anche dopo il recepimento della Direttiva – una sua valenza specifica: più precisamente, i veri e propri mercati regolamentati sono: (i) quei mercati organizzati e funzionanti in base al titolo III della Direttiva, (ii) sui quali potranno essere ammessi a negoziazione gli strumenti finanziari conformemente alle Direttive comunitarie. Inoltre, è solo ai mercati regolamentati che si applicheranno alcune discipline specifiche, come quelle relative ai cc.dd. “abusi di mercato”. Così ANNUNZIATA, La disciplina del mercato mobiliare, Torino, 2008, p. 275.
ossia, le c.d. società di gestione139. L’assemblea ordinaria o il consiglio di sorveglianza di queste, ai sensi dell’art. 62 T.u.f., deliberano un regolamento che disciplina l’organizzazione e la gestione del mercato. Il regolamento viene predisposto sulla base dei criteri generali individuati dalla Consob con riferimento all’ammissione, sospensione ed esclusione di strumenti finanziari alle negoziazioni nonchè alle modalità per assicurare la pubblicità del regolamento del mercato.
Al medesimo regolamento è rimessa, altresì, la disciplina di aspetti di considerevole importanza quali l’ammissione o l’esclusione degli operatori e degli strumenti finanziari dalle negoziazioni; le modalità di svolgimento di queste nonché di accertamento e diffusione dei prezzi; le modalità di compensazione, liquidazione e garanzia delle operazioni concluse sui mercati (art. 62, comma 2° T.u.f.). E’ lo stesso T.u.f., comunque, a fissare i principi generali e i criteri direttivi ai quali il regolamento deve ispirarsi in materia di trasparenza e oggettività delle negoziazioni140.
Sussistendo i requisiti previsti dall’art. 63 T.u.f., la Consob autorizza la società di gestione all’esercizio dei mercati regolamentati e, in tal caso, iscrive questi ultimi in un apposito elenco.
Ottenuta l’autorizzazione, spetta alla società di gestione curare gli adempimenti dettati dall’art. 64 T.u.f. ai fini di un corretto funzionamento dei mercati. Questa, infatti, “predispone le strutture, fornisce i servizi del mercato e determina i corrispettivi ad essa dovuti”, adottando gli atti e apprestando le procedure “efficaci per il controllo del rispetto del regolamento”. Inoltre, dandone comunicazione alla Consob, “dispone l’ammissione, l’esclusione e la sospensione degli strumenti finanziari e degli operatori dalle negoziazioni”. Alla Consob, peraltro, sono attribuiti poteri di controllo e di intervento in ordine al rispetto delle predette prescrizioni da parte della società di gestione.
In Italia, il principale mercato regolamentato destinato alla negoziazione di strumenti finanziari derivati è costituito dall’Italian Derivatives Market (al quale, di
139 L’art. 61, T.u.f., stabilisce che “il Ministro dell’economia e delle finanze, sentita la Consob, determina con regolamento i requisiti di onorabilità, professionalità e indipendenza dei soggetti che svolgono funzioni di amministrazione, direzione e controllo nelle società di gestione”.
140 L’art. 62, comma 3°, T.u.f. prevede, infatti, che “il regolamento di cui al comma 1 disciplina l’accesso degli operatori al mercato regolamentato, secondo regole trasparenti, non discriminatorie e basate su criteri oggettivi, nonché i criteri per la partecipazione diretta o remota al mercato regolamentato e gli obblighi imposti agli operatori derivanti:
a) dall'istituzione e dalla gestione del mercato regolamentato; b) dalle disposizioni riguardanti le operazioni eseguite nel mercato; c) dagli standard professionali imposti al personale dei soggetti di cui all’articolo 25, comma 1, che sono operanti nel mercato; d) dalle condizioni stabilite, per i partecipanti diversi dai soggetti di cui alla lettera c), a norma dell’articolo 25, comma 2; e) dalle regole e procedure per la compensazione e il regolamento delle operazioni concluse nel mercato regolamentato”
qui in poi, si farà riferimento mediante l’acronimo IDEM). Esso è gestito da Borsa Italiana s.p.a., società - sorta a seguito della privatizzazione dei mercati di borsa - la quale, in realtà, gestisce non solo l’IDEM ma anche diversi altri mercati141, alcuni dei quali ugualmente dedicati alle contrattazioni su derivati. E’, tuttavia, sul funzionamento dell’IDEM, per il ruolo preminente che esso svolge in tale settore, che conviene focalizzare prevalentemente la nostra attenzione.
Le regole e le modalità di funzionamento del mercato IDEM, nonché degli altri mercati gestiti da Borsa Italiana s.p.a., si rinvengono nel “Regolamento dei Mercati Organizzati e Gestiti da Borsa Italiana s.p.a.”142, che costituisce, appunto, il provvedimento emanato in ottemperanza dei già menzionati artt. 62 ss. T.u.f..
Si tratta di una disciplina regolamentare assai recente, considerato che la versione del Regolamento attualmente applicabile è entrata in vigore in data 8 novembre 2010. Le disposizioni di attuazione della stessa sono, invece, contenute nelle correlate Istruzioni, emanate - anch’esse da poco - ex art. 1.1, comma 3°, Reg.B.It.143.
Il Regolamento definisce l’IDEM come il “mercato di borsa in cui si negoziano contratti future e contratti di opzione aventi come attività sottostante strumenti finanziari, tassi di interesse, valute, merci e relativi indici”.
Il Regolamento e le Istruzioni stabiliscono quali operatori sono ammessi alle negoziazioni nei mercati gestiti da Borsa Italiana s.p.a., e quindi anche nell’IDEM144. Si tratta, in particolare, dei soggetti autorizzati all’esercizio dei servizi di negoziazione per conto proprio e/o di esecuzione di ordini per conto dei clienti ai sensi del T.u.f.;
141 Si tratta, in particolare, dei seguenti mercati, indicati all’art. 1.1 del Regolamento dei Mercati Organizzati e Gestiti da Borsa Italiana s.p.a.: Mercato telematico azionario (MTA); Mercato telematico dei securitised derivatives (SeDeX); Mercato after hours (TAH); Mercato telematico degli OICR aperti e degli strumenti finanziari derivati cartolarizzati (ETFplus); Mercato telematico delle obbligazioni (MOT); Mercato telematico degli investment vehicles (MIV).
142 Di qui in poi, Reg. X.Xx.
143 Le “Istruzioni al Regolamento dei Mercati Organizzati e Gestiti da Borsa Italiana s.p.a.” attualmente vigenti, emanate dal Consiglio di Amministrazione di Borsa Italiana s.p.a., sono entrate in vigore in data 20 dicembre 2010.
144 In realtà è lo stesso T.u.f. a stabilire i criteri generali in base ai quali il Regolamento dovrà consentire l’accesso a tali negoziazioni. Infatti, l’art. 25 T.u.f. prevede che “le Sim e le banche italiane autorizzate all'esercizio dei servizi e attività di negoziazione per conto proprio e di esecuzione di ordini per conto dei clienti possono operare nei mercati regolamentati italiani, nei mercati comunitari e nei mercati extracomunitari riconosciuti dalla Consob ai sensi dell'articolo 67. Le imprese di investimento comunitarie ed extracomunitarie e le banche comunitarie ed extracomunitarie autorizzate all'esercizio dei medesimi servizi e attività possono operare nei mercati regolamentati italiani. 2. Possono accedere ai mercati regolamentati, tenuto conto delle regole adottate dalla società di gestione ai sensi dell’articolo 62, comma 2, soggetti diversi da quelli di cui al comma 1 del presente articolo alle seguenti condizioni:
a) soddisfano i requisiti di onorabilità e professionalità; b) dispongono di un livello sufficiente di competenza e capacità di negoziazione; c) dispongono di adeguati dispositivi organizzativi; d) dispongono di risorse sufficienti per il ruolo che devono svolgere. 3. I soggetti di cui al comma 2, ammessi alle negoziazioni nei mercati regolamentati, si comportano con diligenza, correttezza e trasparenza al fine di assicurare l’integrità dei mercati”.
delle banche e delle imprese di investimento autorizzate allo svolgimento dei medesimi servizi; e delle le imprese costituite in forma di società per azioni, società a responsabilità limitata, o forma equivalente in possesso di particolari requisiti145; pertanto, un investitore che volesse effettuare operazioni riguardanti gli strumenti finanziari negoziati in questi mercati, dovrà farlo per il tramite dei soggetti qui indicati.
Contestualmente, vengono specificate le modalità di richiesta di ammissione alle stesse negoziazioni146.
Il Regolamento della Borsa indica in maniera del tutto generica le categorie di contratti negoziabili nel mercato IDEM, mentre affida alle Istruzioni il compito di definire nel dettaglio le caratteristiche di ognuno dei contratti ammessi a tali negoziazioni nonché delle modalità di determinazione del prezzo di liquidazione degli stessi.
Più in particolare, l’art. 4.7.1, Reg. B. It., stabilisce che nel mercato IDEM possono essere negoziati contratti di tipo future ed option, che utilizzino come parametri di riferimento (“attività sottostante”) strumenti finanziari, tassi di interesse, valute, merci e relativi indici147.
Sono, invece, gli artt. 9.1.1 ss. delle Istruzioni a descrivere dettagliatamente i tipi di
future e option contrattati nel mercato degli strumenti derivati.
145 Le relative norme sono dettate dal comma 2° dell’art. 3.1.1. del Regolamento e dalll’art. 3.1 delle correlate Istruzioni. XXXXXX, I contratti derivati, cit., p. 556, osserva che l’apertura a “imprese di adeguate dimensioni e strutturazione è stata determinata dall’esigenza di consentire la diretta operatività dei soggetti normalmente operanti sul mercato merci sottostante: tipicamente il mercato energetico”.
146 L’art. 3.4 delle Istruzioni prevede che “la richiesta di cui all’articolo 3.1.2, comma 1 del Regolamento deve essere redatta mediante sottoscrizione e invio a Borsa Italiana della “Richiesta di Servizi” messa a disposizione attraverso il sito Internet di Borsa Italiana, unitamente a copia dell’autorizzazione rilasciata dall’Autorità di controllo ove prevista. Successivamente alla comunicazione di cui all’articolo 3.1.2 comma 2 del Regolamento, l’operatore è tenuto completare la documentazione di partecipazione utilizzando i moduli o le funzioni disponibili attraverso il sito Internet di Borsa Italiana”, con i dati che vengono precisati dalle norme successive.
147 Il comma 2° di tale articolo prevede che “per contratto futures si intende uno strumento finanziario di cui all’articolo 1, comma 2, lettera f) del Testo Unico della Finanza con il quale le parti si impegnano a scambiarsi alla scadenza un certo quantitativo dell’attività sottostante a un prezzo prestabilito. La liquidazione a scadenza del contratto può altresì avvenire mediante lo scambio di una somma di denaro determinata come differenza tra il prezzo di conclusione del contratto e il suo prezzo di liquidazione”. Invece, ai sensi del comma 3°, “per contratto di opzione si intende uno strumento finanziario di cui all’articolo 1, comma 2, lettera i), del Testo Unico della Finanza, con il quale una delle parti, dietro pagamento di un corrispettivo (premio), acquista la facoltà di acquistare (opzione call) o di vendere (opzione put), alla o entro la data di scadenza, un certo quantitativo dell’attività sottostante a un prezzo prestabilito (prezzo di esercizio). La liquidazione del contratto può altresì avvenire mediante lo scambio di una somma di denaro determinata, per le opzioni call, come differenza tra il prezzo di liquidazione dell’attività sottostante e il prezzo di esercizio, ovvero, per le opzioni put, come differenza tra il prezzo di esercizio e il prezzo di liquidazione dell’attività sottostante, il giorno in cui la facoltà è esercitata o alla scadenza”. Il comma 4° specifica che “in ogni caso l’attività sottostante uno strumento derivato deve soddisfare caratteristiche di liquidità, continuità delle negoziazioni, disponibilità o reperibilità di tutte le informazioni rilevanti, disponibilità di prezzi ufficiali o comunque significativi. Qualora l’attività sottostante sia costituita da indici, gli stessi devono essere caratterizzati da trasparenza nei metodi di calcolo e di diffusione”.
Il primo contratto, tra quelli presi in considerazione, è il future sull’indice FTSE MIB. Si tratta di uno strumento derivato la cui struttura è riconducibile a quella propria della già descritta categoria degli index future148.
Le caratteristiche di questo tipo di contratto erano state esaminate, a suo tempo, da un punto di vista sostanzialmente teorico. L’esame della descrizione offerta dalle suddette Istruzioni consente, invece, di verificare nel concreto i parametri effettivamente utilizzati per determinare le prestazioni negoziali dei contraenti. Il medesimo articolo, infatti, precisa che il parametro di riferimento del contratto è costituito dall’indice di borsa FTSE MIB, relativo a titoli azionari, nazionali ed esteri quotati in borsa. Si precisa, ad esempio, che il valore dell’indice149 viene calcolato e diffuso ogni quindici secondi in base ai prezzi degli ultimi contratti conclusi. Ed è proprio in base al valore raggiunto dall’indice nel preciso momento della scadenza che vengono determinate le prestazioni contrattuali: le Istruzioni stabiliscono, in proposito, che il valore del contratto è dato dal prodotto tra il prezzo dello stesso e il valore di ciascun punto dell’indice - quantificato nell’importo di 5 euro - al momento della scadenza (sono previste quattro scadenze annuali). In questo caso, la liquidazione delle prestazioni negoziali avviene attraverso la corresponsione del solo differenziale, secondo i meccanismi che erano stati descritti a suo tempo150: il comma 5° della disposizione citata stabilisce che “questo contratto non prevede alla scadenza la consegna degli strumenti finanziari che compongono l’indice FTSE MIB”.
