Successione di contratti di lavoro
Successione di contratti di lavoro
Riduzione dell’orario di lavoro: condizioni legittimanti
Approfondimenti
Xxxxxxxxx Xxxxxxxx - Xxxxxxx tributario e del processo del lavoro
Nell’appalto con il Comune subentra un’altra societa` che impone una riduzione dell’o- rario di lavoro: i lavoratori sottoscrivono la lettera di as- sunzione (che pure reca una formula «con riserva») e il successivo accordo sindacale ‘‘ratifica’’ il taglio alle gior- nate di lavoro.
Il gruppo dei lavoratori ha pero` ritenuto, a seguito del cambio di appalto di servizi, di dover conservare il prece- dente contratto individuale di lavoro a tempo pieno e in- determinato, diversamente da quanto operato unilateral- mente dall’appaltatore su- bentrante in virtu` di un ac- cordo aziendale.
La conseguente vicenda pro- cessuale oggetto della sen- tenza 14 luglio 2014, n. 16089, della Corte di Cassa- zione, riguarda la reiezione da parte del Tribunale adito del ricorso di lavoratori di- pendenti, diretti all’accerta- mento, nei confronti del pro- prio datore di lavoro, dei ri- spettivi diritti al manteni- mento dell’orario di lavoro che veniva applicato dal pre- cedente datore cui l’attuale societa` era subentrata nel- l’appalto di servizi di pulizia con il Comune.
La Corte d’appello conferma
la sentenza di primo grado, precisando che:
a) in un’analoga controversia e` stato ritenuto che l’accordo sindacale riguardante la co- stituzione del nuovo rapporto di lavoro societario non aves-
se vincolato i lavoratori alla stipulazione di un contratto con orario ridotto rispetto a quello ordinario applicato in precedenza, anche nel caso di specie, in mancanza di ac- cettazione da parte dei lavo- ratori, al nuovo rapporto do- veva applicarsi l’orario ordi- nario previgente (ossia quel- lo intero);
b) nella fattispecie trattata, tuttavia, la sentenza di primo grado ha stabilito che, essen- do stati i lavoratori assunti il 1º febbraio 2002, con lettere indicanti le rispettive riduzio- ni di orario di lavoro ed avendo gli stessi manifestato il proprio dissenso a tale ri- duzione soltanto nel dicem- bre 2003, a piu` di un anno dall’assunzione, a processo iniziato, deve ritenersi che i rispettivi contratti si siano conclusi alle condizioni paci- ficamente attuate ed accettate dai lavoratori interessati (os- sia con l’orario ridotto impo- sto dal nuovo datore di lavo- ro).
Per la manutenzione del con-
tratto, ossia per l’adempi- mento datoriale dell’obbligo di compensare le attivita` la- vorative, con il conseguente ricorso in Cassazione i lavo- ratori contestano violazione di legge (artt. 2 e 5 del D.Lgs. 25 febbraio 2000, n.
61, contenente «Attuazione della direttiva 97/81/CE rela- tiva all’accordo - quadro sul lavoro a tempo parziale con- cluso dall’Unice, dal Ceep e dalla Ces») e violazione del-
l’obbligo di motivazione, per avere la decisione impu- gnata ritenuto assorbente la questione della presuntiva accettazione tacita - per com- portamenti concludenti dei ricorrenti - della riduzione di orario imposta dal nuovo datore di lavoro, peraltro in contraddizione con una pre- cedente similare fattispecie in cui e` stato deciso il contra- rio. In particolare, nell’arti- colato ricorso, viene sottoli- neato:
●
che in base alla normativa
richiamata, la trasformazione di un rapporto di lavoro a tempo pieno in rapporto a tempo parziale cos`ı come la riduzione dell’orario di lavo- ro di un rapporto a tempo parziale, richiedono l’espres- so consenso scritto del lavo- ratore, convalidato dalla competente Direzione pro- vinciale del lavoro;
●
che l’atto scritto di manife- stazione del dissenso sulla ri- duzione unilaterale dell’ora- rio di lavoro non puo` essere sostituito da un comporta- mento di fatto del lavoratore di esecuzione del contratto con l’orario ridotto imposto dal datore di lavoro, essendo la relativa modifica l’unico elemento nuovo del contratto di lavoro sottoscritto;
●
che, essendo l’accettazione dei lavoratori difforme dalla proposta, e, quindi, equiva- lendo ad una nuova proposta (art. 1335 c.c.), non solo e` da escludere che si sia formato l’accordo sulla riduzione del-
l’orario (per consenso impli- cito), ma anzi che, per effetto della avvenuta assunzione datoriale senza riserve sul punto, il contratto dovrebbe considerarsi concluso alle condizioni proposte dai lavo- ratori, tacitamente accettate dal datore di lavoro;
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●
che la sentenza impugnata tace sulle ragioni che hanno portato la Corte territoriale ad attribuire al comporta- mento c.d. attuativo dei ri- correnti - cui gli stessi non potevano sottrarsi, pena la perdita del posto di lavoro - efficacia probante di un loro consenso alla riduzione del- l’orario di lavoro.
Decisione
n. 16089/2014
La Corte di Cassazione, con la pronuncia n. 16089/2014 in esame, sovvertendo la doppia conforme di merito, accoglie il ricorso dei lavora- tori, stabilendo il seguente principio di diritto:
"La regola secondo cui i con- tratti o gli accordi collettivi aziendali sono applicabili a tutti i lavoratori dell’azienda, ancorche´ non iscritti alle or- ganizzazioni sindacali stipu- lanti (con l’unica eccezione di quei lavoratori che, ade- rendo ad una organizzazione sindacale diversa, ne condi- vidono l’esplicito dissenso dall’accordo medesimo e po- trebbero addirittura essere vincolati ad un accordo sin- dacale separato e diverso) non vale nell’ipotesi di tra- sformazione del rapporto di lavoro subordinato a tempo pieno in rapporto a tempo parziale ai sensi dell’art. 5 del D.Lgs. n. 61/2000, in quanto tale trasformazione (seppure prevista da un con- tratto collettivo aziendale co- me strumento alternativo alla collocazione in mobilita`) non puo` avvenire a seguito di de- terminazione unilaterale del
datore di lavoro, ma necessi- ta in ogni caso del consenso scritto del lavoratore, il cui rifiuto della trasformazione del rapporto non costituisce giustificato motivo di licen- ziamento. Ne consegue che, nell’anzidetta ipotesi, non puo` applicarsi il principio se- condo cui l’adesione degli interessati - iscritti o non iscritti alle associazioni sti- pulanti - ad un contratto o ac- cordo collettivo puo` essere non solo esplicita, ma anche implicita, come accade quan- do possa desumersi da fatti concludenti, generalmente ravvisabili nella pratica ap- plicazione delle relative clau- sole».
