Art. 2900
Art. 2900
Capo V
DEI MEZZI DI CONSERVAZIONE DELLA GARANZOA PATRI- MONIALE
Sezione I
Dell’azione surrogatoria
2900 Condizioni, modalità ed effetti. — Il creditore, per assicurare che siano soddi- sfatte o conservate le sue ragioni, può esercitare i diritti e le azioni che spettano verso i
terzi al proprio debitore e che questi trascura di esercitare (81 c.p.c.), purché i diritti e le azioni abbiano contenuto patrimoniale e non si tratti di diritti o di azioni che, per loro natura o per disposizione di legge, non possono essere esercitati se non dal loro titolare. Il creditore, qualora agisca giudizialmente, deve citare anche il debitore al quale intende surrogarsi.
Commento di XXXXXXX XXXXXXXXX
BIBLIOGRAFIA
XXXXXX X.X., La vendita e la permuta, Xx. XXX., Xxxxxx, 0000; CANTONI, L’azione surrogatoria nel diritto civile italiano, Milano, 1908; CICU, L’obbligazione nel patrimonio del debitore, Milano, 1948; D’AVANZO, La surro- gatoria, Padova, 1949; FERRARA, Scritti giuridici, II, Milano, 1954; GIAMPICCOLO, Azione surrogatoria, EdD, IV, Milano, 1959; XXXXXXX, Manuale di diritto processuale civile, I, Milano, 1957; XXXXXXXXXX, Profili sostanziali e procedurali dell’azione surrogatoria, Milano, 1975; XXXXXX, L’attuazione del rapporto obbligatorio, Xx. X.X., Xxxxxx, 0000; NICOLÒ, Tutela dei diritti, sub art. 2900, COM. S.B., Bologna-Roma, 1957; PATTI, Tutela dei diritti, Xx. XXX., XX, Xxxxxx, 0000; XXXXXX, La compravendita, Xx. X.X., Xxxxxx, 0000; SACCO, Il potere di procedere in xxx xxxxxxxxxxxx, Xxxxxx, 0000; XXXXXXX-XXXXXXXXXX, Dottrine generali del diritto civile, Napoli, 1974.
SOMMARIO
1. La funzione dell’azione surrogatoria. — 2. Il fondamento giuridico della legittimazione. — 3. I requisiti per l’esercizio dell’azione surrogatoria. — 4. I poteri e gli oneri processuali del creditore. — 5. La surrogatoria stragiudiziale. — 6. Fallimento.
1. La funzione dell’azione surrogatoria. L’azione surrogatoria è il mezzo di conservazione della garanzia patrimoniale attraverso il quale il creditore può esercitare i diritti e le azioni che spettano al proprio debitore nei confronti dei terzi, ogni volta in cui l’inerzia del debitore sia tale da costituire pregiudizio per il diritto del creditore.
Tale azione, conferendo al creditore la legittimazione all’esercizio di un diritto altrui, realizza un’interferenza di natura eccezionale nella sfera giuridica del debitore onde, pur essendo nel campo patrimoniale un’azione di carattere gene-
Art. 2900 CODICE CIVILE 1
rale, esclusa solo per i diritti che non consentono sostituzioni nel loro esercizio, può tuttavia essere proposta solo nei casi e alle condizioni previsti dalla legge.
Nonostante in dottrina si registrino opinioni secondo le quali andrebbe attribuito all’azione surrogatoria carattere meramente esecutivo (D’AVANZO, 1949, 82), o carattere di strumento preparatorio funzionale all’instaurazione di un procedi- mento esecutivo o conservativo (CANTONI, 1908, 22; FERRARA, 1954, 1043; CICU, 1948, 95), la dottrina più recente ritiene di dover attribuire a tale strumento una funzione conservativa, consistente nel potere del creditore di sostituirsi al debitore per evitare il pregiudizio che il mancato esercizio di azioni o diritti da parte di costui — ed il conseguente impoverimento o mancato incremento patrimoniale — possa arrecargli.
In questo senso l’azione surrogatoria risulta finalizzata a conservare la garanzia patrimoniale di cui all’art. 2740, secondo il quale tutti i beni del debitore sono a disposizione dei creditori e possono essere oggetto di azione esecutiva (in senso contrario SACCO, 1955, 83), non essendo tale garanzia di per sé sufficiente ad assicurare il soddisfacimento del credito attraverso l’azione esecutiva che, in man- canza di garanzie specifiche, può essere in vario modo compromesso dal debitore attraverso la sottrazione materiale dei beni, l’alienazione o il mancato esercizio dei diritti, determinando la loro perdita o un mancato incremento del patrimonio (NICOLÒ, 1957, 2).
Per reagire a tali comportamenti il creditore può dunque ricorrere ai mezzi di conservazione della garanzia patrimoniale rappresentati dal sequestro conserva- tivo, dall’azione revocatoria e dall’azione surrogatoria. La funzione conservativa dei tre istituti è resa manifesta dal fatto che non realizzano direttamente il diritto di credito ma si limitano ad assicurare la conservazione dei beni del debitore, astrattamente necessari per il soddisfacimento del diritto (PATTI, 1985, 105).
In questo modo l’ordinamento tutela l’interesse del creditore in una fase prece- dente alla scadenza del debito, consentendogli di evitare il verificarsi di una lesione al suo diritto.
Una funzione esecutiva dell’azione surrogatoria è ravvisabile nell’ipotesi in cui il creditore, per mezzo dell’esercizio dell’azione, consegua dal terzo il bene dovuto dal debitore. È stato tuttavia chiarito che anche in tale ipotesi il bene deve consi- derarsi acquisito al patrimonio del debitore; dal che il creditore risulta obbligato nei suoi confronti al rendiconto ed alla consegna (XXXXXX, 1957, 14; XXXXXXXXXXX, 1959, 950). Diversamente, il bene potrebbe essere acquisito al patrimonio del creditore soltanto in seguito all’applicazione di altri istituiti che succedono all’a- zione surrogatoria, quali ad esempio, in caso di credito originario liquido ed esigibile, la compensazione con il credito sorto a seguito dell’esercizio dell’azione surrogatoria (SACCO, 1955, 190, nt. 18).
La giurisprudenza ammette eccezionalmente che il creditore possa esigere diret- tamente in proprio favore la somma di denaro o la cosa dovuta dal terzo debitore per attribuire maggiore efficacia allo strumento dell’azione surrogatoria, rite- nendo in tal senso che l’attore cumuli nel processo due azioni avanti natura e caratteristiche ontologicamente diverse; una promossa verso il terzo, ex iure alieno, per il riconoscimento del diritto del proprio debitore nei suoi confronti, ma
Art. 2900
in capo allo stesso debitore; l’altra verso il debitore, ex iure proprio, per ottenere la soddisfazione immediata del proprio diritto nei suoi confronti, sul bene attri- buitogli a seguito dell’accoglimento della domanda prioritaria (CC 6 marzo 1991 n. 2339, FALL 1991, 700; XX 00 xxxxxxx 0000 x. 000, XX 1966, I, 1792; CC 30
luglio 1964 n. 2199, MGI 1964, 734).
É stato altresì ritenuto che l’azione surrogatoria, a differenza dell’azione revoca- toria e del sequestro conservativo, non sia in realtà un’azione tipica avente conte- nuto ricorrente e determinato (XXXXX, 1985, 109). Ciò poiché quando il creditore agisce giudizialmente fa valere nei confronti dei terzi un’azione il cui titolare è il debitore. Il contenuto dell’azione surrogatoria è pertanto rappresentato dal con- tenuto della singola azione di volta in volta esercitata dal creditore. Poiché, quindi, il creditore è legittimato ad esercitare i diritti e le azioni di cui è titolare il debitore, la dottrina (per tutti GIAMPICCOLO, 1959, 951) ritiene più corretto parlare di legit- timazione surrogatoria.
Va in ogni caso considerato inappropriato l’impiego del termine azione nelle ipotesi in cui il creditore agisca in via stragiudiziale, in forza della possibilità riconosciuta dal c. 2 della norma.
2. Il fondamento giuridico della legittimazione. Sul fondamento della legittimazione surrogatoria che la legge attribuisce al creditore e sulla qualifica- zione della sua posizione le opinioni della dottrina sono discordi. Anche la dottrina più autorevole ha mostrato incertezze nel definire se il creditore sia dotato di un potere o, diversamente, di una potestà di compiere atti immediatamente rilevanti per il debitore (XXXXXX, 1957, 25).
Anche qualificando in termini di potere la legittimazione del creditore, come la dottrina sembra preferire (XXXXXX, 1957, 31; PATTI, 1985, 110), rimane da accer- tare se questo debba essere visto come una posizione soggettiva da contrapporre al diritto soggettivo (NICOLÒ, 1957, 30) o se, per converso, alla base di questo debba ravvisarsi uno specifico diritto soggettivo attribuito dalla legge al creditore (SAN- TORO-XXXXXXXXXX, 1974, 279).
Al fine di tentare di individuare una soluzione utile alla questione, si è spesso ritenuto necessario ricondurre il potere di agire in via surrogatoria a più generali figure caratterizzate dallo svolgimento di attività da parte di un soggetto nell’in- teresse esclusivo di un soggetto diverso. Tuttavia, nel caso dell’azione surrogato- ria, l’attività posta in essere dal soggetto agente è volta alla realizzazione di un interesse proprio, anche se gli effetti dell’atto si producono nella sfera patrimo- niale del soggetto debitore inerte.
Poiché tale interesse non costituisce oggetto di tutela diretta da parte della norma in esame, venendo solamente realizzato allo scopo di garantire la tutela di un interesse del creditore, non si è ritenuto che l’interesse immediatamente tutelato attraverso l’attività del creditore sia quello del debitore (XXXXXX, 1957, 31).
Maggiormente convincente si rivela l’approccio della giurisprudenza che consi- dera il creditore quale sostituto processuale del debitore surrogato, con la conse- guenza di assoggettarlo a tutte le eccezioni, sostanziali e processuali, opponibili al
debitore, nonché alle limitazioni dell’uso dei mezzi di prova che avrebbe incon- trato il titolare del diritto nel promuovere il giudizio (CC 26 marzo 2013, n.7648; CC ord. 9 aprile 2008 n. 9314, MGI 2008; CC 23 gennaio 2007 n. 1389, GCM
2007, 1; CC 20 ottobre 1975 n. 3448, FiR 1975, 2750).
3. I requisiti per l’esercizio dell’azione surrogatoria. L’iniziativa del creditore determina nell’azione surrogatoria una connessione tra due rapporti autonomi, prima inesistente: quello del creditore nei confronti del debitore e quello del debitore nei confronti del terzo, a sua volta debitore del debitore (XXXXX, 1985, 116).
Perché una simile iniziativa sia considerata legittima, e non venga ritenuta un’il- lecita intrusione nella sfera patrimoniale di soggetti estranei al rapporto tra cre- ditore e debitore, è necessario che ricorrano i requisiti: a) della qualità di creditore del soggetto agente; b) della titolarità in capo al debitore di un diritto o azione verso un terzo, di natura patrimoniale e non sottratto all’intervento surrogatorio dei creditori; c) dell’inerzia del debitore; d) del pericolo di un potenziale pregiu- dizio alle ragioni del creditore derivante dal comportamento omissivo del debi- tore.
Il primo requisito è rappresentato dall’esistenza di un credito appartenente al soggetto agente nei confronti del soggetto surrogato.
Secondo la più autorevole dottrina il termine creditore deve essere inteso in senso ampio, intendendosi con tale affermazione anche il soggetto, titolare di un diritto reale o di un diritto assoluto leso dall’attività di un terzo, che sia divenuto titolare di una pretesa al risarcimento del danno (NICOLÒ, 1957, 87; GIAMPICCOLO, 1959, 951).
Tale precisazione si rivela in verità superflua dal momento che l’art. 1173 include tra le fonti dell’obbligazione anche il fatto illecito.
Generalmente inoltre il soggetto che in ogni rapporto obbligatorio riveste la posizione attiva viene definito creditore.
Per contro, l’azione surrogatoria non tutela la posizione del soggetto attivo di una obbligazione naturale né la posizione del creditore apparente. Da tale situazione è fatta salva l’ipotesi del pagamento effettuato in buona fede dal debitore al credi- tore apparente, nel qual caso trova applicazione la tutela prevista dall’art. 1189 (GIAMPICCOLO, 1959, 952).
Xxxxxxxxxx opinioni contrastanti, invece, sulla legittimazione all’azione surrogato- ria del soggetto titolare di un diritto reale di godimento o di garanzia, acquistato a titolo derivativo-costitutivo, quando la tutela di tali diritti dipenda dalla tutela della posizione giuridica del proprietario (in senso favorevole XXXXXX, 1957, 88; in senso contrario, XXXXXXXXXX, 1975, 180).
Presupposto essenziale per l’esercizio dell’azione surrogatoria è la sussistenza di un credito certo, e dunque non oggetto di accertamento giudiziale, ancorché eventualmente sottoposto a termine o a condizione (CC 21 ottobre 1998 n. 10428, GC 1999, I, 730).
É comunque dubbio se la prova della qualità di creditore, che il soggetto agente deve fornire, sia necessaria qualora l’esistenza del diritto risulti accertata da una precedente sentenza ottenuta dal creditore contro il debitore surrogato e già passata in giudicato.
In caso di credito assoggettato a condizione sospensiva la dottrina è discorde a causa del contrasto tra il carattere di definitività degli effetti prodotti con l’esercizio della azione surrogatoria e la possibilità che, per il mancato verificarsi della con- dizione, venga meno con effetto retroattivo la situazione creditoria su cui era fondato l’esercizio dell’azione (PATTI, 1985, 120).
È comunque predominante l’opinione secondo cui il giudice dovrebbe ritenere ammissibile o meno l’azione del creditore in funzione della maggiore o minore probabilità che si verifichi la condizione (NICOLÒ, 1957, 88).
Per contro, risulta ammissibile l’azione surrogatoria da parte del titolare di un credito illiquido o non esigibile.
Tuttavia, poiché l’ulteriore presupposto della legittimazione surrogatoria è rap- presentato dal pericolo di insolvenza del patrimonio del debitore, ed essendo la configurabilità di questo pericolo legata all’ammontare del credito, può conside- rarsi necessario un apprezzamento giudiziale della prevedibile entità del diritto del creditore (NICOLÒ, 1957, 61).
Altro presupposto per l’esercizio dell’azione surrogatoria è rappresentato dalla titolarità in capo al debitore di un diritto o azione, di natura patrimoniale e non sottratto all’intervento surrogatorio dei creditori, verso un terzo.
Perché il creditore sia legittimato a surrogarsi nel diritto trascurato dal debitore è necessario che il diritto abbia contenuto patrimoniale. Risultano perciò esclusi i diritti e le azioni che per loro natura o per disposizione di legge non possono essere esercitati se non dal loro titolare (c.d. diritti inerenti alla persona).
In questo senso la dottrina parla di diritto inerente alla persona del titolare ogni volta che la discrezionalità del titolare, libero di decidere se esercitare o meno il suo diritto, sia configurabile come un aspetto essenziale della tutela accordata dalla legge.
Risultano inoltre sottratti all’azione surrogatoria i diritti personali, nonché le azioni di stato, esercitabili unicamente dal titolare e dalle persone di volta in volta indicate dalla legge.
