Società di capitali – Società per azioni – Azioni – Limiti alla circolazione delle azioni – Clausola statutaria di c.d. drag along – Natura giuridica
TRIBUNALE DI MILANO, 31 marzo 2008 –Xxx Xxxx Xxxxxxx – Design Factory s.p.a. contro AB Partecipazioni Industriali s.p.a.
Società di capitali – Società per azioni – Azioni – Limiti alla circolazione delle azioni –
Clausola statutaria di c.d. drag along – Natura giuridica
(Codice civile, art. 2355-bis).
Società di capitali – Società per azioni – Azioni – Limiti alla circolazione delle azioni –
Clausola statutaria di c.d. drag along – limiti di ammissibilità
(Codice civile, art. 2355-bis).
La clausola statutaria di c.d. drag along può essere ricostruita come una concessione da parte del socio di minoranza al socio di minoranza di un’opzione call a favore di terzo sulla partecipazione di minoranza, sospensivamente condizionata dal fatto che lo stipulante riceva un’offerta di acquisto dell’intero capitale sociale e che il promettente non intenda esercitare il diritto di prelazione sulla quota di maggioranza (1). Condizione primaria di validità della clausola di drag along è che non determini un effetto espropriativo della differenza tra il valore effettivo delle azioni alienande e il valore convenzionalmente fissato per il loro trasferimento; ciò implica che essa dovrebbe garantire che sia offerto al socio, costretto alla dismissione, almeno il valore che gli sarebbe spettato in caso di recesso. La garanzia dell’equa valorizzazione delle azioni alienande in base ad una clausola di c.d. drag along non è rimessa alla previsione del diritto di prelazione: l’esercizio del diritto di prelazione in alternativa all’obbligo di co-vendita, di per sé, non garantisce la congruità del prezzo di dimissione, che resta comunque ancorata a valutazioni soggettive e arbitrarie del socio di maggioranza (2).
Il Tribunale (omissis).
La ricorrente ha prospettato la sussistenza di una controversia con AB circa la proprietà e il possesso delle quote Xxxxx s.p.a., società posseduta per il 60% da I2 Capital e per il 40% da AB.
Ha, infatti, dedotto di aver negoziato e poi formalizzato con I2 Capital una proposta irrevocabile di acquisto per se´ o per persona da nominare - delle azioni rappresentanti l’intero capitale sociale di Xxxxx s.p.a. in virtù della clausola statuaria di quest’ultima che prevede l’obbligo di co-vendita della partecipazione di minoranza qualora il socio di maggioranza dovesse decidere di alienare ad un terzo la propria partecipazione (c.d. clausola di drag along): I2 Capital, accettata la proposta irrevocabile di D.F. aveva formulato la denuntiatio, invitando AB - titolare in ragione della medesima clausola statutaria di un diritto di prelazione sull’acquisto della quota di maggioranza alle stesse condizioni offerte dal terzo – a manifestare la propria intenzione di esercitare o meno il diritto di prelazione; ritenendo invalida ed inefficace la denuntiatio e nulla la clausola statutaria di trascinamento e co-vendita invocata, AB aveva risposto proponendo un ricorso in via d’urgenza volto ad ottenere (coma ha poi ottenuto) l’inibitoria nei confronti di I2 alla cessione della partecipazione di minoranza, e nei confronti di Xxxxx a trascrivere operazioni di cessione, di trasferimento o comunque idonee a creare vincoli sulla quota di Tecno stessa detenuta da AB, su richiesta di I2, da D.F. o da soggetto da questa nominato; I2, seguita da D.F. - intervenuta opportunamente in causa per evidenti ragioni di legittimazione attiva - aveva, quindi, instaurato un procedimento arbitrale per chiedere: a) di accertare che, in virtù dell’accettazione di I2 e del mancato esercizio della prelazione da parte di AB, si era perfezionata in favore di D.F. la cessione
dell’intera partecipazione in Tecno s.p.a., e di accertare, quindi, che D.F. «è proprietaria esclusiva delle azioni di Xxxxx detenute da I2 e da AB», e di condannare, conseguentemente, AB «al trasferimento e alla consegna di tali azioni in favore di Design Factory»; b) di accertare, in subordine, che AB è obbligata a cedere a D.F. la propria partecipazione di minoranza unitamente a quella di maggioranza detenuta da I2, alle condizioni indicate nella proposta irrevocabile di D.F. accettata da I2 e comunicata a AB, e conseguentemente di pronunciare sentenza costitutiva ex art.2932 c.c. con condanna di AB al trasferimento e alla consegna delle azioni in favore di D.F.; c) di condannare comunque AB al risarcimento dei danni derivati dall’inadempimento alla clausola statutaria.
Nelle more del giudizio arbitrale, quindi, D.F., convinta che si sia concluso un valido contratto di compravendita della totalità delle azioni di Xxxxx, o quantomeno sia sorto in capo ad AB l’obbligo a contrarre, ha chiesto di far luogo al sequestro della partecipazione detenuta da AB, che in quel giudizio resiste escludendo che alcun contratto possa ritenersi concluso e che alcun obbligo di trasferimento sia sorto in ragione di una clausola statutaria ritenuta nulla, e, comunque, di una denuntiatio invalida ed inefficace.
AB si è perciò costituita nel presente procedimento cautelare negando la sussistenza tanto del
fumus quanto del periculum della cautela richiesta.
Anche I2 si è costituita al fine di sostenere le ragioni di parte ricorrente in quanto portatrice di un interesse proprio alla presente azione.
Ammissibilità della cautela tipica richiesta e legittimazione della ricorrente.
Va anzitutto verificata la sussistenza dei presupposti della cautela richiesta agli effetti del requisito della sua strumentalità rispetto al giudizio di merito, che quindi i fatti prospettati configuirino effettivamente l’esistenza di una controversia sulla proprietà della partecipazione in Xxxxx posseduta da AB, oggetto del richiesto sequestro, tra quest’ultima società e la ricorrente D.F.
La formulazione della clausola statuaria di Tecno sub art. 11.4, che ha recepito in virtù della delibera 26.4.2004 l’identico patto parasociale del 2.3.2004, non è di agevole decodificazione agli effetti della ricostruzione in termini astratti delle fattispecie giuridiche entro cui vanno iscritti i diritti che ad essa le parti riconnettono: essa attribuisce al socio di maggioranza il diritto di offrire al terzo che abbia manifestato interesse all’acquisto della sua partecipazione azionaria «la possibilità di acquistare » anche la quota di minoranza; a fronte dell’accettazione del terzo di tale possibilità e della formulazione da parte sua di una proposta irrevocabile all’acquisto di entrambe le partecipazioni, il socio di maggioranza deve attivare anzitutto il meccanismo della prelazione (di cui all’art. 11.3 richiamato nell’art. 11.4), e comunicare, quindi, al socio di minoranza la sua intenzione di procedere al trasferimento della sua partecipazione e l’offerta del terzo di acquisto della partecipazione di maggioranza e di minoranza; in mancanza di esercizio della prelazione nel termine di 15 giorni statutariamente previsto, «il socio di maggioranza dovrà procedere alla cessione della partecipazione di maggioranza e della partecipazione di minoranza....»; e il socio di minoranza sarà obbligato
«a dar corso a tutti quegli adempimenti che fossero richiesti al fine di consentire al terzo acquirente ... di procedere all’acquisto» della sua partecipazione contestualmente all’acquisto della partecipazione di maggioranza.
Il meccanismo statutario predetto può essere ricostruito come prevedente la concessione da parte del socio di minoranza (promittente) al socio di maggioranza (stipulante) di «un’opzione call a favore di terzo» (beneficiario determinabile in ragione della disponibilità ad acquisire con proposta irrevocabile l’intero capitale) sulla partecipazione di minoranza, sospensivamente condizionata dal fatto che lo stipulante riceva un’’ offerta di acquisto dell’intero capitale sociale e che il promittente non intenda esercitare il diritto di prelazione sulla quota di maggioranza.
Entro questo schema trova giustificazione sia il diritto/dovere del socio di maggioranza di procedere alla cessione anche della partecipazione di minoranza, sia la legittimazione attiva di
D.F. a pretendere direttamente verso AB l’esecuzione del trasferimento: infatti essendo l’opzione l’elemento di una fattispecie a formazione progressiva, costituita inizialmente da un accordo avente ad oggetto l’irrevocabilità della proposta cui l’accettazione del promissorio si salda perfezionando la fattispecie, D.F. (prospettandosi come terzo beneficiario dell’opzione call che ha accettato la proposta irrevocabile di vendita di AB concessa con l’opzione) sarebbe legittimata ad agire per ottenere l’esecuzione del contratto e il trasferimento delle quote.
Anche non volendo accedere a tale ricostruzione, rimane, comunque, il fatto che sulla base della clausola statutaria, scaduto il termine per l’esercizio della prelazione, il socio di minoranza, cui la proposta irrevocabile di acquisto dell’intero capitale sociale sia stata comunicata da parte del socio di maggioranza, è obbligato «a dar corso a tutti quegli adempimenti che fossero richiesti al fine di consentire al terzo acquirente ... di procedere all’acquisto» della sua partecipazione contestualmente all’acquisto della partecipazione di maggioranza. Sicché in ragione del mancato esercizio della prelazione, deve ritenersi sorga in capo al socio di minoranza, quantomeno, un obbligo a contrarre con il terzo acquirente ex art. 2932 c.c., un obbligo di prestare, cioè, il consenso necessario al trasferimento della partecipazione di minoranza. In sostanza in seguito al mancato esercizio della prelazione sulla quota di maggioranza, il socio di minoranza assume l’obbligo di cedere la sua partecipazione in favore del terzo acquirente disposto ad acquistare l’intera partecipazione sociale (di maggioranza e minoranza), e il socio di maggioranza assume a sua volta l’obbligo di cedere la sua quota al terzo unitamente a quella di minoranza.
Pertanto in entrambi le prospettive interpretative, tra le quali in questa sede non è decisivo optare, non può che ritenersi nella specie sussistente una controversia tra D.F. e AB sulla proprietà della cosa, nell’accezione accolta dalla giurisprudenza e dottrina prevalente, che vi comprende anche tutte le controversie ex contractu, promosse per ottenere il riconoscimento di un titolo di proprietà su di un bene o la costituzione a proprio favore del diritto di proprietà su di un bene, come nel caso sia esercitata l’azione per l’esecuzione in forma specifica di un obbligo a concludere un contratto di compravendita.
Pertanto deve ritenersi ammissibile il ricorso proposto sotto il profilo della strumentalità della cautela tipica invocata e della legittimazione attiva del ricorrente D.F.
Il fumus boni iuris.
Accertato che, sulla base della causa petendi del giudizio di merito in corso, l’oggetto materiale del sequestro giudiziario è interessato da una controversia tra la ricorrente e la resistente sulla proprietà, va comunque accertata la sussistenza del fumus boni iuris della pretesa di chi insiste per ottenere il sequestro della partecipazione, e, quindi, se detta pretesa abbia, pur alla luce di una valutazione sommaria, effettivamente possibilità di essere accolta, per evitare che la cautela si risolva in un inutile ostacolo all’esercizio di diritti legittimi dell’attuale proprietario.
I nodi della decisione circa la valida costituzione del contratto di cessione o dell’obbligo di AB di cedere la sua partecipazione a D.F. invocata dalla ricorrente, riguardano, in xxx xxxxxxxxxxx, x’xxxxxxxx xxxxxxx xxxxx xxxxxxxx statutaria di c.d. drag along (che introduce il diritto di trascinamento o co-vendita), e, in via logicamente subordinata, la validità ed efficacia della denuntiatio formulata dal socio di maggioranza I2 Capital.
Quanto alla prima delle predette questioni ritiene chi scrive che la clausola dello statuto di Tecno non possa ritenersi valida.
Essa rappresenta la ricezione a livello statutario (con conseguente efficacia reale) di un patto parasociale volto a disciplinare la circolazione delle partecipazioni azionarie, in forza del quale l’azionista di maggioranza vede garantita la possibilità di valorizzare il suo investimento nella partecipazione di maggioranza della società attraverso la previsione dell’obbligo dell’azionista di minoranza di cedere anche la sua partecipazione al terzo che
intenda acquistare l’intero capitale sociale, salvo l’esercizio del diritto di prelazione sulla quota di maggioranza allo stesso prezzo e alle stesse condizioni offerte dal terzo.
Si tratta di una clausola che, in generale, come sottolineato da autorevole voce in uno dei pareri pro veritate acquisti dalle parti, viene utilizzata per regolare i rapporti tra soci di maggioranza e di minoranza, specie nei casi in cui «si tratta di soci con caratteristiche disomogenee (l’uno finanziario e l’altro industriale; l’uno fondatore l’altro partner successivo) (...) per assicurare il socio di maggioranza contro il rischio di ricevere un’offerta molto vantaggiosa per l’acquisto dell’intero capitale sociale» (che vale ovviamente di più di una pur consistente quota di maggioranza assicurando mano libera nella gestione) «e di non poterne profittare per comportamenti opportunistici o ricattatori del socio di minoranza».