La decisione che si annota
afferma, sostanzialmente, che il datore di lavoro non puo`, unilateralmente e nono- stante un accordo sindacale, trasformare un rapporto di la- voro a tempo pieno e indeter- minato in uno part-time, o ri- durre la durata del part-time, senza un accordo scritto col lavoratore, come previsto da- gli artt. 2 e 5 del D.Lgs. n. 61/2000.
In particolare, nell’accoglie- re le richieste del gruppo di lavoratori dipendenti dal- l’impresa di pulizie, la moti- vazione della sentenza si snoda attraverso due specifi- ci profili:
1) uno riguardante l’intangi- bilita` dei diritti quesiti da parte della contrattazione collettiva;
2) l’altro riguardante l’i- nammissibilita` di una modi- fica unilaterale dell’orario di lavoro nel contratto indivi- duale.
Contrattazione collettiva: intangibilita` dei diritti quesiti
Quanto al primo profilo, sul piano piu` generale, a confer- ma della non corretta appli- cazione, da parte del giudice
di merito, di principi giuridi- ci vigenti in tema di succes- sione di contratti di lavoro, va ricordato che la regola ge- nerale dell’intangibilita` dei diritti quesiti impedisce alle organizzazioni sindacali di incidere, mediante contratti collettivi, su posizioni gia` consolidate o su diritti gia` entrati nel patrimonio del la- voratore, senza che vi sia uno specifico mandato dei la- voratori od una successiva ratifica da parte degli stessi. Al riguardo occorre premet- tere che per la validita` degli accordi tra imprenditori e or- ganizzazioni sindacali su eventi oggettivamente non evitabili che rendano non dif- feribile la contrazione o la sospensione dell’attivita` pro- duttiva (convenibili anche in sede di consultazione sinda- cale di cui all’art. 5 della leg- ge 20 maggio 1975, n. 164), e` indispensabile che i lavora- tori interessati abbiano con- ferito ai rappresentanti sinda- cali l’incarico di stipularli, oppure che provvedano a ra- tificare l’operato, trattandosi di accordo che incide imme- diatamente sulla disciplina dei contratti individuali di la- voro e sui diritti di cui i sin- goli sono gia` titolari (in tal senso, Xxxx. 3 novembre 1987, n. 8083; 17 luglio
1990, n. 7302; 13 ottobre
1993, n. 10112; 18 maggio
1995, n. 5485; 28 luglio
1995, n. 8269; 22 dicembre
1999, n. 11916; 20 gennaio
2001, n. 831).
L’affermazione della necessi- ta` per la validita` di tali con- tratti di un mandato espresso alle organizzazioni sindacali da parte dei lavoratori o della necessita` di una loro succes- siva ratifica costituisce svi- luppo coerente della natura della rappresentanza delle or- ganizzazioni sindacali. Se- condo un consolidato orien- tamento giurisprudenziale (Cass., sez. un., 22 marzo
1995, n. 3318; sez. lav., 7
febbraio 2004, n. 2362), con l’adesione al sindacato il la- voratore non attribuisce la piena disponibilita` di posi- zioni individuali alle organiz- zazioni sindacali, le quali pertanto non possono dismet- tere diritti gia` entrati nel pa- trimonio dei lavoratori, in as- senza di uno specifico man- dato o di una successiva rati- fica da parte degli stessi.
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Per l’efficacia di tali accordi e` pertanto necessario che da parte dei lavoratori venga ri- lasciato, anche per fatti con- cludenti, un preventivo e specifico mandato, o che l’accordo venga poi ratificato dagli stessi lavoratori in mo- do inequivocabile, giacche´ il principio della liberta` di for- ma nell’esercizio dell’auto- nomia negoziale e collettiva consente che l’adesione ad un accordo sindacale si ma- nifesti o con negozi attuativi o attraverso condotte volte a dimostrare con certezza la volonta` di ratificare detto ac- cordo.
La giurisprudenza di legitti- mita` e` altres`ı uniforme nel collocare nell’ambito della rappresentanza volontaria il potere dei sindacati, ricolle- gandolo al mandato che il la- voratore, nell’atto di asso- ciarsi, conferisce all’organiz- zazione di agire in nome e conto proprio, come e` dimo- strato chiaramente dall’ambi- to applicativo dei contratti collettivi, la cui efficacia li- mitata in via generale agli iscritti e` stata considerata estensibile anche ai non iscritti solo alla presenza di un comportamento conclu- dente delle parti individuali, e cioe` alla loro adesione esplicita (attraverso un ri- chiamo espresso alla norma- tiva contrattualistica) o im- plicita (mediante la concreta attuazione delle clausole con- trattuali) al contratto stesso (cfr. Cass. 6 dicembre 1984,
n. 6435; 23 settembre 1987,
n. 7280; 6 novembre 1990,
n. 10654; 30 gennaio 1992,
n. 976).
