Osservazioni conclusive. La breve ricostruzione che precede esprime una posizione ampiamente condivisa rispetto al tema dell’opponibilità della clausola compromissoria nei confronti del curatore del fallimento, che risulta senz’altro convincente37. Al contrario, non univoca è l’opinione, rilevante per le nostre considerazioni, relativa alle conseguenze della cessata affiliazione sull’operatività delle predette clausole. La sentenza in commento rappresenta una sorta di manifesto di questo stato di cose: mentre per il primo aspetto essa ha espressamente condiviso la 34 Cass., Sez. Un., ord. 26 mag. 2015, n. 10800, cit.; Trib. Torino, 10 feb. 2016. Si aggiunga che, fermo restando quanto detto xxxxxxx in relazione all’inesistenza di limiti diversi da quelli generali, l’operatività della clausola in caso di fallimento incontra, tuttavia, un limite, definito in giurisprudenza “di sistema”, in relazione alla posizione soggettiva assunta dal curatore nel corso del processo: la compromettibilità della lite è esclusa tutte le volte in cui il curatore assuma la posizione di soggetto passivo dal quale si pretende l’adempimento della prestazione. Al contrario, nessun problema suscita l’ipotesi in cui sia la curatela a farsi “attrice”. In tal senso, Trib. Bologna, 29 gen. 2016.
Osservazioni conclusive. L’orientamento percorso dalla decisione in oggetto, peraltro, è stato confermato, sotto un diverso profilo, dall’ordinanza n. 32533 del 14 dicembre 2018 della Corte di Cassazione. Nel caso di specie, il lavoratore proponeva ricorso al Garante per la protezione dei dati personali, richiedendo, al fine di esercitare pienamente il proprio diritto di difesa, l’accesso ai propri dati valutativi, posti alla base della sanzione disciplinare irrogata. Il Garante riconosceva che, in presenza di dati valutativi di carattere personale, intesi quali informazioni che non hanno carattere oggettivo ma che siano riferite a giudizi, opinioni o ad altri apprezzamenti di tipo soggettivo, l’interessato può esercitare i diritti ex art. 7 del d.lgs. n. 196/2003, al fine di verificare ratione temporis l’avvenuto inserimento, la permanenza ovvero la rimozione di tali dati personali. Il datore di lavoro proponeva opposizione avverso il suddetto provvedimento del Garante Privacy, giustificando il rifiuto all’accesso ai documenti, invocando, a propria difesa, la tutela della riservatezza aziendale e dei dati afferenti a terzi. La Suprema Corte, in tale occasione, ha avuto modo di chiarire che il datore di lavoro, in virtù del diritto alla riservatezza dei dati aziendali, conserva la facoltà di individuare le misure opportune per evitare che il proprio lavoratore, in occasione dell’accesso ai propri dati personali, possa venire a conoscenza di informazioni estranee al procedimento disciplinare in corso. Rigettando il ricorso proposto dal datore di lavoro, ha confermato le statuizioni del Giudice di merito, precisando che il diritto di accesso non può essere inteso, in senso restrittivo, come il mero diritto alla conoscenza di eventuali dati nuovi ed ulteriori rispetto a quelli già entrati nel patrimonio di conoscenza dell’interessato, avendo, quindi, tale diritto una portata più ampia, in ragione dello scopo dell’art. 7 del d.lgs. n. 196 del 2003 (oggi abrogato e sostituito dall’art. 15 GDPR Privacy del Regolamento UE n. 2016/679) che è quello di garantire, a tutela della dignità e riservatezza del soggetto interessato, la verifica ratione temporis dell'avvenuto inserimento, della permanenza, ovvero della rimozione di dati, indipendentemente dalla circostanza che tali eventi fossero già stati portati per altra via a conoscenza dell'interessato. Del resto la Suprema Corte rammenta come abbia già avuto modo di rimarcare che la documentazione relativa alle vicende del rapporto di lavoro...
