COLLEGIO DI PALERMO
COLLEGIO DI PALERMO
composto dai signori:
(PA) XXXXXXX Presidente
(PA) MIRONE Membro designato dalla Banca d'Italia
(PA) CIRAOLO Membro designato dalla Banca d'Italia
(PA) MAZZU' Membro di designazione rappresentativa degli intermediari
(PA) DESIDERIO Membro di designazione rappresentativa dei clienti
Relatore ESTERNI - XXXXXXXX XXXXXXXXX
Seduta del 28/05/2021
FATTO
La società ricorrente, insieme ad un socio intervenuto nel procedimento, rappresenta di aver stipulato, in data 6 giugno 2017, con la Banca resistente un contratto di mutuo con garanzia ipotecaria per la somma complessiva di euro 195.000,00, per cui veniva accesa una ipoteca di primo grado sull’immobile pari ad euro 390.000,00. Ad ulteriore garanzia dell'esatto adempimento delle obbligazioni assunte, veniva richiesto dalla Banca che il rappresentante legale ed un socio si obbligassero in solido con il debitore principale fino all’importo massimo di euro 390.000,00. Sempre su richiesta della Banca resistente venivano, altresì, acquistati dalla società ricorrente strumenti finanziari (quote di fondi comuni) che venivano costituiti in pegno (per l’importo di euro 46.000,00 circa), a garanzia della restituzione del capitale mutuato. La ricorrente, considerata l’entità delle garanzie prestate, successivamente avanzava alla Banca resistente richieste di svincolo del pegno e delle fideiussioni, che tuttavia venivano disattese. La ricorrente sottolinea che la giurisprudenza dell’ABF, chiamata a pronunciarsi su situazioni analoghe, ha espresso il principio secondo cui la sproporzione genetica tra garanzie e credito garantito determina l’illegittimità della condotta della banca finalizzata ad ottenere all’atto della sottoscrizione del contratto, il rilascio di garanzie ultronee e non necessarie (cfr. ABF Collegio di Roma, decisione n. 2359/2011; decisione n. 7532/2015). Ciò premesso, la ricorrente assume che l’atto di costituzione del pegno e le fideiussioni richieste, dovrebbero ritenersi nulle. La
ricorrente, quindi, atteso che le richieste di svincolo del pegno e delle fideiussioni sono state disattese dalla Banca resistente, chiede che sia dichiarata la nullità dell’atto di costituzione del pegno e delle fideiussioni per mancanza di causa e/o difetto di meritevolezza, in quanto la funzione di garanzia appare già integralmente assolta dall’ipoteca di primo grado sull’immobile, a maggior ragione considerati i pagamenti medio tempore effettuati, che hanno ridotto di circa un terzo il debito residuo sulla somma mutuata.
- La Banca resistente, costituitasi, conferma che il mutuo è stato accordato in data 25/5/2017 per euro 195.000,00 (con durata 15 anni) per l’acquisto di un’unità immobiliare, stimata alla data di concessione euro 250.000,00 e che a garanzia del mutuo è stata acquisita, oltre che ipoteca sull’immobile oggetto di acquisto, la fideiussione del legale rappresentante della società nonché di altro socio e che, su proposta dei clienti, è stato altresì deliberato pegno su titoli, prestato dalla stessa società ricorrente per euro 50.000,00. Il pegno è stato prima del perfezionamento ridotto ed acquisito per euro 44.000,00. La Banca resistente precisa che alla data di concessione del mutuo la ricorrente era una start up senza flussi finanziari e capacità di reddito consolidati, seppur con ottime prospettive di crescita e quindi necessitava di un presidio di garanzie. Pertanto, le garanzie richieste risultano proporzionate rispetto alla valutazione del merito creditizio e tale valutazione dell’intermediario che eroga il credito, come tale, secondo pacifico orientamento dell’ABF, sottratto al vaglio di congruità da parte dello stesso ABF, non potendosi configurare un obbligo generale degli intermediari di concedere credito alle condizioni proposte dal cliente o comunque a questi più favorevoli. Con riguardo alla richiesta notificata dalla ricorrente in data 31/12/2020, la Banca si è prontamente attivata per richiedere a sua volta l’aggiornamento documentale utile e necessario per avviare la relativa istruttoria ma la società ricorrente non ha mai inviato la documentazione indispensabile per poter aggiornare la valutazione della sua reale capacità di rimborso e la richiesta quindi è rimasta inevasa. Con stretto riferimento alla rimodulazione della garanzia ipotecaria richiesta dalla ricorrente, la Banca resistente segnala che, alla data delle controdeduzioni, in presenza di un debito residuo del mutuo di euro 156.315,18 alla data delle controdeduzioni (euro 158.183,20 al 31/12/2020), non risulta neanche estinta la quinta parte del debito originario. La Banca resistente fa infine presente che, al fine di venire incontro alle esigenze della ricorrente, in considerazione del debito residuo e del regolare ammortamento, si rende disponibile a valutare lo svincolo parziale del pegno nel rispetto della proporzione originaria e, segnatamente, nella misura di euro 9.000,00. Chiede quindi il rigetto delle domande della ricorrente
DIRITTO
1. La questione sottoposta all’Arbitro concerne il diritto della ricorrente alla riduzione delle garanzie concesse in presenza di una loro sproporzione ed il valore del credito garantito. Infatti, la ricorrente, che ha stipulato con la Banca resistente un mutuo fondiario a garanzia del quale è stata costituita un’ipoteca, rilasciate delle fideiussioni e concesso un pegno su titoli, assume l’esistenza di una “sproporzione genetica” tra il valore delle garanzie concesse e l’importo finanziato e quindi chiede che il Collegio dichiari la nullità per difetto della causa del contratto di pegno e delle fideiussioni, in quanto la funzione di garanzia sarebbe assolta, nel caso di specie, dall’ipoteca di primo grado costituita tenuto conto dell’importo per il quale è stata iscritta. La Banca resistente eccepisce che non vi è una sproporzione tra finanziamento concesso e garanzie, considerato che queste sono state
richieste alla luce di una valutazione del merito creditizio del cliente, che al momento della concessione del mutuo risultava essere una società in fase di start up.