Per quanto concerne invece i diritti che riguardano i rapporti familiari, sono contrapposte le opinioni di chi sostiene la possibilità di far valere tali diritti in via surrogatoria nel caso in cui il creditore voglia ottenere una decisione da far valere per l’esercizio di un diritto di natura patrimoniale (NICOLÒ, 1957, 97), a quella di chi, più correttamente, ritiene che tali diritti debbano essere esclusi dal novero di quelli esercitabili in xxx xxxxxxxxxxxx (XXXXXX, 0000, 48).
L’azione surrogatoria non risulta esercitabile nei riguardi dei diritti della perso- nalità.
Tuttavia, nel caso in cui si verifichi una loro lesione ad opera di un terzo, il creditore può surrogarsi nel conseguente diritto al risarcimento dei danni.
Xxxx ritenersi comunque esclusa l’esperibilità dell’azione surrogatoria qualora la pretesa risarcitoria abbia ad oggetto la riparazione dei danni a suo tempo definiti
morali (PATTI 1985, 128), oggi ricondotti nel novero dei danni non patrimoniali, in quanto il relativo diritto viene considerato come inerente alla persona del debi- tore. Tale soluzione si pone in ogni caso in contrasto con la tesi della trasmissibilità iure hereditatis del diritto al risarcimento del danno non patrimoniale, nonché della sua trasmissibilità inter vivos.
Risultano dunque esclusi dall’ambito di applicazione dell’azione surrogatoria il potere di recedere dal contratto o da una società (CC 12 luglio 2002 n. 10144, DPS 2002, 23, 54), il potere di convalidare il negozio annullabile, il potere di chiedere lo scioglimento della comunione, il potere di scelta nelle obbligazioni alternative ove la scelta spetti al creditore, il potere di scelta tra l’azione redibitoria e la diminuzione del prezzo, il potere di ricorrere alla vendita o alla compera in danno (artt. 1515-1516), il potere di chiedere il risarcimento del danno da fatto illecito, il potere di chiedere la revocazione di una donazione per ingratitudine o per sopravvenienza di figli.
Alcuna dottrina esclude inoltre l’ammissibilità dell’azione surrogatoria nell’eser- cizio del diritto di riscatto in quanto si tratterebbe di un atto negoziale di disposi- zione e non dell’esercizio di un potere nei confronti di un terzo, osservando in proposito che agendo diversamente il creditore violerebbe l’autonomia del pro- prio debitore (RUBINO, 1962, 1041).
Sono invece esercitabili mediante l’azione surrogatoria: il diritto di esigere il credito, anche se il titolo su cui è fondato il credito è annullabile o risolubile per volontà del debitore surrogato; le azioni a difesa del diritto di proprietà e degli altri diritti reali; la facoltà di annullamento, di rescissione o di risoluzione per eccessiva onerosità del contratto; il potere di esercitare l’azione revocatoria; il diritto di far valere la decadenza dal beneficio del termine; l’esercizio della petizione ereditaria (CC 28 marzo 1962 n. 628, GC 1962, I, 1736; CC 30 marzo 2012 n. 5145, GCM
2012, 3).
È altresì ammissibile l’azione surrogatoria esperita dal danneggiato nei confronti dell’assicuratore per la r.c.a. volta ad ottenere il risarcimento del danno da respon- sabilità ultra massimale per mala gestio propria, in caso di inerzia dell’assicurato (CC 12 settembre 2011 n. 18648, GCM 2011, 9, 1289).
Tra i diritti e le azioni che il creditore può esercitare verso i terzi in sostituzione del proprio debitore sono altresì compresi diritti e poteri dispositivi di ordine proces- suale quali il diritto di impugnare la sentenza resa nei confronti del solo debitore (CC 14 luglio 2003 n. 10985, MGI 2003) e la potestà di proporre opposizione, in luogo del debitore inerte, contro l’esecuzione promossa da un terzo che si assuma ingiusta (CC 18 marzo 1960 n. 564, FiR 1960, 2579).
L’azione surrogatoria non può essere tuttavia esercitata, per la prima volta, attra- verso la proposizione del ricorso per Cassazione, senza avere esercitato l’azione nella precedente fase di appello (CC 31 agosto 2020 m. 18105, GCM 2020).
Anche il diritto di chiedere l’adempimento di un contratto preliminare può essere oggetto dell’azione surrogatoria esperita dal creditore di uno dei contraenti. Tale diritto non può tuttavia essere esercitato in via stragiudiziale bensì solamente in via giudiziale, al fine di ottenere una sentenza costitutiva ai sensi dell’art. 2932 che produca gli effetti del contratto definitivo (CC 11 maggio 2009 n. 10744, NGC
2009, I, 1192). In tal senso, il creditore deve provvedere all’adempimento degli obblighi che deriverebbero dal contratto definitivo per il suo debitore, nell’ipotesi prevista dall’art. 2932, c. 2, restando salvo il diritto ad esserne rimborsato.
È stata tuttavia esclusa dalla giurisprudenza l’esperibilità dell’azione surrogatoria volta ad ottenere sentenza costitutiva del contratto di compravendita non concluso da parte del creditore del socio di cooperativa di edilizia economica e popolare, in quanto la proprietà di un alloggio di edilizia economica e popolare si acquista con la stipulazione del contratto di mutuo che, come tale, prevede l’assunzione di obbligazioni da parte del socio senza comportare un acquisto suscettibile di essere trasformato direttamente in garanzia patrimoniale (CC 17 luglio 2002 n. 10378, GC 2002, 1253).
In materia di compravendita è ammesso che il subacquirente, mediante l’azione surrogatoria, possa direttamente esercitare i diritti e le azioni che avrebbe potuto esercitare il proprio venditore (BIANCA C.M., 1972, 676; in giurisprudenza, CC 28 marzo 1962 n. 628, GC 1962, I, 1736).
Si ricorda in ultimo che è generalmente ammessa la possibilità di esperire l’azione surrogatoria nel caso di diritti aventi ad oggetto beni per i quali la legge prevede una impignorabilità relativa, parziale e temporanea, ritenendola invece esclusa nel caso di impignorabilità assoluta, completa e definitiva.
Il terzo requisito fondamentale dell’azione surrogatoria è rappresentato dall’iner- zia del debitore.
Nel linguaggio impiegato dal legislatore nella redazione della norma l’inerzia è indicata con l’espressione “trascura di esercitare”.
Un’interpretazione eccessivamente letterale della norma potrebbe indurre a rite- nere che l’intervento del creditore non sia ammissibile nelle ipotesi di inerzia giustificata, in quanto priva del carattere della trascuratezza.
In verità, come è stato chiaramente osservato in dottrina, con il termine “trascura” il legislatore ha inteso precisare che a legittimare un intervento del creditore non è necessaria un’inattività totale del debitore, bensì è sufficiente un esercizio incom- pleto o quantitativamente insufficiente del diritto (rel. c.c. n. 1181) (GIAMPICCOLO, 1959, 953).
Alcuni ritengono che il creditore non possa legittimamente intervenire in pre- senza di una situazione di tolleranza abituale, mentre la possibilità di agire in surrogatoria dovrebbe ammettersi quando la tolleranza trascenda ad un ridotto interesse del debitore-creditore e quindi al mancato esercizio del diritto, e non invece di fronte ad un comportamento positivo del titolare del diritto (PATTI, 1985, 126).
In dottrina si è dunque precisato che il creditore non potrebbe esercitare un’a- zione di annullamento già spettante al debitore se questi abbia, espressamente o tacitamente, convalidato il negozio, né una azione di nullità di una donazione o di una disposizione testamentaria confermata o volontariamente eseguita dal debi- tore, in qualità di erede o avente causa dal donante o dal testatore; non potrebbe inoltre essere fatto valere in surrogatoria un diritto di credito del debitore se questi abbia rimesso il debito del terzo e neppure si potrebbe costituire in mora il debitor
debitoris se quest’ultimo abbia concesso una dilazione di pagamento (NICOLÒ, 1957, 150).
La giurisprudenza ha osservato che per giustificare l’esercizio dell’azione surro- gatoria non è sufficiente che il debitore trascuri la realizzazione dei suoi diritti, ma occorre che la sua inerzia possa avere effetti negativi sulla garanzia patrimoniale del debitore.
Occorre quindi un interesse specifico costituito dal pregiudizio alle ragioni del creditore, essendo in definitiva l’azione surrogatoria diretta a tutelare il diritto di quest’ultimo contro il pericolo dell’insolvenza del suo debitore (CC 31 gennaio 1984 n. 741, GCM 1984, 1; TAR Roma, 7 giugno 2013 n. 5744).
Né si richiede che il mancato esercizio da parte del debitore dei diritti e delle azioni a lui spettanti debba essere ascrivibile a colpa dello stesso (CC 23 giugno 1995 n. 7145, GCM 1995, 6).
Sull’argomento la giurisprudenza ha precisato che all’inerzia del debitore non può parificarsi un comportamento positivo, ancorché pregiudizievole per le ra- gioni del creditore, ciò non consentendo interferenze da parte del creditore salvo che tale comportamento possa costituire oggetto di revocatoria quando ne ricor- rano gli estremi (CC 18 febbraio 2000 n. 1867, FI 2000, I, nt. FILOGRANA; CC 28
maggio 1988 n. 3665, GI 1989, I, 1, 104).
Considerato il carattere eccezionale dell’azione surrogatoria, la giurisprudenza ritiene che il creditore non possa sindacare le modalità con cui il debitore non più inerte abbia ritenuto di esercitare la propria situazione giuridica nell’ambito del rapporto, né contestare le scelte e l’idoneità delle manifestazioni di volontà da questo poste in essere a produrre gli effetti riconosciuti dall’ordinamento, soccor- rendo all’uopo ove ne ricorrano i requisiti, altri strumenti di tutela a garanzia delle pretese del creditore (CC 12 aprile 2012 n. 5805, GCM 2012, 4).
La giurisprudenza ha altresì riconosciuto la configurabilità di un pericolo d’insol- venza per effetto d’inerzia nonostante la natura pubblicistica del soggetto debitore ed ha quindi ammesso la possibilità di agire in surrogatoria in caso di inerzia della pubblica amministrazione (CC 26 gennaio 1985 n. 396, GC 1985, I, 1677).
Poiché non in tutti i casi l’omissione o l’inerzia del debitore giustifica l’intervento del creditore, l’intervento di quest’ultimo mediante esercizio dell’azione surroga- toria è ritenuto legittimo soltanto in presenza di un suo interesse conservativo che si configura quando il pericolo di insolvenza ed il comportamento omissivo del debitore inducono a prevedere il verificarsi di una situazione patrimoniale con- cretamente pregiudizievole per il soddisfacimento delle ragioni del creditore.
Nonostante la norma in esame non lo prescriva esplicitamente, la necessità dell’e- ventus damni è desumibile dal principio dell’interesse ad agire: il comportamento del creditore surrogante è legittimato, infatti, dal pericolo di lesione al suo diritto che può provocare l’inattività del debitore. A tal fine occorre che il pregiudizio del creditore si ponga come conseguenza immediata e diretta di questa inattività, in modo che la surrogatoria non appaia un’illegittima ed intempestiva interferenza nella sfera giuridica del debitore stesso (CC 10 febbraio 1959 n. 411, FiR 1959, 2411).
Art. 2900
L’accertamento dell’esistenza del pericolo è una valutazione di fatto rimessa alla prudente valutazione discrezionale del giudice di merito, che deve compiersi secondo le regole di esperienza e le circostanze del caso. Al fine di valutare il pericolo non è tuttavia necessario un raffronto tra entità del credito ed entità del patrimonio del debitore, dovendosi invece considerare la situazione patrimoniale complessiva del debitore.
Pertanto il creditore che agisce in surrogatoria non è tenuto a fornire la prova dello stato di insolvenza del suo debitore, incombendo semmai al terzo che voglia sottrarsi all’esercizio di tale azione dimostrare la solvibilità del proprio creditore diretto (CC 13 febbraio 1964 n. 357, FiR 1964).
Il pericolo deve considerarsi esistente quando gli effetti del comportamento omis- sivo del debitore sul suo patrimonio siano tali da determinare un pericolo effettivo di lesione al diritto del creditore (GIAMPICCOLO, 1959, 952).
Nell’ipotesi in cui il credito abbia ad oggetto un bene determinato presente nel patrimonio del debitore e suscettibile di esecuzione forzata in forma specifica, si ritiene legittimo l’intervento surrogatorio nel caso in cui il patrimonio del debitore sia capiente ma non tale da garantire un adempimento qualitativamente esatto della prestazione dovuta, o comunque quando diventi meno agevole o più onerosa la realizzazione coattiva del diritto di credito (PATTI, 1985, 123; NICOLÒ, 1957, 71).
4. I poteri e gli oneri processuali del creditore. Secondo la giurispru- denza e la prevalente dottrina il creditore che si avvale dell’azione surrogatoria assume la veste di sostituto processuale del debitore surrogato, facendo valere in giudizio, nomine proprio, un diritto altrui (XXXXXXX, 1957, 125).
Vi è tuttavia chi sostiene, senza peraltro differenti conseguenze pratiche, che il creditore, dovendo manifestare la propria qualità, non agisca nomine proprio bensì come rappresentante del debitore inerte (NICOLÒ, 1957, pagina??).
Al creditore surrogante sono riconosciuti in giudizio tutti i poteri processuali spettanti alla parte. Egli potrà pertanto rinunciare agli atti del giudizio, accettare la corrispondente rinuncia della controparte, impugnare la sentenza resa nei confronti del solo debitore o prestare acquiescenza alla sentenza impugnabile (PATTI, 1985, 132).
Tuttavia, essendo sottratti al potere surrogatorio gli atti di disposizione del diritto, è preclusa al creditore la possibilità di rendere la confessione e di deferire, accet- tare o riferire il giuramento decisorio.
È stato altresì affermato che il creditore che agisce in surrogatoria non è tenuto ad esercitare le azioni che spettano al debitore nei confronti di tutti i terzi indistinta- mente e congiuntamente, poiché tale onere esula dal potere, riconosciuto dalla norma al creditore, di esercitare a propria scelta e contro i terzi che riterrà, le azioni spettanti al debitore (CC 23 marzo 1961 n. 658).
Il c. 2 della norma in commento, secondo il quale il creditore che agisce in surrogatoria ha l’onere di citare in giudizio anche il debitore al quale intende surrogarsi nell’esercizio del diritto, determina un’ipotesi di litisconsorzio necessa- rio processuale previsto al fine di garantire la partecipazione al giudizio del
Art. 2900 CODICE CIVILE 4
debitore, nella cui sfera giuridica si verificheranno gli effetti del giudicato, così da consentire a quest’ultimo di tutelare direttamente i propri diritti.
Dal momento che il creditore non esercita un’azione propria bensì una azione spettante al proprio debitore, la competenza per territorio va identificata in riferimento a quest’ultimo.
Poiché tuttavia l’esercizio dell’azione surrogatoria presuppone un litisconsorzio necessario, tale situazione determina la facoltà per l’attore in surrogatoria di evocare in giudizio tutti i litisconsorti scegliendo come foro competente quello attribuito dalla legge ad uno qualunque dei convenuti (CC ord. 9 aprile 2008 n. 9314, MGI 2008; CC 27 ottobre 1972 n. 3322, FiR 1972, 475).