Nell’adesione al sindacato e` insito l’intento del lavoratore di rinunziare all’esercizio della propria autonomia indi- viduale a favore della collet- tivita` dei lavoratori consen- tendo alle organizzazioni di categoria di fissare condizio- ni minime di lavoro di natura inderogabile, di migliorare i livelli contrattuali e di fornire assistenza ai lavoratori; nella suddetta adesione non e` inve- ce ravvisabile la volonta` di attribuire la piena disponibi- lita` di posizioni individuali alle organizzazioni sindacali che, pertanto, come e` stato piu` volte ribadito, non posso- no dismettere diritti gia` ac- quisiti al patrimonio dei sin- goli lavoratori, disponendo liberamente ed autonoma- mente di tali diritti (x. Xxxx. 22 maggio 1987, n. 5016; 3
settembre 1988, n. 5016; 7
aprile 1992, n. 4219; 28 no-
vembre 1992, n. 12751).
Per completezza, sull’argo- mento la Suprema Corte ha inoltre aggiunto che il princi- pio per cui alla contrattazione collettiva non e` consentito incidere, in relazione alla re- gola dell’intangibilita` dei di- ritti quesiti, su posizioni gia` consolidate o su diritti gia` entrati nel patrimonio dei la- voratori in assenza di uno specifico mandato od una successiva ratifica da parte degli stessi, non si applica al- la distinta ipotesi in cui il contratto collettivo venga a gravare posizioni non ancora qualificabili come di diritto soggettivo e venga a regolare le condizioni di acquisto di diritti futuri (ad esempio, sa- lario non maturato, contin- genza non ancora scattata, ecc.), venendosi in questo ca- so a porre solo un problema di rapporti tra contratti di di-
verso o pari livello (Cass. 23 luglio 1994, n. 6845).
Modifica unilaterale dell’orario nel contratto individuale
In secondo luogo, nella sen- tenza n. 16089/2014 in esa- me, la Cassazione valorizza anche il principio in base al quale, poiche´ l’orario di la- voro e` un elemento essenzia- le del contratto individuale, la sua modifica non puo` esse- re oggetto di decisione unila- terale del datore di lavoro. Da qui l’esclusione del con- senso tacito o dell’adesione tacita ad una proposta del da- tore di lavoro: la manifesta- zione di volonta` del lavorato- re deve essere libera e, nel caso di specie, manifestata in forma scritta.
Anche in questa conclusione, come nelle determinazioni assunte in precedenza con ri- guardo all’accertamento del- l’efficacia soggettiva dell’ac- cordo collettivo aziendale nei confronti di lavoratori iscritti alla medesima organizzazio- ne sindacale, occorre consi- derare che i contratti colletti- vi aziendali - si ricorda che il contratto aziendale di lavoro, propriamente, e` un contratto collettivo stipulato fra il da- tore di lavoro e le rappresen- tanze sindacali aziendali e/o unitarie (art. 2067 c.c.) - de- vono ritenersi applicabili a tutti i lavoratori dell’azienda, ancorche´ non iscritti alle or- ganizzazioni sindacali stipu- lanti, con l’unica eccezione di quei lavoratori che, ade- rendo ad una organizzazione sindacale diversa, ne condi- vidono l’esplicito dissenso dall’accordo medesimo e po- trebbero addirittura essere vincolati ad un accordo sin- dacale separato e diverso (cfr, ex plurimis, Cass. 11 febbraio 0000, x. 00000; 25
marzo 2002, n. 4218; 26 giu-
gno 2004, n. 11939; 18 aprile
2012, n. 6044). Cio`, proprio per la funzione rivestita dal sindacato nel diritto del lavo- ro, quale ente che rappresen- ta i lavoratori delle varie «ca- tegorie produttive».
Non e` ravvisabile, infatti, al- cun diritto od interesse del- l’organizzazione sindacale in relazione a validita`, effica- cia o interpretazione di con- tratto collettivo, alla cui sti- pulazione la stessa sia rima- sta, comunque, estranea.
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La legittimazione ad agire (legitimatio ad causam) - per la negazione dell’effica- cia soggettiva di contratto collettivo, nei confronti di la- voratori non iscritti ad orga- nizzazioni sindacali stipulan- ti - compete, in via esclusiva, agli stessi lavoratori.
Occorre pero` considerare che, attese le cautele stabilite dall’art. 5 (Tutela ed incenti- vazione del lavoro a tempo parziale), comma 1, del D.Lgs. n. 61/2000, in base al quale «il rifiuto di un lavo- ratore di trasformare il pro- prio rapporto di lavoro a tem- po pieno in rapporto a tempo parziale, o il proprio rapporto di lavoro a tempo parziale in rapporto a tempo pieno, non costituisce giustificato moti- vo di licenziamento», la tra- sformazione del rapporto di lavoro subordinato a tempo pieno in rapporto a tempo parziale non puo` avvenire a seguito di determinazione unilaterale del datore di lavo- ro (art. 1372 c.c.), ma neces- sita in ogni caso del consenso scritto del lavoratore, il cui rifiuto della trasformazione del rapporto non costituisce giustificato motivo di licen-
In questo contesto, si ricorda che nel rapporto di lavoro su- bordinato l’assunzione puo` avvenire a tempo pieno o a tempo parziale; ai sensi del- l’art. 1 del D.Lgs. n. 61/ 2000, si intende:
a) a «tempo pieno» l’orario normale di lavoro di cui al- l’art. 3, comma 1, del D.Lgs. 8 aprile 2003, n. 66, ivi fissato in 40 ore settima- nali, o l’eventuale minore orario normale stabilito dai contratti collettivi applicati;
b) a «tempo parziale» l’ora- rio di lavoro, iscritto nel con- tratto individuale, cui sia te- nuto un lavoratore, che risulti comunque inferiore all’orario a tempo pieno (una diffusa ti- pologia di contratto a tempo parziale e` detta «orizzonta- le», quando vi e` una riduzio- ne dell’orario giornaliero ri- spetto a quello a tempo pie- no).
