IMPRESE E LAVORATORI: IL WELFARE AZIENDALE E QUELLO CONTRATTUALE
Capitolo 2
IMPRESE E LAVORATORI: IL WELFARE AZIENDALE E QUELLO CONTRATTUALE
DI GIULIA MALLONE
1. INTRODUZIONE
Un ruolo importante tra i protagonisti del secondo welfare è certamente occupato dal mondo delle imprese, che hanno le possibilità economiche e organizzative per imple- mentare quelle politiche aziendali a favore della sostenibilità – sociale e ambientale – che rientrano oggi nell’ampio concetto di Corporate Social Responsibility1. Tra queste, l’ul- timo arrivato – il cosiddetto «welfare aziendale» – è ormai al centro del dibattito pubbli- co, politico e accademico.
Questo capitolo si prefigge l’obiettivo di chiarire il concetto di welfare aziendale, delimitandone i confini e delineandone i contenuti, nonché di fare il punto circa il suo sviluppo e le possibili prospettive future. La prima parte è dedicata alla descrizione del fenomeno, attraverso l’identificazione degli attori coinvolti e dei servizi offerti. La seconda affronta invece la trattazione empirica del tema, tramite l’analisi, lo studio e la comparazione delle esperienze approfondite nell’arco dei primi due anni di ricer- ca nell’ambito del progetto Percorsi di secondo welfare. I paragrafi ripercorrono nel dettaglio le storie dei primi protagonisti del welfare aziendale in Italia al fine di rico- noscerne le specificità, i punti di forza e le criticità, ma anche e soprattutto di in- dividuare le potenzialità di diffusione dei modelli proposti. Il capitolo termina con una sezione conclusiva che – più che «chiudere» la trattazione del tema – intende sti- molarne l’apertura attraverso la presentazione di dati e l’elaborazione di spunti di ri- flessione.
2. CHE COS’È IL WELFARE AZIENDALE
Il welfare aziendale oggi integra risorse, prestazioni e servizi che il welfare state pubbli- co non sempre riesce ad assicurare. Si tratta di un fenomeno socialmente rilevante? Qual è la sua importanza per il sistema paese? Alle storie ormai conosciute delle grandi imprese si affiancano sempre più spesso soluzioni nuove: le parti sociali, i territori, gli
1 Per approfondire il dibattito sulla Corporate Social Responsibility (CSR) si rimanda alle numerose iniziative della Commissione europea. In particolare, la DG Enterprise and Industry ha lanciato nell’ottobre del 2011 una strategia per favorire lo sviluppo della CSR in Europa che copre gli anni 2011-2014 (European Commission 2011). Informazioni e il testo della comunicazione della Com- missione sono disponibili sul sito web http://ec.europa.eu.
attori locali e le istituzioni elaborano e diffondono strategie bottom-up – sviluppate sulla base dell’esperienza quotidiana e a partire dalla specificità dei bisogni locali – che si rive- lano non solo efficaci ma anche altamente innovative. Un fenomeno nato come pret- tamente «aziendale» si arricchisce così di nuovi protagonisti, e acquisisce un ventaglio di competenze e strumenti in grado di ampliarne la portata originaria. Proprio per questo il welfare aziendale costituisce, a nostro avviso, un tassello del secondo welfare.
2.1. I protagonisti
Il welfare aziendale è generalmente inteso come l’insieme di benefits e servizi forniti dal- l’azienda ai propri dipendenti al fine di migliorarne la vita privata e lavorativa, partendo dal sostegno al reddito familiare, allo studio, alla genitorialità, alla tutela della salute, fino a proposte per il tempo libero e agevolazioni di carattere commerciale. Si trat- ta però soprattutto del risultato dell’interazione di diversi attori – primi tra tutti im- prenditori, parti sociali e istituzioni – all’interno di relazioni in cui non è sempre facile introdurre nuovi strumenti, specialmente se alternativi alla retribuzione monetaria dei lavoratori.
Il «diamante del welfare» elaborato da Ferrera (2012a) mostra come gli attori che operano all’interno dell’«arena del welfare» – il mercato, la famiglia, le associazioni in- termedie – si relazionino con un quarto attore, lo Stato, e siano al tempo stesso in esso
«contenuti»2. Lo Stato svolge infatti il duplice ruolo di partecipante all’interazione non- ché di controllore e decisore sovrano. È dunque ragionevole sostenere che il primo e imprescindibile protagonista all’interno delle politiche di welfare aziendale sia proprio lo Stato, attraverso due distinte modalità di azione. Innanzitutto, tramite le politiche fiscali: i governi hanno il potere di influenzare in modo rilevante l’iniziativa privata attraverso la predisposizione di agevolazioni fiscali. Gli articoli 51 e 100 del Testo unico delle im- poste sui redditi prevedono sgravi e agevolazioni che rendono l’offerta di beni e servizi da parte del datore di lavoro più conveniente rispetto al tradizionale aumento in busta paga, come spiegato nel box 1.
Secondariamente, il Ministero del Lavoro e delle politiche sociali può decidere – spesso servendosi della competenza delle istituzioni strumentali che operano nell’am- bito delle politiche sociali e del lavoro – di allocare risorse economiche e organizzative allo sviluppo di progetti specifici. Un esempio del coinvolgimento «attivo» dello Stato nella diffusione del welfare aziendale è rappresentato da alcuni progetti di Italia Lavoro, ente strumentale del Ministero del Lavoro e delle politiche sociali che opera per la pro- mozione e la gestione delle nuove politiche del lavoro, dell’occupazione e dell’inclu- sione sociale. Abbiamo dedicato l’approfondimento contenuto nel box 2 proprio a un recente progetto di Italia Lavoro destinato alle regioni dell’Obiettivo convergenza3.
In aggiunta al ruolo dello Stato, il coinvolgimento delle parti sociali è cruciale per la diffusione di una nuova idea di welfare e servizi alla famiglia come legittima integrazio- ne del salario, specialmente in questo momento di grave crisi finanziaria4. L’intervento dei rappresentanti dei lavoratori conferisce legittimità al sistema, ed è garanzia di conti-
2 Si veda il capitolo 1 di questo Rapporto, in particolare il par. 5.
3 In base alla programmazione dei fondi strutturali europei 2007-2013, Campania, Puglia, Sicilia e Calabria.
4 Per un approfondimento puntuale sul welfare contrattuale e il ruolo delle organizzazioni sinda- cali, si rimanda al n. 3/2012 della «Rivista delle politiche sociali». I numerosi articoli pongono l’accento su svariati aspetti (come quello del contributo sindacale all’istituzione del welfare, dello svi- luppo di fondi sanitari e previdenziali) e sulle esperienze comparate.
nuità rispetto a quelle che erano, nella tradizione industriale italiana, politiche aziendali concepite come «dono» di stampo paternalistico5.
Box 1 – La normativa fiscale
La disciplina del welfare aziendale si presenta nella normativa nazionale in maniera «disordinata», poiché riconducibile a diversi ambiti normativi. La previdenza complementare è disciplinata dal D.lgs. n. 252/ 2005, mentre l’assistenza sanitaria integrativa è disciplinata dall’art. 9 del D.lgs. n. 502/1992 e dal
D.m. 27.10.2009. Le forme di retribuzione non monetaria come i fringe benefits, la retribuzione in natura, i beni e servizi aziendali per la generalità o per categorie di dipendenti o loro familiari, vengono in ri- lievo sotto il profilo giuridico esclusivamente nella dimensione fiscale, disciplinate dall’art. 51 del TUIR, il Testo Unico delle Imposte sui Redditi risalente al 19866. L’art. 51 definisce il reddito di lavoro dipendente e fornisce un elenco di ciò che non concorre a formare il reddito.
Se l’art. 51 si occupa del trattamento dei fringe benefits – l’insieme delle utilità e dei vantaggi che i lavo- ratori subordinati ottengono a integrazione della remunerazione in denaro (Brenna 2013) – gli articoli 95 e 100 del TUIR definiscono condizioni e limiti di deducibilità fiscale ai fini della determinazione del reddito d’impresa. L’art. 100 elenca le «finalità socialmente utili» per cui è disposta l’esclusione dalla formazione del reddito di lavoro dipendente7. In particolare, l’art. 100 elenca le «finalità socialmente utili» per cui è disposta l’esclusione dalla formazione del reddito di lavoro dipendente; il comma 1 sottolinea il requisito dell’utilizza- bilità da parte della «generalità dei dipendenti o categorie di dipendenti», ribadisce la volontarietà dell’azione ed elenca le specifiche finalità di «educazione, istruzione, ricreazione, assistenza sociale e sanitaria o culto».
Box 2 – Occupazione femminile al Sud: il progetto La.Fem.Me
All’interno del secondo welfare, un compito decisivo è affidato alle istituzioni. A livello sia nazionale sia loca- le, esse coordinano e promuovono l’attivazione degli attori sociali ed economici per favorire la mobilitazione di risorse private nei diversi ambiti del welfare. Per il potenziamento dell’offerta di servizi sociali e sanitari, ma anche per l’occupazione e lo sviluppo delle imprese, e fino alla tanto discussa «questione femminile». Proprio con questi obiettivi Italia Lavoro ha ricevuto dal Ministero del Lavoro e delle politiche sociali l’incarico di promuovere la partecipazione delle donne al mercato del lavoro nelle quattro regioni italiane dell’Obiettivo convergenza (Campania, Puglia, Sicilia e Calabria). La.Fem.Me – Lavoro Femminile Mezzogiorno – na- sce con l’obiettivo di diffondere e sperimentare misure di conciliazione famiglia-lavoro all’interno delle aziende delle regioni del Sud. Il progetto prevede un percorso di formazione, sensibilizzazione e consulenza aperto a tutti gli interlocutori che contribuiscono allo sviluppo del welfare aziendale. È realizzato in collaborazione con la rete delle Consigliere di Parità. Istituzioni locali, imprenditori e sindacati, ma anche consulenti del lavoro e rappresentanti delle associazioni datoriali e del mondo cooperativo e non-profit, possono partecipare ed entra- re a far parte della Web community, uno spazio online per lo scambio di idee e soluzioni e per la circola- zione di informazioni sui diversi servizi di welfare aziendale e sugli strumenti di conciliazione famiglia- lavoro8.
5 Per approfondire il fenomeno del paternalismo industriale in Italia, si rimanda ad Amatori (1980) e Benenati (1999).
6 Informazioni tratte da Mallone (2012b).
7 Per approfondire il trattamento fiscale del welfare aziendale, segnaliamo Mallone (2011 e 2012a).
8 Sull’operato di Italia Lavoro e il progetto La.Fem.Me, rimandiamo a Mallone (2012b).
Pratiche che in passato erano riconducibili alla volontà della proprietà di fidelizzare i dipendenti, spesso nel tentativo di «ammansire» le maestranze più combattive di fronte a processi di riorganizzazione del lavoro (cfr. Benenati 1999), sono entrate oggi a pieno diritto nella contrattazione collettiva e aziendale.Tra le diverse formule adottate, la crisi ha favorito lo sviluppo di soluzioni parzialmente «autofinanziate», che coinvolgono cioè i dipendenti in prima persona per il raggiungimento di livelli di produttività cui sono a loro volta associati bonus «in welfare» (convenzioni e voucher per prestazioni mediche e socio-sanitarie di assistenza a minori, anziani e disabili, sostegno al reddito familiare sotto forma di polizze assicurative e rimborsi scolastici).
La conversione del premio di risultato in beni e servizi prevede, da un lato, il coin- volgimento attivo dei lavoratori nel raggiungimento di determinati obiettivi aziendali, dall’altro sfrutta le agevolazioni disposte dalla normativa fiscale. Il tentativo di creare un
«circolo virtuoso» tra produttività e welfare è naturalmente legato alle drammatiche conseguenze della crisi finanziaria sulle aziende. Se in tempo di crescita economica può sembrare ragionevole discutere della «responsabilità sociale» delle imprese, di «investi- mento» sul benessere del personale, la richiesta di «dare di più» a chi ha già un impiego può sembrare oggi non prioritaria, se non addirittura puramente retorica, specialmente a fronte della condizione delle stesse imprese. Il welfare aziendale non è però certo una
«gratuità», ma è da concepirsi – sia dalla parte sindacale sia da quella datoriale – come un nuovo strumento per favorire la ripresa attraverso il coinvolgimento delle persone. Il welfare come strategia di motivazione del personale e di miglioramento del clima azien- dale porta risultati – a detta delle numerose imprese che già lo hanno introdotto – in termini di ridotto assenteismo e maggiore produttività, nonché, appunto, un generale beneficio per le relazioni interne.
Chiudono il «cerchio» degli attori del secondo welfare coinvolti nella diffusione di servizi alle imprese i soggetti for profit, quali società di consulenza e providers di servizi che hanno recentemente fatto del welfare aziendale il proprio core business. Pur trat- tandosi di compagnie private che vendono il proprio prodotto sul mercato, esse con- tribuiscono allo sviluppo del welfare aziendale attraverso l’«infrastrutturazione» locale. Promuovono cioè la crescita del mercato lavorando su due fronti: da un lato, diffondo- no le pratiche e sensibilizzano i datori di lavoro circa i benefici sociali ed economici le- gati all’introduzione dei servizi nelle aziende, dall’altro aggregano l’offerta sul territorio. Primo tra tutti è il lavoro di networking e consulenza specializzata svolto dalla società Eudaimon, cui abbiamo dedicato il box 3. Ci sono poi aziende che – nate, «cresciute» e diventate famose grazie alla fornitura di ticket pasto – hanno in anni più recenti com- preso la grande potenzialità dell’offerta di servizi di welfare attraverso lo strumento del voucher, titolo di legittimazione prepagato e immediatamente fruibile. Edenred Italia, la multinazionale conosciuta da migliaia di italiani per gli utilizzatissimi Ticket Restaurant, ha iniziato a sviluppare una rete di servizi per aziende e pubblica amministrazione che decidano di fornire beni o prestazioni attraverso il voucher. La novità rispetto al ticket pasto è costituita dalla possibilità, per il beneficiario, di scegliere non solo il tipo di ser- vizio ma anche la struttura a cui rivolgersi, all’interno di una lista di providers convenzio-
nati selezionati direttamente da Edenred.
