Osservazioni allo Schema di decreto interministeriale
Osservazioni allo Schema di decreto interministeriale
ex art. 120-quinquiesdecies, comma 5 TUB
1. Il paradosso (apparente) di una “trattativa individuale” in una contrattazione di massa.
La Clausola marciana non sembra avere di per sé carattere vessatorio ai sensi dell’art. 1341 c.c. né di abusività ai sensi dell’art. 33 ss. Codice consumo, visto che al suo esercizio consegue in ogni caso l’esdebitazione del mutuatario, anche per l’eventuale differenza insoddisfatta, e il diritto alla differenza tra valore di perizia o prezzo di vendita e ammontare del credito (se ve ne sia). Lo Schema di D.M. prevede tuttavia una disciplina di contorno, di cui implicitamente suggerisce l’adozione all’intermediario, che ricade indubbiamente sotto la presunzione di “significativo squilibrio” prevista dall’art. 33 comma 2 del Codice consumo. Così senz’altro è per:
rinuncia ad azioni o eccezioni relative all’esistenza, qualificazione validità del contratto di finanziamento (lett. b, t);
clausola compromissoria (lett. t);
patti relativi all’onere della prova (lett. t);
divieto di alienazione dell’immobile, come restrizione della libertà contrattuale con terzi (lett. t).
Nessuna di questa clausole è prevista dall’art. 120-quinquiesdecies TUB. A onore del vero, nessuna di queste clausole di contorno può ritenersi così strettamente necessaria per l’operatività della Clausola marciana – salvo forse il divieto di alienazione dell’immobile se il contratto di credito preveda un mandato a vendere (art. 12 Schema) – da essere attratta nel giudizio di “non abusività” della Clausola marciana e superare la presunzione di “significativo squilibrio” posta dall’art. 33.
Per la sua efficacia è quindi necessario (art. 34 comma 4 del Codice del consumo) che la clausola sia oggetto di “negoziato individuale”, che per giurisprudenza deve essere “serio ed effettivo” (Cass. 26 settembre 2008 n. 24262; Cass. 20 agosto 2010 n. 18785). Può apparire singolare che una Clausola, destinata negli auspici a essere standardizzata nelle condizioni generali dei mutui ai consumatori, sia al contempo oggetto di “negoziato individuale”. La posizione è tuttavia autorevolmente rappresentata in dottrina: “purché vi sia stata effettiva discussione tra le parti, quest'ultima deve così dirsi «trattata» anche se immodificata rispetto a quanto unilateralmente predisposto dal professionista”1, senza che sia al contempo necessario un concorso di entrambe le parti alla costruzione della regola o l’accoglimento di richieste di modifica rispetto al testo originariamente predisposto dal professionista.
Perché dunque il negoziato sia “serio ed effettivo” e “specifico” (come richiede l’art. 34 comma 5 del Codice consumo per vincere la presunzione contraria) si richiedono almeno, nel contesto dato:
un’offerta contrattuale alternativa, che non prevede la Clausola marciana (art. 3 comma 1 Schema);
la consegna al consumatore e al professionista che dà la consulenza del PIES del contratto sia con la Clausola sia senza Clausola (art. 3 comma 2 Schema) e del testo della Clausola (art. 3 comma 3 Schema);
un’adeguata attività di assistenza, spiegazione e chiarificazione della Clausola marciana e delle clausole di contorno di natura vessatoria.
1 Xxxxxxxxx (E.), Orestano, Contratti del consumatore, Digesto disc. civ., anno 2000, par. 16.
L’assistenza di un consulente indipendente, a titolo gratuito, prevista dall’art. 120-quinquiesdecies, comma 4 lett. b) deve essere logicamente:
preventiva alla stipulazione del contratto;
consentire al consumatore di optare effettivamente per il contratto di credito privo della Clausola marciana.
Bene dunque che lo schema di X.X. xxxxxxx che “il finanziatore consegn[i], anche in via telematica, al consulente scelto dal consumatore la bozza di contratto e il PIES almeno 7 giorni lavorativi prima della data della stipulazione”. Tuttavia anche l’assistenza dovrebbe essere anteriore alla stipulazione, perché la decisione possa essere “informata e consapevole” e il consenso “effettivo” e non coartato, neppure larvatamente, dall’impossibilità de facto di tirarsi indietro all’ultimo momento. Appare dunque opinabile parlare di “notaio che roga il contratto di credito” (art. 4 comma 1 dello Schema), anziché “incaricato di rogare”, poiché ciò sottintende la possibilità che la consulenza sulla Clausola marciana e sulle clausole vessatorie di contorno sia resa, magari frettolosamente, in concomitanza con la stipulazione, ossia in uno stadio tanto avanzato da rendere de facto impossibile certamente molto difficile per il consumatore di optare per il contratto privo di Xxxxxxxx.