La Sezione lavoro della Cas- sazione, con sentenza 9 lu- glio 2001 n. 9310, ha aggiun- to in argomento che il motivo oggettivo di licenziamento, ai sensi dell’art. 3 della legge sui licenziamenti individuali 15 luglio 1966, n. 604, ri- chiede che le ragioni inerenti all’attivita` produttiva - sia che derivino da esigenze di mercato ed attengano percio` a motivi estranei alle scelte imprenditoriali, sia che con- seguano invece a riorganiz- zazioni o ristrutturazioni ope- rate dall’imprenditore - siano tali, nella loro oggettivita` e non in forza di un atto del da- tore di lavoro che presenti margini di arbitrarieta`, da de- terminare, con stretto nesso di conseguenzialita`, l’inuti-
tivo a fronte di un rifiuto del lavoratore (anteriore alla spe- cifica disciplina dettata al ri- guardo dall’art. 5 del D.Lgs.
n. 61/2000, che ne esclude espressamente la configura- bilita`) di trasformazione del rapporto di lavoro a tempo parziale in rapporto a tempo pieno, essendo in tal caso il licenziamento dovuto ad una determinazione dell’impren- ditore di preferenza, per mera convenienza economica, del rapporto a tempo pieno in luogo di una pluralita` di rap- porti a tempo parziale. Ne´ siffatta interpretazione limita l’autonomia dell’imprendito- re, giacche´ questi resta libero di assumere tutte le determi- nazioni piu` adeguate per la gestione dell’impresa, insin- dacabili nella loro opportuni- ta`, ma verificabili in sede giudiziale quanto alla loro ef- fettiva sussistenza e alla pre- senza del nesso causale con il provvedimento di licenzia- mento che si assume conse- guente.
D’altra parte, se e` vero che l’art. 5 del D.L. 30 ottobre
1984, n. 726, contenente
«Misure urgenti a sostegno e ad incremento dei livelli occupazionali», convertito con modificazioni dalla leg- ge 19 dicembre 1984, n. 863, (articolo poi abrogato dall’art. 11 del D.Lgs. n. 61/ 2000), al comma 3 conferiva alla fonte collettiva, anche aziendale, il potere di deter- minare, tra l’altro, le modali- ta` temporali di svolgimento delle prestazioni a tempo par- ziale, non puo` essere trascu- rato il principio generale se- condo cui la contrattazione
ziamento (cos`ı
Cass. 12 lu-
lizzabilita` della posizione la-
collettiva non puo` disporre,
glio 2006, n. 16169). Ne consegue che, per i rapporti ai quali si applica la discipli- na dettata dal D.Lgs. n. 61/ 2000, non vale la regola so- pra riferita della estensione dei contratti collettivi azien- dali ai non iscritti.
vorativa. Ne consegue che - allorche´ le esigenze produtti- ve sopravvenute, lungi dal- l’implicare la soppressione della posizione lavorativa, ne impongano invece il po- tenziamento - non sussiste un giustificato motivo ogget-
se non in senso migliorativo, dei diritti attribuiti al dipen- dente dal contratto individua- le di lavoro, salvo che il di- pendente stesso non consenta espressamente alla modifica- zione di detti patti (art. 2077 c.c.). Peraltro, nel caso di ri-
duzione dell’orario di lavoro disposta unilateralmente dal- la parte datoriale senza il consenso del lavoratore, non puo` ricadere su quest’ultimo l’onere di dimostrare di aver inutilmente messo a disposi- zione le proprie energie lavo- rative al fine di reclamare il pagamento delle restanti ore lavorative, il cui svolgimento non gli era stato consentito dalla controparte (Cass. 21 novembre 2011, n. 24476). Da cio` ne discende - afferma la Corte di Cassazione (sen- tenze 26 maggio 2000, n.
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6903 e 17 marzo 2003, n. 3898) - che questa tipologia contrattuale esclude dal pote- re gestionale del datore di la- voro la possibilita` di una de- finizione unilaterale dei tem- pi della prestazione. Nella specificita` del contesto, quin- di, il diritto del lavoratore non puo` essere violato unila- teralmente dall’imprenditore, non essendo sufficiente la semplice adesione al sindaca- to, bens`ı risultando essenzia- le un esplicito ed espresso mandato (x. Xxxx. 22 marzo 1990, n. 2382; 9 novembre
1991, n. 11966; 19 dicembre
1991, n. 13728; 28 febbraio
1992, n. 2460; 17 luglio
1992, n. 8721; Cass. 26 mag-
gio 2000, n. 6903).
In conseguenza di quanto esposto, deve pertanto affer- marsi, alla stregua della co- stante giurisprudenza della Corte di Cassazione, l’insus- sistenza di un potere delle or- ganizzazioni sindacali stipu- lanti i contratti collettivi di disporre di un diritto del sin- golo lavoratore da lui gia` ac- quisito senza un preventivo specifico mandato del titolare a disporre ed in difetto co- munque di una successiva ra- tifica, anche mediante fatti concludenti o con la concreta esecuzione della clausola collettiva, da parte del singo- lo lavoratore interessato (Cass. 13 settembre 1986, n.
5592; 3 settembre 1988, n.
5016; | 23 | luglio | 1994, | n. |
6845; | 17 | giugno | 1999, | n. |
6051; | 28 | marzo | 2001, | n. |
4570). |
Osservazioni conclusive
Da quanto precede ne conse- gue che, nell’anzidetta ipote- si di trasformazione del rap- porto di lavoro subordinato a tempo pieno in rapporto a tempo parziale ai sensi del- l’art. 5 del D.Lgs. n. 61/ 2000, secondo la Cassazione, non puo` applicarsi il princi- pio in base al quale l’adesio- ne degli interessati - iscritti o non iscritti alle associazioni stipulanti - ad un contratto o accordo collettivo puo` essere non solo esplicita, ma anche implicita, come accade quan- do possa desumersi da «fatti concludenti», generalmente ravvisabili nella pratica ap- plicazione delle relative clau- sole (x. Xxxx. 11 marzo 1987,
n. 2525; 5 novembre 1990, n.