Qualora il diritto esercitato tragga origine da un contratto, ed il debitore surrogato abbia pattuito con la controparte una deroga alla competenza per territorio del- l’autorità giudiziaria, l’azione surrogatoria deve essere proposta dinanzi al foro convenzionale, anche nelle ipotesi di litisconsorzio necessario (C 9 aprile 2008 n. 9314, GCM 2008, 4, 556).
Quanto ai mezzi di prova a disposizione del creditore surrogante, questi, venen- dosi a trovare per la natura dell’azione esercitata nella stessa posizione, proces- suale e sostanziale, del debitore surrogato, incontra tutti i limiti probatori inerenti la posizione del debitore sostituito (CC 23 gennaio 2007 n. 1389, GCM 2007, 1). La giurisprudenza ha peraltro precisato che, nel caso di diritti derivanti da con- tratti da provarsi per iscritto, il creditore può giovarsi, per l’ammissione della prova per testi e presunzioni, dell’art. 2724, c. 2, qualora si trovi nell’impossibilità di procurarsi i documenti in possesso delle parti contraenti (CC 20 ottobre 1975 n. 3448, FiR 1975, 2750, 6).
Nel corso del giudizio instaurato dal creditore nei confronti del debitor debitoris, il primo potrà chiedere la condanna del proprio debitore, oltre a quella del debitore di costui, o in alternativa con essa. Il debitore può peraltro disporre del diritto, esercitandolo anche in via stragiudiziale, facendo venir quindi meno la legittima- zione del creditore, nonostante la pendenza del giudizio instaurato dal creditore. In questo modo la legittimazione surrogatoria viene meno per il cessare della situazione di inerzia pregiudizievole.
Poiché oggetto del giudizio instaurato mediante l’esercizio dell’azione surrogato- ria è il rapporto obbligatorio esistente tra il debitore surrogato ed il terzo conve- nuto in giudizio, non avendo l’attore alcun potere di disposizione su tale rapporto, un’eventuale dichiarazione di rinuncia dell’attore resa nel corso del processo non può avere ad oggetto l’azione nella quale si è surrogato né, quindi, determinare la cessazione della materia del contendere; può invece trattarsi di rinuncia al pro- cesso, che va accettata dal convenuto, atteso l’interesse di costui ad ottenere una rinuncia di merito, anche se il rapporto controverso non sia fatto valere dal titolare (CC 7 agosto 1972 n. 2629, GC 1973, I, 831).
Nello stesso senso, la surrogazione nei diritti del creditore procedente comporta la prosecuzione del processo esecutivo e, pertanto, non determina la cessazione della materia del contendere nel giudizio di opposizione agli atti esecutivi già pendente, permanendo l’interesse dell’opponente a conseguire la dichiarazione di illegitti-
Art. 2900
mità degli atti di esecuzione e la loro conseguente caducazione (CC 12 aprile 2018 n. 9060, GCM 2018).
Il debitore surrogato il quale, proponendo appello contro la sentenza che ha negato il suo diritto verso il terzo debitor debitoris, azioni il proprio diritto esercitato in via surrogatoria dal creditore, attore in primo grado e anch’egli appellante avverso la medesima sentenza, ha il potere di rinunciare al gravame, con effetto di far passare in giudicato la statuizione relativa all’esclusione del suo diritto verso il terzo, senza che sia a tal fine necessaria l’adesione del creditore surrogante: una soluzione opposta contrasterebbe infatti con il principio secondo cui il debitore surrogato non perde mai la piena disponibilità del proprio diritto sostanziale (CC 12 gennaio 1976 n. 76).
È stato affermato in giurisprudenza che il creditore può proporre appello e perseguire il diritto di impugnativa citando anche il debitore inerte, senza incor- rere nel divieto di ius novorum in appello, se le condizioni che legittimano l’azione surrogatoria si producono rispetto all’esercizio del diritto di impugnativa (CC 14 luglio 2003 n. 10985, MGI 2003; contra T Pinerolo 9 gennaio 2008 in tema di opposizione allo stato passivo).
Xxxx ricordarsi infine che, qualora il creditore non sia stato parte nel giudizio di merito, non può esercitare il diritto di surrogarsi proponendo per la prima volta impugnazione con ricorso per cassazione (CC 31 agosto 2020 m. 18105, GCM 2020; XX 0 xxxxxxx 0000 x. 0000, XX 1998, I, 503).
5. La surrogatoria stragiudiziale. Una lettura a contrario del c. 2 della norma in commento induce a ritenere ammissibile l’esercizio in via stragiudiziale dell’azione surrogatoria. Il creditore può pertanto porre in essere una serie di comportamenti che avrebbe dovuto tenere il debitore, senza un preventivo accer- tamento giudiziale dei requisiti della legittimazione.
Un accertamento negativo dei requisiti di legittimazione dell’azione esercitata in via surrogatoria potrà tuttavia essere richiesto dal debitore surrogato ovvero dal debitor debitoris. A tale proposito si ritiene che il creditore sia tenuto ad informare il debitore degli atti che intende porre in essere surrogandovisi in via stragiudiziale. Per alcuni il creditore risponde delle ingerenze ingiustificate per carenza dei requisiti, fatto salvo il caso in cui nel suo intervento possano riconoscersi gli estremi della gestione di affari altrui. In tal caso sembra doversi ammettere un obbligo in capo al creditore surrogante di continuare l’attività intrapresa (PATTI, 1985, 136).
C. Fallimento. La giurisprudenza ritiene che il fallimento del debi- tore, privandolo della disponibilità e dell’amministrazione dei suoi beni, determini il venir meno dei presupposti della legittimazione del creditore ad agire in via surrogatoria nei confronti di esso.
Si ritiene tuttavia che una simile legittimazione persista in capo al fallito nell’ipotesi in cui il fallito agisca per la tutela di diritti strettamente personali ed in quella in cui, pur trattandosi di rapporti patrimoniali, l’amministrazione fallimentare sia
Art. 2901 CODICE CIVILE
rimasta inerte, manifestando un totale disinteresse o indifferenza nei confronti del giudizio, salvo che l’inerzia degli organi fallimentari costituisca il risultato di una ponderata valutazione negativa (CC 22 maggio 2020 n. 9482).
Analogamente, il fallimento priva il creditore dell’imprenditore dichiarato fallito della legittimazione all’esercizio dell’azione surrogatoria nei confronti del debitore di quest’ultimo; tale difetto di legittimazione risulta tuttavia sanato ex tunc dalla costituzione in giudizio del curatore fallimentare il quale, agendo per ottenere il pagamento del credito, manifesti la volontà di ratificare la precedente condotta difensiva (CC 29 settembre 2005 n. 19045, GCM 2005, 7/8). Carenza dei presup- posti della legittimazione è stata altresì riconosciuta dalla giurisprudenza per l’azione surrogatoria esercitata nei confronti del curatore del fallimento dal cre- ditore il quale, adducendo la sua inerzia, intenda far valere verso i terzi i diritti e le azioni spettanti al debitore fallito (CC 6 marzo 1991 n. 2339, FALL 1991, 700;
CC 23 marzo 1961 n. 658, DFSC 1961, II, 684).
Nello stesso senso, è stata esclusa l’ammissibilità dell’azione surrogatoria proposta dal socio di società di capitali che, in caso di dichiarazione di fallimento, agisca anche in qualità di creditore della società esecutata per la tutela del patrimonio della stessa (CC 4 aprile 2003 n. 5323, GC 2003, 4; CS 3 agosto 2010 n. 5147, FA
CDS 2010, 7/8, 1648).
La giurisprudenza ha invece ammesso la possibilità che il creditore, in quanto svolga nei limiti del proprio interesse le stesse pretese del debitore surrogato, eserciti le azioni spettanti al proprio debitore mediante domanda di ammissione al passivo del fallimento del terzo debitor debitoris (CC 24 febbraio 1997 n. 1647, FALL 1997, 1008).
Sezione II
Dell’azione revocatoria
2901
Condizioni. — Il creditore, anche se il credito è soggetto a condizione o a termine, può domandare che siano dichiarati inefficaci nei suoi confronti gli atti di disposizione del patrimonio coi quali il debitore rechi pregiudizio alle sue ragioni, quando concorrono le seguenti condizioni:
1) che il debitore conoscesse il pregiudizio che l’atto arrecava alle ragioni del creditore o, trattandosi di atto anteriore al sorgere del credito, l’atto fosse dolosamente preordinato al fine di pregiudicarne il soddisfacimento;
2) che, inoltre, trattandosi di atto a titolo oneroso, il terzo fosse consapevole del pregiu- dizio e, nel caso di atto anteriore al sorgere del credito, fosse partecipe della dolosa preordinazione.
Agli effetti della presente norma, le prestazioni di garanzia, anche per debiti altrui, sono considerate atti a titolo oneroso, quando sono contestuali al credito garantito.
Non è soggetto a revoca l’adempimento di un debito scaduto.
L’inefficacia dell’atto non pregiudica i diritti acquistati a titolo oneroso dai terzi di buona fede, salvi gli effetti della trascrizione della domanda di revocazione.
Art. 2901
Commento di XXXXXXX XXXXXXXXX
BIBLIOGRAFIA
XXXXX, Teoria generale delle obbligazioni, Milano, 1955; XXXXXXXXX XXXX, Della tutela dei diritti, COM. UTET, Torino, 1980; COSATTINI, Xx xxxxxx xxxxx xxxx xxxxxxxxxxx, Xxxxxx, 0000; D’ERCOLE, L’azione revocatoria, Xx. XXX., Xxxxxx, 0000; DE MARTINI, voce Azione revocatoria, NNDI, Torino, 1958; XXXXXX XXXXXXX, Il danno nella revocatoria, Padova, 1970; XXXXXX, Conservazione della garanzia patrimoniale, COM. S.B., Bologna- Roma, 1962.
SOMMARIO
1. La funzione dell’azione revocatoria. — 2. I presupposti dell’azione revocatoria. — 3. Gli atti soggetti all’azione revocatoria. — 4. La posizione del terzo subacquirente. — 5. Gli aspetti processuali dell’a- zione revocatoria.
1. La funzione dell’azione revocatoria. All’azione revocatoria è pacifi- camente riconosciuta, sia in dottrina che in giurisprudenza, funzione cautelare e conservativa del diritto di credito, di per sé strumentale alla fase, successiva ed eventuale, dell’esecuzione forzata (XXXXXX, 1962, 888; DE MARTINI, 1958, 154; in giurisprudenza, CC 8 aprile 2003 n. 5455, MGI 2003; CC 22 giugno 1985 n. 3757, GCM 1985, f. 6; CC 30 marzo 1976 n. 1142).
Tale funzione si attua rendendo possibile la realizzazione del diritto di credito mediante l’esperimento dell’azione esecutiva sui beni, al fine di ovviare al pregiu- dizio che l’attività dispositiva del debitore arreca alle ragioni del creditore, intesa come possibilità di trovare soddisfazione sui beni che compongono il patrimonio del debitore.
La finalità dell’azione revocatoria consiste nel ricostituire la garanzia generica assicurata al creditore dal patrimonio del debitore ai sensi dell’art. 2740, di cui si sia ridotta la consistenza per effetto dell’atto di disposizione posto in essere dal debitore, al punto da pregiudicare la realizzazione del diritto del creditore con l’azione espropriativa.
Scopo dell’azione non è dunque quello di far rientrare il bene nel patrimonio del debitore, poiché l’atto revocato conserva comunque in capo all’acquirente la sua efficacia traslativa o costitutiva del diritto, ma più semplicemente quello di fare accertare e dichiarare, in favore del creditore agente, l’inefficacia dell’atto dispo- sitivo compiuto dal debitore a sottrarre il bene all’azione esecutiva.
Ne consegue che tale azione non può essere esperita dal promissario acquirente per acquistare la proprietà del bene con l’azione intesa ad ottenere l’esecuzione in forma specifica dell’obbligo di concludere il contratto definitivo, avente ad oggetto il trasferimento della proprietà del bene stesso alienato a terzi (CC 25 maggio 2001 n. 7127, MGI 2001; CC 19 dicembre 1996 n. 11349, GCM 1996, 1770), ma può
essere esperita dal promissario acquirente con la più limitata finalità di garantirgli il risarcimento del danno patito in conseguenza dell’inadempimento del promit- tente venditore (CC 10 ottobre 2008 n. 25016, V NOT 2009, 1, 341).
La dottrina parla a tale proposito di inefficacia relativa in quanto l’esito dell’azione giova solamente al creditore che l’ha esercitata, e parziale in quanto non impedisce l’acquisto del diritto in capo all’acquirente ma, più semplicemente, che il bene alienato venga sottratto all’azione esecutiva dei creditori chirografari dell’alie- nante (XXXXXX, 1962, 198).
2. I presupposti dell’azione revocatoria. I presupposti per l’esercizio dell’azione revocatoria sono rappresentati: a) dalla sussistenza di un diritto di credito verso il debitore; b) da un pregiudizio arrecato dall’atto di disposizione alla garanzia patrimoniale di tale credito (così detto eventus damni); c) da un certo atteggiamento soggettivo del debitore e, quando si tratti di atti a titolo oneroso, anche del terzo (scientia damni o consilium fraudis) (CC 12 febbraio 2020 n. 3375; CC 17 gennaio 2007 n. 966, MGI 2007; CC 23 febbraio 2004 n. 3546).
Perché possa essere esperita l’azione revocatoria è necessario che l’attore sia titolare di un diritto di credito nei confronti del debitore la cui garanzia patrimo- niale debba essere reintegrata (CC 29 gennaio 2019 n. 2347 GCM 2019; CC 25
maggio 1994 n. 5081, GCM 1994, 710).
Può trattarsi di un credito di qualsiasi natura, chirografario, presidiato da un diritto di prelazione o da altra garanzia (DE MARTINI, 1958, 158), sottoposto a condizione o a termine (CC 2 aprile 2004 n. 6511; CC 25 maggio 1965 n. 490), non necessariamente certo, liquido ed esigibile o accertato in sede giudiziale (CC 28 febbraio 2019 n. 5814 GD 2019, 34, 55; CC 18 febbraio 1998 n. 1712, GC 1998, I,
1262), né di facile determinazione.
La definizione dell’eventuale controversia sull’accertamento del credito non co- stituisce dunque antecedente logico-giuridico indispensabile della pronuncia sulla domanda revocatoria, sicché il giudizio relativo a tale domanda non è soggetto alla sospensione necessaria prevista dall’art. 295 c.p.c. (CC 12 febbraio 2020 n. 3375,
GD 2020, 22, 83; CC 10 marzo 2006 n. 5246, GCM 2006, 3; CC 6 ottobre 2005 n.
19492, GCM 2005, 10).
Dottrina e giurisprudenza sono concordi nell’ammettere la legittimazione all’a- zione del titolare di un diritto di credito meramente eventuale, quale il fideiussore, l’avvallante, il terzo datore di ipoteca (NICOLÒ, 1962, 198; in giurisprudenza, XX 00 xxxxxxxx 0000, x. 0000 XX 2013, 11, I, 3292; CC 26 febbraio 1986 n. 1220, GCM
1996, f. 2).