2. L’inadempimento rilevante (art. 5).
2.1. Somme scadute da almeno 180 giorni.
Nell’art. 5 comma 1 dello Schema si legge che “Ai fini dell’inadempimento di cui al presente comma, le rate si considerano non pagate una volta decorsa la scadenza prevista dal piano di ammortamento”. La disposizione trascura di raccogliere, anzi viola, un vincolo normativo contenuto nell’art. 120- quinquiesdecies, dove si legge (comma 4 lett. c) che “non costituiscono inadempimento i ritardati pagamenti che consentono la risoluzione del contratto ai sensi dell’articolo 40, comma 2” del TUB.
L’art. 40 TUB dà al creditore facoltà di risolvere il contratto per reiterato ritardo nell’adempimento, se il ritardo nell’adempimento s’è verificato almeno sette volte, anche non consecutive. Si intende “ritardo nell’adempimento” il pagamento della rata compreso tra i 30 e i 180 giorni successivi alla scadenza. Sotto i 30 giorni, il ritardo è per valutazione legislativa tollerabile, ergo la rata non è computabile per la risoluzione ex art. 40 comma 2 TUB; dopo 180 giorni dalla scadenza, la questione della gravità del ritardo nell’adempimento è rimessa all’autonomia negoziale o alla libera valutazione del giudice sul punto (1455 c.c.)2.
Affermare che “non costituiscono inadempimento i ritardati pagamenti che consentono la risoluzione del contratto ai sensi dell’articolo 40, comma 2” vuol dire pertanto che ogni somma che concorre a determinare “l’ammontare equivalente a diciotto rate mensili” deve essere scaduta da almeno 180 giorni e non basta che sia “decorsa la scadenza prevista nel piano di ammortamento” (come si legge all’art. 5 comma 1 Schema).
2.2. Risoluzione per inadempimento del contratto e utilizzo della Clausola marciana.
L’art. 120-quinquiesdecies TUB prevede che “costituisce inadempimento il mancato pagamento di un ammontare equivalente a diciotto rate mensili”. L’art. 5 comma 1 Schema ripete la norma primaria, ma
2 In questo senso anche Xxxxx, Il credito fondiario nel nuovo testo unico bancario, Padova, 1996, 96 ss.
aggiunge che “le rate si considerano non pagate una volta decorsa la scadenza prevista dal piano di ammortamento” (art. 5 comma 1 Schema).
Resta in tal modo indeterminata la possibilità di utilizzare la Clausola, nel caso che i termini di pagamento originariamente previsti perdano efficacia come conseguenza della risoluzione per inadempimento o di una decadenza dal beneficio del termine (ad es. nei casi previsti dagli artt. 11 e 12 Schema). Più ampiamente, manca una chiara presa di posizione sulla compatibilità tra esercizio della Clausola marciana e risoluzione del contratto di credito3.
Una prima ipotesi è che la risoluzione per inadempimento colpisca anche il trasferimento sospensivamente condizionato (art. 11) o il mandato a vendere (art. 12), paralizzando in tal modo il successivo esercizio della Clausola marciana.
Lo Schema non contiene espresse disposizioni che consentano di trarre una conclusione di questo tipo. Sotto entrambe le specie contemplate, è evidente la funzione di garanzia assunta dal trasferimento sospensivamente condizionato e dal mandato a vendere, la Clausola riguarda lo stesso immobile “oggetto di garanzia reale” (artt. 11 e 12), di per sé la garanzia non perde efficacia come conseguenza della risoluzione del contratto di credito a cui accede.
Ammettendo comunque che il finanziatore non possa utilizzare la Clausola se sceglie di risolvere il contratto per inadempimento, segue che il finanziatore dovrebbe tollerare l’assenza assoluta di pagamenti per almeno 18 mensilità prima di raggiungere la soglia critica che consente l’utilizzo della Clausola. Inoltre, poiché le somme devono essere scadute da almeno 180 giorni, per essere computabili ai fini dell’art. 120- quinquiesdecies, il tempo di attesa raggiunge i due anni.