L’interesse alla base di una siffatta clausola è, quindi, chiaramente ed anzitutto l’interesse del socio a non veder pregiudicato il suo diritto di disinvestimento dalla difficoltà di trovare un compratore disposto a rilevare solo una quota dell’azionariato, pur quando questa sia di maggioranza, per esempio perché sussistono dei quorum assembleari particolarmente rafforzati su certe materie. Può però rispondere anche ad un interesse sociale nella misura in cui mira anche a disinnescare a priori la conflittualità interna alla società che potrebbe essere alimentata dal peso in concreto della quota di minoranza e da un possibile abuso del potere di controllo, e quindi a garantire l’omogeneità della compagine sociale e la coesione dei soci.
Sotto questo profilo non pare improprio che un simile interesse possa essere recepito a livello di una clausola statutaria con ogni conseguente effetto di opponibilità ai terzi e agli organi sociali, ne´ che ciò contrasti con il carattere capitalistico delle s.p.a. per il fatto di costituire attribuzione di un diritto speciale ad un singolo azionista, poiché (e purché) il diritto di trascinamento è in realtà attribuito al detentore della quota di maggioranza, e può, quindi, spettare a chiunque si trovi a raggiungere quella soglia di partecipazione al capitale sociale.
Tuttavia questa speciale tutela del diritto di exit del socio di maggioranza si realizza attraverso l’obbligo del socio di minoranza di dismettere l’intera partecipazione, dunque attraverso una radicale limitazione dell’autonomia negoziale e del diritto di proprietà che, nel quadro del nostro ordinamento anche costituzionale, può essere legittima solo a certe condizioni, idonee ad evitare il rischio che l’esercizio di un siffatto diritto si traduca nell’ingiustificata espropriazione del socio di minoranza, o nell’abusiva estromissione dello stesso da parte del socio di maggioranza.
In altre parole, quand’anche l’introduzione di una siffatta clausola sia frutto dell’unanime decisione dei soci e, dunque, espressione della libertà negoziale di ciascuno di essi anche agli effetti dell’aspetto autolimitativo del proprio diritto di proprietà, l’obbligo di co-vendita del socio di minoranza deve trovare congruo contrappeso negoziale in un’equa valorizzazione della partecipazione che è previsto sia obbligatoriamente dismessa, e nella previsione di una concreta operatività della clausola che impedisca il risultato diverso, e certamente non in linea con la ratio del patto, di attribuire di fatto al socio di maggioranza il potere di escludere ad nutum il socio di minoranza.
Sotto questo profilo si condividono alcune delle osservazioni che hanno condotto altro illustre autore a censurare la validità della clausola dello statuto di Tecno e la sua concreta applicazione nella specie, nel parere pro veritate fornito per il giudizio in corso.
Condizione primaria di validità della clausola, come detto, è che sia «compatibile con il principio di un’equa valorizzazione della partecipazione obbligatoriamente dimessa » (massima n. 88 del Consiglio Notarile di Milano) dunque che non determini in concreto un effetto espropriativo della differenza tra il valore effettivo della partecipazione e il valore convenzionalmente fissato per il trasferimento; ciò implica che, in concreto, essa dovrebbe garantire che sia offerto al socio costretto alla dismissione almeno il valore che gli sarebbe spettato in caso di recesso determinato secondo quanto stabilito nell’art. 2437 ter comma 2 e 4 c.c.; deve cioè essere garantito che l’obbligo di dismissione - pattuito perché funzionale alla
migliore possibilità di realizzazione della quota - non si traduca, di fatto paradossalmente, in un danno per il socio di minoranza.
Secondo il ricorrente e il terzo intervenuto nella specie la garanzia dell’equa valorizzazione della quota di cui è prevista la dismissione obbligatoria è rimessa alla previsione del diritto di prelazione, che metterebbe al riparo il socio di minoranza dal rischio di vedersi costretto a cedere la sua partecipazione ad un prezzo incongruo: il socio di minoranza non correrebbe alcun rischio di abuso da parte della maggioranza in quanto la clausola stessa gli fornirebbe uno strumento di efficace tutela rappresentato, appunto, dal diritto del socio di minoranza di acquistare la quota di maggioranza al prezzo offerto dal terzo.
L’argomento non convince.
Anzitutto il diritto di prelazione nel caso di Tecno è statutariamente previsto dall’autonoma clausola dell’art. 11.3 non è neppure quindi stato concepito come contrappeso del diritto del socio di maggioranza di offrire in vendita al terzo anche la quota di maggioranza, atteso che, quand’anche non previsto dal meccanismo della clausola 11.4, avrebbe dovuto trovare comunque applicazione. In secondo luogo se è pur vero che la previsione in capo al socio di minoranza del diritto di prelazione sulla quota di maggioranza al prezzo offerto dal terzo, dovrebbe dissuadere il terzo dall’offrire un prezzo incongruo e il socio di maggioranza da possibile manovre fraudolente (simulazione del prezzo pattuito con il terzo) che verrebbero frustrate in radice qualora il socio minoritario decidesse di acquistare, ciò certamente non vale a soddisfare la condizione dell’equità del prezzo, non vale, cioè, a tutelare il socio di minoranza dal rischio di essere costretto a cedere la partecipazione ad un prezzo incongruo tutte le volte che, per esempio, non possa per speciali contingenze, o non voglia, esercitare la prelazione pur a fronte di un prezzo «basso», conveniente ma incongruo rispetto all’obbiettivo valore della sua quota. Inconferenti appaiono le considerazioni contenute in un pur autorevole parere circa il fatto che se realmente il prezzo offerto non riflettesse il valore delle azioni «la minoranza potrebbe - e il testo della clausola non lo esclude - trovare un altro terzo disposto ad acquistare l’intero capitale ad un prezzo più elevato di quello offerto alla maggioranza » o
«non dovrebbe avere difficoltà a trovare qualcuno disposto ad offrire di più per la partecipazione di maggioranza (il che le consentirebbe di acquistarla per poi rivenderla) o per l’intero capitale sociale »; viene infatti da chiedersi: e tutto questo quando? nello stretto termine di 15 giorni previsto per l’esercizio della prelazione? e magari sulla base di un’offerta
«complessa » come quella nella specie formulata? Si tratta di alternative del tutto ipotetiche ed astratte inidonee a convincere della equità sostanziale della clausola di covendita nel caso all’esame del Tribunale.
In definitiva ritiene chi scrive che l’esercizio del diritto di prelazione in alternativa all’obbligo di co-vendita, di per se´, non possa garantire la congruità del prezzo di dismissione, che resta comunque ancorata a valutazioni soggettive e arbitrarie del socio di maggioranza, rispetto alle quali il socio di minoranza non ha altro margine di intervento e tutela che non sia quello dell’esercizio di un diritto di acquisto, il quale, però, finisce per configu-rarsi in queste strettoie, più che come una garanzia, come un’ulteriore costrizione della libertà negoziale del socio di minoranza, obbligato ad acquistare la quota di maggioranza - dunque ad un notevole impiego di risorse finanziarie - tutte le volte che non ritenga conveniente la cessione della sua partecipazione al prezzo offerto.
Il socio di minoranza di Xxxxx si trova quindi vincolato dallo statuto ad un’opzione call da lui concessa al socio di maggioranza in favore di un terzo al momento non determinato (il terzo offerente) per un prezzo la cui determinazione non deve rispondere di per se´ a requisiti di congruità, stante la presunta salvaguardia rappresentata dal diritto di prelazione. Specularmente il diritto di exit del socio di maggioranza - che si ammetta rispondente anche ad esigenze organizzative e di migliore gestione della società stessa in base alla libera ed autonoma valutazione ex ante dei soci - è garantito a prescindere dalla necessità che sia individuata in concreto, secondo parametri obiettivi minimamente predeterminati, una
valutazione economica adeguata della partecipazione soggetta a dismissione, in contraddizione con il sistema del diritto societario che sempre si preoccupa – in armonia con i principi costituzionali di cui all’art. 24 e 42 Cost.- a fronte di diritti potestativi del socio o della società (esclusione, riscatto, sell-out, squeeze-out) stabiliti anche in considerazione di esigenze organizzative della società stesse, di individuare parametri rilevanti a seconda dei contesti per attribuire un valore non arbitrario all’azione.
Pertanto la clausola in parola va considerata nulla perché contraria a principi inderogabili dell’ordinamento. Benché la considerazione che precede si assorbente agli affetti di negare la cautela richiesta, si ritiene opportuno esaminare anche l’aspetto della validità o meno della formulazione della denuntiatio, non solo per completezza dell’analisi della fattispecie, in considerazione dell’ampio dibattito processuale sul punto, ma perché anche questo argomento mette in luce l’insufficiente garanzia che appresterebbe la mera previsione del diritto di prelazione del socio di minoranza.
Due i profili della denuntiatio che, in particolare, paiono decisivi agli effetti della carenza del fumus boni iuris: l’incertezza dell’identità del terzo offerente e la previsione di talune condizioni dell’offerta.
a) Lo statuto di Tecno (art. 11.3) stabilisce quale contenuto necessario dell’offerta in prelazione il «nome del cessionario». L’offerta di D.F. è invece effettuata per se´ o per persona da nominare, onde la comunicazione del socio di maggioranza contiene solo l’indicazione del terzo offerente che non è detto sia, per l’appunto, il cessionario. Se questa modalità di attivazione della clausola di prelazione appare in contrasto già con la lettera dello statuto, non si può trascurare di osservare che si tratta, in effetti, di una contrarietà ben più profonda che attiene alla ratio della clausola di covendita e all’intenzione delle parti che l’ hanno negoziata: l’offerta di acquisto di D.F. dell’intera partecipazione per se´ o per persona da nominare - offerta che viene comunicata al socio di minoranza tramite la denuntiatio del socio di maggioranza quale proposta contrattuale suscettibile di perfezionare il trasferimento della partecipazione all’inutile scadenza del termine per l’esercizio del diritto di prelazione - non è, invero, compatibile con l’esigenza di certezza dell’effettiva terzietà dell’offerente
/cessionario delle azioni. Una simile offerta non offre ex ante alcuna garanzia al socio di minoranza del fatto che dietro il terzo non agisca, in realtà, il socio di maggioranza, che in contrasto con il dovere di buona fede e di salvaguardia dell’altrui interesse negoziale, anziché attivare il diritto di trascinamento per non perdere una condizione di realizzo particolarmente vantaggiosa, si serva dello schermo di un terzo per ottenere l’espulsione del socio di minoranza.
Pertanto certamente risulta in contrasto con la ratio e con la finalità di tutela anche di esigenze organizzative della società che una siffatta clausola persegue, la possibilità che il terzo offerente non sia «nominato», che cioè non possa stabilirsi immediatamente che il meccanismo della co-vendita è attivato in presenza di una effettiva e reale possibilità per il socio di maggioranza di dismissione della partecipazione.
(Peraltro in concreto risulta dagli atti ne´ è contestato che D.F. è società costituita nel luglio 2006 con lo scopo di cogliere opportunità di investimento nel settore dei mobili di alta gamma, che ad oggi non ha dato corso ad iniziative diverse dall’acquisizione di Tecno, e che secondo la visura camerale del 26.11.2007 vede nella sua organizzazione quale Presidente del Consiglio di Gestione un soggetto che e` pure Direttore Generale di Tecno di nomina di I2 Capital).
b) La giurisprudenza con orientamento costante ritiene che l’accettazione del socio prelazionario per essere tale debba essere conforme al contenuto dell’intera denuntiatio, la quale non può limitarsi alla mera enunciazione dell’intenzione di addivenire alla vendita, ma deve indicare tutti gli elementi dell’offerta del terzo, sì da tradursi in una vera e propria proposta contrattuale, per mettere in condizione il socio di valutare la convenienza
dell’acquisto con piena consapevolezza, e per consentire la conclusione del contratto di trasferimento per effetto
della sola accettazione (salvo diversa previsione statutaria dei poteri del socio prelazionario; per esempio circa la determinazione del prezzo).
Nei casi di denuntiatio complesse come quella all’esame del Tribunale, pertanto, si pone il problema di verificare che dietro la complessità della proposta non si nasconda un tentativo di eludere gli obblighi che sorgono dal patto di prelazione in capo al socio che intende alienare la partecipazione, tentativo che può realizzarsi attraverso la formulazione di proposte contrattuali di contenuto assai difficilmente accettabili per il socio prelazionario, il quale, come nella specie, può solo sostituirsi al terzo, fornendo una risposta alla denuntiatio che deve necessariamente corrispondere alla proposta contrattuale del terzo, con riferimento sia alle clausole a contenuto strettamente economico, sia alle altre (cfr. sul punto Trib. 14 novembre 2000, Pres.-Rel. Tarantola in Le società n. 7/2001).