La dottrina ritiene che gli eredi possano chiedere la revoca degli atti dispositivi compiuti dal loro autore solamente se hanno accettato l’eredità con beneficio di inventario e siano al tempo stesso creditori del de cuius (XXXXXXXXX XXXX, 1980, 111). I titolari di diritti assoluti o di interessi legittimi sono ammessi ad agire in revoca- toria qualora un atto lesivo di tali situazioni protette faccia sorgere a loro favore un diritto di credito per il risarcimento del danno.
La legittimazione ad agire in revocatoria viene riconosciuta anche agli aventi causa di uno dei comunisti contro la divisione effettuata senza il loro intervento. In tal caso potranno agire in qualità di creditori per il risarcimento del danno pari alla differenza tra il valore del bene assegnato al loro dante causa e quello cui avrebbe
avuto diritto, in proporzione alla quota di partecipazione alla comunione (NICOLÒ, 1962, 201).
La giurisprudenza esclude, invece, la legittimazione dell’assegnatario della casa coniugale ad agire in revocatoria al fine di inibire agli acquirenti dell’immobile venduto dal coniuge titolare del bene di chiedere la consegna dello stesso in conseguenza dell’atto di acquisto (CC 8 aprile 2003 n. 5455, GCM 2003, f. 4; CC 17
luglio 2007 n. 15880, GCM 2007, 7/8).
Xxxxxxx sull’attore l’onere di fornire la prova del credito, che può essere rag- giunta con qualunque mezzo. Si ammette comunque, in giurisprudenza, che l’accertamento dell’esistenza del credito possa formare oggetto specifico della causa di revoca.
Il secondo presupposto per l’esperimento dell’azione revocatoria è costituito dal- l’eventus damni, che, a differenza del primo presupposto, deve sussistere al mo- mento di compimento dell’atto e si sostanzia nelle conseguenze negative di questo sulla garanzia dei creditori costituita dal patrimonio del debitore.
L’eventus damni consiste nel pregiudizio arrecato dall’atto di disposizione alla garanzia patrimoniale che assiste il credito e ricorre non solo quando l’atto deter- mini un danno effettivo, ma anche quando comporti un semplice pericolo di danno, quale una maggiore difficoltà, incertezza o dispendiosità nell’esazione coattiva del credito, non rilevando la valutazione circa la eventuale solvibilità del debitore (CC 18 giugno 2019 n. 16221, GCM 2019; CC 22 dicembre 2015 n.
25733, GCM 2015; CC 9 febbraio 2012 n. 1896, GD 2012, 22, 27; CC 17 luglio
2007 n. 15880, MGI 2007; CC 29 luglio 2004 n. 14489, GD 2004, 40, 67; CC 2
aprile 2004 n. 6511; CC 15 giugno 1995 n. 6777, GCM 1995, f. 6; XX 00 xxxxx
0000 x. 0000, XX 1990, I, 2871).
Il danno o pericolo di danno possono concernere sia l’entità della responsabilità patrimoniale, che può essere pregiudicata da diminuzioni o pericoli di diminu- zione di beni, sia la qualità dei beni su cui cade, che può essere pregiudicata dalla sostituzione di beni facilmente aggredibili esecutivamente e non distraibili dal debitore, con beni distraibili (ad es. denaro), oppure non facilmente aggredibili dai creditori (DE MARTINI, 1958, 159).
L’accertamento del pregiudizio costituisce un giudizio di fatto, come tale riservato al giudice di merito ed insindacabile in Cassazione laddove correttamente moti- vato (CC 9 maggio 2008 n. 11577, MGI 2008; CC 21 aprile 2006 n. 9367, MGI
2006; CC 21 settembre 2001 n. 11916, MGI 2001; CC 10 maggio 1995 n. 5095,
GCM 1995, 975).
Esso deve avvenire con riferimento al caso di specie e all’esclusivo patrimonio del debitore valutando la maggiore difficoltà o incertezza nell’esazione del credito alla data dell’atto dispositivo e non a quella futura dell’effettiva realizzazione del credito dell’attore in revocazione (CC 10 agosto 2007 n. 16986, GD 2007, 40, 101). Tale accertamento deve avvenire tenendo conto dell’entità effettiva del credito rapportata alla consistenza e qualità del patrimonio del debitore.
Nel caso di obbligazione solidale il pregiudizio in esame andrà valutato con esclusivo riferimento alla situazione patrimoniale del debitore convenuto.
Costituiscono dunque pregiudizio revocatorio tutti gli atti dispositivi in grado di escludere i beni del debitore dall’azione esecutiva dei creditori, anche nel caso in cui la quantità permanga invariata, quali ad esempio la vendita di un immobile, ancorché a giusto prezzo; l’alienazione della sola nuda proprietà con riserva di usufrutto; il conferimento dei beni in un fondo patrimoniale.
La giurisprudenza ritiene assoggettabili all’azione revocatoria non solamente gli atti dispositivi in grado di determinare sul momento una diminuzione del patri- monio del debitore, ma anche quelli che possono eventualmente comprometterne in futuro la consistenza, includendo tra di essi il conferimento di beni in società di capitali, anche se previsto in sede di costituzione di essa, poiché con esso viene sostituito al bene un titolo di partecipazione a capitale di rischio (CC 22 ottobre 2013 n. 23891, GCM 2013; CC 22 novembre 1996 n. 10359, GCM 1996, 1578).
Ancora, sono ritenuti pregiudizievoli gli atti dispositivi del fideiussore successivi all’apertura di credito ed alla prestazione della fideiussione quale l’accreditamento di denaro in conto corrente (CC 3 giugno 2020 n. 10522, GCM 2020; CC 27
giugno 2002 n. 9349, GCM 2002, 1109).
Non sussiste invece l’eventus damni qualora al tempo dell’alienazione di un bene siano presenti nel patrimonio del debitore altri beni non già vincolati, idonei a soddisfare le ragioni dei creditori, ancorché tali beni vengano successivamente sottoposti ad esecuzione forzata.
Tra l’atto dispositivo del debitore e l’evento pregiudizievole deve sussistere uno specifico nesso di causalità, di modo che l’insolvenza del debitore dovrà dipendere dall’atto ed esserne conseguenza diretta.
La prova dell’eventus damni è a carico del creditore e può essere fornita con ogni mezzo, anche presuntivo, in grado di convincere il giudice che l’esecuzione forzata darebbe esito negativo, o anche insufficiente, ovvero sarebbe sensibilmente osta- colata, a seguito dell’atto dispositivo compiuto dal debitore (XXXXXX, 1962, 219). L’onere probatorio del creditore è dunque ristretto alla dimostrazione della mo- dificazione quantitativa o qualitativa della garanzia patrimoniale, senza che sia necessario fornire la prova dell’entità e della natura del patrimonio del debitore dopo l’atto di disposizione; compete invece al debitore che voglia sottrarsi agli effetti di tale azione provare che, nonostante l’atto di disposizione, il suo patrimo- nio ha conservato valore e caratteristiche tali da garantire senza difficoltà il sod- disfacimento delle ragioni del creditore (CC 18 giugno 2019 n. 16221, GCM 2019;
CC 4 luglio 2006 n. 15265, GCM 2006, 7/8; CC 27 marzo 2007 n. 7507, GCM 2007,
3).
Il terzo requisito per l’esperimento dell’azione revocatoria, anch’esso attinente ai presupposti sostanziali dell’inefficacia, è costituito dalla scientia damni o consilium fraudis.
Tale requisito consiste nell’atteggiamento soggettivo del debitore, per gli atti a titolo gratuito, e del terzo acquirente, per gli atti a titolo oneroso, che deve essere presente al momento della stipulazione dell’atto.
La norma in commento richiede una differente misura dell’intento fraudolento a seconda che si tratti di atti di disposizione compiuti dal debitore anteriormente o successivamente al momento in cui è sorto il diritto di credito.
Nel caso in cui l’atto sia anteriore al sorgere del diritto di credito, è richiesta l’esistenza dell’animus nocendi, ossia di una dolosa preordinazione al fine di pre- giudicare il soddisfacimento del creditore (dolo specifico).
Il creditore dovrà dunque dimostrare che l’autore dell’atto, alla data della sua stipulazione, aveva l’intenzione di contrarre debiti, ovvero era consapevole del sorgere della futura obbligazione; che lo stesso soggetto ha compiuto l’atto dispo- sitivo in funzione del sorgere dell’obbligazione, per porsi in una situazione di totale o parziale impossidenza, in modo da precludere o rendere difficile al creditore l’attuazione coattiva del suo diritto (CC 27 febbraio 1985 n. 1716, GCM 1985, f. 2).
Nel caso in cui l’atto dispositivo sia posteriore al sorgere del credito, è ritenuta sufficiente la semplice conoscenza, nel debitore e nel terzo acquirente, del pregiu- dizio che l’atto arreca alle ragioni del creditore.
Tale conoscenza può aversi anche in assenza dell’intenzione di arrecare un danno ai creditori, ritenendosi sufficiente la previsione del danno che ad essi potrà derivare dall’atto dispositivo posto in essere (CC 28 febbraio 2019 n. 5810 GD 2019, 18, 56; CC 21 aprile 2006 n. 9367, GCM 2006, 4; CC 4 novembre 1995 n.
11518, GCM 1995, f. 11).
Secondo la giurisprudenza, tale consapevolezza si può ricavare da una serie di elementi quali ad esempio l’immediata immissione in possesso degli acquirenti malgrado il mancato pagamento del prezzo, la lunga dilazione di pagamento, senza interessi, di oltre la metà del prezzo di una compravendita o l’esenzione del notaio rogante dalle ordinarie visure ipotecarie e catastali (CC 12 febbraio 2014, n. 3196, DG 2014; CC 18 ottobre 2011 n. 21503, GCM 2011, 11, 1542).
In tema di azione revocatoria di un contratto definitivo di compravendita di un bene promesso in vendita, la sussistenza della scientia damni in capo all’acquirente va valutato in relazione al momento della stipula del contratto preliminare (CC 18 febbraio 2020 n. 4010, GD 2020, 18, 57; CC 11 agosto 2011 n. 17365, GCM 2011,
7-8, 1176).
Qualora autore dell’atto sia un ente, il requisito della scientia damni va accertato avendo riguardo all’atteggiamento psichico della persona fisica che lo rappre- senta, in forza del principio stabilito dall’art. 1391 c.c., applicabile all’attività delle persone giuridiche (CC 9 aprile 2009 n. 8735, GCM 2009, 4, 619; CC 4 luglio 2006
n. 15265, GCM 2006, 7/8).
Nell’ipotesi di atto dispositivo anteriore al sorgere del diritto di credito, per integrare il presupposto del consilium fraudis in capo al terzo acquirente è suffi- ciente che questi abbia avuto conoscenza dell’intento fraudolento del debitore e abbia ciò nonostante approfittato dell’atto, senza che sia necessaria la specifica intenzione di danneggiare i futuri creditori del dante causa.
Nell’ipotesi contraria di atto dispositivo posteriore al sorgere del credito, è invece ritenuta sufficiente la consapevolezza in capo al terzo che per mezzo dell’atto stesso il debitore avrebbe diminuito il proprio patrimonio e di conseguenza la garanzia spettante ai propri creditori, in modo da arrecare pregiudizio alle loro ragioni. La giurisprudenza ha in ogni caso ritenuto non necessario, nell’ipotesi di atto successivo al sorgere del credito, che il creditore revocante dimostri la conoscenza
in capo al terzo del credito specifico a tutela del quale egli agisce, né la conoscenza della sua collusione con il debitore (CC 19 novembre 2015 n. 23666, XX 0000; CC 18 marzo 2005 n. 5972, GD 2005, 17, 48; CC 23 marzo 2004 n. 5741, MGI 2004;
CC 4 novembre 1995 n. 11518, GCM 1995, f. 11).
Diversamente, nell’ipotesi di atto anteriore al sorgere del credito, è comunque necessaria la prova della conoscenza da parte del terzo della dolosa preordina- zione ad opera del disponente rispetto al credito futuro (CC 16 novembre 2020 n. 25857, GCM 2020; CC 22 marzo 2007 n. 6962, GCM 2007, 3; CC 21 settembre
2001 n. 11916, GCM 2001, 1687).
Come per l’eventus damni, l’accertamento dell’esistenza della scientia damni costitui- sce un giudizio di fatto riservato al giudice di merito e non sindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato, la cui prova può essere fornita anche tra- mite presunzioni (CC 12 febbraio 2020 n. 3375, XX, 0000, 22, 83; CC 23 maggio
2008 n. 13404, MGI 2008; CC 19 luglio 2004 n. 13330; CC 10 maggio 1995 n.
5095, GCM 1995, 975; CC 1 dicembre 1987 n. 8930, GCM 1987, f. 12).
La giurisprudenza ritiene di poter ravvisare elementi indiziari rilevanti nel grado di parentela fra il debitore e gli acquirenti (CC 9 aprile 2009 n. 8735, GD 2009, 31, 72), nel pagamento di un prezzo inferiore a quello di mercato, nell’acquisto contestuale di una pluralità di beni da parte di un unico soggetto esercente l’attività di notaio (CC 23 maggio 2008 n. 13404, GCM 2008, 5, 798).
3. Gli atti soggetti all’azione revocatoria. Il ricorso all’azione revoca- toria presuppone la validità dell’atto dispositivo in quanto idoneo a modificare la situazione patrimoniale del debitore e creare un pregiudizio alle ragioni del creditore.
Nel caso di atto nullo ex art. 1418 il creditore può tutelare le proprie ragioni mediante l’esperimento dell’azione di nullità. Qualora, invece, l’atto sia affetto da invalidità relativa, la dottrina ritiene che il creditore possa agire in surrogatoria per l’annullamento di esso e, solo qualora ciò non sia possibile e la causa di annullabilità non ne escluda i presupposti, agire in revocatoria (XXXXXXXXX XXXX, 1980, 135).
Nell’ambito della simulazione assoluta, il pregiudizio alle ragioni del creditore può essere neutralizzato mediante l’esperimento dell’azione ex art. 1416 diretta a far accertare la simulazione. Tuttavia, nel caso di terzi subacquirenti in buona fede questa risulta inefficace, dovendosi dunque fare ricorso all’azione revocatoria.
É ammesso dalla giurisprudenza l’esperimento dell’azione revocatoria contro gli atti dispositivi nello stesso giudizio sia in alternativa che in subordine all’azione di simulazione, il cui esame dovrà in ogni caso precedere quello della revocatoria. (CC 22 agosto 2007 n. 17867, GCM 2007, 7/8; CC 22 febbraio 1974 n. 536, FiR
1974, 1796, 183)
In caso di simulazione relativa, la dottrina ritiene improponibile l’azione revoca- toria, alternativa o subordinata alla domanda di simulazione, non producendo il suo accertamento la rimozione degli effetti pregiudizievoli dell’atto (COSATTINI,
Art. 2901
1950, 128). Se ne ammette invece la proponibilità in via cumulativa o congiuntiva, con precedenza all’indagine di accertamento.
L’azione revocatoria è esperibile solamente nei confronti degli atti dispositivi a contenuto patrimoniale in grado di ledere la garanzia generica dei creditori. Non rientrano tra di essi, dunque, gli atti relativi a beni non suscettibili di valutazione economica ovvero non assoggettabili all’esecuzione forzata. In tal senso non è suscettibile di revoca la rinuncia o il mancato esercizio del diritto di opzione relativo all’aumento di capitale di una società a meno che l’opzione non costituisca un bene in sé, dotato di autonomo valore di mercato (CC 11 maggio 2007 n. 10879, FI 2007, 12, 3449). In ogni caso, non sono revocabili per consolidato orientamento le disposizioni patrimoniali per causa di morte e la divisione testa- mentaria.