Dall’esame delle previsioni negoziali relative alle garanzie, come risulta dal contratto agli atti, si trae che la somma mutuata, risulta pari ad euro 195.000 (art. 1) e l'ipoteca è stata concessa per il complessivo importo di euro 390.000 (art. 11, comma 2). Nello stesso contratto risulta altresì che le parti hanno dichiarato di attribuire all'immobile ipotecato il valore di euro 250.000, giusta quanto risulta dalla documentazione tecnica agli atti della Banca resistente (art. 13, comma 1). La fideiussione viene concessa da due soci, uno dei quali legale rappresentante della ricorrente, per l'importo di euro 390.000 (art. 19). La costituzione del pegno su titoli acquisiti dalla ricorrente (incontestata tra le parti) non è invece oggetto di contratto e, comunque, nessuna ulteriore documentazione contrattuale è allegata al riguardo. Il valore del pegno effettivamente acquisito, secondo quanto affermato dal ricorrente, sarebbe pari a euro 46.000,00 mentre, secondo quanto affermato dalla Banca resistente, pari a euro 44.000,00.
Ciò posto, una prima considerazione riguarda la circostanza che il valore dell'immobile ipotecato è stato definito, consensualmente, in misura pari ad un importo inferiore rispetto ah quello per il quale era iscritta la garanzia ipotecaria. Ne consegue che, nell'intento delle parti, il valore del cespite non eguagliava quello della garanzia che era stata definita in modo parimenti consensuale. Ora, il Collegio ha presente l'orientamento manifestato da altro collegio territoriale in ordine alla sproporzione tra garanzie e importo garantito, laddove ha ritenuto che la sproporzione originaria delle garanzie sarebbe scrutinabile secondo i canoni della correttezza e della buona, da cui si fa conseguire possibilità per il Collegio di disporre lo svincolo anche parziale delle somme o dei titoli (cfr. Coll. Roma, decc. nn. 7532/2015, 7717/2014 e 2359/2011). Tuttavia, ritiene di non potervi aderire e di seguire l’orientamento dei Collegi territoriali secondo cui, là dove non sia normativamente previsto un vero e proprio diritto di modifica delle garanzie offerte (come avviene ai sensi dell’art. 2872 c.c. per la riduzione dell’ipoteca), la domanda tesa ad ottenere una revisione delle condizioni negoziali originarie non può trovare accoglimento, risolvendosi tale revisione in una nuova definizione consensuale del contenuto del regolamento negoziale, la quale non può essere oggetto del sindacato o di coercizione da parte dell’Arbitro, ma rimane soggetta alla piena discrezionalità valutativa della banca (cfr. Coll. Roma, n. 3189/2013; Coll. Milano, dec. n. 225/2021). Deve poi rilevarsi che anche in materia di riduzione ipotecaria – che potrebbe essere ritenuto indice della sussistenza di un più ampio principio di proporzionalità tra garanzia e debito garantito – l’art. 2873, 1° comma,
c.c. prescrive che non è ammessa l’azione di riduzione “se la quantità dei beni o la somma è stata determinata per convenzione o per sentenza”, con ciò evidenziando che quand’anche sussistente il principio di proporzionalità non si applica in caso di sproporzione genetica neppure all’ipoteca, impedendo l’inferenza analogica. Il diritto positivo, inoltre, non offre regole analoghe a quelle previste per la riduzione dell'ipoteca con riguardo alla garanzia pignoratizia e alla fideiussione. Xx è affermato dalla Suprema Corte il principio secondo cui «la disciplina vigente in tema di garanzie del credito non esclude l'ammissibilità del concorso di una garanzia personale con una garanzia reale rispetto al medesimo credito; pertanto, l'eventuale costituzione di pegno, in linea astratta, non fa venire meno la garanzia fideiussoria eventualmente già assunta a favore dello stesso creditore e per il medesimo credito (Sez. 3, Sentenza n. 15406 del 2004 e, negli stessi termini, con riferimento alla garanzia ipotecaria, la Sent. n. 4033 del 1999)» (Cass.
