DIPARTIMENTO DI GIURISPRUDENZA
CORSO DI DOTTORATO IN SOGGETTI, ISTITUZIONI, DIRITTI NELL’ESPERIENZA INTERNA E TRANSNAZIONALE
DIPARTIMENTO DI GIURISPRUDENZA
Settore Scientifico Disciplinare: IUS/01
IL DOTTORE IL COORDINATORE
XXXXXXXX XXXXXX XX.XX PROFESSORE XXXXXXXXX XXXXXXXX
IL TUTOR
XX.XX PROFESSORE XXXXXX XXXXXXXXX
CICLO XXIX
ANNO CONSEGUIMENTO TITOLO 2016
INDICE
Premessa 4
Capitolo I La collaborazione tra imprese: un fenomeno tra “mercato” e
6
1.1 La cooperazione in forma reticolare 6
1.2 Forme di economia organizzata: il modello fordista ed il suo superamento 10
1.3 Il distretto produttivo: forme di collaborazione territoriale 14
1.4 Strategie di internazionalizzazione: dal distretto produttivo alle reti di imprese 21
1.5 Le reti di imprese: profili qualificatori ed aspetti fiduciari 25
1.6 Classificazioni delle reti di imprese: i modelli di aggregazione nel mercato 28
Capitolo II Il contratto di rete nella l. 33/2009: la tipizzazione normativa delle reti
di imprese 33
2.1 Dalle reti di imprese al contratto di rete: l’esigenza di una regolamentazione 33
2.2 Il contratto di rete nella l. n. 33/2009 e successive novellazioni 36
2.3 Il successivo intervento legislativo del d.l. 31 maggio 2010, n. 78 41
2.4 Il contratto di rete: nuovo modello o figura transtipica? 48
Capitolo III Profili qualificatori e modelli di governance del contratto di rete
57
3.1 Tratti ricostruttivi del contratto di rete: profili qualificatori e lacune legislative 57
3.2 Requisiti strutturali della fattispecie: il programma di rete quale tratto distintivo del contratto 62
3.3. Governance della rete tra programmazione strategica ed esecuzione del contratto
..................................................................................................................................... 69
3.4 Il fondo patrimoniale comune e la sua funzione: profili di analisi 74
3.4.1 (segue) Definizione contrattuale dell’assetto patrimoniale 79
3.4.2 (segue) Composizione del fondo patrimoniale di rete 86
3.5 La costituzione di patrimoni destinati 90
3.6 La soggettività giuridica della rete di imprese e relativi profili di criticità 96
Capitolo IV Responsabilità della rete di imprese e prospettiva concorrenziale .. 103 Sezione I: Allocazione del rischio e regime della responsabilità 103
4.1 Xxxxxxx e responsabilità nella rete 103
4.2 Configurazione dei rimedi attivabili: dal rimedio risolutorio alla rinegoziazione del contratto 110
4.3 La responsabilità della rete verso i terzi 118
Sezione II: Contratto di rete e applicazione del diritto antitrust 122
4.4 Il contratto di rete quale possibile strumento di elusione della normativa antitrust
................................................................................................................................... 122
INDICE DEGLI AUTORI 131
Premessa
Il contratto di rete, introdotto nel nostro ordinamento ad opera dell’art. 3, comma 4-ter e ss., l. 9 aprile 2009, n. 33, recante misure ungenti a sostegno dei settori industriali in crisi, in seguito modificato dalla l. 23 luglio 2009 n. 99 e dall’art. 42 l. 30 luglio 2010, n. 122, successivamente integrato dalla l. 7 agosto 2012, n. 134 e dalla
l. 17 dicembre 2012, n. 221, rappresenta la tipizzazione normativa di un fenomeno di coordinamento tra imprese da tempo sperimentato nella prassi del nostro sistema produttivo e sempre più destinato ad evolversi nel tempo.
Tale strumento contrattuale risponde ad esigenze innovative connesse ad evoluzioni strutturali di assetti economico-sociali quali i cambiamenti dovuti alle innovazioni tecnologiche costanti nonché all’incalzante processo di globalizzazione nell’organizzazione delle imprese, elementi che modificano, riproponendoli ed adattandoli, paradigmi produttivi ciclicamente posti alla base delle relazioni industriali del secolo scorso.
La disciplina in commento, oggetto del presente lavoro di ricerca, è stata ideata al preciso scopo di promuovere e consolidare forme stabili di coordinamento tra imprese di piccole e medie dimensioni, così da favorirne la competitività e lo sviluppo nel settore dei sistemi produttivi integrati.
Attraverso la tipizzazione di un nuovo strumento giuridico, quale il contratto di rete, vengono di fatto riprodotti ed attuati modelli negoziali socialmente già esistenti ancor prima dell’introduzione della figura in esame quali, ad esempio, il modello delle reti di imprese.
Il legislatore ha voluto offrire agli imprenditori italiani, in un contesto economico caratterizzato da profonda crisi, uno strumento potenzialmente capace di rilanciare lo sviluppo economico del paese, contemperando fra loro due esigenze all’apparenza inconciliabili quali, da un lato, la necessità di una collaborazione tra
imprenditori imposta dagli elevati standard qualitativi e tecnologici richiesti dal mercato e, dall’altro, lo spiccato individualismo proprio degli operatori economici del nostro paese.
Obiettivo del legislatore è stato, dunque, quello di immaginare una disciplina specifica incidente sul fenomeno della collaborazione imprenditoriale, introducendo una figura contrattuale esemplificazione giuridica di un modello collaborativo tra imprese.
Cercare di comprendere le ragioni che hanno indotto il legislatore ad intervenire, a più riprese, sul tema della cooperazione ed aggregazione imprenditoriale di tipo reticolare costituisce il presupposto di partenza per una valutazione critica della portata innovativa della disciplina in esame, con attento riguardo alla conformazione giuridica del coordinamento reticolare attuato per mezzo della fattispecie contrattuale di cui all’art. 3, c. 4 ter, l. 33/2009.
Capitolo I
La collaborazione tra imprese: un fenomeno tra “mercato” e “gerarchia”
1.1 La cooperazione in forma reticolare
La cooperazione reticolare, elaborata nel settore delle relazioni imprenditoriali di tipo cooperativo e a carattere tendenzialmente stabile, si concretizza in quell’insieme di legami intercorrenti tra due o più imprese formalmente e giuridicamente distinte, anche in concorrenza tra loro, tra le cui attività esiste una interdipendenza tale da rendere utile o a volte essenziale un coordinamento delle stesse; a tal fine si fa ricorso a svariati strumenti di governo, formali ed informali, contrattuali o meno, dove il rapporto di fiducia assurge ad elemento essenziale delle aggregazioni imprenditoriali condotte in forma reticolare.1
Il sorgere dei sistemi reticolari, collegati sia ad una economia finanziaria che reale, preesistendo allo sviluppo imprenditoriale verticalmente integrato, ha da sempre assunto un ruolo determinante nei processi di globalizzazione seguiti alle scoperte geografiche e alle due rivoluzioni industriali.
Peraltro, già in epoca precedente al 1492 si trovava traccia di forme di aggregazione imprenditoriale attuate in forma reticolare sul versante dello scambio di
1 P. IAMICELI, Le reti di imprese: modelli contrattuali di coordinamento, in X. Xxxxxxx (a cura di), Reti di imprese tra regolazione e norme sociali, Bologna, 2004, 128. Tale ricostruzione si ricollega a quella fornita da X. XXXXXXX, Introduction: the research agenda of implicit dimension of contracts, in Implicit dimensions of contract: discrete, relational and network contracts (a cura di X. XXXXXXXX, X. XXXXXXX e X. XXXXXXXX), Xxxx, Oxford-Portland, 2003, 19 ss., secondo cui «networks signifies a grouping of contractual arrangements between more than two parties with a productive aim that requires the interaction and co-operation of all parties. Within networks, many of the parties have contractual links, often of relational type, but there are also many other economic relations present that have not been constructed through an express contract».
materie prime, semilavorati e prodotti finiti in Europa e tra Europa ed il continente asiatico2.
Le reti di imprese hanno dunque lunga storia3. E’ nel tardo novecento che tale fenomeno riemerge nei mercati regolati in ragione del continuo sviluppo tecnologico delle attività di impresa nonché delle liberalizzazione dei mercati che hanno sempre più condotto ad una erosione dei sistemi monopolistici.
Per gli studiosi e i critici del settore, la forte espansione delle attività di impresa condotte in forma reticolare ha rappresentato l’avvento di un modello ibrido fra mercato e gerarchia, una forma divergente dal mercato in quanto i partecipanti si identificano in operatori ben identificati, scelti sulla base della complementarità di risorse e, allo stesso tempo, dalla tipica concezione di gerarchia di mercato4.
La rete di imprese è altresì riconducibile alla semplificazione delle grandi organizzazioni integrate, in una logica di progressiva attenuazione dei rischi di impresa e dei costi ad essa connessi, snellimento dovuto alla globalizzazione dei mercati che ha imposto sempre più la ricerca di strumenti di coordinamento e collaborazione più complessi ed articolati di quelli percorsi dalle piccole e medie imprese, nonché la ricostruzione di percorsi alternativi volti a stimolare un incremento di competitività sul mercato5.
La globalizzazione, processo di per sé articolato e complesso, è da intendersi quale fenomeno di sviluppo di mercato in cui la produzione dei differenti paesi si evolve in una logica sempre più caratterizzata da forte interdipendenza, nel quale i cambiamenti indotti dalla dinamica del commercio internazionale e dai flussi di capitali sono veicolati dalle crescenti dimensioni delle imprese multinazionali.
2 In generale X. XXXXXXXX, L’organizzazione delle attività economiche, Bologna, 1995, 349; X. XXXX,
Reti di Imprese, Modelli e prospettive per una teoria del coordinamento, Xxxx, 0000, 2 ss.
3 X. XXXXXXX, Il contratto di rete e il diritto dei contratti, in I Contratti, Dibattiti, Reti di impresa e contratto di rete: spunti per un dibattito, a cura di X. XXXXXXX e X. XXXXXXXXXXXX, 10, 2009, 915 ss.
4 X. XXXXXXX, Contractual Networks and the Small Business Act: Towards European Principles?, in
ERCL, 2008, 496.
5 M.R. XXXXXXX, Reti di impresa e contratto di rete, in Contratti, 2009, 957.
Le reti non sono solo l’esito di processi di liberalizzazione dei mercati e di ridefinizione dei paradigmi di regolazione ma piuttosto vanno inquadrati quali fenomeni derivanti dalla trasformazione dei mercati, della divisione internazionale del lavoro e della diverticalizzazione delle filiere produttive6.
La disciplina giuridica delle reti di imprese, sino all’innovazione introdotta dalla l. 33/2009, è stata ricostruita facendo capo a svariati modelli volti ad attuare, sebbene in termini differenti, una vera e propria dimensione reticolare. Fattispecie di collaborazione in fase produttiva e distributiva tra piccole e medie imprese sono state conseguite per mezzo di contratti plurilaterali quali le joint ventures, i consorzi e le ATI, mediante contratti bilaterali e collegati (subfornitura e franchisnig), o con altri specifici sistemi di controllo di qualità durante tutta la filiera. Tali meccanismi reticolari non hanno mai goduto di una disciplina unitaria, pur rispondendo unitariamente alla fragilità che la sempre più accentuata frammentazione proprietaria e la ridotta dimensione imprenditoriale europea manifestava.
Lo Small Business Act del 20087 nei suoi 10 principi, pur non affrontando nello specifico il tema delle reti, ha richiamato l’attenzione della politica europea in materia di piccole e medie imprese, a fronte dell’esigenza sempre più marcata di favorire logiche di aggregazione differenziate in stretta connessione con i fattori produttivi di mercato quali il capitale ed il lavoro. Infatti, l’esponenziale crescita degli scambi a livello internazionale e la conseguente pressione concorrenziale hanno nel tempo generato una diverticalizzazione della produzione e una delocalizzazione della stessa, e ciò sia per ragioni di carattere prettamente economico, sia per la necessità di dover concorrere nei mercati esteri. Tuttavia, tale delocalizzazione, accompagnata dal venir meno dell’idea di un’impresa verticalmente integrata quanto, piuttosto, da una concezione esattamente contraria, ha ben presto dato luogo alla necessità che venisse predisposto un sistema di regole e di norme contrattuali tali da permettere ai diversi attori del mercato di potersi coordinare tra loro nella suddetta scomposizione organizzativa.
6 X. XXXXXXX, Il contratto di Rete, Commentario, a cura di Xxxxxxxx Xxxxxxx, il Mulino, 2009, 9 ss.
7 Small Business Act COM (2008), 394, 25 GIUGNO 2008.
Si diffondono dunque modelli di relazioni tra imprese in forma collaborativa che, al fine di un corretto coordinamento inter-imprenditoriale, richiedono sempre più un sistema di regole cui far riferimento, in termini di regolamento contrattuale.
Tra studiosi di maggiore spicco e i critici della fattispecie c’è chi sostiene l’infondatezza di una qualsiasi possibile qualificazione giuridica del citato fenomeno delle reti di imprese e chi, invece, procedendo oltre la semplice classificazione giuridica, ha sin da subito sollevato profili di criticità e di antinomia8.
In tale prospettiva, al fine di determinare un inquadramento giuridico della fattispecie “reti di impresa” e con attento riguardo alla normativa di riferimento (l. 33/2009) e alle dinamiche evolutive della stessa, non può prescindersi da un’indagine ricostruttiva del fenomeno della globalizzazione, partendo dalle sue origini sino ad individuarne le effettive conseguenze sul piano giuridico-economico.
Rilevante è altresì una ricostruzione in chiave analitica del fenomeno della delocalizzazione connessa al decentramento della produzione ed al ruolo del collegamento contrattuale sia in fase produttiva che in fase distributiva.
Particolare rilievo riveste infine la prospettiva comunitaria che, dall’incontro del dato normativo in esame con la realtà economica delle imprese ed alla luce dell’impatto che la cooperazione reticolare determina sul mercato, può presentare interessanti risvolti in tema di concorrenza.
8 R.M. BUXBAUM, Is “Network” a Legal Concept?, in Journ. Inst. and Theoreth. Econ.,1993, 149.
1.2 Forme di economia organizzata: il modello fordista ed il suo superamento
Il modello reticolare si innesta nel più generale ambito della cooperazione imprenditoriale, in cui relazioni tra imprese formalmente distinte danno luogo ad una crescente esigenza di coordinamento tra le stesse.
Nelle reti di imprese possono facilmente riscontrarsi molte delle caratteristiche delle risalenti corporate guilds9, predominanti forme di economia organizzata già diffuse in epoca precedente alla prima rivoluzione industriale dove vaste categorie di produttori, in assenza di qualsivoglia vincolo di carattere associativo, intessevano tra loro rapporti cooperativi a carattere stabile per puro intento solidaristico e di protezione della loro attività economica.
Tali forme di cooperazione, predominanti in Europa occidentale così come nel nord America, vennero in seguito considerate come foriere di possibili restrizioni di mercato in quanto derivanti da vere e proprie forme di collusione ed accordi fraudolenti.
Verso la fine dell’800 inizi del 900 Xxxxxx Xxxxxxxx (1972), economista inglese e Professore presso l’Università di Cambridge, si dedicò ad uno studio approfondito sulle economie di costo che si determinano al variare della dimensione d’impresa; nel suo testo, “Principles of economics” del 1980, egli accostò la teoria classica del costo di produzione con l’analisi della utilità, prediligendo il metodo dell’equilibrio parziale, e fu il primo a notare i vantaggi derivanti dalla localizzazione delle imprese specializzate in un determinato settore in specifici distretti industriali. In tale studio sottolineò, infatti, il ruolo delle economie esterne quale elemento fondamentale
9 Di contrario avviso X. XXXXXX, The return of the guild? Networks relations in historical perspective, in
X. XXXXXXX - X. XXXXXXX, Networks. Legal iusses and multilateral co-operation, Xxxxxx, Xxxxxxxx, 0000, 50 ss., il quale precisa che tali modelli di cooperazione pur simili non possono considerarsi sovrapponibili, in quanto «the guild does represent a particular subdivision of the network form, based as it is on lateral or horizontal patterns of exchange, interdependent flows of resources, and reciprocal lines of communication».
affinché le piccole imprese possano conseguire i vantaggi tipici della produzione su grande scala a fronte, però, di una concentrazione in un’area ben circoscritta.
Il coordinamento dell’attività di piccole e medie imprese, specializzate ciascuna nella lavorazione di prodotti complessi in determinate fasi del settore produttivo da un lato e, la concentrazione delle imprese di grandi dimensioni, dall’altro, costituivano per l’economista inglese due strade alternative che avrebbero potuto condurre, sebbene in termini differenti, verso un potenziamento del sistema economico capitalista.
Nei primi anni del XX secolo il paradigma di organizzazione della produzione di massa fu dominato dall’avvento di imprese di grandi dimensioni, affermando un modello di organizzazione economica definito “fordista” o “fordista-taylorista”.
Grazie ad un’applicazione pratica dei principi di organizzazione scientifica del lavoro, elaborati dall’ingegnere americano Xxxxxxxxx X. Xxxxxx (1856-1915) e basati sulla razionalizzazione del ciclo produttivo, secondo criteri di ottimizzazione economica attraverso una scomposizione dei processi di lavorazione nei singoli momenti costitutivi, il mercato mondiale, soprattutto quello statunitense, fu dominato dall’impresa fordista. Il “fordismo”, modello operativo introdotto da X. Xxxx nella propria impresa automobilistica americana a partire dal 1913, rappresentava una risposta ai limiti della tecnologia e delle prassi organizzative dei primi decenni del capitalismo.
Secondo Ford i criteri scientifici di organizzazione del lavoro di fabbrica andavano coordinati con una costante ricerca di qualità sempre più elevate nell’ambito della produzione.
Tuttavia, concependo il sistema di produzione quale sistema basato sulla c.d. catena di montaggio, la ricerca di un incremento qualitativo costante andò di pari passo con aumento esasperato delle dimensioni aziendali attraverso un’integrazione di tipo verticale.
Alla base della filosofia fordista vi era, infatti, l’idea che i nuovi modelli di organizzazione della produzione sarebbero stati in grado attivare un circolo virtuoso tale da alimentare una crescita esponenziale e pressoché illimitata delle dimensioni dell’impresa. Dal punto di vista pratico, una standardizzazione e semplificazione dei processi produttivi nonché l’introduzione della catena di montaggio rendeva possibile una produzione su larga scala; la concentrazione delle attività in grandi impianti industriali permetteva di sfruttare economie di scala riducendo sempre più il costo del singolo prodotto, e così anche il suo prezzo di vendita.
