IL CASO Clausole campione

IL CASO. Con la sentenza in epigrafe, la Suprema Corte, riscontrata la nullità del contratto preliminare di vendita di ramo d’azienda per mancanza dell'oggetto, che anziché essere costituito dal complesso dei beni aziendali materiali ed immateriali, risultava invece rappresentato dal solo avviamento, non autonomamente cedibile, afferma che l'esistenza dell'oggetto del contratto di promessa di vendita di ramo d'azienda non può ricavarsi dall'interazione degli effetti dei contratti contestuali collegati qualora, come nella specie, alcuni di questi non siano nulli, altrimenti, il collegamento negoziale finirebbe per essere un mezzo per eludere la nullità del singolo contratto collegato, con la conseguenza che, al contrario di quanto ritenuto dal giudice del merito, nella fattispecie esaminata, il collegamento negoziale non è idoneo a consentire di ritenere esistente l'oggetto costituito dal trasferimento del ramo di azienda. I contratti così concepiti quindi non si fondono in un accordo unico, rimanendo distinti l'uno dall'altro, pur essendo volti al perseguimento di un risultato economico comune voluto dai contraenti. Ciò non toglie che l'influenza reciproca debba escludere che vizi o mancanze di uno dei contratti possano essere compensate dal collegamento con gli altri, in quanto ogni contratto della struttura collegata deve essere valido ed efficace in sé, non potendo reperire aliunde elementi che sanino eventuali criticità. La conseguenza di quanto sinora detto è che da un lato ciascun accordo deve rimanere assoggettato alla propria disciplina, e dall’altro che il collegamento determina soltanto una regolamentazione unitaria delle vicende relative alla permanenza del vincolo contrattuale complessivamente inteso: simul stabunt, simul cadent. Il contratto è lo strumento giuridico attraverso il quale si possono costituire, modificare od estinguere rapporti giuridici patrimoniali: è, dunque, un mezzo con cui si determinano gli spostamenti di ricchezza all’interno dell’ordinamento giuridico ed a tale fine, è indispensabile che tali spostamenti siano supportati da una causa. Ciò premesso, con la pronuncia in commento la Suprema Corte ribadisce il principio che in tema di collegamento tra contratti, il collegamento negoziale non dà luogo ad un nuovo ed autonomo contratto, essendo un meccanismo attraverso il quale le stesse parti perseguono un risultato economico unitario e complesso, realizzato non per mezzo di un singolo contratto ma attraverso una pluralità coordinata ...
IL CASO. La controversia decisa dalla Suprema Corte trae origine dal ricorso per decreto ingiuntivo, con cui la Tizia S.r.l. (appaltatrice) faceva valere il proprio diritto al pagamento del corrispettivo per l’esecuzione di un contratto di appalto concluso con la Caia S.r.l. (committente). Il decreto ingiuntivo emesso nei confronti della committente veniva da questa opposto e l’opposizione, accolta dal giudice di Pace di Verona, era poi confermata dal Tribunale scaligero. In sede d’appello, peraltro, la Caia S.r.l. chiedeva (in via incidentale) e otteneva la condanna della Tizia S.r.l. al risarcimento del danno in proprio favore nella misura di Euro 1.620,00. Dalla lettura della motivazione della pronuncia di secondo grado risultava altresì la risoluzione del contratto di appalto per l’inadempimento della società appaltatrice. E ciò, benché la risoluzione non fosse stata riportata nel dispositivo della sentenza. La Tizia S.r.l., originaria opponente, proponeva, dunque, ricorso per cassazione, articolandolo in più censure che meritano un approfondimento. A norma dell’art. 1655 c.c., «l’appalto è il contratto col quale una parte assume, con organizzazione di mezzi necessari e con gestione a proprio rischio, il compimento di un’opera o di un servizio verso un corrispettivo in denaro». La definizione codicistica, nella sua sinteticità, ne delinea chiaramente gli elementi identitari e funzionali: l’appalto configura un’operazione economica che prende avvio dall’incarico, conferito dal committente a un’impresa, dietro la promessa di un corrispettivo preordinato alla realizzazione di un’opera o di un servizio [x. XXXXXXXX, Appalto, in PERLINGERI (diretto da), Tratt. dir. div. del Consiglio Nazionale del Notariato, Edizioni Scientifiche Italiane, 2015, 6-7]. La conclusione del contratto di appalto produce effetti obbligatori, importando, per l’appaltatore, la prestazione che ha per oggetto il compimento di un’opera o di un servizio, e per il committente, quella che ha per oggetto il pagamento di un corrispettivo in denaro [cfr. XXXXXXXXXXXX, L’appalto, in Tratt. Cicu-Messineo, Xxxxxxx Editore, 1977, 12]. A simili obbligazioni, principali, si aggiungono quelle di carattere accessorio, fra cui – per quanto qui più interessa – l’obbligazione dell’appaltatore di consegnare l’opera finita al committente. La Suprema Corte, nella sentenza in esame, ribadisce un principio ormai pacifico in giurisprudenza, ossia la distinzione tra l’«atto puramente materiale» della consegna e l’att...