Secondo alcuni in dottrina, l’atto dispositivo dovrebbe rivestire la caratteristica di negozialità: l’azione revocatoria sarebbe dunque esperibile solamente nei con- fronti dei negozi giuridici veri e propri e non anche dei meri atti giuridici (BI- GLIAZZI GERI, 1980, 130).
Perché l’atto dispositivo sia revocabile è richiesto che il pregiudizio patrimoniale da esso creato sia conseguenza di comportamenti attivi del debitore, tra di essi facendosi rientrare anche le rinunce, le assunzioni di debito e gli atteggiamenti inerti che risultino comunque finalizzati a produrre un effetto pregiudizievole (accettazione tacita).
È comune opinione della dottrina che non siano assoggettabili all’azione revoca- toria gli atti di mera amministrazione che tendono alla conservazione del bene, gli atti di godimento diretto del bene e gli atti materiali con i quali si distrugge il bene o lo si trasforma sul piano funzionale e qualitativo (D’XXXXXX, 1985, 152; XXXXXXXXX XXXX, 1980, 140)
Al contrario, sono revocabili gli atti di concessione in locazione o in affitto di beni, in quanto idonei a determinare una diminuzione della garanzia patrimoniale offerta ai creditori (CC 16 novembre 2020 n. 25854, GCM 2020; CC 22 giugno 1985 n. 3757, GC 1986, I, 850), così come l’atto di concessione di ipoteca volon- taria (CC 9 novembre 2018 n. 28802, GCM 2018; CC 9 febbraio 2012 n. 1893, GCM 2012, 2), le prestazioni di garanzia in generale, anche per debiti altrui, contestuali al sorgere del credito garantito (CC 19 giugno 2014, n. 13973, GCM 2014; CC 4 febbraio 2010 n. 2610, GCM 2010, 2, 160) e la vendita con patto di
riservato dominio (CC 24 novembre 2010 n. 23818, GCM 2010, 11, 1502).
Allo stesso modo sono revocabili gli accordi di separazione personale fra i coniugi, contenenti attribuzioni patrimoniali da parte dell’uno nei confronti dell’altro e concernenti beni mobili o immobili (CC 15 aprile 2019 n. 10443, XX 0000; CC 13
maggio 2008 n. 11914, NT 2008, 5, 490; CC 12 aprile 2006 n. 8516, GI 2007, 8/9,
1939; CC 14 marzo 2006 n. 5473, GD 2006, 21, 51; CC 23 marzo 2004 n. 5741, RD
COMM 2004, II, 283).
La giurisprudenza ritiene che non sia esperibile l’azione revocatoria da parte del creditore del promittente venditore, contro il contratto preliminare di compra- vendita, in quanto non riveste il carattere dell’atto di disposizione patrimoniale, nonché delle sentenze emesse, ai sensi dell’art. 2932, nei confronti del debitore,
sulla base di un preliminare stipulato preordinatamente o scientemente in suo danno, essendo il creditore medesimo soggetto all’efficacia della sentenza, fatto salvo il caso in cui sia provato il carattere fraudolento del negozio con cui il debitore ha assunto l’obbligo poi adempiuto (CC 18 febbraio 2020 n. 4010, XX, 0000, 18, 57; CC 28 settembre 2011 n. 19804, GCM 2011, 9, 1358).
Dopo che tempo si è ritenuto che l’azione revocatoria non potesse essere esperita nei confronti di un fallimento e, se esperita dovesse essere dichiarata inammissi- bile, poiché in contrasto con il principio di cristallizzazione della massa passiva alla data dell’apertura del concorso e con il carattere costitutivo dell’azione (CC 12 maggio 2011 n. 10486, GCM 2011, 5, 740), il profilo di ammissibilità dell’azione revocatoria nei confronti della curatela fallimentare, anche alla luce dell’introdu- zione del nuovo Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, è stato recente- mente rimesso alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (CC 23 luglio 2019 n. 19881, GD 2019, 34, 23).
Nel disposto del c. 3 dell’articolo in commento si individua la prescrizione dell’ir- revocabilità, dipendente dalla mancanza di carattere dispositivo, degli atti dovuti, cioè di quegli atti posti in essere in adempimento di un obbligo del debitore, tra i quali non risultano incluso gli atti di assolvimento di oneri contrattualmente previsti per l’esercizio di un diritto quale ad esempio l’iscrizione di una ipoteca per ottenere la proroga del termine per l’estinzione di un debito (CC 4 aprile 2013 n. 8243, DG 2013; CC 16 aprile 2008 n. 9970, NT 2008, 5, 491).
Secondo la giurisprudenza sono irrevocabili anche le alienazioni di beni e tutti gli atti dispositivi preordinati a fornire la provvista per il pagamento del debito scaduto, nel caso tali atti costituiscano il solo mezzo per soddisfarlo (CC 6 agosto 2002 n. 11764, GCM 2002, 1477).
Sono invece revocabili gli atti di vendita di immobili locati ad uso non abitativo, per i quali venga esercitato il diritto di prelazione da parte del conduttore; in tal caso infatti il locatore è obbligato a vendere al conduttore che si avvalga del diritto di cui all’art. 38, l. n. 392/1978 in quanto decida liberamente di cedere la proprietà del bene (CC 4 luglio 2006 n. 15265, GC 2007, 10, 2187).
È altresì revocabile l’atto di cessione pro solvendo di crediti presenti e futuri, in quanto costituendo modalità anomala di estinzione dell’obbligazione, integra gli estremi di un atto discrezionale per il quale l’estinzione dell’obbligazione è l’effetto finale di un negozio, soggettivamente ed oggettivamente, diverso da quello in virtù del quale il pagamento è dovuto (CC 10 dicembre 2008 n. 28981, GCM 2008, 12, 1758).
Secondo la dottrina tradizionale (XXXXXX, 1962, 235), contrastata da una più meno risalente opinione (XXXXXX XXXXXXX, 1970, 51) i pagamenti effettuati prima della scadenza del termine, o con mezzi differenti da quelli convenuti originariamente, sarebbero revocabili in quanto frutto di una scelta arbitraria.
Dottrina e giurisprudenza sono concordi nel ritenere che non risultano compresi nella prescrizione del c. 3 della norma in commento gli atti estintivi di obbligazioni diversi dal normale adempimento (XXXXXXXXX XXXX, 1980, 145; XXXXXX, 1962, 236; in
giurisprudenza, A Bologna 17 marzo 2008; CC 25 novembre 2002 n. 16570, GCM
2002, 2040; CC 21 dicembre 1990 n. 12123, GCM 1990, f. 12). Sono dunque
revocabili la datio in solutum, la cessio solvendi causa, la compensazione convenzio- nale e gli atti novativi (CC 14 novembre 2017 n. 26927, GCM 2018).
4. La posizione del terzo subacquirente. Nel fare salvi gli effetti della trascrizione della domanda di revocazione per i beni immobili e mobili registrati, l’u.c. della norma in commento induce a ritenere salvi i diritti del subacquirente solamente nel caso di trascrizione, anteriore a quella della citazione in revoca- zione, di un atto di acquisto a titolo oneroso compiuto in buona fede.
La revoca presso il subacquirente presuppone dunque la possibilità di dichiarare inefficace il primo acquisto. Diversamente, in nessun caso il secondo acquisto può essere assoggettato ad azione revocatoria, qualunque fosse il titolo o lo stato psicologico del subacquirente.
5. Gli aspetti processuali dell’azione revocatoria. La legittimazione ad agire in revocatoria, che compete al creditore, è riconosciuta anche al suo succes- sore sia a titolo universale che particolare.
Se la successione avviene a giudizio iniziato, la legittimazione a continuare risulta regolata dagli artt. 110 e 111 c.p.c. Secondo la giurisprudenza, tuttavia, il soggetto che abbia acquistato un bene dal subacquirente del medesimo bene convenuto in giudizio ai fini della dichiarazione dell’inefficacia del suo acquisto ai sensi dell’art. 2901, u.c. non assume la condizione di successore a titolo particolare nel diritto controverso ex art. 111 c.p.c. ma quella di ulteriore terzo subacquirente, poiché non ha ricevuto il diritto controverso — come sarebbe se gli fosse stato ceduto il contratto di (sub)acquisto — ma l’immobile oggetto dei plurimi negozi avvenuti in successione (CC 19 novembre 2014 n. 24655, GCM 2014; CC 17 novembre 2005
n. 23255, GCM 2005, 11).
La giurisprudenza dominante ha ritenuto che, nel caso in cui dopo la proposizione dell’azione revocatoria sopravvenga il fallimento del debitore, la legittimazione processuale alla prosecuzione dell’azione spettasse in via esclusiva e per tutta la durata della procedura al curatore fallimentare, il quale subentra al creditore originario che perde il proprio interesse all’azione (CC 5 dicembre 2003 n. 18607; CC 6 agosto 2002 n. 11760, GCM 2002, 1476).
Altro contrapposto orientamento ha ipotizzato invece la possibilità per il creditore di proseguire il giudizio, a prescindere dall’iniziativa del curatore (CC 19 maggio 2006 n. 11763, GC 2007, 7/8, 1702).
La questione è stata rimessa al vaglio delle sezioni unite (CC ord. 25 febbraio 2008
n. 4717, NGC 2008, 9, 1053), le quali hanno infine precisato che qualora nel corso di un giudizio di revocatoria ordinaria promosso da un creditore, sopravvenga il fallimento del debitore convenuto, il curatore, in veste si sostituto processuale della massa, ha facoltà sia di subentrare nel relativo processo sia di proporre ex novo la medesima azione, ex art. 66 l. fall.; in entrambi i casi la legittimazione processuale dell’organo concorsuale è esclusiva, non potendo cumularsi a quella del creditore singolare, data la finalità tipica ed essenziale dell’azione revocatoria di consentire il soddisfacimento esecutivo a vantaggio di tutti i creditori concor-
Art. 2901 CODICE CIVILE 5
suali. Di conseguenza, la domanda individualmente proposta dal creditore, dive- nuto privo di interesse e di titolo per proseguire il giudizio, va dichiarata impro- cedibile, ancorché trascritta anteriormente alla dichiarazione di fallimento (CC, SU, 17 dicembre 2008 n. 29420, GD 2009, 6).
Tuttavia, le sezioni unite, confermate dalle sezioni semplici, hanno altresì preci- sato che il sopravvenuto fallimento del debitore non determina l’improcedibilità dell’azione revocatoria ordinaria promossa dal singolo creditore qualora il cura- tore non manifesti la volontà di subentrare in detta azione, né altrimenti risulti aver intrapreso, con riguardo a quel medesimo atto di disposizione, altra analoga azione a norma dell’art. 66 l.fall. (CC, SU, 17 dicembre 2008 n. 29421, FI 2009, 4,
I, 1063; CC 5 dicembre 2017 n. 29112, GCM 2018)
Recentemente è stato precisato che la legittimazione e l’interesse ad agire dell’at- tore originario non vengono meno, con conseguente improcedibilità della do- manda dallo stesso proposta, se viene fornita dimostrazione dell’inerzia degli organi della procedura in relazione al diritto azionato (CC 6 luglio 2020 n. 13862, GCM 2020).
Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno altresì precisato che l’azione revocatoria (sia ordinaria che fallimentare) non è ammissibile nei confronti di un fallimento, stante il principio di cristallizzazione del passivo alla data di apertura del concorso ed il carattere costitutivo delle predette azioni; il patrimonio del fallito è, infatti, insensibile alle pretese di soggetti che vantino titoli formatisi in epoca posteriore alla dichiarazione di fallimento e, dunque, poiché l’effetto giuri- dico favorevole all’attore in revocatoria si produce solo a seguito della sentenza di accoglimento, tale effetto non può essere invocato contro la massa dei creditori ove l’azione sia stata esperita dopo l’apertura della procedura stessa (CC, SU, 23 novembre 2018 n. 30416).
La domanda revocatoria promossa dal creditore dell’alienante, ove sia stata tra- scritta anteriormente alla dichiarazione di fallimento dell’acquirente, non si pone in contrasto con il divieto di azioni esecutive individuali posto dall’art. 51 legge fall., risultando con ciò procedibile.
In questo caso il creditore viene a trovarsi, rispetto all’immobile ormai acquisito all’attivo fallimentare, in posizione analoga a quella del titolare di diritto di prela- zione su bene compreso nel fallimento e già costituito in garanzia per credito verso debitore diverso dal fallito (CC 2 dicembre 2011 n. 25850, GCM 2011, 12, 1720). Diversamente, la domanda revocatoria svolta dal creditore dell’alienante (anche) nei confronti del terzo acquirente dell’immobile, dichiarato fallito, non trascritta anteriormente al fallimento, risulta inopponibile ai creditori concorsuali ex art. 45 l. fall. (CC 31 maggio 2019 n. 14892, GCM 2019; CC 2 dicembre 2011 n. 25850,
GCM 2011, 12, 1720).
La giurisprudenza ammette l’intervento principale o adesivo autonomo in causa di altro creditore, vietando, invece, l’intervento adesivo dipendente (CC 7 settem- bre 2020 n. 18597, GD 2020, 43, 46; CC 7 marzo 2017 n. 5621; CC 14 gennaio
1982 n. 238, GI 1982, I, 1, 1771).
Soggetti legittimati passivamente nell’azione revocatoria sono il debitore ed il terzo acquirente, fra i quali si configura un’ipotesi di litisconsorzio necessario.
Una parte minoritaria della dottrina (BETTI, 1955, 212) estende la necessità del litisconsorzio anche al subacquirente, mentre la dottrina dominante e la giurispru- denza ritengono solamente possibile l’estensione dell’azione a questi (NICOLÒ, 1962, 254; in giurisprudenza, CC 17 marzo 2004 n. 5402).
In tema di azione revocatoria dell’atto di costituzione del fondo patrimoniale, la legittimazione passiva spetta ad entrambi i coniugi, anche se l’atto costitutivo sia stato stipulato da uno solo di essi, salvo che nell’atto sia stabilito che la costituzione del fondo non comporti un effetto traslativo dei beni che costituiscono oggetto della convenzione (CC 29 marzo 2019 n. 8978, GD 2019, 18, 51; CC 27 gennaio
2012 n. 1242, GCM 2012, 1, 87).
La proposizione di più azioni revocatorie da parte di creditori diversi per il pregiudizio arrecato ai loro rispettivi crediti, ancorché dirette alla dichiarazione di inefficacia dello stesso atto, non dà luogo ad una causa inscindibile, bensì a tante cause distinte, la cui eventuale riunione, per ragioni di connessione, determina il litisconsorzio facoltativo tra le parti dei singoli procedimenti (CC 20 novembre 2009 n. 24546, GCM 2009, 11, 1619).
La competenza giurisdizionale in materia civile e commerciale è determinata dal criterio di collegamento stabilito dall’art. 5 n. 1, Convenzione di Bruxelles 27.9.1968 secondo il quale, in materia contrattuale, il convenuto può essere citato davanti al giudice del luogo in cui l’obbligazione dedotta in giudizio è stata o deve essere eseguita, in quanto applicabile anche quando a proporre l’azione revoca- toria nei confronti delle parti del contratto sia un terzo estraneo al rapporto contrattuale (CC, SU, 7 maggio 2003 n. 6899, GCM 2003, f. 5).