Orbene nell’offerta di acquisto di D.F. sono state introdotte alcune clausole (di «rinuncia a qualsiasi diritto nei confronti degli amministratori e sindaci dimissionari di Tecno e delle controllate e del direttore generale di Xxxxx»; di «rilascio a favore degli amministratori e sindaci dimissionari di Tecno e delle controllate e del direttore generale di una dichiarazione di manleva ed indennizzo rispetto a qualsiasi pretesa di Tecno o di soggetti terzi nei confronti di tali amministratori sindaci e direttore per un ammontare per ciascuno pari a euro 5.000.000,00» (si noti a fronte di un prezzo complessivo di 16.000.000 di euro, peraltro da distribuirsi secondo proporzioni non corrispondenti alla rispettiva quota di maggioranza e minoranza in base ad un parallelo patto parasociale); di «impegno a far si che l’assemblea di Tecno deliberi ai sensi dell’art. 2392 c.c. la rinunzia all’esercizio di qualsiasi azione di responsabilità nei confronti dei predetti....con la sola eccezione... delle azioni aventi per oggetto obblighi risarcitori... derivanti da dolo o colpa grave» [art. 4.1 dell’offerta]; di
«concessione di un diritto di opzione – già esercitato da I2 Capital al momento della denuntiatio - per l’acquisto delle quote dell’intero capitale di Tecno servizi» [art. 4.2.1]) che, da un lato, appaiono funzionale, più che ad esigenze di completezza dell’assetto negoziale di un contratto di trasferimento quote ad un terzo, ad impedire di fatto l’accettazione dell’offerta da parte del socio prelazionario, da tempo in conflitto con l’altro socio e già promotore di un procedimento ex art. 2409 c.c.; dall’altro, a prescindere dall’intento dell’altro socio, appaiono di per se´ aumentare la complessità della valutazione della convenienza dell’offerta in modo obbiettivamente non compatibile con la brevità del termine concesso per l’accettazione (di soli 15 giorni), implicando, al di là del vincolo d’acquisto, vincoli ulteriori ad atti di disposizione, anche per conto della società, di diritti amministrativi e posizioni giuridiche che non attengono necessariamente alla cessione.
E ciò appare tanto più irragionevole e in contrasto con un’interpretazione secondo buona fede del patto di prelazione se si considera che il suo mancato esercizio non si traduce solo nel diritto del socio di maggioranza di alienare a terzi la sua partecipazione, ma addirittura nell’obbligo del socio di minoranza di dismettere la sua quota, e lo status di socio di Xxxxx.
Pertanto la proposta in concreto formulata da D.F. e la conseguente denuntiatio di I2 Capital, non possono considerarsi idonee a far decorrere il termine di 15 giorni di cui allo statuto di Tecno per l’esercizio della prelazione, e conseguentemente per l’attivarsi del meccanismo di acquisto del terzo previsto dalla clausola n. 11.4. Il ricorso pertanto va respinto.
(omissis).
La natura e la validità della clausola drag along.
SOMMARIO: 1. Origine e contesto della clausola - 2. Natura della clausola - 3. Validità.
1. Origine e contesto della clausola. - Il Tribunale di Milano, con l’ordinanza in esame, ha dovuto per la seconda volta prendere posizione in merito alle clausole statutarie di c.d. drag along1. Con detta clausola si prevede statutariamente che, qualora il socio di maggioranza dovesse procedere alla cessione dell’intera propria partecipazione sociale ad un terzo acquirente, lo stesso avrà diritto di offrire in vendita (“di trascinare”2) anche la partecipazione del socio di minoranza, ad un prezzo unitario per azioni identico a quello offerto per la cessione della partecipazione di maggioranza3(art. 11.4).
La clausola, di derivazione anglosassone4, è stata elaborata nel contesto di venture capital5, che consiste in una forma di finanziamento attraverso l’acquisto di una partecipazione azionaria da parte del cd. partner finanziario (molto spesso, banche d’affari, fondi
1 Sul tema v. approfonditamente: Lodo Arbitrale, 29 luglio 2008, in Banca, Borsa e Xxxxxx di credito, 2008, 493 e ss., con nota di XXXXXXXXXXX; Trib Milano (ord.) 7 gennaio 2008, ined., ma citata da XXXXXXXXXXX, nota cit., nt. 1; DIVIZIA, Clausole statutarie di covendita e trascinamento, in Notariato, 2008, II, 157 e ss.; Trib. Milano, Ord., 31 marzo 2008, in Società, 2008, XI, 1379 e ss.; DE LUCA, Validità delle clausole di trascinamento (“drag along”), in Banca, Borsa e Titoli di credito, 2009, II, 174 e ss.; ; XXXXX, Xxxxx xxxxxxxxxxx e attività sociale, 2007, 48 e ss., ntt. 17-18; e per un’efficace descrizione di questa clausola come patto di cessione “in blocco”, e di altre clausole conosciute alla prassi (oltre alle più note call e put, anche tag-along, piggy-back, catch- up) x. XXXXX, Trasferimento delle quote di società a responsabilità limitata e patti parasociali, in Riv, delle Società, 2007, II, 182, nt. 1; BOSSI e GIUDICI, La reazione del mercato borsistico italiano ad annunci relativi a patti parasociali, su xxxx://xxx.xx.xxxxx.xx/XX/xxxxxxxxx/00XXX000-X000-00X0-0X00- 0B6B9BD1FFFB/61386/33GiudiciBossiReazionemercatoapattiparasociali.pdf.
2 Si esprime così XXXXXXXXX, Il contratto di pozione. I. Struttura e funzioni, 2007, 263.MANGANELLI,
Pattuizioni particolari, in I contratti di acquisizione di società e aziende, a cura di Draetta - Monesi, 2007, 591 ss.
3 La clausola dovrebbe recitare le seguenti statuizioni, almeno stando a quanto riporta XXXXXXXXXXX, Op. cit., 524, nt. 2: “qualora il socio di maggioranza dovesse procedere alla cessione dell’intera propria partecipazione sociale (Partecipazione di maggioranza), lo stesso avrà diritto di offrire in vendita ad un terzo acquirente (Xxxxx Xxxxxxxxxx) la partecipazione del socio di minoranza (Partecipazione di minoranza), insieme alla Partecipazione di maggioranza ad un prezzo unitario per azioni identico a quello offerto per la cessione della Partecipazione di maggioranza. A tal fine si applicheranno le seguenti previsioni: a) qualora il socio di maggioranza ottenga da un potenziale Terzo Acquirente una manifestazione di interesse ad acquistare una partecipazione sociale uguale o superiore alla partecipazione di maggioranza, il socio di maggioranza avrà altresì il diritto di offrire al predetto Terzo Acquirente anche la possibilità di acquistare l’intera Partecipazione di minoranza, allo stesso prezzo (per azione) e alle stesso condizioni offerte dal socio di maggioranza; b) nel caso in cui il Terzo Acquirente decida di acquistare anche la partecipazione di minoranza e pertanto formuli un’offerta irrevocabile avente ad oggetto la Partecipazione di maggioranza e la Partecipazione di minoranza, il socio di maggioranza comunicherà per iscritto ai soci di minoranza l’intenzione di procedere al trasferimento della Partecipazione di maggioranza unitamente a una copia dell’offerta irrevocabile del Terzo Acquirente di acquistare anche la Partecipazione di Minoranza; c) una volta ricevuta la comunicazione su citata, i soci di minoranza dovranno comunicare per iscritto al socio di maggioranza, a pena di decadenza dalla data di ricevimento della comunicazione, l’intenzione di esercitare il diritto di prelazione di cui all’art. 11.3, per tutta e non meno di tutta la Partecipazione di maggioranza, allo stesso prezzo per azione e alle stesse condizione offerte dal Terzo e dal socio di maggioranza; d) scaduto il termine per l’esercizio del diritto di prelazione da parte dei soci di minoranza, il socio di maggioranza dovrà procedere alla cessione della Partecipazione di maggioranza e della Partecipazione di minoranza al Terzo Acquirente entro 120 (centoventi) giorni, restando inteso che la cessione della Partecipazione di minoranza al Terzo Acquirente dovrà avvenire contestualmente alla cessione della Partecipazione di Xxxxxxxxxxx; e) i soci di minoranza avranno l’obbligo di dare corso a tutti gli adempimenti che fossero richiesti, al fine di consentire al Terzo Acquirente che abbia formulato l’offerta irrevocabile di acquisto di cui al punto (b) che procede all’acquisto della loro Partecipazione sociale contestualmente all’acquisto della partecipazione di maggioranza; f) l’impegno di dei soci di minoranza vale per l’intera loro partecipazione e non è applicabile in caso di offerta di acquisto parziale”.
4 Cfr. DE NOVA, I contratti atipici e i contratti disciplinati da leggi speciali: verso una riforma,, in Il contratto alieno, 2008, 44.
5 Sul punto v. DIVIZIA, Op. cit., 163-164; DE XXXX, Op. cit., 174-175; BOSSI e GIUDICI, Op. cit., nt.1, i quali rilevano che in tale ambito, la clausola è ricorrente, tanto che negli annunci dei patti parasociali intercorsi tra il 1997 e il 2004, nelle società quotate, il 7,14 % contiene una clausola di trascinamento. XXXXXXXXXXX, Op. cit., 525, fa riferimento piuttosto al contesto del joint venture, analogamente ad altri meccanismi di risoluzione degli stalli – deadlock – previsti nei patti parasociali: l’A, però sottolinea che rispetto alla tipologia diffusa di joint venture la clausola si caratterizza per il fatto che essa non si applica a tutti i soci, ma solo a quelli che dovessero rivestire il ruolo d maggioranza e/o d minoranza.
d’investimento o fondi chiusi, al cui capitale partecipano intermediari finanziari, investitori privati e fondi pensioni). Al ventur capitalist6 viene appunto attribuita una partecipazione di minoranza della società, unitamente a poteri di controllo sulla gestione della società: il fine ultimo del c.d. socio finanziario è quello meramente speculativo, che si manifesta attraverso la rivendita della partecipazione di minoranza a terzi (cc. dd. partner industriali), che invece sono interessati alla gestione della società, dopo che questa abbia superato la delicata fase iniziale dell’avviamento (in cui è stata supportata dai capitali esterni dei soci finanziatori).
Al fine di raggiungere tali obiettivi,, il venture capitalist si può tutelare facendo inserire nello statuto della società clausole che gli garantiscano un minimo di influenza nella governance societaria7, un certo livello di remunerazione e soprattutto la possibilità di uscirsene facilmente dalla compagine societaria, massimizzando il proprio investimento finanziario.
D’altro lato, il socio c.d. industriale ha interesse ad acquistare rilevanti pacchetti azionari, per ottenere un controllo diretto nella società: il suo obiettivo è quindi quello di acquistare una partecipazione azionaria tanto più importante, quanto più in grado di minimizzare i condizionamenti negativi dei soci di minoranza.
Ora in quest’ottica la funzione della clausola drag along è pienamente rispondente agli interessi dei soci di minoranza, di maggioranza e del terzo acquirente. Attraverso la sua ricezione nello statuto i primi, partner finanziari8, possono uscire dalla società lucrando speculativamente un prezzo di realizzo teoricamente più alto rispetto a quello ottenibile sul mercato, perché chi compra, acquistando anche la partecipazione di maggioranza e ottenendo il premio di maggioranza, dovrebbe essere disposto ad acquistare anche a un prezzo maggiore. Il socio di maggioranza9 ha poi lo stesso vantaggio e conseguentemente lo stesso interesse a poter rivendere a un prezzo maggiore, offrendo un pacchetto azionario, di per sé molto vantaggioso, in quanto garantisce un’ampia governabilità in seno alla società. Il terzo acquirente - partner industriale, d’altro canto, avendo come obiettivo la gestione della società, ha tutto l’interesse a comprare un partecipazione che gli garantisca un certo peso in seno all’assemblea ordinaria.10.
6 Sulle operazioni di ventur capital cfr. BRUNA, Finanziare l’innovazione: il venture capital dopo la riforma del diritto societario, in Riv. Dir. comm., 2005, 821 ss.; nella letteratura statutinitense x. XXXXXXXXX, The venture capital solution to the problem of close corporation shareholder fiduciary duties, 51, Duke L. J. 1139 (2001), il quale qualifica la clausola in esame come uno strumento volto ad assicurare al. c.d. venture capitalist una
c.d. exit-strategy (o anche c.d. way out) nelle operazioni di venture capital. Cfr. nella prospettivan italiana ance XXXXX, Il venture capital come strumento per lo sviluppo delle piccole e medie imprese: un'analisi dell'adeguatezza dell'ordinamento italiano, in Quaderni di ricerca giuridica, n. 55, Banca d'Italia, 2002, 27 e 49-51, in xxxx://xxx.xxxxxxxxxxxx.xx/xxxxxxxxxxxxx/xxxxxxx/xxx_00/xxx00/xxxxxxxx_00.xxx
7 Tali poteri trovano giustificazione soprattutto laddove il socio di minoranza ha una serie di poteri di interdizione dell'azione del socio di maggioranza, tali da non consentire al terzo nuovo socio di maggioranza un dominio di diritto sulla società bersaglio (si fa riferimento ai casi per esempio di previsioni di maggioranze qualificate per l'adozione delle decisioni, vuoi di “alta amministrazione” dei soci, come la nomina delle cariche sociali, o anche mutamenti dell'oggetto ovvero della struttura societaria ecc.; vuoi di “gestione strategica” dell'azienda sociale: come i c.d. bussines-plan, o politiche di investimento ecc.) Così di BITONTO, Op.cit., 1381 e note 17-18; Cfr. Altresì DONATIVI, Strumenti di corporate governance nel rapporto tra fondi di private equity e PMI, in Banca, borsa e titoli di credito, 2008, 205 ss.