Questo inciso consente di proporre due riflessioni. Si deve notare, innanzitutto, che tale contratto non mira all’acquisizione di un’attività sottostante, ma semplicemente all’ottenimento della differenza tra il valore convenzionale esistente alla stipula e quello registrato alla scadenza.
In secondo luogo, si può osservare come potrà ottenere un profitto solo chi effettuerà un pronostico corretto in ordine all’andamento dell’indice di riferimento; si tratta, evidentemente, di una previsione legata alla capacità di intuire le fluttuazioni di valore dei titoli che ne stanno alla base.
Molto simile a quello appena descritto è il secondo contratto negoziato sull’IDEM, il c.d. MiniFuture sull’indice FTSE MIB. La differenza sta nel fatto che il valore attribuito ad ogni punto di indice è pari ad 1 euro, anziché a 5 come accadeva nell’ipotesi precedente.
148 V. supra, Cap. I, § 3.2.
149 La cui base di partenza, in data 31.12.1997, era pari a 24.412 punti.
150 V. supra, Cap. I, § 3.
Nemmeno il terzo contratto di tipo future - negoziabile nel mercato IDEM e denominato future sull’indice FTSE MIB Dividend - si discosta granchè dalla prima figura esaminata. Si distingue comunque da essa per il fatto di utilizzare come parametro sottostante un indice di diversa natura151. Può essere utile precisare che anche questo derivato viene eseguito mediante la corresponsione del differenziale in contanti, senza, dunque, alcuna consegna materiale di beni di altro tipo.
Oltre a queste tre tipologie di future su indici, le Istruzioni al Regolamento della Borsa dispongono che possono essere ammessi alle negoziazioni sul mercato IDEM anche derivati future su azioni152, con una importante precisazione: è vero che questo tipo di negoziazione può innanzitutto avvenire, analogamente alle ipotesi poc’anzi esaminate, mediante la liquidazione per differenziale; tuttavia, è previsto che l’esecuzione possa anche effettuarsi mediante la consegna fisica del sottostante. Infatti, ai sensi dell’art. 9.1.12, comma 9°, delle Istruzioni, possono essere ammesse le negoziazioni di future su azioni che prevedano, alla scadenza, “la consegna degli strumenti finanziari sottostanti”. Il secondo comma del medesimo articolo stabilisce le modalità di determinazione delle prestazioni, per le quali si tiene conto del prezzo definito nel contratto e del numero delle azioni sottostanti. Il contratto, per il resto, è strutturato secondo la descrizione fornita nella fase iniziale di questa trattazione, alla quale si rimanda153.
Quanto, invece, ai future su azioni154 con liquidazione per differenziale, di cui all’art. 9.1.13 delle Istruzioni, è interessante esaminare i criteri in base ai quali quest’ultima disposizione, al quinto comma, prevede che venga quantificato il differenziale stesso. Esso, più precisamente, è pari allo scarto “tra il prezzo di liquidazione e il prezzo di negoziazione” delle azioni; se il prezzo di negoziazione è quello stabilito dalle parti, il prezzo di liquidazione equivale a quello “determinato nell’asta di chiusura del mercato di riferimento dell’azione sottostante il giorno di scadenza”155.
151 Si tratta, come può desumersi dal nome con cui è indicato il contratto, dell’indice FTSE MIB Dividend, il quale, stando alla descrizione riportata dall’art. 9.1.4 delle Istruzioni, “è relativo al totale cumulato dei dividenti ordinari, al lordo dell’effetto fiscale, pagati nell’anno solare in corso per i titoli azionari compresi nell’indice FTSE MIB. L’indice è calcolato e diffuso una volta al giorno”.
152 Cfr. supra, Cap. I, § 3.4.
153 V. supra, Cap. I, § 3 ss.
154 Deve trattarsi di “azioni ammesse alle negoziazioni in mercati regolamentati europei e appartenenti a primari indici finanziari”.
155 La norma precisa che qualora non sia possibile determinare il prezzo in questo modo, si fa riferimento al prezzo dell’ultimo contratto concluso nella seduta precedente.
Sono questi, dunque, i contratti di tipo future negoziati nel mercato IDEM156. Come si era detto in precedenza, peraltro, vi sono ammesse anche le contrattazioni su derivati di tipo option. Le Istruzioni fanno riferimento a due tipi di opzioni: quelle sull’indice di borsa FTSE MIB, ossia lo stesso a cui si è fatto riferimento parlando dei future; e quelle su azioni.
Le prime costituiscono un tipico esempio di opzioni su indici157. Le Istruzioni al Regolamento precisano che al momento della scadenza, qualora l’opzione sia in the money (cioè conveniente per il beneficiario), il contraente venditore accredita a quest’ultimo158 la differenza tra il prezzo di esercizio dell’opzione e il prezzo di liquidazione. In caso contrario, il soggetto beneficiario dovrà corrispondere il valore del premio, o prezzo di esercizio.
Si ricorderà che, come si precisò a suo tempo, il prezzo di esercizio viene stabilito dalle parti al momento della conclusione dell’accordo; le modalità di determinazione del prezzo di liquidazione, che, rapportato al prezzo di esercizio, consente di quantificare l’importo differenziale, vengono, invece, precisate dalle Istruzioni (art. 9.1.6, comma 9°): tale prezzo è pari al valore dell’indice FTSE MIB calcolato sui primi prezzi di asta di apertura degli strumenti finanziari che lo compongono, al momento della scadenza. Se si tiene conto che ad ogni punto di indice è attribuito dallo stesso articolo (comma 2°) un valore di 2,5 euro, è semplice desumere in che modo il valore dell’indice venga convertito in denaro, così determinando un differenziale in denaro tra il valore di partenza e quello alla scadenza. Proprio questo scarto, dunque, equivarrà alla prestazione del soggetto che ha concesso l’opzione qualora questa sia vantaggiosa per il beneficiario (in the money) e venga, dunque, da questi esercitata.
Le opzioni su azioni vengono, invece, disciplinate dall’art. 9.1.8 delle Istruzioni. Sostanzialmente, accade che sulla base del raffronto tra il prezzo di esercizio dell’opzione e il prezzo di riferimento dell’azione sottostante calcolato nell’ultimo giorno di contrattazione, il soggetto beneficiario dell’opzione può avvalersi di questa o abbandonarla, qualora non la ritenga più conveniente. Nell’ipotesi in cui decida di avvalersene, non ha luogo la mera corresponsione del differenziale, ma viene effettuata la materiale consegna delle azioni sottostanti (comma 10°).
156 In realtà, ai sensi dell’art. 9.1.17 delle Istruzioni, possono essere ammessi alle negoziazioni sul mercato IDEM anche i future sull’energia elettrica. Tuttavia, tali contrattazioni si svolgono in un apposito segmento di mercato, denominato IDEX.
157 V. supra, Cap. I, § 4.3.
158 Attraverso il sistema di compensazione e garanzia di cui si parlerà a breve.
Quelle esaminate finora costituiscono, dunque, le tipologie di derivati negoziabili nel mercato IDEM. Gli elementi ricavati finora sembrano sufficienti per comprendere cosa si intenda quando si fa riferimento al carattere standardizzato delle condizioni contrattuali, proprio dei derivati uniformi: prezzi predeterminati per i contraenti ammessi ad operare su quel mercato; periodi di scadenza prefissati; modalità di esecuzione del contratto equivalenti per qualsiasi operatore. Il margine dell’autonomia privata appare, evidentemente, assai ridotto.
L’uniformità del contenuto negoziale costituisce, dunque, il primo degli elementi caratterizzanti i derivati standardizzati.
La seconda specificità degli stessi è rappresentata, come si era anticipato nelle pagine precedenti, dal fatto che essi vengano negoziati nell’ambito di mercati regolamentati. Passate in rassegna le fattispecie ammesse nel mercato IDEM, resta, peraltro, da chiarire un ulteriore aspetto, non meno importante: ovvero, quello relativo alle particolarissime modalità che portano al perfezionamento di tali accordi negoziali. Trattandosi di un fattore che vale a connotare in maniera senza dubbio determinante i derivati uniformi, pare opportuno, per tale ragione, dedicare qualche riga alla descrizione del fenomeno.
Le contrattazioni su derivati uniformi che si svolgono nei mercati regolamentati si contraddistinguono, infatti, per avvenire mediante l’ausilio di sistemi interamente telematizzati, che abbinano in via automatica le proposte e le accettazioni provenienti dagli operatori – eventualità resa possibile dalla standardizzazione delle condizioni contrattuali, che consente di reperire facilmente proposte e accettazioni compatibili – e che apprestano rimedi assai efficaci per evitare l’inadempimento delle parti. Pare, comunque, opportuno precisare più dettagliatamente questi concetti.
A tal fine si rivela utile, anche stavolta, l’esame del Regolamento di Borsa; con particolare riferimento al Titolo 4.7, dedicato al Mercato degli strumenti derivati. Gli articoli 4.7.3 ss., nel dettare le disposizioni sulle modalità di negoziazione, offrono informazioni preziose ai fini della comprensione dei singolari meccanismi che governano le contrattazioni su derivati uniformi.
Premesso che le negoziazioni vengono ripartite su separati “segmenti” di mercato – cioè ambiti di negoziazione omogenei con riguardo al tipo di sottostante utilizzato come parametro di riferimento - il Regolamento precisa che “la volontà negoziale degli operatori si esprime attraverso proposte di negoziazione in forma anonima”.
La dottrina ha parlato, a questo proposito, di “spersonalizzazione del contratto”159: in altre parole, nel momento in cui immette una proposta negoziale nel sistema telematico, l’operatore non conosce l’identità della controparte con la quale si perfezionerà l’accordo, in quanto l’abbinamento avviene, in via automatizzata, tenendo unicamente conto delle caratteristiche della proposta negoziale. Questa, precisa il regolamento, deve necessariamente contenere le informazioni concernenti il tipo di strumento derivato da negoziare, le condizioni di prezzo nonché le modalità di esecuzione del contratto.
Una volta che tali proposte sono state immesse nel sistema, esse vengono collocate secondo un ordine stilato in base al prezzo160; a questo punto, inizia la fase che porterà all’incontro delle manifestazioni di volontà.
L’osservazione delle modalità di perfezionamento degli accordi rende l’idea dello scostamento esistente in questo settore rispetto agli istituti tradizionali del diritto civile. In primis, si può notare come vi sia una spersonalizzazione tale da impedire al Regolamento di fare riferimento ai classici concetti di proposta e accettazione: si
parla, unicamente, di “proposte di negoziazione”.
In secondo luogo - ed è forse questo il dato che colpisce maggiormente – va focalizzata l’attenzione sullo schema attraverso il quale si realizza l’incontro tra le varie offerte. L’art. 4.7.7 del Regolamento stabilisce, infatti, che “la conclusione dei contratti avviene, per le quantità disponibili, mediante abbinamento automatico di proposte di segno contrario presenti nel mercato”161. È dunque il sistema telematico, valutando la compatibilità di proposte tra loro complementari, a combinare automaticamente quelle che, per la compatibilità del contenuto, sono in grado di dare vita ad un accordo. Va aggiunto che, a parità di condizioni, si tiene conto della priorità temporale di immissione delle proposte nel sistema.
159 XXXXX, Nuovi strumenti del mercato finanziario: futures e options, cit., p. 153. Il concetto viene ripreso anche da GIRINO, I contratti derivati, cit., p. 561 e da BALESTRA, Il contratto aleatorio e l’alea normale, cit., p. 227.
160 L’art. 4.7.5 precisa che l’ordine viene determinato in via decrescente per le proposte di acquisto e crescente per le proposte di vendita.
161 L’art. 4.7.8 del Regolamento prevede una deroga a tali principi. Stabilisce, infatti, che “possono essere immesse proposte di negoziazione (c.d. committed) finalizzate alla conclusione di contratti nei quali la controparte sia costituita esclusivamente da un operatore predeterminato, purchè a un prezzo compreso tra la migliore proposta in acquisto e la migliore proposta in vendita, estremi esclusi”; e che “possono essere altresì immesse proposte di negoziazione c.d. cross) finalizzate alla conclusione di contratti nei quali la controparte sia costituita esclusivamente dallo stesso operatore che ha immesso le proposte, purchè ad un prezzo compreso tra la migliore proposta in acquisto e la migliore proposta in vendita, estremi esclusi”.
Se si tiene presente: che è predeterminato il contenuto negoziale; che non è nota l’identità della controparte; che l’incontro tra proposta e accettazione (o, per usare la terminologia regolamentare, tra proposte) avviene non sulla base di una diretta manifestazione di volontà in tal senso da parte dei contraenti, ma perché il sistema telematico abbina le proposte tra loro compatibili; se si considera, insomma, tutto questo, non ci si può esimere dall’interrogarsi sulla natura di questi accordi.