Su queste premesse, è possibile che nessun intermediario vorrà utilizzare la Clausola, né prima ancora prevederla in contratto concedendo al consumatore “condizioni economiche differenti” (Art. 3 comma 1 Schema), e si intende migliori, come premio all’agevolazione del recupero del credito. L’utilizzo della Clausola, e con esso i portati normativi di favore per il consumatore (esdebitazione; diritto alla differenza), verrebbe in tal modo marginalizzato e disincentivato per scelta normativa, con larvata disapplicazione del vincolo contenuto nell’art. 28 par. 4 della direttiva 2014/17/UE.
Secondo altra ipotesi, il finanziatore può avvalersi della Clausola marciana anche dopo aver dichiarato risolto per inadempimento il contratto di credito. Anche quest’ipotesi apre un ventaglio di questioni:
lo “ammontare equivalente a diciotto rate mensili” è requisito di gravità dell’inadempimento (cfr. art.
1455 c.c.) che legittima il finanziatore a risolvere il contratto di credito ?
ammessa la compatibilità tra risoluzione e utilizzo della Clausola marciana, ai fini del raggiungimento della soglia critica (equivalente di 18 mensilità) possono computarsi le quote capitali (previste per scadenze future ma) divenute esigibili per effetto della risoluzione del contratto ?
Può essere passato inosservato, ma il punto di vista adottato dall’art. 120-quinquiesdecies è differente rispetto all’art. 40 comma 2 TUB (salvo il fatto che i ritardi entro i 180 giorni non contano) e anche rispetto all’art. 48-bis TUB, che pure prevede una fattispecie di trasferimento subordinato a condizione sospensiva dell’inadempimento, ossia un meccanismo marciano “autonomo”.
3 Per contro è certo che il solo inserimento della Clausola non pregiudica la possibilità di avvalersi della risoluzione per inadempimento (art. 2 comma 2 Schema).
Gli articoli 40 e 48-bis si muovono sul terreno del ritardo nell’adempimento, come causa di risoluzione del contratto o di esercizio della Clausola: “la banca può invocare come causa di risoluzione del contratto il ritardato pagamento quando lo stesso si sia verificato almeno sette volte, anche non consecutive. A tal fine costituisce ritardato pagamento quello effettuato tra il trentesimo e il centoottantesimo giorno dalla scadenza della rata” (art. 40 TUB); “si ha inadempimento quando il mancato pagamento si protrae per oltre nove mesi dalla scadenza di almeno tre rate, anche non consecutive, nel caso di obbligo di rimborso a rate mensili ecc.” (art. 48-bis TUB).
L’art. 120-quinquiesdecies non dice invece che l’inadempimento (o il ritardo nell’adempimento per oltre 180 giorni) deve essersi verificato per almeno 18 rate mensili, ma che l’inadempimento deve riguardare una somma “equivalente a 18 rate mensili”. Ossia sembra riguardare l’ammontare inadempiuto e non la reiterazione o lunghezza del ritardo.
Poiché l’obbligo restitutorio del capitale, come del pagamento degli interessi corrispettivi già maturati, persiste alla risoluzione del contratto, potrebbe forse affermarsi che, una volta risolto il contratto per inadempimento (ai sensi dell’art. 40 TUB o della generale disciplina del codice civile), anche le quote capitali non rimborsate – ormai esigibili – debbano essere computate ai fini della verifica del raggiungimento della soglia critica dell’ammontare “equivalente di 18 rate mensili” che consente l’esercizio della Clausola marciana.
Perde tuttavia peso, in questa lettura, il limite delle 18 mensilità, che nell’ottica legislativa dovrebbe presidiare l’interesse del consumatore a non perdere la proprietà se non nei casi di più grave inadempienza, mentre può acquistare maggior rilievo:
la considerazione, ricavabile dall’art. 120-quinquiesdecies (comma 4 lett. c) che anche le quote capitali resesi esigibili per effetto della risoluzione dovrebbero restare insolute per almeno 180 giorni prima che il finanziatore possa computarle per avvalersi della Clausola;
in ogni caso non possono essere computate (art. 5 comma 1 Schema) ai fini dell’equivalente di 18 mensilità le somme pagate tardivamente, ma prima della notificazione.