Il progetto beneficia della lunga esperienza dell’azienda con il CESU francese, un voucher erogato da imprese ed enti pubblici per l’utilizzo di servizi per l’infanzia, la non autosufficienza, il lavoro domestico, il sostegno scolastico. L’introduzione del CESU ha prodotto in Francia risultati significativi non solo in termini di soddisfazione dei benefi- ciari, ma anche di emersione di lavoro nero e quindi di crescita dell’occupazione regola- re. È importante sottolineare, tuttavia, che nel caso del CESU i fornitori accreditati
sono selezionati dall’Agence nationale services à la personne, un organismo pubblico creato appositamente per gestirne il corretto utilizzo9.
Box 3 – Eudaimon e l’esperienza di IEP
Nata nel 2002 per volontà del fondatore e amministratore delegato Alberto Perfumo, Eudaimon comincia a proporre a imprese di medie e grandi dimensioni, amministrazione pubblica e comunità organizzate iniziative di «attenzione alle persone» che sarebbero poi diventate «welfare aziendale». Dopo i primi anni, difficili a causa della scarsa diffusione del fenomeno in Italia e del fatto che i primi «tentativi di welfare» delle imprese sono generalmente gestiti a livello interno, oggi la società raccoglie i risultati. Grandi e prestigiose aziende, co- me Edison, Telecom, Fiat, Microsoft, Enel e molte altre si sono affidate a Eudaimon per la pianificazione e gestione della loro piattaforma di welfare aziendale. Tuttavia, per il team di Eudaimon, che si interroga circa la possibilità di coinvolgere anche le imprese di dimensioni più contenute, questo non è ancora abbastanza. Nasce così, sotto la guida tecnica della società, il network IEP (Imprese E Persone). Nell’estate del 2009 Eudaimon inizia a sensibilizzare le imprese più interessate al tema del benessere dei dipendenti per realiz- zare il network che prevede, come prima fase, l’offerta reciproca di beni e servizi a condizioni agevolate. L’iniziativa, dapprima configurata come un sistema di convenzioni vantaggiose, presenta oggi potenzialità ri- levanti. Si tratta di un appuntamento istituzionalizzato per la discussione e lo scambio di best practices, e, sul versante esterno, dimostra la crescente attenzione verso il tema e svolge un’attività di lobbying nei con- fronti dei policy-makers. Il network IEP è ormai un vero e proprio laboratorio in cui nascono e si svilup- pano idee innovative capaci di rispondere ai bisogni concreti. Raccoglie una «massa critica», con potenzialità di allargamento, che si traduce in abbassamento dei costi dei servizi, forza contrattuale e rappresentanza esterna. Non da ultimo, l’eventuale ingresso delle PMI nel network potrebbe consentire loro di appoggiarsi a una struttura di servizi già esistente, nonché di realizzare accordi per servizi condivisi sul territorio con realtà aziendali vicine.
Oltre alla «veterana» Edenred, il mercato si è arricchito di nuovi fornitori di servizi wel- fare, come l’italiana Welfare Company e la franco-italiana Day Ristoservice. Welfare Company, unico operatore a capitale interamente italiano specializzato nell’allestimento e nella gestione di reti per il welfare pubblico e aziendale in Italia, integra l’offerta dei servizi alla persona di Qui! Group S.p.A. – gruppo genovese che dal 1989 opera nel campo dei buoni pasto – con l’elaborazione di nuovi buoni acquisto e voucher sociali. L’azienda propone inoltre nuove soluzioni gestionali per il welfare aziendale, come la piattaforma online MyWelfare e iSAD, una soluzione di cloud computing per la gestione dei servizi socio-assistenziali ed educativi domiciliari e residenziali. Nel tentativo poi di agevolare l’adesione delle PMI, Welfare Company ha reso disponibile il portale MyWelfare a tutte le imprese associate a Confindustria, a seguito di un accordo quadro firmato con ReteIndustria10.
Nata nel 1987 dall’alleanza tra il gruppo italiano Camst e la società francese Groupe Chèque Déjeuner, Day Ristoservice è diventata un’azienda leader nella fornitura di tic- ket pasto, cartacei ed elettronici. Oggi però, sfruttando la competenza maturata nel- l’emissione dei ticket pasto, essa ha deciso di proporre alle aziende clienti la possibilità di offrire ai dipendenti «buoni» per iniziative di natura culturale e persino «sociale». Il
9 Sull’esperienza di Edenred Italia e del CESU francese, segnaliamo la ricerca realizzata nel 2009 da Università degli Studi di Genova e London School of Economics per la società Edenred: I buoni servizio nelle politiche sociali di alcuni paesi europei. Possibili applicazioni in Italia.
10 Tutte le informazioni su Welfare Company sono contenute nell’articolo di Gobbo (2013).
buono Day Welfare può essere utilizzato sia come «welfare aziendale» da parte delle imprese, sia come «welfare sociale» da amministrazioni pubbliche e onlus. Per quanto riguarda il primo utilizzo, i buoni si suddividono in Day Famiglia, per il pagamento di asili nido, campi scuola, libri scolastici, scuole e corsi di specializzazione; Day Spesa, per l’acquisto di alimentari, abbigliamento e prodotti parafarmaceutici; e Day Benessere, che non include soltanto palestre, corsi di lingua, di informatica e abbonamenti a cinema e teatri, ma anche il servizio di babysitting e l’assistenza a domicilio per gli anziani.
2.2. Le prestazioni
Rientrano solitamente nel «primo welfare» i regimi di base previsti dalla legge e i regimi complementari obbligatori di protezione sociale che coprono i rischi fondamentali del- l’esistenza, quali quelli connessi alla salute, agli infortuni sul lavoro, alla disoccupazione, alla vecchiaia, al pensionamento e alla disabilità. Ma anche le prestazioni e i servizi con- siderati «essenziali» per una sopravvivenza decorosa e per un’adeguata integrazione nella comunità, oltre a quelli necessari per garantire i diritti fondamentali di cittadinanza (Ferrera e Maino 2012)11. E così, al secondo welfare dovrebbero appartenere il settore della protezione sociale integrativa volontaria – soprattutto nel campo delle pensioni e della sanità – e la parte rimanente di servizi sociali alla persona, alla famiglia e all’in- tera comunità locale. Occorre tuttavia chiedersi: che cosa può essere definito «welfare»? Quali servizi rientrano davvero nel «welfare aziendale»?
Pare fin da subito ragionevole escludere dalla nostra analisi quelli che vengono co- munemente chiamati, all’interno delle aziende, fringe benefits. Si tratta infatti di strumenti per lo svolgimento del proprio lavoro – come l’auto aziendale, il computer, il telefono cellulare – che sono assegnati ai singoli in base a posizione ed esigenze lavorative. La questione è invece più complessa per quanto riguarda le integrazioni in servizi e le tute- le – ad esempio, quelle di carattere sanitario – che sono generalmente offerte a chi occupa le posizioni più alte, in una logica di retainment delle posizioni chiave. Pur trat- tandosi di servizi a copertura di un rischio sanitario, e quindi rientranti nell’ambito del welfare, è importante distinguere i sistemi di welfare aziendale rivolti a tutti i lavora- tori – o quanto meno a intere categorie – dall’offerta che costituisce parte del pacchetto retributivo del singolo. A supporto di questa tesi, gli articoli del TUIR (50, 51 e 100) che riguardano la disciplina fiscale degli strumenti di welfare aziendale riservano i favori fiscali a benefits e servizi offerti alla totalità dei dipendenti o a intere categorie (cfr. box 1). I «pacchetti singoli», infatti, non sono solitamente pensati – e allocati – in un’ottica di aiuto a chi ha meno, vengono preferite anzi le figure dirigenziali e i servizi offerti non sempre costituiscono risposte a «necessità primarie» degli individui.
Per quanto riguarda poi la definizione dei servizi, può venirci in aiuto la recente espressione «terziario sociale», coniata da Maurizio Ferrera (2012b). Ferrera ha più volte evidenziato come nei paesi europei si vada sviluppando un nuovo «terziario sociale» per rispondere a bisogni e domande non soddisfatte dal welfare pubblico nei settori sanita-
11 In questo contesto è interessante approfondire i contenuti della Carta di Nizza (Charter of Fundamental Rights of the European Union) proclamata nel 2000 ed entrata in vigore nel 2009 con l’art. 6 del Trattato di Lisbona. La Carta è il primo documento dell’Unione Europea che esplicita tutti i diritti dei cittadini degli Stati Membri, riunendo norme tratte dalle principali fonti di diritto interna- zionale esistenti. All’interno della Carta, una sezione, intitolata Solidarity, è dedicata all’enunciazione dei diritti dei lavoratori: all’informazione, all’azione collettiva, a condizioni di lavoro giuste, ma anche all’accesso ai servizi di impiego, agli schemi assicurativi e all’assistenza, ai servizi sanitari (artt. 27- 29, 31, 34 e 35).
rio, dell’assistenza, dell’istruzione, delle attività culturali e ricreative e, più in generale, in quegli ambiti che possono contribuire a semplificare la vita quotidiana dei cittadini. Si sta parlando inoltre di un settore caratterizzato da una duplice «spinta»: da un lato, all’infrastrutturazione di servizi necessari alle persone, dall’altro alla crescita dell’occu- pazione, che continua ad aumentare nell’ambito dei servizi alla persona. È opportuno quindi considerare l’impatto sociale del motech, o motherly technology (concetto che è ap- profondito nel box 4), e la possibile sovrapposizione tra questo e il welfare aziendale. Il principale contributo del motech alla discussione circa i servizi di welfare aziendale viene senza dubbio dall’attenzione posta sul work-life balance e sulla gestione delle in- combenze quotidiane, specialmente in presenza di oneri di cura. Un secondo spunto ricavabile dal motech, e, più nel dettaglio, dall’esperienza francese del CESU, riguarda la suddivisione dei servizi nelle seguenti macro-aree: servizi alla famiglia, servizi per la vita
quotidiana, servizi per le persone non autosufficienti.
Box 4 – Servizi di welfare e motech
Il motech, o motherly technology, è l’insieme dei servizi che sfruttano la tecnologia più avanzata per
«prendersi cura» delle persone. Soluzioni innovative per rendere più semplice la vita di tutti i giorni a chi non è autosufficiente, ma anche e soprattutto ai cosiddetti care givers, le persone che si trovano a dover sostenere oneri di cura. Il motech include numerose categorie di servizi, da quelli socio-assistenziali a quelli più legati al work-life balance, alla gestione dei figli e delle incombenze quotidiane. Cruciale è senza dubbio l’assistenza sociale e sanitaria «leggera», quella cioè dei servizi domiciliari alla persona e alle famiglie, esten- dibile anche all’offerta di gestione domestica e amministrativa: pulizia della casa e manutenzione, nonché servizi di intermediazione e disbrigo pratiche, fino alla consulenza professionale. C’è poi l’ambito sanitario e di benessere generale, che si compone di orientamento, consulenza e prevenzione. Ancora, sempre più im- portante è per le famiglie l’offerta di formazione e cultura – si tratti di vera e propria istruzione o di pro- poste di intrattenimento –, senza dimenticare ospitalità, ristorazione e catering, per «salvare tempo» ai geni- tori che lavorano12.
Uno spunto internazionale allo studio delle categorie del motech è costituito dal CESU, il voucher per ser- vizi erogato in Francia a dipendenti e cittadini da parte dei datori di lavoro e degli enti pubblici, sotto il con- trollo dall’Agence nationale services à la personne, un organismo creato appositamente per gestire questo strumento. I servizi che si possono richiedere con il voucher sono divisi in tre macro-aree13:
servizi alla famiglia, per assicurare l’equilibrio dei tempi di vita e lavoro;
servizi per la vita quotidiana, per delegare le piccole incombenze;
servizi per le persone non autosufficienti, siano esse bambini nei primi anni di vita o anziani, malati, portatori di handicap.
Larga parte dell’offerta aziendale si orienta oggi verso la flessibilità oraria, i permessi re- tribuiti per motivi familiari, i congedi parentali e il rimborso dei costi legati alla gestione dei figli, come l’asilo e le spese scolastiche. La conciliazione famiglia-lavoro – composta a sua volta di flessibilità dei tempi e sostegno economico – è dunque una delle aree principali del welfare aziendale. Ci sono poi l’assistenza sanitaria e i contributi previden- ziali. La salute – si tratti di assicurazione o cassa sanitaria, oppure di check-up e pro- grammi di prevenzione – e il sostegno al reddito – particolarmente sentito per quanto
12 Per approfondire il concetto di motech si rimanda a Mallone (2012c).
13 L’elenco dettagliato per ogni categoria è consultabile sul sito dell’Agence nationale services à la personne [http://www.servicesalapersonne.gouv.fr/tous-les-services-(1399).cml].
riguarda il mantenimento del reddito durante l’età anziana, ma apprezzato anche quan- do si tratta di rimborsi spese e buoni acquisto – rimangono i cardini dei sistemi di wel- fare aziendale.
Non vanno dimenticate infine formazione e istruzione, aree d’intervento relativa- mente «nuove» o, meglio, solo recentemente riconosciute come benefits. Se formazione e training hanno sempre fatto parte della vita lavorativa degli individui, la situazione sta oggi lentamente cambiando. L’acquisizione e il continuo sviluppo delle proprie compe- tenze in un’ottica di life-long learning sono elementi cruciali per lo sviluppo professionale, e al tempo stesso sempre più difficili da acquisire nell’ambito di un mercato del lavoro flessibile, che non incentiva i datori di lavoro a sostenere i costi della formazione. La possibilità di seguire corsi di aggiornamento, di lingua o di informatica, così come il rimborso delle spese sostenute per completare la propria istruzione universitaria, diven- tano sempre più spesso parte di un bagaglio professionale individuale e «spendibile».
3. IL WELFARE NELLE GRANDI IMPRESE
Questo paragrafo apre l’analisi empirica del welfare aziendale all’interno del capitolo, attraverso la descrizione delle numerose esperienze incontrate e approfondite nell’arco dei primi due anni di ricerca. Una «collezione» di best practices che continuerà ad arric- chirsi negli anni a venire, e che non poteva iniziare se non con una mappatura, che non pretende di essere esaustiva, dei casi nazionali più significativi. Come già ricordato, il welfare aziendale è oggi introdotto, sperimentato e sviluppato soprattutto all’interno delle grandi realtà, e per questo abbiamo voluto iniziare proprio guardando ai pro- grammi di people care offerti in alcune grandi imprese italiane. Le esperienze descritte, selezionate in base a criteri di qualità, grado di copertura e livello di innovazione delle iniziative, non rappresentano tuttavia un campione significativo rispetto alla realtà ita- liana, né «coprono» in maniera omogenea il territorio nazionale; esse vanno quindi viste come un work in progress.