Furono però l’eccessivo dirigismo, l’aggravato controllo gerarchico e la costante ricerca di un inesauribile incremento delle dimensioni aziendali e della produttività a determinare negli anni settanta una crisi del modello fordista. Diversi furono i fattori che fecero tracollare tale paradigma socio-economico.
L’assioma fordista, basato dunque su una possibilità di crescita indefinita dei volumi di produzione, entrò fortemente in crisi quando sul mercato cominciarono ad affacciarsi imprese che realizzavano prodotti ad alto livello scientifico e tecnologico e quando gli shock petroliferi determinarono una crisi delle risorse. Infatti, la quadruplicazione del prezzo del petrolio ha ben presto mostrato come gli input del sistema produttivo non sono affatto inesauribili; fin dall’embargo del petrolio, proclamato dall’Organizzazione dei paesi esportatori del petrolio (OPEC, Organization of Petroluem Exporting Countries) nel 1973, i rapidi e imprevisti aumenti dei prezzi destarono un profondo e radicale squilibrio per la loro capacità di determinare enormi variazioni del PIL dei paesi colpiti, sino a sconvolgere gli equilibri mondiali.
La saturazione del mercato dei beni di massa, l’accresciuta concorrenza dei paesi di nuova industrializzazione e l’accrescimento esasperato dei prezzi del petrolio e delle materie prime portarono, ben presto, ad una recessione su scala mondiale nonché alla crisi del modello fordista e ad una necessaria riformulazione delle strategie imprenditoriali, sempre più caratterizzate da flessibilità organizzativa e da una diversificazione merceologica elevata. Ciò nel primario intento di fronteggiare le
nuove esigenze consumeristiche, nonché l’aumento del costo del lavoro e delle materie prime10.
Il superamento del modello fordista non avvenne mediante la teorizzazione e applicazione di un nuovo modello, ma piuttosto come esito indipendente derivante dalle naturali trasformazioni susseguitesi nel mercato globale, per rispondere e contrastare la crisi degli anni settanta. Venne così abbandonata l’impresa verticalmente integrata procedendo verso un incremento flessibile della ricchezza e delle competenze, seguendo una logica sempre più ispirata ad una condivisione dei modi e tempi di produzione.
Il post-fordismo fu caratterizzato da un progressivo abbandono dell’idea che il tempo e lo spazio fossero elementi stabili ed immutabili. Nuova enfasi venne così rivolta alla specializzazione, flessibilità e qualificazione dei lavoratori. L’industria, abbandonando la tradizionale produzione di massa, riesce così ad acquistare maggiore flessibilità sia organizzativa che produttiva, adeguando la propria offerta ad una domanda sempre più diversificata.
Il nuovo modello produttivo si concretizzava attorno ad un consumatore attivo e diversificato, così da rendere più profittevole per le imprese specializzarsi in diverse categorie di prodotti volti ad una più ampia platea di consumatori, facendo leva sulle loro maggiori inclinazioni. Pertanto, al posto di investire ingenti capitali su singoli prodotti, le imprese riconobbero la necessità di dar luogo a sistemi differenti di impiego della manodopera e dei macchinari, così da determinare un’offerta maggiormente flessibile per rispondere alle diverse esigenze di mercato.
I tratti essenziali dell’economia post-fordista sono riconducibili ad una de- materializzazione della produzione (know-how, beni immateriali, conoscenze e competenze), ad una distribuzione diffusa del potere di controllo (così contrapponendosi alla struttura oligarchica dell’impresa fordista) nonché ad sistema produttivo basato sulla c.d. “isola di produzione”. Una produzione dunque distaccata,
10 X. XXXXXXXX, Cooperazione Imprenditoriale e Contratto di Rete, Milano, CEDAM, 2014, 1 ss, il quale riaffronta quanto già trattato in X. XXXXXXXX, Note preliminari allo studio del contratto di rete, in Contratto e Impresa, 2013, 2, 501-542.
che non necessità di collegamenti diretti nelle diverse fasi del sistema produttivo, stante la possibilità di creare semilavorati e prodotti intermedi, ossia tutti quei prodotti che necessitano di ulteriori lavorazioni prima di poter essere commercializzati, in sedi del tutto differenti11.
La diversificazione dei modelli produttivi è dipesa dal contesto istituzionale nel quale le imprese si trovavano ad operare; inoltre, si è gradualmente accolta l’idea che una interazione costante tra imprese e ambiente sociale circostante avrebbe dato luogo ad una ripresa della sociologia economica anche a livello micro. Per affrontare un modello di “specializzazione flessibile”, in contrapposizione alla produzione di massa del modello fordista, occorre infatti abbandonare una produzione di beni standardizzati, elaborati con macchine specializzate e manodopera semi-qualificata procedendo, di contro, alla produzione di beni non standardizzati realizzati da macchinari flessibili e con l’ausilio di manodopera maggiormente qualificata.
1.3 Il distretto produttivo: forme di collaborazione territoriale
Accanto al progressivo declino dell’impresa fordista verticalmente integrata, l’espandersi di nuovi modelli organizzativi ha indotto le grandi imprese ad una implementazione della catena di sub-fornitura, favorita da un processo di de- localizzazione della produzione12; dall’altro lato, essendosi fortemente indebolito il
11 X. XXXXXXX, Dal fordismo realizzato al post-fordismo possibile: la difficile transizione, in Il Postfordismo. Idee per il capitalismo prossimo venturo, Milano, 1999, 21; X. XXXXXXXX, Verso una nuova organizzazione della produzione: le frontiere del post-fordismo, Milano, 1994, 5 ss.
12 X. XXXXXX, Il castello e la rete, Milano, 1990, 51, che svolge un’approfondita indagine sul punto analizzando i casi di General Electric, di Kodak e di Motorola, che hanno fatto fabbricare la maggior parte dei loro prodotti all’estero per poi rivenderli con la loro etichetta dando luogo a forme di decentramento esasperato tanto da essere definite hollow corporations, ossia “imprese cave, imprese vuote”. Sul punto si veda altresì X. XXXXXXX, Il caso Fiat: una crisi di sistema? Delocalizzazione produttiva e relazioni industriali nella globalizzazione. Note a margine del caso Fiat, in Lavoro e dir., 2011, 2, 25, 346 ss., il quale interpreta la delocalizzazione non solo quale atto di gestione economica dell’impresa ma come vera
xxxxxxxx rappresentato dalla grande impresa, le piccole e medie imprese hanno tentato in ogni modo di mettere a punto tecniche tali da poter superare l’ostacolo rappresentato dalla loro piccola dimensione.
In presenza di una siffatta instabilità dei mercati finanziari, le PMI si organizzarono mediante un processo volto al mantenimento di un elevato standard qualitativo, ad una valorizzazione delle maestrie proprie di ogni singola zona geografica con una diffusa interconnessione spaziale, intraprendendo una organizzazione volta a prediligere i c.d. distretti produttivi13.
Stando ad una risalente definizione dell’economista Xxxxxxxx, può definirsi “distretto” quella entità socio-economica rappresentata da un insieme di imprese, facenti generalmente parte di uno stesso settore produttivo, localizzato in un’area circoscritta, tra le quali vi è al tempo stesso collaborazione ma anche concorrenza e nella quale può respirarsi “un’atmosfera industriale”14.
Xxxxxxxx, studiando le zone tessili di talune contee inglesi, coniò il termine “industrial district”, osservando come i vantaggi derivanti dalla produzione a larga scala potevano essere conseguiti non solo costruendo poche grandi imprese, ma anche raggruppando in uno stesso distretto un gran numero di piccoli produttori. Tali forme di agglomerazioni, per l’economista inglese, erano in grado di garantire maggiori vantaggi in quanto offrivano la disponibilità di forza lavoro qualificata e specializzata15.
Si tratta dunque di un’agglomerazione di imprese di piccola e media
e propria tecnica di law shopping, data dall’interesse di voler beneficiare di sistemi normativi più vantaggiosi per l’impresa.
13 Le PMI, e dunque le imprese di medie, piccole e piccolissime dimensioni a partire dagli ultimi decenni del secolo scorso hanno costituiscono le strutture industriali maggiormente diffuse in Italia; tendenza dimostrata dal sempre crescente quota di occupati in imprese italiane con un numero di addetti compreso tra 1 e 19.
14 X. XXXXXXXXX, Dal “settore industriale” al “distretto industriale”. Alcune considerazioni sull’unità di indagine dell’economia industriale, in Riv. di econ. e pol. ind., 1979, 1, 21.
15 Si veda sul punto X. XXXXXXXX, The Economics of Industry, by X. Xxxxxxxx and Xxxx Xxxxx Xxxxxxxx, Macmillan and Co., Xxxxxx, 0000; X. XXXXXXXX, Principles of Economics, Macmillan and Co., London 1890.
dimensione, ubicate in un ambito territoriale localizzato e storicamente determinato, ciascuna delle quali specializzata in una o più fasi del processo produttivo ed integrate tra loro mediante una rete complessa di interrelazioni di carattere socio-economico.
Il distretto, inteso quale forma di aggregazione produttiva, è regolato in Italia sia dalla legislazione statale che da quella regionale e vede al suo interno un’elevata concentrazione di piccole e medie imprese specializzate, storicamente radicate sul territorio, in stretto contatto con la popolazione residente. Tale fenomeno gode dunque di una valenza socio-culturale, in quanto la sua peculiarità risiede proprio nei solidi legami storici e culturali esistenti tra le imprese aderenti al modello distrettuale e le popolazioni locali16. Un diffuso capitalismo del territorio, che vede i distretti produttivi ancorati alle rispettive dimensioni locali e diretti alla realizzazione di vere e proprie economie di agglomerazione.
Il fenomeno dei distretti produttivi di imprese di piccole e medie dimensioni è stato riscontrato in diversi paesi. In alcuni casi si trattava di aree già caratterizzate da strutture produttive di tal genere, le quali vennero tuttavia coinvolte in una fase di forte dinamismo, in altri emergevano invece nuove concentrazioni di aziende e specializzazioni produttive.
Indipendentemente dal settore di riferimento, due sono i requisiti essenziali affinché possa aversi un distretto industrial17. In primo luogo, è necessario che il processo produttivo sia divisibile in fasi diverse, tecnicamente separabili, in modo da consentire la specializzazione delle piccole imprese per fasi o componenti; in secondo luogo, si tratta di produzioni soggette ad elevata variabilità quantitativa e qualitativa della domanda, che richiede forme di organizzazione flessibile.
Notevole interesse ha suscitato tale fenomeno in Italia, disciplinato per la prima volta dalla legislazione nazionale con la l. 317/1991, poi modificata nel 1999, e da una ricca legislazione regionale, poi rafforzata in seguito alla riforma del titolo
16 X. XXXXXXXXX, Il distretto industriale marshalliano come concetto socio-economico, in Stato e mercato, 1989, I, 25, 112 ss.
17 X.XXXXXX, Come nascono i distretti industriali, Bari, 2000, 24 ss., 124 ss.
V della Costituzione del 200118.
Analizzando l’ambito nazionale, nel corso degli anni settanta si assiste ad una forte crescita delle piccole imprese, soprattutto nelle regioni del centro e del nord-est del paese. Tale estensione geografica verrà in seguito qualificata come “Terza Italia”, e ciò al fine di differenziarla dal nord-ovest del paese, caratterizzato dalla prima industrializzazione e delle grandi imprese, e dal sud ove il processo di industrializzazione era rimasto fortemente arretrato. Con il passare degli anni il sistema produttivo italiano ha assunto caratteristiche sempre più peculiari, contraddistinguendosi dagli altri paesi europei, quali lo scarso numero non solo di grandi gruppi ma anche di grandi imprese. Il modello industriale italiano è infatti costituito da poche multinazionali di grandi dimensioni e da una ricca costellazione di imprese medie e piccole, che ne costituiscono l’asse portante.
Le piccole imprese sono tra loro concentrate in sistemi locali di uno o più comuni vicini, ove vi è un mercato del lavoro ed un elevato grado di specializzazione settoriale.
Quando l’integrazione e la specializzazione in determinati settori produttivi raggiungono livelli elevati, così da determinare una chiara divisione specialistica del lavoro, sorgono i distretti industriali. In un distretto sono localizzate dunque diverse imprese, ciascuna dedita ad una particolare fase del settore produttivo; solo poche fra queste ha rapporti diretti con il mercato finale19.
18 Il distretto industriale è disciplinato sia dalla legislazione statale (art. 36 della l. 5 ottobre 1991 n. 317, pubblicata in G.U., 9 ottobre 1991 n. 237, “Interventi per l’Innovazione e lo sviluppo delle piccole imprese” secondo cui “i distretti territoriali sono aree territoriali locali caratterizzate da un’elevata concentrazione di piccole imprese”, “dal peculiare rapporto tra la presenza delle stesse e la popolazione residente, nonché dalla specializzazione produttiva delle imprese”) sia da quella regionale, specie a seguito della riforma del titolo V della Costituzione del 2001.
19 Si veda al riguardo, X. XXXXXXXX, X. XXXXXX, X. XXXXXXXX, X. XXXXXXX, Reti di imprese: fenomeni emergenti, in AA. VV., Reti di imprese oltre i distretti: nuove forme di organizzazione produttiva, di coordinamento e di assetto giuridico (a cura di AIP), Il sole 24 ore, Milano, 2008, 10 ss., in cui si spiega come all’interno dei distretti le diverse imprese sono tra loro integrate e specializzate in fasi diverse di uno stesso ciclo produttivo così da poter sfruttare ogni possibile sinergia: le economie del distretto sono date, in particolare, da (i) minori costi di alcuni fattori produttivi e servizi, (ii) benefici legati alla massa critica delle attività caratteristiche (bacino di operai e tecnici specializzati, scuole tecniche, depuratori
Tra le qualità di maggior rilievo del fenomeno distrettuale è stata riscontrata la capacità dei distretti di saper rispondere in modo flessibile alle richieste del mercato ed ai suoi cambiamenti costanti, e ciò grazie soprattutto ai forti rapporti di cooperazione tra le imprese operanti. Spicca altresì la capacità di saper innovare ed accrescere gli standard qualitativi dei beni prodotti, grazie soprattutto ad economie esterne alle singole aziende ma interne all’area in cui le stesse operano e sono geograficamente localizzate, nonché l’elevato livello della specializzazione della manodopera delle infrastrutture e dei servizi e la rapida diffusione di conoscenze20. Aspetto rilevante di tale fenomeno è proprio la costante disponibilità delle risorse cognitive che si generano nel tempo e che conducono alla creazione di conoscenze
x.x. xxxxxx, cioè ad un sapere diffuso e condiviso, che consente di adattare a singoli casi concreti il sapere codificato delle conoscenze tecnico-scientifiche.
I distretti industriali italiani, considerati da sempre come aggregazioni di imprese di un determinato territorio, nel corso del tempo hanno acquistato una forza economica tale da affiancarsi alle grandi imprese come sub-fornitori di input di ogni genere. L’efficienza di tale modello trova conferma nelle produzioni tipiche del made in Italy.
Il fenomeno esposto, caratterizzato dalla de-localizzazione dell’impresa operata mediante il decentramento produttivo, dalla riduzione delle dimensioni dell’impresa (downsizing) e del suo assetto verticalmente integrato, conseguenziale alla forte concentrazione di economie di scala prima ricondotte alla produzione di massa standardizzata, ha ben presto determinato un’esigenza generalizzata delle grandi imprese di espellere (outsourcing) lavoro, intessendo sempre più relazioni con le imprese di piccole e medie dimensioni o con strutture più sofisticate quali i distretti
centralizzati, reti di spedizionieri, montatori, ecc.) (iii) facilitazioni in tutte le attività connesse all’innovazione (circolazione di informazioni, prototipi, creatività, fiere, ecc.) e da (iv) un clima propizio alla costituzione di nuove imprese senza barriere all’ingresso. Un aspetto importante dei distretti industriali è la peculiare convivenza tra competizione e collaborazione tra le imprese che vi appartengono: la competizione, da un lato, è intensa e seleziona le aziende migliori e più efficienti, ma, al contempo le stesse imprese collaborano tra loro a progetti comuni.
20 Quella che l’economista Xxxxxxxx definì “atmosfera industriale”, ossia una serie di fattori immateriali che influiscono sulla produttività grazie alla rapida e costante diffusione di conoscenze.
o i modelli consortili, caratterizzati da alta specializzazione nella lavorazione dei semilavorati facenti capo all’attività di maggior rilievo aziendale e da peculiare organizzazione xxxxxxx00.
In epoca recente, tuttavia, il costante mutamento della geografia di impresa, sempre più caratterizzata dalla frammentazione e dal decentramento, ha compromesso anche lo sviluppo delle piccole e medie imprese, ormai costrette a relazionarsi con concorrenti stranieri sempre più attratti da prospettive di profitto e di sviluppo economico globale.
Il modello distrettuale, nonostante il suo stretto legame con il capitalismo del territorio, ha così ben presto registrato un lento e progressivo fallimento, stante la sua inidoneità ad affrontare la forte internazionalizzazione delle imprese in un mercato sempre più globalizzato.
Tale modello, sebbene sia riuscito a proteggere le piccole e medie imprese dalla crisi degli anni settanta, appare ormai inadeguato a far fronte alla crescente ed imponente competizione globale, dove grandi concorrenti internazionali sono maggiormente pronti ad offrire sul mercato proposte efficienti ed innovative, oltre che competitive22.
Infatti, le strutturali difficoltà delle PMI si palesano innanzi alle nuove tecnologie di mercato, un mercato sempre più sommerso da imprese che commercializzano prodotti a basso costo (mercati emergenti) e che risultano dotate di elevatissime capacità di risposta immediata alle domande del mercato stesso. Tali difficoltà si avvertono principalmente in ragione di un elevato livello di
21 X. XXXXXX, Integrazione di imprese e destinazione patrimoniale, in Contr. e Impresa, 2010, 168: “(...) Il decentramento presuppone l’esistenza di un sistema produttivo integrato caratterizzato da scambi generalmente tra grandi e medie imprese con imprese di piccole dimensioni, alle quali viene affidata la produzione di parti del prodotto finale oppure lo svolgimento di una o più fasi del processo produttivo. Tale modello organizzativo ha avuto un grande sviluppo a partire dagli anni ’80, in contemporanea al sorgere di molte imprese altamente specializzate che hanno favorito la flessibilità del processo produttivo, il miglioramento qualitativo dei prodotti finali e la competitività anche in campo internazionale”.