IL CASO. I litiganti avevano concluso nel 1975 un contratto di locazione di un capannone industriale il quale poneva a carico del conduttore il divieto di eseguirvi opere senza il consenso del locatore. Questi, dunque, citava in giudizio il primo per sentirlo dichiarare ina- dempiente e condannato alla riduzione in pristino degli svariati interventi effettuati nel corso del rapporto ed al risarcimento del danno, vedendo accolte le proprie domande in entrambi i gradi di merito. Il conduttore proponeva ricorso per Cassazione soste- nendo fondamentalmente che il rapporto era stato novato da una scrittura privata del 1987, la quale non riproduceva la clau- sola concernente il divieto di esecuzione di opere sull’immobile locato senza il consenso del locatore e che invece precisava che l’immobile veniva «locato nello stato di fatto in cui si trova». Per il ricorrente, numerosi elementi – tra i quali, in primis, la variazio- ne della misura del canone – dovevano portare alla conclusione che il nuovo contratto intendeva estinguere il rapporto sorto nel 1975 e determinava la costituzione di un nuovo regolamento tra le parti. I giudici di legittimita` respingono la predetta argomen- tazione e confermano l’inquadramento della questione effettua- to dalla Corte d’Appello, sintetizzabile, nei suoi tratti essenziali, come di seguito: a) la stipulazione del secondo contratto non importava il consenso del locatore all’esecuzione delle opere sul- l’immobile locato ed era esclusa, pertanto, qualsivoglia ‘‘sanato- ria’’ delle medesime; b) alla scrittura del 1987 deve attribuirsi la natura di contratto modificativo non novativo del rapporto, in quanto non implicante un mutamento dell’oggetto o del titolo di quest’ultimo, ma contenente solo modificazioni accessorie ai sensi dell’art. 1231 c.c.
IL CASO. Con contratto d’appalto del 2012, il Comune di Lariano ha incaricato un’impresa edile di realizzare alcuni interventi migliorativi di risparmio energetico in una scuola elementare avente sede nel Comune stesso. Il pagamento dei corrispettivi contrattuali è stato modulato in ragione delle modalità di erogazione di un finanziamento pubblico disposto con legge della Regione Lazio e, successivamente, con Delibera della Giunta Regionale della Regione Lazio. L’impresa di costruzioni cede a una Banca il credito vantato nei confronti del Comune: in ragione di un rapporto di fido promiscuo dinamico, nella forma di anticipo di fatture, la Banca anticipa alla impresa parte dell’importo di una fattura del 2013 emessa nei confronti del Comune di Lariano e rimasta in parte insoluta; detta anticipazione viene concessa previa la cessione del credito portato dalla predetta fattura con contratto del 29 marzo 2013 stipulato tra l’impresa e la Banca. La cessione di cui trattasi viene altresì notificata al debitore ceduto, ossia al Comune, con raccomandata del 8 aprile 2013 e, successivamente, fatta oggetto di formale diffida di pagamento il 4 febbraio 2014. Il Comune propone opposizione al decreto ingiuntivo, nella quale eccepisce l’inesigibilità del credito, alla luce delle seguenti circostanze: una clausola espressa del contratto d’appalto con l’impresa prevedeva che, poiché i lavori erano oggetto di finanziamento con legge regionale, l’appaltatore non avrebbe potuto pretendere la liquidazione del SAL ove non fosse avvenuta l’erogazione della relativa somma da parte dell’ente finanziatore; il pagamento dell’ultima rata di acconto sarebbe dovuto avvenire dopo l’ultimazione dei lavori; i lavori non sono mai stati ultimati dall’impresa; le somme potevano essere liquidate dal Comune solo acquisita la relativa determina di approvazione, come anche previsto per la liquidazione degli acconti al maturare dei SAL; in ogni caso, al termine dei lavori, previo accertamento della loro regolare esecuzione, doveva essere emesso il certificato di collaudo attestante l’effettiva regolare esecuzione dei lavori; nel caso di specie, la somma ingiunta non era dovuta dal Comune in quanto l’impresa non aveva mai inviato la fattura azionata in via monitoria, né era dato sapere se la fattura in questione, ceduta all’istituto di credito opposto, fosse stata emessa per il pagamento dell’acconto come previsto dal contratto d’appalto e quindi necessariamente legata ad un SAL non prodotto in atti, ovver...