3.1. ATM Azienda Trasporti Milanesi
ATM Azienda Trasporti Milanesi è una società per azioni, di proprietà del Comune di Milano, nata nel 1931 per la gestione del trasporto pubblico in città e provincia. Già ne- gli anni Venti, con la vecchia Azienda Tranviaria Municipale, i dipendenti disponevano di strutture come la Cassa Speciale di Previdenza e la Cassa di Soccorso e Malattia. In quegli stessi anni il Sindacato Tranvieri Urbani iniziava a organizzare le prime colonie estive per i lavoratori, finché nella seconda metà degli anni Settanta azienda e sindacati hanno firmato gli accordi costitutivi di Ge.S.A.I. (Gestione Servizi Assistenziali Integra- tivi) e G.T.L. (Gestione Tempo Libero) per l’offerta di servizi socio-sanitari e ricreativi. Nel 1997 le parti hanno concordato circa la necessità di fondere le due gestioni in un’unica organizzazione per l’amministrazione dei servizi e degli immobili di proprietà dell’azienda destinati ai lavoratori. Il processo si è concluso con la creazione, a dicem- bre, della Fondazione ATM, presieduta da un Consiglio di amministrazione composto da 4 membri eletti dai lavoratori e 3 nominati dall’azienda. Sono automaticamente iscrit- ti tutti i lavoratori e i pensionati aderenti al fondo sanitario aziendale, insieme con i fa- miliari a carico.
Nonostante la Fondazione coprisse una vasta gamma di bisogni, dalle spese sanitarie e per le strutture di degenza alla consulenza legale e psicologica e fino all’abitare, l’allora
Presidente dell’azienda Elio Catania ha spinto l’ufficio Risorse Umane a continuare a lavorare sui temi del welfare e della conciliazione famiglia-lavoro. ATM ha così realizza- to negli anni successivi numerosi servizi come l’asilo nido aziendale, campagne di pre- venzione medica e piani di flessibilità per i genitori. L’impegno di Catania è culminato, nel 2005, con la costituzione di una specifica funzione dedicata ai servizi sociali all’interno dell’ufficio Rirsorse Umane, composta da diverse figure professionali tra cui alcuni psicologi molto apprezzati all’interno del team. Le iniziative studiate dal team multidisciplinare rientrano nell’amministrazione esclusiva dell’azienda: una situazione delicata che ha causato qualche attrito con i rappresentanti sindacali. La strategia di empowerment seguita dal management si basa infatti su un «patto di reciprocità» che lega l’impresa al singolo dipendente, il quale accetta l’aiuto necessario a risolvere il propri problemi economici e/o familiari – che possono sfociare in situazioni drammatiche come l’abuso di alcol e droghe – in termini di investimento aziendale sull’individuo co- me risorsa umana. Il focus sul singolo si scontra con l’ideologia tipica del sindacato, che mira a ottenere diritti diffusi ed esigibili da tutti i lavoratori (o almeno da intere catego- rie). La strategia aziendale punta invece alla diffusione di una più «flessibile» e «soste- nibile» idea dei benefici, non statici e acquisiti bensì legati al ciclo di vita e ai bisogni transitori degli individui.
3.2. Colorificio San Marco
La storia del Colorificio San Marco, fondato in Veneto negli anni Sessanta dalla famiglia Tamburini, è un po’ diversa dalle altre presentate in questa sezione. Precisamente per- ché è la più piccola delle realtà imprenditoriali considerate, con due siti produttivi in Ita- lia e un totale di 141 dipendenti. A partire da ottobre 2013 l’azienda ha predisposto per i propri dipendenti un sistema di servizi personalizzabili e accessibili tramite un portale online. Il contratto integrativo di secondo livello firmato a marzo è il risultato del per- corso di confronto con le RSU aziendali che ha portato alla disciplina del premio di ri- sultato 2013 e all’istituzione del Sistema Welfare.
Il primo passo è stato la distribuzione ai dipendenti delle due sedi italiane di un que- stionario per comprenderne esigenze e preferenze, «premiato» con una redemption media del 69,5 per cento. I 98 questionari compilati hanno evidenziato l’interesse verso il wel- fare da parte dei dipendenti con figli, con concentrazioni negli ambiti della tutela della salute, della previdenza complementare, dell’istruzione e dell’offerta culturale e ricreati- va. Inoltre, molti collaboratori hanno richiesto buoni benzina, buoni spesa e contributi e convenzioni per servizi sociali e commerciali. È importante sottolineare che ben l’88 per cento dei rispondenti si è detto disposto a convertire parte del premio di produzio- ne in beni e servizi, il 39,8 per cento scegliendo una proporzione di un terzo del premio totale. I dipendenti interessati alla conversione della seconda tranche del premio di ri- sultato in servizi welfare riceveranno l’importo già «caricato» sul proprio conto welfare, e potranno poi decidere – sempre tramite la piattaforma informatica – l’ammontare defi- nitivo da destinare al piano, con un minimo di 250 euro per l’anno 2013 e di 500 per il 2014, così come stabilito dall’accordo aziendale di secondo livello firmato con i sindaca- ti il 12 marzo. Alla sperimentazione per l’anno 2013 (con riferimento al premio di risul- tato 2012) ha aderito il 56 per cento dei dipendenti.
I servizi si suddividono in cinque aree: istruzione, cultura e ricreazione, servizi socia- li, salute e previdenza, shopping e convenzioni di carattere commerciale. La prima area include il rimborso delle spese scolastiche per i familiari, dall’asilo nido e fino al master, compresi campus estivi, corsi di lingua e il rimborso delle spese per i libri di testo. In
«cultura e ricreazione» rientrano invece gli abbonamenti a palestre e corsi, ma anche ci- nema, teatro e viaggi per dipendenti e familiari. C’è poi l’opportunità – attraverso una convenzione stipulata con Italiassistenza14 – di richiedere servizi socio-assistenziali per familiari a carico, sia in caso di emergenza che per periodi più lunghi. In ambito sa- nitario, i dipendenti possono disporre il pagamento della parte del contributo al fondo sanitario Faschim a carico del dipendente, oppure richiedere l’iscrizione al fondo stesso dell’intero nucleo familiare. Quanto alla previdenza, i dipendenti potranno scegliere di destinare un contributo aggiuntivo al fondo pensione Fonchim nei limiti dell’importo previsto per la deducibilità fiscale. Infine, ci sono i servizi di natura commerciale, come buoni carburante, buoni spesa e convenzioni.
Con l’inizio della sperimentazione della seconda tranche del premio di risultato 2012, l’autunno 2013 sarà per l’azienda il primo banco di prova per testare il funziona- mento del piano e raccogliere le valutazioni dei lavoratori e dei loro rappresentanti. I sindacati hanno infatti già firmato, seppur dopo qualche riserva iniziale, gli accordi inte- grativi aziendali che fissano i parametri per la valutazione del premio di risultato 2013 – da erogare nel 2014 – e le sue modalità di utilizzo all’interno del pacchetto welfare.
3.3. Luxottica
Uno dei primi esempi di offerta di welfare collegata ai risultati aziendali è costituito dall’ormai famosissimo «pacchetto welfare» destinato ai dipendenti del gruppo Luxotti- ca. A differenza dei più tradizionali sistemi di benefits – modulati in base alla posizione ricoperta e perlopiù destinati ai ruoli dirigenziali –, il welfare aziendale di Luxottica na- sce dalla volontà di integrare i salari più bassi coprendo i bisogni primari delle famiglie di operai e impiegati. Il pacchetto – che comprende il «carrello della spesa», la polizza di assicurazione sanitaria, il rimborso dei libri di testo e diverse borse di studio – è elabora- to all’interno di un Comitato di Governance che stabilisce l’indicatore collegato all’au- mento della qualità nella produzione in base al quale sono stanziate le risorse per il welfare. Dall’introduzione del sistema di welfare aziendale nel 2009 a oggi, la qualità della produzione ha continuato a migliorare attraverso riduzione degli scarti, minore as- senteismo e maggiore attenzione all’efficienza dei processi15.
Nel febbraio 2009, con la firma del protocollo d’intesa, Luxottica propone alle orga- nizzazioni sindacali la realizzazione di un Programma di welfare aziendale destinato a operai e impiegati, per un totale di oltre 7.000 persone. La proposta anticipa nei conte- nuti alcuni importanti momenti di formalizzazione della rinnovata centralità del «secon- do welfare» in Italia: l’accordo interconfederale del 15 aprile 2009, il Libro Bianco del Ministero del Welfare del maggio 2009, i CCNL Alimentare (luglio), Metalmeccanico (settembre), Chimico (dicembre). Nel marzo dello stesso anno iniziano gli incontri con le organizzazioni sindacali degli stabilimenti produttivi per discutere il sistema di gover- nance paritetico – aziendale e sindacale – che costituisce la più grande novità del sistema di welfare in Luxottica.
Azienda e sindacati elaborano congiuntamente, durante il 2009, uno studio sui reddi- ti e sul potere d’acquisto dei dipendenti e dei loro nuclei familiari, individuando bisogni e possibili ambiti d’intervento. L’accordo firmato a dicembre istituisce il Comitato di
14 Fondata a Reggio Emilia nel 1993, Italiassistenza è la prima rete nazionale di assistenza domi- ciliare che sviluppa progetti di sostegno alla gestione di trattamenti domiciliari. Per approfondimenti si rimanda all’articolo Assistenza domiciliare in Italia: l’esperienza di Italiassistenza, pubblicato su www. secondowelfare.it il 16 novembre 2011.
15 Sul funzionamento e sui risultati del programma welfare di Luxottica, cfr. Salomoni (2011).
Governance, un organo bilaterale di rappresentanza aziendale e sindacale che ha il compito di studiare e proporre, con l’ausilio di un Comitato tecnico-scientifico di esper- ti, i progetti di welfare aziendale. Nel gennaio del 2010 viene così data attuazione al Programma Welfare, con la costituzione del Consiglio direttivo del Comitato di Gover- nance e del Comitato tecnico-scientifico.
Oltre a decidere l’allocazione delle risorse finanziarie destinate alle iniziative per i di- pendenti, il Comitato di Governance si impegna ad analizzare e sostenere gli interventi gestionali necessari a ottenere standard qualitativi sempre più alti. Un circolo virtuoso che induce i lavoratori a contribuire maggiormente nell’elevare gli standard qualitativi e organizzativi, ricavando così, dalla diminuzione dei costi di produzione, le risorse desti- nate al welfare aziendale.
Le tre iniziative che fanno parte del welfare di Luxottica sono il carrello della spesa, la cassa sanitaria, le borse di studio e rimborso libri di testo per i figli dei dipendenti.
Il carrello della spesa, a favore di tutti gli operai e impiegati con contratto a tempo determinato, indeterminato, di somministrazione e stage degli stabilimenti produtti- vi, ha un valore di 110 euro e viene distribuito tramite accordi con cooperative locali.
La polizza sanitaria, studiata da Unisalute, include, oltre alle visite odontoiatriche, un
«pacchetto maternità» richiesto dal management in considerazione del fatto che il 65 per cento del personale è composto da donne.
Il rimborso totale dei libri di testo, per i dipendenti e per i figli che studiano, copre i
costi dei testi dalle scuole inferiori fino all’università; ne usufruiscono anche gli as- sunti a tempo determinato. Questa iniziativa si completa con lo stanziamento di bor- se di studio per gli studenti meritevoli.
Diversi dal Programma Welfare ma ugualmente innovativi sono i progetti, realizzati su iniziativa aziendale, che riguardano i circa 300 dipendenti della sede di Milano. Fa- mily Care Milano, nato nel 2010 a seguito di un questionario per individuare i bisogni familiari di impiegati e quadri, comprende diversi strumenti di work-life balance: estensio- ne dell’orario flessibile, convenzioni e contributi economici per asili nido e campi estivi, un servizio di babysitting on demand. Impiegati e quadri possono usufruire, in aggiunta alle condizioni favorevoli date dalle convenzioni stipulate da Luxottica con asili e centri estivi, di un contributo economico a copertura parziale della spesa.
Il contratto integrativo aziendale firmato il 17 ottobre 2011 contiene nuove misure di work-life balance per i dipendenti degli stabilimenti produttivi: la «banca ore», il per- messo di paternità retribuito fino a cinque giorni, più flessibilità nella gestione della pre- senza e part-time. Le ore annue disponibili per la formazione continua possono essere convertite, su decisione del Comitato di Governance, in borse di studio per percorsi di formazione attinenti l’attività del gruppo. C’è poi il «job sharing familiare», che prevede – per il coniuge e i figli del dipendente – la possibilità di sostituirlo per un periodo; il la- voratore può così assentarsi per studio, lavoro stagionale o motivi di salute e personali senza sacrificare la capacità reddituale del nucleo familiare e anzi in alcuni casi fornendo ai figli un’occasione di apprendimento. Il contratto rileva l’esigenza di migliorare ulte- riormente la performance aziendale con più innovazione, attenzione ai processi e flessi- bilità nella turnistica. I cambiamenti organizzativi necessari per competere sui mercati internazionali impongono la distribuzione variabile dell’orario di lavoro su cicli pluriset- timanali nell’arco dell’anno, uno sforzo particolarmente sentito dalle lavoratrici donne, che costituiscono la maggioranza della forza lavoro.
A quattro anni dall’accordo del 2009 istitutivo del welfare aziendale, Luxottica e le componenti sindacali hanno raggiunto nel 2013 una nuova intesa sulle misure di welfare
per gli oltre 8.000 dipendenti degli stabilimenti italiani. Tra queste: eventi e programmi di orientamento scolastico e professionale per i figli dei dipendenti; corsi di recupero offerti agli studenti delle scuole del territorio; raddoppio delle borse di studio – dalle at- tuali 185 a 370 – e incremento del loro valore pari a circa il 60 per cento; rimborso inte- grale delle tasse universitarie per dipendenti e figli con media dei voti uguale o superiore a 29; soggiorni all’estero. In ambito sanitario, è garantito un ampliamento delle copertu- re assicurative previste dal piano sanitario integrativo, istituito un servizio di ascolto e counselling, esistono infine alcuni programmi di sostegno finanziario16.