Appartiene alla giurisdizione del giudice italiano l’azione revocatoria ordinaria promossa da una curatela fallimentare nei confronti di un convenuto non resi- dente in Italia, trattandosi di azione direttamente derivante dalla procedura e ad essa strettamente connessa (CC, SU, 26 aprile 2017 n. 10233, GD 2017, 21, 54). Sono devolute alla giurisdizione esclusiva della Corte dei Conti le azioni dirette alla conservazione della garanzia patrimoniale che possono essere esercitate dai procuratori regionali nei confronti degli atti dispositivi compiuti da pubblici di- pendenti (CC 22 ottobre 2007 n. 22059, FI 2008, 2008, 1, 116).
La competenza per territorio, regolata dai criteri di cui agli artt. 18 e 33 c.p.c., spetta al giudice del luogo in cui uno dei convenuti o litisconsorti necessari ha la propria residenza.
Nel caso di chiamata in giudizio anche del terzo subacquirente, l’accessorietà della domanda nei suoi confronti fa sì che si tenda a negare la competenza del giudice del luogo dove questi ha la residenza.
La competenza per valore si determina in base al valore del credito per cui si agisce in revocatoria, e non in base al valore dei beni oggetto dell’atto dispositivo impu- gnato (CC 13 febbraio 2020 n. 3697, GCM 2020; CC 17 marzo 2004 n. 5402; CC
13 settembre 2004 n. 18348 (obiter dictum); CC 5 marzo 1988 n. 2307, MGI 1988;
CC 8 febbraio 1971 n. 329, FiR 1971, 461, 48).
Il rientro nel patrimonio del debitore dei beni oggetto dell’atto dispositivo impu- gnato in revocatoria comporta l’esaurimento dell’interesse ad agire e, di conse-
Art. 2902 CODICE CIVILE 1
guenza, la cessazione della materia del contendere (T Milano 18 luglio 1988, GI 1989, I, 2, 129).
2902
Effetti. — Il creditore, ottenuta la dichiarazione di inefficacia, può promuovere nei confronti dei terzi acquirenti le azioni esecutive o conservative sui beni che formano oggetto dell’atto impugnato.
Il terzo contraente, che abbia verso il debitore ragioni di credito dipendenti dall’esercizio dell’azione revocatoria, non può concorrere sul ricavato dei beni che sono stati oggetto dell’atto dichiarato inefficace, se non dopo che il creditore è stato soddisfatto.
Commento di XXXXXXX XXXXXXXXX
BIBLIOGRAFIA
XXXXX, Teoria generale delle obbligazioni, Milano, 1955; XXXXXXXXX XXXX, Della tutela dei diritti, COM. UTET, Torino, 1980; D’XXXXXX, L’azione revocatoria, Xx. XXX., Xxxxxx, 0000; XXXXXX, Conservazione della garanzia patrimoniale, COM. S.B., Bologna-Roma, 1962; XXXXXXX, I mezzi di conservazione della garanzia patrimoniale, Torino, 1997.
SOMMARIO
1. L’attuazione della fase cautelare ed esecutiva dell’azione revocatoria — 2. La posizione del terzo acquirente.
1. L’attuazione della fase cautelare ed esecutiva dell’azione revocato- ria. Dal c. 1 della norma in commento emerge la conferma del carattere conser- vativo dell’azione revocatoria nel garantire la soddisfazione delle ragioni del cre- ditore mediante l’esercizio di azioni esecutive o conservative sui beni oggetto dell’atto dispositivo positivamente impugnato.
Il disposto secondo cui tali azioni vanno esercitate nei confronti del terzo acqui- rente giustifica l’esclusione di qualsiasi potenzialità recuperatoria dei beni al pa- trimonio del debitore.
L’esercizio delle azioni esecutive o conservative è subordinato all’ottenimento della dichiarazione di inefficacia dell’atto dispositivo impugnato con l’azione re- vocatoria, oltre che alla necessaria ricorrenza di quei presupposti oggettivi che ne rendono possibile, di volta in volta, l’esperimento contro il terzo, non costituendo la sentenza dichiarativa di inefficacia dell’atto titolo sufficiente (D’XXXXXX, 1985, 163).
Si ritiene necessaria la partecipazione del debitore — al quale devono essere notificati i titoli e gli atti introduttivi — al processo esecutivo o conservativo contro il terzo; non solamente poiché è nei confronti di quest’ultimo che dovranno essere accertati i presupposti dell’azione esecutiva contro il terzo, ma anche allo scopo di consentirgli di non essere esposto all’eventuale azione di rivalsa del terzo nei sui confronti, provvedendo direttamente al soddisfacimento delle pretese creditorie.
Art. 2902
L’azione revocatoria giova solamente al creditore che l’ha esperita. Xxxx altri creditori non è dunque consentito promuovere le ulteriori fasi conservative ed esecutive, né intervenire nelle relative procedure instaurate contro il terzo acqui- rente. Poiché il bene oggetto dell’atto dispositivo revocato resta comunque nel patrimonio del terzo acquirente, i creditori personali di quest’ultimo potranno intervenire nelle procedure instaurate, ma saranno posposti ai creditori che hanno promosso l’azione revocatoria.
Nell’ipotesi in cui l’azione esecutiva sui beni oggetto dell’atto revocato sia stata esperita dai creditori del terzo acquirente, il creditore revocante, titolare di un credito esigibile, può perseguire i beni presso l’aggiudicatario, tranne nel caso in cui il pignoramento sia stato trascritto successivamente alla trascrizione della domanda di revoca o, se trascritto anteriormente, in caso di mala fede dell’aggiu- dicatario.
In tale ultima ipotesi il creditore può soddisfarsi con precedenza rispetto ai creditori dell’espropriato, sul prezzo del bene, salvi i diritti acquisiti in forza del titolo trascritto anteriormente alla domanda di revocazione (XXXXXXXXX XXXX, 1980, 176).
Nel caso in cui, invece, il credito non sia esigibile, il creditore revocante ha il diritto di intervenire nell’esecuzione per ottenere l’accantonamento della somma spet- tantegli (XXXXXX, 1962, 261).
La giurisprudenza di legittimità ha precisato che poiché oggetto della domanda revocatoria, sia essa ordinaria che fallimentare, non è il bene trasferito in sé, ma la reintegrazione della generica garanzia patrimoniale dei creditori, mediante il suo assoggettamento ad esecuzione forzata, quando l’azione sia stata promossa dopo il fallimento dell’accipiens, non potendo essere esperita con la finalità di recuperare il bene ceduto — stante l’intangibilità dell’asse fallimentare — ai creditori dell’a- lienante deve essere riconosciuto il diritto nei confronti dell’acquirente all’eserci- zio dell’azione restitutoria per equivalente parametrata al valore del bene sottratto alla garanzia patrimoniale e, quindi, in caso di fallimento dell’acquirente, il diritto di insinuarsi al passivo per il controvalore del bene oggetto dell’atto di disposi- zione posto in essere a danno delle loro ragioni (CC, SU, 24 giugno 2020 n. 12476).
2. La posizione del terzo acquirente. La disposizione contenuta nel secondo comma della norma in commento consente al creditore, una volta otte- nuta la declaratoria di inefficacia dell’atto dispositivo, di promuovere nei confronti dei terzi acquirenti azioni esecutive o conservative sui beni oggetto dell’atto impu- gnato.
Dottrina e giurisprudenza sono concordi nel ritenere che il terzo possa evitare l’esecuzione adempiendo il debito ai sensi dell’art. 1180, ovvero provando che la situazione patrimoniale del debitore è mutata in meglio, onde la garanzia del debitore è stata ricostituita (XXXXX, 1955, 193; XXXXXXX, 1997, 285; in giurispru-
denza, XX 00 xxxxx 0000 x. 000, XX 1951, I, 1299).
Art. 2902 CODICE CIVILE 2
Poiché il recupero del bene è necessario solamente per rendere possibile, con la sua vendita, il soddisfacimento del credito nei limiti del pregiudizio sofferto dall’attore in revocatoria e senza che occorra una vera e propria restitutio in integrum, al terzo, titolare del bene acquistato, è consentito trattenere l’eventuale residuo successivo alla soddisfazione del creditore procedente (CC 18 novembre 1961 n. 2691, FI 1962, I, 1538).
Esperita con successo l’azione revocatoria, all’acquirente deve essere restituito il prezzo con gli interessi corrispettivi che, secondo la più risalente giurisprudenza, decorrono dalla data dell’atto dispositivo revocato (CC 23 febbraio 1942 n. 1515, GI 1942, I, 1, 432).
Parte della dottrina ritiene che il terzo acquirente o subacquirente sia responsabile verso il creditore, per averne impedito, anche solo parzialmente, la possibilità di soddisfazione delle proprie ragioni, mediante il compimento di un atto in grado di determinare l’uscita del bene dal patrimonio, la sua distruzione, consumazione ovvero diminuzione di valore, nel caso in cui l’atto del terzo sia posteriore alla sentenza di revoca.
Nel diverso caso di anteriorità dell’atto rispetto alla sentenza di revoca, la respon- sabilità del terzo potrebbe risultare solamente da una sua qualifica illecita desumi- bile unicamente da una partecipazione all’atto fraudolento del debitore, antece- dente alla nascita del credito (NICOLÒ, 1962, 262).
Altri autori, per contro, ritengono impossibile distinguere tra anteriorità e poste- riorità, rispetto alla sentenza di revoca, dell’atto del terzo, preclusivo della soddi- sfazione creditoria. In tal senso viene aggiunta alla sanzione specifica dell’ineffi- cacia dell’atto dispositivo, quella della responsabilità per danni ex art. 2043 derivante da un ulteriore fatto lesivo del diritto di credito (XXXXXXXXX XXXX, 1980, 229).
Il principio di responsabilità del terzo acquirente per la sottrazione della garanzia patrimoniale dei creditori si applica anche nel caso in cui acquirente sia stata la pubblica amministrazione e l’impossibilità della restituzione del bene acquistato dipenda dalla sua utilizzazione per la realizzazione di un’opera pubblica (CC 28 aprile 1973 n. 1169, FI 1973, I, 1350).
È stato tuttavia affermato che nel caso in cui il fine perseguibile con l’esercizio dell’azione revocatoria non sia più realizzabile per fatto illecito successivo del terzo acquirente del bene, il creditore possa agire direttamente nei confronti del terzo per il risarcimento del danno ex art. 2043, senza dover preventivamente esperire l’azione revocatoria. In tal senso è rimesso al giudice l’accertamento della sussi- stenza dei presupposti dell’azione revocatoria e dell’irrealizzabilità del suo scopo per fatto illecito del terzo (CC 19 febbraio 2019 n. 4721, GCM 2019; XX 00
xxxxxxx 0000 x. 000, XX 1996, I, 1279).
La responsabilità del terzo verso il creditore viene limitata alla diminuzione di valore del bene.
In giurisprudenza e dottrina il valore cui fare riferimento è controverso tra quello attuale (CC 28 aprile 1973 n. 1169, FI 1973, I, 1350) e quello al tempo dell’atto dispositivo ovvero della citazione introduttiva del giudizio (XXXXXXXXX XXXX, 1980, 179).
Art. 2903
Il terzo acquirente non è responsabile dei frutti del bene, né è tenuto a restituirli, se non dal momento del pignoramento nel caso in cui ne sia nominato custode ex art. 559 c.p.c. (D’XXXXXX, 1985, 165).
2903 Prescrizione dell’azione. — L’azione revocatoria si prescrive in cinque anni dalla data dell’atto.
Commento di XXXXXXX XXXXXXXXX
SOMMARIO
1. La decorrenza del termine. — 2. La proroga del termine.
1. La decorrenza del termine. Il decorso della prescrizione quinquen- nale dipende da un atto estraneo all’interessato, prescindendo dalla conoscenza che questi ne abbia.
La più recente giurisprudenza ha affermato che la disposizione deve essere inter- pretata alla luce delle disposizioni generali in tema di prescrizione e, in partico- lare, della norma contenuta nell’ articolo 2935, secondo la quale essa comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere. In questo senso la prescrizione decorre dal giorno in cui dell’atto è stata data pubblicità ai terzi, in quanto solo da questo momento il diritto può esser fatto valere e l’inerzia del titolare protratta nel tempo assume effetto estintivo (CC 15 maggio 2018 n. 11758, GD 2018, 35-36, 61; CC 19 gennaio 2007 n. 1210, GCM 2007, 1).
Secondo un contrario orientamento, il dies a quo coincide con il momento in cui è stato compiuto l’atto dispositivo, con ciò intendendosi il momento in cui l’atto diviene giuridicamente perfetto (CC 15 febbraio 2007 n. 3379, GCM 2007, 2).
Il termine di prescrizione decorre anche se il credito da tutelare non è esigibile, è contestato o soggetto ad accertamento, e si applica anche al caso in cui l’azione revocatoria sia esercitata nei confronti del subacquirente.
Mentre nell’azione revocatoria ordinaria esercitata in sede fallimentare il termine di prescrizione decorre dalla data dell’atto dispositivo impugnato (CC 4 luglio 2018 n. 17544, GCM 2018; XX 00 xxxxx 0000 x. 0000, XX 1977, I, 1120),
nell’azione revocatoria fallimentare il termine decorre dalla dichiarazione di fal- limento, per effetto del principio generale secondo il quale la prescrizione comin- cia a decorrere dal momento in cui il diritto può essere fatto valere, in quanto prima di tale dichiarazione non solo non è configurabile la proponibilità dell’a- zione revocatoria, ma nemmeno esiste il soggetto legittimato al suo esercizio (CC 5 novembre 1999 n. 12317, GCM 1992, 2192; CC 16 febbraio 1998 n. 1635, DFSC
1998, II, 636).
Tale principio si applica anche nell’ipotesi in cui il fallimento segua alla procedura di amministrazione controllata o di concordato preventivo (CC 9 maggio 1996 n. 4347, DFSC 1997, II, 45).
Art. 2904 CODICE CIVILE 1
Nell’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi, disciplinata dal d.lgs. n. 270 del 1999, la prescrizione comincia a decorrere dalla data di ammis- sione alla procedura (CC 22 maggio 2019 n. 13838, GCM 2019).
In giurisprudenza è stato recentemente precisato che il termine di prescrizione per l’esercizio dell’azione revocatoria da parte di una società in amministrazione straordinaria decorre invece dal momento dell’approvazione del programma di cessione dei beni aziendali e non dalla nomina del Commissario straordinario (CC 3 dicembre 2018 n. 31194, R DOTT COMM 2019, 3, 553).
Le azioni cautelari od esecutive dipendenti dal giudicato sulla revocatoria sono invece soggette alla normale prescrizione decennale (NICOLÒ, 1962, 286).
2. La proroga del temine Alla prescrizione dell’azione revocatoria si applicano le regole sulla proroga dei termini di decadenza a seguito del mancato funzionamento degli uffici giudiziari di cui all’art. 1 d.lgs. 9 aprile 1948 n. 437 ed al d.m. 24 marzo 1975 (CC 17 gennaio 1984 n. 402, GI 1984, I, 1, 912).
2904 Rinvio. — Sono salve le disposizioni sull’azione revocatoria in materia fallimentare e in materia penale.
Commento di XXXXXXX XXXXXXXXX
BIBLIOGRAFIA
XXXXXXXXX XXXX, Della tutela dei diritti, COM. UTET, Torino, 1980.