10581; 7 febbraio 2004, n. 2362). Infatti, come si e` gia` osservato, con l’adesione al sindacato il lavoratore non attribuisce la piena disponibi- lita` di posizioni individuali alle organizzazioni sindacali, le quali pertanto non possono dismettere diritti gia` entrati nel patrimonio dei lavoratori, in assenza di uno specifico mandato o di una successiva ratifica da parte degli stessi. Per l’efficacia di siffatti ac- cordi tra organizzazioni sin- dacali e datore di lavoro e` pertanto necessario che da parte dei lavoratori venga ri- lasciato, anche per fatti con- cludenti, un preventivo e specifico mandato, o che l’accordo venga poi ratificato dagli stessi lavoratori in mo- do inequivocabile, giacche´ il principio della liberta` di for- ma nell’esercizio dell’auto- nomia negoziale e collettiva consente che l’adesione ad
un accordo sindacale si ma- nifesti o con negozi attuativi o attraverso condotte volte a dimostrare con certezza la volonta` di ratificare detto ac- cordo (Cass. 2 aprile 2001, n.
4841; 13 giugno 2003, n.
9497; 7 febbraio 2004, n.
2362).
Tale situazione deve emerge- re dall’indagine specifica che il giudice del merito deve compiere al riguardo (tenen- do presente la qualita` dei la- voratori, l’esistenza di una si- tuazione psicologica di sog- gezione dei lavoratori mede- simi rispetto al datore di la- voro, le modalita` del dissen- so eventualmente manifesta- to dagli interessati, modi e tempi di eventuali iniziative giudiziarie intraprese, ecc.), anche alla luce dei principi di correttezza e buona fede che devono sempre presiede- re all’esecuzione delle obbli- gazioni che sia tale da dimo- strare che i comportamenti
«concludenti» siano diretti
con certezza a manifestare la genuina volonta` di ratifica- re l’accordo o il contratto collettivo di cui si tratta (x. Xxxx. 28 marzo 2001, n.
4570; 12 giugno 2002, n.
8390).
In ultima analisi, deve trattar- si di una manifestazione di volonta` che, per quanto im- plicita, sia genuina e libera, cioe` non possa considerarsi tale da essere affetta da un vizio riconoscibile dalla con- troparte in applicazione dei canoni generali della corret- tezza e buona fede (contra, Xxxx. 18 novembre 1999, n. 12784) e comunque non ri- sulti essere necessitata (deve escludersi sulla base della contrattazione collettiva di assegnare all’assenza ingiu- stificata del lavoratore il va- lore di manifestazione per facta concludentia di rasse- gnare le dimissioni: Xxxx. 2 luglio 2013, n. 16507).
Per conseguenza, il consenso
tacito ad un mutamento con- trattuale peggiorativo delle condizioni di lavoro (con particolare riguardo all’ora- rio), non puo` sicuramente es- sere desunto dal semplice fat- to che i lavoratori, in costan- za del rapporto di lavoro, non abbiano preteso l’adempi- mento del patto originario e abbiano continuato a prestare la loro opera a condizioni svantaggiate (Cass. 20 mag- gio 1977, n. 2111), potendo, un comportamento diverso, compromettere il rilevante e fondamentale interesse dei lavoratori ad evitare la perdi- ta del posto di lavoro e, quin- di, della retribuzione (cfr. Cass. 16 maggio 2006, n.
11432).
Il giudice di legittimita` xxx- xxxxxx, quindi che nel caso trattato la Corte territoriale, che aveva respinto la pretesa dei lavoratori, non ha consi- derato che la clausola del- l’accordo sindacale sulla ri- duzione dell’orario di lavoro
- rispetto a quello osservato dagli stessi con l’appaltatore precedente cessato - e` stata peggiorativa, sia con riguar- do alle condizioni retributive e di lavoro stabilite dal Ccln di settore sia rispetto a quelle previste dai contratti indivi- duali precedenti, con le rela- tive conseguenze in merito al divieto per il contratto o accordo collettivo di deroga- re in pejus al contenuto del contratto individuale, senza un consenso espresso per iscritto dal lavoratore alla modificazione delle condi- zioni individualmente con- cordate con il datore di lavo- ro, circostanza che avrebbe imposto una esplicita volonta` dei singoli da manifestare in forma scritta. In tema di ora- rio di lavoro, vige infatti la regola che alla contrattazione collettiva di qualsiasi livello e` in ogni caso consentito de- rogare in meglio alla legisla- zione in materia, come pure
introdurre articolazioni di- verse dell’orario di lavoro ivi previsto, mentre la con- trattazione collettiva azienda- le puo` poi derogare in melius rispetto alla contrattazione collettiva nazionale, quanto- meno in difetto di inderoga- bili regole di competenza e di espliciti divieti di deroghe migliorative (Cass. 28 magio 2004, n. 10353). Invero, i contratti collettivi di diritto comune - di qualsiasi livello
- non recano norme di diritto
- la cui violazione sia deduci- bile in sede di legittimita` - ma clausole contrattuali (cfr. Cass. 17 agosto 2000, n. 10914). E nell’ipotesi di suc- cessione di contratti collettivi di diverso livello (nazionale, provinciale, aziendale), l’e- ventuale contrasto tra le rela- tive previsioni non va risolto secondo i principi di gerar- chia e di specialita`, propri delle fonti legislative, ma in base all’individuazione della effettiva volonta` delle parti desumibile dal coordinamen- to delle varie disposizioni, di pari dignita`, della contratta- zione nazionale e locale, fer- mo restando che un nuovo contratto collettivo (sia esso nazionale o aziendale) puo` anche modificare in pejus la disciplina collettiva prece- dente (di qualsiasi livello es- sa sia), con il solo limite del rispetto dell’esistenza di veri e propri diritti (e non di mere aspettative) definitivamente acquisiti dai lavoratori alla stregua della normativa poi superata da quella peggiorati- va (Cass. 6 ottobre 2000, n.
13300; 2 aprile 2001, n.
4839).