22 X. XXXXXX, Crisi ed evoluzione dei distretti industriali, in I distretti industriali: crisi o evoluzione? (a cura di X. ONIDA – X. XXXXXX – A.M. FALZONI), Milano, 1992, 10 ss.
sottocapitalizzazione, della presenza di infrastrutture quanto mai inadeguate e carenti nonché delle problematicità connesse all’ottenimento di materie prime a costi ridotti.
Oltretutto, emerge sempre più la necessità di essere presenti con impianti propri in quei mercati dov’è attesa una crescita significativa della domanda. Le imprese dei paesi low cost stanno divenendo sempre più aggressive e, minando la stabilità delle PMI, rendono queste ultime sempre più esposte ad una concorrenza di prezzo insostenibile; se si pensa ad un paese come la Cina ci si rende conto di come la sua crescita potenziale sia enorme, con una domanda di prodotti destinata a crescere esponenzialmente23.
Le PMI, in particolare quelle italiane, si ritrovano così a dover faticosamente conciliare la tutela del made in Italy, punto di forza ed espressione del loro potere, caratterizzato da elevato standard qualitativo creatività ed innovazione, con le nuove peculiarità di un mercato in continua evoluzione. Oltretutto, tale contemperamento di esigenze deve fare i conti con la ridotta disponibilità economica cui le suddette imprese si scontrano giornalmente, con conseguente impossibilità da parte delle stesse, in assenza di adeguate risorse finanziarie, di poter incrementare gli investimenti se non attraverso il ricorso esterno al credito.
Innanzi alle difficoltà cui vanno incontro le imprese organizzate secondo il modello distrettuale, ormai sottoposto ad un progressivo fallimento, stante la sua inadeguatezza ad affrontare le costanti sfide imposte dalle moderne tendenze dell’economia e dalla globalizzazione dei mercati, si afferma sempre più l’esigenza di impostare nuove strategie di internazionalizzazione. Target di tali strategie innovative sono la crescita delle imprese nei mercati attraverso veri e propri programmi di investimenti diretti (IDE) congiunti, ossia mediante forme di collaborazione e cooperazione che possano fungere da veicolo di internazionalizzazione comune. Investimenti dunque non più facenti capo a singole imprese ma piuttosto attuati da gruppi di imprese, così da trasferire sui mercati in
23 X. XXXXXXXX, X. XXXXXXXXX, The Competitive Advantage of the Italian Industrial District theoretical and empirical analyses, Physica Verlag, 2000, 10 ss.
costante espansione modalità produttive ed organizzative proprie dei distretti di provenienza ed incrementare una diffusione dei loro brand nei mercati di insediamento24.
1.4 Strategie di internazionalizzazione: dal distretto produttivo alle reti di imprese
Dal fallimento del modello distrettuale, derivante dal processo di globalizzazione costante, sebbene andando incontro a non poche difficoltà, le PMI sono riuscite a trarre nuovi stimoli25. Obbiettivo primario è stato quello di ricercare risorse innovative e partners commerciali con i quali condividere l’accesso a nuovi mercati, riducendo i costi e mantenendo elevati standard qualitativi; ciò al fine di potersi elevare ad una competizione di livello internazionale superando l’inadeguatezza derivante dalla regionalità dei distretti produttivi26.
E’ la stessa Carta di Bologna sulle politiche concernenti le PMI, adottata dall’OCSE nel 2000, ad intuire come “la globalizzazione, l’accelerazione del progresso tecnologico e le innovazioni creano opportunità per le PMI”.
Gli ultimi decenni sono stati dunque caratterizzati da uno sviluppo gestionale volto essenzialmente a ricercare sistemi di crescita dimensionale maggiormente
24 X. XXXXXXXX, Distretti industriali, reti di impresa e strumenti di finanziamento: riflessioni sulle prospettive del capitalismo familiare italiano, in Il Contratto di Rete per la crescita delle imprese - Quaderni di Giurisprudenza Commerciale, a cura di X. XXXXXXX, P. IAMICELI e X. XXXXX, 2012, 3 ss.
25 X. XXXXXXX, L’evoluzione del distretto industriale alla rete d’impresa. Problematiche finanziarie connesse al sistema moda, in Riv. banc., 2010, 1, 70 ss.
26 X. XXXXXXX, P. IAMICELI, Contratto di rete. Inizia una nuova stagione di riforme?, in Obbl. e contratti, 2009, 7, 596.
flessibili, così da rilanciare le PMI verso nuovi mercati, sviluppando entità economiche nuove e più competitive.
E’ qui che le reti di impresa sono riemerse quale soluzione idonea ad affrontare le nuove esigenze di un mercato globale, superando al tempo stesso gli ostacoli evidenziati, quali quelli derivanti dalla concezione fordista di un’impresa verticalmente integrata e dalle difficoltà di performance dei distretti produttivi. Ci si è diretti così verso nuove forme di cooperazione e sinergie, tali da ottimizzare le risorse proprie di ogni singola realtà imprenditoriale, aggregando le PMI per consentire loro di poter accedere al mercato globale mediante l’utilizzo di sistemi relazionali di comunicazione ed analisi condivisi.
Questa l’idea di fondo che ha ben presto determinato mutamenti importanti nell’ambito dei processi produttivi, processi che, mentre in passato venivano svolti da un’unica impresa in un solo paese, grazie alle dinamiche derivanti delle reti di impresa possono ripartirsi su molte imprese, ognuna delle quali risulta specializzata in determinati segmenti della catena produttiva.
Il sistema di cooperazione derivante delle reti di impresa, preesistente all’emersione dell’impresa verticalmente integrata, consente alle varie imprese coinvolte di poter accrescere esponenzialmente la loro capacità di addentrarsi nei mercati esteri, concertando il loro operato sulla base di obiettivi strategici comuni. Una sinergia di tal genere determina altresì che la project financing sia garantita allo stesso tempo dalla innovatività e spendibilità del progetto comune, oltre che dalle garanzie offerte da ciascuna delle imprese aderenti.
Un’economia di filiera dunque, in cui non sono più le singole imprese a produrre, sperimentare ed innovare, ma la filiera nel suo complesso. Infatti, la maggior parte delle microimprese presenti nel circuito produttivo trova la sua forza nei forti legami con il territorio e le reti di relazioni in esso presenti: grazie a tali rapporti le piccole imprese locali possono accedere ad economie di specializzazione e di scala, che consentono loro di organizzare processi produttivi moderni, competitivi e aperti a mercati non solo locali.
Il concetto di rete, benché assai elastico e fondato su dati di fatto forniti dalla prassi, diverge notevolmente da quello di distretto; “la rete” identifica una modalità strutturale di organizzazione tra più imprese, non necessariamente localizzate nel medesimo distretto, tra le quali esiste un coordinamento attuato mediante rapporti giuridici derivanti da vincoli contrattuali o dalla contitolarità di taluni elementi organizzativi dell’impresa (partecipazioni al capitale sociale o comproprietà di impianti produttivi)27.
Viste talune differenze in linea teorica, individuare un concreto rapporto tra rete e distretto non risulta agevole. Talvolta la rete viene ridotta a sottoinsieme del distretto industriale; in altri casi viene invece configurata una vera e propria sovrapposizione tra i due concetti con evidenti scarsi risultati. Altre volte il distretto viene piuttosto considerato una struttura entro la quale una o più reti possono operare28.
Tale correlazione è stata spesso ricondotta ad una ambiguità concettuale o al risultato di una osservazione del fenomeno da prospettive diverse. Infatti, il distretto tende ad essere un sistema di relazioni a rete comprensivo di soggetti imprenditoriali; tuttavia, vi sono anche reti di imprese non distrettuali e, tra queste, sistemi a rete con radicamento territoriale e reti che invece non presentano particolari relazioni con la comunità di insediamento29.
Pertanto, le reti di PMI vanno distinte dai veri e propri distretti industriali in quanto possono svilupparsi anche in contesti non propriamente “distrettuali” e, anche quando si generano all’interno di un contesto di tal genere, costituiscono pur sempre un sottosistema di relazioni tra imprese.
Oltretutto, preme rilevare come il distretto sia costituito da un sistema di relazioni comprensivo di soggetti non solo imprenditoriali, in cui un ruolo primario
27 G. VILLA, Reti di imprese e contratto plurilaterale, in Giur. Comm, 2010, 944.
28 D.A. LANE, Complexity and local interactions: toward a theory of industrial districts, in Xxxxxxx Xxxxxx-Fortis (a cura di) Complexity and Industrial Clusters, Heidelberg, 2002, 111 ss.
29 X. XXXXXXX, Reti di imprese, spazi e silenzi regolativi, in ID (a cura di), Reti di imprese tra regolazione e norme sociali. Nuove sfide per diritto ed economia, Bologna, 2004, 34 ss.
viene ricoperto dalle istituzioni, sia pubbliche che private, radicate sul territorio; tuttavia, il territorio su scala locale, che in tema di realtà distrettuali svolge un ruolo essenziale, perde sempre più rilevanza negli studi economici, in quanto si è intuito che le realtà imprenditoriali devono poter acquisire sempre più mobilità e dinamicità, partecipando a sistemi di produzione serviti da reti metropolitane e globali.
Orbene, la divisione del lavoro, che prima si svolgeva all’interno di filiere localizzate in territori ristretti, tende oggi ad aprirsi verso l’esterno, ricercando fornitori e clienti operanti al di fuori del contesto territoriale locale. La ricerca di una vera e propria internazionalizzazione ha progressivamente condotto alla costituzione di gruppi e reti che vanno ben oltre la regionalità del distretto, gruppi reticolari volti sempre più al raggiungimento di imprese e mercati esteri, prescindendo così da una territorialità ormai superata30.
Tuttavia, analizzando l’esperienza italiana, preme evidenziare come lo sviluppo del modello di cooperazione reticolare non ha mai di fatto comportato un abbandono totale del modello distrettuale. Difatti, anche la rete sfrutta la connettività locale delle imprese aderenti, così da conformarsi in una serie diffusa di “nodi reticolari”, contestualizzati in specifiche aree geografiche, in cui la condivisione porta ad analizzare e confrontare le diverse esperienze, i successi ed i fallimenti31. La rete di imprese, grazie alla presenza dei suddetti nodi reticolari, ha la possibilità di realizzare un sistema di circolazione di un vasto patrimonio cognitivo. Tale fattore, insieme alla diversa provenienza merceologica delle imprese aderenti ed al mantenimento della stretta connessione con il territorio da parte di ciascuna di esse costituisce presupposto imprescindibile ai fini di un significativo progresso delle reti di imprese.
30 X. XXXXXXXX, X. XXXXXX, X. XXXXXXX, X. XXXXXXX, Reti di imprese: fenomeni emergenti, cit. 10 e ss.
31 X. XXXXXXXX, Cooperazione Imprenditoriale e Contratto di Rete, cit., 4 ss.
1.5 Le reti di imprese: profili qualificatori ed aspetti fiduciari
La rete di imprese - la cui dimensione va correlata alla struttura delle piccole e medie imprese pur mantenendo, tuttavia, ferma la distinzione tra la dimensione individuale della singola impresa e quella collettiva derivante dall’inserimento nel sistema a rete - è innanzitutto un fenomeno economico, identificabile in differenti forme di aggregazione in funzione del coordinamento e della collaborazione interimprenditoriale.
Le reti di imprese costituiscono una risposta all’esigenza di cooperazione in assenza di integrazione proprietaria, rappresentando uno strumento complementare al gruppo, caratterizzato, invece, da controllo proprietario e da limitata o nulla indipendenza dei soggetti che vi appartengono32.
Come precisato, tali forme di aggregazione vanno al di là del fenomeno del distretto industriale, caratterizzato dal legame che determinate imprese mantengono con il territorio, conoscono svariate modalità di formazione e rappresentano la conseguenza dello snellimento delle grandi organizzazioni integrate. Esse traggono la loro origine, in genere, dalla conclusione di contratti plurilaterali o bilaterali (rete contrattuale) ovvero dalla creazione di un organismi di tipo societario (rete organizzativa) mediante l’utilizzo del modello consortile o societario. Altre, ancora, danno luogo alla creazione di un organismo di tipo “misto” che utilizza al contempo strumenti contrattuali ed organizzativi fondendoli in un unicum inscindibile33.
Un esatto inquadramento giuridico dei processi di aggregazione e coordinamento imprenditoriale è reso sempre più complesso dalla difficoltà di voler concepire fenomeni di interdipendenza economica tra soggetti formalmente separati ed indipendenti tra loro, interdipendenza connessa, a sua volta, alla complementarità tra le risorse produttive delle imprese partecipanti. Tale interdipendenza può dar luogo
32 X. XXXXXXX, Il contratto di rete e il diritto dei contratti, in I Contratti, Dibattiti, Reti di impresa e contratto di rete: spunti per un dibattito, cit., 10, 2009, 915 ss.
33 X. XXXXXXX, Introduzione, in X. Xxxxxxx (a cura di), Il contratto di rete., cit., 15.
a relazioni sempre diverse, con conseguente diversa distribuzione dei poteri decisionali e d’azione delle imprese coinvolte, a seconda della struttura di tipo paritario o di tipo gerarchico prescelta.
L’obiettivo primario che una rete di imprese deve perseguire è quello di pervenire ad una maggiore efficienza allocativa e ad una implementazione di nuovi progetti di sviluppo tramite un’accurata strategia di cooperazione e condivisione. Da alcuni la rete di imprese è stata definita come una “trama di relazioni che connette entità istituzionalmente diverse, senza intaccarne l’autonomia formale e in assenza di una direzione e di un controllo unitario”34.
Sorge naturale interrogarsi su cosa abbia realmente indotto le imprese di piccole e medie dimensioni ad adottare tali modelli di cooperazione. Orbene, si è presto intuito come la collaborazione in rete presenti svariate prerogative, tra cui la diffusa condivisione di risorse e di know how, l’accrescimento della competitività della rete sui mercati quale conseguenza della spiccata elasticità in fase di produzione e, non da ultimo, la rilevante frammentazione dei rischi di impresa.
Un sistema a rete deve infatti essere caratterizzato, imprescindibilmente, da una struttura organizzativa basata sulla collaborazione dinamica, sulla cooperazione, ossia su una logica operativa comune, sulla condivisione di risorse e sulla informalità. Tale ultimo connotato è da riferire principalmente alla necessità che i legami siano di mero fatto o semmai negoziali ma mai proprietari, in quanto ciascun partecipante alla rete deve mantenere una sua indipendenza e una sua autonomia sia giuridica che economica.
Ulteriore carattere essenziale, che un sistema di collaborazione in rete deve possedere, è dato dalla necessità che nei rapporti interni al sistema a rete nonché nei rapporti instaurati con i terzi esterni alla stessa, ci si uniformi ad una logica di correttezza, lealtà, trasparenza e buona fede35.
34 G. SODA, Reti tra imprese. Modelli e prospettive per una teoria del coordinamento, cit., 29 ss.
35 X. XXXXXXX, Reti e contratto di rete, in Le Monografie di contratto e Impresa, Padova, 2012, 12 ss.
Un forte legame fiduciario tra le imprese aderenti al gruppo costituisce requisito imprescindibile di una cooperazione reticolare vincente: il progresso e la competitività del singolo aderente al sistema reticolare è conseguenza diretta ed immediata della crescita del gruppo. I circuiti di comunicazione della conoscenza, in presenza di relazioni basate sulla fiducia, favoriscono un effettivo apprendimento tra i partner del sistema a rete: la fiducia è dunque fattore determinante per lo scambio di conoscenze. La disponibilità a cooperare concorre a determinare le potenzialità di apprendimento dei partecipanti ad una relazione cooperativa: al crescere della fiducia che si sviluppa tra i partner aumenta la disponibilità all’apertura dei confini, con conseguente naturale accrescimento delle potenzialità di apprendimento inter- organizzativo delle imprese che vi partecipano36.
Stante le possibili asimmetrie informative e il diverso potere contrattuale delle parti coinvolte nel sistema a rete, unica modalità di coordinamento efficace per governare l’interdipendenza generata dalla rete è dunque la fiducia, ossia “l’aspettativa di un comportamento prevedibile, corretto e cooperativo”. Solo l’elemento fiduciario dà la possibilità di ottimizzare in vantaggio competitivo la cooperazione reticolare. Da studi economici emerge come la “fiducia” sia in realtà il risultato di un’analisi costi-benefici; gli operatori uniformano il loro atteggiamento in modo opportunistico o collaborativo sulla base di un puro calcolo di convenienza economica. La fiducia deriva dunque da una valutazione positiva degli incentivi sottostanti alla relazione di cooperazione. Il comportamento opportunistico diviene dunque un’eventualità che produce i suoi effetti negativi sugli accordi instauratisi all’interno di un sistema collaborativo e sulla stabilità della rete in generale37.
In conclusione, il fenomeno delle reti di imprese si caratterizza essenzialmente per i legami non occasionali intercorrenti tra imprese differenti ed autonome sotto un profilo funzionale e giuridico e per l’imprescindibile elemento della fiducia, elemento che accresce le relazioni degli aderenti al sistema reticolare determinando una riduzione dei costi di controllo e gestione. Si rendono così superflui quei meccanismi
36 X. XXXXXX, Reti di imprese e processi cognitivi, in Finanza, in Marketing e Produzione, n. 2-2000.
37 X. XXXXXXXXX, Le reti di imprese. Viaggi competitivi e pianificazione strategica, Milano, 2003, 171 ss.
di accertamento e verifica propri dei modelli di cooperazione di tipo gerarchico in quanto la fiducia, generata dalla cooperazione di tipo reticolare, genera una “aspettativa che allevia il timore che il proprio partner nello scambio agisca secondo criteri opportunistici”38.
1.6 Classificazioni delle reti di imprese: i modelli di aggregazione nel mercato
La costituzione di una rete, intesa come quell’insieme di relazioni volte a coordinare la governance e l’attività di una pluralità di imprese autonome in modo tendenzialmente stabile, può realizzarsi attraverso l’utilizzo di vari strumenti giuridici. Le reti di imprese possono infatti assumere diverse forme giuridiche e, in ragione dei differenti strumenti negoziali adoperabili, possono dar luogo a diverse tipologie di reti. Si distinguono infatti reti contrattuali, reti organizzative e reti miste.