La dottrina ritiene che, pur dando contestualmente vita a uno strumento finanziario 162, l’incontro tra queste proposte standardizzate determini comunque la nascita di veri e propri contratti163. Effettivamente, non sembra di poter dissentire da questa opinione: è vero che il perfezionamento di tali accordi avviene secondo schemi non consueti per il diritto civile tradizionale; tuttavia - sia pur dovendo sottostare ai limiti che si sono visti - gli operatori, nel momento in cui immettono le proprie proposte nel sistema, manifestano la volontà di concludere un contratto secondo quelle condizioni e quelle modalità; si dà, dunque, origine a un rapporto obbligatorio che sorge al momento dell’incontro tra proposte le quali, sebbene effettuate in forma anonima e abbinate da un sistema telematico, costituiscono il risultato di una manifestazione di volontà dei contraenti. Sono proprio costoro a scegliere liberamente di negoziare adottando un meccanismo siffatto e accettando le rigide imposizioni dei regolamenti del mercato.
L’innovazione tecnologica ha condotto, dunque, all’ideazione di modalità di conclusione del contratto inimmaginabili fino a qualche decennio fa; tuttavia, si può concludere tale discorso ribadendo, alla luce di quanto si è fin qui detto, che le singolarità delle negoziazioni telematiche in borsa non valgano ad escludere la riconducibilità degli accordi, in tal modo originati, alla categoria del contratto ex art. 1321 c.c.
Precisato che la società di gestione della Borsa vigila sulla corretta effettuazione delle negoziazioni164, va altresì ricordato che anche l’IDEM, in base all’art. 5.3.1 Reg.
162 Come si vedrà meglio nel paragrafo appositamente dedicato a questo problema. X. xxxxx, Xxx. XXX, § 0.
163 XXXXXX, I contratti derivati, cit., p. 541 s., osserva infatti che “nonostante lo squilibrio tra uniformità ed autonomia contrattuale, la componente negoziale non viene meno né cessa di connotare strutturalmente il derivato. Esso resta pur sempre un contratto che genera, e si identifica con, uno strumento finanziario. L’affievolimento della autonomia contrattuale non implica l’annullamento del ceppo negoziale che perdura quale elemento immanente al derivato. la standardizzazione, insomma, non vale a decontrattualizzare lo strumento”.
164 L’art. 4.9.1 del Regolamento prevede, infatti, che “Borsa Italiana controlla il regolare andamento delle negoziazioni, verifica il rispetto del presente Regolamento e delle Istruzioni e adotta tutti gli atti necessari per il buon funzionamento dei mercati”. A tal fine, richiede agli emittenti e agli operatori le informazioni ritenute necessarie in relazione a particolari andamenti di mercato; verifica l’adeguato aggiornamento degli archivi, delle procedure e di quant’altro necessario a garantire l’ordinato svolgimento delle negoziazioni; controlla il funzionamento delle strutture tecniche e delle reti di
B. It., fa ricorso al c.d. sistema di compensazione e garanzia. È lo stesso T.u.f. a fare riferimento alla compensazione e garanzia delle operazioni su strumenti finanziari non derivati (art. 68 e 69) e su strumenti finanziari tout court (art. 70 ss.). Tali norme attribuiscono a Consob e Banca d’Italia la predisposizione della disciplina del funzionamento di tali sistemi165.
Nel mercato IDEM, la funzione di compensazione e garanzia è svolta da Cassa di Compensazione e Garanzia s.p.a.; il suo funzionamento è disciplinato da un regolamento, approvato da Banca d’Italia e Consob ed entrato in vigore il 29 novembre 2010.
In cosa consista questo istituto, è presto detto. Sostanzialmente, attraverso un complesso meccanismo di adesioni al sistema e ordini di trasferimento di posizioni contrattuali, la Cassa di compensazione (clearing house, per utilizzare il linguaggio proprio degli operatori) garantisce l’adempimento delle prestazioni scaturenti dai contratti conclusi sul mercato per conto dei soggetti che si avvalgono di tale organismo166. L’adesione alla cassa di compensazione, consentita unicamente a entità dotate di particolari requisiti167, offre diversi vantaggi, tra i quali spiccano, per
trasmissione dei sistemi telematici; interviene sulle condizioni di negoziazione; se necessario, sospende tempestivamente l’operatore a seguito della richiesta di sospensione da parte dell’intermediario aderente al servizio di liquidazione; può sospendere gli operatori su richiesta della società di gestione del sistema di compensazione e garanzia. Inoltre, la società di gestione può intervenire sui parametri, sugli orari e sulle fasi di negoziazione; e può gestire gli errori e le disfunzioni tecniche.
165 Tali Autorità hanno ottemperato alla delega mediante l’emanazione di un apposito provvedimento in data 22 febbraio 2008.
166 Sul ruolo svolto dalla clearing house, v. CAVALLO BORGIA, Le operazioni su rischio di cambio, cit.,
p. 2412; XXXXXXX, Options e contratti derivati, cit., p. 1281 ss.; XXXXX, Il contratto future, cit., p. 395 ss.. ARPE, Il mercato degli strumenti derivati, cit., p. 101, osserva che “il floor del mercato è la clearing house”. Tale autore fa riferimento esplicito alle option ma il discorso vale anche per i future. Afferma, infatti, che “nessun compratore o venditore di opzioni entrerà mai in contatto con un altro compratore o venditore di opzioni, ma solo e soltanto con la clearing house, con la quale si concludono direttamente le operazioni”. L’esame del Regolamento di funzionamento della Cassa di compensazione e garanzia mostra che in caso di insolvenza da parte di un partecipante, la Cassa, per coprire le perdite, utilizza innanzitutto i margini versati inizialmente dal soggetto insolvente; in secondo luogo, può avvalersi della quota di Default Fund relativo versata dal partecipante insolvente; di mezzi propri fino a 5 milioni di euro; nonché, in caso di ulteriore necessità, di restanti mezzi propri.
167 La previsione di requisiti di adesione consente a tale organismo di salvaguardarsi da soggetti non in grado di adempiere ai propri obblighi. E’ la stessa Cassa di compensazione a stabilire quali soggetti possono essere ammessi al sistema. Si può aderire come partecipante diretto, generale o individuale (ed in questi casi il soggetto diviene controparte della Cassa); altrimenti come partecipante indiretto (in questi casi diviene controparte di un partecipante generale il quale fungerà da tramite con la clearing house. Ai partecipanti diretti è richiesto il possesso di un patrimonio di vigilanza minimo; a tutti i partecipanti è, inoltre, richiesta una particolare struttura organizzativa nonché la presenza di sistemi tecnologici e informatici che garantiscano l’ordinata, continua ed efficiente gestione delle attività e dei rapporti con tale organismo.
importanza, l’eliminazione del rischio di inadempimento della controparte nonché la possibilità di esecuzione delle prestazioni mediante netting168.
Quelli fin qui riportati possono essere considerati, dunque, i connotati salienti del mercato IDEM. Si è fatto un cenno, in precedenza, all’esistenza di altri mercati sui quali vengono negoziati derivati uniformi. Poiché i principi che li regolano non divergono più di tanto da quelli esaminati a proposito dell’IDEM, non pare opportuno dilungarsi nella descrizione del loro funzionamento: può ritenersi sufficiente, sul punto, una breve menzione.
I mercati ai quali ci si riferisce sono i seguenti: l’IDEX169, nel quale vengono negoziati i futures su energia elettrica (art. 9.1.17 delle Istruzioni); il SeDeX, avente ad oggetto derivati cartolarizzati; e l’e-MIDER, dove vengono trattate particolari fattispecie di interest rate swap. Quest’ultima può essere considerata una particolarità, dato che i contratti di tipo swap costituiscono, tipicamente, derivati negoziati prevalentemente over the counter. Proprio di quest’altra modalità di contrattazione, contrapposta a quella nei mercati regolamentati, si darà ora conto.
2.2. Derivati negoziati over the counter.
Se si è riusciti nell’intento di chiarire cosa si intenda per derivati uniformi, affrontare il concetto di derivato over the counter risulterà meno arduo170.
168 Per assicurare il corretto funzionamento dei mercati, Cassa di compensazione e garanzia fa ricorso al sistema dei margini. ARPE, Il mercato degli strumenti derivati, cit., p. 101, definisce i margini come “la garanzia sulla solvibilità di ogni operatore e quindi del sistema in generale” o, in altre parole, “l’ammontare dei soldi che deve essere depositato ogni sera da ogni operatore per coprire le perdite potenziali derivanti da una sua posizione; se l’operatore non provvederà immediatamente a precostituire il margine, la clearing house liquiderà immediatamente le sue posizioni attingendo dal margine iniziale”. I partecipanti, in sostanza, costituiscono garanzie sufficienti alla copertura dei costi di liquidazione che la clearing house sarebbe tenuta a sostenere in caso di insolvenza per chiudere le posizioni del partecipante, nelle ipotesi teoricamente più sfavorevoli ipotizzabili. A tutti i partecipanti diretti è dunque richiesto il versamento di somme (margini) relativi alle posizioni aperte. Esiste, poi, una tutela accessoria, costituita dal c.d. Default Fund, col quale vengono coperti i rischi eventualmente cagionati da fluttuazioni estreme di mercato, che il sistema dei margini non sia in grado di garantire. I guadagni e le perdite giornalmente ottenuti o subiti dal soggetto partecipante vengono addebitati o accreditati sul conto aperto da tale soggetto; nel caso in cui il margine di garanzia scenda al di sotto del minimo richiesto, la clearing house chiede il reintegro. Quanto al netting, si intende, in questo modo, il meccanismo di esecuzione delle prestazioni attraverso meccanismi di compensazione tra posizioni attive e passive. Sul tema, LEMBO, La rinegoziazione dei contratti derivati, cit., p. 367 ss.
169 Per essere più precisi, va detto che l’IDEX costituisce un segmento del mercato IDEM.
170 Sulla distinzione, v., in particolare, MAFFEIS, voce Contratti derivati, cit., p. 354 ss.; PADOA SCHIOPPA, I prodotti derivati: profili di pubblico interesse, cit., p. 66 ss.; XXXXXX, I contratti derivati, cit., p. 304 ss..
Alla luce di quanto si è detto finora, sembra di poter affermare, infatti, che tale categoria possa essere individuata in via residuale. O, più esattamente, che possano essere ricondotti a quest’ultima famiglia i derivati non classificabili come uniformi.
Vanno, dunque, considerati derivati over the counter quelli che, innanzitutto, si caratterizzano per essere stipulati non nell’ambito di mercati regolamentati – e quindi in base alle rigide prescrizioni che sono state fin qui analizzate – ma direttamente con un intermediario, che diventa la controparte diretta dell’investitore e che effettua (o almeno dovrebbe) trattative con quest’ultimo per determinare la conformazione dell’oggetto della pattuizione171. I derivati otc, infatti, si contraddistinguono per il fatto di non presentare un contenuto rigidamente standardizzato, se non per quel che riguarda il ricorso a condizioni generali di contratto172. Tale aspetto consente di beneficiare di maggiore elasticità nella determinazione del contenuto contrattuale, viceversa prestabilito in maniera rigida nell’ipotesi dei derivati uniformi, senza che l’investitore possa invocare clausole più congeniali alle proprie esigenze.
Le negoziazioni over the counter vertono, principalmente, su derivati di tipo swap o credit derivatives, anziché future e option; ciò in quanto si tratta di contratti che per poter svolgere la funzione economica a cui sono improntati richiedono, necessariamente, che le caratteristiche dei singoli contratti si attaglino alle concrete esigenze dell’investitore.
Nel caso dei derivati otc si nota, inoltre, che è pressoché assente l’ipotesi di circolazione – successivamente al perfezionamento dell’accordo - delle posizioni contrattuali (a differenza di quanto accade nel caso dei derivati uniformi, in cui tale fenomeno è diffuso e connota tali operazioni), proprio in quanto configurati “su misura” dell’investitore, sebbene ispirati, usualmente, a condizioni generali di contratto173.
Si sarà intuito quanto sia rilevante, nell’ambito delle contrattazioni concernenti contratti derivati, specie over the counter, il ruolo rivestito dagli intermediari finanziari: la dottrina si è giustamente interrogata, proprio con riguardo ai derivati otc,
171 I derivati conclusi da privati, senza l’intervento degli intermediari, costituiscono, fondamentalmente, un’ipotesi di scuola, per le ragioni di cui si dirà più avanti: x. xxxxx, § 0 xxx xxxxxxxx Capitolo. E’, infatti, difficile, osserva XXXXXXXXXXX, Le operazioni di swap, cit., p. 132, che gli interessi uguali e contrari di due soggetti possano incontrarsi spontaneamente.
172 XXXXXXXXXXX, Le operazioni di swap, cit., p. 132, rileva, comunque, che anche con riferimento alle operazioni di swap “si è affermata la tendenza alla creazione da parte delle banche e degli altri intermediari finanziari di modelli contrattuali uniformi”.
173 Si pensi, ad esempio, ai modelli contrattuali uniformi forniti dall’International Swap Dealers Association, che associa i principali operatori che svolgono attività avente ad oggetto gli swap. Sul punto, si rimanda a XXXXXX XXXXXXXX, Profili civilistici dei contratti “derivati” finanziari, cit., p. 111.
sul doppio ruolo da essi rivestito: ausilio agli investitori ma anche controparte contrattuale che persegue il proprio interesse174. La soluzione del problema – che costituisce, in quest’ambito, una delle questioni di maggiore importanza pratica in quanto fonte di numerose controversie in sede giudiziaria – rende necessario focalizzare l’attenzione sulla figura degli intermediari finanziari e sulla posizione da essi rivestita nello specifico settore che si sta esaminando.