SOMMARIO
1. La revocatoria fallimentare. — 2. La revocatoria penale.
1. La revocatoria fallimentare. L’azione revocatoria fallimentare è di- sciplinata dagli artt. 67 ss. l.fall. La legittimazione attiva dinanzi al tribunale fallimentare compete al solo curatore al quale è riconosciuta la facoltà di intra- prendere l’azione nonché di subentrare in quella promossa prima del fallimento da uno dei creditori.
Tale ultima azione subisce la vis actractiva della competenza funzionale del tribu- nale fallimentare in tutte le azioni derivanti dal fallimento.
Il curatore fallimentare che esperisca l’azione revocatoria ordinaria non può limitarsi a far genericamente valere le ragioni creditorie del fallimento, essendo, invece, tenuto, in caso di esplicita contestazione del convenuto, a fornire la prova che il credito di cui si tratta sia stato insinuato nella massa fallimentare (CC 6 agosto 2004 n. 15257, GCM 2004, 9).
Art. 2904
La legittimazione passiva è limitata al solo terzo a causa della perdita della capacità processuale del debitore fallito.
Il presupposto soggettivo dell’azione revocatoria, determinato ai sensi dell’art. 2901, è ravvisato nella conoscenza del pregiudizio arrecato dall’atto da provarsi specificamente, nei confronti del terzo avente causa e del debitore fallito.
La giurisprudenza ritiene che l’anteriorità del credito dell’atto dannoso non abbia alcun rilievo in sede fallimentare: il curatore, infatti, non è tenuto a provare, in relazione ai creditori posteriori all’atto revocato, che il negozio è stato dolosa- mente preordinato a pregiudicarne le ragioni (CC 30 gennaio 1998, n. 971, GCM 1998, 197; XX 0 xxxxxx 0000 x. 0000, XX 1979, I, 2930).
Il risultato dell’azione revocatoria fallimentare giova a tutti i creditori del fallito, anteriori o successivi all’atto dispositivo (XXXXXXXXX XXXX, 1980, 185).
Tale risultato non può comunque superare il limite del danno effettivamente subito dal patrimonio del debitore a causa dell’atto dispositivo.
L’accoglimento dell’azione revocatoria fallimentare non determina alcun effetto restitutorio in favore del disponente fallito né, tantomeno, alcun effetto traslativo in favore della massa dei creditori, ma comporta, viceversa, l’inefficacia dell’atto rispetto alla massa dei creditori, rendendo il bene trasferito assoggettabile all’ese- cuzione concorsuale, senza peraltro caducare, ad ogni altro effetto, l’atto di alie- nazione nei confronti dell’acquirente (CC 12 maggio 2015 n. 9584, GCM 2015; CC
15 settembre 2004 n. 18573, GCM 2004, 9).
2. La revocatoria penale. L’azione revocatoria penale, disciplinata da- gli artt. 192-194 c.p., è un rimedio civilistico volto a conservare la garanzia patri- moniale del debitore autore del reato in favore dei titolari di crediti derivanti dal reato ex art. 189 c.p. Essa non esclude l’esperibilità dell’azione ordinaria per la tutela dei medesimi crediti, sussistendone i presupposti oggettivi e soggettivi (XXXXXXXXX XXXX, 1980, 185, 189).
La dichiarazione di inefficacia riguarda tutti gli atti gratuiti posteriori. Per gli atti eccedenti l’ordinaria amministrazione a titolo oneroso e posteriori, è richiesta la prova della mala fede dell’avente causa mentre è presunta quella dell’autore del reato.
La dichiarazione di inefficacia degli atti anteriori al reato resta invece subordinata alla prova della specifica intenzione del reo di pregiudicare il soddisfacimento dei crediti e, nel caso di atti eccedenti l’ordinaria amministrazione, anche della mala fede dell’avente causa del colpevole.
L’azione promossa dal danneggiato nei confronti degli atti di disposizione patri- moniale posti in essere dall’autore di un reato dopo la sua commissione ha come presupposto la declaratoria di colpevolezza dell’autore del reato, ma non richiede necessariamente che si sia giunti ad una dichiarazione di colpevolezza poiché nel caso di estinzione del giudizio penale per morte del reo, tale azione può essere proseguita in sede civile nei confronti degli eredi dell’imputato (CC 14 giugno 2007 n. 13972, GCM 2007, 6).
Art. 2905 CODICE CIVILE 1
L’azione revocatoria penale promossa prima della condanna penale subisce la sospensione disposta dall’art. 295 c.p.c. in relazione all’art. 3 c.p.p.
Il termine di prescrizione dell’azione è quinquennale ex art. 2903 e decorre dalla data cui risale la declaratoria di colpevolezza e non da quella del compimento dell’atto di disposizione contestato, poiché solo con la prima si identifica il mo- mento in cui l’azione, ai sensi dell’art. 2935 c.c. può essere utilmente esercitata (CC 31 ottobre 2014 n. 23158, GCM 2014).
Sezione III
Del sequestro conservativo
2905
Sequestro nei confronti del debitore o del terzo. — Il creditore può chiedere il sequestro conservativo dei beni del debitore, secondo le regole stabilite dal codice di procedura civile.
Il sequestro può essere chiesto anche nei confronti del terzo acquirente dei beni del debitore, qualora sia stata proposta l’azione per far dichiarare l’inefficacia dell’aliena- zione.
Commento di XXXXXXX XXXXXXXXX
BIBLIOGRAFIA
XXXXXXXX, Del sequestro conservativo, COM. S.B., Bologna-Roma, 1957; CALAMANDREI, Introduzione allo studio sistematico dei provvedimenti cautelari, Padova, 1936; CARNELUTTI, Istituzioni del nuovo processo civile italiano, Roma, 1942; CICU, L’obbligazione nel patrimonio del debitore, Milano, 1948; CONIGLIO, Il sequestro giudiziario e conservativo, Milano, 1949; PERCHINUNNO, Il sequestro conservativo, Xx. XXX., Xxxxxx, 0000; PROTETTÌ, Il sequestro civile. Rassegna ragionata di giurisprudenza e dottrina, Napoli, 1982; PROVINCIALI, Il sequestro di azienda, Napoli, 1959; SATTA, Diritto processuale civile, Padova, 1973; VERDE, Il sequestro nel diritto processuale civile, Padova, 1999.
SOMMARIO
1. La natura giuridica e la funzione del sequestro conservativo. — 2. I presupposti per la concessione del sequestro conservativo. — 3. L’oggetto del sequestro conservativo. — 4. Il sequestro conservativo nei confronti del terzo.
1. La natura giuridica e la funzione del sequestro conservativo. Il se- questro conservativo rappresenta una misura di tutela preventiva, di carattere conservativo cautelare, volta a consentire al creditore di aggredire con esito posi- tivo il patrimonio del debitore resosi inadempiente all’obbligazione assunta.
In dottrina taluni considerano l’istituto un mezzo preparatorio all’esecuzione (CICU, 1948, 115), mentre altri lo hanno definito uno strumento di anticipazione del pignoramento (CALAMANDREI, 1936, 21).
2 Responsabilità patrimoniale
Art. 2905
Il sequestro conservativo ha la funzione di evitare una possibile menomazione della responsabilità patrimoniale del debitore dovuta ad atti dispositivi.
Tale funzione si attua tramite la sottrazione, materiale e giuridica, dei beni alla libera disponibilità del debitore proprietario, mediante la creazione di un vincolo di indisponibilità che si concreta nell’inefficacia relativa delle eventuali alienazioni e degli altri atti di disposizione aventi ad oggetto il bene sequestrato, con decor- renza dalla data della notificazione cui è tenuto il creditore ex artt. 680-681 c.p.c. (PERCHINUNNO, 1985, 172; ANDRIOLI, 1957, 279).
L’istituto in esame riveste i caratteri dell’accessorietà — poiché consegue all’eser- cizio di un potere accessorio al credito — della provvisorietà — poiché si tratta di un provvedimento temporaneo con efficacia fino alla sussistenza del pericolo di perdere la garanzia sui beni del debitore — e della strumentalità — in quanto risulta preordinato a conservare la garanzia del credito in vista dell’esecuzione sul patrimonio del debitore (CALAMANDREI, 1936, 21 ss.).
2. I presupposti per la concessione del sequestro conservativo. I presup- posti per la concessione del sequestro conservativo sono determinati dagli artt. 669 bis ss. e 671 c.p.c.
La concessione del sequestro conservativo presuppone la titolarità di un credito del richiedente, la cui prova, in sede di autorizzazione, può essere desunta attra- verso sommarie informazioni, la cui assunzione è rimessa alla prudente valuta- zione del giudice che vi provvederà quando lo riterrà occorrente e con l’ampiezza che reputerà necessaria, senza peraltro essere tenuto a precisare le ragioni di tali scelte.
Altro presupposto per la concessione del sequestro conservativo è rappresentato dall’esistenza di una pretesa creditoria che riveli, ad un giudizio sommario, i caratteri del fumus boni iuris che si connota in un giudizio di mera probabilità delle ragioni del creditore (CC 26 giugno 1998, n. 6336, GCM 1998, 1404).
Secondo la dottrina il dubbio sull’esistenza del credito può sussistere solamente in riferimento alla possibilità del suo accertamento rimandato alla successiva fase di merito del procedimento (PERCHINUNNO, 1985, 176).
È tuttavia inammissibile l’istanza di sequestro fondata sulla semplice speranza o aspettativa del creditore.
L’istanza di sequestro può essere fondata su crediti — intesi come prestazione a contenuto economico — di qualunque tipo derivanti da qualsiasi fonte, ad esclu- sione di quelli derivanti da obbligazioni naturali e debiti di gioco ex art. 1933.
A legittimare la concessione del sequestro è sufficiente la sussistenza generica di un credito, non necessariamente certo, liquido ed esigibile, purché attuale, non ipo- tetico o eventuale (CC 22 giugno 1972 n. 2055, GC 1972, I, 1511).
Mentre la giurisprudenza e parte della dottrina ritengono che anche un creditore già munito di titolo esecutivo possa ottenere il provvedimento cautelare (CC 16 gennaio 1969 n. 84, GC 1969, I, 1524; CC 5 maggio 1962 n. 895, FiR 1962, 2664,
895; in dottrina, XXXXXXXX, 1949, 68; SATTA, 1973, 176), altri autori ritengono che l’esistenza a favore del creditore di un titolo esecutivo precluda la possibilità di
Art. 2905 CODICE CIVILE 2
chiedere ed ottenere un sequestro conservativo a tutela del credito (XXXXXXXXXX, 1942, 725; XXXXXXXX, 1957, 155; PERCHINUNNO, 1985, 178).
Il provvedimento di sequestro può essere richiesto e concesso anche a garanzia di un credito sottoposto a condizione, sia sospensiva che risolutiva, e a termine non ancora scaduto.
L’ulteriore presupposto prescritto dalla legge per la concessione del sequestro conservativo è rappresentato dal periculum in mora consistente nel fondato timore da parte del creditore di perdere la garanzia del proprio credito.
Il periculum in mora può essere desunto sia da elementi oggettivi, che attengono alla consistenza patrimoniale del debitore, sia da elementi soggettivi, concernenti il comportamento dello stesso, che rendano verosimile l’eventualità di un depaupe- ramento del patrimonio del debitore, purché fondati su fatti concludenti e non su meri indizi (CC 27 marzo 2019 n. 8445; CC 15 marzo 2005 n. 5579, 2007, M 1-2,
5; CC 17 luglio 1996 n. 6460, AC 1997, 284; in dottrina, CONIGLIO, 1949, 61).
Ai fini dell’accertamento è comunque sufficiente che appaia verosimile l’eventua- lità di un pregiudizio sulla base delle informazioni assunte e ritenute necessarie dal giudice.
La misura cautelare può dunque essere concessa anche nel caso in cui la consi- stenza patrimoniale del debitore sia capiente, ma il giudice rilevi elementi tali da indurlo a ritenere che successivamente possa non esserlo più.
Secondo costante ed univoco orientamento giurisprudenziale, l’apprezzamento del giudice di merito sulla fondatezza del timore del creditore di perdere la garanzia del proprio credito, di cui quest’ultimo deve necessariamente fornire la prova, è sottratto al sindacato di legittimità ove sorretto da corretta ed idonea motivazione immune da vizi logico-giuridici (CC 10 agosto 1988 n. 4906, GCM 1988, f. 8 s.).
Nello stesso senso, la giurisprudenza ritiene che il provvedimento con il quale il giudice decida di fissare l’udienza per la comparizione delle parti, anziché prov- vedere inaudita altera parte, non possa dar luogo, se tempestivamente adottato, a responsabilità per “diniego di giustizia” ex art. 3, comma 1, l 13 aprile 1988 n. 117, ove il debitore, nelle more tra la notifica del ricorso e la concessione del sequestro, disperda od occulti i beni che avrebbero dovuto formarne oggetto (CC 9 maggio 2012 n. 7038, GCM 2012, 5).
È pacifico in dottrina e giurisprudenza che la sussistenza del periculum in mora
debba essere valutata con riferimento a fatti successivi al sorgere del credito. Secondo taluno, ai fini dell’ammissibilità del sequestro conservativo non rileva l’esistenza di garanzie specifiche a favore del credito (PERCHINUNNO, 1985, 179). Sul punto in giurisprudenza è stato precisato che l’esistenza di un’ipoteca a garanzia del credito consente comunque la concessione del sequestro laddove il giudice non ritenga l’ipoteca sufficiente a garantire il credito (CC 11 giugno 1971 n. 1772, FiR 1971, 2764, 28).
Per quanto concerne la fideiussione, invece, si ritiene che se prestata con il benefi- cium escussionis ex art. 1944, c. 2, il creditore possa chiedere la concessione del sequestro al fine di evitare la sottrazione alla garanzia patrimoniale dei beni del
3 Responsabilità patrimoniale
Art. 2905
debitore indicati dal fideiussore ai fini della futura esecuzione (XXXXXXXX, 1949, 67).
Allo stesso modo, il fideiussore potrà richiedere la misura cautelare contro il debitore principale divenuto insolvente, al fine di assicurarsi il soddisfacimento dell’azione di regresso ex art. 1953.
É stata ritenuta proponibile la domanda di sequestro conservativo da parte del danneggiato da reato a tutela del proprio diritto al risarcimento del danno, anche durante la pendenza della sua costituzione di parte civile nel procedimento penale a carico del danneggiante (CC 8 ottobre 1973 n. 2518, FiR 1973, 2404, 11).
La giurisprudenza di legittimità aveva invece affermato, nella vigenza della pre- cedente disciplina, l’improponibilità dell’istanza in presenza di un arbitrato irri- tuale, poiché la rinuncia alla tutela giudiziaria ordinaria determinata dal compro- messo si riferisce anche alle misure cautelari in quanto preordinate e strumentali ad un giudizio di merito (CC 25 novembre 1995 n. 12225, GI 1996, I, 1, 897; CC
7 dicembre 2000 n. 15524, GI 2001, 1107, nt. CANALE).
Il principio risulta superato alla luce delle modifiche introdotte all’art. 669 quin- quies c.p.c. dall’art. 23 lett. e bis del d.l. 14 marzo 2005 n. 35 conv., con modif., dalla l. 14 maggio 2005 n. 80.