IL CASO. Un creditore propone domanda di insinuazione al passivo del fallimento della società debitrice per un credito pari a Euro 100.000, 00. Dal momento che la domanda è respinta dal Giudice Delegato, viene proposta opposizione dinanzi al Tribunale di Catania avverso lo stato passivo. Il Tribunale di Catania rigetta l’opposizione, ritenendo che la documentazione prodotta dall’opponente è inopponibile alla curatela poiché priva di data certa anteriore alla dichiarazione di fallimento, adducendo che il timbro postale apposto da un gestore di un servizio di posta privata su alcune lettere scambiate tra il debitore e il creditore non assurge a prova decisiva di data certa ai sensi dell’art. 2704 c.c. Contro tale decreto viene proposto ricorso in Cassazione, la quale, respingendolo, condivide la tesi del Tribunale di Catania. La Suprema Corte, infatti, rammenta che a seguito dell’entrata in vigore del D.lgs. 22 luglio 1999, n. 261 e della conseguente liberalizzazione dei servizi postali, questi ultimi sono garantiti ed erogati sia da fornitori di un servizio postale, sia da fornitori del servizio universale a cui sono riservati i servizi inerenti le notificazioni o le comunicazioni di atti a mezzo posta connesse con la notificazione di atti giudiziari. La Corte di Cassazione respinge il ricorso della creditrice concludendo che il timbro datario apposto da un soggetto privato, il cui personale dipendente è privo di poteri pubblicistici di certificazione, non può valere a rendere certa la data di ricezione di un plico consegnato dal mittente su cui vi è apposto un timbro datario.
IL CASO. L’Agenzia delle entrate ha contestato a un operatore nazionale il difetto dei requisiti per l’applicazione della non imponibilità IVA, ai sensi dell’art. 41 del DL 331/1993, nell’ambito di una cessione di un’autovettura a una società francese; nello specifico l’Agenzia contestava l’uscita “fittizia” del veicolo dal territorio italiano per mancanza di un’adeguata prova di consegna mentre il contribuente sosteneva di poter dimostrare la correttezza dell’operazione fornendo una serie di documenti comprovanti l’esistenza della società cliente francese, oltre all’assegnazione di una targa di prova e l’assicurazione del veicolo. La prima eccezione posta dall’Agenzia è stata che la prova di consegna delle merci, nonostante possa essere fornita con ogni mezzo, la stessa deve avere carattere di certezza e incontrovertibilità, elementi mancanti nella documentazione fornita dal contribuente. Inoltre, il certificato di assicurazione del veicolo e l’assegnazione di una targa di prova (rimovibile per sua natura) non sono prove idonee a dimostrare il trasporto dell’autovettura nel Paese di destino; l’Agenzia rileva infine la mancanza delle copie del trasporto verso l’estero (DDT e CMR) corredate dai dati identificativi del veicolo trasportato. I suddetti documenti probatori forniti dal contribuente, uniti alle copie dei pagamenti effettuati dall’azienda cessionaria e a un’autocertificazione rilasciata dal cedente con la quale dichiarava di aver portato in proprio l’autovettura in Francia al cliente, sono state ritenute prove idonee nei primi gradi di giudizio fino all’ultimo ricorso per cassazione dell’Agenzia.
IL CASO. Con la sentenza in esame, la CGUE, intervenendo nel caso (C 96-21) DM/CTS Eventim AG Co. KGaA, si è pronunziata sulla questione pregiudiziale sollevata dal Tribunale circoscrizionale di Brema (Germania) in merito all’interpretazione dell’art. 16, (rubricato “eccezioni al diritto di recesso”), lett. l), della direttiva 2011/83/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 25 ottobre 2011, “sui diritti dei consumatori”. La domanda è stata promossa nell’àmbito della controversia sorta tra il consumatore DM e la CTS Eventim AG Co. KGaA, fornitore di servizi di biglietteria, avente ad oggetto l’esercizio del diritto di recesso da un contratto di acquisto di biglietti d’ingresso per un concerto. In particolare, DM acquistava, tramite piattaforma di prenotazione online gestita dalla CTS Eventim, biglietti d’ingresso per un concerto, organizzato da un terzo, che si sarebbe dovuto tenere a Braunschweig (Germania) in data 24 marzo 2020, successivamente annullato a causa delle restrizioni adottate dalle autorità tedesche nel contesto della pandemia di Covid-19. A seguito della richiesta di rimborso del prezzo d’acquisto dei biglietti e delle spese accessorie, la CTS Eventim AG Co. KGaA fa pervenire al consumatore un voucher emesso dall’organizzatore del concerto, pari al solo corrispettivo versato per l’acquisto dei biglietti, con esclusione delle spese accessorie. DM, preso atto del mancato integrale rimborso, adiva il giudice nazionale domandando la restituzione delle somme versate a titolo di corrispettivo per l’acquisto dei biglietti, le spese accessorie, ivi contestando l’emissione del voucher sostitutivo non richiesto. Il giudice adìto, in primo luogo, ha ritenuto che la richiesta di rimborso fosse qualificabile come esercizio del diritto di recesso da parte del consumatore, individuando quale referente normativo della fattispecie oggetto di causa la previsione di cui all’art. 16 della direttiva 2011/83/UE, il quale dispone che: “Gli Stati membri non prevedono il diritto di recesso di cui agli articoli da 9 a 15 per i • Xxxxxxx Xxxxxxxxx Assegnista IUS/01 Università degli Studi di Messina. E-mail: xxxxxxxxxx@xxxxx.xx contratti a distanza e i contratti negoziati fuori dei locali commerciali” relativamente a, nell’ipotesi di cui alla lettera l), “la fornitura di alloggi per fini non residenziali, il trasporto di beni, i servizi di noleggio di autovetture, i servizi di catering o i servizi riguardanti le attività del tempo libero qualora il contratto preveda una d...