8 Nelle ipotesi più complesse il socio finanziario può essere rappresentato da un investitore istituzionale, come il Ministero del Tesoro, che opera sulla base di direttive politico-economiche.
9 Invero la clausola in esame potrebbe essere anche strutturata direttamente in favore di un socio che già detiene il pacchetto di maggioranza della società, qualora sia sua intenzione negoziare una partecipazione azionaria molto ampia o addirittura l’intero capitale (si pensi all’ipotesi in cui lo statuto imponga quorum assembleari “rafforzati” su determinate materie, tali da imporre a chi acquista il raggiungimento di una posizione dominante in assemblea ordinaria solo detenendo la quasi totalità del capitale sociale) Così DIVIZIA, Op. cit., nt. 18; V. anche XXXXXXXXXX, Op.cit., 591 ss.
10 A ben vedere il beneficio del partner industriale è solo indiretto, poiché egli è certamente più garantito da una clausola bring along, che si differenzia dalla drag along, in quanto in quest’ultima il socio di minoranza ha il diritto ad esser trascinato, mentre nella prima è il socio di maggioranza che può obbligare il socio di minoranza a cedere anche la sua partecipazione azionaria. Cfr. DIVIZIA, Op. cit., 165.
Peraltro il terzo può profittare della clausola in questione per scegliere la compagine societaria, evitando che la minoranza possa vendere a terzi non graditi11
All'uopo il terzo acquirente può acquistare “in blocco”12 l'intero capitale della società “bersaglio” agli stessi termini e condizioni negoziati con il socio c.d. “trascinatore”.
Spesso, quando il diritto di covendere è attribuito al socio di maggioranza, la clausola drag along viene accompagnata dalla clausola c.d. tag along13 (diritto di seguito, altrimenti detta piggy back) che attribuisce al socio di minoranza (o più in generale a quello che non ha ricevuto l'offerta) il diritto di vendere, per non essere lasciato solo in compagnia del nuovo acquirente14.
Occorre allora verificare entro che limiti una clausola atipica15 nata in un contesto diverso dal nostro ordinamento possa ritenersi applicabile nel sistema delle società di capitali italiane, posto che essa sembra come visto presentare interessi meritevoli di tutela16.
2. Natura della clausola. - Stante il carattere certamente atipico della clausola di cui si tratta17, si discute nell’ordinanza circa la natura della stessa alla stregua delle categorie giuridiche che sono proprie del sistema italiano, poiché è dalla natura della clausola che si evince la disciplina alla stessa applicabile. Secondo il Tribunale di Milano la clausola in esame configurerebbe un'opzione18 call (di acquisto) a favore di terzo19, ossia un contratto preparatorio di opzione20, con cui, seguendo la ricostruzione fatta in dottrina21, il socio di
11 X. XX XXXX, Op. cit. 175 e di BITONTO, Op. cit., 1381.
12 Così XXXXX, Op.cit., 591
13 Per una disamina completa anche di questa clausola v. DIVIZIA, Op. cit., 158-162; cfr. FIGONE, Limiti statutari alla circolazione delle azioni, nota a Trib. Monza, 7 maggio 1997 e App. Milano 23 giugno 1997, in Le Società, 1997, 1304 ss., e PEDERSOLI, Sindacati di blocco: validità, tipi, effetti, in Xxxxxxx-Jaeger (a cura di), Sindacati di voto e sindacati di blocco, 1993, 238 ss. In ordine all’ambito di applicazione è stato affermato che «si tratta di una clausola diffusa nelle holding, dove vi sono soci con peso diverso, la cui partecipazione potrebbe risultare irrilevante per il controllo della società, con il conseguente rischio di rimanere congelata e priva di reae valore, in quanto nessuno avrebbe interesse al suo acquisto». Così XXXXXXXX, Clauosole di covendita: Tag-Along, Piggy Back, Drag-Along e Bring-Along, consultabile sul sito xxx.xxxxxxxxxxx.xx. Si discute poi in dottrina se le clausole in esame abbiano efficacia obbligatoria o reale: per un’esposizione dei diversi orientamenti x. XXXX, La clausola di Prelazione negli statuti della società per azioni, 1991, 35 ss.: favorevole alla prima tesi PONTI, PANNELLA, La preferenza nel diritto societario e successorio, 2003, 221; favorevoli alla seconda soluzione: CAMPOBASSO,Diritto commerciale. Diritto delle società, 2006, 246, DAL SOGLIO, Commento all’art. 2355-bis, in Il nuovo diritto delle società, a cura di Xxxxxx Xxxxxxx, 2005, I, 329 ss. In giurisprudenza x. Xxxx. 00 gennaio 2005, 691, in Le società, 2005, 1520 ss. con nota di XXXXXXX, Validità della clausola di prelazione nella vendita fallimentare di quote di s.r.l.
14 V.ancora XXXXXXXXXXX, nota cit., 525. È stato poi affermato che l’attuale diffusione di dette clausole (definite in base al funzionamento tag along, drag along e bring along) è riconducibile dopo la riforma del 2003 all’introduzione di limiti di durata massima anche per i patti parasociali delle società per azioni non quotate e quindi ala loro congenita instabilità temporale. X. Xxxxxxx x. 00 del Consiglio Notarile di Milano in Massime notarili in materia societaria, 2008, 255, richiamata da DIVIZIA, Op. cit., 158. Sul tema v. anche XXXXXXXXXXX, La stabilizzazione, 148 ss. e in particolare 158.
00 Xxx. XX XXXX, Contratto per una voce, in Il contratto alieno, cit., 2.
16 Per XXXXXXXXXXX, nota cit., 531, la meritevolezza ex ante della clausola è quella di semplificare la circolazione dei pacchetti azionari di maggioranza, e quindi di allocare diversamente la titolarità delle imprese. Cfr. anche DE XXXX, Op cit., 185, che ritiene le clausole di trascinamento un utile strumento per favorire investimenti in nuove imprese
17 Cfr. Lodo arbitrale cit., 508.
18 Il Tribunale milanese sarebbe così d'accordo con il parere pro veritate presentato in sede di Arbitrato da una delle parti coinvolte nella medesima controversia, di cui si discute. Cfr. ancora Lodo arbitrale cit., 508
19 Sulla compatibilità del contratto di opzione con il contratto a favore di terzo cfr. DI XXXXXXX, Ammissibilità del contratto di opzione a favore di terzo, nota a Xxxx. 1 dicembre 2003, n. 18321, in Notariato, 2005, 147.
20 Circa la qualificazione in dottrina del contratto di opzione (assieme alla proposta irrevocabile, al contratto di prelazione ed al contratto preliminare) come fonte di rapporti giuridici “di natura strumentale o preparatoria”, cfr. XXXXXXXXX, voce Opzione, in Enc. Giur., XXI, 1990, 3, che li configura come negozi unilaterali o bilaterali che, creando un vincolo a carico di uno od entrambi i soggetti del rapporto, sono prodromici e strumentali alla
minoranza (“promittente”) concederebbe il diritto di opzione al terzo acquirente (ozionario e terzo beneficiario) di poter acquistare anche la sua partecipazione azionaria. Il socio di maggioranza assumerebbe invece le vesti dello “stipulante”, cioè la parte che devia verso il terzo beneficiario gli effetti favorevoli nascenti dal contratto di opzione.
Sulla base di questa ricostruzione teorica, emergerebbe in capo al terzo acquirente un diritto potestativo22 nei confronti del socio “trascinato”, che invece resterebbe specularmente in una posizione di mera soggezione.
La clausola drag along si connoterebbe anche per il suo carattere sospensivamente condizionato: il meccanismo negoziale di attribuzione al terzo futuro acquirente del diritto all'acquisto della partecipazione azionaria del socio “trascinato” è cioè sottoposto, secondo il Tribunale di Milano, alla duplice condizione sospensiva sia della ricezione da parte del socio di maggioranza di un'offerta da parte del terzo23, ché del mancato esercizio del diritto di prelazione sulla partecipazione maggioritaria, previsto a favore del socio di minoranza.
Altra parte della dottrina24 ha invece ricostruito la clausola in esame come contratto per persona da nominare, tale che il socio di maggioranza rivestirebbe il ruolo della parte riservataria del potere di nomina di colui il quale acquisterà il pacchetto azionario oggetto del contratto esecutivo della clausola: in questa prospettiva la comunicazione del socio di maggioranza al socio “trascinato” costituirebbe una electio amici xx xxx. 0000 x.x., xxxxxx x'xxxxxxx xx xxxxxxxx xxx xxxxx assurgerebbe a atto formale di accettazione della nomina del socio trascinatore ex art. 1403 c.c.
Tale qualificazione è stata poi superata dall'Arbitro Unico di Milano25, che ha dovuto anch'egli derimere la medesima controversia sulla natura e validità della clausola. La clausola è stata interpretata nel lodo alla stregua di un mandato a vendere. Ciò si ricaverebbe dall'intenzione del socio di minoranza di concedere al socio di maggioranza il potere di disporre anche della propria partecipazione, nell'ipotesi in cui reperisse un terzo disposto ad acquistare le partecipazioni di maggioranza e di minoranza ad un medesimo prezzo unitario. Così interpretata, la clausola sarebbe anche più rispondente alla funzione che le è propria e anche perché, come abbiamo visto sopra26, il socio di minoranza, in qualità di partner finanziario, avrebbe la certezza di non restare vincolato indefinitamente al proprio investimento azionario e di potere uscire dalla compagine societaria ottenendo comunque il valore di mercato delle proprie azioni, vendendo il tutto al terzo “esterno” o alternativamente al minoritario “interno”, che sia disposto a “pareggiare” il prezzo del terzo, entro quindici giorni dalla ricevuta comunicazione da parte del socio di maggioranza al socio di minoranza. Peraltro, sottolinea l'Arbitro Unico, l'incarico affidato al mandatario avviene anche nel suo interesse, quindi il mandato si configurerebbe come in rem prorpiam e di conseguenza irrevocabile.
Un'ulteriore connotazione del mandato di cui si tratta è che esso non è meramente esecutivo, in quanto non sono ancora stati predeterminati in maniera esauriente gli elementi essenziali del negozio. Esso si configurerebbe piuttosto come: «mandato a disporre con diligenza quam
stipulazione di un'ulteriore contratto finale, che disciplinerà in via definitiva i rapporti tra le parti (cfr. ancora XXXXXXXXX, Il rapporto giuridico preparatorio, 1974.
21 di BITONTO, Op.cit., 1381 e note 19-27.
22 Sul diritto potestativo in capo all'opzionario x. XXXXXXXXX, Op. cit., 55 ss. E in giurisprudenza: Xxxx. 22 gennaio 1982, n. 436, in Mass. Giur. it., 1982.
23 Come ha sottolineato attenta dottrina (PROVERBIO, I patti parasociali, , 73) l'offerta deve avvenire anche per il socio di minoranza alle medesime condizioni garantiti al socio di maggioranza.
24 PROVERBIO, Op. cit., 73.
25 Cfr. Lodo arbitrale cit., 510-511, sulla stessa linea XXXXXXXXXXX, nota cit., 532, il quale non accetta la qualificazione della clausola in termini di opzione, poiché non sarebbe sufficiente l’accettazione del terzo di una proposta irrevocabile fatta a suo tempo dal socio obbligato, ed il mancato esercizio della prelazione della prelazione statutaria da parte dei minoritari, per perfezionare il negozio, anche in quanto il passaggio della titolarità delle azioni è rinviato ad un successivo contratto di trasferimento.
26 V. ntt. 6-7.
suis e nell'interesse anche del mandatario»27. Un mandato cioè che affida al mandatario non solo il compito di reperire l'acquirente, ma anche di negoziare le condizioni i termini del negozio gestorio da concludere con la controparte. Essendo, quindi, nel mandato dedotta in obbligazione la diligenza, e non un risultato predefinito, il contratto non incorrerebbe nel pericolo di nullità per indeterminatezza dell'oggetto.
Altra parte della dottrina28 ha invece ricostruito la clausola in termini di «obbligo preliminare
- alla conclusione di un contratto definitivo con un terzo a prezzo da definire per relationem – che l’altro socio consegue per potersene giovare nelle proprie trattative con il terzo acquirente.»
Ora tutte queste ricostruzioni teoriche presentano a ben vedere alcune riserve.