Quanto alle prime, (reti contrattuali), queste sono il frutto del collegamento di contratti tra loro coordinati. Al riguardo, preme sin da subito rilevare la sussistenza di due macro-modelli: il modello del contratto plurilaterale e quello dei contratti bilaterali o plurilaterali collegati. Nel primo caso si ha un contratto di rete di imprese, nel secondo una rete di contratti collegati. In entrambe le fattispecie è necessario che ricorrano i requisiti di stabilità, durata e coordinamento propri della rete. Da un punto di vista meramente formale la distinzione riguarda essenzialmente l’unitarietà del negozio: solo quando questa ricorre si avrà contratto plurilaterale di rete, altrimenti si è in presenza di contratti bilaterali o plurilaterali eventualmente collegati.
38 J.L. BRADACH – R.G. XXXXXX, Price, authority and trust: from ideal types to plural forms, Annal review of sociology, 1989, 96 ss.
L' impiego dei contratti bilaterali collegati è più frequente di quello del contratto plurilaterale e, mente il primo modello risponde all’esigenza di identificare un attore leader nella rete, in grado di coordinare le attività poste in essere attraverso i contratti bilaterali, il secondo viene impiegato prevalentemente nelle reti di tipo paritetico.
Infatti, i contratti plurilaterali generalmente prevedono sistemi decisionali di tipo paritario con possibilità limitate di delega gestionale ad organi comuni: quando la delega viene ampliata, attribuendo un elevato livello di discrezionalità, generalmente si ricorre all'impiego del modello organizzativo di tipo societario. Al riguardo, pare logico intuire come nelle catene distributive i committenti siano soliti costituire reti di contratti bilaterali collegati, così da non attribuire potere decisionali ai subfornitori. L’utilizzo di un contratto plurilaterale, oltre a determinare un negativo effetto lock-in, attribuirebbe ai subfornitori ampi poteri decisionali, poteri di cui invece non potrebbero disporre facendo capo a contratti bilaterali collegati.
Affinché un collegamento negoziale possa dar luogo ad una rete, mediante l’impiego dei sopra citati contratti plurilaterali o bilaterali collegati, occorre in primo luogo l’esistenza di una relazione strumentale di complementarità tra le attività delle imprese interessate dal collegamento contrattuale. Non è sufficiente, dunque, il mero riferimento ad un'operazione economica unitaria, ma occorre che vi siano elementi di collegamento tra i contratti collegati in rete sotto il profilo causale e dell'oggetto, dai quali emerga l'interdipendenza reciproca tra le attività e di conseguenza del rischio di impresa.
Le reti organizzative sono, invece, quelle reti costituite mediante lo schema del contratto plurilaterale ad opera di quelle imprese che intendono prediligere forme di cooperazione e coordinamento maggiormente strutturate, pur senza rinunciare alla loro individualità39. Queste possono assumere la forma di reti societarie, in particolare
39 X. XXXXXXX - P. IAMICELI, Reti di imprese e modelli di governo inter-imprenditoriale: analisi comparativa e prospettive di approfondimento, in Reti di imprese tra crescita e innovazione organizzativa. Riflessioni da una ricerca sul campo (a cura di X. Xxxxxxx - P. Xxxxxxxx), Il Mulino, Bologna, 2007, 310 ss.;
X. XXXXXXX, Il governo della rete, in Reti di imprese tra regolazione e norme sociali, (a cura di X. Xxxxxxx), Bologna, 2004, 102 ss.; C. CREA, Reti contrattuali e organizzazione dell’attività d’impresa, Esi,
con la costituzione della società-rete, ma anche quella di associazione o fondazione, impiegando un modello organizzativo senza scopo di lucro. La rete societaria può costituirsi sia in forma di società lucrativa che di cooperativa o società consortile. Lo svolgimento della funzione di coordinamento tra le diverse fasi lungo la filiera viene spesso svolto attraverso la società consortile.
Infine, possono aversi reti miste o complesse. Queste si caratterizzano per un impiego contestuale dello strumento contrattuale ed organizzativo. Nello specifico, si determinano quando ad una rete contrattuale (ad esempio di subfornitura) si affianca una rete organizzativa (ad esempio una società consortile per la ricerca e lo sviluppo tecnologico)40.
Spesso le reti di imprese sono soggette a processi evolutivi, muovendo da forme contrattuali a società-rete, a forme miste o ancora a veri e propri gruppi societari. Tuttavia, le caratteristiche delle reti di imprese si differenziano nettamente da quelle del gruppo di imprese in quanto le società partecipanti alla rete conservano la propria indipendenza, a differenza di quelle nel gruppo che sono controllate. Ed inoltre, mentre la rete si caratterizza per la presenza di un interesse collettivo, nel gruppo vi è solo l’interesse dominante della controllante. Infine, nel gruppo il coordinamento avviene attraverso la direzione mentre nelle reti l’eventuale potere di coordinamento deve essere attribuito dalle partecipanti al soggetto coordinante41.
La dottrina ritiene che gli operatori del mercato siano inclini ad utilizzare un determinato modello di cooperazione reticolare piuttosto che un altro, basandosi essenzialmente sulla “nature of knowledge”, necessaria al raggiungimento dell’obiettivo comune per il tramite della cooperazione reticolare medesima42. Difatti,
Napoli, 2008, 257 ss.
40 X. XXXXXX, Le reti ed il contratto di rete, in Linee Guida per i contratti di rete, 2012, 4 ss.
41 X. XXXXXXXX, Il coordinamento organizzativo tra imprese, in Sviluppo e organizzazione, Bologna, 1999, 75 ss.
42 X. XXXXXXX, Contractual networks, inter-firm cooperation and economic growth, Xxxxx, Cheltenam, 2011, 10 ss., «(...) An additional element is represented by the ‘nature’ of knowledge. Contracts are generally deployed when property rights can be ex ante well defined, while organizational models are preferred when knowledge cannot be easily ‘propertized’ ex ante».
si opterà per una rete organizzativa nel caso in cui non si è ancora giunti ad individuare la titolarità della conoscenza, o quest’ultima risulta difficilmente accessibile; di contro, verrà impiegata una rete di tipo contrattuale nel caso in cui tale titolarità è già ben definita.
E’ possibile, inoltre, differenziare le reti di imprese in reti acentriche o
gerarchizzate a seconda del sistema di gestione e controllo prescelto.
Le reti di imprese paritarie o acentriche, sono sviluppate secondo il modello distrettuale, della società consortile o della lunga filiera produttiva; in tale sistema reticolare nessuna impresa assume una posizione di comando e tutti gli aderenti alla rete partecipano alla realizzazione del progetto imprenditoriale in maniera paritaria, secondo il modello “una testa un voto”.
Nelle reti di imprese a base gerarchica o baricentrica, di contro, le relazioni si determinano in un’ottica di forte gerarchia interna e sono promosse da imprese di media o grande dimensione. Queste ne detengono il controllo senza, tuttavia, paralizzare del tutto l’autonomia decisionale delle imprese aderenti43. Un siffatta ricostruzione reticolare non si sviluppa autonomamente (c.d. rete naturale) ma grazie all’iniziativa di un’impresa leader che ne condiziona altresì la successiva evoluzione.
Esistono poi le reti di imprese a base oligarchica, nelle quali un numero ristretto di aderenti assume una posizione dominante, tale da influenzare i partners nella scelta del mercato di riferimento, delle caratteristiche beni da produrre e delle strategie imprenditoriali da seguire.
Con riferimento, infine, al legame prescelto per la cooperazione tra gli aderenti alla rete di imprese è possibile distinguere tra reti burocratiche, sociali e proprietarie. Le reti burocratiche si basano su una logica fondazionale, in cui le imprese aderenti, pur avendo tra loro scopi spesso diversi, si sottopongono a regole e procedure comuni per lo sfruttamento comune delle risorse necessarie; le reti sociali si sviluppano, invece, su legami informali, diretti e interpersonali, sorgono naturalmente sul
43 X. XXXXXX, Il castello e la rete, cit., 60 ss.
presupposto di una fiducia diffusa e basata su legami preesistenti, in cui eventuali comportamenti opportunistici determinano l’irrogazione di sanzioni a livello reputazionale44; infine, le reti proprietarie si basano sulla condivisione di un determinato progetto o risorsa, facendo propri i risultati derivanti da uno sfruttamento comune. In queste ultime prevale la componente opportunistica e la condivisione della proprietà è ritenuto strumento più idoneo per contemperare gli interessi delle parti.
In una logica economico-aziendale è altresì possibile classificare le reti sulla base della loro diversa natura e funzione, a cui corrispondono diversi strumenti giuridici di coordinamento.
In primo luogo, occorre evidenziare le reti inerenti la fase di produzione, quali, ad esempio, le reti di somministrazione, di subfornitura, i consorzi per l’approvvigionamento di energia elettrica, etc., e le reti inerenti la produzione e gestione di conoscenza innovativa, quali le joint ventures per la realizzazione di progetti di ricerca applicata etc.
Vi sono altresì le reti inerenti la fase di distribuzione franchising, joint ventures tra produttori per la distribuzione in nuovi mercati, accordi strategici tra produttori e distributori, etc., e le reti inerenti la produzione e distribuzione di servizi finanziari, amministrativi, di formazione, per la tutela dei marchi collettivi, per l’internazionalizzazione, per la soluzione delle controversie, etc.
Infine, preme rilevare come il sistema a rete possa risultare idoneo altresì alla produzione e salvaguardia di beni collettivi locali quali, ad esempio, le associazioni per la produzione di standard tecnici di qualità, per l’attuazione di codici di responsabilità sociale.
44 X. XXXXXXXXX, Interlocking directorates ed “interessi degli amministratori” di società per azioni, in
Riv. delle società, 2009, 310 ss.
Capitolo II
Il contratto di rete nella l. 33/2009: la tipizzazione normativa delle reti di imprese
2.1 Dalle reti di imprese al contratto di rete: l’esigenza di una regolamentazione
Le reti d’imprese sono divenute col passare del tempo un fenomeno dai contorni sempre più ampi e sfumati, ricchi di difficoltà operative, tali da far nascere l’esigenza di un intervento legislativo che, attraverso una disciplina trans-tipica, idonea ad abbracciare i diversi modelli organizzativi sino a quel momento utilizzati, fornisse risposte ad un vulnus normativo che lo sviluppo del fenomeno sociale andava costantemente riscontrando. Una regolamentazione idonea a determinare un adeguamento della legislazione applicabile si è resa oltremodo necessaria di fronte al pesante gap di crescita innovativa sofferto dall’Italia rispetto ai principali paesi stranieri45. Forti altresì le pressioni provenienti dalle associazioni di categoria, le prime ad intuire che i modelli reticolari di cooperazione interimprenditoriale, estremamente flessibili e dinamici, coniugando la crescita dimensionale con l’autonomia delle singole parti, sarebbero stati in grado di risolvere il deficit dimensionale e di competitività delle imprese generato dalla frammentarietà del tessuto produttivo delle imprese italiane a livello globale.
Emerge sempre più l’idea che una collaborazione dinamica ed una corretta suddivisione nelle varie fasi del sistema produttivo potrebbe agevolare il
45 Così come rilevato dagli indicatori strutturali fissati a Lisbona nel 2006, dati poi confermati dall’European Innovation Scoreboard del 2011 che, dando atto delle analisi comparative annuali svolte circa le performance degli Stati membri dell’UE, poneva l’Italia al di sotto della media europea.
conseguimento di fruttuosi risultati, che ciascun operatore economico non sarebbe mai in grado di poter raggiungere individualmente. Sorge così l’esigenza di predisporre una disciplina che faccia emergere positivamente quei legami di interdipendenza, coordinamento ed integrazione mediante i quali una pluralità di imprese autonome realizzano ciascuna una fase o un momento di un medesimo progetto industriale o commerciale volto al raggiungimento di un obiettivo che non sarebbe possibile ottenere se ciascuna impresa agisse separatamente dall’altra46.
Oltretutto, per le piccole e medie imprese, sempre più schiacciate da una dimensione dei mercati in costante globalizzazione ed evoluzione tecnologica nonché dalla pressante concorrenza di competitors stranieri, il sistema a rete costituirebbe lo strumento idoneo a garantirne la sopravvivenza, mediante forme di coordinamento tra le stesse strutturate in una logica di elasticità produttiva e organizzativa. Il fenomeno aggregativo, infatti, procede dall’idea di base che la condivisione di risorse e la leale cooperazione costituiscano tutti presupposti imprescindibili al fine di poter procedere al passo con una dimensione economica globale sempre più evoluta. La forza dei sistemi a rete è data proprio dall’unione degli sforzi sul piano organizzativo, dalla suddivisione del lavoro e dalla pianificazione degli interventi dei diversi componenti della rete stessa.
Le relazioni imprenditoriali espresse in forma reticolare, costituiscono da tempo strumenti descrittivi del modo di operare delle imprese, dove per “sistema reticolare”, come già precisato, si intende quell’insieme di relazioni stabili tra imprese, di piccole e medie dimensioni, tra loro formalmente e giuridicamente distinte, le cui attività si intersecano in una logica di interdipendenza47. Un’interdipendenza sostenuta da rapporti non necessariamente formali, prevalentemente solo di fatto, oppure contrattuali non istituzionali. Mediante i meccanismi reticolari le piccole e medie imprese italiane potrebbero ambire al raggiungimento di migliori risultati economici in termini di esportazioni, innovazione
46 X. XXXXXXX, I contratti di distribuzione come “contratti di rete”, in Obblig. e Contr., 3, 2009, 201; X. XXXXXXX, Contratti di consumo e contratti tra imprese. Riflessioni sull’asimmetria contrattuale nei rapporti di scambio e nei rapporti “reticolari”, in Riv. Critica del Dir. Priv., 1/2005, 567.
47 X. XXXXXXXX, L’organizzazione delle attività economiche, cit., 300.
e competitività ed è stata proprio tale finalità di politica industriale ad aver ispirato il legislatore nel definire la disciplina del contratto di rete.
Si fa largo l’idea che la promozione del progresso e della competitività tra imprese debba attuarsi mediante un sistema di regole che possa dotare le stesse di un meccanismo negoziale duttile, tale da consentire una pianificazione congiunta e condivisa dell’attività svolta, così da raggiungere finalità prima perseguibili solo mediante soluzioni fortemente limitative della individualità imprenditoriale, proprie di integrazioni di tipo fortemente gerarchico. L’opzione legislativa, in un’ottica volta ad innovare gli strumenti legislativi sin a quel momento utilizzati in materia, era fortemente indirizzata verso un modello di disciplina di tipo contrattualistico e non societario, orientato da una filosofia non autoritaria ma largamente dispositiva48.
Xxxxxx, sino all’effettiva consacrazione del contratto di rete sul piano normativo, positivizzato nella l. 33/2009, svariate forme di coordinamento interimprenditoriale di tipo reticolare sono state elaborate, ciò facendo ricorso ad una pluralità di strumenti giuridici, tra cui le società consortili, i consorzi, i contratti plurilaterali e bilaterali connessi tra loro. La scelta di uno dei sopra citati strumenti, rispetto ad un latro, era dettata da valutazioni di carattere funzionale, con attento riguardo sia al livello di collaborazione desiderata sia agli obiettivi da perseguire.
Nasce così, seppur tra numerose critiche legislative, dovute alla sostenuta inadeguatezza e superficialità di una normativa atta a regolamentare un modello di cooperazione già affermato, il contratto di rete49.
48 X. XXXXXXX, Xxxxx reti di imprese al contratto di rete nella recente prospettiva legislativa, in I contratti, 10, 2009, 928 ss.
49 X. XXXXXXXX, La nuova legge sui “contratti di rete” tra le imprese: osservazioni e spunti, in Notariato, 2010, 2, 191 ss.; X. XXXXXXX, Il “contratto” e la “rete”: brevi note sul riduzionismo legislativo, in Reti di impresa e contratto di rete: spunti per un dibattito (a cura di Xxxxxxx X.-Scognamiglio C.), in Contratti, 2009, 950 ss.
2.2 Il contratto di rete nella l. n. 33/2009 e successive novellazioni
Il contratto di rete è un istituto giuridico dalla genesi alquanto sofferta ed evidentemente non ancora conclusa50.
Con un disegno di legge del 2006, contenente “interventi per l’innovazione industriale”, approvato dal Consiglio dei Ministri n. 16 del 22 settembre 2006 e volto alla ridefinizione della politica industriale nazionale mediante linee strategiche di sostegno, si fa strada un primo tentativo di stesura dalla fattispecie negoziale in esame. All’art. 7, comma 1, lett. a) del citato disegno di legge si individuava la necessità di predisporre una “forma di coordinamento stabile di natura contrattuale tra imprese aventi distinti centri di imputazione soggettiva, idonee a costituire in forma di gruppo paritetico e gerarchico una rete di imprese”.
Tuttavia, i propositi inseriti nel disegno di legge erano ancora troppo scarni per poter essere attuati, così che l’idea di predisporre un coordinamento stabile di natura contrattuale tra le imprese si mantenne unicamente a livello progettuale.
La prima normativa in materia di cooperazione reticolare si registra soltanto con l’art. 6-bis del d.l. 112/2008, convertito in l. 6 agosto 2008 n. 133, successivamente abrogato nel corso della vicenda legislativa conseguente all’approvazione della l. 33/2009. L’idea di un coordinamento regolamentato tra imprese si riscontra al comma 2 dell’art. 6-bis della citata l. 133/2008, il quale definiva le reti di imprese quali “libere aggregazioni di singoli centri produttivi coesi nello sviluppo unitario di politiche industriali, anche al fine di migliorare la presenza nei mercati internazionali”.
Tale normativa introduceva positivamente le categorie delle reti di imprese, stabilendone una disciplina di base attraverso un rinvio ad un successivo decreto del Ministro dello sviluppo economico per l’individuazione delle singole fattispecie,
50 X. XXXXXXXX, Note preliminari allo studio del contratto di rete, cit., 524.
tuttavia mai emanato51. Sebbene generica e carente, la disciplina citata faceva emergere il forte richiamo del legislatore verso forme di coordinamento di tipo aggregativo, connotate da ampi margini di autonomia e volte al raggiungimento di una coesione fra imprese nell’ottica di uno sviluppo sinergico; specifico riguardo, altresì, era volto all’aspetto organizzativo delle imprese per una implementazione delle stesse mediante un rinnovamento tecnologico costante. In particolare, tale obiettivo di politica economica veniva individuato, al comma 1 del sopra citato articolo 6-bis, nel fine di “promuovere lo sviluppo del sistema delle imprese attraverso azioni di rete che ne rafforzino le misure organizzative, l’integrazione per filiera, lo scambio e la diffusione delle migliori tecnologie, lo sviluppo di servizi di sostegno e forme di collaborazione tra realtà produttive anche appartenenti a regioni diverse”.