IL CASO. Il legislatore ha inteso considerare in modo unitario l’attività agrituristica, quale attività connessa allo svolgimento delle attività agricole in senso stretto, ed alla quale deve essere ricondotta, contraddistinguendone il contenuto tipico, l’organizzazione e l’esecuzione del servizio di ospitalità e di alloggio, che non può che essere fornito attraverso la realizzazione e la messa a disposizione di immobili costruiti sul fondo ed adibiti ad uso abitativo durante il temporaneo soggiorno dei clienti. L’esigenza che viene soddisfatta dai suddetti “fabbricati destinati ad edilizia abitativa” non ne modifica la funzione tipica di beni immobili strumentali all’esercizio dell’attività connessa a quella agricola, come è dato desumere dal riconoscimento legislativo del carattere rurale – con conseguente attribuzione della categoria catastale D/10 – indistintamente ai fabbricati destinati all’agriturismo, senza poter quindi distinguersi all’interno di tale categoria tra fabbricati destinati ad attività produttive e fabbricati destinati ad abitazione, differenziando le spese sostenute per la ristrutturazione e manutenzione di tali immobili ai fini della detrazione IVA che rimarrebbe preclusa per i secondi ai sensi dell’art.19-bis1, comma 1, lett. i), del D.P.R. n.633/1972. La limitazione normativa riguardante la detraibilità dell’imposta sostenuta per le spese di ristrutturazione degli immobili destinati ad uso abitativo trova, infatti, giustificazione laddove il consumatore finale benefici direttamente di tali lavori in quanto utilizzatore “in proprio” del bene immobile per fini esclusivamente abitativi, ovvero laddove l’immobile ristrutturato venga destinato ad un utilizzo promiscuo del soggetto passivo.
IL CASO. Con la risposta ad un interpello, di cui alla nota 30 agosto 2019, n. 363 (1), l’Agenzia delle entrate si pronuncia in merito all’applicabilità dell’IVA alle somme trasferite da un Comune ad una società in house, relative ad un contratto di servizio avente ad oggetto l’attività di gestione post-operativa, sorve- glianza e controllo di una discarica per rifiuti. La risposta presenta profili di interesse principal- mente per due ordini di motivi: il primo, legato ad un approfondimento circa la rilevanza ai fini IVA delle somme che il Comune è tenuto a versare, in virtù del contratto di servizio, alla società in house e, quindi, sotto un profilo di carattere prettamente tributario; il secondo, collegato alla tormentata natura giuridica delle società in house e, in particolare, alla sussistenza, o meno, di una loro “alterità” rispetto all’ente socio, tale da ritenere sussistente una rela- zione intersoggettiva che giustifichi, di conseguenza, l’applicabilità dell’IVA all’operazione in atto. La risposta dell’Agenzia delle entrate trae origine da una richiesta di interpello, presentata da un Comune, ai sensi dell’art. 11, comma 1, lett. a), Legge n. 212/ 2000 (2), secondo cui un contribuente può
IL CASO. La controversia in commento trae origine da un rapporto di factoring, attuato mediante cessione pro solvendo di un credito, a seguito della quale il Factor ha versato al Cedente una anticipazione con scopo di finanziamento. In conformità al contratto, il finanziamento sarebbe andato a ridursi progressivamente all’incasso degli importi dei crediti verso il Debitore ceduto. Durante la vigenza del contratto, il Cedente, dopo essere stato ammesso alla procedura di concordato preventivo, è dichiarato fallito, e il Factor presenta domanda di insinuazione al passivo in via chirografaria, per la quota di finanziamento non ancora recuperata. Il credito vantato dal Factor viene ammesso come da domanda. Dopo l’ammissione al concordato preventivo, il Xxxxxxxx ceduto – su richiesta dei commissari giudiziari – aveva pagato direttamente alla procedura il proprio debito, nonostante queste somme fossero di spettanza del Factor, in quanto cedutegli in virtù del contratto di factoring.