Invece, nella vertenza in og- getto la Corte d’appello ha inopinatamente attribuito il valore di «fatto concluden- te», da cui desumere il con- senso tacito dei lavoratori, ad un elemento «inidoneo» (come lo definisce il Colle- gio di legittimita`) rappresen-
tato dal fatto che la manife- stazione del proprio dissenso del dicembre 2003 e` avvenu- ta in uno spazio temporale di oltre un anno rispetto alla da- ta del 1º febbraio 2002 del- l’invio delle lettere datoriali indicanti le rispettive riduzio- ni di orario di lavoro, per cui i rispettivi contratti dovevano considerarsi conclusi alle condizioni ‘‘pacificamente’’ attuate e percio` accettate da- gli interessati.
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Infine, la Suprema Corte stigmatizza l’operato del giu- dice del riesame per non ave- re attribuito rilevanza alcuna
- in conseguenza della ritenu- ta accettazione tacita delle condizioni contrattuali pro- poste dalla societa` desumibi- le dal prolungato comporta- mento dei lavoratori attuativo di tali condizioni (per com- portamento concludente) - al- l’espressione «con riserva» scritta in carattere stampatel- lo sulle lettere di assunzione pervenute al momento della conclusione del contratto, per asserita mancanza di rife- rimento all’orario di lavoro, la cui valutazione avrebbe in- vece potuto portare ad un di- verso giudizio.
La sentenza
Cass. civ., sez. lav., 14 luglio 2014, n. 16089 - Pres. Lamorgese - Est. Tria - P.M. Xxxxxxxx - Ric. C.M.C. - Res. Gruppo Gorla Spa
Motivi della decisione
I - Sintesi dei motivi di ricorso
1. Il ricorso e` articolato in quattro motivi, formulati in conformita` con le prescrizioni di cui all’art. 366- bis cod. proc. civ., applicabile ratione temporis.
1.1 - Con il primo e il secondo motivo si contesta - rispettivamente sotto il profilo della violazione e falsa applicazione degli artt. 2 e 5 del D.Lgs. 25 febbraio 2000, n. 61 e degli artt. 1372 e 1326, xxxxxx xxxxx, cod. civ. (art. 360, n. 3, cod. proc. civ.) e del vizio di motivazione (art. 360, n. 5, cod. proc., civ.) - la decisione della Corte milanese di ritenere assorbente la questione della presuntivamente intervenuta ac- cettazione tacita, per comportamenti concludenti degli attuali ricorrenti, della riduzione di orario impo- sta dal nuovo datore di lavoro (G.G.), pur dopo aver dato atto di aver risolto in modo opposto una pre- cedente analoga controversia.
Si sottolinea, in particolare, che:
Approfondimenti
1) in base alle norme su richiamate, la trasformazione di un rapporto di lavoro a tempo pieno in rapporto a tempo parziale (quale prodottasi per G.P. e S.S.) cos`ı come la riduzione dell’orario di lavoro di un rap- porto a tempo parziale (quale verificatasi per M.C., P.M.) richiedono l’espresso consenso scritto del la- voratore, risultante da atto convalidato dalla competente Direzione provinciale del lavoro;
2) il suddetto atto scritto non puo` essere sostituito da un comportamento di fatto del lavoratore di ese- cuzione del contratto con l’orario ridotto imposto dal datore di lavoro, tanto piu` ove questi abbia nella lettera di assunzione apposto la clausola «con riserva», inevitabilmente riferibile all’orario di lavoro, es- sendo la relativa modifica l’unico elemento nuovo del contratto di lavoro sottoscritto;
3) viceversa, essendo l’accettazione dei lavoratori difforme dalla proposta, e, pertanto, equivalendo ad una nuova proposta, non solo e` da escludere che si sia formato l’accordo sulla riduzione dell’orario, ma anzi, per effetto della avvenuta assunzione da parte del G.G. senza riserve sul punto, il contratto do- vrebbe considerarsi concluso alle condizioni proposte dai lavoratori, tacitamente accettate dal datore di lavoro.
Si aggiunge che nella sentenza impugnata non vengono spiegate le ragioni che hanno portato la Corte territoriale ad attribuire al comportamento c.d. attuativo dei ricorrenti - cui gli stessi non potevano sot- trarsi, pena la perdita del posto di lavoro - l’efficacia probante di un loro consenso alla riduzione dell’o- rario di lavoro, senza neppure prendere in considerazione le istanze istruttorie degli interessati, ripro- poste in appello.
1.2. - Con il terzo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 4, comma 3, lettera a), del Ccnl per il personale dipendente da imprese esercenti servizi di pulizia, in base al quale il datore di lavoro subentrato ad altra impresa in un appalto di pulizie e` obbligato ad assumere i dipendenti della precedente appaltatrice «alle stesse condizioni precedentemen- te osservate e senza periodo di prova».
1.3. - Con il quarto motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 2077 cod. civ.
Si rileva che nella sentenza attualmente impugnata - diversamente da quanto avvenuto nella i precedente sentenza della medesima Corte di Milano n. 450 del 2004, ivi richiamata - il Giudice di appello non ha preso in considerazione l’Accordo sindacale del 4 febbraio 2002, peraltro intervenuto dopo la stipula- zione dei contratti individuali di lavoro degli attuali ricorrenti (datati 1 febbraio 2002).
Tale Accordo contiene una clausola con la quale le Parti sociali hanno concordato che «i contratti di lavoro iniziali prevederanno un orario di lavoro settimanale individuale pari al 90% di quello preceden- temente in atto».
Tuttavia, essendo l’Accordo stesso successivo ai contratti individuali - come si e` detto - e`, comunque, da escludere che essa sia applicabile agli attuali ricorrenti, perche´ in base all’art. 2077 cod. civ. cit., un ac- cordo sindacale stipulato in epoca successiva alla conclusione di un contratto ; individuale di lavoro, non puo` derogare in pejus al contenuto di quest’ultimo, senza un consenso espresso per iscritto dal lavora- tore alla modificazione delle condizioni individualmente concordate con il datore di lavoro.