3. Il ruolo svolto dagli intermediari finanziari nelle operazioni riguardanti contratti derivati.
I rischi connessi con la stipula di contratti derivati pongono un problema serio, che conduce ad interrogarsi sull’opportunità di consentire unicamente a determinate categorie di soggetti l’effettuazione di operazioni di questa natura.
Come si sarà già desunto dalle considerazioni fin qui proposte, i derivati possono dare luogo a perdite economiche ingenti; solo una approfondita conoscenza di questi strumenti può contribuire a scongiurare tale eventualità, sebbene in nessun caso vi sia la certezza di ottenere un profitto piuttosto che di subire una perdita patrimoniale.
Per via delle ragioni ora esposte, sono state previste dal nostro ordinamento alcune limitazioni soggettive in ordine alla possibilità di effettuare operazioni aventi ad oggetto strumenti derivati.
3.1. Limitazioni soggettive alla stipula di contratti derivati.
Va detto, innanzitutto, che in linea di massima non esistono particolari restrizioni alla stipula di tali contratti con riguardo all’eventualità in cui entrambi i soggetti contraenti siano estranei all’attività di intermediazione finanziaria.
In realtà, si tratta di un caso pressoché di scuola, constatato che difficilmente tali operazioni hanno luogo in assenza di intermediari175. In ogni caso, potrebbe, ad esempio, accadere che due persone fisiche convengano di dare vita ad uno swap; qualora ciò avvenisse, si applicherebbero le norme apprestate in generale dal codice
174 MAFFEIS, Intermediario contro investitore: i derivati over the counter, cit., p. 779 ss.
175 MAFFEIS, voce Contratti derivati, cit., p. 354 rileva, infatti, che “del tutto residuale è l’ipotesi in cui il contratto derivato sia concluso senza l’intervento di un intermediario finanziario.
civile per i contratti; i contraenti non dovrebbero sottostare alle particolari limitazioni previste dal T.u.f. per le ipotesi nelle quali la controparte contrattuale sia costituita da un intermediario finanziario. Anche la questione dell’applicabilità alla fattispecie dell’art. 1933 c.c. sembrerebbe risolta dal chiaro dettato dell’art. 23, comma 5°, T.u.f., che sembra limitare tale esclusione ai soli derivati negoziati nell’ambito dei servizi di investimento176.
Un ragionamento ben diverso va fatto riguardo al caso in cui uno dei contraenti sia costituito da una pubblica amministrazione; per tali ipotesi, infatti, il legislatore ha imposto rilevanti vincoli177.
Il ricorso ai derivati da parte degli enti pubblici locali ha dato adito ad accese polemiche, le quali non sono rimaste circoscritte nell’ambito del dibattito scientifico, arrivando ad interessare l’opinione pubblica per via della rilevanza degli interessi coinvolti. Numerose pubbliche amministrazioni italiane si sono avvalse in maniera spesso impropria di tali strumenti, dando luogo ad indebitamenti che hanno costretto il legislatore ad intervenire – forse tardivamente - in maniera drastica per arginare gli effetti negativi di tale fenomeno.
Va ricordato, innanzitutto, che l’art. 119 della Costituzione, così come modificato con legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, prevede che Comuni, Province, Città Metropolitane e Regioni possano “ricorrere all’indebitamento solo per finanziare spese di investimento”. La specificazione, a tal fine, del concetto di deficit si rinviene nel testo della legge finanziaria per il 2004, con una differenziazione dei limiti quantitativi all’indebitamento tra i vari enti pubblici locali.
Il problema dei passivi dovuti ad operazioni su derivati nasce nella metà degli anni ’90. In precedenza, infatti, l’indebitamento delle amministrazioni pubbliche aveva
176 Sull’applicabilità dell’art. 1933 c.c. ai derivati, x. xxxxxxxxxx xxxxx, Xxx. XXX, § 0.
000 Xx xxxxxxxx, xx sono occupati del problema, tra gli altri, ATELLI, Gli strumenti derivati negli enti locali, Milano, 2008; FONTANA – ROSSI, Maggiori i vincoli sull'utilizzo dei derivati, in Guida al diritto, 2009, 6, p. 57; XXXXXXXXX, Ulteriori riflessioni sull'art. 62 d.l. 112/2008 in materia di contenimento dell'indebitamento delle Regioni e degli Enti locali a seguito delle ultime modifiche introdotte dalla legge finanziaria 2009, in La Finanza Locale, 2009, 3, p. 77; LA TORRE, Enti locali e strumenti di finanza derivata, in L'Amministrazione italiana, 2009, 7-8, p. 1021; NADOTTI, I derivati nelle PA locali: origine, dimensione e criticità, Milano, 2009; PARDI, Strumenti finanziari derivati ed enti locali: una relazione difficile, in Xxx. Xxxxx xxx Xxxxx, 0000, 0, x. 00; GRECO, I controlli della Corte dei conti sulla gestione degli Enti locali nella legge finanziaria 2008, in Nuova rassegna di legislazione, dottrina e giurisprudenza, 2008, 4, p. 434; SANGIOVANNI, Dichiarazione del contraente e strumenti finanziari derivati degli enti territoriali, in Nuova rassegna di legislazione, dottrina e giurisprudenza, 2010, 11, pp. 1161; XXXX, Il divieto di sottoscrizione di contratti in derivati e le possibilità offerte dall'attuale situazione dei mercati finanziari, in La Finanza Locale, 2009, 5, p. 11; TRUDU, Problematiche connesse all'uso dei contratti su strumenti finanziari derivati da parte degli enti locali, in La Finanza Locale, 2008, 4, p. 26. Da ultimo, propone un cenno alla questione anche DE NOVA, I contratti derivati come contratti alieni, in Riv. dir. priv., 2009, 3, p. 16.
avuto luogo, quasi esclusivamente, nei confronti della Xxxxx Xxxxxxxx e Prestiti. Senonchè, con l’art. 35 della l. 23 dicembre 1994, n. 724, il legislatore ha consentito agli Enti Locali di finanziare i propri investimenti attraverso emissioni obbligazionarie. È proprio in seguito all’emanazione del decreto d’attuazione di tale normativa, ossia il
D.M. 420/1996, che ha origine il tormentato rapporto tra le pubbliche amministrazioni e gli strumenti finanziari derivati.
A fronte dell’emissione di obbligazioni da parte di tali enti, il decreto prevedeva la stipula di un derivato di tipo currency swap178 proprio con finalità di copertura; il testo del provvedimento, infatti, recitava che “per la copertura del rischio di cambio tutti i prestiti in valuta estera devono essere accompagnati, al momento dell'emissione, da una corrispondente operazione di swap. L'operazione di swap dovrà trasformare, per l'emittente, l'obbligazione in valuta in un'obbligazione in lire, senza introdurre elementi di rischio”; veniva, altresì, previsto che tali operazioni dovessero essere effettuate “con intermediari di provata affidabilità ed esperienza”.
La legge finanziaria per il 2002, e il relativo decreto attuativo (D.M. 389/2003) avevano precisato le tipologie dei derivati alle quali gli enti locali avrebbero potuto fare ricorso179. I problemi, tuttavia, sorsero nel momento in cui, negli anni successivi, gli enti locali iniziarono a fare un uso improprio, se non distorto, di tali operazioni; spesso per ottenere benefici immediati dai meccanismi di up-front. Per up-front si intende180, sostanzialmente, la corresponsione di una somma, da parte dell’intermediario nei confronti della controparte, quando i derivati presentano condizioni contrattuali le quali, già in partenza o nel corso del rapporto, non sono in linea con quelle di mercato; attraverso la corresponsione dell’up-front viene, così, riequilibrato il rapporto dal punto di vista del valore economico delle prestazioni.
Poiché l’up-front rappresenta una forma di finanziamento, che permette all’investitore di ottenere immediatamente denaro liquido (a fronte, peraltro, di una posizione poco vantaggiosa in prospettiva futura) l’operazione si rivela allettante, in un primo momento, per le amministrazioni pubbliche, in quanto essa consente di incamerare immediatamente (e poter spendere) le somme erogate dall’intermediario a titolo di up-front pur gravando l’ente di una posizione debitoria assai onerosa per il futuro. Queste operazioni, pertanto, hanno consentito di ottenere liquidità immediata a
178 La figura del currency swap è stata descritta supra, Cap. I, § 5.1.
179 Le operazioni ammesse erano le seguenti: interest rate swap; currency swap; forward rate agreement; collar e loro combinazioni; swap d’ammortamento; altre operazioni in derivati per la ristrutturazione del debito.
180 Su tale concetto si tornerà approfonditamente più avanti. V. § 4 di questo Capitolo.
fronte dell’accettazione di una posizione contrattuale sulla quale incombeva, fin dall’inizio, un saldo negativo difficile da ripianare181.
Dopo una serie di interventi legislativi rivelatisi inidonei a risolvere il problema182, la legge 6 agosto 2008, n. 133, ha previsto una serie di rimedi, tra i quali spiccano: la sospensione dell’operatività dei derivati in attesa di un riordino della materia da affidare ad un apposito provvedimento; il divieto per gli Enti locali di ricorrere ad operazioni di indebitamento con rimborso in un’unica soluzione alla scadenza; e, soprattutto, l’inclusione delle operazioni di up-front tra le operazioni di indebitamento183.
Nell’ambito del riordino della materia, che dovrà avvenire a seguito dell’emanazione di uno o più regolamenti da parte del Ministero dell’Economia e delle Finanze, dovranno essere disciplinati una serie di aspetti; in particolare, si preciseranno le tipologie di contratti, relativi a strumenti finanziari derivati e alle componenti derivate implicite o esplicite, da ritenersi ammissibili; le informazioni da riportare obbligatoriamente nel testo contrattuale; le indicazioni che, per ognuno dei contratti sottoscritti, dovranno essere incluse dagli enti nel bilancio di previsione e nel rendiconto.
La legge finanziaria per il 2009 (l. 22 dicembre 2008, n. 203) ha riconfermato gli ambiti di intervento della normativa di riordino e ha previsto, altresì, la possibilità di ristrutturare i contratti derivati in essere, a seguito di una modifica delle passività sottostanti.
Attualmente, i provvedimenti attuativi versano in fase di elaborazione. Inoltre, si trova nello stadio della pubblica consultazione una bozza di regolamento del Ministro dell’Economia e delle Finanze che introduce una disciplina di dettaglio dei contratti – stipulati dalle P.A. - aventi ad oggetto strumenti finanziari derivati, anche per quanto attiene alla loro forma e al loro contenuto. Si tratta, dunque, di una materia la cui disciplina normativa non presenta ancora caratteri di compiutezza.
000 X. Xxxx. Xxxxxxx, 14 dicembre 2009, n. 5244, in xxx.xxxxxx.xx, 2010, secondo cui “il contratto di swap con up-front, seppure sottoscritto da un Comune al fine di ottenere una liquidità immediata, ha una causa ben diversa rispetto a quella propria del contratto di mutuo o dell’anticipazione di credito”, ossia “quella di effettuare uno scambio tra somme di denaro tra le parti, basate su tassi di interessi diversi e sul rischio della loro differenza”. X. xxxxx X.x.x. Xxxxxxx, 00 novembre 2010, in xxx.xxxxxx.xx, che ha riconosciuto alla p.a. la possibilità di agire in via di autotutela in seguito alla stipula di swap privi di convenienza per l’amministrazione.
182 Ci si riferisce, per la precisione, alla l. 27 dicembre 2006, n. 296 (art. 1, comma 737) e alla l. 24 dicembre 2007, n. 244.
183 La Corte Costituzionale ha ritenuto non fondata la questione di legittimità costituzionale sollevata con riferimento all’art. 62, d.l. 25 giugno 2008, n. 112, convertito con l. 6 agosto 2008, n. 133. X. Xxxxx Xxxx., 00 febbraio 2010, n. 52, in Foro amm., C.d.s., 2010, 2, p. 274.
I dati forniti dalla Banca d’Italia nell’ambito di un’indagine conoscitiva presentata in occasione di una recente audizione tenutasi presso il Senato della Repubblica184 consentono di fare chiarezza sulle imponenti dimensioni raggiunte, nel nostro Paese, dal fenomeno concernente il ricorso ai derivati da parte degli enti pubblici185: nel marzo 2008 (quindi poco prima della sospensione disposta dal legislatore), 496 amministrazioni locali avevano fatto ricorso ai derivati; di queste, ben 440 erano Comuni, ai quali si assommavano 13 Regioni e 28 Province. Se le prestazioni contrattuali fossero state eseguite in quel momento, le amministrazioni avrebbero dovuto versare, nel complesso, la considerevole cifra ammontante a 1,1 miliardi di euro.
Le proporzioni del problema si rivelano, dunque, rimarchevoli sia dal punto di vista del numero dei soggetti coinvolti, sia sotto il profilo del volume d’affari che vi ruota attorno. In attesa di una disciplina compiuta, non si può che condividere la scelta operata del legislatore nel senso di porre un freno alla crescente proliferazione di tale pratica.