Con la legge n. 33 del 2009, di conversione del D.L. 10 febbraio 2009, n. 5, recante “misure urgenti a sostegno dei settori industriali in crisi, nonché disposizioni in materia di produzione lattiera e rateizzazione del debito nel settore lattiero- caseario”, (cosiddetto decreto incentivi), il legislatore ha inserito una disciplina volta ad estendere immediatamente, e senza attendere il decreto del Ministro dello sviluppo, alle reti imprenditoriali i benefici fiscali ed amministrativi già previsti in materia di distretti produttivi dall’articolo 1 co. 368 lett b) della l. 23 dicembre 2005, n. 266 (l. finanziaria 2006) a chi stipula un contratto di rete, definendo e tipizzando, seppur approssimativamente, tale nuova fattispecie negoziale all’art. 3, commi 4-ter, 4- quater e 4-quinquies. Da tale intervento legislativo si desume dunque la nozione e la figura del contratto di rete.
L’art. 3, comma 4-ter della predetta legge definisce il contratto di rete come:
“il contratto con cui due o più imprese si obbligano ad esercitare in comune una o più attività economiche rientranti nei rispettivi oggetti sociali allo scopo di accrescere la reciproca capacità innovativa e la competitività sul mercato.”
51 X. XXXXXXX, Xxxxx reti di imprese al contratto di rete nella recente prospettiva legislativa, cit., 928.
Dal punto di vista formale, viene stabilito che il contratto deve essere redatto per atto pubblico o per scrittura privata autenticata e che lo stesso debba contenere: - la denominazione sociale delle imprese aderenti alla rete - l’indicazione delle attività comuni poste a base della rete - l’individuazione di un programma di rete, che contenga l’enunciazione dei diritti e degli obblighi assunti da ciascuna impresa partecipante e le modalità di realizzazione dello scopo comune da perseguirsi attraverso l’istituzione di un fondo patrimoniale comune, in relazione al quale sono stabiliti i criteri di valutazione dei conferimenti che ciascun contraente si obbliga ad eseguire per la sua costituzione e le relative modalità di gestione, ovvero mediante ricorso alla costituzione da parte di ciascun contraente di un patrimonio destinato all’affare, ai sensi dell’art. 2447-bis, primo comma, lettera a) del codice civile - la durata del contratto e le relative ipotesi di recesso - l’organo comune incaricato di eseguire il programma di rete, i suoi poteri anche di rappresentanza e le modalità di partecipazione di ogni impresa alla attività dell’organo.
In tema di pubblicità è stato poi previsto al comma 4-quater che “il contratto di rete è iscritto nel registro delle imprese ove hanno sede le imprese contraenti”. Il comma 4-quinquies dispone invece che “alle reti di imprese di cui al presente articolo si applicano le disposizioni dell’art. 1, comma 368, lettera b), della legge 23 dicembre 2005, n. 266 e successive modificazioni”.
Tuttavia la disciplina introdotta dalla l. n. 33/2009 ha sin da subito manifestato le sue carenze, risultando oltremodo approssimativa e frammentaria nonché lacunosa e limitativa della libertà di iniziativa economica delle imprese.
Il legislatore, pertanto, dopo soli tre mesi dalla prima stesura, con la l. 23 luglio 2009 n. 99, recante “disposizioni per lo sviluppo e l’internazionalizzazione delle imprese, nonché in materia di energia”, è di nuovo intervenuto sul tema, rielaborando in parte la definizione ed il contenuto dell’introdotta disciplina52.
52 Legge 23 luglio 2009 n. 99, recante “disposizioni per lo sviluppo e l’internazionalizzazione delle imprese, nonché in materia di energia”, pubblicata in G.U., 31 luglio 2009 n. 176, suppl. ord. n. 136, ove l’art. 3, co. 4-ter, così come emendato, prevede che:
Rilevante la riformulazione della lett. b) dell’art. 3, co. 4-ter, in cui si prevede la necessaria indicazione in atto da parte delle imprese contraenti degli obiettivi strategici e delle attività comuni perseguite dalla rete, che dimostrino il miglioramento della capacità innovativa e la competitività sul mercato53, nonché l’inserimento alla lett. c) del citato art. 3, co. 4-ter, della specifica indicazione del c.d. programma di rete e delle risorse con cui perseguirlo e l’espresso riferimento, in ordine al fondo patrimoniale comune, alla normativa sui consorzi con attività esterna e precisamente:
«Al fondo patrimoniale di cui alla presente lettera si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni di cui agli articoli 2614 e 2615 del codice civile».
Tale modifica appare di estrema rilevanza in quanto, prevedendo l’applicazione estensiva della normativa contenuta agli artt. 2614 e 2615 c.c., è stata in concreto attribuita, agli imprenditori aderenti a una rete di imprese, la facoltà di poter beneficiare delle limitazioni di responsabilità previste per i membri di una struttura consortile; peraltro, grazie a tale emendamento, è stato possibile fare riferimento ad una “rilevanza reale” dell’autonomia patrimoniale del fondo della rete,
“Con il contratto di rete due o più imprese si obbligano ad esercitare in comune una o più attività economiche rientranti nei rispettivi oggetti sociali allo scopo di accrescere la reciproca capacità innovativa e la competitività sul mercato. Il contratto è redatto per atto pubblico o per scrittura privata autenticata, e deve indicare: a) il nome, la ditta, la ragione o la denominazione sociale degli aderenti alla rete; b) l’indicazione degli obiettivi strategici e delle attività comuni poste a base della rete, che dimostrino il miglioramento della capacità innovativa e della competitività sul mercato; c) l’individuazione di un programma di rete, che contenga l’enunciazione dei diritti e degli obblighi assunti da ciascuna impresa partecipante e le modalità di realizzazione dello scopo comune da perseguirsi attraverso l’istituzione di un fondo patrimoniale comune, in relazione al quale sono stabiliti i criteri di valutazione dei conferimenti che ciascun contraente si obbliga ad eseguire per la sua costituzione e le relative modalità di gestione, ovvero mediante ricorso alla costituzione da parte di ciascun contraente di un patrimonio destinato all’affare, ai sensi dell’art. 2247 bis, primo comma, lettera a) del codice civile. Al fondo patrimoniale di cui alla presente lettera si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni di cui agli articoli 2614 e 2615 del codice civile;
d) la durata del contratto, le modalità di adesione di altre imprese e le relative ipotesi di recesso; e) l’organo comune incaricato di eseguire il contratto di rete, i suoi poteri anche di rappresentanza e le modalità di partecipazione di ogni impresa alla attività dell’organo. Salvo che sia diversamente disposto nel contratto di rete, l’organo agisce in rappresentanza delle imprese, anche individuali, aderenti al contratto medesimo, nelle procedure di programmazione negoziata con le pubbliche amministrazioni, nonché nelle procedure inerenti ad interventi di garanzia per l’accesso al credito, all’utilizzazione di strumenti di promozione e tutela dei prodotti italiani ed allo sviluppo del sistema imprenditoriale nei processi di internazionalizzazione e di innovazione, previsti dall’ordinamento”.
53 In ciò si differenzia dalla precedete formulazione dell’art. 3, co. 4-ter, lett. b), - antecedente alla novella
l. 99/2009 - in cui si prescriveva un’indicazione generica delle attività comuni poste alla base della rete.
altrimenti configurabile alla stregua di una mera comunione di interessi54.
Da una prima analisi della l. 33/2009, così come emendata dalla successiva l. 99/2009, emergono a chiare lettere gli elementi caratterizzanti l’introdotta novità legislativa. In primo luogo, la natura di contratto plurilaterale con comunione di scopo; l’obbligo di una forma scritta ad substantiam del negozio con contenuto prescrittivo vincolato (dati identificativi, programma di rete, durata del contratto e regole di ingresso/recesso dalla rete, nonché regole concernenti il funzionamento dell’organo comune); l’obbligo da parte delle imprese aderenti di esercitare in comune una o più attività economiche rientranti nei rispettivi oggetti sociali allo scopo di accrescere la reciproca capacità innovativa e la competitività sul mercato; la necessaria previsione ed istituzione di un organo comune, incaricato di eseguire il contratto di rete mediante l’attuazione del programma e di rappresentare le imprese aderenti al contratto; la previsione di un patrimonio di rete, da istituirsi nella duplice e alternativa forma del fondo patrimoniale comune ovvero mediante la costituzione di un patrimonio destinato all’affare, ex art. 2447-bis c.c. nell’ ipotesi di partecipazione di società per azioni.
Per quanto concerne il profilo causale della fattispecie in esame, questo può identificarsi nel perseguimento di un obiettivo strategico in termini di accrescimento della capacità innovativa delle imprese associate e della loro competitività sul mercato55, mentre l’oggetto è costituito dalla realizzazione in comune di un programma basato sull’esercizio in comune di attività economiche rientranti nei rispettivi oggetti sociali, con l’obiettivo della regolazione e del coordinamento delle relazioni di “interdipendenza” economica e produttiva tra imprese56.
Nonostante la novella l. 99/2009 abbia tentato di sopperire alle carenze dovute alle lacune legislative ed alla scarsa incisività della normativa inserita con la l. 33/2009, forti sollecitazioni spinsero il legislatore, da lì a poco, ad intervenire
54 P. IAMICELI, Contratto di rete, fondo comune e responsabilità patrimoniale, in Il contratto di rete. Comm., a cura di X. Xxxxxxx, cit., 63 ss.
55 X. XXXXXXXXXXXX, Il contratto di rete: il problema della causa, in I Contratti, 2009, 961 ss.
56 X. XXXXXXX, I contratti di distribuzione come “contratti di rete”, cit., 200.
nuovamente sulla disciplina del contratto di rete, stante le numerose criticità e le consistenti ambiguità intorno alla definizione della fattispecie contrattuale introdotta.
2.3 Il successivo intervento legislativo del d.l. 31 maggio 2010, n. 78
Con il decreto legge 31 maggio 2010 n. 78, recante “Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica”, convertito con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010 n. 122, il legislatore ha radicalmente modificato l’istituto in esame, come disciplinato dalle precedenti leggi del 2009, ristabilendone struttura e tratti rilevanti della disciplina generale57.
57 L’art. 42 del citato d.l. 78/2010, rubricato “Reti di imprese”, prevede che il comma 4-ter dell’art. 3, l. 33/2009, sia così sostituito:
“Con il contratto di rete più imprenditori perseguono lo scopo di accrescere, individualmente e collettivamente, la propria capacità innovativa e la propria competitività sul mercato e a tal fine si obbligano, sulla base di un programma comune di rete, a collaborare in forme e in ambiti predeterminati attinenti all'esercizio delle proprie imprese ovvero a scambiarsi informazioni o prestazioni di natura industriale, commerciale, tecnica o tecnologica ovvero ancora ad esercitare in comune una o più attività rientranti nell'oggetto della propria impresa. Il contratto può anche prevedere l'istituzione di un fondo patrimoniale comune e la nomina di un organo comune incaricato di gestire, in nome e per conto dei partecipanti, l'esecuzione del contratto o di singole parti o fasi dello stesso. Ai fini degli adempimenti pubblicitari di cui al comma 4-quater, il contratto deve essere redatto per atto pubblico o per scrittura privata autenticata e deve indicare: a) il nome, la ditta, la ragione o la denominazione sociale di ogni partecipante per originaria sottoscrizione del contratto o per adesione successiva; b) l'indicazione degli obiettivi strategici di innovazione e di innalzamento della capacità competitiva dei partecipanti e le modalità concordate tra gli stessi per misurare l'avanzamento verso tali obiettivi; c) la definizione di un programma di rete, che contenga l'enunciazione dei diritti e degli obblighi assunti da ciascun partecipante, le modalità di realizzazione dello scopo comune e, qualora sia prevista l'istituzione di un fondo patrimoniale comune, la misura e i criteri di valutazione dei conferimenti iniziali e degli eventuali contributi successivi che ciascun partecipante si obbliga a versare al fondo nonché le regole di gestione del fondo medesimo; se consentito dal programma, l'esecuzione del conferimento può avvenire anche mediante apporto di un patrimonio destinato costituito ai sensi dell'articolo 2447-bis, primo comma, lettera a), del codice civile. Al fondo patrimoniale comune costituito ai sensi della presente lettera si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni di cui agli articoli 2614 e 2615 del codice civile; d) la durata del contratto, le modalità di adesione di altri imprenditori e, se pattuite, le cause facoltative di recesso anticipato e le condizioni per l'esercizio del relativo diritto, ferma restando in ogni caso l'applicazione delle regole generali di legge in materia di scioglimento totale o parziale dei contratti plurilaterali con
L’art. 42 del citato d.l. 78/2010, rubricato “Reti di imprese”, ha inciso dunque fortemente sull’istituto in esame, inserendo all’interno del comma 4-ter, art. 3, l. 33/2009, rilevanti modifiche, sintomo di una generalizzata esigenza di chiarezza e determinazione in materia.
Alla luce di tale intervento del 2010, il contratto di rete ha assunto sempre più la veste contrattuale, abbandonando l’aspetto istituzionale: la collaborazione e lo scambio di informazioni o prestazioni mira ad accrescere il contenuto dell’oggetto del contratto di rete, non più limitato all’esercizio in comune di un’attività economica. L’aspetto cooperativo può ora esplicarsi, alternativamente, mediante forme di collaborazione, ovvero attraverso lo scambio di informazioni o prestazioni di natura industriale, commerciale o tecnologica, ovvero ancora attraverso l’esercizio in comune di attività rientranti nell’oggetto della propria impresa.
Si è altresì provveduto a modificare parzialmente lo scopo del contratto di rete, al preciso fine di non impedire agli imprenditori individuali di poter aderire alle reti di imprese; tale aspetto, infatti, era apparso sino ad allora del tutto controverso a causa di una formulazione riferita espressamente allo svolgimento di attività economiche da parte di “due o più imprese” e rientranti nei rispettivi “oggetti sociali”; tale formulazione faceva infatti propendere per una adesione limitata unicamente ad imprese organizzate in forma societaria. Superando così ogni ambiguità, si è modificato il dettato normativo, riferendosi estensivamente a forme di collaborazione
comunione di scopo; e) se il contratto ne prevede l'istituzione, il nome, la ditta, la ragione o la denominazione sociale del soggetto prescelto per svolgere l'ufficio di organo comune per l'esecuzione del contratto o di una o più parti o fasi di esso, i poteri di gestione e di rappresentanza conferiti a tale soggetto come mandatario comune nonché le regole relative alla sua eventuale sostituzione durante la vigenza del contratto. Salvo che sia diversamente disposto nel contratto, l'organo comune agisce in rappresentanza degli imprenditori, anche individuali, partecipanti al contratto, nelle procedure di programmazione negoziata con le pubbliche amministrazioni, nelle procedure inerenti ad interventi di garanzia per l'accesso al credito e in quelle inerenti allo sviluppo del sistema imprenditoriale nei processi di internazionalizzazione e di innovazione previsti dall'ordinamento nonché all'utilizzazione di strumenti di promozione e tutela dei prodotti e marchi di qualità o di cui sia adeguatamente garantita la genuinità della provenienza; f) le regole per l'assunzione delle decisioni dei partecipanti su ogni materia o aspetto di interesse comune che non rientri, quando è stato istituito un organo comune, nei poteri di gestione conferiti a tale organo, nonché, se il contratto prevede la modificabilità a maggioranza del programma di rete, le regole relative alle modalità di assunzione delle decisioni di modifica del programma medesimo”.
attinenti l’esercizio delle proprie imprese.
Per quanto concerne il profilo causale, inoltre, nella prima formulazione la causa era costituita dall’esercizio in comune di un’attività economica organizzata con la finalità di accrescere la capacità innovativa e la competitività delle imprese aderenti sul mercato; ora, di contro, si prevedono altre forme di collegamento fra le imprese basate altresì sulla cooperazione e sulla collaborazione da attuarsi sia individualmente che collettivamente. Viene così specificata la precipua funzione del contratto di rete, il cui scopo non è più solo quello di accrescere la capacità innovativa e la competitività sul mercato della singola imprese aderente, ma di conseguire tali risultati collettivamente, con l’apporto che ciascuna singola impresa è in grado di conferire.
Per di più, la l. 122/2010 ha inteso modificare la disciplina del fondo patrimoniale e dell’organo comune, rendendone l’istituzione del tutto facoltativa. Ciò al preciso fine di far coesistere reti più snelle, la cui gestione patrimoniale ed amministrativa viene attribuita direttamente agli amministratori delle imprese aderenti, e reti più complesse, dotate invece di una struttura sempre più vicina a quella propria dei modelli societari58. La scelta di dotare o meno la rete di un patrimonio autonomo è, tuttavia, di primaria rilevanza, stante la possibilità di usufruire delle agevolazioni fiscali, di cui all’art. 42, comma 2-quater, d.l. 78/2010, unicamente nel caso in cui venga istituito un apposito fondo patrimoniale nel quale far convergere gli utili di esercizio59.
Ed ancora, in ordine alla disciplina del rapporto tra organo comune e rete viene fatto espresso riferimento alle norme in tema di mandato, circostanza che, tuttavia,
58 X. XXXXXXX, La rete è, dunque, della stessa natura del gruppo di società?, in Contr. e Impresa, 3, 2011, 540, in cui si evidenzia come la rete può essere dotata di un massimo di struttura, in stretta analogia ai modelli di tipo societario, oppure un minimo di struttura, in assenza di patrimonio ed organo comune, con una gestione di tipo interno o in outsourcing, sebbene solo dotando la rete di un autonomo patrimonio (fondo patrimoniale nel quale far confluire gli utili di esercizio) le imprese aderenti potranno usufruire delle agevolazioni fiscali a tal uopo previste.
59 Al riguardo si veda sul punto la Circolare Agenzia Entrate n. 15/E, 14.04.2011, in cui si esplicita che: “sebbene l’istituzione del fondo patrimoniale comune e la nomina dell’organo comune non costituiscano elementi essenziali ai fini della validità di un contratto di rete, per quanto si dirà nel seguito deve ritenersi che solo le imprese aderenti ai contratti di rete che prevedano l’istituzione del fondo patrimoniale comune possono accedere all’agevolazione fiscale”.
poteva forse già ampiamente desumersi dalla precedente formulazione, pur in assenza di un espresso richiamo alla normativa di cui all’art. 1703 e ss. c.c.
La novella del 2010 conferisce altresì primaria rilevanza alle associazioni di categoria, attribuendo loro il ruolo di promozione ed impulso alla diffusione delle rete, nonché il preciso compito di asseverare i programmi di rete di quelle imprese che intendano usufruire delle agevolazioni fiscali previste.