Nel caso di Luxottica, la scelta di istituire un sistema di welfare è il risultato di due spinte parallele: da un lato, la volontà dell’imprenditore di offrire il proprio supporto ai lavoratori in una fase di crisi economica; dall’altro, la creazione di un «circolo virtuo- so della qualità» in grado di generare risorse per i lavoratori attraverso un migliora- mento generale della produttività aziendale. Un incontro tra motivazione personale e necessità dell’impresa reso possibile dalla disponibilità dei sindacati a «suggellare» lo scambio.
3.4. Nestlé Italia
Nestlé, leader mondiale nel campo alimentare, impiega 280.000 collaboratori di oltre 100 diverse nazionalità. Oltre un terzo della forza lavoro è localizzata in Europa (33,9 per cento), il 38 per cento nelle due Americhe e il 28,1 per cento in Asia, Oceania e Africa. Il gruppo è attivo in Italia dal 1875, dove è oggi la prima azienda del settore.
Per alimentare la cultura aziendale e Creare Valore Condiviso – il principio alla base delle attività del gruppo è proprio il Creating Shared Value – Nestlé promuove lo svilup- po sostenibile lungo tutto il processo produttivo e investe ormai da tempo nel benesse- re dei propri collaboratori. Cruciali nella strategia sono le priorità che il gruppo Nestlé stabilisce per l’Europa nell’ambito delle risorse umane, su tutte gender balance, employee branding e social compliance. Il welfare aziendale è quindi lo strumento concreto che l’impresa utilizza per il raggiungimento di obiettivi come il miglioramento delle condi- zioni di lavoro delle dipendenti donne, l’immagine del brand e, non ultima, l’attrattività per i lavoratori.
Benché alcune iniziative di welfare aziendale siano attive già da due anni, la strategia vera e propria di «puntare» sul welfare – in particolare sul work-life balance – è stata stu- diata all’inizio del 2012, frutto della «maturazione» di esperienze interne interessanti che fino ad allora erano esperimenti pilota. Inoltre, la spinta di carattere sindacale verso i temi del welfare è stata dimostrata dal fatto che all’interno dell’integrativo è stata inse- rita esplicitamente la volontà di lavorare sulla conciliazione famiglia-lavoro. L’accordo integrativo di gruppo, che riguarda Nestlé Italia e San Pellegrino, impegna l’azienda a costruire un ambiente family-friendly e flessibile, attento alle esigenze dei lavoratori. L’in- vestimento concreto sul welfare è uno degli argomenti principali delle relazioni indu- striali del gruppo, e i sindacati dimostrano da sempre un forte interesse a partecipare allo studio delle iniziative.
Gli accordi sindacali stabiliscono previsioni importanti come il congedo di paternità, tassello di un più ampio «lavoro» sulla cultura aziendale finalizzato a promuovere un riequilibrio dei ruoli all’interno della famiglia e a fornire quindi alle donne nuove possi- bilità di sviluppo della carriera. Un altro esempio è l’accordo che disciplina il telelavoro, il part-time e la flessibilità di orario.
16 Per approfondire i contenuti dell’accordo del 2013 si rimanda a Bandera (2013a).
La «punta di diamante» del welfare in Nestlé è costituita dal Progetto 90 giorni, con il quale l’azienda ha vinto nel 2011 il Premio Famiglia Lavoro della Regione Lombardia. Esso include aree dedicate per i figli dei collaboratori durante i periodi di vacanza e di chiusura delle scuole, i due asili nido aziendali, l’accordo sindacale per la flessibilità del- l’orario e per il telelavoro, nonché la sottoscrizione volontaria della Carta per le pari opportunità promossa da Ministero del Lavoro, Ministero delle Pari opportunità e So- dalitas. Il Progetto 90 giorni prevede la realizzazione di campi giovani nelle sedi di Milano e San Sisto (Perugia) per accogliere, sotto la guida di educatori specializzati, i bambini fra i 3 e i 14 anni durante i periodi di chiusura delle scuole. L’asilo nido Les Galipettes di Milano, inaugurato nel 2004, ospita i figli dei dipendenti Nestlé ed è aperto agli abitanti della zona, con una retta equiparata a quella richiesta dalle strutture comu- nali. L’asilo nido aziendale di Perugia, aperto invece nel 2008, è il risultato della sinergia tra l’azienda e un’impresa sociale per offrire sostegno alle famiglie del territorio; la strut- tura garantisce infatti una copertura fino a 12 ore giornaliere anche di sabato, con 15 posti riservati ai dipendenti Nestlé e 66 a disposizione della comunità.
Si tratta di un impegno di lungo termine nella promozione di nuovi modelli di gender balance iniziato in seguito non solo alla somministrazione di questionari, ma anche e soprattutto a una serie di incontri informali con i lavoratori per individuare le aree
«sensibili». Identificate le aree di lavoro – flessibilità di tempo e di location, gender balance, mobilità sostenibile, budget personale, family care, salute e benessere –, di volta in volta il management ha scelto possibili iniziative da «testare» attraverso gli strumenti di ascolto.
Per il futuro, Nestlé ha proposto per la sede di Perugia – nella quale l’attività di pro- duzione del cioccolato si concentra in determinati mesi dell’anno – la possibilità per i lavoratori più anziani, che si trovano in alcuni periodi a dover sostenere una turnistica impegnativa, di proporre l’ingresso in azienda dei figli. Rinunciando al 25 per cento del proprio tempo di lavoro, il genitore vedrebbe il figlio impiegato al 75 per cento, con un 50 per cento in più per il budget familiare. Per Nestlé significherebbe avere più perso- nale part-time nei periodi di concentrazione della produzione, anziché un numero fisso di lavoratori durante tutto l’arco dell’anno. Ci sono però state forti obiezioni da parte dei sindacati, e l’iniziativa non è stata ancora implementata.
3.5. SEA Aeroporti Milano
Come spesso avveniva nelle società pubbliche, i programmi di welfare per i dipendenti SEA – la società fondata nel 1948 per la gestione del sistema aeroportuale milanese – hanno iniziato a essere istituiti, dagli anni Settanta in poi, attraverso accordi tra azienda e sindacati. Alcuni erano erogati direttamente, altri affidati ai due CRAL (Circoli Ri- creativi Aziendali Lavoratori) e gestiti dai rappresentanti dei dipendenti. Il susseguirsi degli accordi, che hanno disposto anche la Cassa sanitaria, il Fondo pensione, il part- time per le mamme e la flessibilità degli orari, nonché i permessi extra per ragioni di sa- lute (arricchiti da una serie di benefits offerti dall’azienda), hanno alimentato un sistema di welfare complesso e talvolta «disordinato», di cui era divenuto difficile ricostruire tappe e modalità istitutive.
L’occasione per la ristrutturazione del sistema – a seguito della mappatura dei servizi in essere e della somministrazione di un questionario per individuare i bisogni dei la- voratori – si è presentata nel 2008, quando la società è stata scossa dall’improvviso dehubbing di Alitalia. L’evento, che ha causato una forte riduzione del traffico aereo e ha imposto l’attuazione di una vasta e dolorosa riorganizzazione aziendale, ha evidenziato
la necessità di un sistema più efficiente e dunque in grado di dare di più in un momento di grave incertezza economica per i lavoratori.
Il lungo e talvolta deciso confronto con i sindacati, iniziato nel 2009, ha portato nel settembre 2011 alla firma del contratto integrativo aziendale che rinnova radicalmente il sistema di welfare attraverso la creazione di una governance congiunta per la gestione dei servizi per i dipendenti, i pensionati e i familiari a carico. Considerate le risposte date dai lavoratori nei questionari distribuiti per comprendere il reale utilizzo e il grado di apprezzamento dei servizi offerti, SEA e le organizzazioni sindacali hanno concordato la fusione dei due CRAL in una nuova associazione a rappresentanza paritetica di azienda e lavoratori. Essa costituisce lo strumento per un sistema di welfare integrato e partecipato, sviluppato grazie alla condivisione degli obiettivi, da parte datoriale e sinda- cale, in grado di offrire benefits simili ai dipendenti delle due sedi. La Cassa sanitaria è ri- compresa nel nuovo assetto tramite un rapporto associativo, mentre l’azienda continua a fornire direttamente alcuni servizi, che però rientrano ora, anche qualora non previsti da un accordo specifico, all’interno del sistema paritetico di governance.
L’istituzione dell’associazione NoiSea per la gestione unica del welfare è frutto di un accordo che, a differenza di iniziative per il benessere dei lavoratori introdotte e ge- stite dall’azienda, è difficilmente modificabile su base unilaterale. Nel 2011 i sindacati hanno accettato la fusione dei CRAL nella nuova associazione a patto che l’azienda fa- cesse confluire nella gestione congiunta anche tutte le iniziative introdotte nel corso de- gli anni. In aggiunta a una più diretta condivisione delle scelte, NoiSea conferisce al sistema di welfare aziendale maggiore indipendenza rispetto a eventuali shock come, per esempio, un cambio del management. Il nodo ancora da sciogliere riguarda tuttavia l’accordo per la determinazione del finanziamento aziendale alla nuova associazione.
3.6. Tetra Pak Packaging Solutions
Tetra Pak, fondata nel 1951 dallo svedese Ruben Rausing, opera oggi in più di 190 mer- cati e ha oltre 20.000 dipendenti nel mondo: una realtà industriale, leader di settore, che ama definirsi anche una «società responsabile» per l’attenzione rivolta all’ambiente e al benessere dei propri lavoratori. La sede di Modena di Tetra Pak Packaging Solutions – azienda metalmeccanica del gruppo che si occupa di ricerca, sviluppo e produzione di macchinari per il confezionamento di liquidi alimentari impiegando più di 800 dipen- denti – offre un’ampia varietà di benefits e servizi.
Punto di partenza per lo sviluppo del sistema di welfare in Tetra Pak è la cultura nordica e di tradizione «familiare» che ha prodotto nel tempo una base omogenea di
«attenzione alle persone»riscontrabile a livello corporate. Ogni sede ha poi la facoltà di
«customizzare» e adattare l’offerta alle specificità del territorio e alle necessità della forza lavoro, registrate attraverso questionari e momenti di comunicazione interna. In seguito all’esigenza di rivedere alcuni aspetti in base alla normativa più recente, e approfittando delle possibilità di finanziamento della legge n. 53/2000, il management della sede di Modena ha colto l’occasione per un più ampio processo di riorganizzazione rivolgendo- si a consulenti specializzati che, in collaborazione con alcuni dipendenti, hanno svilup- pato il progetto. Dopo un’analisi accurata di tutte le possibili novità da introdurre in relazione al budget stanziato dall’azienda, il progetto è stato implementato a partire da settembre 2009. Un ruolo fondamentale nel suo sviluppo è riconosciuto ai sindacati: le RSU sono attivamente coinvolte nello studio di nuove idee e interagiscono senza «for- zare» l’ottica di scambio. Senza contare che fin dall’inizio, con l’utilizzo dei fondi della legge n. 53/2000, il loro appoggio è stato cruciale per la riuscita del progetto.
I servizi, che sono estesi a tutti i dipendenti, in parte sono stati inclusi nella contratta- zione di secondo livello, mentre altri rimangono di iniziativa aziendale. Sono inseriti nel contratto il Parents Program – un programma di sostegno alla maternità –, l’integrazio- ne al trattamento di maternità al 50 per cento fino al dodicesimo mese di vita del bam- bino e il piano di flessibilità degli orari. Accanto a questi servizi, l’azienda offre un benefit plan che prevede per il dipendente la scelta, all’interno di un carnet di opzioni, di nume- rose convenzioni e servizi richiedibili direttamente in azienda, nonché l’asilo aziendale. Il programma, aperto a tutti i dipendenti e familiari conviventi, è avviato già da quasi dieci anni con l’obiettivo di supportare il lavoratore nell’area che ritiene più utile, dalla famiglia alla salute e fino alla cultura. All’interno del piano la sezione «fixed» è invece quella prevista per tutti i dipendenti senza possibilità di scelta delle prestazioni. Si tratta di un pacchetto assicurativo molto simile a quello inserito nel contratto dei dirigenti per gli infortuni sul lavoro e fuori, i grandi interventi e i ricoveri ospedalieri. Per quanto ri- guarda invece la parte flessibile, ogni lavoratore sceglie i servizi di anno in anno in base alle esigenze proprie e della famiglia. Per le spese mediche, ad esempio, è istituita una Cassa che rimborsa le spese per visite, occhiali e medicinali, del dipendente e del nucleo familiare, entro una cifra prestabilita, uguale per tutti coloro che scelgono questo benefit. Per l’infanzia, la sede di Modena offre un asilo nido aziendale – che dista circa un chilometro dagli uffici – per il quale i dipendenti pagano una retta equiparata a quella delle strutture comunali; selezionando questo benefit all’interno del piano, si avrà diritto, alla presentazione dei pagamenti effettuati, a un rimborso di circa 2.000 euro l’anno, il che si applica qualunque sia la struttura scelta dai genitori. Si può destinare una somma alla previdenza complementare, oppure farsi rimborsare parte delle spese per studio e formazione o per attività sportive; queste ultime sono solo per la persona, mentre le spese per lo studio sono rimborsabili anche per i figli. Un altro rimborso previsto dal piano è quello delle spese per gli spostamenti, fino a 300 euro l’anno. Infine, è stato isti- tuito il Care Emergency, servizio per la famiglia richiedibile in caso di imprevisti di na-
tura lavorativa e pagato direttamente dall’azienda.
Il valore complessivo del benefit plan inserito nella contrattazione di secondo livello è di circa 2.000 euro l’anno, cui si aggiungono le iniziative «a costo zero» come il piano di flessibilità degli orari e le convenzioni per i servizi in azienda. Sono invece escluse dal sistema di welfare le voci che fanno parte del pacchetto retributivo del singolo dipen- dente (come l’auto aziendale, per esempio), considerate veri e propri benefits aggiuntivi e variabili a seconda della posizione ricoperta. C’è poi il programma di work-life balance (al cui interno si colloca il citato Parents Program), avviato tre anni fa e finanziato attraver- so l’art. 9 della legge n. 53/2000; un portale dedicato, cui si accede dalla intranet azien- dale, consente di effettuare direttamente le scelte nel benefit plan e di seguire una procedura guidata per la richiesta dei rimborsi.
Alle indagini di clima, svolte per tutti i dipendenti del gruppo da ormai oltre un de- cennio, si aggiungono, a cadenza annuale, quelle volte a verificare il livello di soddi- sfazione rispetto a servizi specifici. Sono inoltre organizzati di frequente incontri a par- tecipazione libera, per raccogliere idee e proposte o per trovare soluzione a eventuali problemi.