Questo punto nodale andrebbe forse chiarito, anche al fine di evitare un prevedibile contenzioso. Non pare sufficiente affermare che “le rate si considerano non pagate una volta decorsa la scadenza prevista dal piano di ammortamento” (art. 5 comma 1 Schema), perché i termini di pagamento originariamente convenuti perdono efficacia come conseguenza della risoluzione del contratto e non sono chiari i nessi intercorrenti tra risoluzione per inadempimento e Clausola marciana.
2.3. La rata mensile.
L’ammontare che consente l’utilizzo della Clausola è “equivalente a 18 rate mensili”. Poiché la disposizione non concerne il numero di ritardi, in cui il consumatore è incorso, o il numero di rate non pagate, ma l’entità dell’inadempienza – deve tenersi conto anche di rate parzialmente non pagate (art. 5 comma 2 Schema) – occorre:
stabilire se, agli effetti della soglia di 18 mensilità, la “rata mensile” sia un dato fissato nel contratto una tantum (anche se il contratto prevede clausole di indicizzazione o un tasso variabile) oppure sia un dato dinamico, soggetto a variare con la variazione del parametro e quindi della rata;
definire l’unità di misura “rata mensile”;
prevedere in ogni caso che al consumatore sia data informazione sulla rata già in fase precontrattuale e nel contratto, che il contratto preveda un tasso fisso oppure variabile.
Alcune perplessità sorgono a semplice lettura dell’art. 5 commi 3 e 4 Schema.
Sono previsti due criteri differenti di calcolo della rata mensile secondo che “l’importo della rata [sia] stato costante dal momento della conclusione del contratto” (comma 3) o “non [sia] stato costante dal momento della conclusione del contratto”, nel primo caso considerando l’intero piano di ammortamento, nel secondo soltanto “il valore medio della rata nel corso dell’anno civile in cui essa è scaduta”, mentre il criterio dovrebbe essere omogeneo;
Il criterio del “valore medio della rata nel corso dell’anno civile in cui essa è scaduta” appare un bisticcio logico. Soltanto se si considerano più rate (ad es. tutte quelle di un certo anno), è possibile trarne un valore medio. Non è chiaro, per contro, come dal valore medio ricavato (anno per anno ? e nel caso che le rate inadempiute ricadano in più anni ?) possa determinarsi univocamente l’ammontare equivalente a 18 mensilità.
L’informazione nel contratto di credito non dovrebbe essere differente, secondo che sia previsto un tasso fisso di interesse oppure variabile. Per contro l’art. 5 Schema prevede, per il solo caso che “l’importo della rata sia stato costante dal momento della conclusione del contratto”, che il contratto quantifichi (l’esatto) ammontare il cui mancato pagamento determina l’inadempimento di cui all’articolo 120-quinquiesdecies, comma 4, lettera c), TUB”. Evidente l’inversione tra la previsione contrattuale e il dato fattuale della “costanza nel tempo dell’importo della rata”.
Dove si assuma che l’unità di misura “rata mensile” sia un dato dinamico, soggetta a variazione in corso di contratto, l’informazione che non può essere data nel contratto potrebbe agevolmente essere contenuta nel rendiconto che l’intermediario è tenuto a inviare al cliente con cadenza non superiore all’anno ai sensi dell’art. 119 TUB.
Per l’informazione contrattuale, il comma 3 potrebbe essere così riformulato:
“Il contratto di credito indica l’ammontare equivalente a diciotto rate mensili, il cui mancato pagamento determina l’inadempimento rilevante agli effetti dell’articolo 120-quinquiesdecies, comma 4, lettera c), TUB, dividendo la somma di tutte le rate per il numero dei mesi di durata del piano di ammortamento, e moltiplicando per 18 il quoziente, approssimato per difetto al centesimo.
Se il mutuo è concesso a tasso variabile o misto, è denominato in valuta estera o comunque prevede la variabilità della rata, per calcolare la somma di tutte le rate si tiene conto, per ogni rata, del valore assunto dal parametro rilevante alla data della prima rilevazione prevista in contratto. Il contratto di credito specifica in tal caso che l’ammontare calcolato è meramente indicativo”.
Per l’informazione in corso di contratto:
“Il finanziatore provvede, con la periodicità prevista in contratto, non superiore all’anno contrattuale, ad aggiornare il calcolo dell’ammontare equivalente di diciotto rate mensili, dividendo l’ammontare complessivo delle rate maturate per il numero dei mesi trascorsi dalla conclusione del contratto e moltiplicando per 18 il quoziente, approssimato per difetto al centesimo”.