Tornando al tema più generale delle limitazioni soggettive previste riguardo alle negoziazioni su derivati, merita di essere segnalato un ulteriore aspetto. In dottrina186 è stata, infatti, posta in luce l’esistenza di un vulnus in materia di credit derivatives ed è stata invocata, in prospettiva de jure condendo, l’introduzione di vincoli ferrei con riferimento a tale tipologia di contrattazioni. Rivelandosi, infatti, insufficiente, con riferimento a questo tipo di strumento, la riserva di attività prevista dall’art. 18 T.u.f. di cui si parlerà nei prossimi paragrafi, viene auspicato che le operazioni aventi ad oggetto derivati di credito siano effettuabili da una cerchia esclusiva di soggetti così come accade, ad esempio, per l’attività assicurativa187.
184 Si tratta, in particolare, dell’Indagine conoscitiva sull’utilizzo e la diffusione degli strumenti di finanza derivata e delle cartolarizzazioni nelle pubbliche amministrazioni, illustrata dal Capo del Servizio Studi di Struttura economica e finanziaria della Banca d’Italia, Xxxxxxx Xxxxxx, presso la Commissione VI del Senato della Repubblica (Finanze e Tesoro) in data 8 luglio 2009 e reperibile sul sito xxx.xxxxxxxxxxxx.xx.
185 Le proporzioni del fenomeno si rivelano ancor più vaste tenendo conto del fatto che tali dati si riferiscono unicamente ad operazioni effettuate con intermediari italiani.
186 E. BARCELLONA, Note sui derivati creditizi, cit., p. 670 ss.
187 E. BARCELLONA, Note sui derivati creditizi, cit., p. 671, rileva come “tanto il sistema giuridico statunitense quanto (seppure in termini non coincidenti) il sistema giuridico europeo hanno consentito che il business dei derivati creditizi potesse essere svolto in un regime di pura libertà di impresa, e cioè senza alcuna istituzione di una riserva legale a favore di imprese soggette a pubblica licenza e a sorveglianza regolamentare (quali sono, ad esempio, banche e assicurazioni)”. Tale autore rileva che “nei paesi occidentali maggiormente avanzati, quello della emissione di credit default swap è a tutt’oggi un mestiere che de jure condito qualsiasi impresa, anche non bancaria ed anche non assicurativa, può legittimamente svolgere senza alcun controllo pubblicistico”, osservando che un’attività così rischiosa viene quasi equiparata “a quella consistente nella vendita di un qualsiasi bene di consumo”.
Fatte queste premesse sui soggetti abilitati a stipulare e negoziare contratti derivati, va detto che la stragrande maggioranza di tali operazioni ha luogo nell’ambito dei servizi di investimento e, dunque, mediante l’intervento degli intermediari finanziari; ciò dà luogo all’applicazione di una normativa specifica e di considerevole rilevanza, che costituirà oggetto d’analisi nelle pagine che seguono.
3.2. I contratti derivati nel sistema dell’intermediazione finanziaria e dei servizi di investimento.
La vastità di temi quali quelli concernenti l’intermediazione finanziaria e i servizi di investimento renderebbe meritevoli i medesimi di ampi e specifici studi. Xxxx, si potrebbe dire che essi potrebbero essere scissi in più sezioni in grado di fornire, a propria volta, innumerevoli spunti per separate indagini.
È evidente, però, che approfondire tematiche così ricche nell’ambito di uno studio sui contratti derivati costringerebbe a deviare in maniera sproporzionata rispetto al tema che si è scelto di approfondire. Pertanto, in questa sede si parlerà di intermediazione finanziaria e di servizi di investimento unicamente nella misura in cui tali tematiche risultino compenetrate con la materia dei contratti derivati. Si tratta, a dire il vero, di questioni legate in maniera profonda, dato che, come si è anticipato in precedenza, accade nella quasi totalità dei casi che le negoziazioni aventi ad oggetto derivati abbiano luogo nell’ambito della prestazione di servizi di investimento; da ciò consegue, dunque, il necessario intervento degli intermediari finanziari.
Comprendere le ragioni di tutto ciò diviene agevole se si tengono presenti due aspetti. Per quanto riguarda i derivati uniformi, l’intervento degli intermediari diviene imprescindibile se si considera che essi, a differenza dei comuni investitori, godono della possibilità di accedere direttamente alle negoziazioni che si svolgono nei mercati regolamentati; essi, pertanto, svolgono un ruolo di congiunzione tra il mondo degli investitori e quello di tali mercati.
Con riferimento, invece, ai derivati stipulati over the counter – sostanzialmente esclusa, come si è visto, la rilevanza pratica di contrattazioni che abbiano luogo in assenza di operatori professionali – va detto che l’intervento degli intermediari si rivela essenziale in quanto essi, gestendo su larga scala i rischi legati a tali strumenti, possono ammortizzare eventuali perdite discendenti da talune operazioni attraverso i profitti
ottenuti da altre negoziazioni. Si tratta di una logica assimilabile a quella sottesa all’attività assicurativa188.
Fatta questa necessaria introduzione, non si è, tuttavia, ancora chiarito in cosa consistano l’attività di intermediazione finanziaria nonché quella di prestazione di servizi di investimento e in quale rapporto reciproco esse si trovino.
Va premesso, innanzitutto, che di intermediazione finanziaria può parlarsi in senso ampio o in senso stretto189.
Nel primo caso, tale nozione abbraccia anche l’attività bancaria e assicurativa. Al contrario, l’intermediazione finanziaria in senso stretto non comprende l’attività di credito e assicurativa; essa, invece, contempla le operazioni con cui gli intermediari finanziari provvedono a raccogliere il risparmio di massa e ad investirlo in prodotti finanziari - emessi da imprese finanziarie o produttive - i quali formano oggetto di scambi sia nei mercati organizzati, sia esternamente ad essi190.
La nozione di intermediazione finanziaria, intesa in quest’ultima accezione, è legata a quella di prestazione di servizi di investimento, in quanto l’esercizio professionale di quest’ultima attività è riservata dalla legge agli intermediari finanziari indicati dall’art. 18 T.u.f.: in particolare, le imprese di investimento191 e le banche192.
Tenendo conto che le operazioni riguardanti derivati avvengono, in massima misura, nell’ambito dei servizi di investimento e che l’esercizio professionale di questi è riservato agli intermediari finanziari menzionati poc’anzi, è agevole intuire come l’esercizio professionale e nei confronti del pubblico193 delle operazioni concernenti
188 Nel caso dell’assicurazione, infatti, “è dalla massa dei premi pagati dagli assicurati che l’assicuratore trae le somme necessarie per far fronte alle prestazioni dovute a coloro nei confronti dei quali si verifica l’evento”. Così VOLPE – PUTZOLU, Manuale di diritto delle assicurazioni, Milano, 2006, p.112.
189 AMOROSINO, Manuale di diritto del mercato finanziario, Milano, 2008, p. 3 ss.
190 AMOROSINO, Op. ult. cit.,, p. 4.
191 L’art. 1, lett. h), T.u.f., include nella categoria delle imprese di investimento le Società di intermediazione mobiliare (Sim) e le imprese di investimento comunitarie ed extracomunitarie. Le prime vengono definite come le imprese, diverse dalle banche e dagli intermediari finanziari di cui all’art. 107 del T.U. bancario, autorizzate a svolgere servizi o attività di investimento, aventi sede legale e direzione generale in Italia; le imprese di investimento comunitarie o extracomunitarie si differenziano, invece, dalle Sim per il fatto di avere sede e direzione generale, rispettivamente, in uno Stato comunitario diverso dall’Italia o in uno stato extracomunitario.
192 L’art. 18 T.u.f. prevede, peraltro, che alcuni dei servizi di investimento possano essere prestati, a determinate condizioni, dalle Società di Gestione del risparmio e dagli intermediari indicati dall’art. 107 T.u.b.; inoltre, si stabilisce, all’ultimo comma, che il Ministro dell’economia e delle finanze, con regolamento adottato sentite la Banca d'Italia e la Consob: “a) può individuare, al fine di tener conto dell'evoluzione dei mercati finanziari e delle norme di adattamento stabilite dalle autorità comunitarie, nuove categorie di strumenti finanziari, nuovi servizi e attività di investimento e nuovi servizi accessori, indicando quali soggetti sottoposti a forme di vigilanza prudenziale possono esercitare i nuovi servizi e attività; b) adotta le norme di attuazione e di integrazione delle riserve di attività previste dal presente articolo, nel rispetto delle disposizioni comunitarie”.
193 ANNUNZIATA, La disciplina del mercato mobiliare, cit., p. 105, chiarisce che “la nozione di “professionalità” deve essere intesa nel senso di svolgimento sistematico, abituale, ricorrente
derivati costituisca, fondamentalmente, oggetto di una riserva d’attività prevista dal legislatore a favore degli intermediari autorizzati.
Ecco, dunque, chiarito in cosa consista il forte legame intercorrente tra intermediazione finanziaria e negoziazioni su strumenti derivati; ed ecco, altresì, precisata la ragione per la quale non esistono particolari restrizioni per negoziazioni che avvengano senza l’intervento di intermediari: la riserva è volta a scongiurare le pericolose conseguenze che possono derivare dall’asimmetria tra le informazioni a disposizione dell’investitore e degli intermediari.
Nel vigore dell’ormai superata legge 2 gennaio 1991, n. 1, l’attività di intermediazione – che in quel tempo aveva ad oggetto valori mobiliari – era svolta dalle società di intermediazione mobiliare e dalle banche. La riferita necessità di chiarire se agli swap fosse applicabile tale normativa scaturiva giustappunto dall’esigenza di verificare la riconducibilità a tali rapporti delle norme sulla riserva di attività. La risposta positiva ha condotto i giudici a rilevare costantemente – pur in assenza di una previsione espressa - la nullità, per contrarietà a norme imperative poste a tutela di interessi generali194, dei contratti stipulati da intermediari finanziari privi delle richieste autorizzazioni o non iscritti all’albo dei soggetti abilitati195.
Il T.u.f., nella sua formulazione attualmente in vigore, fa riferimento non più alla “attività di intermediazione mobiliare”, bensì a “servizi e attività di investimento” aventi ad oggetto “strumenti finanziari” (tra cui, come detto, vanno ricompresi i contratti derivati).
Scendendo maggiormente nel particolare, la legge definisce servizi e attività di investimento una serie di operazioni, elencate dall’art. 1, comma 5°, T.u.f., che hanno
dell’attività”; quanto, invece, al concetto “nei confronti del pubblico”, tale autore ritiene che “dovrà considerarsi svolta nei confronti del pubblico l’attività che, genericamente, si rivolge a soggetti o economie terze, anche se numericamente limitate, e anche se preventivamente individuate o identificate”.
194 Cass., 15 marzo 2001, n. 3753, in Giur. it., 2001, p. 2083, con nota di X. XXXXXXXXX, Brevi note sulla nullità dei contratti aventi ad oggetto valori mobiliari da parte di società non iscritta all’Albo, enuncia, tra gli interessi di carattere generale protetti dalle norme che impongono la riserva di attività, la tutela sia dei risparmiatori uti singuli che del risparmio pubblico inteso come elemento di valore dell’economia nazionale; la stabilità del sistema finanziario; l’esigenza di preservare il mercato da inquinamenti derivanti da risorse provenienti da circuiti illegali e quella di rendere efficiente il mercato dei valori mobiliari, “con vantaggi per le imprese e per la economia pubblica, tutti interessi chiaramente prevalenti su quelli del privato”.
195 Cass., 6 aprile 2001, n. 5114, in Foro it., 2001, I, c. 2186, con nota di X. XXXXXXXXX, “Swaps” abusivi: profili di invalidità e responsabilità precontrattuale e in Corr. giur., 2001, II, p. 1062, con nota di X. XXXXXXXXX; Cass., 5 aprile 2001, n. 5052, in Foro it., 2001, I, c. 2208; Cass. civ., 15 marzo 2001,
n. 3753, cit., p. 2083 ss., con nota di XXXXXXXXX che esamina approfonditamente il problema. V. anche Cass. civ., 7 marzo 2001, n. 3272.
necessariamente ad oggetto strumenti finanziari196. L’elenco apprestato dal T.u.f. comprende la negoziazione per conto proprio197; l’esecuzione di ordini per conto dei clienti198; la sottoscrizione e il collocamento199; la gestione di portafogli; la ricezione e trasmissione di ordini200; la consulenza in materia di investimenti201; la gestione di sistemi multilaterali di negoziazione202.
Resta, dunque, da chiedersi se le operazioni su derivati ricadano nell’ambito di alcuni dei servizi d’investimento appena menzionati e della relativa disciplina.
A tal proposito, va operata una distinzione a seconda del tipo di contratto. Infatti, le negoziazioni tra investitori ed intermediari riguardanti contratti di swap ricadono, usualmente, nell’ambito del servizio di negoziazione in conto proprio; rientrano, invece, nell’ambito dei servizi di esecuzione di ordini per conto dei clienti oppure di ricezione e trasmissione di ordini le operazioni concernenti derivati negoziabili sui mercati regolamentati203, che l’intermediario, se ammesso ad intervenirvi in base alle regole d’accesso al mercato, provvederà ad effettuare in tale sede nelle veci dell’investitore.
Ricapitolando: qualora le negoziazioni su derivati costituiscano oggetto di un servizio di investimento e siano altresì svolte in maniera professionale e nei confronti del pubblico, sono soggette alle previsioni apprestate dagli artt. 18 ss. T.u.f. e alle
196 Sulla nozione di strumento finanziario, v. infra, Cap. III, § 2.
197 L’art. 5-bis del T.u.f. definisce la negoziazione per conto proprio come “l’attività di acquisto e vendita di strumenti finanziari, in contropartita diretta e in relazione a orgini dei clienti, nonchè l’attività di market maker”.