n. 2540/2016). Quindi la coesistenza di diverse garanzie riferite al medesimo credito non costituisce una situazione che può mettere capo ad illiceità e non risulta sufficiente a supportare conclusioni circa il difetto di causa concreta del contratto costitutivo di una o più delle garanzie coesistenti. Al fine di dichiarare la nullità delle garanzie eccedenti la
ritenuta sproporzione non possono poi invocarsi ragioni concernenti la correttezza e la buona fede, anche in sede precontrattuale, per la ragione che, ove mai sussistenti, non potrebbero supportare l'adozione di rimedi invalidanti ma solo rimedi risarcitori, ciò che nel caso comunque esula dalla domanda formulata dalla ricorrente. Pertanto, non risulta producente allo stesso fine impostare la questione in termini di eventuale sussistenza dell'abuso del diritto da parte della Banca resistente in quanto tipicamente riferibile a regole di comportamento dei contraenti e non già a regole di contenuto del contratto, laddove la violazione di una regola di comportamento non può influire sulla valutazione del contenuto del contratto al fine di determinarne l’invalidità. Non è casuale la circostanza che l'abuso sia stato riconosciuto come sussistente in un caso di iscrizione di ipoteca giudiziale per valori eccedenti rispetto alla cautela, così da configurare una responsabilità aggravata ex art. 96, 2° comma, c.p.c. (cfr. Cass. n. 6533/2016): si tratta evidentemente ben diverso da quello di ipoteca volontaria e comunque non ha determinato statuizioni del giudice in ordine alla validità della garanzia. D'altro canto, nel sistema del diritto privato ciascun contraente, purché ne sia garantita la libertà e la consapevolezza, definisce il contenuto del contratto nei limiti del consenso dell'altra parte senza essere vincolato a un certo contenuto, se non nei casi considerati dalla legge, e ciò non può che valere anche per la costituzione di garanzie. Né, si ritiene, possono essere utilmente invocate altre disposizioni, ancora in funzione della individuazione di un principio generale, le quali si occupano della sproporzione del contenuto del contratto, quali la rescissione per lesione ex art. 1448 c.c. o il dolo incidente ex art. 1440 c.c. Infatti, il primo caso richiede, oltre alla sproporzione ultra dimidium della prestazione dedotta in contratto, la sussistenza anche dello stato di bisogno e dell'approfittamento da parte dell'altro contraente, mentre il secondo caso non riverbera i suoi effetti sulla validità del contratto ma fa sorgere una pretesa risarcitoria in capo alla parte che avrebbe concluso il contratto ma a condizioni diverse da quelle pattuite. Insomma, per definire forme di controllo sul contenuto del contratto non sarebbe comunque sufficiente un principio, quand’anche sussistente, essendo necessario un criterio che nel caso di specie non risulta identificabile. Sotto questo profilo viene in rilievo la circostanza che le parti abbiano attribuito un valore al cespite ipotecato inferiore alla somma per la quale e stata iscritta l'ipoteca. Ne consegue che, alla stregua delle determinazioni delle stesse parti, risulta che il cespite ipotecato non è ritenuto capiente rispetto all'importo da garantire, dove pure tale importo è stato definito dalle parti senza costrizioni. Pertanto, dallo stesso regolamento contrattuale emerge che la sola ipoteca non era ritenuta sufficiente a coprire le esigenze di garanzia. Non risulta, quindi, disponibile un criterio per stabilire quale sia la misura dell'eccedenza ed il termine di riferimento, fermo restando che non mette conto di entrare nel merito della possibilità, invero niente affatto scontata, di adottare eventuali interventi volti a riequilibrare l'assetto delle garanzie definite dalle parti senza aprire spazi a poteri discrezionali del giudicante non giustificabili nel contesto del sistema del diritto positivo, posto che comunque la ricorrente si è limitata a chiedere la nullità degli atti con cui sono stati rilasciati il pegno e le fideiussioni. Sotto altro profilo, va ancora rilevato che la disciplina UE dei requisiti prudenziali degli enti creditizi [reg. (UE) n. 575/2013] definisce specifiche caratteristiche per le garanzie che assistono i crediti, che renderebbero assai difficile l’applicazione – ove mai sussistente – di un criterio di proporzionalità tra credito e garanzia che sia rigido, predeterminato ed estraneo alla valutazione del merito di credito del debitore.
Ne consegue che, nel caso specifico, non sussistono rimedi positivi, esperibili da questo Arbitro, per procedere ad una declaratoria di nullità del pegno e delle fideiussioni, che, a quanto consta, risultano liberamente contrattate tra le parti.
Il Collegio, in conclusione, dichiara il ricorso non meritevole di accoglimento.
PER QUESTI MOTIVI
Il Collegio non accoglie il ricorso.
IL PRESIDENTE
firma 1