E’ con l’art. 45 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, che il legislatore interviene nuovamente sulla disciplina del contratto di rete, mosso dal preciso intento di semplificare ancor di più la normativa in commento ed incentivarne l’impiego, consentendo la redazione del contratto oltre che per atto notarile anche “per atto firmato digitalmente”. Al riguardo, sebbene l’intento sia stato quello di prevedere una modalità più semplice e meno dispendiosa di conclusione del contratto, l’intervento del notaio risulta comunque necessario, onde verificare ed attestare la validità del certificato di firma utilizzato dai contraenti, ed oltremodo auspicabile in una logica di accertamento del potere di rappresentanza in capo ai soggetti intervenuti.
Inoltre, in occasione della conversione del d.l. 83/2012, si è proceduto ad una parziale revisione delle disposizioni normative sin ora succedutasi in tema di contratto di rete, tentando in tutti i modi di riqualificare lo stesso al fine di agevolarne il più possibile la sua diffusione tra le imprese. Tra le modifiche più rilevanti, dettate dall’intento di semplificare la fattispecie in esame, vi è la previsione dell’iscrizione della rete nella sezione ordinaria del Registro delle imprese nel caso in cui sia prevista l’istituzione di un fondo comune: tale previsione è di estrema rilevanza in quanto, a seguito della suddetta iscrizione, si determina l’acquisto della piena soggettività giuridica da parte della rete. Viene altresì previsto, in tal caso, l’obbligo di redigere una situazione patrimoniale aggiornata entro due mesi dalla chiusura dell’esercizio sociale annuale, in conformità alle disposizioni previste per la redazione del bilancio di esercizio nelle s.p.a.
Tale progetto di modifica dalla struttura normativa originaria viene ribadito e definito da una successiva ed ultima novella in tema di contratto di rete, di cui all’art.
36, commi 4 e 5, del d.l. 18 ottobre 2012, n. 179 (c.d. sviluppo bis), convertito, con modificazioni, in l. n. 221/2012, con la quale, in tema di riconoscimento della soggettività giuridica, si è data alle imprese partecipanti al contratto di rete l’opzione facoltativa di istituire un fondo comune e un organo comune, specificando che il contratto di rete, anche qualora preveda l’organo comune e il fondo patrimoniale, “non è dotato di soggettività giuridica, salva la facoltà di acquisto della stessa ai sensi del comma 4-quater ultima parte”60. Orbene, da ciò ne deriva uno scenario che profila
60 L’art. 3, Distretti produttivi e reti di imprese, comma 4-ter ss., nuovamente modificato a seguito della novella di cui al d.l. n. 179/12, art. 36, commi 4° e 5°, conv., con modif., in l. 221/2012, prevede che:
(4-ter) “Con il contratto di rete più imprenditori perseguono lo scopo di accrescere, individualmente e collettivamente, la propria capacità innovativa e la propria competitività sul mercato e a tal fine si obbligano, sulla base di un programma comune di rete, a collaborare in forme e in ambiti predeterminati attinenti all’esercizio delle proprie imprese ovvero a scambiarsi informazioni o prestazioni di natura industriale, commerciale, tecnica o tecnologica ovvero ancora ad esercitare in comune una o più attività rientranti nell’oggetto della propria impresa. Il contratto può anche prevedere l’istituzione di un fondo patrimoniale comune e la nomina di un organo comune incaricato di gestire, in nome e per conto dei partecipanti, l’esecuzione del contratto o di singole parti o fasi dello stesso. Il contratto di rete che prevede l’organo comune e il fondo patrimoniale non è dotato di soggettività giuridica, salva la facoltà di acquisto della stessa ai sensi del comma 4° quater ultima parte. Se il contratto prevede l’istituzione di un fondo patrimoniale comune e di un organo comune destinato a svolgere un’attività, anche commerciale, con i terzi:
2) al fondo patrimoniale comune si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni di cui agli artt. 2614 e 2615, comma 2° c.c.; in ogni caso, per le obbligazioni contratte dall’organo comune in relazione al programma di rete, i terzi possono far valere i loro diritti esclusiva mente sul fondo comune;
3) entro due mesi dalla chiusura dell’esercizio annuale l’organo comune redige una situazione patrimoniale, osservando, in quanto compatibili, le disposizioni relative al bilancio di esercizio della società per azioni, e la deposita presso l’ufficio del registro delle imprese del luogo ove ha sede; si applica, in quanto compatibile, l’art. 2615 bis, comma 3° c.c. Ai fini degli adempimenti pubblicitari di cui al comma 4° quater, il contratto deve essere redatto per atto pubblico o per scrittura privata autenticata, ovvero per atto firmato digitalmente a norma degli artt. 24 o 25 del codice di cui al d. lgs. 7 marzo 2005, n. 82, e successive modificazioni, da ciascun imprenditore o legale rappresentante delle imprese aderenti, trasmesso ai competenti uffici del registro delle imprese attraverso il modello standard tipizzato con decreto del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze e con il Ministro dello sviluppo economico, e deve indicare:
a) il nome, la ditta, la ragione o la denominazione sociale di ogni partecipante per originaria sottoscrizione del contratto o per adesione successiva, nonché la denominazione e la sede della rete, qualora sia prevista l’istituzione di un fondo patrimoniale comune ai sensi della lettera c);
b) l’indicazione degli obiettivi strategici di innovazione e di innalzamento della capacità competitiva dei partecipanti e le modalità concordate con gli stessi per misurare l’avanzamento verso tali obiettivi;
c) la definizione di un programma di rete, che contenga l’enunciazione dei diritti e degli obblighi assunti da ciascun partecipante; le modalità di realizzazione dello scopo comune e, qualora sia prevista l’istituzione di un fondo patrimoniale comune, la misura e i criteri di valutazione dei conferimenti iniziali e degli eventuali contributi successivi che ciascun partecipante si obbliga a versare al fondo, nonché le regole di gestione del fondo medesimo; se consentito dal programma, l’esecuzione del conferimento può
due soluzioni per gli imprenditori che vogliano dar vita ad una rete: istituire una rete cd. soggetto, ossia una rete dotata di piena soggettività giuridica e come tale autonomo
avvenire anche mediante apporto di un patrimonio destinato, costituito ai sensi dell’art. 2447 bis, comma 1°, lettera a) del codice civile;
d) la durata del contratto, le modalità di adesione di altri imprenditori e, se pattuite, le cause facoltative di recesso anticipato e le condizioni per l’esercizio del relativo diritto, ferma restando in ogni caso l’applicazione delle regole generali di legge in materia di scioglimento totale o parziale dei contratti plurilaterali con comunione di scopo;
e) se il contratto ne prevede l’istituzione, il nome, la ditta, la ragione o la denominazione sociale del soggetto prescelto per svolgere l’ufficio di organo comune per l’esecuzione del contratto o di una o più parti o fasi di esso, i poteri di gestione e di rappresentanza conferiti a tale soggetto, nonché le regole relative alla sua eventuale sostituzione durante la vigenza del contratto. L’organo comune agisce in rappresentanza della rete, quando essa acquista soggettività giuridica e, in assenza della soggettività, degli imprenditori, anche individuali, partecipanti al contratto salvo che sia diversamente disposto nello stesso, nelle procedure di programmazione negoziata con le pubbliche amministrazioni, nelle procedure inerenti ad interventi di garanzia per l’accesso al credito e in quelle inerenti allo sviluppo del sistema imprenditoriale nei processi di internazionalizzazione e di innovazione previsti dall’ordinamento, nonché all’utilizzazione di strumenti di promozione e tutela dei prodotti e marchi di qualità o di cui sia adeguatamente garantita la genuinità della provenienza;
f) le regole per l’assunzione delle decisioni dei partecipanti su ogni materia o aspetto di interesse comune che non rientri, quando è stato istituito un organo comune, nei poteri di gestione conferiti a tale organo, nonché, se il contratto prevede la modificabilità a maggioranza del programma di rete, le regole relative alle modalità di assunzione delle decisioni di modifica del programma medesimo.
(4-ter.1) Le disposizioni di attuazione della lettera e) del comma 4° ter per le procedure attinenti alle pubbliche amministrazioni sono adottate con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze di concerto con il Ministro dello sviluppo economico.
(4-ter.2) Nelle forme previste dal comma 4° ter.1 si procede alla ricognizione di interventi agevolativi previsti dalle vigenti disposizioni applicabili alle imprese aderenti al contratto di rete, interessate dalle procedure di cui al comma 4° ter, lettera e), secondo periodo. Restano ferme le competenze regionali per le procedure di rispettivo interesse.
(4-quater) Il contratto di rete è soggetto a iscrizione nella sezione del registro delle imprese presso cui è iscritto ciascun partecipante e l’efficacia del contratto inizia a decorrere da quando è stata eseguita l’ultima delle iscrizioni prescritte a carico di tutti coloro che ne sono stati sottoscrittori originari. Le modifiche al contratto di rete, sono redatte e depositate per l’iscrizione, a cura dell’impresa indicata nell’atto modificativo, presso la sezione del registro delle imprese presso cui è iscritta la stessa impresa. L’ufficio del registro delle imprese provvede alla comunicazione della avvenuta iscrizione delle modifiche al contratto di rete, a tutti gli altri uffici del registro delle imprese presso cui sono iscritte le altre partecipanti, che provvederanno alle relative annotazioni d’ufficio della modifica; se è prevista la costituzione del fondo comune, la rete può iscriversi nella sezione ordinaria del registro delle imprese nella cui circoscrizione è stabilita la sua sede; con l’iscrizione nella sezione ordinaria del registro delle imprese nella cui circoscrizione è stabilita la sua sede la rete acquista soggettività giuridica. Per acquistare la soggettività giuridica il contratto deve essere stipulato per atto pubblico o per scrittura privata autenticata, ovvero per atto firmato digitalmente a norma dell’art. 25 del d. lgs. 7 marzo 2005, n. 82.
(4-quinquies) Alle reti delle imprese di cui al presente articolo si applicano le disposizioni dell’art. 1, comma 368°, lettere b), c) e d), della l. 23 dicembre 2005, n. 266 e successive modificazioni, previa autorizzazione rilasciata con decreto del Ministero dell’economia e delle finanze di concerto con il Ministero dello sviluppo economico, da adottare entro sei mesi dalla relativa richiesta”.
centro di imputazione rispetto alle imprese partecipanti, oppure optare per la diversa
rete cd. contratto che, diversamente, non acquisisce alcuna soggettività giuridica.
L’intento del legislatore è stato quello di precisare come l’acquisto della soggettività non avvenga ope legis, bensì derivi dell’esercizio di una facoltà attribuita agli stessi imprenditori della rete, da esercitarsi, dunque, su base volontaria. La volontà di poter rendere facoltativa l’istituzione di un fondo ed un organo comune pare oltremodo comprensibile, non avendo voluto gravare le piccole imprese, che potrebbero ricorrere alla rete solo per dar corso a modeste collaborazioni o scambio di informazioni, di questo onere, lasciando invece ai loro rapporti contrattuali le decisioni in ordine alla gestione delle risorse impiegate.
Inoltre, rilevanti appaiono le integrazioni apportate dalla citata l. n. 221/2012 agli artt. 34 e 37 del precedente Codice degli appalti (d.lgs. 163/2006) per aver esplicitato la possibilità, anche per le aggregazioni di imprese aderenti al contratto di rete, di poter partecipare alle procedure di gara ad evidenza pubblica e per aver altresì attribuito la facoltà alle imprese agricole in rete di istituire un apposito fondo mutualistico per la stabilizzazione dei redditi delle imprese agricole, cui si applicano le medesime regole e agevolazioni concesse per il fondo patrimoniale di cui al comma 4-ter. Da ultimo, si evidenzia come il nuovo Codice degli appalti pubblici, emanato con d.lgs. 18 aprile 2016 n. 50, conferma all’art. 45 la possibilità per le reti di imprese di partecipare alle gare di pubblico affidamento mediante espressa inclusione delle stesse all’interno del novero degli operatori economici legittimati alla partecipazione alle gare di appalto pubblico. La formulazione precedente ricompare dunque pedissequamente nella nuova disposizione di cui all’art. 45 d.lgs. n. 50/2016. Ed anche l’art. 48, comma 14, si limita a riprodurre il dettato normativo dell’art. 37 d.lgs. 163/2006, prevedendo che alle aggregazioni tra le imprese aderenti al contratto di rete si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni relative ai consorzi ordinari ed alle associazioni temporanee fra imprese.
Xxxxxx, il susseguirsi ravvicinato di tali interventi normativi sul testo originario del contratto di rete dimostra appieno il forte interesse del legislatore
italiano alla promozione di sistemi imprenditoriali realizzati in forma reticolare, e ciò mediante una costante semplificazione normativa del modello contrattuale introdotto con la l. n. 33/2009. Dall’altro lato, tuttavia, la continua adozione di normative volte a modificare ed integrare ripetutamente le precedenti - nel tentativo di superare le perplessità sempre più diffuse a livello dottrinale in ordine all’istituto in esame - testimonia le difficoltà interpretative derivanti dalla fattispecie, soprattutto in ordine alla sua tipicità, tanto da ritenere che il legislatore si sia unicamente limitato a definire un tipo contrattuale, senza tuttavia disciplinarlo, così realizzando una tipizzazione normativa dai più definita anomala61.
2.4 Il contratto di rete: nuovo modello o figura transtipica?
L’introduzione della nuova disciplina in tema di contratto di rete, nelle intenzioni del legislatore, più che alla creazione di un nuovo tipo contrattuale, è stata volta alla risoluzione di tutte quelle problematiche connesse al difficile inquadramento giuridico del fenomeno nonché al perseguimento di logiche di incentivazione fiscale ed amministrativa, così come previsto dallo stesso decreto legge n. 5/2009, poi convertito in l. n. 33/2009, il quale nell’intitolazione fa espresso riferimento alla necessità di adottare “misure urgenti a sostegno dei settori industriali in crisi”.
Xxxxxx, come ampiamente rilevato, l’intento primario del legislatore, sotteso alla creazione della fattispecie normativa in esame, è stato quello di immaginare uno strumento-guida della pratica negoziale in grado di strutturare giuridicamente il fenomeno delle reti di imprese, predisponendo al contempo un sistema di regole ed
61 X. XXXXXXX, Il “contratto” e la “rete”: brevi note sul riduzionismo legislativo, cit., 953, sebbene lo stesso a. abbia più volte manifestato come il tratto essenziale della cooperazione reticolare vada ritrovato proprio nella sua atipicità e nella sua irriducibilià entro schemi predeterminati.
incentivi fiscali utilizzabili dagli operatori economici, spesso carenti delle competenze tecniche necessarie alla corretta formazione del contratto, nonché di rimediare alla connaturale incompletezza dei contratti impiegati precedentemente, volgendo particolare riguardo agli interessi coinvolti dal rapporto, primo fra tutti l’interesse dei terzi contraenti con la rete62.
Tuttavia, benché l’obiettivo del legislatore sia stato proprio quello di ricondurre all’interno di una fattispecie giuridica ben identificata il variegato fenomeno delle reti di imprese, l’introduzione del nuovo tipo contrattuale per alcuni non ha fatto altro che aggiungersi ai tipi negoziali già esistenti. In altri termini, sebbene la nuova disciplina sia stata introdotta al fine di predisporre un quadro normativo di riferimento, volto a migliorare e indirizzare le scelte degli operatori economici del mercato, in una prospettiva di auspicata completezza e nel rispetto della libertà negoziale degli stessi, il risultato finale, secondo gran parte della dottrina, è stato solo quello di arricchire ulteriormente un variegato panorama giuridico, già di per sé caratterizzato dalla presenza in materia di figure giuridiche tra loro simili anche in relazione alle relative discipline63.
Eppure, prescindendo da una totale assenza di coordinamento tra le diverse regolamentazioni succedutesi nel corso degli ultimi decenni, è forse da guardare con
62 A. DI LIZIA, (Contratto di) Rete di imprese. Rassegna e clausole contrattuali, in Notariato, 2012, 3, 278.
63 Sulla incapacità del novello contratto di rete di introdurre una “nuovo tipo contrattuale” si vedano: X. XXXXXXX, Il contratto di rete. Commentario, cit., 21, secondo il quale: “obiettivo di un intervento legislativo nel campo delle reti di imprese dovrebbe essere quello di definire un quadro di riferimento, non di aggiungere ai tipi esistenti un nuovo tipo contrattuale”; X. XXXXXXX - P. IAMICELI, Contratto di rete. Inizia una nuova stagione di riforme?, cit., 595, i quali, circa la complessa natura eterogenea del contratto di rete si orientano su una definizione di “contratto trans-tipico”, ciò non tanto per la mancanza di qualsivoglia forma di originalità, quanto in ragione della duttilità dello strumento negoziale in esame e per la sua idoneità a combinare tra loro negozi e contratti già tipizzati, ad esempio giungendo alla creazione reti-franchising, di reti-subfornitura, reti-joint venture; X. XXXXXXX, Il “contratto” e la “rete”: brevi note sul riduzionismo legislativo, cit., 955, il quale afferma che “l’interpretazione volta ad inquadrare la fattispecie quale contratto trans-tipico testimonierebbe tutte le difficoltà del voler coniugare in un unico tipo la complessità dei rapporti di rete”. Di contro, nel senso che la disciplina di cui alla l. n. 33/09 sarebbe idonea ad introdurre nell’ordinamento un nuovo tipo contrattuale, G.D. XXXXX, Frammenti ricostruttivi sul contratto di rete, cit., 862, secondo il quale si è in presenza di “un contratto tipico rientrante nella categoria dei contratti plurilaterali con scopo comune” e che, “la qualificazione del contratto di rete come contratto tipico non esclude nemmeno la possibilità di riconoscergli grande ampiezza anche sul piano della funzione”.
favore l’intervento del legislatore volto a promuovere la costituzione di reti di imprese mediante la predisposizione di un nuovo modello negoziale di cooperazione e coordinamento, privo di una logica gerarchica, basato sulla presenza di un forte elemento fiduciario e volto al raggiungimento di uno scopo comune tramite la costante ricerca di nuovi know how e la generale condivisone di conoscenze.
Il contratto di rete, attraverso cui si dà vita a questa fattispecie negoziale da alcuni definita un “ibrido”64, in quanto non rappresenta né una forma di mercato, né una vera e propria organizzazione gerarchica, quale potrebbe essere quella del gruppo in diritto societario, appare concepito come contratto associativo a struttura aperta65.