198 Il T.u.f. non ha riproposto la definizione che di tale servizio è stata fornita dalla Direttiva Mifid; in tale sede, l’esecuzione di ordini per conto dei clienti era stata descritta come “la conclusione di accordi di acquisto o di vendita di uno o più strumenti finanziari per conto dei clienti”.
199 Tale servizio si distingue dalla esecuzione di ordini per conto dei clienti in quanto può avere ad oggetto anche la sottoscrizione e non solo la vendita di strumenti finanziari e l’offerta avviene sulla base di condizioni uniformi. Così ANNUNZIATA, La disciplina del mercato mobiliare, cit., p. 92.
200 Il servizio di ricezione e trasmissione di ordini viene definito dall’art. 5-sexies del T.u.f.; esso “comprende la ricezione e la trasmissione di ordini nonché l’attività consistente nel mettere in contatto due o più investitori, rendendo così possibile la conclusione di un’operazione tra loro (mediazione)”.
201 Ai sensi dell’art. 5-septies T.u.f., per "consulenza in materia di investimenti" si intende “la prestazione di raccomandazioni personalizzate a un cliente, dietro sua richiesta o per iniziativa del prestatore del servizio, riguardo a una o più operazioni relative ad un determinato strumento finanziario. La raccomandazione è personalizzata quando è presentata come adatta per il cliente o è basata sulla considerazione delle caratteristiche del cliente. Una raccomandazione non è personalizzata se viene diffusa al pubblico mediante canali di distribuzione”.
202 Il T.u.f. (art. 5-octies) prevede che “per gestione di sistemi multilaterali di negoziazione si intende la gestione di sistemi multilaterali che consentono l’incontro, al loro interno ed in base a regole non discrezionali, di interessi multipli di acquisto e di vendita di terzi relativi a strumenti finanziari, in modo da dare luogo a contratti”.
203 In tal senso, XXXXXXXXXX, Gli strumenti derivati: i controlli sulle patologie del capitalismo finanziario, in Contr. impr., 2009, 2, p. 309.
corrispondenti disposizioni d’attuazione di cui al c.d. Regolamento Intermediari204. Ciò comporta l’applicazione di una disciplina specifica concernente sia la forma dei contratti sia, soprattutto, le regole di comportamento che gli intermediari sono tenuti a rispettare nella prestazione di tali servizi.
In relazione al primo profilo, va detto che i dubbi maggiori sulla forma erano sorti a causa del poco chiaro dettato della normativa previgente. Infatti, l’art. 6, comma 1, lettera c), l. 1/1991, imponeva all’intermediario di stabilire i rapporti col cliente stipulando un contratto per iscritto che contenesse l’indicazione della natura e delle modalità di svolgimento dei servizi forniti, dei criteri per il calcolo della loro remunerazione e, infine, delle altre condizioni convenute.
Tale norma dava adito a due interrogativi. Il primo concerneva le conseguenze della violazione di tale obbligo, non previste espressamente dalla legge: la giurisprudenza prevalente ha ritenuto che la norma citata fosse imperativa e che, pertanto, fossero nulli ex art. 1418 c.c. i contratti non conclusi per iscritto205. L’isolata opinione contraria è stata argomentata non solo con la mancata previsione espressa della sanzione della nullità ma anche mediante un raffronto con la disciplina in materia di trasparenza bancaria206.
La seconda incognita riguardava, invece, l’ampiezza di tale obbligo. Va detto, infatti, che le contrattazioni di cui si discorre avvengono, comunemente, mediante il ricorso ad un c.d. contratto quadro - che determina la cornice giuridica del rapporto207 - seguito dalle c.d. conferme, le quali regolamentano le singole operazioni nell’ambito di
204 Il c.d. Regolamento Intermediari costituisce il Regolamento recante norme di attuazione del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 in materia di intermediari ed è stato adottato con dalla Consob con delibera n. 16190 del 29 ottobre 2007. Quello attualmente in vigore ha sostituito il Regolamento previgente, adottato dalla Consob con delibera n. 11522 del 1° luglio 1998. Il Regolamento Intermediari prevede, tra le altre, norme molto importanti in materia di autorizzazioni all’attività di intermediazione e regole di comportamento imposte agli intermediari nella prestazione di servizi di investimento. Con riferimento alle caratteristiche dei contratti di investimento, v., in particolare, MAFFEIS, La natura e la struttura dei contratti di investimento, in Riv. dir. priv., 2009, 3, p. 63.
205 Per tutte, Trib. Torino, 10 aprile 1998, in Giur. it., 1998, III, p. 1884, con nota di X. XXXXXX.
206 Coll. Arb., 26 marzo 1996, in Banca, borsa, tit. cred., 1996, II, p. 682. Nel caso specifico, l’intermediario era una Banca. Il Collegio ha affermato che “la l. 17 febbraio 1992, n. 154, analogamente alla legge sull’intermediazione mobiliare ha previsto la forma scritta per le operazioni e i servizi bancari, senza comminare la sanzione della nullità in caso di sua inosservanza. Questa conclusione rende superflua l’indagine sull’applicabilità di queste norme ai contratti di cui si discute”. Su tale questione, si veda la ricostruzione del dibattito giurisprudenziale e dottrinale operata da GOBBO- SALODINI, I servizi di investimento nella giurisprudenza più recente, in Giur. comm., 2006, II, 7 ss.
207 In proposito, va segnalato il recente contributo di XXXXXXXXX, L’inadempimento di “non scarsa importanza” nell’esecuzione del contratto c.d. quadro tra teoria generale della risoluzione e statuto normativo dei servizi di investimento, in Banca, borsa, tit. cred., 2010, 6, p. 783. V. anche XXXXXXX, L’operatore qualificato con particolare riguardo ai contratti swap, in Nuova giur. civ. comm., 2006, 404.
quanto previsto dal master agreement208; sul punto, ci si è domandati se fosse richiesta una forma particolare per le singole conferme, specialmente in assenza di un contratto quadro.
La giurisprudenza ha ritenuto, innanzitutto, che in presenza di un previo accordo quadro, dotato di tutti i requisiti richiesti dalla legge, non fosse necessaria l’adozione della forma scritta per i singoli ordini, data l’assenza di qualsiasi previsione normativa in tal senso209.
In alcuni casi, sono state giudicate valide singole operazioni di swap poste in essere in assenza di contratto quadro, purché dotate dei requisiti richiesti dalla legge per il master agreement210; tuttavia, il contratto quadro, redatto per iscritto, è stato ritenuto un atto necessario dalla giurisprudenza prevalente211.
L’art. 18 del d.lgs. n. 415/1996 e, in seguito, l’art. 23 T.u.f. hanno posto fine ai dubbi riguardanti le conseguenze del mancato rispetto delle previsioni sulla forma. Viene, infatti, richiesta la forma scritta ad substantiam per i contratti relativi alla prestazione di servizi di investimento, un esemplare dei quali va consegnato ai clienti. La violazione di tali disposizioni, viene sanzionata con la nullità dell’accordo; ma tale invalidità può essere fatta valere unicamente dal cliente212.
Va detto, peraltro, che lo stesso art. 23 T.u.f. attribuisce alla Consob la possibilità di esonerare dall’obbligo di adozione della forma scritta particolari categorie di contraenti, per motivate ragioni tecniche o in relazione alla loro natura professionale; così, il Regolamento Intermediari attualmente in vigore (art. 37, comma 1) prevede che
208 Sul punto, esaustivamente, GRECO, Informazione pre-contrattuale e rimedi nella disciplina dell’intermediazione finanziaria, Milano, 2010, p. 25, il quale fornisce una interessante ricostruzione del dibattito sorto in ordine alla natura giuridica degli ordini.
209 Cass., 7 settembre 2001, n. 11495, in Foro it., 2003, I, 1, c. 612, con nota di CATALANO, Ancora sugli strumenti finanziari derivati, tra forma dei contratti ed ingiustificato arricchimento; Cass., 9 gennaio 2004, n. 111, in Notariato, 2004, p. 232 ss.; App. Milano, 5 maggio 1998, in Banca, borsa, tit. cred., 2000, II, p. 675 ss; Coll. Arb., 19 luglio 1996, in Riv. dir. priv., 1997, p. 564, con nota di XXXXXXX, Contratto di swap e gioco.
210 Coll. Arb., 10 febbraio 1998, in Banca, borsa, tit. cred., 2000, II, p.87 ha ritenuto che il contratto scritto di cui all’art. 6, l. n. 1/1991 non è necessariamente quello c.d. “quadro”, ma può essere anche quello concernente la singola operazione. In tal senso anche Trib. Milano, 20 febbraio 1997, in Banca, borsa, tit. cred., 2000, II, p. 82. In dottrina, X. XXXXXX, op. cit., 688, ha sostenuto che la forma andrebbe riferita al contratto quadro, e non ai singoli ordini, “qualora ricorra un master agreement”; alla “specifica operazione di swap, qualora invece un contratto quadro risulti mancare”.
211 Per tutte, Trib. Firenze, 18 ottobre 2005, in Giur. merito, 2007, 49, con nota di XXXXXXXX, Mancata stipulazione del contratto quadro e nullità degli ordini di acquisto. Si registrano, peraltro, decisioni le quali, in materia di servizi di investimento prestati nel vigore del T.u.f., hanno reputato non necessaria la sussistenza di un previo contratto quadro. Così App. Genova, 30 giugno 2006, in Giur. merito, 2007, 7, 1910 ss., con commento di BELFIORE, Si può fare a meno del contratto quadro nei servizi di investimento?
212 Si tratta di un’ipotesi di nullità relativa. Sul tema, tra gli altri, si rimanda a ROPPO, Il contratto, Milano, 2001, p. 841; XXXXXXXXXX, Nullità speciali, Milano, 1995, p. 176 ss; GIOIA, Nuove nullità relative e tutela del contraente debole, in Contr. impr., 1999, II, p. 1332.
i contratti vadano conclusi per iscritto solamente quando una delle parti sia un cliente
c.d. al dettaglio213.
Il medesimo Regolamento, oltre ad indicare il contenuto necessario dei contratti aventi ad oggetto servizi di investimento, all’art. 37, comma 2, lett. c) 214, fornisce uno spunto decisivo a favore di chi ritiene che ordini e istruzioni impartiti in ossequio ad un contratto quadro dotato dei requisiti richiesti non necessitino della forma scritta: si prevede, infatti, che il contratto debba indicare “le modalità attraverso cui il cliente può impartire ordini e istruzioni”, lasciando intendere che la determinazione delle stesse sia rimessa all’autonomia delle parti.
Nemmeno la nuova normativa, invece, chiarisce espressamente se sia ammissibile l’effettuazione di singoli ordini in assenza di un contratto xxxxxx000.
Passando ad esaminare la seconda delle questioni prospettate, ossia quella relativa agli obblighi informativi imposti agli intermediari nella prestazione dei servizi di investimento, va detto che la Direttiva Xxxxx ha apportato, in materia, numerose innovazioni. La relativa disciplina può essere ricavata dalle norme del T.u.f. e da quelle del Regolamento Intermediari. Essa mira ad attenuare quanto più possibile
213 Sono clienti al dettaglio “coloro che non siano clienti professionali o controparte qualificata (ossia le imprese di investimento, le banche, le imprese di assicurazione, gli OICR, le SGR, le società di gestione armonizzate, i fondi pensione, gli intermediari finanziari iscritti negli elenchi previsti dagli artt. 106, 107 e 113 del T.U. Bancario, le società di cui all’art. 18 del T.U. Bancario, gli istituti di moneta elettronica, le fondazioni bancarie)”. Sul punto, COSTI, Il mercato mobiliare, Torino, 2008, 144. Si tornerà a breve sulla questione della differenziazione della clientela: v. infra, nel testo.
214 In base a tale norma, infatti, il contratto attraverso il quale l’intermediario fornisce un servizio di investimento: a) specifica i servizi forniti e le loro caratteristiche, indicando il contenuto delle prestazioni dovute e delle tipologie di strumenti finanziari e di operazioni interessate; b) stabilisce il periodo di efficacia e le modalità di rinnovo del contratto, nonché le modalità da adottare per le modificazioni del contratto stesso; c) indica le modalità attraverso cui il cliente può impartire ordini e istruzioni; d) prevede la frequenza, il tipo e i contenuti della documentazione da fornire al cliente a rendiconto dell'attività svolta; e) indica e disciplina, nei rapporti di esecuzione degli ordini dei clienti, di ricezione e trasmissione di ordini, nonché di gestione di portafogli, la soglia delle perdite, nel caso di posizioni aperte scoperte su operazioni che possano determinare passività effettive o potenziali superiori al costo di acquisto degli strumenti finanziari, oltre la quale è prevista la comunicazione al cliente; f) indica le remunerazioni spettanti all’intermediario o i criteri oggettivi per la loro determinazione, specificando le relative modalità di percezione e, ove non diversamente comunicati, gli incentivi ricevuti in conformità dell’articolo 52; g) indica se e con quali modalità e contenuti in connessione con il servizio di investimento può essere prestata la consulenza in materia di investimenti; h) indica le altre condizioni contrattuali convenute con l'investitore per la prestazione del servizio; i) indica le eventuali procedure di conciliazione e arbitrato per la risoluzione stragiudiziale di controversie, definite ai sensi dell’articolo 32-ter del Testo Unico.