Il contratto per persona da nominare per esempio non risponde alla funzione propria della clausola, perché, come giustamente è stato evidenziato29, nel nostro ordinamento tale figura contrattuale sembra configurata come contratto per sé o in via eventuale ed alternativa per persona da nominare30, ma l’intento sotteso alla clausola in esame è solo quello di fare acquistare al terzo. In altri termini la clausola drag along costituirebbe un contratto solo per persona da nominare, affine al «contratto per conto di chi spetta»31, che quindi sarebbe una fattispecie diversa da quella disciplinata dagli artt. 1401 e ss. codice civile.
Più semplicemente, si può rilevare che se la persona non viene nominata, ai sensi dell’art. 1405 c.c. gli effetti del contratto si producono in capo ai contraenti originari, ma questo è quanto di più lontano le parti (socio di minoranza e di maggioranza) vogliono che accada.
Quanto al mandato a vendere c’è da sottolineare, a nostro sommesso avviso, che dalla lettura della clausola non emerge che il socio di maggioranza abbia un obbligo di negoziare con il terzo, né tantomeno che egli debba negoziare nell’interesse del socio di minoranza32.
27 Così si esprime il Lodo arbitrale cit., 512.
28 XXXXXXXXXXX, nota cit., 532-533.
29 di BITONTO, nota cit., 1382
30 Cfr. XXXXXX, Il contratto, in Diritto civile, 3, 129-132. Quanto ai rapporti tra contratto per sé o per persona da nominare e il contratto a favore di terzo: x. Xxxx., 25 settembre 2002, n.13923, in Dir. e Giust., 2002, I, 39, 25 con nota di XXXXX, citando e riprendendo testualmente come precedente Cass. 13 febbraio 1981,n.891, ha affermato che, in un contratto preliminare di compravendita immobiliare, la clausola che preveda che il promissorio acquirente acquisti per sé o per persona da nominare può comportare la configurabilità sia di una cessione del contratto, ai sensi dell’art. 1406 ss. c.c., con il preventivo consenso della cessione a norma dell’art. 1407 c.c., sia di un contratto per persona da nominare di cui all’art. 1401 c.c., e ciò sia in ordine allo stesso preliminare che con riferimento al contratto definitivo. La giurisprudenza della Suprema Corte è quindi piuttosto elastica nel configurare la posizione dl terzo, come soggetto da nominare o a favore del quale è la pattuizione, il cui intervento nel giudizio ex art. 2932 c.c. tra i due stipulanti determina l’accettazione: v., al riguardo, Xxxx., 13 febbraio 1981, n. 891, Xxxx. It., 1982, I, 1, 1461, per la quale, in caso di preliminare di vendita immobiliare, si è detto che la clausola che preveda che il promissorio acquirente acquisti per sé o per persona da nominare può comportare la configurabilità sia di una cessione del contratto sia di un contratto per persona da nominare e si aggiunge: «Tale pluralità di configurazioni giuridiche in relazione all’intervento dei terzi nella fattispecie contrattuale – preliminare o definitiva – va riferita alla volontà delle parti contraenti, che l’interprete deve ricercare in concreto anche in correlazione alla funzione - invalsa nella prassi degli affari –di impiegare il contratto preliminare per la disciplina intertemporale dei rapporti contrattuali delle parti, al di fuori di una coincidenza, che non sia meramente verbale, con gli schemi tipici ; approntati dal legislatore; in tale prospettiva, pertanto, la specifica clausola contrattuale può comportare anche la configurabilità del contratto preliminare come contratto a favore di terzo mediane la facoltà di designazione concessa al promissorio, fino alla stipulazione del definitivo, e la posizione della persona, cui si riferisce tale facoltà di nomina, come destinatario della prestazione pattuita, consistente nella prestazione del consenso per la stipula del contratto definitivo, con la conseguente possibilità, nel giudizio promosso ex art. 2932 c.c., per il promissario acquirente di chiedere l’attuazione del trasferimento in favore della persona nominata, e per quest’ultimo di intervenire nel giudizio per manifestare la propria accettazione, ai sensi del comma 2 dell’art. 1411 c.c., al fine di rendere possibile l’effetto traslativo – cui in definitiva mira il procedimento ex art. 2932 c.c.- direttamente in suo favore». Cfr anche Xxxx., 9luglio 1997, n. 6206.
00 X. XXXXX, , Xx xxxxxxxxx, xx Xxxxxx x Xxxxx (x cura di), Trattato di diritto privato, 2001, 321
32 Cfr. XXXXXXXXXXX, nota cit., 535, che sostiene appunto che la clausola ha la funzione di vincolare il socio minoritario al successivo contratto con il terzo alle condizioni contrattate dal socio di maggioranza. Infatti, proprio perché egli ha acquistato il diritto di co-vendere è da escludere che egli sia obbligato nei confronti
La clausola statutaria (art.11.4) stabilisce che il socio di maggioranza ha il diritto di “trascinare” il socio di minoranza nella vendita delle loro partecipazioni azionarie: ciò comporta che il “trascinatore” non solo può obbligare il socio di minoranza a vendere ma può anche decidere di non coinvolgerlo nella vendita. L’art. 1703 c.c. invece, nel delineare la nozione del contratto di mandato, prevede che il mandatario abbia l’obbligo di compiere uno o più atti giuridici per conto del mandante.
Peraltro l’incipit dell’art. 11.4 recita: “qualora il socio di maggioranza dovesse procedere alla cessione dell’intera propria partecipazione sociale (Partecipazione di maggioranza), lo stesso avrà diritto di offrire in vendita…”. Da ciò se ne deduce, che il socio di maggioranza non ha nessun obbligo neppure con riferimento alla cessione della propria quota.
Infine occorre rilevare che l’offerta della vendita a prezzo unitario viene fissato con riferimento anche alla partecipazione del socio “trascinato” al prezzo e alle condizioni stabilite dal terzo: questo è un chiaro indizio a favore del nostro assunto di partenza, ossia il socio di maggioranza negozia nel proprio interesse, non anche in quello del socio di minoranza.
Occorre ora valutare se la qualificazione della clausola in termine di opzione call a favore di terzo proposta dal Tribunale di Milano sia o meno da accogliere. In merito è opportuno richiamare i rilievi dell’Arbitro unico che ha ricusato la ricostruzione della clausola come contratto a favore di terzo sia con riferimento alla configurazione della stessa in termini di preliminare a favore di terzo sia con riferimento a quella in termini di opzione a favore di terzo. Secondo il lodo in esame: «in diritto italiano non può esservi contratto a favore di terzo se il terzo anziché essere beneficiario della prestazione dovuta dal promettente e “divertita” verso la sua sfera per volontà ed interesse dello stipulante, è tenuto anch’egli (terzo) a contro- prestare, cioè ad eseguire lui stesso come debitore una prestazione corrispettiva a quella a lui rivolta come creditore-beneficiario»33. Inoltre, come asserito sopra, non è pensabile che il socio di maggioranza stipuli un patto parasociale, da cui trae origine la clausola, e poi pretenda la sua conversione in clausola statutaria al fine di proteggere l’interesse di un futuro terzo, peraltro non ancora identificabile: il socio trascinatore, come evidenziato sopra, agisce nel suo esclusivo interesse, al fine di assicurarsi la sicurezza di un exit quando lo avesse voluto e avesse trovato il terzo idoneo per condizioni e prezzo34.
Posto allora che il contratto tra minoranza e maggioranza è un accordo con effetti che si dispiegano solo tra le parti, è necessario a questo punto stabilire se sia o meno ammissibile la proposta del tribunale milanese di interpretare la clausola di trascinamento come un patto di opzione.
A nostro sommesso avviso, posto che ai sensi dell’art. 1331 c.c. con l’opzione i contraenti convengono che una sola parte abbia il diritto - potestativo - di accettare o meno la proposta irrevocabile della prima, la quale invece rimane in una posizione di mera soggezione35, effettivamente la clausola de qua presenta forti analogie con l’istituto in esame. Il socio di minoranza è infatti vincolato alla vendita, se il socio di maggioranza decide di offrire al terzo acquirente le partecipazioni societarie.
Va infine resa un’ulteriore critica alla ricostruzione del Tribunale, che considera la clausola sospensivamente condizionata sia ad un’effettiva offerta da parte del terzo, sia al mancato esercizio di prelazione in capo al socio di minoranza.
dell’obbligato alla co-vendita-diritto di seguito (c.d. tag along), o ottenuto con altro corrispettivo che di un mandato a vendere (pur potendo il contratto essere configurato come misto introducendo un obbligo fiduciario in specifiche circostanze). L’A così conclude che: «il socio titolare del diritto di co-vendita non deve amministrare il potere di determinare il contenuto del contratto tra terzo e socio obbligato alla co-vendita in modo da massimizzare l’interesse del socio obbligato – cioè curarne principalmente la massima quantificazione.»
33 Cfr. Lodo arbitrale cit., 510-511.
34 V. ancora Lodo arbitrale cit., 511, con nota parzialmente adesiva di XXXXXXXXXXX.
35 V. nt. 19.
Occorre però porre in luce che, come tutte le ricostruzioni fin qui analizzate hanno giustamente riscontrato, la clausola va concepita come un accordo preparatorio, con efficacia cioè organizzativa36 per la compagine societaria. Da ciò ne discende che il negozio di compravendita tra terzo e soci è il contratto con cui si dà esecuzione alla clausola stessa. Ma il terzo acquista solo se il socio di minoranza non decide di esercitare il diritto di prelazione. Si può allora arguire che il mancato esercizio della prelazione funge da clausola risolutiva del negozio esecutivo piuttosto che da condizione sospensiva della clausola drag along. Infatti una volta che il socio di maggioranza ha esercitato il diritto di offrire al terzo le partecipazioni di cui può disporre, gli è del tutto indifferente se chi acquista è il socio in minoranza o il terzo. L’interesse del socio maggioritario – lo ribadiamo – è quello di vendere la propria quota ed uscirsene dalla società alle condizioni pattuite con il terzo acquirente e non certo quello di vendere al terzo stesso.
Chi invece ha un diritto sospensivamente condizionato è proprio il terzo, che a fronte della sua proposta irrevocabile, nulla potrà acquistare, se il socio in minoranza decida di comperare la quota della maggioranza. In tal caso, infatti, il terzo vedrà il contratto stipulato col socio maggioritario risolto per avveramento della condizione risolutiva.
3. Validità - La parte sicuramente più importante del provvedimento in esame riguarda i limiti entro i quali la clausola drag along è da considerare valida.
Il tribunale, in linea con il recente orientamento espresso in dottrina37, ritiene essenziale che il vincolo nascente da una clausola di trascinamento abbia un “congruo contrappeso” negoziale. Ebbene tale contrappeso è ravvisabile, secondo l’ordinanza in commento, che riprende la massima elaborata dal Consiglio Notarile di Milano38, nell’ “equa valorizzazione” della partecipazione “trascinata”39. Le parti devono cioè prefissare un prezzo “equo” minimo che non potrà essere modificato in senso peggiorativo dalle trattative tra socio di maggioranza e terzo. In tal modo «la concreta operatività della clausola impedisce di attribuire di fatto al socio di maggioranza il potere di escludere ad nutum il socio di minoranza» 40: si evita così il c.d.“effetto espropriativo”41 derivante dalla differenza tra il valore effettivo della partecipazione di minoranza e quello convenzionalmente fissato, per il suo trasferimento, nella proposta di acquisto totalitario formulata dal terzo.
36 Sulla natura organizzativa della clausola v. XX XXXX, Op. cit., 180-181
37 Sul punto cfr. XXXXXXXXXXX, Op cit. e Stabilizzazione della compagine sociale e clausole di lock-up sociali e parasociali, in Riv. Soc. 2008, 153-154, nt. 5.
38 Massima n. 88 elaborata dalla commissione società del consiglio notarile di Milano, secondo cui:«Si reputano legittime le clausole statutarie che prevedono, in caso di vendita di partecipazioni in s.p.a. o s.r.l., il diritto e/o l’obbligo dei soci diversi dal socio alienante di vendere contestualmente, a loro volta, le partecipazioni possedute; queste clausole, tuttavia, restano soggette alle disposizioni relative ai limiti alla circolazione delle partecipazioni, proprie dei rispettivi tipi sociali (s.p.a. o s.r.l.) e ove prevedano l’obbligo di vendita devono essere compatibili con il principio di una equa valorizzazione della partecipazione obbligatoriamente dismessa». Contra DE LUCA, Op. cit., 182-183, che riscontra come la regola di determinazione del valore di liquidazione è in via generale derogabile per statuto, seppure con il vincolo di indicare i valori di bilancio da rettificare e gli altri elementi da tenere in considerazione (art. 2437-ter, 4° comma, c.c.)
00 X. xx XXXXXXX, Op. cit., 1383. In linea con l’ordinanza in commento anche il Lodo cit., con nota di XXXXXXXXXXX, 526, il quale sottolinea come per l’Arbitro se il prezzo offerto dal Terzo (per la maggioranza e per la minoranza) fosse inferiore a quello di recesso, il negozio concreto di riferimento sarebbe nullo, perché il prezzo è stato fissato in violazione della norma imperativa dell’art. 2437, comma 6° c.c.