3.7. UBI Banca – Banca Popolare di Bergamo
Il Gruppo UBI – che conta 19.757 dipendenti e una concentrazione importante delle proprie attività in Lombardia – è un’unione federale di banche territoriali controllate da una società Capogruppo. Il modello federale garantisce alle controllate un certo grado
di autonomia gestionale, nonché il mantenimento dei legami storici con il territorio che si riflettono sia sulla gestione del personale sia sull’offerta dei benefits introdotti attraver- so la contrattazione di secondo livello.
All’interno della Banca Popolare esistono diversi sistemi di welfare aziendale che of- frono al personale servizi, prestazioni e risorse in base alla «banca di provenienza», assi- curando il mantenimento dei trattamenti in essere prima della costituzione della nuova realtà di gruppo. Le principali garanzie riguardano le polizze assicurative per la copertu- ra di infortuni professionali ed extra-professionali, i fondi di previdenza complementare differenziati per «banca di provenienza», i fondi/casse di assistenza sanitaria, i servizi di consulenza e assistenza psicologica per situazioni di disagio personale/familiare offerti su iniziativa del management a tutti i dipendenti del Gruppo.
I 3.761 dipendenti della Banca Popolare di Bergamo godono di un ampio sistema di welfare – risultato sia delle buone relazioni sindacali che dello spirito paternalistico pro- prio della gestione tradizionale dell’istituto – in cui prevalgono però le logiche negoziali. Tra i servizi dedicati ai giovani, troviamo una «corsia preferenziale» per la stabilizzazio- ne del rapporto di lavoro che è regolamentata da accordi sindacali, i quali definiscono i bacini occupazionali dai quali la banca si impegna a selezionare il personale per le future assunzioni. L’assunzione è infatti la «porta d’ingresso» per poter godere della maggior parte dei benefits, come il riconoscimento nell’anzianità di servizio dei periodi di collabo- razione con contratto a termine, il versamento (a carico del datore di lavoro) di un con- tributo per la previdenza complementare pari al 6 per cento per i primi cinque anni, il rimborso delle spese notarili per l’acquisto della prima casa.
Per quanto riguarda il work-life balance, il legame con il territorio e i suoi valori catto- lici ha favorito l’attenzione verso la famiglia, testimoniata dall’estensione della polizza sanitaria – finanziata per l’80 per cento dall’azienda – a familiari e conviventi. Tale co- pertura sanitaria include spese odontoiatriche, visite specialistiche, esami e il rimborso in caso di grandi interventi. Tutti i dipendenti sono anche titolari di polizza vita e infor- tuni. Ci sono, inoltre, i contributi economici una tantum per la nascita dei figli, i permessi retribuiti, l’asilo nido aziendale «Montessori». Anche l’attenzione alla disabilità è elevata: ai lavoratori dipendenti con invalidità superiore al 70 per cento l’azienda integra di un punto percentuale il versamento al fondo di previdenza complementare, ed eroga 5.000 euro all’anno per l’assistenza di familiari con invalidità certificata superiore al 70 per cento (se figli) o al 75 per cento (se coniuge o genitore). Anche il premio aziendale è
«misto»: in denaro, in buoni carburante o come versamento al fondo previdenziale.
A livello di gruppo, nel gennaio del 2012 è stato sottoscritto l’accordo per la realiz- zazione del progetto Social Hour, nato per limitare le misure a disposizione dell’istituto per la riduzione dei costi attraverso l’offerta ai dipendenti della possibilità di sospendere temporaneamente la propria attività lavorativa beneficiando di un’integrazione salariale finanziata attraverso l’accesso alle prestazioni ordinarie del Fondo di solidarietà di set- tore. L’accordo, che si inserisce in una fase congiunturale e di settore negativa, mira a coniugare la necessità dell’azienda di ridurre i costi con la possibilità per i lavoratori di assentarsi temporaneamente per motivi familiari, personali o di studio.
Di recente introduzione nel sistema di welfare della Banca Popolare di Bergamo è il Centro Ricreativo Estivo (CRE), operativo nel periodo di chiusura estiva delle scuole (dal 17 giugno al 6 settembre, dalle 8 alle 18), aperto ai figli dei dipendenti fra i 3 e i 14 anni. Il servizio, attivato in via sperimentale per le banche del Gruppo UBI con sede legale nel comune di Bergamo, e in linea con la politica family friendly dell’azienda, è sta- to introdotto a seguito delle richieste provenienti dai rappresentanti dei lavoratori. Pri-
mo del suo genere nel settore bancario italiano, intende rispondere a una necessità di conciliazione vita-lavoro; al tempo stesso, fornisce un supporto «estivo» ai dipendenti che lavorano durante le vacanze17.
3.8. Unipol Assicurazioni
Nata nel 1961 per volontà della casa automobilistica Lancia e acquistata nel 1963 da un gruppo di cooperative bolognesi, Unipol Assicurazioni ha compiuto nel 2013 i suoi primi 50 anni. E ha deciso di festeggiarli con la modernizzazione del proprio welfare aziendale.
Da circa tre anni, la dirigenza di Unipol ha promosso, all’interno dell’area Risorse umane, un percorso di ristrutturazione e «istituzionalizzazione» dei numerosi servizi a supporto dei dipendenti introdotti nel corso degli anni e tradizionalmente offerti in maniera informale. Il management ha ritenuto di organizzare il sistema in maniera strut- turata, con l’obiettivo non di inserire il welfare in un’ottica di benefit o di integrazione alla remunerazione dei lavoratori, bensì di riordinare l’offerta così da garantirne la mi- gliore fruizione.
Il progetto, sviluppato congiuntamente dalle funzioni organizzative Sostenibilità e Comunicazione interna, è stato disegnato a partire dalle necessità più evidenti, per arri- vare però in futuro a coprire anche i bisogni più «personali» e segmentati come, ad esempio, l’assistenza agli anziani a carico. La scelta delle iniziative è partita dallo studio di macro-dati sulla popolazione emiliana, con analisi desk sui trend demografici e sui servizi presenti sul territorio, per continuare con un’analisi quantitativa della popolazio- ne aziendale al fine di individuarne i bisogni in base a età e relative necessità. L’ufficio Risorse umane dichiara di aver privilegiato il «comportamento agìto» rispetto a quello percepito, studiando nel dettaglio le abitudini dei lavoratori (ad esempio, la frequenza di fruizione dei permessi e le relative motivazioni). Il sistema di welfare aziendale può es- sere quindi distinto in due livelli.
Il primo, cosiddetto «storico», riguarda tutte le iniziative collegate al reddito integra- tivo e di supporto alla persona, ad esempio l’assistenza sanitaria e la cassa di previ- denza. Si tratta di benefits considerati ormai «patrimonio consolidato» del rapporto tra impresa e dipendente, esistenti da tempo anche come frutto della contrattazione con le rappresentanze dei lavoratori. Di anno in anno, in accordo con i sindacati, si ag- giungono nuovi istituti o si amplia l’ambito d’intervento di quelli in essere. Nell’ul- timo contratto integrativo aziendale, per fare un esempio, è stato introdotto il tema della procreazione assistita.
C’è poi il secondo livello, che attiene al core business aziendale: coperture assicurative e servizi offerti ai dipendenti del Gruppo a condizioni agevolate. Le prestazioni sono infine suddivise in tre «blocchi» di welfare. Il primo è legato al contratto integrativo aziendale del Gruppo Unipol, che disciplina istituti come l’orario di lavoro con fles- sibilità in entrata e in uscita, la pausa pranzo e il part-time, la previdenza integrativa e assicurativa, le condizioni bancarie, nonché una serie di agevolazioni in termini di permessi e contributi economici di varia natura, come i permessi per l’accudimento dei figli e i permessi e contributi economici per i lavoratori studenti. La seconda area include i servizi «tagliatempo», offerti in azienda ed esterni al contratto integrtivo aziendale, attualmente destinati per la quasi totalità alla sede di Bologna. Il terzo blocco di welfare riguarda infine i «nuovi» servizi di convenzionamento ed «extra-
17 Per approfondire l’iniziativa si rimanda a Bandera (2013b).
azienda». Si tratta di servizi selezionati per i quali il management negozia condizioni agevolate, come quelli alla persona e alla casa. Questo blocco include iniziative nuo- ve e/o di prossima attivazione come le convenzioni con RSA e campi estivi, ma anche per colf e babysitter. A seguito della negoziazione delle condizioni con i forni- tori, l’azienda mette a disposizione dei dipendenti un servizio di intranet per la frui- zione dei servizi, all’interno della sezione dedicata «Noi Unipol». Il progetto prevede entro il 2013 la conclusione della predisposizione dei servizi in-house, mentre nel 2014 inizieranno i servizi a domicilio.
Per facilitare la fruizione dei servizi, l’azienda studia di volta in volta il piano di comu- nicazione interna seguendo due principali linee guida: la mappatura e valorizzazione dei servizi sul territorio e la promozione di logiche di rete e servizi in partnership pubblico- privato. Un esempio è l’asilo interaziendale di Bologna, cui – oltre a Unipol, che ha a propria disposizione 18 posti – partecipano altre due aziende limitrofe, il Comune e alla Regione.
4. NUOVI STRUMENTI PER IL WELFARE NELLE PMI
Il problema senza dubbio più «vicino» e concreto riguarda il rischio di una frammenta- zione del mercato tra imprese di diversa dimensione, collocazione geografica e settore produttivo. Se gli schemi di natura occupazionale tendono a favorire chi è inserito nel mercato del lavoro e a escludere chi invece non vi partecipa, c’è anche la possibilità che il welfare aziendale si sviluppi a beneficio dei dipendenti di grandi e medie imprese, e non riesca ad arrivare alle piccole realtà imprenditoriali che costituiscono l’ossatura produttiva del nostro paese (Mallone 2012d).
Il ruolo del mondo imprenditoriale si articola in due direttrici diverse, per quanto potenzialmente complementari (Maino e Mallone 2012). Da un lato, gli esempi più dif- fusi di multinazionali italiane ed estere che offrono sistemi di welfare aziendale ai propri dipendenti continuano ad aumentare; all’estremo opposto troviamo le micro, piccole e medie imprese. Le realtà imprenditoriali minori – che spesso non hanno le risorse fi- nanziarie e organizzative sufficienti, né raggiungono una massa critica che consenta loro di ottenere condizioni vantaggiose nella negoziazione con i fornitori – sembrano essere naturalmente escluse. Il problema acquista dimensioni rilevanti se consideriamo che in Italia i lavoratori delle PMI sono più dell’80 per cento degli occupati, a fronte di una media europea del 67 per cento (Wymenga et al. 2011). In questo panorama le grandi imprese rappresentano «isole» di benessere, in contrapposizione alla grande maggioran- za della forza lavoro.
È quindi interessante comprendere se e in che misura il welfare territoriale possa rappresentare la risposta di stampo «aziendale» ai bisogni sociali della popolazione occupata. Dalla condivisione progettuale e di risorse tra gli attori locali pubblici e privati nascono sempre più spesso iniziative «di rete» per sostenere i territori e le realtà im- prenditoriali locali nello sviluppo di misure innovative di welfare aziendale, interazien- dale e di respiro territoriale. Tra i soggetti impegnati figurano gli enti pubblici locali, le reti d’impresa e le organizzazioni sindacali, che puntano sulla contrattazione aziendale e territoriale per diffondere buone prassi di welfare aziendale di natura contrattuale. Questi soggetti hanno ormai da tempo iniziato a studiare soluzioni innovative attraver- so la creazione, ma anche il ri-utilizzo, dei più vari «strumenti» di natura organizzativa, aziendale e contrattuale.
4.1. I contratti di rete
Lo strumento più recente e innovativo per la diffusione del welfare aziendale all’interno delle piccole e medie imprese è il contratto di rete. Le reti d’impresa sono libere aggre- gazioni tra aziende nate con l’obiettivo di aumentare la capacità competitiva e le poten- zialità di business. Con i contratti di rete – stipulati oggi da più di mille imprese sul territorio nazionale (dati di Confindustria Retimpresa del 2013) – gli imprenditori coin- volti perseguono lo scopo di accrescere, individualmente e collettivamente, capacità innovativa e competitività sul mercato attraverso forme di collaborazione negli ambiti della produzione, dell’informazione e della formazione, scambiandosi prestazioni di na- tura industriale, commerciale, tecnica o tecnologica. Il contratto può anche prevedere l’istituzione di un fondo patrimoniale comune e la nomina di un organo comune incari- cato di gestire – in nome e per conto dei partecipanti – l’esecuzione del contratto o di sue singole parti o fasi. Si tratta dunque di una forma di cooperazione interaziendale, incentivata dal legislatore con vantaggi fiscali, per unire competenze ed esperienze e ot- tenere vantaggi di scala, così da compensare le difficoltà che le PMI, per le loro piccole dimensioni, possono incontrare sui mercati internazionali e negli investimenti per ricer- ca e sviluppo.
È troppo pensare che il contratto di rete possa servire anche all’implementazione di sistemi condivisi di welfare aziendale? Le esperienze sono ancora poche e molto recenti, ma l’idea è senza dubbio promettente. Si sono sviluppate sui territori soluzioni bottom- up, studiate dagli stessi imprenditori con il supporto delle istituzioni e delle associazioni territoriali. La prima esperienza in Italia è quella di GIUNCA (Gruppo Imprese Unite Nel Collaborare Attivamente), nata a Varese nell’ottobre 2012, che si distingue dai con- tratti di rete già stipulati perché i componenti del gruppo – grandi e piccole imprese del- la provincia appartenenti a diversi settori manifatturieri, coadiuvate dall’Unione degli Industriali della provincia di Varese – non hanno deciso di aggregarsi per sviluppare nuovi prodotti, stipulare alleanze strategiche o «posizionarsi» su mercati esteri, bensì per riuscire a offrire ai propri collaboratori servizi di welfare e formazione. Tanti gli inter- venti allo studio: dalla mobilità alla salute, fino al sostegno al reddito familiare e alla conciliazione dei tempi. La prima azione concreta della rete è il GiuncaNet Worklife Balance, un progetto pilota, studiato in collaborazione con l’Unione degli Industriali della provincia di Varese e il Comune di Tradate, che prevede la realizzazione di un sito Internet e di una banca dati condivisa per la fruizione di una varietà di servizi e attività a livello territoriale.