3. Accertamento dell’inadempimento (art. 7).
Diversamente dall’art. 48-bis TUB (comma 9), l’art. 120-quinquiesdecies non offre al finanziatore una scorciatoia rispetto agli ordinari mezzi di accertamento dell’inadempimento qualificato che costituisce al contempo uno degli elementi della fattispecie acquisitiva del bene o della legittimazione del creditore a vendere in forza del mandato. Quindi l’inadempimento qualificato ex art. 5 deve risultare da:
riconoscimento da parte del debitore;
arbitrato irrituale (808-ter c.p.c.), se così le parti hanno previsto in contratto;
titolo giudiziale.
Xxxxxx la preferenza del D.M. per soluzioni deflattive del contenzioso ordinario, più rapide rispetto all’accertamento giudiziale e in grado di dare maggiore stabilità all’acquisizione dell’immobile o alla vendita fatta in esecuzione del mandato. Esistono tuttavia alcuni limiti che devono essere considerati, perché la Clausola non risulti completamente indigesta alla platea dei consumatori, e quindi priva di concreta applicazione, potendo il consumatore sempre optare per il contratto privo di Clausola.
L’urgenza di limare e contenere la spinta verso la compressione dei diritti di difesa del consumatore nasce anche dalla considerazione che nessuno degli istituti previsti nel D.M. per irrobustire i mezzi di autotutela del finanziatore (rinuncia ad azioni ed eccezioni, clausola compromissoria, patti sull’onere della prova, divieto di alienazione) ha uno specifico fondamento nell’art. 120-quinquiesdecies, né può ritenersi implicitamente previsto da quella norma perché strettamente funzionale “a dare attuazione ai commi 3 e 4”. Pur potendosi ammettere una certa utilità delle previsioni del D.M., in funzione della maggior stabilità della vendita, resta fermo che l’art. 120-quinquiesdecies non risulta consentire al D.M., e quindi neppure al contratto di credito che contenga disposizioni che rispecchiano le previsioni del D.M., alcuna deroga a norme di legge imperative e/o comunque inderogabili. Essendo tipicamente contratto B2C, resta fermo che la validità di ogni clausola che si presume abusiva ai sensi dell’art. 33 Codice del consumo esige la dimostrazione del “negoziato individuale” o dell’inesistenza, nel caso, di un “significativo squilibrio”: prova contraria alla presunzione di legge, che in specie appare davvero difficile poter dare, soprattutto con riguardo a talune previsioni del D.M.. Anche ammettendo che l’assistenza precontrattuale, l’alternativa del contratto senza Xxxxxxxx, il confronto tra i due PIES ecc. possano dare al consumatore un quadro sufficientemente chiaro da soddisfare il requisito del “negoziato individuale” resta pur sempre ferma, come strumento ultimo di controllo dell’autonomia, la clausola generale di meritevolezza ex art. 1322 c.c..
3.1. Rinuncia alle azioni e eccezioni.
L’art. 7 comma 2 Schema prevede che “Il contratto di credito può prevedere che l’atto notarile di riconoscimento dell’inadempimento contenga anche la rinuncia espressa del consumatore e del terzo datore di ipoteca, ove presente, alle azioni relative all’esistenza, alla qualificazione e alla validità del contratto medesimo, nei limiti di quanto consentito da norme inderogabili di legge”. La disposizione appare di significato e portata opachi e validità più che dubbia, senza che valga a riscattarla la prevista “illustrazione degli effetti” da parte del notaio che riceve l’atto complesso di riconoscimento dell’inadempimento e rinuncia.
Per come formulata, la disposizione prevede un negozio (contratto di credito) preparatorio a un futuro negozio (rinuncia contestuale al riconoscimento). Quale atto in questa sequenza determina l’effetto abdicativo ad azioni ed eccezioni ? se è il contratto di credito, allora la rinuncia contestuale è un inutile doppione ? ma soprattutto, è possibile rinunciare in via preventiva e incondizionata ad azioni, eccezioni ecc. prima ancora che una lite sia insorta o che si siano verificate le condizioni di esistenza di quelle difese ? Con ogni probabilità una rinuncia preventiva di questa latitudine non potrebbe che essere giudicata nulla: per carenza di causa o per mancanza di meritevolezza ex art. 1322 c.c.. Egualmente è a dirsi per un impegno contenuto nel contratto di credito a una futura rinuncia, di tale latitudine e indeterminatezza. Se invece (come è più probabile) l’effetto abdicativo dipende dalla rinuncia contestuale al riconoscimento, la rilevanza giuridica di una previsione preventiva all’interno del contratto di credito finisce per scolorire quasi nel nulla: una “configurazione” non impegnativa dei contenuti del futuro atto.