215 La giurisprudenza sembra attestarsi su una posizione restrittiva. Sul punto, v. Trib. Roma, 29 marzo 2010, in xxx.xxxxxx.xx; Trib. Alba, 2 novembre 2010, ivi; Trib. Modena, 27 aprile 2010, ivi; Trib. Forlì, 20 gennaio 2010, ivi. In dottrina, X. DURANTE, Con il nuovo Regolamento Intermediari, regole di condotta “flessibili” per la prestazione dei servizi di investimento, in Giur. merito, 2008, 3, 641, afferma che “dovrà considerarsi nullo l’ordine di investimento effettuato dal cliente al dettaglio, ancorchè in forma scritta, in assenza della previa stipulazione di un contratto quadro”.
l’incidenza delle asimmetrie informative esistenti tra risparmiatore e intermediario, affinchè il primo effettui con consapevolezza le proprie scelte di investimento216.
L’art. 21 T.u.f. detta i criteri generali ai quali gli intermediari devono attenersi nella prestazione dei servizi di investimento, stabilendo, innanzitutto, che essi devono comportarsi con diligenza, correttezza e trasparenza217. La norma precisa espressamente gli obiettivi di tale regolamentazione: in primis, far sì che gli intermediari possano “servire al meglio l’interesse dei clienti”; in secondo luogo, preservare “l’integrità dei mercati”.
Il T.u.f. impone agli intermediari di richiedere ai clienti le informazioni necessarie affinchè essi “siano sempre adeguatamente informati”. Vi è, dunque, uno scambio di informazioni tra questi soggetti: gli operatori professionali danno conto del servizio prestato, ma, a loro volta, fanno il possibile per essere messi al corrente sulle attitudini finanziarie dell’investitore e degli obiettivi perseguiti da quest’ultimo attraverso le operazioni finanziarie poste in essere218.
Ulteriori prescrizioni sono stabilite con riferimento alle comunicazioni pubblicitarie nonché alle procedure di controllo interno.
Molto importanti risultano, poi, le previsioni dettate in materia dei conflitto di interessi219 che possono sorgere tra risparmiatore e intermediari: questi ultimi sono, infatti, tenuti ad adottare ogni “misura ragionevole” per identificare i possibili conflitti
216 CAPRIGLIONE, Intermediari finanziari, investitori, mercati, Padova, 2008, p. 7, osserva come la conoscenza dei prodotti acquistati dall’investitore “assurge a presupposto di una consapevolezza dell’agere che deve considerarsi fattore imprescindibile per gli equilibri complessivi di una relazione contrattuale oggi improntata alla dialettica autonomia – controllo – responsabilità”; ne consegue che “il recupero di ambiti di libertà contrattuale avviene, ora, attraverso la gestione delle asimmetrie informative che, per solito, caratterizzano i rapporti di cui trattasi, ora valutando in chiave critica tutto ciò che incide negativamente sulla determinazione in piena autonomia del contenuto del contratto”.
217 “Comportarsi con diligenza vuol dire agire in maniera professionalmente adeguata. In altri termini, conoscere e far bene il proprio mestiere” Xxxxxx alla correttezza, “si è corretti se ci si comporta con lealtà, senza secondi fini e rispettando tutte le prescrizioni imposte dall’ordinamento”. La trasparenza, come concetto, “è invece legata all’informazione. Si sostanzia nel rendere al cliente tutte le informazioni necessarie sul servizio prestato”. Così AMOROSINO, Manuale di diritto del mercato finanziario, cit., p. 101.
218 In dottrina si afferma, a tal proposito, che “obbligo di informare ed onere di informarsi rispondono alla c.d. logica dei flussi normativi bidirezionali e alla loro interazione reciproca”; in questo modo “i motivi dell’investimento cessano di appartenere alla sfera intima del cliente e trovano accesso nel rapporto negoziale, ragione per cui non potrà non tenersene conto in sede di valutazione della responsabilità dell’intermediario di fronte a scelte che dimostrino che egli non ha servito al meglio il cliente”. Così GRECO, Informazione pre-contrattuale e rimedi nella disciplina dell’intermediazione finanziaria, cit., p. 72 s. In generale, sul dovere di informazione degli intermediari, cfr. il recente contributo di XXXXXXXXX, La trasparenza nella distribuzione di strumenti finanziari derivati ed il problema della efficacia delle regole informative, in Contr. impr., 2010, 2, p. 499.
219 Si parla di conflitto di interessi nei casi in cui l’intermediario versi in situazioni “nelle quali potrebbe essere indotto a non realizzare appieno l’interesse del proprio cliente/investitore essendo, piuttosto, tentato di privilegiare altri interessi (ad esempio, l’interesse proprio, quello di altri investitori, o quello di soggetti collegati all’intermediario stesso)”. Così ANNUNZIATA, La disciplina del mercato mobiliare, cit., p. 128.
e sono tenuti a gestirli “in modo da evitare che incidano negativamente sugli interessi dei clienti”. In ogni caso, sono tenuti ad informare i clienti dell’esistenza di tale situazione220.
La specificazione del contenuto degli obblighi di trasparenza e correttezza viene rimessa, dall’art. 6 T.u.f., alle norme regolamentari emanate dalla Consob, sentita la Banca d’Italia221. L’Autorità di vigilanza ha ottemperato attraverso l’emanazione del già citato Regolamento Intermediari, il quale, agli artt. 26 ss., detta puntualmente le disposizioni di dettaglio relative alla prestazione dei servizi di investimento. Vengono, così, definiti i requisiti generali delle informazioni che gli intermediari devono fornire ai clienti in ordine ai servizi forniti, agli strumenti finanziari negoziati e ai costi connessi alla prestazione di tali attività; si precisano, altresì, i requisiti che devono connotare tali informazioni affinchè queste possano essere definite corrette, chiare e non fuorvianti; nonché i termini entro i quali tali dati vanno forniti ai clienti.
Nel novero delle norme più importanti in tema di condotta possono essere, senza dubbio, inserite quelle contenute negli artt. 39 ss.: esse impongono, agli intermediari, l’effettuazione di una valutazione – differente a seconda del servizio di investimento prestato – in ordine alla adeguatezza o appropriatezza di tali operazioni per il cliente; l’art. 45 fissa, inoltre, misure per l’esecuzione degli ordini alle condizioni più favorevoli per il cliente (c.d. best execution)222.
A questo punto del discorso urge, però, sottolineare in maniera netta un profilo molto importante della disciplina di cui si discorre.
Va rimarcato, infatti, che la normativa legislativa e regolamentare apprestata in materia di condotta degli intermediari nella prestazione di servizi di investimento viene differenziata sulla base delle caratteristiche degli investitori.
Più precisamente, l’art. 6, comma 2° T.u.f., nel delegare alla Consob il compito di specificare le regole in ordine agli obblighi di trasparenza e correttezza, specifica che
220 Per una esauriente analisi del problema, inclusiva di una panoramica sull’evoluzione legislativa in materia, si rimanda a M. BARCELLONA, Mercato mobiliare e tutela del risparmio, Milano, 2009, p. 95 ss. Quanto al conflitto di interessi con specifico riferimento ai derivati, x. XXXXXXX, voce Contratti derivati, cit., p. 365.
221 Si tratta, appunto, del già citato Regolamento Intermediari. La disciplina sull’organizzazione viene, invece, rimessa ad un regolamento congiunto di Banca d’Italia e Consob.
222 Per una disamina del problema, cfr. SANGIOVANNI, Operazioni inadeguate e doveri informativi dell’intermediario finanziario, in Giur. comm., 2009, 3, p. 555. Sull’adeguatezza di un’operazione riguardante swap, x. Xxxx. Xxxxxx, 0 febbraio 2010, n. 110, in xxx.xxxxxx.xx, secondo cui “in tema di contratti di swap, la valutazione circa l’adeguatezza dell’operazione finanziaria impone all’intermediario di formulare un giudizio sull’operazione finanziaria tale da garantire ai clienti le informazioni adeguate sulla natura, sui rischi e sulle implicazioni della specifica operazione, la cui conoscenza è indispensabile a questi ultimi per effettuare scelte consapevoli”.
l’Authority deve tenere conto “delle differenti esigenze di tutela degli investitori”, da valutarsi sulla base della “qualità ed esperienza professionale dei medesimi”.
Se si tiene presente che la ratio dell’imposizione di regole di condotta agli intermediari può essere individuata nel tentativo di ridurre il divario di competenze rispetto ai risparmiatori, ci si rende ben conto di come tale esigenza di tutela venga meno nei casi in cui l’investitore sia un soggetto avvezzo al compimento di tali operazioni o comunque esperto del settore. In tali ipotesi, l’imposizione di abbondanti informazioni può risultare superflua se non costituire un vero e proprio intralcio nello svolgimento di tali procedimenti.
Per queste ragioni, il Regolamento Intermediari individua tre tipologie di clientela: i clienti professionali223; le controparti qualificate224; i clienti al dettaglio225. Così, ai servizi prestati a questi ultimi vengono applicate tutte le norme, sulla condotta degli intermediari, stabilite dalla legge e dai regolamenti di attuazione; invece, nell’ipotesi degli investitori classificati come controparti qualificate accade esattamente il contrario. Infine, ai c.d. clienti professionali viene attribuita una collocazione che può
223 L’allegato 3 al Regolamento Intermediari definisce clienti professionali coloro che possiedono l’esperienza, le conoscenze e la competenza necessarie per prendere consapevolmente le proprie decisioni in materia di investimenti e per valutare correttamente i rischi che assumono. Si distingue tra clienti professionali di diritto, che vengono enumerati espressamente in un elenco che comprende, tra gli altri, banche, imprese di investimento e imprese di assicurazione; e clienti professionali su richiesta, ossia “i clienti diversi da quelli inclusi alla sezione I, che ne facciano espressa richiesta, come clienti professionali, purché siano rispettati i criteri e le procedure” menzionati dal Regolamento stesso.
La norma prevede che “non è comunque consentito presumere che tali clienti possiedano conoscenze ed esperienze di mercato comparabili a quelle delle categorie elencate alla sezione I.
La disapplicazione di regole di condotta previste per la prestazione dei servizi nei confronti dei clienti non professionali è consentita quando, dopo aver effettuato una valutazione adeguata della competenza, dell’esperienza e delle conoscenze del cliente, l’intermediario possa ragionevolmente ritenere, tenuto conto della natura delle operazioni o dei servizi previsti, che il cliente sia in grado di adottare consapevolmente le proprie decisioni in materia di investimenti e di comprendere i rischi che assume”.
224 Le c.d. controparti qualificate sono individuate dall’art. 6, comma 2-quater, lett. d), T.u.f., che definisce tali: 1) le imprese di investimento, le banche, le imprese di assicurazioni, gli OICR, le SGR, le società di gestione armonizzate, i fondi pensione, gli intermediari finanziari iscritti negli elenchi previsti dagli articoli 106, 107 e 113 del testo unico bancario, le società di cui all’articolo 18 del testo unico bancario, gli istituti di moneta elettronica, le fondazioni bancarie, i Governi nazionali e i loro corrispondenti uffici, compresi gli organismi pubblici incaricati di gestire il debito pubblico, le banche centrali e le organizzazioni sovranazionali a carattere pubblico; 2) le imprese la cui attività principale consista nel negoziare per conto proprio merci e strumenti finanziari derivati su merci; 3) le imprese la cui attività esclusiva consista nel negoziare per conto proprio nei mercati di strumenti finanziari derivati e, per meri fini di copertura, nei mercati a pronti, purché esse siano garantite da membri che aderiscono all’organismo di compensazione di tali mercati, quando la responsabilità del buon fine dei contratti stipulati da dette imprese spetta a membri che aderiscono all’organismo di compensazione di tali mercati; 4) le altre categorie di soggetti privati individuati con regolamento dalla Consob, sentita Banca d’Italia, nel rispetto dei criteri di cui alla direttiva 2004/39/CE e alle relative misure di esecuzione; 5) le categorie corrispondenti a quelle dei numeri precedenti di soggetti di Paesi non appartenenti all’Unione europea.
225 I clienti al dettaglio sono individuati in via residuale dall’art. 26 del Regolamento Intermediari, che definisce tale il cliente che non sia cliente professionale o controparte qualificata.
essere definita intermedia, dato che nei loro confronti è esclusa l’applicazione di alcune soltanto delle norme citate226.
Anche nel vigore del precedente Regolamento Intermediari227 era prevista una diversificazione della clientela. Tuttavia, la disposizione di cui all’art. 31 di tale provvedimento aveva suscitato (e suscita ancora, con riferimento alle numerose controversie ancora pendenti) un serrato dibattito in ordine all’interpretazione del testo regolamentare.
La sottoscrizione della dichiarazione di cui all’art. 31, Reg. n. 11522/1998 comportava, infatti, l’attribuzione, in capo alle persone giuridiche dalle quali essa promanava per mezzo del rappresentante legale, della qualità di operatore qualificato228; con l’importante effetto della disapplicazione, nei rapporti con gli intermediari autorizzati, di varie disposizioni, volte ad una maggior tutela dei clienti, previste dal medesimo Regolamento.