Per effetto del richiamo anche agli arbitri “non rituali” introdotto dal legislatore della novella nella norma menzionata, deve infatti ritenersi oggi ammissibile il ricorso alla tutela cautelare mediante domanda da proporre al giudice che sarebbe stato competente a conoscere il merito.
3. L’oggetto del sequestro conservativo. Poiché il sequestro conserva- tivo, a norma dell’art. 678 c.p.c., a sua volta richiamato dall’art. 669 duodecies, c.p.c., si esegue secondo le norme stabilite per il pignoramento dei beni che ne sono oggetto, si ritiene possano costituire oggetto di sequestro solamente i beni pignorabili, in ragione della necessità del sequestro di poter essere convertito in pignoramento (cfr. CC 11 febbraio 1988 n. 1479, GC 1989, I, 194; in dottrina, CONIGLIO 1949, 73; PROTETTÌ, 1982, 43).
Oggetto di sequestro possono essere considerate le quote spettanti al socio sulla liquidazione della società, la quota ideale della comunione, i proventi dei brevetti industriali e dell’opera dell’ingegno pubblicata, le navi, i galleggianti e i loro carati nonché le loro pertinenze separabili (CONIGLIO, 1949, 77).
Secondo la giurisprudenza di legittimità, le quote di partecipazione di una società di persone, ancorché trasferibili per disposizione dell’atto costitutivo con il solo consenso del cedente e del cessionario, salvo il diritto di prelazione in favore degli altri soci, possono essere oggetto di sequestro a beneficio dei creditori particolari del socio anche prima dello scioglimento della società (CC 7 novembre 2002 n. 15605, GCM 2002, 1925).
La giurisprudenza di legittimità ha precisato che il pignoramento delle quote di società a responsabilità limitata, si esegue mediante l’iscrizione del provvedimento nel registro delle imprese, senza che sia assolutamente necessaria la notifica al debitore o alla società, quando quest’ultima sia stata parte del procedimento
Art. 2906 CODICE CIVILE
cautelare (CC 18 giugno 2014 n. 13903, R DOTT COMM 2014, 4, 745; T Torino
9 ottobre 2002, GI 2003, 70; T Milano 28 marzo 2000, GI 2000, I, 2109; T Milano
17 febbraio 2000, NGCC 2001, I, 318).
La prevalente dottrina ritiene inammissibile il sequestro conservativo di azienda in quanto considerato bene impignorabile nella sua complessità (CARNELUTTI, 1942, 153; CONIGLIO 1949, 79; XXXXXXXX, 1957, 153; PROTETTÌ, 1982, 46; VERDE, 1999,
124).
Altri ha invece osservato che l’impignorabilità dell’azienda non ne escluderebbe l’assoggettabilità a sequestro conservativo come anticipazione dell’esecuzione col- lettiva (PROVINCIALI, 1959, 31).
Secondo la giurisprudenza non è assoggettabile a sequestro conservativo il bene immobile oggetto di preliminare di vendita (CC 11 febbraio 1988 n. 1479, GC 1989, I, 194).
4. Il sequestro conservativo nei confronti del terzo. Il sequestro conser- vativo nei confronti del terzo ha lo scopo di impedire che l’alienazione di beni da parte del terzo pregiudichi l’esperimento dell’azione revocatoria.
Secondo taluna dottrina il testo del c. 2 della norma in commento esclude di poter assoggettare a sequestro conservativo beni del terzo convenuto nell’azione revo- catoria, diversi da quelli oggetto dell’alienazione impugnata (CONIGLIO, 1949, 53). La misura cautelare in esame si applica principalmente ai beni mobili non regi- strati in quanto l’indisponibilità dei beni immobili e mobili registrati è garantita dalla trascrizione della domanda giudiziale.
Il sequestro conservativo nei confronti del terzo acquirente deve essere eseguito con le modalità proprie del sequestro presso il debitore.
Il creditore può proporre la relativa istanza sia nelle more del giudizio per l’accertamento dell’inefficacia dell’atto di alienazione, sia in seguito all’otteni- mento della sentenza che ha dichiarato l’inefficacia dell’atto, ma prima di essere in grado di sottoporre i beni all’esecuzione forzata (CONIGLIO, 1949, 54).
2906
Effetti. — Non hanno effetto in pregiudizio del creditore sequestrante le alienazioni e gli altri atti che hanno per oggetto la cosa sequestrata, in conformità delle regole stabilite per il pignoramento.
Non ha parimenti effetto in pregiudizio del creditore opponente il pagamento eseguito dal debitore, qualora l’opposizione sia stata proposta nei casi e con le forme stabilite dalla legge.
Commento di XXXXXXX XXXXXXXXX
BIBLIOGRAFIA
XXXXXXXX, Del sequestro conservativo, COM. S.B., Bologna-Roma, 1957; CALVOSA, Il processo cautelare (i
1 Responsabilità patrimoniale
Art. 2906
sequestri e i provvedimenti di urgenza), Torino, 1970; COLESANTI, Appunti sull’opposizione al pagamento, RD PROC 1962; XXXXXXXX, Il sequestro giudiziario e conservativo, Milano, 1949; COSTA, Sequestro conservativo, NNDI, Torino, 1970; PERCHINUNNO, Il sequestro conservativo, Xx. XXX., Xxxxxx, 0000; SCAGLIONI, Il sequestro nel processo civile, Milano, 1969.
SOMMARIO
1. Gli effetti del sequestro conservativo. — 2. La conversione del sequestro in pignoramento. — 3.
L’opposizione del creditore.
1. Gli effetti del sequestro conservativo. Il sequestro conservativo ha quale effetto di determinare l’inefficacia relativa, nei confronti del solo creditore sequestrante, degli atti di disposizione posti in essere dal debitore ed aventi ad oggetti la cosa sequestrata.
Il sequestro conservativo determina la sottrazione al debitore del bene oggetto della misura cautelare ed il suo affidamento al custode, salvo che il debitore stesso non ne venga investito della custodia.
Il custode è considerato un ausiliario del giudice investito di un munus publicum
(XXXXXXXX, 1949, 187; XXXXXXXXX, 1969, 229; COSTA, 1970, 49).
Secondo la giurisprudenza il rapporto che si instaura tra l’amministrazione giu- diziaria ed il custode delle cose sottoposte a sequestro ha natura pubblicistica e non privatistica, poiché deriva dall’attribuzione di un ufficio mediante una nomina con atto processuale e non negoziale (CC 3 luglio 2018 n. 17375, GCM 2018).
Gli effetti sostanziali del sequestro sono determinati dalla creazione di un vincolo di indisponibilità consistente nell’assoggettamento dei beni a custodia, al fine di assicurarne l’amministrazione e la conservazione.
Inoltre il sequestro determina l’inopponibilità dell’atto dispositivo nei confronti del sequestrante, al fine di evitare il prodursi di alterazioni giuridiche della situa- zione sostanziale che si intende tutelare (XXXXXXX, 1970, 630).
Per quanto concerne il debitore, tale vincolo è considerato limitato in quanto le attività poste in essere sulla cosa sequestrata sono considerate del tutto lecite ancorché con il limite dell’inefficacia relativa nei confronti del sequestrante.
Per quanto concerne invece il custode, tale vincolo è ritenuto assoluto, dal mo- mento che le attività dispositive poste in essere da questi sono considerate degli illeciti tutelabili sia civilmente, con il risarcimento del danno, che penalmente, per la violazione del dovere di custodia (XXXXXXX, 1970, 626; CONIGLIO, 1949, 194).
Secondo autorevole dottrina è consentito al debitore trasferire il solo possesso del bene sequestrato, senza tuttavia trasferirne la materiale detenzione (PERCHINUNNO, 1985, 172).
Con l’assoggettamento del bene al sequestro conservativo, la legittimazione pro- cessuale passiva permane in capo al sequestrato alienante contro il quale l’esecu- zione forzata dispiega i propri effetti, una volta avvenuta la conversione in pigno- ramento (CONIGLIO, 1949, 172).
Il creditore può infatti considerare nei propri riguardi privo di effetti l’atto dispositivo del debitore sequestrato, senza che si renda necessario l’esperimento dell’azione revocatoria e la pronuncia di una sentenza del giudice (CC 20 agosto
Art. 2906 CODICE CIVILE 2
2013 n. 19216, GCM 2013; CC 7 febbraio 2012 n. 1689, GCM 2012, 2, 129; XX 00
xxxxxxx 0000 x. 000, XX 1970, I, 1953).
Sono in primo luogo considerati inefficaci nei confronti del creditore sequestrante tutti gli atti che comportano, sia a titolo gratuito che oneroso, il trasferimento della proprietà del bene.
Risultano inopponibili al creditore sequestrante la transazione, gli atti costitutivi di diritti su cosa altrui e di diritti personali di godimento (locazione, comodato ecc.), oltre agli atti di disposizione di ultima volontà limitatamente al legato (XXXXXXX, 1970, 636 ss.).
Nel caso in cui abbia ad oggetto beni immobili, la misura cautelare si esegue mediante la trascrizione del provvedimento giudiziale nei registri immobiliari, in difetto di che il sequestro risulta inefficace nei confronti dei soggetti che trascri- vano l’acquisto del bene. In passato la giurisprudenza lo ha tuttavia considerato inesistente (CC 23 gennaio 1970 n. 148, FI 1970, I, 1953).
Analogamente, il sequestro che ha ad oggetto beni mobili registrati si esegue mediante la trascrizione del provvedimento nei relativi registri (CC 27 febbraio 1955 n. 523). In tal caso, tuttavia, la mancata trascrizione — che ha valore pura- mente dichiarativo — non inficia la validità della misura cautelare.
Nel caso in cui abbia ad oggetto beni mobili non registrati, il sequestro si esegue secondo le norme stabilite per il pignoramento mobiliare presso il debitore, ex art. 513 c.p.c. o presso terzi, ex art. 543 c.p.c.
2. La conversione del sequestro in pignoramento. Ottenuta la conces- sione del sequestro conservativo ante causam, il ricorrente ha l’onere di introdurre il procedimento di merito volto a far accertare la sussistenza del proprio diritto di credito entro il termine fissato dal giudice, a pena di inefficacia del provvedimento cautelare.
La giurisprudenza ha precisato che la tardiva introduzione del giudizio di merito conseguente all’autorizzazione del sequestro conservativo comporta l’inefficacia della misura cautelare concessa ante causam anche nel caso in cui la parte intimata si sia ritualmente costituita (CC 23 giugno 2009 n. 14641, GCM 2009, 6, 964).
Gli effetti del sequestro conservativo perdurano sino — e non oltre — al passaggio in giudicato della sentenza di merito che chiude il procedimento anteriormente al quale, o nel quale, è stato concesso.
Nel caso in cui venga accertata con sentenza passata in giudicato l’inesistenza del diritto di credito oggetto di tutela, la misura cautelare perde efficacia.
Nel caso in cui, invece, l’esistenza del diritto di credito venga accertata con sen- tenza esecutiva, il creditore ha la possibilità di convertire il sequestro in pignora- mento, compiendo le formalità prescritte dall’art. 156 disp. att. c.p.c.
La conversione del sequestro conservativo in pignoramento opera “ipso iure” nel momento in cui il sequestrante ottiene sentenza di condanna esecutiva, in quanto è in quello stesso momento che ha inizio il processo esecutivo, di cui il sequestro convertitosi in pignoramento costituisce il primo atto.
3 Responsabilità patrimoniale
Art. 2906
L’attività imposta al sequestrante dall’art. 156 disp. att. c.p.c. costituisce una attività di mero impulso processuale che il sequestrante, divenuto creditore pigno- rante, ha l’onere di compiere nel termine perentorio di sessanta giorni dalla comunicazione della sentenza di condanna esecutiva a pena di inefficacia del pignoramento (CC 3 settembre 2007 n. 18536, GCM 2007, 9; CC 29 aprile 2006 n.
10029, GI 2007, 5, 1208).
La conversione può avvenire solamente sulla base della coesistenza della con- danna esecutiva e dell’inadempimento del debitore. È dunque occorrente, oltre all’ottenimento del titolo esecutivo, che il debitore si renda inadempiente trasfor- mando la propria responsabilità patrimoniale da potenziale ad effettiva (PERCHI- NUNNO, 1985, 184).
La conversione del sequestro conservativo presso terzi in pignoramento presup- pone la persistenza del vincolo di indisponibilità dei beni sequestrati a carico del terzo, già autore della dichiarazione positiva resa ai sensi dell’art. 547 c.p.c., nonostante questi ne abbia disposto in violazione degli obblighi su di esso incom- benti (CC 7 febbraio 2012 n. 1689, GCM 2012, 2).
L’ipoteca iscritta sul bene dopo la trascrizione del sequestro conservativo, ma prima della sua conversione in pignoramento, non è nulla ma improduttiva di effetti nella distribuzione della somma ricavata (CC 10 ottobre 2017 n. 23667, GCM 2018), e pure essendo inopponibile al creditore sequestrante, può essere opposta nella distribuzione del prezzo ai creditori chirografari intervenuti nell’e- secuzione (CC 1 marzo 1995 n. 2302, GI 1996, I, 1, 526; XX 00 xxxxxx 0000 x.
0000, XX 1976, I, 2081).
In caso di dichiarazione di fallimento il creditore sequestrante perde il potere d’impulso della procedura esecutiva iniziata a seguito della conversione della misura cautelare, e vi si sostituisce di diritto il curatore (CC 5 aprile 2013 n. 8425, GD 2013, 27, 50).
Il curatore, al quale risultano inopponilbili gli atti pregiudizievoli trascritti succes- sivamente al pignoramento in ragione della sua partecipazione alla procedura esecutiva, non può tuttavia giovarsi della inopponibilità degli atti che hanno per oggetto la cosa sequestrata in quanto tale, trattandosi di effetti di cui si avvantag- gia, ex art. 2906, solo il creditore sequestrante (CC 11 dicembre 2009 n. 25963, GCM 2009, 12, 1681).
3. L’opposizione del creditore. L’opposizione prevista dal c. 2 della norma ha lo scopo di rendere inefficaci nei confronti del creditore che se ne sia avvalso, i pagamenti che il debitore abbia effettuato successivamente all’opposi- zione.
La misura cautelare ha come ulteriore conseguenza di non liberare il debitore che abbia adempiuto al pagamento dopo l’opposizione, obbligandolo a pagare una seconda volta l’opponente che agisce in surrogatoria ed a rispondere del danno eventualmente arrecato.
Nel caso in cui l’opposizione dovesse risultare infondata, il creditore diviene
Art. 2906 CODICE CIVILE 3
responsabile, ma solo nei confronti del creditore non soddisfatto dall’opposizione (XXXXXXXX, 1957, 281).
L’opposizione del creditore determina l’inefficacia relativa dei fatti estintivi del credito successivi al pignoramento, al sequestro e all’opposizione (COLESANTI, 1962, 51).
Secondo la dottrina (XXXXXXXX, 1957, 281), l’opposizione al pagamento può essere eseguita in qualsiasi forma ed essere intimata anche da soggetto incapace, non rivestendo carattere negoziale.
Solito viene eseguita in via stragiudiziale per mezzo di intimazione formale noti- ficata all’intimato.
A differenza del sequestro conservativo, l’opposizione non è soggetta a trascri- zione.