3.2. Arbitrato irrituale.
Anche in tal caso la preclusione a future contestazioni delle parti viene ottenuta per il tramite della compressione, se non del vero e proprio sacrificio, dei diritti di difesa.
Non è espressamente previsto che l’arbitrato sia “secondo diritto”. Per stabile giurisprudenza di legittimità, il lodo arbitrale irrituale non è impugnabile per errore di diritto, ossia per violazione o falsa applicazione della norma applicabile al merito della controversia (da ultimo Xxxx. 13 febbraio 2009 n. 3637; Cass. 19 ottobre 2006 n. 22374; Cass. 15 luglio 2004 n. 13114), né per errore di fatto nella valutazione delle prove (tra molte Cass. 19.8.1992 n. 9654 e da ultimo Cass. 6 febbraio 2009 n. 2988). Quest’effetto preclusivo può allargarsi dalla verifica tecnico-contabile dell’inadempimento qualificato alla “decisione delle questioni preliminari sulla esistenza, sulla qualificazione e sulla validità del contratto”, se così prevede il contratto (unilateralmente predisposto dal finanziatore ancorché oggetto di “negoziato individuale”).
È da chiedersi se risponda a un canone di giusta proporzionalità la previsione di un effetto preclusivo, e di un effetto così ampio, tanto più come conseguenza di un procedimento che, nello Schema di D.M., è appena abbozzato, evidentemente ispirato a un canone di sommarietà nella trattazione e istruzione delle questioni.
Potrebbero, in linea teorica, essere tenuti distinti due aspetti:
assicurare al finanziatore l’acquisizione della proprietà del bene e/o il legittimo esercizio del mandato a vendere senza indugi, a seguito di una cognizione sommaria di natura eminentemente tecnica che attesti l’esistenza dell’inadempimento qualificato, cognizione eventualmente estesa incidenter tantum alle questioni preliminari che le parti sottopongano al perito.
mantenere fermo il diritto delle parti a future controversie, a oggetto restitutorio o risarcitorio, senza preclusioni.
Ad es., le parti in contratto potrebbero impegnarsi a ritenere avverata la condizione dell’inadempimento qualificato, se l’inadempimento qualificato è accertato tramite consulenza tecnica preventiva ex art. 696- bis c.p.c., agli effetti dell’art. 11 (trasferimento sospensivamente condizionato) e dell’art. 12 (mandato a vendere). Resterebbero, pur in tal caso, verosimilmente irrisolti alcuni aspetti che indubbiamente lo Schema di D.M. intende risolvere – sia pur per il tramite di draconiani effetti preclusivi – quali, anzitutto:
la stabilità della vendita fatta in esecuzione del mandato ex art. 12;
la sicurezza della successiva circolazione degli immobili oggetto di Clausola marciana, in entrambe le fattispecie (artt. 11 e 12).
Ulteriore singolarità di questa procedura di arbitrato irrituale consiste nel coinvolgimento di terzi diversi dalle parti che hanno sottoscritto la clausola compromissoria, ossia di “coloro che hanno diritti anche successivi derivanti da titolo iscritto o trascritto sullo stesso immobile” (art. 6 comma 2 Schema), ai quali l’arbitro deve inviare “gli esiti dell’accertamento eseguito”, i quali hanno facoltà di formulare osservazioni (art. 7 comma 6 Schema), ma che non sono pregiudicati dalla determinazione dell’arbitro, non essendosi impegnati ad accettarla come propria con la sottoscrizione della clausola compromissoria (art. 7 comma 7 Schema).
La posizione anfibologica di costoro, per la sua singolarità, richiederebbe forse qualche riflessione in più: sono terzi oppure parti della procedura di arbitrato ? basta ad assumere la veste di parte la scelta di “inviare osservazioni” ? se assumono la veste di parte, perdono conseguentemente i diritti ex art. 2859 c.c.,
diritti che spettano solo ai terzi “che non hanno preso parte al giudizio” ? hanno facoltà di impugnare il lodo irrituale con i mezzi pur limitati che art. 808-ter c.p.c. concede ?