Un altro esempio di rete per il welfare è quello del BioNetwork, aggregazione di aziende rurali femminili family friendly sviluppata nell’ambito del progetto «Impresa donna in ambito rurale» promosso nell’aprile 2011 da Provincia di Pavia, Camera di Commercio di Pavia, i Gruppi di Azione Locale della Lomellina e dell’Alto Oltrepò, in partenariato con le Associazioni datoriali agricole pavesi, la Confederazione Italiana Agricoltori, l’Unione Agricoltori, Copagri e la Federazione Provinciale Coltivatori Diretti. L’obiettivo dell’iniziativa era proprio quello di costituire un gruppo di imprese contraddistinte dal marchio «Pavia in famiglia», denominazione che certifica le azioni di conciliazione dei tempi intraprese a favore di una partecipazione più equilibrata delle donne al mercato del lavoro e, più in generale, per la crescita del territorio della pro- vincia. Ancora una volta il risultato si deve a un lavoro «di rete» o di «secondo welfare»: il progetto si colloca infatti nell’ambito dell’accordo sulla conciliazione famiglia-lavoro sottoscritto nell’ottobre del 2011 all’interno della rete territoriale per la
conciliazione famiglia-lavoro promossa dall’amministrazione regionale lombarda a partire dal 201018.
4.2. I patti per lo sviluppo
Una ulteriore soluzione «di stampo imprenditoriale» nasce dall’impegno delle associa- zioni datoriali locali che, sempre più spesso, si muovono coinvolgendo iscritti e rap- presentanze sindacali per la costituzione di sistemi territoriali condivisi, generalmente partendo dalla firma di un «patto per lo sviluppo».
Tra le best practices da segnalare c’è l’esperienza di Unindustria Treviso, che ha dato vita – a partire dalla firma del Patto per lo sviluppo nel febbraio 2011 – a un percorso condiviso con le organizzazioni sindacali della provincia finalizzato all’inserimento di pacchetti di welfare, differenziati a seconda delle categorie merceologiche, all’interno dei contratti aziendali. Unindustria rappresenta, nella sua funzione di «imprenditore col- lettivo», tutti i potenziali beneficiari sparsi sul territorio nella negoziazione di accordi commerciali con i fornitori di beni e servizi.
Il progetto, studiato in seguito al completamento e alla presentazione di due ricerche sui bisogni della popolazione provinciale e sulle possibili soluzioni di welfare, è giunto nel gennaio 2012 alla definizione dei «contratti-tipo»: si tratta di schemi contrattuali ge- nerali e applicabili dalle singole imprese che utilizzano il premio variabile dei lavoratori in un’ottica di scambio.
Il modello di Unindustria ha prodotto un effetto di «disseminazione»19: è stato infatti accolto con interesse da altre realtà locali, che si stanno muovendo nella stessa dire- zione. Confindustria Como, per esempio, sta attualmente promuovendo la creazione di network territoriali costituiti da associazioni datoriali e sindacali – nonché da mondo cooperativo, Terzo settore e istituzioni – «copiando» proprio il Patto per lo sviluppo siglato a Treviso.
4.3. La contrattazione di secondo livello
Il mondo imprenditoriale non è però l’unico «propulsore» per lo sviluppo del welfare territoriale: seppur con diverse sensibilità, anche le parti sociali sembrano essersi con- vinte della necessità di trovare soluzioni di compromesso tra lavoratori e imprenditori, tali da unire rilancio produttivo e tutela delle persone. I segnali? La valorizzazione della contrattazione decentrata – aziendale e territoriale – e la sempre più consistente inclu- sione di misure di welfare negli accordi. Anche le intese regionali con le parti datoriali si muovono in questa direzione, con dichiarazioni congiunte per lo sviluppo del welfare e la costituzione di fondi di natura socio-sanitaria.
18 Le Reti Territoriali di Conciliazione sono state istituite nell’agosto 2010, con Delibera di Giun- ta n. 381, al fine di svolgere attività di studio dei bisogni locali e di coordinamento dei progetti, primo tra tutti il sistema della Dote Conciliazione, affidato inizialmente a sei Reti per la distribuzione nelle rispettive province. Questi momenti di incontro, o tavoli, hanno portato alla sottoscrizione di 13 accordi di programma e di altrettanti piani di azione che coinvolgono numerose organizzazioni ed enti, pubblici e privati, profit e non profit. I progetti attivati dalle reti hanno beneficiato dell’accom- pagnamento attivo della Regione attraverso assistenza e percorsi formativi, ma anche con un sistema di monitoraggio dei risultati. Per approfondire il tema delle Reti Territoriali di Conciliazione si ri- manda al capitolo 10 in questo Rapporto.
19 Sui concetti di disseminazione e policy transfer si rimanda a Dolowitz e Marsh (1996) e a Evans e Davies (1999).
Una sperimentazione riguarda l’istituzione del fondo per il welfare all’interno del mon- do artigiano lombardo. Il 15 febbraio 2012 Cgil, Cisl e Uil della Lombardia, insieme a Confartigianato, Cna, Casartigiani e Claai, hanno firmato l’accordo per il rinnovo dei contratti regionali dell’artigianato, un settore che interessa 210.000 lavoratori. Il do- cumento ha lo scopo di fornire alle singole categorie «linee guida» per la stipula dei contratti per comparto merceologico; introduce soluzioni innovative e addirittura sor- prendenti, alla luce della difficile situazione economica: più flessibilità degli orari, una
«banca ore» per i dipendenti, e soprattutto un fondo per l’erogazione di prestazioni di welfare integrativo20.
Il fondo di welfare integrativo, il cui avvio era originariamente previsto per gennaio 2013, inizierà invece nel gennaio 2014 con la fase di accumulo delle risorse. Conte- stualmente, una commissione di lavoro composta dalle parti ne definirà struttura ope- rativa e natura delle prestazioni erogate. Sarà finanziato con un versamento obbligatorio a carico delle imprese pari a 60 euro annui per dipendente e sarà aperto all’adesione de- gli stessi datori di lavoro e dei loro collaboratori familiari. Si tratta dunque – riprenden- do le parole di Gigi Petteni, Segretario generale di Cisl Lombardia – di un superamento delle «barriere storiche» tra impresa e lavoratori che costituisce un importante passo sulla via del decentramento della contrattazione21. Non è certo un caso che la contratta- zione decentrata sia ormai da tempo al cuore delle iniziative di Cisl Lombardia, che per prima ha proposto la costituzione del fondo per il welfare.
L’istituzione di un fondo per il welfare è particolarmente rilevante in un mondo
«complesso» come quello artigiano: da un lato, composto da micro-imprese, spesso a carattere familiare e con meno di 15 dipendenti, in cui è difficile per i sindacati avere rappresentanza diretta, e dall’altro caratterizzato da una radicata tradizione contrattuale di bilateralità. A differenza delle più conosciute esperienze di welfare aziendale della grande impresa, nel mondo artigiano esistono strutture compartecipate da rappresen- tanti delle imprese e dei sindacati che, su base mutualistica, gestiscono le provvidenze a favore dei lavoratori. Enti bilaterali spesso nati per tutelare il rischio di disoccupazione, ma che ancora oggi testimoniano l’esistenza di una «cultura della bilateralità».
Rispetto alle aree coperte dal fondo, l’accordo lascia alle parti la possibilità di giunge- re a valutazioni condivise, così da evitare inutili duplicazioni. Per scongiurare due rischi: in primo luogo, quello di sovrapposizione rispetto alle prestazioni offerte da San.Arti, il fondo sanitario previsto dai contratti nazionali del settore dell’artigianato; in secondo luogo, quello di predisporre soluzioni non coerenti con le specificità del sistema sanita- rio regionale. San.Arti fornisce infatti agli iscritti assistenza integrativa sanitaria e socio- sanitaria, incluse prestazioni come l’assistenza odontoiatrica, quella per i soggetti non autosufficienti e quella volta al recupero della salute per i soggetti temporaneamente inabili da malattia o infortunio. Per questo l’art. 5 dello statuto prevede la possibilità di
«ritagliare» le prestazioni offerte: il fondo regionale non avrà carattere prevalentemente sanitario, ma si concentrerà sull’erogazione di prestazioni sociali. Tra le proposte, la regolazione e l’integrazione di tutele sociali e contrattuali, ad esempio i contributi alle lavoratrici in maternità facoltativa o per assenze dovute a lunghe malattie; oppure un
20 Per le informazioni sul fondo regionale di welfare lombardo ringraziamo Roberto Benaglia, Segretario regionale della Cisl Lombardia.
21 Gigi Petteni ha menzionato con soddisfazione la nascita del fondo di welfare per gli artigiani, e ha ribadito l’importanza della contrattazione decentrata in una dichiarazione del 29 febbraio 2012, in occasione dell’inaugurazione della nuova sede milanese della Cisl Lombardia.
contributo per permessi retribuiti nel caso vi sia la necessità di assentarsi per visite me- diche o day hospital.
Uno degli aspetti più innovativi del fondo riguarda l’estensione dei benefici ai datori di lavoro e ai loro collaboratori. Mentre la maggior parte dei fondi – come quello che partirà a livello nazionale e il Fondo Est per il commercio – sono riservati esclusiva- mente ai dipendenti, in questo caso il datore di lavoro e i suoi collaboratori, che sono spesso familiari, hanno la facoltà di iscriversi. La platea dei possibili beneficiari potrebbe così crescere di circa 40.000 persone, arrivando a coprire 250.000 iscritti. Nella stessa logica, già nel 2011 ELBA (Ente Bilaterale Lombardo dell’Artigianato) ha esteso l’ero- gazione del contributo per i costi di asilo nido sostenuti da donne separate anche alle titolari delle imprese. Una decisione nata dalla consapevolezza condivisa che, accanto al consolidato interesse per il lavoro dipendente, è indispensabile ricordare come uno dei maggiori problemi del lavoro autonomo sia proprio la mancanza delle tutele del welfare pubblico. È importante notare che, di fronte alla drammaticità degli effetti della crisi economica sul mondo artigiano, l’onere per il datore dei versamenti obbligatori al fondo è stato «compensato» inserendo nell’accordo la possibilità di aumentare la per- centuale di flessibilità prevista dai contratti nazionali. Tale opzione offre l’opportu- nità di regolare quella flessibilità che in molte piccole imprese artigiane già si pratica da tempo in maniera informale. Anche la «banca ore» è stata regolata per servire da «cusci- netto» nelle fasi di calo produttivo, e per la prima volta l’accordo introduce nel settore dell’artigianato l’idea del premio variabile, legato alla produttività.
Tra le esperienze di «welfare contrattuale» che puntano sulla contrattazione de- centrata – aziendale, ma anche territoriale – una novità degna di menzione è costituita dall’accordo quadro regionale lombardo per la promozione di interventi di welfare aziendale e conciliazione vita-lavoro nel sistema della piccola e media impresa, firmato da sindacati e rappresentanti delle PMI lombarde nell’aprile del 201322. La direzione regionale di Confapindustria – la confederazione italiana della piccola e media industria privata – e le segreterie regionali di Cgil, Cisl e Uil hanno concordato circa la necessità di favorire l’introduzione del welfare aziendale nei contratti integrativi per la piccola e media impresa come risposta alla difficile congiuntura economica. L’intesa è nata infatti con il duplice obiettivo di favorire la crescita economica dell’impresa proprio attraver- so la valorizzazione della sua «responsabilità sociale», e di favorire forme innovative di risposta ai bisogni dei lavoratori e delle famiglie, con un’attenzione particolare alla condizione femminile. Aiutare le lavoratrici italiane a raggiungere un equilibrio tra lavoro e impegni familiari consentirebbe a molte di evitare la scelta obbligata di rinun- ciare all’attività professionale a causa dell’onere di cura di bambini e genitori anziani. Un passaggio fondamentale del documento esplicita poi l’intenzione, che potremmo definire «di secondo welfare», di utilizzare la contrattazione territoriale e aziendale come strumento privilegiato di coinvolgimento anche delle istituzioni locali e delle associa- zioni del Terzo settore. Uno degli obiettivi dichiarati dell’intesa è infine quello di aiutare le piccole e medie imprese ad aderire al bando 2013 della Regione Lombardia per la conciliazione famiglia-lavoro.
4.4. I bandi regionali
Le amministrazioni locali – molto spesso in collaborazione con le Camere di Commer- cio – promuovono e finanziano progetti di sostegno alle imprese interessate all’istitu-
22 Per approfondire i contenuti dell’accordo rimandiamo a Mallone (2013b).
zione di sistemi di welfare, attraverso la pubblicazione di bandi, l’apertura di sportelli per fornire consulenza e supporto organizzativo, la costituzione di «reti territoriali» per favorire dialogo e co-progettazione tra soggetti pubblici e privati. È questo il caso della Regione Lombardia, che dal 2010 ha introdotto politiche di sostegno alle imprese per favorire la diffusione di strumenti di conciliazione fra vita privata e lavorativa, attraver- so il lavoro congiunto di due direzioni generali regionali, la DG Famiglia, Conciliazione, Integrazione e Solidarietà Sociale e la DG Occupazione e Politiche del Lavoro. Alla ba- se dell’architettura regionale, l’idea di family mainstreaming – la volontà, cioè, di riportare la famiglia al centro delle politiche pubbliche – il cui primo passo concreto è stato la costituzione delle «Reti territoriali di conciliazione». Si tratta di network capaci di racco- gliere risorse finanziarie e organizzative non pubbliche – ma sempre legate alla dimen- sione territoriale – affinché integrino, in collaborazione e sotto la supervisione delle ASL come rappresentanti dell’istituzione regionale, la tutela di quei nuovi e vecchi rischi che il pubblico da solo fatica ormai a coprire interamente23.
Il più recente «tassello» della strategia regionale è costituito però dalla pubblicazione del bando 2013, «Sostegno del welfare aziendale e interaziendale e della conciliazione famiglia-lavoro in Lombardia», con il quale la DG Famiglia, Conciliazione, Integrazione e Solidarietà Sociale ha confermato l’impegno a sostegno dell’occupazione femminile e della conciliazione dei tempi di vita e lavoro in un’ottica di supporto alla famiglia24. L’avviso pubblico è diviso in due sezioni: la prima riguarda la promozione di progetti di welfare aziendale e interaziendale a seguito della presentazione di proposte da parte del- le imprese, mentre la seconda ripropone l’erogazione dello strumento Dote Concilia- zione Servizi alla Persona con l’obiettivo di favorire l’occupazione femminile dopo la nascita di un figlio. La dotazione finanziaria complessiva ammonta a quasi 10 milioni di euro, di cui 5 milioni stanziati per il finanziamento dei progetti di welfare aziendale.