Il - Esame delle censure
2. - I primi due motivi di ricorso - da esaminare congiuntamente, data la loro intima connessione - sono da accogliere, per le ragioni di seguito esposte.
3. - In base ad orientamenti consolidati e condivisi di questa Corte:
a) e` indubbio il carattere generale del principio per cui alla contrattazione collettiva non e` consentito incidere, in relazione alla regola dell’intangibilita` dei diritti quesiti, su posizioni gia` consolidate o su diritti gia` entrati nel patrimonio dei lavoratori in assenza di uno specifico mandato od una successiva ratifica da parte degli stessi (vedi, fra le tante: Xxxx. 23 luglio 1994, n. 6845; Cass. 29 settembre 1998, n. 9734; Cass. 7 febbraio 2004, n. 2362);
b) inoltre, la regola secondo cui i contratti o gli accordi collettivi aziendali sono applicabili a tutti i lavo- ratori dell’azienda, ancorche´ non iscritti alle organizzazioni sindacali stipulanti (con l’unica eccezione di quei lavoratori che, aderendo ad una organizzazione sindacale diversa, ne condividono l’esplicito dissenso
dall’accordo medesimo e potrebbero addirittura essere vincolati ad un accordo sindacale separato e di- verso, vedi: Cass. 28 maggio 2004, n. 10353; Cass. 18 aprile 2012, n. 6044) non vale nell’ipotesi di tra- sformazione del rapporto di lavoro subordinato a tempo pieno in rapporto a tempo parziale ai sensi del- l’art. 5 del D.Lgs. n. 61 del 2000, in quanto tale trasformazione (seppure prevista da un contratto col- lettivo aziendale come strumento alternativo alla collocazione in mobilita`) non puo` avvenire a seguito di determinazione unilaterale del datore di lavoro, ma necessita in ogni caso del consenso scritto del lavoratore, il cui rifiuto della trasformazione del rapporto non costituisce giustificato motivo di licenzia- mento (vedi, per tutte: Xxxx. 12 luglio 2006, n. 16169; Cass. 17 marzo 2003, n. 3898; Cass. 26 maggio 2000, n. 6903, quest’ultima con riguardo alla disciplina di cui all’art. 5, comma terzo, del d.l. n. 726 del 1984, convertito dalla legge n. 863 del 1984);
c) ne consegue che, nell’anzidetta ipotesi, non puo` applicarsi il principio secondo cui l’adesione degli in- teressati - iscritti o non iscritti alle associazioni stipulanti - ad un contratto o accordo collettivo puo` es- sere non solo esplicita, ma anche implicita, come accade quando possa desumersi da fatti concludenti, generalmente ravvisabili nella pratica applicazione delle relative clausole (vedi, fra le altre: Xxxx. 11 marzo 1987, n. 2525; Cass. 5 novembre 1990, n. 10581; Cass. 7 febbraio 2004, n. 2362);
d) peraltro, il suindicato principio, laddove applicabile, comporta che, affinche´ un contratto o un accordo
Approfondimenti
collettivo possa considerarsi implicitamente accettato dai lavoratori per «fatti concludenti» sia necessa- rio che la manifestazione di volonta` in tal senso desumibile dal comportamento degli interessati sia stata espressa in modo inequivocabile, giacche´ il principio della liberta` di forma nell’esercizio dell’autonomia negoziale e collettiva consente che l’adesione ad un accordo sindacale si manifesti o con negozi attuativi o attraverso consequenziali condotte, purche´ si tratti di comportamenti - dall’indagine specifica che il giu- dice del merito deve compiere al riguardo, anche alla luce dei principi di correttezza e buona fede che devono sempre presiedere all’esecuzione delle obbligazioni - risultino diretti a dimostrare con certezza la volonta` di ratificare l’accordo o il contratto in oggetto (Xxxx. 7 febbraio 2004, n. 2362; Cass. 13 giugno 2003, n. 9497; Cass. 2 aprile 2001, n. 4841, nonche´ arg. ex Xxxx. 12 giugno 2002, n. 8390 e Cass. 28
marzo 2001, n. 4570);
e) deve, quindi, trattarsi di una manifestazione di volonta` che, per quanto implicita, sia genuina e libera, xxxx` non possa considerarsi tale da essere affetta da un vizio riconoscibile dalla controparte in applica- zione dei canoni generali della correttezza e buona fede (vedi, a contrario: Xxxx. 18 novembre 1999, n. 12784) e comunque non risulti essere necessitata;
f) conseguentemente, il consenso tacito ad un mutamento contrattuale peggiorativo delle condizioni di lavoro (in particolare anche con riguardo all’orario), non puo` certamente essere desunto dal semplice fatto che i lavoratori, in costanza del rapporto di lavoro, non abbiano preteso l’adempimento del patto originario e abbiano continuato a prestare la loro opera a condizioni svantaggiate (Cass. 20 maggio 1977,
n. 2111; Cass. 16 maggio 2006, n. 11432), potendo, un comportamento diverso, compromettere il rile- vante e fondamentale interesse dei lavoratori ad evitare la perdita del posto di lavoro e, quindi, della re- tribuzione.
4. - La Corte d’appello di Milano, senza attenersi ai su riportati principi:
a) non ha considerato che la clausola dell’Accordo sindacale del 4 febbraio 2002 - che prevedeva una riduzione dell’orario di lavoro del 10%, rispetto a quello osservato nel rapporto con il precedente ap- paltatore - essendo peggiorativa delle condizioni di lavoro e retributive stabilite sia dal Ccnl di settore, sia dai contratti individuali antecedenti avrebbe richiesto una chiara ed esplicita volonta` dei lavoratori, manifestata per iscritto e nelle forme stabilite dalla legge;
b) inoltre ha attribuito il valore di «fatto concludente», da cui desumere il consenso tacito dei lavoratori ad un elemento del tutto inidoneo a tal fine rappresentato dal fatto che essendo stati i lavoratori assunti il giorno 1 febbraio 2002, con lettere indicanti le rispettive riduzioni di orario di lavoro ed avendo gli stessi manifestato il proprio dissenso rispetto a tale riduzione soltanto nel dicembre 2003 quando hanno dato inizio al presente giudizio, conseguentemente i rispettivi contratti dovevano considerarsi siano conclusi alle condizioni «pacificamente» attuate e, quindi, accettate dagli interessati;
c) conseguentemente ha ritenuto che a fronte dell’accettazione tacita delle condizioni contrattuali «pro- poste» dalla societa` desumibile dal prolungato comportamento dei lavoratori attuativo di tali condizioni, perdesse significato la apposizione - in carattere stampatello - alle lettere di assunzione della generica espressione «con riserva», essendo avvenuta precdentemente, cioe` al momento della conclusione del contratto con il G.G.