40 Così la massima II, esposta sopra.
41 Il riferimento al termine espropriazione è al profilo materiale, in quanto la parte si è obbligata volontariamente al trasferimento a condizioni variabili economicamente ma predefinite nell’an (l’offerta del terzo). Vi è chi addirittura ha definito la clausola in esame una vera e propria “clausola di vendita forzata”: così XXXXXXXX, Gli aspetti legali, in Xxxxxxxxx-Xxxxxx (a cura di), Private equità e venture capital. Manuale di investimento nel capitale di rischio, 2008, 437
Si pone così il problema di come determinare il valore “equo” della partecipazione dimessa. Il giudice monocratico aderisce alla teoria che assegna un valore sistematico alla disciplina codicistica del recesso42, che garantisce al socio recedente una liquidazione della sua quota secondo criteri legislativamente predeterminati43.
L’argomento non convince.
Va anzitutto messo in luce, che la clausola drag along va interpretata insieme al contestuale diritto di prelazione a favore del socio di minoranza: infatti, una volta ricevuta la comunicazione da parte del socio di maggioranza di voler procedere al trasferimento della propria partecipazione, il socio di minoranza dovrà a sua volta comunicare per iscritto al socio di maggioranza l’intenzione di esercitare il diritto di prelazione per tutta la partecipazione di maggioranza, allo stesso prezzo per azione e alle stesse condizione offerte dal Terzo al socio di maggioranza44.
A tal proposito il Tribunale di Milano ritiene che la clausola in esame non vada interpretata unitariamente al diritto di prelazione a favore del socio di minoranza. In primo luogo sulla base del fatto che il diritto di prelazione è statutariamente previsto dall’autonoma clausola dell’art.11.3 e quindi non è stato concepito, in via sistematica, come contrappeso del diritto del socio di maggioranza di offrire al terzo anche la quota di maggioranza. Di conseguenza troverebbe applicazione quand’anche non fosse stata prevista la clausola drag along. In secondo luogo in considerazione dell’eventualità che il socio di minoranza potrebbe non essere realmente capace o non volere acquistare la quota di maggioranza, perché, seppure il prezzo sia conveniente, non è congruo rispetto al reale valore della quota
La prima argomentazione non convince, perché l’art. 11.4, in cui è disciplinata la clausola in esame prevede espressamente come abbiamo visto45 la comunicazione del socio trascinatore al trascinato proprio per consentirgli di esercitare la prelazione entro un certo termine. Peraltro è lo stesso giudice monocratico a ricostruire la figura della clausola de qua come sospensivamente condizionato al mancato esercizio del diritto condizionato al mancato esercizio di prelazione sulla quota di maggioranza46.
In sostanza ci pare indubitabile che il diritto di prelazione in favore del socio in minoranza faccia da contraltare al diritto, spettante al socio di maggioranza, di poter offrire al terzo
42 In questo senso aderendo ad un parere pro veritate del Prof. Portale, il quale ritiene da una parte che la clausola sia assimilabile alla disciplina delle azioni riscattabili, e di conseguenza l’applicazione automatica anche nei suoi confronti della disciplina della liquidazione della quota secondo i criteri previsti per il recesso del socio, e dall’altra considera, sotto un profilo più generale, l’assoluta inammissibilità nel nostro ordinamento di un’assenza di limiti al potere della maggioranza di negoziare liberamente con il terzo acquirente tutto il contenuto del negozio traslativo destinato a vincolare anche la minoranza che costituirebbe una preventiva abdicazione al diritto di proprietà da parte del socio di minoranza, di per sé non riequilibrabile dalla facoltà di esercitare il diritto di prelazione. Cfr Lodo Arbitrale cit., 503-504. È lo stesso Xxxxxxx Unico ad affermare che il provvedimento in esame in tema di nullità della clausola de qua giunge a conclusioni del tutto in linea con le argomentazioni esposte dall’autorevole parere pro veritate del Prof. Portale.
43 In ordine ai profili problematici del calcolo del valore di liquidazione in caso di recesso, si vedano le considerazioni svolte nel corposo contributo di XXXXXXXXX, Il nuovo diritto di recesso: aspetti valutativi, in Riv. Soc., 2005, 450 ss. Il criterio di valutazione calcola il valore reale delle azioni, aumentato dalle prospettive reddituali della società o del valore di mercato se esiste. Tale criterio corrisponde al Delaware Block Method, che considera solo tre fattori: market value (il valore di mercato), asset value (il valore reale delle azioni) e earnings value (il valore che riflette le prospettive reddituali dell’impresa), che veniva impiegato per fornire agli amministratori delle società bersaglio di scalata amichevole ma parziale alcuni criteri per formulare i propri suggerimenti degli azionisti, considerando quelli che riescono a vendere e quelli che restano fuori. La forte analogia è stata notata da DE LUCA, Op. cit., 175-176, nt. 6 e VENTORUZZO, I criteri di valutazione delle azioni in caso di recesso del socio, in Riv. Soc., 2005, 309, ivi a 364, nt. 140.
44 Cfr. XX XXXX, Op. cit., 175, il quale ravvisa come il procedimento per l’esercizio della prelazione possa servire per disinnescare i poteri di penetrante controllo che nelle operazioni di finanza privata (venture capital) sono normalmente attribuiti al finanziatore, e che possono alimentare perniciosi conflitti interni.
45 V. nt. 3.
46 Cfr. di BITONTO, Op. cit., 1382.
anche la partecipazione del socio “trascinato”, anche perché altrimenti la clausola prevedrebbe un diritto di disporre di una proprietà altrui senza che il proprietario (socio “trascinato”) riceva alcun corrispettivo.
La seconda considerazione del Tribunale di Milano ricusa la tesi esposta dalla parte ricorrente e dal terzo intervenuto (il terzo acquirente e il socio di maggioranza)47 che sostenevano che il diritto di prelazione funzionasse come meccanismo di salvaguardia della fissazione di un valore non arbitrario della partecipazione sociale del socio di minoranza: il giudice milanese ritiene invece che l’esercizio del diritto di prelazione di per sé non garantisce la congruità del prezzo di dismissione, che resta ancorata a valutazioni arbitrarie del socio di maggioranza48. Il ragionamento a fondamento dell’ordinanza risiede in una valutazione complessiva della disciplina del diritto societario49, volto a tutelare i soci che per circostanze contingenti o per iniziativa di altri soci50 siano costretti ad uscire dalla compagine sociale: in situazioni come la morte, l’esclusione, lo squeeze-out, il sell-out, il recesso del socio o il riscatto delle sue quote da parte della società, l’ordinamento infatti richiede che al socio uscente (o in caso di morte ai suoi eredi) sia liquidata una quota prefissata attraverso parametri obiettivi. Ebbene secondo parte della dottrina51 seguita dalla giurisprudenza in commento queste norme rientrerebbero nell’ambito di principi costituzionali (artt. 24 e 42 Cost.) a garanzia di abusi scaturenti da un’indebita espropriazione.
In definitiva la clausola è ritenuta nulla per contrarietà a norme imperative52. Le argomentazioni però non convincono pienamente.
47 Richiamate da di BITONTO, Op. cit., nt. 42
48 V. la massima II esposta sopra.
49 Si fa riferimento alle seguenti norme, limitatamente alle società lucrative: per le società di persone all’art. 2289 c.c. in relazione agli artt. 2284 (morte) e 2285 c.c. (esclusione), per le società azionarie (s.p.a. e s.a.p.a.) all’art. 2357 c.c. (acquisto di azioni proprie), nonché all’art. 2437 ter c.c. in relazione all’art.2437 sexies (riscatto); per le società a responsabilità limitata, all’art. 2437 x.x. xxxxxxxxx xxx’xxx. 0000 xxx x.x. (xxxxxxxxxx), per le società quotate in mercati regolamentati, l’art. 111 D. Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58 (c.d. squeeze out legale, sul quale e, più diffusamente sul c.d. squeeze out statutari, cfr. SALAFIA, Squeeze out statutario, in Le Società, 2007, 1450 ss., secondo il quale un diritto di acquisto a favore di un socio non dovrebbe essere previsto nello statuto e non potrebbe essere previsto [in quanto espropriativi ex art. 42 Cost.]. Questo ultimo richiamo secondo XXXXXXXXXXX, nota cit., nt. 7, sembra infondato, in quanto la disposizione protegge l’ablazione della titolarità, senza partecipazione della volontà del titolare, di un bene le cui regole non prevedano la possibilità di tale perdita di titolarità. Inoltre – sostiene l’A. – non è specificato se sia rilevante il tipo sociale nel quale lo squeeze out fosse statutariamente previsto).
50 Fatto salvo ovviamente l’apporto volitivo indiretto e mediato dell’adesione allo statuto o ai patti sociali della società.
51 In senso contrario x. XXXXXXXXXXX, Stabilizzazione, nt. 5, 154 e nota cit.,nt. 6, 526.
52 Tra le altre tesi proposte circa la nullità della clausola si segnala quella sostenuta nel parere pro veritate del Prof. Portale, il quale ritiene in primo luogo che la clausola determinerebbe nell’ambito di una stessa categoria di azioni diritti individuali in capo a singoli azionisti, cosa inammissibile nelle società azionarie; in secondo luogo la clausola è assimilabile a una clausola statutaria di riscatto, donde la nullità della clausola perché inidonea ad assicurare ex ante la certezza di una valutazione equa ( e comunque non inferiore a quella inderogabile garantita dal richiamo in materia di riscatto dell’art. 2437-sexies c.c. alla norma dettata sulla liquidazione delle azioni dei recedenti ex art. 2437-ter); in terzo luogo nel nostro ordinamento è inammissibile che un soggetto possa liberamente disporre di un bene altrui con assoluta discrezionalità in termini di prezzo e altre condizioni.
Quanto al primo profilo l’Arbitro Unico sottolinea, a nostro sommesso avviso giustamente, che la clausola de qua attribuisce il diritto a chi sia o divenga maggioranza e non anche a chi lo era all’atto della sua introduzione: di conseguenza la clausola non violerebbe il principio del pari trattamento delle azioni di una stessa categoria;quanto al secondo profilo si mette in luce che la figura del drag along non è assimilabile a quella del riscatto, perché la prima contempla il diritto di prelazione in favore del socio, la seconda invece contempla un fattispecie in cui il socio si trova in una posizione di mera soggezione a fronte del diritto potestativo di riscatto della società; quanto all’ultimo profilo, l’Arbitro sostiene che è certamente valido nel diritto italiano con cui due contitolari di uno stesso bene convengano che il titolare della quota maggiore avrà il potere di vendere al meglio l’intero bene a terzi, offrendo cioè al potenziale acquirente tanto l’acquisto della propria quota quanto quella del contitolare allo stesso prezzo. Cfr Lodo Arbitrale cit., 503- 507 e 537-538. Sul primo punto x. XXXXXX, Le categorie speciali di azioni, in AA VV., Il nuovo diritto delle società, Liber amicorum Xxxx Xxxxxx Xxxxxxxxxx, diretto da Abbadessa e Portale, 2007, I, 593 ss. ivi a 601, nt. 21.
Innanzitutto va messo in evidenza che, come abbiamo visto sopra53, la clausola drag along sorge nel contesto del venture capital, in cui il socio-partner finanziario ha interesse a vendere la propria partecipazione e lucrare speculativamente sul valore che viene determinato dal terzo e dal socio di maggioranza trascinatore54. Di conseguenza non ci pare ragionevole richiamare le norme costituzionali in tema di espropriazione e le norme societarie in tema di uscita di un membro della società: mentre queste ultime richiamo situazioni in cui l’interesse del socio (o dell’erede, in caso di morte del socio) è quello di vedersi attribuita una quota di liquidazione congrua al valore effettivo della sua partecipazione, stante l’impossibilità di restare socio, la clausola drag along è funzionalmente concepita per consentire al socio di minoranza di uscirsene al più presto dal contesto della società55.
Gli interessi da proteggere sono quindi assai diversi: teoricamente chi è socio “finanziario” ha un mero interesse speculativo e patrimoniale, non anche un interesse imprenditoriale e di gestione della società56.
Da queste considerazioni ne discende che l’ordinamento appresta una tutela specifica, per situazioni come riscatto57, morte, recesso58, esclusione del socio, a soci che si vedono fuori dalla compagine societaria contro la loro volontà di restare soci (o di restare nella società a determinate condizioni). Non risponderebbe alle intenzioni del legislatore e dei privati ritenere che sia necessaria una simile tutela anche per situazioni come quella in commento in
53 V. pp. 2-4.
54 Peraltro come visto sopra la clausola drag along è spesso accompagnata da quella di tag along , ciò significa che la prima è stata pagata dal socio attraverso la reciproca concessione della facoltà del diritto di seguito, che lo obbliga a dividere il premio se il socio vuole uscire o attraverso altre concessioni alla minoranza. Cfr. XXXXXXXXXXX, nota cit., 531, il quale conclude: «Non è [..] giustificabile che il socio che spunta un prezzo maggiore lo deve dividere per effetto della tag-along e se invece percepisce un prezzo minore al valore di recesso può non conseguire alcunché perché la vendita come prefigurata tra le parti non può essere perfezionata.».