Osservazioni conclusive. La sentenza in commento riprende i principi base che regolano il rapporto contributivo: questo è del tutto svincolato agli obblighi retributivi, sussistendo fin tanto che il rapporto di lavoro esiste, sempre che la prestazione di lavoro non venga sospesa per fatto imputabile al lavoratore o con questi concordato. Tuttavia, se condivisibile è l’assunto che precede, meno lineare - a sommesso parere di chi scrive - è la conclusione cui pure i giudici pervengono ritenendo ininfluente, ai fini della sussistenza dell’obbligo con- tributivo in capo a parte datoriale, la mancata messa in mora del datore di lavoro da parte del lavoratore. Infatti, il lavoratore che, licenziato, non metta a di- sposizione le sue energie psico-fisiche per un’imme- diata ripresa dell’attività lavorativa manifesta il suo sostanziale disinteresse alla prosecuzione del rappor- to di lavoro, tanto più ove ometta, come nel caso di specie, di impugnare in via autonoma il recesso. Pare, dunque, forzato accostare tale ipotesi a quella della sospensione del rapporto di lavoro disposta unilateralmente da parte datoriale: in tal caso, infat- ti, il lavoratore non si oppone alla decisione datoria- le, manifestando così la sua sostanziale adesione all’interruzione del rapporto. In termini amministra- tivi, in un caso come questo, bisogna procedere alla ricostruzione del periodo pregresso ai fini contributi- vi e, a differenza di quanto avviene in alcuni casi di reintegrazione ex art. 18 St. Lav., il datore di lavoro ha l’obbligo di pagare non soltanto la contribuzione non versata ma anche le sanzioni per ritardato versa- mento dei contributi sperando che l’Inps non chieda, come spesso avviene, le sanzioni per evasione contri- butiva. Xxxxxxxx, inoltre, inviati all’Inps tutti i flus- si mensili per la ricostruzione della carriera contribu- tiva e pensionistica dei lavoratori. per intero: giustizia è (s)fatta?1 La Cassazione viene investita in ultimo grado di una lite scaturita da un’azione di pignoramento intentata verso i compensi dovuti da alcune società ad un pro- prio amministratore. Ciò che era in discussione era se tali compensi potessero essere pignorati per intero oppure, tramite l’applicabilità dell’art 545 c.c.p. sul numero n. 11/2017 de “La Circolare di lavoro e previdenza”, Euroconference.
Osservazioni conclusive. Alla luce delle considerazioni svolte, deve osservarsi come il fenomeno dei non fungible tokens, seppur additato da alcuni come evanescente bolla passeggera, rappresenti un vero e proprio punto di svolta sia nel mercato dell’arte, sia nel settore della moda. La crypto art ha, infatti, dato nuova spinta propulsiva alla circolazione delle opere e alla commercializzazione di nuove forme artistiche, lasciando in secondo piano l'annoso dibattito su cosa sia o non sia da considerarsi arte, con il notevole vantaggio di garantire, grazie alla tecnologia blockchain, l'autenticità dell'opera, la sicurezza di passaggi chiari e lineari, infondendo fiducia agli acquirenti. D'altra parte, con riguardo al settore della moda, l’impiego delle tecnologie di smart contracts e blockchain, seppur con tutte le problematiche giuridiche che, come visto, restano ancora scoperte, assume ruolo centrale nell’ottica di una transizione green, obiettivo di punta delle istituzioni dell’Unione Europea, e di un impiego delle risorse sempre più sostenibile da un punto di vista etico ed ambientale. In entrambi i settori si è assistito, dunque, ad una sorta di rinascita digitale, avvenuta peraltro - e forse non è un caso - in un periodo come quello attuale, che ha portato pesanti conseguenze sulla vita di ognuno e sui mercati. Va, infine, rilevato come i non fungible tokens possano trovare applicazione in una molteplicità di settori (musica, cinema), rappresentando uno strumento utilizzabile, ad esempio, per la valorizzazione dei beni culturali. Si potrebbe, infatti, ipotizzare la possibilità di tokenizzare alcuni beni culturali, anche al fine di reperire risorse per una più efficace conservazione degli stessi. [1] Nel dibattito italiano, si segnalano X. Xxxxxxx, Blockchain ed automazione contrattuale. Riflessione sugli smart contract, in Nuova giur. civ. comm., 2017, p. 107 ss.; D. Di Sabato, Gli smart contracts: robot che gestiscono il rischio contrattuale, in Contr. impr., 2017, p. 378 ss.; X. Xxxxxxxxx, Il notaio nel terzo millennio, tra sharing economy e blockchain, in Notariato, 2017, p. 53; G. Finoccchiaro, Il contratto nell’era dell’intelligenza artificiale, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2018, p. 441 ss.; L. Xxxxxx, X. Xxxxxx e X. Xxxxxxx, Blockchain e smart contract: questioni giuridiche aperte, in Contratti, 2018, p. 681 ss.; A. Razzini, Blockchain e protezione dei dati personali alla luce del nuovo regolamento europeo GDPR, in Ciberspazio e diritto, 2018, p. 197, ss.; X. Xxxx Xxxx...