Rispetto alle precedenti iniziative intraprese dall’amministrazione lombarda, la prin- cipale novità riguarda il sostegno alla contrattazione decentrata25. Il bando prevede infatti la contrattazione di secondo livello, avviata o conclusa, come requisito d’accesso al finanziamento. Sono state inoltre ampliate le categorie di beneficiari, aprendo il ban- do anche alla grande distribuzione e alle grandi aziende qualora associate a piccole e medie imprese.
Attraverso le numerose iniziative intraprese, dall’ambizioso progetto delle Reti di conciliazione lombarde fino al bando per finanziare progetti di welfare aziendale, l’am- ministrazione regionale ha inteso favorire la costruzione di un sistema di welfare ali- mentato dalla cooperazione dei diversi soggetti pubblici e privati che vivono e operano sul territorio e nelle comunità locali, puntando sul contributo del mondo imprenditoria- le all’interno di un sistema di governance condiviso ma supervisionato dalle istituzioni in un mix innovativo di iniziative top-down e al tempo stesso bottom-up. Questa esperienza
23 All’innovativo progetto delle Reti territoriali di conciliazione è dedicato il capitolo 10 di questo
Rapporto, a cura di Franca Maino e Ilaria Madama.
24 In attuazione della DGR n. 4221, «Misure a sostegno del welfare aziendale e interaziendale e della conciliazione famiglia-lavoro in Lombardia», sono stati pubblicati il decreto n. 12138 del 13 di- cembre 2012, «Approvazione delle indicazioni per la partecipazione alle iniziative di welfare aziendale e interaziendale e alla dote conciliazione servizi alla persona in attuazione della DGR del 25 ottobre 2012 n. 4221», e il bando pubblico «Sostegno del welfare aziendale e interaziendale e della concilia- zione famiglia- lavoro in Lombardia».
25 Per approfondire le politiche della Regione Lombardia in tema di conciliazione famiglia-lavoro e i contenuti del bando 2012, si rimanda al capitolo di Maino e Madama in questo Rapporto e ai con- tributi pubblicati su www.secondowelfare.it (cfr. l’elenco al fondo del capitolo).
dimostra come, specialmente in una fase di contrazione delle risorse a disposizione, le politiche regionali non debbano cedere alla tentazione di «tagliare» ma anzi cercare di imboccare due strade parallele. Se da un lato è utile, e forse ormai inevitabile, lavorare per un maggiore coinvolgimento degli ambiti locali e dei diversi attori sociali in part- nership multi-stakeholders, le amministrazioni territoriali rimangono il «cuore» del welfare pubblico.
L’impegno delle amministrazioni porta spesso al coinvolgimento degli ambiti locali, in una sorta di meccanismo «a cascata». Nel caso del bando regionale 2013, ad esempio, le parti sociali hanno «risposto» alla fiducia dell’amministrazione regionale nei confronti della contrattazione decentrata coinvolgendo la componente datoriale per dare vita al- l’Accordo quadro regionale tra Confapi e sindacati, di cui abbiamo detto nelle pagine precedenti. Nei mesi seguenti la firma, amministrazioni locali, organizzazioni sindacali e associazioni datoriali hanno lavorato insieme per la diffusione e la «declinazione» dell’accordo nei singoli territori, spesso appoggiandosi al «sistema di rete» già esistente grazie all’istituzione delle Reti territoriali di conciliazione lombarde e dei Piani di zona. È successo a Monza, dove il 19 marzo 2013 Assolombarda, Confindustria Monza e Brianza, APA Confartigianato Milano-Monza e Brianza, Confcooperative Milano, Lodi, Monza e Brianza, Confapi Industria, Unione Artigiani e Cgil, Cisl e Uil di Monza e Brianza hanno firmato il primo accordo sperimentale di carattere territoriale per favori- re la partecipazione delle PMI della provincia al bando regionale. Solo un mese dopo, l’11 aprile, i rappresentanti di Cgil, Cisl e Uil di Lodi e l’Associazione degli Indu- striali del Lodigiano hanno realizzato – con la collaborazione della ASL di Lodi – un accordo di ambito territoriale che consente alle PMI di aderire, su base volontaria, a un meccanismo di «contrattazione standard» già definito dalle parti e direttamente applica- bile nelle aziende. In questo modo, le PMI del territorio hanno l’opportunità di par- tecipare al bando regionale per il finanziamento delle iniziative di welfare «ponendo ri- medio» alla frequente assenza del requisito della contrattazione di secondo livello grazie alla possibilità di «associarsi» all’accordo territoriale.
5. CONCLUSIONI
Chiudiamo il capitolo con una sezione che, partendo dall’analisi dei dati a disposizione, presenta un’interpretazione delle dinamiche in atto e alcuni spunti di riflessione. Benché gli studi sul welfare aziendale siano ancora pochi e i «numeri» disponibili piuttosto scar- si, si tenterà di fornire una dimensione del fenomeno tanto dal lato della domanda dei lavoratori quanto da quello dell’offerta aziendale. Il lavoro di ricostruzione dei casi ha inoltre reso possibile l’elaborazione di una traccia interpretativa circa le dinamiche di sviluppo e cambiamento. Rimangono naturalmente numerose questioni aperte, ma esistono buone prospettive per il futuro.
5.1. I primi dati
I lavoratori di fronte al welfare aziendale. Secondo la ricerca condotta nel 2013 da McKinsey per Valore D – l’associazione di grandi imprese creata nel 2009 in Italia per sostenere la leadership femminile –, il welfare è molto apprezzato dai lavoratori, che lo
«valutano» fino al 70 per cento in più rispetto al costo sostenuto dall’azienda. Se un 25 per cento è effettivamente guadagnato grazie all’intervento dell’azienda nel finanzia-
mento del servizio e nella stipula di condizioni agevolate con i fornitori, è sorprendente osservare come ben il 45 per cento sia invece un «extra valore socio-affettivo». Così, l’employee engagement index dei lavoratori aumenta del 30 per cento quando il welfare viene introdotto, e del 15 per cento quando un servizio già esistente viene migliorato (Valore D 2013). La ricerca mostra come sia gli uomini sia le donne apprezzino i benefits. È però altrettanto vero che gli oneri di cura – dei figli, ma anche dei genitori anziani – in Italia ricadono ancora principalmente sulle donne. Sono tante le italiane che non lavorano, e ancora troppe quelle il cui percorso professionale è duramente segnato dal «peso» della famiglia26. Nonostante questo, McKinsey rileva che sempre più uomini vorrebbero congedi parentali retribuiti e che i bisogni variano considerevolmente a se- conda del «posizionamento» lungo il ciclo di vita: se a trenta e quarant’anni prevalgono quelli legati alla cura dei figli, dai cinquanta in poi i lavoratori iniziano a sentire la necessità di un aiuto per i familiari anziani.
Il welfare aziendale nelle imprese italiane. La quasi totalità delle grandi realtà imprenditoriali italiane ha introdotto qualche forma di welfare. Un’indagine svolta su più di 300 imprese italiane mostra che, anche escludendo la previdenza complementare, il fenomeno interessa oltre l’80 per cento delle aziende con più di 500 addetti (Ascoli, Mirabile e Pavolini 2012)27. Circa il 37 per cento delle grandi imprese offre inoltre almeno quattro tipi diversi di prestazioni, mentre il 43 per cento ne offre due o tre tipi (tabella 1).
Tabella 1 – La diffusione di interventi di welfare nelle aziende di grandi dimensioni in Italia, 2012 (valori percen- tuali)
Aziende con almeno un intervento di welfare | 95,2 |
Aziende con almeno un intervento di welfare (escluse pensioni complementari) | 83,0 |
Aziende classificate per numeri di interventi di welfare (massimo 10) | |
• nessuno | 4,8 |
• uno | 15,1 |
• due/tre | 43,3 |
• almeno quattro | 36,8 |
Totale | 100,0 |
Fonte: Ascoli, Mirabile e Pavolini (2012, 60)
I tipi di prestazioni sono classificati in cinque diversi gruppi, a seconda del livello di diffusione di ogni servizio. La previdenza complementare è presente nella grande maggioranza delle aziende, mentre tra le prestazioni a medio-bassa e bassa diffusione troviamo gli interventi per la conciliazione famiglia-lavoro, quelli nel campo della cura e per la non autosufficienza nonché per l’accesso all’abitazione (tabella 2).
26 Nel 2012 Valore D, insieme ad Andrea Ichino e Alberto Alesina, aveva mostrato, nella ricerca Un dito tra moglie e marito: quanto incide la famiglia nelle scelte professionali? , quanto i compiti di cura della casa e della famiglia siano ancora nel nostro paese fortemente squilibrati a svantaggio delle donne, e quanto questo a sua volta ne influenzi le scelte di carriera.
27 Gli autori si basano sui risultati di una recente indagine svolta da Ires e Università Politecnica delle Marche attraverso la distribuzione di questionari ai delegati sindacali di 318 grandi aziende in Italia, effettuata a cavallo tra il 2011 e il 2012. Per approfondire, rimandiamo ad Ascoli, Mirabile e Pavolini (2012).
Tabella 2 – La natura degli interventi di welfare nelle aziende di grandi dimensioni in Italia, 2012 (valori percen- tuali)
Fondo pensione | 87,5 |
Fondo sanitario | 60,6 |
Prestiti agevolati | 39,0 |
Disponibilità congedi extra | 27,6 |
Agevolazioni al consumo | 24,4 |
Sostegno al reddito | 23,3 |
Borse di studio | 23,1 |
Servizi di cura per l’infanzia | 18,5 |
Fondo Ltc | 9,4 |
Alloggi | 6,7 |
Fonte: Ascoli, Mirabile e Pavolini (2012, 61)
Gli interventi appaiono fortemente «polarizzati», a seconda che derivino da contratta- zione aziendale o categoriale. I contratti integrativi sembrano privilegiare soluzioni che rispondono a bisogni «locali», come l’offerta abitativa, le borse di studio, le agevolazioni ai consumi, i prestiti, i servizi per l’infanzia. A livello categoriale la scelta vede più spes- so l’istituzione di fondi sanitari, pensionistici e di long-term care, nonché le prestazioni a sostegno del reddito.
Il trade-off tra moderazione salariale e offerta di welfare, favorito dalla normativa fiscale, è la prima ragione che spinge le imprese all’introduzione di welfare aziendale. Seguono obiettivi più attinenti alla gestione delle risorse umane, come la motivazione dei dipendenti e la costruzione di un buon rapporto tra azienda e lavoratore (Ascoli, Mirabile e Pavolini 2012). Mentre le modalità di attuazione e la scelta del sistema di gestione variano a seconda delle caratteristiche aziendali, si possono osservare elementi comuni rispetto alla natura delle misure implementate. La figura 1 fornisce, in base alle nostre interviste, una mappatura sintetica dei servizi offerti più di frequente dalle azien- de, evidenziandone la rilevanza rispetto alle diverse fasi della vita.
Figura 1 – Una mappatura dei benefits lungo il ciclo di vita
È interessante notare che – fatta eccezione per la previdenza complementare e per qualche progetto ancora allo studio in materia di non autosufficienza – i benefits offerti si concentrano nelle aree del supporto alle famiglie con figli e della tutela della salute, quindi riguardano le prime due fasi della vita. Anche rispetto al grande tema della conci- liazione tra vita familiare e lavorativa l’offerta è molto variabile in termini di impegno aziendale: si va dalle convenzioni con le strutture al contributo economico, fino a pro- grammi di flessibilità lavorativa per i genitori.
5.2. Uno spunto interpretativo
La letteratura accademica che studia la relazione tra le preferenze degli attori economici e sociali e i processi di policy-making ha evidenziato l’esistenza di diverse dinamiche da cui dipendono diversi risultati in termini di policy; ha inoltre mostrato l’influenza di una molteplicità di stakeholders, ciascuno dei quali portatore di propri interessi e preferenze, che possono collaborare o confrontarsi nell’arena del welfare. Alcuni studiosi hanno interpretato un dato assetto politico ed economico come il risultato degli interessi che hanno prevalso in quel contesto, delle istituzioni preesistenti e del potere generativo del- le idee all’interno dei rapporti tra gli attori coinvolti (Hall 1997, Kaelberer 2002, Horo- witz e Heo 2001). Le «tre i» – interessi, istituzioni e idee – possono contribuire all’analisi del cambiamento istituzionale, inteso come prodotto dell’interazione tra le tre dimen- sioni comunicanti.
L’analisi empirica sembra confermare l’idea del cambiamento istituzionale come prodotto di fattori scatenanti e incentivanti. Questi possono essere identificati proprio negli interessi, intesi come necessità e strategie aziendali, nelle istituzioni, definite come l’eredità delle strutture preesistenti, e nelle idee, che si diffondono e variano in base al clima
aziendale e alle diverse influenze culturali presenti28.
Il cambiamento, il cui elemento scatenante è nella maggior parte dei casi costituito dagli interessi degli imprenditori – siano essi dettati da scelte strategiche o da necessità di riorganizzazione – è agevolato e al tempo stesso condizionato nel risultato finale dall’esistenza di istituzioni preesistenti, e spinto infine dalla presenza di diverse influen- ze culturali. Il quadro si completa poi con il contributo delle idee a facilitare, se non ad- dirittura a rendere possibile, il cambiamento stesso. Idee che si traducono nell’influenza della cultura aziendale e sindacale sui comportamenti e sulla predisposizione dei sogget- ti coinvolti nei confronti di soluzioni nuove. In proposito è interessante constatare che le imprese caratterizzate da una cultura di gestione bilaterale tendono a presentare mag- giore potere negoziale dei sindacati e in generale un clima più partecipativo. All’altro estremo si trovano le realtà che mostrano un attaccamento radicato alla figura dell’im- prenditore o al brand aziendale, che si accompagna solitamente a una minore influenza dei sindacati a fronte di un atteggiamento più proattivo da parte del management, atti- tudine che spesso richiama radici paternalistiche e si avvale del sentimento diffuso di attaccamento e gratitudine della comunità locale.
Ancora, un aspetto importante del cambiamento riguarda le modalità con cui esso viene attuato. L’analisi empirica ha evidenziato la scelta di percorsi differenti, caratteriz- zati da molteplici «gradi» di condivisione con le rappresentanze sindacali. La partecipa- zione dei diversi soggetti è a sua volta cruciale rispetto alle prospettive di sopravvivenza, mantenimento e sviluppo nel lungo periodo dei sistemi implementati.