55 Cfr. XXXXXXXXXXX, nota cit., 527 e nt. 8, che evidenzia come «rimanere obbligati a vendere una partecipazione ad un terzo significa [..] predeterminare le condizioni per un cambiamento integrale della compagine sociale, più che consentire un’uscita dalla società ad un socio in disaccordo o che abbia pattuito una partecipazione a tempo ex ante.»
56 Cfr. XXXXXXXXXXX, nota cit., 531-532: «[..], se la meritevolezza ex ante della clausola è quella di semplificare la circolazione dei pacchetti di maggioranza (e quindi di allocare diversamente la titolarità delle imprese), non pare che dalla sola comparazione decontestualizzata tra due valori monetari (prezzo offerto dal terzo e recesso) si possano trarre argomenti per impedire la co-vendita al socio obbligato.». L’A. aggiunge che la clausola ha appunto la funzione di evitare l’opportunismo del socio di xxxxxxxxx, che potrebbe far “fuggire” il terzo acquirente o ottenere una distribuzione asimmetrica dal socio di maggioranza.
57 Sulle differenze tra riscatto e clausola drag along v. Lodo cit. e nota di XXXXXXXXXXX, 527, il quale pone in luce come riscatto e recesso sono di per sé fattispecie estranee alla circolazione delle partecipazioni sociali e alle modificazioni della loro titolarità, essendo tipicamente preordinate a determinare o consentire al socio un’uscita in presenza di altri fatti legittimanti: questa risulterebbe la differenza con la clausola di co-vendita. Cfr. anche DE XXXX, Op. cit., 179, nt. 11 e CENTONZE, Riflessioni sulla disciplina del riscatto azionario da parte della società, in Banca, borsa, tit. cred., 2005, I, 50, ivi 53-55, il quale osserva che il confronto con l’art. 2473- bis c.c. (in materia di esclusione dalle s.r.l.) impone una specificazione preventiva delle cause di riscatto a livello statutario. La necessità che si impone per le cause di riscatto è peraltro limitata all’esigenza di poterle stimare in anticipo, essendo evidentemente vano ogni tentativo di individuazione tassativa e analitica delle fattispecie che costituiscono giusta causa di riscatto o di esclusione .
58 Circa le differenze tra la disciplina del recesso e quella del drag along x. XXXXXXXXXXX, nota cit., 529, che evidenzia come la disposizione dell’art. 2437, comma 6°, c.c. fissa il limite inderogabile in senso peggiorativo per bilanciare la soggezione del singolo al potere della maggioranza di modificare le regole dell’organizzazione. Tale potere è previsto dalla Legge in un contesto fondato sugli istituti dell’attività e dell’organizzazione , tipicamente intrasoggettivo, piuttosto che sulla relazione diritto-obbligo tra soggetti distinti, quale quella intercorrente tra soci. E quindi conclude: «La norma non dovrebbe […] essere estesa al la clausola di covendita, con l’effetto di determinare la nullità del contratto tra socio obbligato e terzo acquirente, quando il socio obbligato riceve meno di quanto gli spetterebbe per recesso.».
cui il socio minoritario invece ha tutto l’interesse a vendere la propria quota59 ed uscire dalla società.
D’altronde come giustamente sottolineato la posizione di un titolare di azioni non è poi qualitativamente diversa da quella di un proprietario di altri beni, che ben può obbligarsi a vendere gli stessi ad un prezzo che non rifletta il valore effettivo di detti beni60.
A ciò va aggiunto che, come si è visto sopra, la clausola drag along è stata strutturata contestualmente con la previsione in capo al socio in minoranza del diritto di prelazione sulla partecipazione del socio col diritto di co-vendita. Il meccanismo è tale che il socio di minoranza a fronte di una offerta vantaggiosa del terzo potrà decidere di vendere la propria partecipazione, in virtù del suo interesse speculativo a lucrare sul prezzo di vendita (teoricamente più vantaggioso del prezzo effettivo, perché il terzo acquista un pacchetto azionario che gli garantisce un ampio potere in seno alla società, ed è perciò disposto a spendere di più); mentre nel caso in cui il terzo faccia un’offerta bassa e il socio in maggioranza l’accetti, il socio “Trascinato” potrà esercitare, vantaggiosamente, il suo diritto di prelazione sulla quota di maggioranza, ad un prezzo conveniente61.
Dall’analisi di questo meccanismo ci sembra da condividere la posizione della meno recente ordinanza del Tribunale di Milano (7 gennaio 2008) secondo la quale il diritto di prelazione sia il giusto contrappeso al diritto potestativo concesso all’opzionario socio di maggioranza62. Va altresì considerato che il prezzo determinato secondo la disciplina del recesso da una parte non garantirebbe né il socio di maggioranza né il terzo acquirente che non potrebbero giovarsi delle regole del libero mercato, dall’altra un prezzo “equo” predeterminato non è detto che sia necessariamente inferiore alla proposta del terzo: potrebbe essere anche superiore e a quel punto anziché tutelare, pregiudicherebbe l’interesse del socio di minoranza a esercitare il diritto di prelazione63, soprattutto considerando che il valore della quota di recesso dipende64 dalla consistenza patrimoniale della società e dal valore di mercato delle
59 Sulla stessa linea di queste argomentazioni è XXXXXXXXXXX, nota cit., 526: «sembra che il riferimento ad un valore “legale” come quello di recesso, eventualmente modificato per società quotate, sia utilizzato allorché si tratta di una fattispecie prevista dalla legge di perdita volontaria o involontaria della qualità di socio (recesso; riscatto; obblighi/diritti di acquisto ex art. 2358, comma 4°, come modificato dall’art.1, comma 4°, del d. lgs. 4 agosto 2008, n. 142). Si tratta da fattispecie eterogenee tra loro quanto ad iniziativa e accomunate solo in negativo: non vi è stata un’offerta di un terzo tale che si attuerà un cambiamento della maggioranza della compagine; manca un corrispettivo formato in una diversa operazione di acquisto e quindi, se non si usasse il valore dell’art. 2437-ter c.c., mancherebbe un criterio per determinare il corrispettivo. In questi sembra cioè che il parametro legale sia un parametro necessitato per liquidare equamente».
60 Cfr. ancora XXXXXXXXXXX, nota cit., 526, che sottolinea come in questi casi l’effetto espropriativo non è corretto dall’adozione di un valore “legale” come prezzo ma dalla correzione del procedimento di formazione del prezzo offerto dal terzo se manifestamente iniquo ex art. 1349 c.c.
61 Dello stesso avviso DE XXXX, Op. cit., 186.
62 X. Xxxxxxxxx Xxxx. Xxxxxx 0 gennaio
2008, che appunto collegava la drag along alla clausola di prelazione, che dovrebbe prevenire il rischio di un’espropriazione del socio. Ma allo stesso tempo si sottolinea come se il socio fosse titolare di un’esigua partecipazione, per non essere economicamente “espropriato” dalla corresponsione di un prezzo basso da parte del terzo offerente, lo stesso dovrebbe investire una gran quantità di risorse.
63 Altrimenti, come è stato posto in luce di recente, se si applicasse la disciplina del recesso al caso in esame, si avrebbero due prezzi diversi (quello del socio di maggioranza inferiore al valore di recesso e quello di minoranza almeno pari al minimo prezzo) che comporterebbe che non si riconoscerebbe più l’impegno che il socio obbligato si è assunto ; ovvero si obbligherebbe il socio di maggioranza a non poter vendere egli stesso se non conseguisse almeno il valore di recesso. Cfr. XXXXXXXXXXX, nota cit., 529-530.
64 Sulle valutazioni circa la variabilità della determinazione delle partecipazioni, da cui si calcola la quota di recesso, v. XXXXXXXXXX, Op. cit., 2005, 458, per il riferimento ai margini di discrezionalità nell’applicazione dei diversi criteri normativi; IOVENTI, Il nuovo diritto di recesso aspetti valutativi, in Riv. Soc., 2005, 459 ss., 463 sul punto per l’espressa affermazione che per la medesima impresa devono essere calcolati valori differenti a seconda dell’occasione valutativa (cessione, fusione, conferimento, quotazione, ecc.) e che il legislatore ha optato per la tesi per la quale in caso di recesso non debba essere adottato un “valore generale” ma un valore particolare seguendo tre metodologie prescritte, derogabili in particolare condizioni; MONTI, Liquidazione della quota di recesso del socio:
azioni, condizioni che quindi non garantiscono che il prezzo equo sia così conveniente rispetto all’offerta del terzo65.
Occorre ora verificare altri profili della validità della clausola.
Innanzitutto si pone il problema dell'indeteminatezza del terzo beneficiario: il giudice monocratico milanese ritiene, a nostro avviso giustamente, che non sia essenziale la determinazione del terzo beneficiario al momento del perfezionamento del contratto, essendo sufficiente che sussista nel contratto medesimo un «criterio per individuarlo»: in altri termini il terzo beneficiario è comunque determinabile, poiché è identificabile con il terzo offerente66.
È stata poi segnalata in dottrina67 un’ulteriore anomalia della clausola sul piano strutturale,: la mancanza di un elemento essenziale dell’oggetto e cioè il prezzo68 nel contratto esecutivo di vendita delle partecipazioni di minoranza e maggioranza. Si sostiene che l’opzione call drag along si limiti ad individuare solo la partecipazione alienanda (e cioè la partecipazione di minoranza contestualmente a quella di maggioranza) e non anche il prezzo del suo acquisto. Quest’ultimo verrà invece fissato solo nel contratto esecutivo o meglio nella proposta irrevocabile di acquisto del terzo potenziale acquirente, il quale però è un soggetto esterno alla clausola. La determinabilità del prezzo è cioè affidata per relationem al contratto tra terzo e socio di maggioranza69.
In altri termini il socio minoritario verrebbe a trovarsi in una posizione anomala, in cui viene trascinato nella vendita della sua quota senza che però il prezzo sia determinato ex ante. Il prezzo infatti viene determinato unilateralmente dall’acquirente, secondo un meccanismo qualificato in dottrina come “arbitraggio di parte”, categoria che da una parte sfugge alla disciplina dell’art. 1349 c.c.70 in cui è un soggetto terzo a determinare il prezzo, e dall’altra presuppone forti limiti per la sua ammissibilità71.
aspettative di valore e controversie, in Società, 2007, 1346; CARATOZZOLO, Criteri di valutazione delle azioni del socio recedente nelle s.a. (I parte), in Società, 2005, 1209, 1340; cfr. GUANTI, La valutazione delle aziende, Milano, 1994, 3 ss.
65 Cfr. ancora XXXXXXXXXXX, nota cit., 530 e DI XXXXXXX, Il recesso del socio di società per azioni, in Il nuovo diritto delle società, Liber amicorum Xxxxxxxxxx Xxxxxxxxxx, diretto da Abbadessa e Portale, 2007, 233- 235, il quale contesta l’esistenza di un valore unico e di un unico cerio di valutazione, poiché gli amministratori sono incaricati di esercitare discrezionalità tecnica nell’adozione di un metodo o dell’altro previsti dall’art. 2437- ter c.c.; circa la considerazione che anche la stima compiuta dagli amministratori possa essere sbagliata v. XXXXXXXXXX, Op. cit., 366 ss., nt. 44; VENTORUZZO, Recesso da società a responsabilità limitata e valutazione della partecipazione del socio recedente, in Nuova giur. Civ. comm., 2005, 434, v. anche SALAFIA, Procedimento di liquidazione della quota al socio receduto, in Società, 2007, 261.
66 Cfr. XXXXXXXX, Il contratto e i terzi, in Gabriello (a cura di), I contratti in generale, tomo II, 2006, 1212. In giurisprudenza x. Xxxx. 0 luglio 1983, n. 4562, in Giust. Civ., 1983,I, 2589, la cui massima è qui riportata:
«L'efficacia del contratto a favore di xxxxx non postula né la partecipazione del terzo al contratto stesso, né un'ulteriore manifestazione di volontà nei confronti di questi, da parte di colui che è già obbligato verso lo stipulante, né infine, l'esatta individuazione ab origine, dei terzi beneficiari».
00 X. xx XXXXXXX, nota cit., 1382-1383.
00 X. XXXXXXXXXXX, Xxxxxxxxxxxxxxx, 000-000, nt. 5. Anche secondo DE XXXX, Op. cit., 177, nt. 7, il prezzo, stante il contenuto della clausola, non deve essere necessariamente determinato, ma è sufficiente che esso sia determinabile
69 Cfr. XXXXXXXXXXX, nota cit. 533, il quale considera l’esistenza di due diversi contratti: un primo tra terzo e socio di maggioranza un secondo tra minoranza e terzo; in realtà ci pare di riscontrare un unico contratto tra terzo e i due soci.