Sul valore da attribuire a tale dichiarazione si è discusso molto, sia in dottrina che in giurisprudenza, e può essere utile fornire una rapida panoramica delle varie posizioni; specie se si considera che molte delle controversie, che hanno avuto e stanno avendo luogo, hanno riguardato la materia dei derivati.
Nel vigore della summenzionata normativa, poteva accadere che soggetti in realtà privi delle richieste competenze in materia si trovassero a sottoscrivere - forse, talvolta, inconsapevoli delle effettive conseguenze giuridiche di tale atto229 - dichiarazioni con le quali facevano acquistare lo status di operatore qualificato alle persone giuridiche che rappresentavano. Ciò poteva avvenire pur in mancanza di alcuna perizia in materia finanziaria; con la conseguente rinuncia a vantaggiose forme di tutela, specialmente per quanto riguarda le informazioni relative al servizio di investimento negoziato.
226 Sul punto, AMOROSINO, Manuale di diritto del mercato finanziario, cit., p. 104
227 Ossia, il già menzionato Regolamento n. 11522/1998.
228 L’art. 31 di tale regolamento prevedeva, infatti, che – tra gli altri – venissero considerati operatori qualificati “ogni società o persona giuridica in possesso di una specifica competenza ed esperienza in materia di operazioni in strumenti finanziari espressamente dichiarata per iscritto dal legale rappresentante”.
229 È del medesimo avviso SANGIOVANNI, Contratto di swap e nozione di operatore qualificato, in Contratti, 2007, 12, p. 1096. Esprime, invece, una opinione differente XXXXX, Derivati OTC e incomprensibile svalutazione dell’autocertificazione del legale rappresentante della società acquirente, in Corr. merito, 2008, 12, 1267, il quale esclude “che nella prassi gli intermediari facessero firmare la dichiarazione in modo semplicistico: i soggetti operatori qualificati hanno sempre le conoscenze idonee a valutare le conseguenze di un investimento in strumenti finanziari derivati” e “concedere loro il diritto di rinsavirsi soltanto nella eventuale fase patologica di tale investimento significherebbe scardinare una parte importante dell’impianto normativo del mercato dei capitali”. A tali osservazioni si può replicare osservando che è vero che gli operatori qualificati possiedono le competenze per valutare la rischiosità dell’investimento; il problema, però, sta nel fatto che qui si parla di quegli operatori qualificati che possono essere considerati tali solamente “sulla carta”, ma che in realtà, a differenza di quanto emerge dalla dichiarazione, sono del tutto inesperti in materia.
Eppure, la differenziazione dei clienti con riferimento al tipo di informazioni da fornire, così come pensata dal legislatore ordinario, voleva essere finalizzata non certo a penalizzare invesitori privi di esperienza in materia, bensì ad evitare un eccesso di informazioni nei confronti di soggetti già esperti.
Dottrina e giurisprudenza hanno iniziato, così, ad interrogarsi sull’effettiva portata da attribuire alla dichiarazione ex art. 31, nei casi in cui ad un’attestazione di tipo formale non facesse riscontro una conforme realtà sostanziale. Sulla lettura da fornire a tale disposizione sono sorti due indirizzi contrapposti.
La tesi c.d. formalistica fa leva sul fatto che quelle in esame sarebbero dichiarazioni di scienza230, le quali darebbero luogo a una presunzione iuris et de iure231 che esonererebbe, di fatto, l’intermediario dal dovere di appurare l’effettivo possesso, da parte dell’investitore persona giuridica, delle competenze affermate sussistenti nella dichiarazione sottoscritta; ragionare diversamente significherebbe, secondo i sostenitori di questo indirizzo, svalutare tale disposizione normativa rendendola pressoché illogica232.
Tale tesi non sembra convincente. Innanzitutto, non si capisce come possa attribuirsi valore di presunzione iuris et de iure ad una mera opinione233, ad un giudizio soggettivo sul possesso di determinate capacità, il quale, come pare evidente, consiste in un concetto assai relativo e controvertibile234. Esso, infatti, non si basa sulla descrizione di fatti oggettivi, bensì su un parere del tutto arbitrario. Inoltre, ragionando diversamente, si consentirebbe ad una norma regolamentare di stravolgere le finalità perseguite dalla legge ordinaria che ne ha delegato l’emanazione235; l’obiettivo non era quello di sgravare l’intermediario dal dovere di attuare gli obblighi informativi, bensì
230 SESTA, La dichiarazione di operatore qualificato ex art. 31 Reg. Consob n. 11522/1998 tra obblighi dell’intermediario finanziario ed autoresponsabilità del dichiarante, in Corr. giur., 2008, 12, 1755.
231 SESTA, La dichiarazione di operatore qualificato, cit., p. 1756.
232 Così XXXXX, Derivati OTC, cit., p. 1267. In giurisprudenza, App. Milano, 12 ottobre 2007, in Corr. merito, 2007, 12, 1401; Trib. Verona, 22 giugno 2007, in Contratti, 2007, 1093 ss.; Trib. Milano, 20
luglio 2006, in Nuova giur. civ. comm., 2007, I, 809; Trib. Rimini, 25 marzo 2005, in Contratti, 2006,
275.
233 SANGIOVANNI, I contratti derivati e il regolamento Consob n. 11522 del 1998, in Giur. merito, 2009, 6, p. 1523.
234 INZITARI, Strumentalità e malizia nella predisposizione e raccolta della dichiarazione di operatore qualificato, in xxx.xxxxxx.xx, 2007, p. 15, osserva come “una dichiarazione di tal genere sul piano degli effetti giuridici, se da un lato non informa, bensì piuttosto formula un giudizio unilaterale, tantomeno è idonea ad obbligare né la società né il dichiarante”, in quanto “non comporta, infatti, disposizione di diritti o assunzione di obblighi”. V. anche GRECO, Informazione pre-contrattuale e rimedi nella disciplina dell’intermediazione finanziaria, cit., p. 18; AFFERNI, Interest Rate Swap e responsabilità degli intermediari finanziari, in Società, 2008, 6, 755 p. ss.
235 In questo senso, Trib. Rovigo, 3 gennaio 2008, in Contr., 2008, 12, 1137, secondo cui “gli obblighi informativi hanno la principale finalità di assicurare una effettiva, e non presuntiva, consapevolezza delle caratteristiche dello strumento acquistato”.
di consentire al cliente già esperto di rinunciare a informazioni per lui sovrabbondanti nonché ad un tipo di tutela della quale non avrebbe necessitato. Su queste premesse si regge, appunto, l’altra tesi, c.d. sostanzialistica, la quale vorrebbe ugualmente accollare all’intermediario il dovere di appurare l’effettivo possesso delle competenze richieste dalla legge, pur in presenza di una dichiarazione ex art. 31 che attesti una situazione differente236.
Anche questa opinione, peraltro, presta il fianco ad una obiezione non trascurabile: non è, infatti, in grado di spiegare quale valore dovrebbe attribuirsi alla norma regolamentare, che per quanto possa non essere condivisibile, perlomeno sotto l’aspetto della scarsa chiarezza della sua formulazione, non può essere ignorata.
Tra le varie soluzioni prospettate, la più ragionevole sembra quella adottata di recente dalla Corte di Cassazione, la quale accoglie un indirizzo mediano rispetto ai due orientamenti menzionati. Essa afferma, fondamentalmente, che in presenza di tale dichiarazione l’intermediario sarà esonerato dal compito di effettuare ulteriori verifiche sul possesso delle competenze in materia; precisa, però, che la controparte potrà fornire la prova della discordanza tra il contenuto della dichiarazione e l’effettiva realtà fattuale. Tale dimostrazione dovrà basarsi sull’allegazione di circostanze che attestino “la conoscenza o la conoscibilità”, da parte dell’intermediario, dell’assenza di tali requisiti, sulla base di “obiettivi elementi di riscontro già nella disponibilità dell’intermediario” oppure “a lui risultanti dalla documentazione prodotta dal cliente”.
Si tratta di una soluzione assai persuasiva, perché da un lato non priva di significato la norma in questione e dall’altro consente, ci pare, non solo di far emergere l’effettivo contrasto tra realtà formale e realtà sostanziale, ma, soprattutto, di non esonerare l’intermediario dal dovere di tenere conto in ogni caso di quel che risulta dai dati in suo possesso.
Questo, dunque, il quadro delle regole di condotta imposte agli intermediari finanziari. Resta da chiedersi quali conseguenze comporti la violazione dei doveri di
236 App. Trento, 5 marzo 2009, in Giur. merito, 2009, 6, p.1512 ss.; Trib. Vicenza, 29 gennaio 2009, in
xxx.xxxxxx.xx; App. Venezia, 16 luglio 2008, in Corr. merito, 2008, 12, p. 1261 ss.; Trib. Vicenza, 12 febbraio 2008, in xxx.xxxxxx.xx; Trib. Rovigo (ord.), 3 gennaio 2008, in xxx.xxxxxx.xx; Trib. Torino, 18 settembre 2007, in Nuova giur. civ. comm., 2008, 3, p. 337 ss.; Trib. Novara, 18 gennaio 2007, in Società, 2008, 6, p. 755 ss.. In dottrina, INZITARI, Strumentalità e malizia, cit., p. 17, SANGIOVANNI, I contratti derivati e il regolamento Consob n. 11522 del 1998, cit., p. 1516; MICICCHÈ – TATOZZI, La nozione di operatore qualificato al vaglio della Cassazione, in Società, 2010, 3, p. 326.
informare il cliente e di eseguire le operazioni in maniera rispondente alle prescrizioni legali e regolamentari alle quali si è fatto cenno237.
A tal proposito, va detto che anche in questo caso si è rivelato decisivo l’intervento della Corte di Cassazione, a Sezioni Unite238, al fine di chiarire in maniera risolutiva – traendo spunto da una controversia originata da operazioni su derivati - che tali inosservanze non costituiscono cause di nullità del contratto239; esse, invece, danno luogo a responsabilità precontrattuale, se antecedenti o contemporanee al perfezionamento dell’accordo; oppure a responsabilità contrattuale, se concernenti la fase di esecuzione del negozio240.
Si tratta, dunque, di questioni assai delicate e di rilevanza pratica enorme. La stessa giurisprudenza ha posto particolarmente in risalto quanto sia importante il corretto adempimento dei doveri di informazione nella prestazione dei servizi di investimento, specialmente se aventi ad oggetto derivati; si riconosce che si tratta di operazioni “ad elevatissimo rischio”, le quali richiedono, di conseguenza, un comportamento esemplare da parte di chi si trovi a negoziare con soggetti non perfettamente consapevoli dei pericoli a cui potrebbero andare incontro241.
Il problema diviene particolarmente stringente con riferimento ai derivati negoziati over the counter, per i quali, come si è già detto, l’intermediario diventa vera e propria controparte negoziale dell’investitore nel rapporto scaturente dalla conclusione del
237 Per una panoramica sulla casistica giudiziaria sorta sul tema, v. il recente contributo di XXXXXXXXXX, La responsabilità degli intermediari nei confronti dell’investitore: il quadro giurisprudenziale, in Giur. comm., 2009, 2, p. 376. Sul tema, v. anche LUMINOSO, Contratti di investimento finanziario, mala gestio dell’intermediario e rimedi esperibili dal risparmiatore, in Resp. civ. prev., 2007, p. 1418 ss.; XXXXXX, A proposito della violazione degli obblighi di informazione nel contratto di investimento finanziario dopo l’intervento della Suprema Corte a Sezioni Unite, in Riv. giur. sarda, 2008, 3, p. 734; LUCCHINI GUASTALLA, Violazione degli obblighi di condotta e responsabilità degli intermediari finanziari, in Resp. civ. prev., 2008, 4, p. 741; MORANDI, Violazione delle regole di condotta degli intermediari finanziari: rimedi esperibili, in Obbl. e contr., 2009, p. 47 ss. e, da ultimo, XXXXXXXXX, L’inadempimento di “non scarsa importanza” nell’esecuzione del contratto c.d. quadro, cit., p. 783; XXXXXXX, Brevi riflessioni sui profili probatori e risarcitori in tema di responsabilità da inadempimento dell’intermediario finanziario, in Banca, borsa, tit. cred., 2010. 6, p. 717.
238 Cass., Sez. Un., 19 dicembre 2007, n. 26724, in Guida al diritto, 2008, 5, p. 41 ss.
239 Tale tesi veniva argomentata mediante un richiamo all’art. 1418 c.c., comma 1°, c.c. Per una ricostruzione del dibattito sorto attorno a tale problema, si veda GRECO, Informazione pre-contrattuale e rimedi nella disciplina dell’intermediazione finanziaria, cit., p. 103 ss.
240 Cass., Sez. Un., 19 dicembre 2007, cit., p. 41 ss.
241 App. Torino, 3 maggio 2006, in Società, 2007, 713, con nota di X. XXXXXXX. Sul tema, anche Trib. Milano, 3 gennaio 1996, in Banca, borsa, tit. cred., 1996, II, p. 555; Coll. Arb., 26 marzo 1996, cit., 671 ss.; Trib. Milano, 11 maggio 1995 (ord.), in Giur. comm., 1996, II, p. 81, con nota di X. XXXXXXXXX. Secondo Coll. Arb., 10 febbraio 1998, cit., p. 89, l’intermediario è tenuto a fornire informazioni adeguate su qualsiasi atto, fatto o circostanza necessari per l’assunzione di consapevoli scelte di investimento.