Parte della dottrina, dedicandosi ad uno studio approfondito dei modelli di cooperazione reticolare, ritiene che la normativa del contratto di rete, più volte modificata ed integrata, sia da ricondurre ad una mera variante dei modelli già esistenti, stante l’adozione di una figura che raggruppa in sé gli elementi di natura contrattuale con elementi di natura organizzativa propri dei contratti associativi.
Dal punto di vista contenutistico la prescrizione dei requisiti minimi del contratto, (denominazione sociale delle imprese aderenti; indicazione delle attività che si devono svolgere; programma di rete; durata del programma ed ipotesi di recesso; individuazione e regole dell’organo comune e del fondo patrimoniale comune), non consente di realizzare un perfetto un inquadramento della figura in esame: la normativa risulta infatti applicabile ad oggetti diversi e dal profilo causale diversificabile, idonea alla regolamentazione di rapporti imprenditoriali lungo una o più fasi della filiera produttiva, senza, tuttavia, operare una reale distinzione tra tipi contrattuali.
La sopra citata prescrizione di contenuto minimo del contratto, sebbene da molti criticata in quanto non apporterebbe alcuna semplificazione in materia, di fatto attribuisce forse alle parti maggiore libertà negoziale, consentendo alle stesse di
64 X. XXXXXX, Neither Market nor Hierarchy: Network Forms of Organization, in Research of Organizational Behavior, XII, 1990, 298.
65 X. XXXXXXX, Xxxxx reti di imprese al contratto di rete nella recente prospettiva legislativa, cit., 930.
plasmare il prodotto finale della contrattazione in funzione puramente contrattuale, configurando così un vero e proprio contratto plurilaterale, ovvero in funzione più strettamente associativa, tramite alcune prescrizioni proprie della disciplina dei rapporti tra imprese, senza tuttavia poter qualificare il negozio come contratto associativo in senso stretto66.
Pur in assenza di una vera e propria sperimentazione nella prassi della disciplina in commento, sin da subito la dottrina ne ha evidenziato ambiguità e criticità, al punto da ritenere che il legislatore abbia inserito nell’ordinamento una nuova figura contrattuale del tutto priva di alcun coordinamento sistematico; un contratto dunque non definito nei suoi termini essenziali e del quale non è possibile scorgere differenze innovative sostanziali rispetto alle forme aggregative interimprenditoriali già operanti nel xxxxxxx00.
Il contratto di rete è stato ben presto interpretato quale figura trans-tipica68, in ossequio alla tendenziale ibridizzazione tra contratto e organizzazione69. Con la nozione di contratto trans-tipico ci si riferisce, più propriamente, ad un contratto a metà strada tra il negozio giuridico di natura associativa ed il contratto plurilaterale (o bilaterale), inquadrabile ora nell’una ora nell’altra categoria, o ancora in entrambe, e ciò in dipendenza delle scelte adottate delle parti contraenti, nel rispetto del contenuto minimo prescritto dalla legge.
66 X. XXXXXXXXX, Il contratto plurilaterale, in Studi in tema di contratti, Milano, 1952, 10 ss.
67 X. XXXXXXXX, La nuova legge sui “contratti di rete” tra le imprese: osservazioni e spunti, cit.,191 ss.
68 X. XXXXXXX, Il contratto di rete e il diritto dei contratti, cit., 920, il quale ritiene che la disciplina in esame “non introduce un nuovo tipo contrattuale ma costituisce lo schema di un contratto trans-tipico, destinato a essere impiegato per funzioni diverse, singole o combinate”, e dunque per lo svolgimento di attività compiute con strumenti contrattuali già disponibili e utilizzati dalla prassi negoziale. In tal modo si potrebbe avere una rete-subfornitura, una rete-ATI, una rete-joint venture, una rete-consorzio. Infatti, aggiungendo o sottraendo alcuni elementi diretti a meglio connotare la dimensione reticolare, sarebbero riprodotti, almeno sotto il profilo causale, modelli negoziali legislativamente o socialmente già esistenti.
69 X. XXXXXXX., Reti di imprese: dall’ economia al diritto, dall’ istituzione al contratto, in Contratto e impresa, 2010, 4-5, 962 ss. il quale evidenzia che, prima dell’emanazione della disciplina sul contratto di rete, “in campo giuridico si è cercato di collocare le reti all’interno degli schemi codicistici e delle ultime normative speciali che hanno recepito forme contrattuali di importazione anglosassone”, quali la subfornitura, il franchising, i consorzi, le a.t.i., i gruppi di imprese e, infine, i contratti collegati.
Trans-tipicità apprezzabile altresì sotto il diverso profilo della struttura del contratto, in ordine alla partizione tra contratti bilaterali e plurilaterali, sembrando chiara un’opzione del legislatore a favore di questi ultimi poiché l’applicazione della disciplina in esame a tipologie contrattuali basate su una struttura di tipo bilaterale come la subfornitura non pare percorribile. Un contratto plurilaterale con comunione di scopo, con o senza rilevanza esterna, ma in ogni caso privo di base associativa, rivolto alle reti che si pongono quale fine essenziale quello di collaborare in forme ed in ambiti predeterminati attinenti all’esercizio delle proprie imprese.
Altri, in dipendenza dello scopo-mezzo che l’aggregazione reticolare intende assumere e delle prestazioni dovute dalle parti contraenti, identifica il contratto di rete in una pluralità o fascio di contratti di scambio, uniti da un nesso di collegamento negoziale e riassunti in uno schema contrattuale unitario, configurazione propria di quelle reti dirette a realizzare un continuo scambio di informazioni o prestazioni di natura industriale, commerciale o tecnologica ovvero, ancora, in un contratto associativo in senso tecnico, nel caso di reti animate dal fine di esercitare in comune una o più attività rientranti nell’oggetto della propria impresa70.
Tuttavia, la presenza di un unico interesse comune riconduce la molteplicità degli interessi coinvolti ad una posizione unitaria e le prestazioni delle singole parti, invece di incrociarsi l’una con l’altra al fine di determinare un immediato reciproco vantaggio, come avviene nei contratti di scambio, nel contratto di rete confluiscono parallelamente verso la realizzazione di uno scopo comune. Dunque, la configurazione più appropriata appare quella del contratto plurilaterale, definizione che sembra rispondere più di ogni altra alla voluntas legis istitutiva della fattispecie in esame71.
Orbene, anche in ordine alle ricostruzioni operate dalla dottrina, emerge con chiarezza come il contratto di rete possa identificarsi quale figura contrattuale idonea
70 V. DONATIVI, Le reti di imprese: natura giuridica e modelli di governance, in Le società, 2011, 12, 1430.
71 X. XXXXXXXX, Cooperazione imprenditoriale e contratto di rete, cit. 49.
a porsi come schema generale adattabile ad una serie di contratti, creando nuove modalità di collaborazione rispetto agli schemi contrattuali socialmente e legislativamente esistenti, cui possono essere aggiunti o sottratti elementi per meglio connotare la dimensione reticolare del rapporto tra le imprese; il tutto caratterizzato da una comunione dello scopo e da un intenso rapporto fiduciario, senza tuttavia apportare alcuna compressione di autonomia, al fine di perseguire insieme economie di scala e flessibilità.
Il contratto di rete, generando una fattispecie dai più definita “ibrida”, stante l’impossibilità di configurare una vera e propria organizzazione di tipo gerarchico né, dall’altro lato, una forma di mercato, si struttura quale contratto associativo a struttura aperta dotato di una causa tipica, consistente perseguimento di un obiettivo strategico di accrescimento della capacità innovativa delle imprese associate e della loro competitività sul mercato. L’oggetto è costituito dalla realizzazione, sulla base di un programma comune, di forme di collaborazione in ordine ad ambiti predeterminati, attinenti l’esercizio delle proprie imprese, ovvero dal semplice scambio di informazioni o prestazioni di varia natura, ovvero ancora dall’esercizio in comune di attività economiche rientranti nei rispettivi oggetti sociali. Ciò con l’obiettivo primario della regolamentazione e del coordinamento delle relazioni di “interdipendenza” economica e produttiva tra le imprese aderenti72.
Ciò posto, il difficile inquadramento della fattispecie in esame si pone soprattutto in relazione ad altri elementi, in particolare le attività da perseguire ed il programma di rete da attuare, nonché la conseguente definizione del profilo causale del contratto.
In ordine alle attività da perseguire la disposizione, così come precedentemente formulata nell’impostazione del 2009, si rivelava alquanto inidonea, stante l’espresso riferimento alle attività comuni poste alla base della rete. Al riguardo, pare di estrema evidenza che le attività proprie di ciascuna impresa possono divenire comuni solo grazie ad una scelta negoziale delle imprese contraenti, potendo mancare una reale
72 X. XXXXXXX, I contratti di distribuzione come “contratti di rete”, cit., 200.
comunione di attività preesistente rispetto alla conclusione del contratto, essendo lo stesso molte volte costitutivo oltre che regolativo della rete73.
Altresì, risultava necessario che le attività economiche rientrassero nel contenuto dell’oggetto sociale proprio di ciascuna impresa aderente, richiedendo così che gli oggetti fossero tra loro simili o coincidenti, preferibilmente in una logica di complementarietà a fronte di una collaborazione legata all’interdipendenza del rapporto reticolare. Infatti, lo svolgimento di tali attività, sul piano causale, deve mirare ad un incremento innovativo della competitività delle imprese partecipanti sul mercato, attività dunque non solo strumentali, ma dotate di una rilevanza strategica, con ciò realizzando un’alternativa al modello societario.
Tuttavia, dubbi interpretativi sorgono a fronte di un’individuazione preventiva degli obiettivi strategici e delle attività comuni in grado di comprovare a priori il raggiungimento di un elevato grado di accrescimento della capacità produttiva e della conseguente competitività delle imprese contraenti. Trattasi, infatti, di valutazioni che potrebbero semmai giungere a posteriori, in seguito ad uno sviluppo pratico-operativo della rete medesima.
Ed ancora, difficoltà interpretative ruotano attorno alla previsione contrattuale di un programma di rete, il quale enuncia i diritti ed obblighi assunti da ciascun partecipante, le attività il cui svolgimento risulta funzionale al perseguimento dello scopo comune posto alla base della rete e la eventuale istituzione di un fondo patrimoniale comune, ove far confluire le risorse conferite dai partecipanti alla rete. Alla sua attuazione è strettamente connessa la previsione di un organo comune, istituito al fine di dare esecuzione al contratto, o ad una o più parti o fasi di esso, ed al quale, ove previsto, vengono attribuiti specifici poteri di gestione e rappresentanza. Tuttavia, in ordine alla definizione dei diritti e degli obblighi dei partecipanti, da prevedere e rispettare sia nell’interesse della rete in sé che degli altri aderenti, emergono obblighi di prestazione ed obblighi di protezione.
73 M. ONZA, Il contratto di rete: alcuni profili di qualificazione e di disciplina, in Il diritto commerciale europeo di fronte alla crisi, Atti del Convegno, 2010, 2.
Orbene, nel contratto di rete le prestazioni da eseguire si differenziano sia da quelle proprie dei contratti di società, governati da una logica di controllo proprietario sia, ovviamente, dal semplice contratto di scambio, caratterizzato a sua volta da corrispettività tra le prestazioni e non complementarietà tra le stesse. Lo scopo comune, estrano ai contratti sinallagmatici, caratterizza prestazioni ricadenti sulle singole imprese partecipanti, prestazioni che devono convergere in uno svolgimento di un’attività comune e vantaggiosa per tutti gli aderenti74.
Pertanto, come chiaramente emerge dalla ricostruzione del contenuto minimo del contratto di rete, sia nella sua originaria formulazione così come anche nella versione più volte modificata ed integrata dello stesso, forti elementi di trans-tipicità caratterizzano la fattispecie. La difficile ricostruzione dei tratti distintivi della disciplina in esame, rispetto a quella propria di modelli già articolati e tipizzati a livello legislativo o sociale, ha indotto molti a ritenere che il contratto di rete non costituisca altro se non una mera variante degli stessi, coniugando al suo interno aspetti contrattuali ed allo stesso tempo organizzativi tipici dei contratti associativi75.
Altra ricostruzione interpretativa del contratto di rete configura la fattispecie alla stregua di un particolare tipo di consorzio. Si rivela, al riguardo, una sostanziale analogia tra la previsione normativa antecedente alle modiche, che richiedeva “l’esercizio in comune di una o più attività economiche rientranti nei rispettivi oggetti sociali”, con l’esercizio in comune di fasi delle imprese partecipanti, proprio della nozione di consorzio76. Forme di collaborazione, entrambe, caratterizzate dalla assenza di una reale compressione di autonomia, in cui predomina l’indipendenza delle parti, limitata unicamente dal rispetto delle finalità che si intendono conseguire77. In tale direzione deponeva altresì la necessaria istituzione del fondo comune, cui si dava applicazione della disciplina del consorzio, così come
00 X. XXXXX, Xx coordinamento interimprenditoriale nella prospettiva del contratto plurilaterale, in Reti di imprese e contratti di rete (a cura di X. Xxxxxxxx), Xxxxxx, 0000, 119.
75 X. XXXXXXX, Il contratto di rete e il diritto dei contratti, cit., 919 ss.
76 X. XXXXXX, Dal consorzio al contratto di rete: spunti di riflessione, in Rivista del diritto commerciale e del diritto generale delle obbligazioni, 2010, 3, 795 ss.
77 X. XXXXXXXX, Il contratto di rete: una soluzione in cerca del problema, in Reti di impresa e contratto di rete: spunti per un dibattito, I Contratti, 2009, 10, 938 ss.
l’affidamento dell’attività esterna ad un organo a tal uopo istituito, alla stregua di quanto previsto dall’art. 2612 c.c.
Xxxxxx, al di là delle innumerevoli ricostruzioni proposte dalla dottrina in tema di contratto di rete, la disciplina adottata dal legislatore, ripetutamente modificata ed integrata, appare alquanto lacunosa, risolvendosi in pochi articoli che presentano l’ambizione di offrire linee guida alle imprese contraenti per la determinazione di intense forme di collaborazione in una logica di regolamentazione e gestione attiva delle attività comuni. L’intento, purtroppo non pienamente conseguito, è stato quello di attribuire all’autonomia privata una modalità organizzativa tendenzialmente nuova e presunta, non alternativamente accessibile se non, appunto, attraverso la sua espressa introduzione.
L’individuazione della suddetta trans-tipicità del contratto di rete, in definitiva, pone la fattispecie a cavallo tra il contratto associativo e il contratto plurilaterale, a fronte di un dettato normativo che agglutina profili del diritto societario e della normativa in tema di consorzi, attorno ad una disciplina di natura puramente contrattuale. Si è giunti così alla determinazione di una fattispecie in bilico tra il diritto privato generale e la disciplina di singoli tipi nella quale, però, l’elasticità propria dell’istituto consente di tracciare delle linee generali di riferimento per forme di collaborazione reticolari esistenti ancor prima della sua introduzione, attraverso uno strumento duttile ma allo stesso tempo multifunzionale, atto ad operare un mero coordinamento delle attività già svolte individualmente dalle singole imprese, ovvero forme di coordinamento più intense, volte ad attuare una vera e propria regolamentazione e gestione di attività comuni alle rispettive imprese.
In definitiva, l’introduzione della normativa in tema di contratto di rete sollecita ampi margini di ricavo all’attività ermeneutica, stante la sua riferibilità ad una pluralità di funzioni e l’individuazione di una disciplina applicabile ad oggetti tra loro notevolmente diversificati oltre che suscettibile di un’articolazione causale concreta alquanto diversificata.
Capitolo III
Profili qualificatori e modelli di governance del contratto di rete
3.1 Tratti ricostruttivi del contratto di rete: profili qualificatori e lacune legislative
Il contratto di rete, alla luce delle ripetute modifiche normative susseguitesi nel tempo, frutto del costante e rinnovato interesse del legislatore al perfezionamento della disciplina introdotta con la l. 33/2009, costituisce l’incipit di un obiettivo di rinnovo assai più ampio, comprensivo di tutto il quadro giuridico delle reti di impresa, in una prospettiva sempre più rivolta all’incentivazione di forme di collaborazione sinergica tra le piccole e medie imprese.
Dato preliminare da analizzare è il contesto in cui è svolta tale attività nella peculiare forma del coordinamento reticolare. Si tratta, infatti, di un contesto ibrido data l’inevitabile compresenza di elementi tipici del mercato, quali l’indipendenza dell’interesse della singola impresa partecipante, che spingerebbe ad un inquadramento nell’ambito del contratto bilaterale di scambio e, allo stesso tempo, dell’organizzazione propria dei rapporti societari e associativi per l’esercizio in comune di un’attività economica. Tale compresenza deve assumersi quale inevitabile conseguenza dei vincoli individuabili nei singoli nodi della rete.
Il contratto di rete, onde l’impossibilità di un inquadramento quale forma di mercato o di organizzazione di tipo gerarchico, appare così concepito quale contratto associativo a struttura aperta, volto al perseguimento di obiettivi strategici in termini di accrescimento della capacità innovativa delle imprese aderenti e della loro competitività sul mercato, mediante la realizzazione in comune di un programma (il
programma di rete) da attuare con forme di collaborazione in ambiti predeterminati attinenti all’esercizio delle proprie imprese; ovvero mediante lo scambio reciproco di informazioni o prestazioni di natura industriale, commerciale, tecnica o tecnologica o mediante l’esercizio di una o più attività in comune rientranti nell’oggetto sociale della propria impresa. In ogni caso, il fine strategico da perseguire è proprio quello di accrescere, individualmente e collettivamente, la propria capacità innovativa e la propria competitività sul mercato. Innegabile, al riguardo, l’intento del legislatore di dotare le imprese di uno strumento operativo concreto e non solo strumentale, tale da consentire una partecipazione diretta alla competizione internazionale, nonché di incentivare il perseguimento dei suesposti obiettivi strategici e di sviluppo78.
Si combinano così due opposte esigenze: da una parte la collaborazione delle imprese sui programmi già condivisi e, dall’altra, il mantenimento dell’autonomia imprenditoriale. In altri termini, le imprese aderenti, anche se tra loro concorrenti, devono poter mantenere ciascuna la propria autonomia sul campo ed essere in grado di poter condividere uno scopo comune, collaborando sinergicamente ad una sua più proficua realizzazione.