Osservazioni conclusive. In realtà, a ben guardare, l‟intera discussione pare essere sorta da un equivoco di fondo di impostazione dogmatica, consistente nella commistione di due problematiche: una concernente il perfezionamento del contratto, l‟altra riguardante la completezza dello stes- so. Infatti è stato giustamente osservato che nel discorrere di tale questione è fondamentale chiarire e distinguere i due concetti, spesso richiamati in modo atecnico. La perfezione ha riguardo ad un contratto il cui iter formativo si sia concluso e sia idoneo a produrre le con- seguenze che gli siano proprie. La completezza fa invece riferimento alla coesistenza di tutti gli elementi voluti dalle parti e necessari per aversi un negozio giuridico. Ne deriva che un negozio potrebbe essere completo ma imperfetto, ovvero perfetto ma incompleto150. 148 A. CATRICALÀ, voce Arbitraggio, cit., 4. 149 X. XXXXXXXX, Manuale di diritto privato italiano, Milano, 2000, 284 s. 150 X. XXXX, voce Contratto incompleto, cit., 425 ss.; X. XXXXXX, L‟arbitraggio, cit., 53. In conclusione mentre l‟opinione minoritaria, sostenuta soprattutto durante la vi- genza del codice civile del 1865, riteneva che il contratto non potesse considerarsi conclu- so finché non fosse completo – e ciò sarebbe avvenuto solo con la determinazione del ter- zo151 –, l‟opinione attualmente dominante in dottrina ed in giurisprudenza sostiene invece che il contratto contenente l‟accordo di arbitraggio sia una fattispecie negoziale a contenu- to già dall‟inizio perfetto. Infatti, poiché l‟art. 1349 cod. civ. prevede che l‟oggetto del con- tratto possa essere determinabile anche in un momento successivo alla stipulazione del ne- gozio, l‟accordo delle parti di far propria la determinazione dell‟arbitratore è sufficiente a rivestire tale requisito. Va quindi escluso che il contratto principale possa essere considera- to alla stregua di un contratto „incompleto‟ nel senso di „non perfezionatosi‟152 (mentre una „incompletezza‟ in senso lato è comunque ravvisabile). È stato quindi affermato che il rinvio alla successiva determinazione del terzo non inciderebbe tanto sul perfezionamento del contratto principale quanto, piuttosto, sulla sua efficacia. In particolare il contratto sarebbe già completo al momento della sua conclusione perché possiede i requisiti richiesti dalla legge; l‟oggetto, invece, pur non essendo ancora determinato, è determinabile ai sensi dell‟art. 1346 cod. civ. Diversi autori si sono perciò occupati della questione se tale neg...
Osservazioni conclusive. Delineata nelle sue linee essenziali la Rechtsfortbildung relativa alla qualificazione dello ius poenitendi nel diritto tedesco 127 , sembra opportuno tracciare le prime e approssimative valutazioni in merito alla qualificazione dello ius poenitendi nel diritto italiano. Al riguardo si può rilevare come in entrambi gli ordinamenti il nomen iuris impiegato dal Legislatore non è da considerarsi vincolante ai fini della qualificazione dell’istituto e della individuazione della disciplina ad esso applicabile. Al contempo, però, il riferimento all’ordinamento tedesco vale a rivelare la possibilità di una qualificazione unitaria dello ius poenitendi e di un’armonizzazione tra la disciplina dello strumento di protezione degli interessi del consumatore e quella dei tradizionali strumenti di scioglimento del rapporto negoziale. La soluzione adottata del Legislatore tedesco quindi non si segnala solo per la coerenza sotto il profilo sistematico, bensì anche e soprattutto perché ha determinato l’individuazione di una disciplina compiuta ed esaustiva degli effetti dello ius poenitendi del consumatore. Per converso le numerose interpretazioni fornite dalla dottrina italiana circa la configurabilità dello ius poenitendi nella dogmatica e sistematica del Codice civile, seppur autorevolmente e solidamente sostenute, sembrano scontare pur sempre una 000 X. XXXXXX, Der Xxxxxx vom unerwünschter Vertrag cit., p. 63.
Osservazioni conclusive. Il punctum dolens della decisione della Corte parrebbe dunque rinvenirsi al punto 48 della sentenza, laddove si evidenzia che “è irrilevante sapere se, alla data in cui il consumatore si avvale del suo diritto di recesso, sia possibile per il col professionista entro un congruo termine, senza dover fornire alcuna giustificazione, siffatto diritto di recesso, tuttavia, non sussiste nel caso di una prestazione di servizi riguardanti le attività del tempo libero, nel rispetto della tutela dell’ente organizzatore.
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Osservazioni conclusive. Sia per i progetti formativi di tipo a) che per i progetti mirati all’inserimento di tipo b) la formazione teorica potrà essere impartita direttamente dal datore di lavoro. In alternativa, o in modo complementare, potrà essere demandata a terzi con la partecipazione del lavoratore a corsi specifici. Le parti potranno concordare un numero di ore di formazione teorica superiori a quanto previsto dal presente progetto, fermo restando che le ore in eccedenza non saranno retribuite. I progetti formativi di tipo a) e i progetti per l’inserimento di tipo b) non possono essere stipulati per l’acquisizione di professionalità elementari, ai sensi dell’art. 8 della legge 407/90. Si intendono “PROFESSIONALITA’ ELEMENTARI” le mansioni che comportino il possesso di semplici conoscenze pratiche ed ausiliarie, espressamente elencate nel V0 Livello del C.C.N.L. per i dipendenti degli studi professionali. La stipula di progetti formativi ad orario ridotto, sia per le tipologie di tipo a) che di tipo
Osservazioni conclusive p. 215 p. 237 p. 255