70 Contra XXXXXXXXXXX, nota cit, il quale invece ritiene che l’art. 1349 c.c. si applichi alla clausola in esame e più in generale alle ipotesi in cui il prezzo sia determinato dalle altre parti contrattuali.
71 Per un’ampia ed esaustiva disamina delle posizioni sul tema, cfr. XXXXXXXXX, Il contenuto e l’oggetto, in Gabrielli (a cura di), I contratti in generale, I, 2006, 861-864. Parte autorevole della dottrina propende per l’inammissibilità dell’istituto: cfr. XXXXXX, La compravendita, in Trattato di diritto civile commerciale, 1962, 253; la dottrina più moderna sembra sul punto più possibilista: cfr in tal senso ROPPO, Op. cit.,, 356, BIANCA, Op. cit.,
338. È chiaro poi che la questione dell’ammissibilità o meno dell’ “arbitraggio di parte” non si porrebbe neppure se
Ci sembra che la questione vada affrontata dapprima con riguardo alla validità o meno della clausola con prezzo “indeterminato” e in seconda battuta con riguardo ai problemi che comporta l’arbitraggio di parte.
Quanto alla prima questione ravvisiamo una forte anomalia nel costruire una clausola con natura “preparatoria-organizzativa” alla stregua di un opzione call per poi richiedere che venga prefissato il reale contenuto del diritto che viene attribuito. Bisogna infatti tenere a mente che il prezzo non è l’oggetto o il co-elemento della clausola drag along, ma solo il corrispettivo del negozio di compravendita esecutivo della clausola stessa. Oggetto dell’opzione è soltanto il diritto in capo al socio maggioritario di “trascinare” il concedente l’opzione in una futura vendita. D’altronde non è infrequente nel nostro ordinamento che istituti, con struttura tipicamente organizzativa e preparatoria di futuri atti giuridici, non prevedano contenutisticamente tutti gli elementi del futuro atto esecutivo: la loro determinazione viene rimessa infatti di norma alle parti che pongono in essere l’atto esecutivo72. Ad esempio non è necessario in un mandato o in una procura generale prefissare con precisione tutti i termini del contratto da eseguire altrimenti si ricadrebbe nella diversa fattispecie di una delega e il presunto mandante o procuratore niente altro sarebbe che un nuncius.
In definitiva ci pare che la clausola sia funzionalmente costruita per rimettere alle parti del contratto definitivo la determinazione del prezzo, in quanto, altrimenti ragionando, da un lato si pregiudicherebbe la natura negoziale del contratto definitivo e la corrispondente capacità delle parti a determinare negozialmente il contenuto del contratto di acquisto delle partecipazioni societarie73.
Quanto alla seconda questione c’è da ribadire come la questione sia di per sé molto delicata perché se si ammettesse l’applicazione dell’istituto dell’ “arbitraggio di parte” alla fattispecie della drag along, si potrebbe ritenere la clausola nulla tanto se si considera inammissibile la possibilità concessa a un’unica parte di stabilire unilateralmente il corrispettivo74, quanto se si richiedessero dei limiti statutari entro cui simile istituto possa xxxxxxx00.
In realtà ci sembra che abbia ragione quella parte della dottrina76 che analizzando il problema riscontra come non vi sia una determinazione unilaterale del prezzo da parte di una singola
si propendesse per la tesi che richiede a pena di validità della clausola drag along un prezzo minimo di acquisto della partecipazione azionaria del socio di minoranza, vincolato alla co-vendita, pari al valore di essa spettante in numerario in caso di recesso. Infatti gli AA. Citati che lo ritengono ammissibile richiedono comunque che siano posti limiti alla valutazione discrezionale della parte con potere di arbitraggio (cfr. XXXXX, Op. cit., 357, citato in XXXXXXXXXXX, La stabilizzazione, 155, nt. 6 e di BITONTO, Op. cit., 1382, nt. 41.): certamente adempie allo scopo il criterio di “equa valorizzazione” suggerito dal Tribunale di Milano.
72 Cfr. XX XXXX, Op. cit., 177 e nt. 7, il quale fa l’esempio di due fratelli che ereditano un appartamento nel quale coabitano e che stabiliscono che se uno dei due vende a terzi, l’altro o rileva la quota o presta il consenso alla vendita dell’intero. L’accordo non può dirsi nullo per indeterminatezza del prezzo, perché l’intesa sta proprio nell’offrire l’opzione di comprare al prezzo offerto da un terzo, o da uno dei due fratelli, senza il rischio di rimanere intrappolati nella comunione.
73 Xxxxx stesso avviso sembra essere un parere pro veritate non ascoltato in giudizio richiamato da DE XXXX, Op.cit. 183 ancora 177., in cui l’A sottolinea come questo discorso sia perfettamente in linea con l’esigenza di sopperire alle difficoltà presenti nelle società di vendere quote , di cui spesso non c’è mercato.
74 V. sulla questione BERENGHI, Determinabilità e determinazione unilaterale del contratto, 2005, 135 ss., 146 ss.
75 V. nt. 65, per gli orientamenti contrari e favorevoli alla determinazione unilaterale o bilaterale degli elementi del contratto .V. ancora ROPPO, Op. ult. Loc. cit., che rinviene indici normativi che consentono di non escludere l’ammissibilità in senso assoluto, ma precisa che «la determinazione rimessa alla parte è invece inammissibile- e rende nullo il contratto per indeterminabilità dell’oggetto- quando l’interesse di controparte a non subire sorprese lesive non sia adeguatamente presidiato da limiti posti alla discrezionalità di chi sceglie.».
76 X. XXXXXXXXXXX, nota cit., 533, e nt. 19. L’A. parte come visto (nt. 64) dalla considerazione che vi siano due, e non un solo, contratti esecutivi della drag along: un primo contratto tra socio maggioritario e terzo e un secondo tra socio di minoranza obbligato e terzo. Poiché quest’ultimo non è volontà di una sola delle parti ma la volontà comune di socio di maggioranza e terzo, non pare si possa trattare di determinazione unilaterale. Un
parte contrattuale: l’acquisto è vero che avviene attraverso una proposta irrevocabile d parte del terzo, ma essa è pur sempre accettata liberamente dal socio maggioritario. Vi è cioè un accordo, o meglio un contratto tra due parti che decidono nella piena autonomia negoziale77. Tuttavia il problema rimane, in quanto sebbene sia vero che non sia una parte sola a determinare l’entità del corrispettivo, vi è sempre un disequilibrio evidente nella formazione del prezzo: in un contratto in cui partecipano tre parti (socio maggioritario, terzo e socio minoritario), vi è una parte che non partecipa alla formazione di un elemento essenziale del contratto, la quale potrebbe essere pregiudicata da eventuali sorprese lesive dei suoi interessi. La dottrina maggioritaria78 infatti ravvisa l’esigenza di prevedere limiti entro cui vada determinato il contratto se una delle parti non partecipa alla formazione delle condizioni contrattuali.
Invero riteniamo che per il contesto in cui è stata concepita la clausola, il problema non debba riguardare la drag along. Il socio minoritario, infatti, abdica preventivamente alla possibilità di negoziare il contenuto del contratto, perché sa bene che se il prezzo dovesse essere troppo alto per esercitare il diritto di prelazione, avrà il vantaggio di vendere la sua partecipazione a un conveniente prezzo, mentre se il valore assegnato alla sua partecipazione dal socio maggioritario e dal terzo dovesse esser troppo basso, avrà il vantaggio di acquistare a un prezzo vantaggioso la partecipazione della maggioranza79, esercitando il diritto di prelazione, Di conseguenza riteniamo che la clausola, per tutte le ragioni sinora esposte, sia da considerare valida.
Questa constatazione ovviamente non pregiudica le ragioni del socio minoritario tutte le volte che vi sia da parte del terzo e del socio maggioritario un abuso dei diritti loro spettanti a danno del socio trascinato80. Ad esempio per le ipotesi di collusione tra terzo e socio maggioritario, in cui non si possa riscontrare una genuina formazione del prezzo, il socio minoritario leso potrà sempre esperire l’exceptio doli81 o la simulazione dell’offerta ricevuta dal terzo82, soprattutto in un contesto in cui è particolarmente richiesta la buona fede e severamente interpretata la correttezza delle parti, che possono abusare dello stato di soggezione ad un potere altrui, in cui versa una delle parti contrattuali. In particolare può
contratto che rimetta alla determinazione unilaterale l’individuazione delle prestazioni è stato ritenuto nullo da Cass., 19 marzo 2007, n. 6519, in Foro it., 2007, I, 1706.
00 X. XX XXXX, Op. cit., 182.
78 V. ntt. 66, 71 e 74..
79 Contra XXXXXXXXXXX, nota cit., 534, il quale invece ritiene che solo la manifesta iniquità ex art. 1349
c.c. possa costituire il limite contenutistico della clausola. (V. nt. 65). Per l’A. il rimedio si presenta idoneo a correggere l’effetto espropriativi, senza però compromettere la vincolatività della clausola per la comparazione con un valore, quello di recesso, che viene determinato all’esito di un procedimento di stima il cui risultato, per la discrezionalità tecnica dalla quale è caratterizzato, è per natura non definitivo ed unico. V. altresì DE XXXX, Op. cit., 183-184, il quale ravvisa che se le parti non hanno fissato alcun correttivo, vuol dire che si fidano l’una dell’altra e il giudice non può alterare l’equilibrio negoziale se non quando la fiducia riposta è violata in male fede.
80 X. XX XXXX, Op. cit., 178.
81 X. XXXXXXXX, Exceptio doli generalis, in Banca, borsa, titoli di credito, 1998, II, 147; PELLIZZI, Exceptio doli (diritto civile), in Noviss. Digesto it., VI, 1960, 1074 ss.; XXXXXXXX, Eccezione di dolo in Enc. Dir. XIV, 1965, 218 ss.; XXXXXXX, Valore attuale della massima fraus omnia corrumpit, in Riv. Trim. civ. e proc. Civ., 1949, 782 ss.; XXXXXX, Note preliminari a una teoria dell’abuso del diritto, in Riv. Trim. dir. e proc. Civ., 1958, 18 ss.; XXXXXXXX, Buona fede oggettiva e abuso del diritto, in Riv. Trim dir. e proc. Civ., 1971, 613 ss.; PORTALE, Impugnative di bilancio ed exceptio doli, in Giur. Comm., 1982, I, 407 ss.; XXXXXXX, Nota, in Resp. Civ. e prev., 1983, 821; XXXXX, L’uso giurisprudenziale dell’exceptio doli generalis, in Contr. e impr., 1986, 197 ss.; XXXXXXXXX XXXX, Buona fede contrattuale, 1988; XXXXXXX, in Commentario Cendon, sub. Art. 1175, IV*, 1991, 5 ss.; XXXXXXX, Le obbligazioni, nel Trattato Iudica-Zatti, 1991, 355; XXXXXXX, Eccezione del dolo generale, in
D. disc. Priv., sez. civ., VII, 1991, 311 ss ; XXXXXXX, L’exceptio doli dal diritto civile al diritto commerciale, 2005, 429 e in particolare 363 ss., a proposito del rimedio dell’inefficacia rispetto all’atto abusivo, ove altri compiuti riferimenti; ASTONE, Venire contra factum proprium, 2006; FESTI, Il divieto di “venire contro il fatto proprio”, 2007.
82 X. XXXXXXXXXXX, nota cit., 529, nt. 11.
anche accadere che dietro il terzo agisca in realtà lo stesso socio di maggioranza, che in contrasto con il dovere di buona fede e di salvaguardia dell’altrui interesse negoziale, anziché attivare il diritto di trascinamento per non perdere una condizione di realizzo particolarmente vantaggiosa, si serva dello schermo di un terzo per ottenere l’espulsione del socio di minoranza83. La vicenda è valutata anche dal Tribunale milanese, ma la reazione - l’invalidità della clausola - ci sembra inappropriata84.
Un’altra ipotesi, che sembra concretamente realizzarsi nel caso in esame, è quella in cui il terzo sia pilotato in qualche modo dalla maggioranza nel formulare una proposta di acquisto, nel momento in cui il socio di minoranza versi in condizioni economiche sfavorevoli e non sia nel potere di esercitare il diritto di prelazione: anche in quest’occasione ci sembra che la clausola resti valida e tutt’al più l’esercizio sleale del diritto in capo al socio “trascinatore” debba comportare un risarcimento danni a favore del socio leso85.
83 Così DEVIZIA, Op. cit., 172.
84 Dello stesso avviso DE XXXX, Op. cit. 183, nt. 19.
85 Così ancora DE XXXX, Op. cit., 185, nt. 24 e XX XXXX, Xxxxxxxxxx della fideiussione ex art. 1955 c.c. e ritardo sleale nell’esercizio del diritto, in Banca, Borsa, tit. cred. 2001, II. In particolare il danno sarà pari al differenziale tra valore pagato e valore effettivo, determinato attraverso una relazione di stima giurata di un esperto nominato dal Tribunale.