In conclusione, sull’arbitrato. Istituti complicati e farraginosi sono destinati a restare lettera morta. Anzitutto perché il professionista stesso sceglie di non introdurli nella contrattualistica, non avendo una chiara calcolabilità degli effetti ultimi delle sue stesse clausole. Xxxxxx sarebbe dunque che lo Schema di
D.M. sopprimesse la parte dedicata all’arbitrato irrituale, limitando i mezzi di accertamento dell’avvenuto avveramento della condizione al riconoscimento fatto dal debitore stesso e alla pronuncia giudiziale.
4. Trasferimento dell’immobile sotto condizione sospensiva (art. 11) e mandato a vendere (art. 12). Divieto di alienazione.
Benché assimilate nella disciplina degli articoli da 5 a 10, le due specie di Clausola presentano una differenza strutturale che può reagire anche su specifici profili di disciplina.
Il trasferimento sotto condizione sospensiva, in quanto trascritto, tutela giuridicamente il finanziatore contro atti dispositivi o formalità prese contro il disponente. Può apparire dunque un inutile intralcio alla circolazione degli immobili, intralcio spesso ultradecennale, la possibilità riconosciuta dall’art. 11 comma 6 Schema di prevedere in contratto “il divieto di alienare l’immobile concesso in garanzia fino all’estinzione dell’intero debito, a pena di decadenza dal beneficio del termine”, visto che la cessione a terzi non pregiudica la facoltà del creditore di acquisire l’immobile (art. 11 comma 4 Schema) né di perfezionare il procedimento inteso all’avveramento della condizione tramite il versamento dell’eventuale differenza al terzo o ai terzi aventi causa (art. 9 Schema).
Considerazioni analoghe potrebbero farsi per taluni casi in cui è consentito l’esercizio dello jus poenitendi (art. 6 comma 4 Schema), che riprendono con aggiustamenti previsioni del D.M. Ministero Sviluppo Economico del 22 dicembre 2015 sul prestito ipotecario vitalizio: segnatamente lett. a) (trasferimento della proprietà o altri diritti reali) e lett. b) (diritti di garanzia o ipoteche giudiziali). Evidente che un’ipoteca non cancellata, ancorché inopponibile (art. 11 comma 4 Schema) e magari pertinente a un debito estinto o da estinguere con il versamento dell’eccedenza (art. 9 Schema) non pregiudica in diritto il finanziatore. Persistendo nei Registri Immobiliari costituisce tuttavia un evidente ostacolo alla circolazione successiva. Ostacolo tanto più serio in quanto il finanziatore per vocazione istituzionale acquista (o fa acquistare a società del gruppo) per ricollocare sul mercato.
Sotto questo profilo, si avverte nelle diverse fonti legislative che hanno previsto altrettante figure di Clausola marciana una scarsa considerazione per il profilo attinente alla purgazione dei Registri Immobiliari da formalità di pregiudizio.
Il mandato irrevocabile a vendere è garanzia giuridicamente assai più debole ed esposta al rischio che l’immobile sia alienato a terzi, fatto oggetto di iscrizioni ipotecarie o altre formalità di pregiudizio, come un vincolo di destinazione per scopi incompatibili con la liquidazione del bene. Non a caso l’art. 12 Schema non ripete la previsione dell’art. 11 comma 4 Schema.
Nessuna disposizione di legge pare consentire la trascrizione di un semplice mandato a vendere, ancorché irrevocabile, tale da “prenotare” gli effetti della futura trascrizione della vendita esecutiva del mandato. In difetto di una prenotazione anteriore, l’alienazione dell’immobile rende ineseguibile il mandato a vendere, per fatto proprio del consumatore (o terzo datore) e comporta – qui sì – una diminuzione per fatto proprio della garanzia data, che rientra a buon titolo nell’area dell’art. 1186 c.c.. Il punto è però la conservazione della garanzia e non il divieto di alienazione in sé. Se l’acquirente consente a subentrare nel mutuo o, senza
subentrare, rilascia a sua volta nell’atto di acquisto mandato irrevocabile al finanziatore per la vendita dei suoi diritti, in caso di inadempimento qualificato, non v’è alcuna ragione di immaginare un divieto assoluto di alienazione o una (a quel punto davvero vessatoria) decadenza dal beneficio del termine. Verso una clausola di tal contenuto, proporzionata agli effettivi interessi in gioco, il decreto interministeriale potrebbe indirizzare la contrattualistica.