28 Per approfondire il framework proposto si rimanda Mallone (2013a).
Come nota finale, è opportuno osservare la scelta di diversi strumenti di attuazione. Al- cune aziende prediligono un approccio bottom-up, basato sulla scelta da parte degli stessi beneficiari attraverso la distribuzione di questionari in busta paga e/o l’organizzazione di focus groups e momenti di incontro. Altre invece affidano il compito della scelta dei benefits ai propri responsabili delle Risorse Umane, che si confrontano con le esigenze dei lavoratori «attraverso» i loro rappresentanti sindacali.
Il ragionamento può essere esteso, in maniera analoga, ai casi di creazione di net- work per il welfare aziendale nelle PMI. L’interazione tra interessi, idee e istituzioni, infatti, consente di comprendere e «ordinare» i comportamenti e le preferenze dei sog- getti coinvolti. Ognuno di questi attori è portatore di propri interessi, a loro volta smor- zati o rafforzati nella loro possibilità di realizzazione dall’interazione con altri elementi, vale a dire gli assetti istituzionali preesistenti (istituzioni, appunto) e il contesto socio- culturale in cui si inseriscono (le idee). Gli interessi degli attori – miglioramento della produttività per gli imprenditori, più sicurezza per i propri aderenti nel caso dei sindaca- ti, più risorse per la comunità, le istituzioni locali e il non-profit – sono la miccia del cambiamento. Un cambiamento che è poi, in ultima istanza, reso possibile dall’intera- zione positiva con gli altri fattori di contesto.
5.3. Le questioni aperte
Gli effetti perversi. Anche se non sempre apertamente richiamati, i problemi esistono e meritano un’analisi attenta. Da quando Richard Titmuss (1958) negli anni Cinquanta iniziò a parlare dei rischi del welfare occupazionale, numerosi studiosi ne hanno ipotiz- zato gli effetti «perversi» derivanti dal fatto di coprire i lavoratori sulla base del settore industriale di appartenenza. Tutele offerte in virtù dello status professionale favorireb- bero infatti lo sviluppo di un welfare state pubblico residuale destinato solo agli indi- genti, causando l’aumento della frammentazione sociale tra insiders e outsiders. Proprio per questo è fondamentale che l’iniziativa privata in campo sociale sia efficacemente inserita in un quadro normativo che consenta l’«incastro virtuoso» – prendendo a pre- stito un’espressione più volte utilizzata da Maurizio Ferrera (cfr. ad esempio Ferrera 2005) – delle diverse iniziative all’interno di un modello di governance multi-attore e mul- ti-livello, che non può tuttavia fare a meno della partecipazione del pubblico come su- pervisore e regolatore, ma anche facilitatore, mediatore e promotore.
Il trattamento fiscale. Il Testo Unico delle Imposte sui Redditi favorisce entro alcuni limiti il welfare aziendale, ma sempre più di frequente esperti e imprese coinvolti esor- tano ad aggiornare la normativa. Se da un lato è stato chiesto che i decisori politici prendano in considerazione l’introduzione di ulteriori agevolazioni e sgravi fiscali a so- stegno del welfare aziendale, è opportuno ricordare che si tratterebbe sì di un vantaggio economico per i beneficiari ma anche di una mancata entrata di risorse per la fiscalità generale. È dunque ancora più importante riuscire a definire l’ampiezza del fenomeno e comprendere quante e quali categorie di cittadini possano esserne coinvolte29.
La questione femminile. La necessità di conciliare tempi di vita e di lavoro sta diven- tando un nodo centrale all’interno delle scelte di welfare aziendale, come testimoniano le novità introdotte dai più recenti contratti integrativi. Se in Italia i temi dell’occu- pazione femminile e dei servizi di cura stanno emergendo con prepotenza, le esperienze
29 Per approfondire il tema si rimanda a Mallone (2012a).
internazionali parlano chiaro: nell’arco dell’ultimo decennio Gran Bretagna e Germania hanno visto un importante incremento delle politiche aziendali di conciliazione fami- glia-lavoro, come mostra la tabella 330.
Tabella 3 – Misure di conciliazione famiglia-lavoro adottate nei luoghi di lavoro in Gran Bretagna, Germania e Stati Uniti (valori percentuali)
Germania | Gran Bretagna | Stati Uniti | ||||
2003 | 2006 | 2000 | 2007 | 1998 | 2008 | |
Orario flessibile | 76,8 | 88,9 | 81 | 95 | 68 | 79 |
Congedo di maternità prolungato | n.d. | n.d. | 16 | 53 | 31 | 24 |
Congedo di paternità prolungato | n.d. | n.d. | 14 | 18 | 15 | 13 |
Asili (aziendali) | 1,9 | 3,5 | 1,7 | 3 | 9 | 9 |
Fonte: Fleckestein e Seeleib-Kaiser (2012, 242)
Il «buco» della vecchiaia. Un’altra questione largamente dibattuta, sebbene ancora senza soluzione, riguarda la cura dei familiari anziani. Se alcune aziende iniziano infatti a prevedere permessi retribuiti e flessibilità oraria anche per chi ha a proprio carico fami- liari non autosufficienti, le soluzioni di carattere assicurativo sono ancora perlopiù assenti. Alcuni propongono la stipula di convenzioni a prezzi agevolati con residenze per anziani e centri diurni ed estivi, mentre l’offerta di polizze assicurative ai dipendenti non è ancora – affermano le aziende – finanziariamente sostenibile.
La disomogeneità territoriale. Lo sviluppo del welfare aziendale non è certo immune al grande problema del nostro paese: il divario tra Nord e Sud e, in generale, l’accen- tuata frammentazione territoriale. Se il tessuto economico e sociale di alcune aree fa- vorisce lo sviluppo imprenditoriale e dei servizi sul territorio, in altre aree la nascita di programmi di welfare per i dipendenti è ostacolata da problemi ben più grandi, come il mancato sviluppo del territorio, la disoccupazione e l’assenza di servizi. Il problema è stato recentemente affrontato dal progetto La.Fem.Me, cui abbiamo dedicato il box 2 di questo capitolo. Benché successivamente esteso a tutte le regioni italiane, il progetto La.Fem.Me è nato infatti su mandato del Ministero del Lavoro e delle politiche sociali per favorire l’occupazione femminile nelle regioni del Mezzogiorno attraverso lo svi- luppo del territorio e l’offerta di servizi di conciliazione.
5.4. Quali prospettive?
I benefits di natura non monetaria offerti dalle grandi aziende a integrazione del salario dei dipendenti – soprattutto al fine di aumentare l’attrattività in un’ottica di retainment delle posizioni chiave – sono diventati, vista la crisi economica, uno strumento di soste- gno concreto al reddito delle persone. Elemento centrale per la diffusione del welfare aziendale sono le politiche pubbliche: sgravi e agevolazioni fiscali favoriscono, infatti, l’offerta di beni e servizi da parte del datore di lavoro rendendola più vantaggiosa rispet-
30 Una piccola eccezione è costituita dagli Stati Uniti: qui i congedi sono diminuiti a fronte di un aumento della flessibilità dell’orario di lavoro.
to al tradizionale aumento in busta paga. Se le politiche pubbliche rimangono cruciali per incentivare la diffusione del welfare aziendale attraverso agevolazioni di natura fiscale, questo da solo non basta a spiegare il successo dei programmi di welfare aziendale negli ultimi anni. Un ruolo importante va riconosciuto ai protagonisti del se- condo welfare e alla volontà, da parte di imprese e parti sociali, di superare un modello di intervento di stampo paternalistico per cedere il passo a pratiche di condivisione di risorse e responsabilità. L’esclusione delle PMI dai sistemi di welfare aziendale a causa della minore disponibilità economica (nel caso della fornitura di servizi) e competenza gestionale (nel caso di piani di flessibilità e conciliazione) rimane tuttavia il problema principale. Per questo, le istituzioni locali e gli attori socio-economici del territorio – come le associazioni datoriali, i sindacati e il Terzo settore – devono assumere un ruolo centrale nel promuovere partnership pubblico-privato e nel mobilitare risorse aggiunti- ve, e al contempo nel costruire insieme un nuovo modello di gestione condivisa rispetto ai bisogni territoriali. Oltre che dalle scelte politiche e dal radicamento territoriale degli esperimenti di reti locali per le PMI, il successo del welfare aziendale dipenderà, in ulti- ma istanza, dall’evolversi delle relazioni industriali e dalla capacità degli attori in gioco di comprenderne le potenzialità non solo per la vita dei lavoratori, ma anche e soprattutto per la salute stessa dell’impresa.
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
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LE NOSTRE INTERVISTE AI PROTAGONISTI
1.Ivan Dompè e Maria Piera Italiano, Responsabile Comunicazione Corporate e Ma- nager Risorse Umane, Luxottica, 14 luglio 2011
2.Giuseppe Colferai, Segretario Cgil Belluno, 27 febbraio 2013
3.Roberto Rossi, Segretario Cisl Lombardia, 23 febbraio 2013
4.Massimiliano Crespi, Direttore Risorse Umane SEA, 9 marzo 2012
5.Anna Maria Pintus, Manager Area Welfare SEA, 9 marzo 2012
6.Antonio Manzoni, Consulente Welfare SEA, 18 novembre 2011
7.Roberto Rossi, Segretario Cisl Lombardia, 23 febbraio 2012
8.Roberto Tenedini, Presidente Fondazione ATM, 1 marzo 2012
9.Pietro Brunetti, Direttore Risorse Umane ATM, 6 marzo 2012
10.Simona Zandonà, Manager Servizi Sociali ATM, 6 marzo 2012
11.Marco Del Punta, Direttore Risorse Umane KME, 20 febbraio 2012
12.Francesco d’Alaya, Manager Risorse Umane KME, 20 febbraio 2012
13.Francesco Giubilei, Responsabile Comunicazione Corporate KME, 5 ottobre 2011
14.Roberto Orlandini, Direttore Dynamo Camp, 5 ottobre 2011
15.Giuseppe Milan, Direttore Generale Unindustria Treviso, 2 marzo 2012
16.Roberto Benaglia, Segretario Cisl Lombardia, 23 febbraio 2012
17.Paola Gilardoni, Segretario Cisl Lombardia, 23 febbraio 2012
18.Alberto Perfumo, Amministratore Delegato Eudaimon, 21 settembre 2011
19.Network IEP, Meeting interno, 26 ottobre 2011
20.Monica Boni e Alessandra Vultaggio, Direttore e Manager Servizi Welfare Edenred, 12 dicembre 2011
21.Gianluigi Toia ed Elisabetta Dalla Valle, Responsabile Relazioni Industriali e Re- sponsabile Welfare Nestlé Italia, settembre 2012
22.Gianmaurizio Cazzarolli, Direttore Risorse Umane Tetra Pak Packaging Solutions – Modena, novembre 2012
23.Marisa Parmigiani e Annalisa Ferrari, Assistente del Presidente e Responsabile della Sostenibilità Area Comunicazione Interna Unipol Assicurazioni, maggio 2013
24.Federica Coletto, Responsabile Risorse Umane Colorificio San Marco S.p.A., luglio 2013
ARTICOLI SUL WELFARE AZIENDALE PUBBLICATI SU WWW.SECONDOWELFARE.IT
Il welfare aziendale solo per i «grandi»? La storia del Colorificio San Marco, Giulia Mallone, 24 settembre 2013
Accordo sperimentale a Lodi: insieme per il welfare locale, Giulia Mallone, 22 luglio 2013
Il welfare «estivo» di Banca Popolare di Bergamo, Lorenzo Bandera, 7 luglio 2013
Voucher sociali e welfare 2.0: le proposte di Welfare Company, Michela Gobbo, 26 giugno 2013 Luxottica: siglato il nuovo accordo sul welfare aziendale, Lorenzo Bandera, 5 giugno 2013 Mezzo secolo di welfare in Unipol, Giulia Mallone, 1 giugno 2013
Un accordo regionale per il welfare aziendale nelle PMI, Giulia Mallone, 6 maggio 2013 Un nuovo bando regionale per la flessibilità in azienda, Giulia Mallone, 28 aprile 2013 Corporate Social Responsibility a Pavia: aziende a confronto, Giulia Mallone, 2 aprile 2013
Reti di impresa: ecco come funziona il contratto di rete, Eleonora Maglia, 1 aprile 2013
Reti d’impresa per il welfare aziendale: il BioNetwork di Pavia, Giulia Mallone, 4 febbraio 2013
Flessibilità, produttività e conciliazione famiglia-lavoro: una alleanza possibile?, Arianna Visentini, 7 gennaio 2013
Il bando 2013 per la conciliazione in Lombardia, Giulia Mallone, 7 gennaio 2013
Reti d’impresa per il welfare aziendale? L’esperienza di Varese, Giulia Mallone, 25 novembre 2012
Il welfare aziendale di Tetra Pak Packaging Solutions, Giulia Mallone, 25 novembre 2012
Il motech per prendersi cura delle persone, Giulia Mallone, 15 ottobre 2012
Conciliare vita e lavoro: l’esperienza di Nestlé Italia, Giulia Mallone, 17 settembre 2012 La.Fem.Me. – Lavoro Femminile nel Mezzogiorno, Giulia Mallone, 16 luglio 2012 Conciliazione famiglia-lavoro e innovazione politico-istituzionale, Giulia Mallone, 4 maggio 2012 Tradizione e innovazione nel welfare aziendale di SEA, Giulia Mallone, 20 aprile 2012
UBI Banca – Banca Popolare di Bergamo: un buon esempio di integrazione tra welfare pubblico e privato, Andrea Battistini, 6 aprile 2012
Fare Insieme 2012: l’intervista al direttore di Unindustria Treviso Giuseppe Milan, Giulia Mallo- ne, 7 marzo 2012
Edenred: costruire reti di servizi sul territorio, Giulia Mallone, 2 febbraio 2012
Welfare aziendale e trattamento fiscale: intervista al professor Armando Tursi, Giulia Mallone, 2 febbraio 2012
Predisposizione e allargamento dei servizi di welfare: Eudaimon e il network IEP, Giulia Mallone, 13 dicembre 2011
La storia del «modello Luxottica»: come nasce e cosa prevede, Giulia Mallone, 15 novembre 2011
Unindustria Treviso e sindacati studiano il welfare territoriale per la provincia, Giulia Mallone, 15 novembre 2011