5. - In tale ricostruzione la Corte milanese, non solo non ha fatto alcun riferimento all’art. 4, comma 3, lettera a), del Ccnl per il personale dipendente da imprese esercenti servizi di pulizia,che obbligava il da- tore di lavoro subentrato ad altra impresa in un appalto di pulizie ad assumere i dipendenti della prece- dente appaltatrice «alle stesse condizioni precedentemente osservate e senza periodo di prova», ma nep- pure ha considerato la circostanza della anteriorita` dei contratti individuali (sottoscritti il giorno 1 feb- braio 2002) rispetto all’Accordo sindacale del 4 febbraio 2002, con le relative conseguenze in merito al divieto per il contratto o accordo collettivo di derogare in pejus al contenuto del contratto individuale, senza un consenso espresso per iscritto dal lavoratore alla modificazione delle condizioni individualmen- te concordate con il datore di lavoro.
A cio` consegue che, nella specie, il criterio dell’accettazione implicita risulta inapplicabile, diversamente da quanto ritenuto nella sentenza impugnata.
6. - Va, comunque, precisato - in ragione della funzione nomofilattica affidata dall’ordinamento a questa Corte di Cassazione - che, comunque, l’applicabilita` del suddetto criterio - ove possibile - presuppone
una indagine specifica del giudice del merito, da effettuare anche alla luce dei principi di correttezza e buona fede che devono sempre presiedere all’esecuzione delle obbligazioni, che sia tale da dimostrare che i comportamenti «concludenti» siano diretti con certezza a manifestare la genuina volonta` di ratifi- care l’accordo o il contratto collettivo di cui si tratta.
E, in tale indagine, si devono tenere nel debito conto la qualita` dei lavoratori di cui si tratta, l’esistenza di una situazione psicologica di soggezione dei lavoratori medesimi rispetto al datore di lavoro e, quindi, parametrare a tali dati anche le modalita` del dissenso eventualmente manifestato dagli interessati, cos`ı come i modi e i tempi di eventuali iniziative giudiziarie intraprese.
A tale ultimo proposito, va anche considerato che, pur in un ordinamento di civil law come il nostro, comunque il canone della prevedibilita` delle decisioni - che non comporta l’immodificabilita` della solu- zione adottata - si deve considerare come un requisito fondamentale dell’esercizio della funzione giuri- sdizionale, posto a presidio della certezza del diritto, come tale tutelato sia direttamente dalla nostra Co- stituzione (spec. art. 3), sia, nei rispettivi ambiti dalla Corte di giustizia Ue e dalla Corte di Strasburgo. Ne consegue che, rispetto a plurimi gruppi omogenei di lavoratori, gli esiti dei diversi giudizi instaurati separatamente non possono considerarsi, di per se´, indifferenti rispetto alle iniziative assunte dagli inte- ressati.
7. - Dalle anzidette considerazioni deriva l’accoglimento dei primi due motivi di ricorso, cui consegue l’assorbimento di tutti i restanti profili di censura.
Approfondimenti
IlI - Conclusioni
8. - In sintesi, i primi due motivi di ricorso devono essere accolti, per le ragioni dianzi esposte e con assorbimento degli altri motivi.
In relazione alle censure accolte, la sentenza impugnata deve essere, quindi, cassata, con rinvio, anche per le spese del presente giudizio di cassazione, alla Corte d’appello di Milano, in diversa composizione, che si atterra`, nell’ulteriore esame del merito della controversia, a tutti i principi su affermati e, quindi, anche ai seguenti:
1) «la regola secondo cui i contratti o gli accordi collettivi aziendali sono applicabili a tutti i lavoratori dell’azienda, ancorche´ non iscritti alle organizzazioni sindacali stipulanti (con l’unica eccezione di quei la- voratori che, aderendo ad una organizzazione sindacale diversa, ne condividono l’esplicito dissenso dal- l’accordo medesimo e potrebbero addirittura essere vincolati ad un accordo sindacale separato e diver- so) non vale nell’ipotesi di trasformazione del rapporto di lavoro subordinato a tempo pieno in rapporto a tempo parziale ai sensi dell’art. 5 del D.Lgs. n. 61 del 2000, in quanto tale trasformazione (seppure prevista da un contratto collettivo aziendale come strumento alternativo alla collocazione in mobilita`) non puo` avvenire a seguito di determinazione unilaterale del datore di lavoro, ma necessita in ogni caso del consenso scritto del lavoratore, il cui rifiuto della trasformazione del rapporto non costituisce giu- stificato motivo di licenziamento»;
2) «ne consegue che, nell’anzidetta ipotesi, non puo` applicarsi il principio secondo cui l’adesione degli
interessati - iscritti o non iscritti alle associazioni stipulanti - ad un contratto o accordo collettivo puo` essere non solo esplicita, ma anche implicita, come accade quando possa desumersi da fatti concludenti, generalmente ravvisabili nella pratica applicazione delle relative clausole».
P.Q.M.
Accoglie i primi due motivi di ricorso, assorbiti gli altri. Cassa la sentenza impugnata, in relazione alle censure accolte, e rinvia, anche per le spese del presente giudizio di cassazione alla Corte d’appello di Milano, in diversa composizione.