Il contratto di credito può prevedere la facoltà del finanziatore di dichiarare decaduto il consumatore dal beneficio del termine, in caso di alienazione dell’immobile o di costituzione sull’immobile di diritti reali di godimento o di vincoli di destinazione di qualunque specie, da parte del consumatore o del terzo datore, salvo che l’acquirente consenta nell’atto di acquisto a rilasciare a sua volta al finanziatore mandato irrevocabile a vendere o che la destinazione allo scopo sia compatibile e faccia comunque salva la facoltà di esercizio del mandato.
Xxxxxxxx è dunque prevedere qui anche la facoltà di desistenza, per i casi delle lett. “a” , “b” dell’art. 6 comma 4 Schema. Il trasferimento a terzi senza nuovo mandato impedisce l’esercizio del mandato rilasciato da un debitore non più proprietario: resta pertanto soltanto l’azione esecutiva ordinaria. L’iscrizione di una seconda ipoteca di consistente importo (“non inferiore al 25% del valore”, salvo verificare se si ha riguardo al debito in linea capitale o al montante ipotecario, che è sempre un multiplo del primo) rischia di pregiudicare la capienza del bene e quindi la possibilità di liberare il bene dall’ipoteca successiva col prezzo ricavato dalla vendita.
La formulazione dell’art. 6 comma 4 lett. a) Schema è incompleta e passibile di miglioramento. Benché possano rientrare in una larga interpretazione, restano fuori, mentre dovrebbero essere menzionati, “atti di costituzione di diritti reali” e “atti costitutivi di vincoli di destinazione, di qualsiasi specie, incompatibili con l’esercizio della Clausola”.
5. Conclusioni.
Alcune condizioni sembrano necessarie perché la Clausola marciana possa essere funzionale, praticabile dal finanziatore e accettabile dal consumatore.
1) Al finanziatore deve sempre essere concessa o l’azione espropriativa ipotecaria o l’utilizzo della Clausola. Quindi l’eventuale rinuncia all’azione ipotecaria non può che perdere efficacia, se si constata che la Clausola non può operare. Per lo stesso motivo, la dichiarazione di voler utilizzare la Clausola non può pregiudicare il finanziatore, se poi si constata che l’immobile non può essere validamente ricollocato sul mercato o presenta limiti alla circolazione.
Lo Schema va in questa direzione. Il solo inadempimento non basta ad attivare il trasferimento ex art. 11 e neppure la dichiarazione di volersi avvalere della Clausola, pur in presenza di un inadempimento qualificato, basta per ritenere verificato il trasferimento della proprietà. Il finanziatore può desistere, se incontra l’ostruzionismo del consumatore o di un occupante l’immobile, e iniziare l’esecuzione ordinaria. Egualmente deve poter desistere dopo aver verificato lo stato giuridico e materiale dell’immobile, visto che non è accettabile che sia tenuto ad acquistare “a scatola chiusa”.
Il passaggio dall’utilizzo della Clausola all’azione ipotecaria deve dipendere, in linea di massima, da una scelta espressa del finanziatore, sia pure in reazione a tattiche ostruzionistiche del debitore, e non dall’unilaterale volontà del consumatore: diversamente in grado di vanificare vendite già predisposte e in procinto di essere stipulate con un semplice pagamento in acconto idoneo a ricondurre l’esposizione debitoria sotto la soglia delle 18 rate. Mi sembra quindi importante ribadire (art. 6 Schema) che i pagamenti
successivi alla dichiarazione di utilizzo della Clausola non ne frustrano gli effetti, salvo il consenso del finanziatore.
2) La razionalità imprenditoriale esige che i costi siano calcolabili. Il marciano è impraticabile e resterà non praticato, se la scelta deve essere fatta “a scatola chiusa” ed essere al contempo irrevocabile. Per questo motivo, la dichiarazione di desistenza con la latitudine oggi prevista è assolutamente centrale e non rappresenta un ingiustificato privilegio concesso al finanziatore.
3) Il diritto di difesa del consumatore (e terzo datore) non può essere sacrificato oltre la misura minima indispensabile a dare autosufficienza al meccanismo condizionale. Tanto più che questo sacrificio è richiesto “a scatola chiusa”, ossia al momento della conclusione del contratto, prima ancora che i termini della controversia abbiano a delinearsi. In quest’ottica è preoccupante il catalogo di clausole abusive che lo Schema suggerisce di introdurre.