Invero, in fase di prima lettura ed interpretazione della normativa, parte della dottrina, come già evidenziato, ha radicalmente negato al contratto di rete il carattere di tipo contrattuale a sé stante, nuovo e distinto rispetto a forme di collaborazione fra imprese già previste nell’ordinamento italiano, quali ad esempio i consorzi, i mandati collettivi, le A.T.I., i contratti di franchising, le joint ventures, i contratti di subfornitura79. Da tale interpretazione ne emergeva una normativa limitata ad indicare una serie di requisiti, di forma e sostanza, grazie ai quali contratti funzionali alla
78 M. ONZA, Il contratto di rete: alcuni profili di qualificazione e di disciplina, cit., “Il diritto commerciale europeo di fronte la crisi”, Roma 2010, (xxx.xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx.xx), per il quale il concetto di competitività a livello europeo, sebbene di primaria importanza, appare dai confini assai incerti. Ai fini di un’economia competitiva l’unione deve essere necessariamente più redditizia dal punto di vista dell’innovazione e della ricerca, della comunicazione e, oltremodo, della concorrenza (Glossario Europa). 79 X. XXXXXXX, P. IAMICELI, Contratto di rete. Inizia una nuova stagione di riforme? in Obbl. e contratti, 2009, 7, 595; X.XXXXXXX, Il contratto di rete. Commentario, cit., 21, il quale tuttavia, in ordine alla complessa natura trans-tipica del contratto di rete evidenzia non un’assenza di originalità ma la necessità di un coordinamento con contratti già tipizzati. Lo stesso rivela altresì, che “obiettivo di un intervento legislativo nel campo delle reti di impresa dovrebbe essere quello di definire un quadro di riferimento, non di aggiungere ai tipi esistenti un nuovo tipo contrattuale”.
cooperazione interimprenditoriale, comunque denominati e già esistenti, avrebbero consentito ai contraenti di avvalersi di agevolazioni e benefici fiscali. Tuttavia, anche in considerazione delle incessanti novellazioni che hanno fortemente arricchito e marcatamente distinto la disciplina del contratto di rete, altra dottrina ne ha sostenuto il carattere di nuovo tipo contrattuale, autonomo e distinto da quelli già presenti nell’ordinamento italiano, pur condividendo, in senso lato, gli scopi di alcuni di questi.
Pare evidente come la predisposizione di una disciplina di tal genere si sia rivolta ad una concretizzazione normativa della “rete”, come risposta ad un contesto di assoluta incertezza, determinato dalla una vasta complementarietà delle risorse conferite dalle imprese partecipanti in sede di realizzazione dei processi innovativi.
Tuttavia, l’intervento normativo ha talvolta generato un’assimilazione tout court tra il fenomeno della rete di imprese e il contratto di rete, con ciò rischiando di incidere negativamente sull’assetto delle reti esistenti, oltretutto, in forte sviluppo. Orbene, negli anni la pratica negoziale, prevalentemente nel settore delle piccole e medie imprese, ha sviluppato un elevato livello di agilità nell’impiego di strumenti giuridici già esistenti, con ciò realizzando le più svariate forme di aggregazione e di coordinamento in un’ottica di collaborazione data dalla complementarità delle risorse produttive. Tale peculiarità ha presto determinato il susseguirsi di realtà multiformi e non facilmente classificabili entro spazi certi, con conseguente difficoltà di identificazione giuridica delle stesse.
In questo contesto, già ampiamente caratterizzato da svariate realtà di coordinamento imprenditoriale, il legislatore avrebbe forse dovuto fare un passo in più, ponendosi in un’ottica di raccoglimento degli strumenti giuridici utilizzati dalla pratica negoziale, oltrepassando arbitrarie assimilazioni con fattispecie negoziali preesistenti. Probabilmente, a fronte della sostenuta necessità di un rapido intervento legislativo, sotteso per lo più da intenti di agevolazione fiscale, non è stata condotta una accurata analisi del fenomeno interimprenditoriale a livello generale, impedendo così la creazione di una fattispecie completa, idonea a fornire adeguate risposte ad un fenomeno socio-economico affatto nuovo.
Nell’introdurre la disciplina in esame il legislatore, avendo come punto di riferimento il contratto come fondamento per la produzione di obbligazioni e quale categoria privilegiata per la classificazione dei rapporti tra i soggetti del mercato, ha per lo più tentato un inquadramento del fenomeno del coordinamento reticolare nelle categorie giuridiche preesistenti per poi muovere verso la creazione di un nuovo strumento negoziale da consegnare agli operatori del mercato. Tuttavia, l’impossibilità di comprimere in un unico tipo contrattuale l’oltremodo variegato fenomeno organizzativo delle reti di impresa, sintetizzando al suo interno una pluralità di tipi, ha bene presto condotto alla configurazione della fattispecie in esame come contratto dai più definito trans-tipico80. Concentrandosi sulla sola prospettiva contrattuale si è di fatto realizzato un effetto di chiusura della normativa rispetto alle svariate realtà socio-economiche, che pure l’intervento legislativo dovrebbe essere inteso a supportare.
Inoltre, a fronte dell’inquadramento del fenomeno delle reti nel ristretto ambito della disciplina del contratto, si è finito col trascurare l’obiettivo di policy di semplificazione e definizione organica al tempo stesso della disciplina inerente i rapporti intercorrenti tra le imprese aderenti, prevalendo il tratto di spiccata frammentarietà degli stessi.
In ordine al profilo della governance della rete, l’iniziale previsione dell’esercizio in comune delle attività da svolgere, senza puntuale riferimento alla collaborazione tra le imprese coinvolte, rischiava di limitare l’ambito applicativo del contratto di rete, relegando alle forme preesistenti molte attività di coordinamento degli scambi; profilo poi in seguito rimediato mediante l’ampliamento dell’oggetto del contratto81. In particolare, a seguito del successivo intervento normativo, è stato dato opportuno rilievo alla collaborazione generale tra le imprese aderenti con soppressione del requisito dell’esercizio in comune, così da garantire una più ampia portata applicativa del “tipo” a fattispecie pur tra loro differenti: da quelle che si
80 X. XXXXXXX, Reti contrattuali e contratti di rete, in X. XXXXXXX – P. IAMICELI (a cura di), Reti di imprese tra crescita e innovazione organizzativa, Bologna, 2007, 439; F CAFAGGI – P. IAMICELI, La governance del contratto di rete, in Il contratto di rete, Commentario cit., 45 ss.
81 X. XXXXXXX, Conclusioni, in X. Xxxxxxx (a cura di), Il contratto di rete, cit., 145.
basano sul puro coordinamento di attività propriamente separate, a forme di integrazione vera e propria basate su stretti legami di interdipendenza produttiva ed economica.
Ed ancora, una disciplina poco chiara si profila dal punto di vista delle tutele, e più propriamente in ordine conseguenze derivanti dall’inadempimento degli obblighi o dalla lesione dei diritti dei partecipanti alla rete, nonché sul versante della tutela dei terzi contraenti, estranei alla rete stessa. Inadeguatezze altresì in tema di inadempimento, di impossibilità sopravvenuta e di rinegoziazione delle clausole, onde la mancanza di una disciplina puntuale dei rimedi si scontra con il ruolo centrale che riveste il profilo collettivo nei sistemi reticolari. Oltretutto, una disciplina specifica dei rimedi consentirebbe di distinguere, sul piano degli effetti, l’inadempimento della singola prestazione, di per sé connessa al raggiungimento dello scopo comune, dall’inadempimento più generale derivante dalla partecipazione alla rete che, di contro, si riflette sulle relazioni fiduciarie che intercorrono tra i partecipanti alla rete stessa
Rilievi significativi, quelli citati, soprattutto in relazione ai disagi derivanti dalle lacune legislative esposte, a partire dai costi connessi alle possibili controversie sui profili di incertezza della normativa. Infatti, la presenza di vistose lacune nella disciplina del contratto di rete ridonda a discapito dell’efficienza, causando instabilità nonché elevati livelli di litigiosità conseguenti ai conflitti interpretativi. Tutto ciò a scapito del vantaggio competitivo che si potrebbe ottenere grazie ad un idoneo assetto normativo, vantaggio che dovrebbe essere proprio alla base dell’opzione legislativa di inquadramento positivo di un fenomeno socio-economico in continuo sviluppo come quello delle reti di impresa.
Al contrario, operando in maniera forse un po’ troppo spedita, si è tentato di inquadrare il fenomeno della rete in una fattispecie contrattuale unica, che porta con sé l’ambivalenza già peculiare al fenomeno cui si riferisce, ossia l’oscillazione tra i due poli del mercato e della gerarchia.
Un apprezzabile sforzo quello del legislatore, volto ad una consacrazione giuridica del fenomeno del coordinamento in forma reticolare, attraverso la sua contrattualizzazione, che tuttavia si scontra con le vistose lacune cui il testo normativo incorre, lasciando privi di adeguata regolamentazione aspetti troppo delicati per poter essere affidati alle ricostruzioni dogmatiche dell’interprete. Emerge fra tutti il profilo della rilevanza esterna della rete, dove dimensione individuale e dimensione collettiva tendono spesso a sovrapporsi, generando un distacco dalle tradizionali logiche di mercato, improntate allo scambio e alla gerarchia.
3.2 Requisiti strutturali della fattispecie: il programma di rete quale tratto distintivo del contratto
Analizzando i requisiti strutturali, o forse meglio di struttura e contenuto del contratto di rete, è necessario distinguere tra elementi essenziali ed elementi accidentali della fattispecie82.
In primo luogo, affinché un accordo interimprenditoriale possa essere qualificato come tale, questo deve rispettare dei requisiti minimi essenziali. All’uopo è richiesta la partecipazione di almeno due imprenditori (con specifica menzione del nome, della ditta, della ragione o denominazione sociale), l’indicazione degli obiettivi di innovazione e di sviluppo della capacità competitiva nonché le modalità operative da adottare per il conseguimento degli obiettivi.
82 X. XXXXXXX, X. XXXXXXXXXX, X. XXXXXXXXX, X. XXXXX, X. XXXXXXXX, X. XXXXXXXX, X. XXXXXX, X. XXXXXXXXXX PREMUSA, X. XXXXXXX, Xxxxx guida per i contratti di rete, marzo 2012, xxx.xxxxxxxxxxxxxx.xx; X. XXXXXXXXX, La nuova legge sui “contratti di rete” tra le imprese: osservazioni e spunti, in Notariato, 2010, 191.
E’ altresì necessaria la definizione di un programma di rete, recante l’individuazione specifica dei diritti ed obblighi posti in capo ai partecipanti e le modalità per la realizzazione dello scopo comune. Essenziale ai fini della validità del contratto è poi la previsione di una clausola che stabilisca le modalità di eventuale adesione da parte dei terzi, non originariamente contraenti (oltremodo necessaria stante la sua natura di contratto a struttura aperta); l’indicazione della durata del contratto ed, infine, le modalità per l’adozione di ogni singola decisione da parte dei contraenti su ogni materia o aspetto di interesse comune, salvo che non sia stato istituito un organo comune e a quest’ultimo siano stati attributi poteri di gestione.
Elementi per così dire accidentali del contratto di rete sono, invece, l’istituzione di un fondo patrimoniale comune, con indicazione dell’entità dei conferimenti inziali (anche in natura) e dei successivi contributi che ciascun contraente si obbliga a versare al fondo medesimo; la definizione delle regole di gestione del fondo; l’indicazione della denominazione e della sede della rete; l’indicazione del soggetto atto a svolgere l’ufficio di organo comune per l’attuazione del contratto, ovvero di parti essenziali di esso, con specifica identificazione dei relativi poteri di gestione e rappresentanza e delle regole sulla eventuale sostituzione nel periodo di vigenza del contratto.
Oltretutto, l’organo comune agisce in rappresentanza della rete solo quando la rete medesima acquisti una soggettività giuridica, agendo di contro in rappresentanza dei singoli imprenditori mandatari quando la rete risulti priva della suddetta soggettività, e ciò nella specifica veste di mandatario. Infine, possono prevedersi eventuali cause facoltative di recesso anticipato e le relative condizioni per il suo esercizio.
Dal punto di vista strutturale, tra i requisiti minimi richiesti dalla legge, il programma di rete assurge ad elemento che più evidenzia l’intenzione del legislatore di accrescere ed incentivare comportamenti cooperativi tra imprese ma che più si distanzia dalla logica rimediale alla crisi economica posta alla base dell’intervento normativo in esame stante le sue lacunosità.
Il programma di rete consiste nella individuazione di un insieme di diritti ed obblighi concernenti la partecipazione delle singole imprese in ordine alle attività da svolgere. L’insieme dei diritti ed obblighi non è tuttavia predefinito dal legislatore, il quale lascia libere le imprese contraenti nella sua definizione, nel rispetto, comunque, dell’attinenza con le attività individuali svolte e della meritevolezza dell’interesse perseguito.
Orbene, attraverso l’individuazione di una fattispecie tale da consacrare a livello normativo il perseguimento di uno scopo comune, disincentivando comportamenti opportunistici nelle relazioni commerciali e stimolando lo sviluppo e la circolazione di conoscenze e acquisizioni sempre più innovative, si cerca di superare l’idea di una disciplina di aggregazione tra imprese a fini di coordinamento in un’ottica esclusivamente fiscale.
Il programma comune è ideato sulla base delle attività che dovranno essere svolte al fine del raggiungimento dello scopo comune, e cioè l’accrescimento della capacità innovativa e della competitività sul mercato delle imprese partecipanti (scopo-fine o requisito finalistico). Tali attività devono essere riconducibili a una o più delle tre tipologie di collaborazione individuate dal legislatore, e dunque la collaborazione in forme ed ambiti predeterminati, attinenti all’esercizio delle imprese, lo scambio di informazioni e prestazioni o l’esercizio in comune di una o più attività rientranti nell’oggetto dell’impresa (scopi-mezzo o requisito oggettivo).
Diverse possono essere, in concreto, le attività oggetto del programma di rete, inquadrabili, a loro volta, in due distinte tipologie: l’erogazione di servizi alle imprese aderenti (funzione mutualistica) ovvero l’offerta sul mercato beni e servizi (funzione lucrativa). Nel primo caso il contratto potrà avere ad oggetto un programma che preveda l’integrazione delle specializzazioni, lo sviluppo delle competenze tecniche, l’accrescimento dell’offerta di consulenze o lo sviluppo di politiche di marketing e di comunicazione. Di contro, a fronte di una attività di produzione industriale, il programma potrà spaziare dalla progettazione ad iniziative volte alla realizzazione di prodotti da immettere sul mercato attraverso attività di tipo promozionale.
Il coordinamento tra le rispettive attività delle imprese aderenti al contratto di rete può richiedere l’adozione di sistemi di governance che, pur non giungendo alla organizzazione corporativa propria dei modelli societari, richiedono una reale procedimentalizzazione delle decisioni ed un riparto tra le competenze.
La disciplina in esame, di cui al comma 4-ter dell’art. 3, più volte modificato ed integrato, differenzia la fase costitutiva o programmatica dalla fase attuativa del programma contrattuale, ossia la realizzazione del risultato contrattuale, e ciò presumibilmente a fronte della necessità di prevedere un adeguato riparto di competenze ed uno specifico procedimento di adozione delle decisioni, tratto tipico delle organizzazioni di tipo complesso.
Tale necessità è strettamente correlata al diverso livello di complessità organizzativa in ordine al quale si profila, di volta in volta, un crescente grado di coordinamento tra le attività in relazione alla complementarità delle risorse conferite da ciascun partecipante per la realizzazione dei processi innovativi83.
Alla costituzione della rete, in sede di stipulazione del contratto, si dà definizione degli obiettivi strategici e delle attività poste alla base del programma di rete, unitamente alla specificazione della durata, dei diritti ed obblighi degli aderenti, delle modalità di gestione del patrimonio e dell’organo comune. Di contro, la fase attuativo-esecutiva del contratto medesimo ruota attorno alla figura dell’organo comune, oltretutto reso facoltativo stante la facoltà delle imprese contraenti di poter attuare loro stesse degli obblighi derivanti dalla rete.
La separazione tra la fase costitutiva della rete rispetto a quella inerente la sua attuazione può forse attribuirsi ai possibili livelli di incertezza nelle relazioni reticolari derivanti dalle elevate carenze in sede contrattuale84. Tali carenze, infatti, danno luogo alla necessità di una ridefinizione contrattuale successiva, in sede di attuazione del programma di rete medesimo. Sarà lì che l’autonomia privata potrà decidere i dettagli
83 X. XXXXXXX - P. IAMICELI, La governance nel contratto di rete, in X. Xxxxxxx (a cura di), Il contratto di rete. Commentario, cit., 2009, 45 ss.
84 X. XXXXXXXXXXX, I contratti incompleti nel diritto e nell’economia, Xxxxxx, 0000, 1 ss.
della programmazione, sempre nel rispetto dei requisiti minimi del contratto, attuando così un governo della rete ex post, individuando rispettivamente le modalità di adozione delle decisioni e di esercizio del potere di completamento da parte dell’organo comune. Appare dunque palese la produzione di un trade-off tra certezza del disegno contrattuale in sede costitutiva e successivo governo delle contingenze85.
Da questo punto di vista, alquanto critica si pone la definizione del programma di rete, soprattutto alla luce del distacco che rischia di determinarsi tra la fase contrattuale ex ante e i dettagli programmatici lasciati alla libera determinazione dalle imprese aderenti, con il conseguente rischio che un’incompletezza contrattuale iniziale potrebbe scontrarsi con elevati costi derivanti dal conflitto tra le imprese coinvolte, laddove gli interessi delle stesse dovessero rivelarsi oltremodo confliggenti. Infatti, forme di collaborazione di tipo reticolare non sono quasi mai in grado di poter attuare una definizione puntale ed esaustiva di allocazione del rischio tra le parti già alla fase inziale del programma negoziale.
La fase di definizione del programma di rete in sede costitutiva, ossia al momento della stipulazione del contratto, richiede la partecipazione di tutti i componenti della rete, con la conseguenza che eventuali futuri aderenti saranno tenuti a sottoscrivere il programma così come definito inizialmente.
Trattandosi di un contratto di per sé aperto a successive adesioni da parte di terzi, il numero dei partecipanti potrà variare nel tempo. In tali casi, la modifica del programma di rete avverrà secondo le modalità definite nel contratto stesso, e dunque ogni adattamento del programma iniziale potrà essere sottoposto alla regola dell’unanimità ovvero al principio maggioritario. Tuttavia, il potere di modifica sopra citato incontra il limite esplicito dato dalla permanenza degli obiettivi strategici inizialmente definiti. Difatti, un loro completo stravolgimento determinerebbe non una mera modifica del programma contrattuale, bensì l’estinzione della rete e delle obbligazioni derivanti dal contratto, cui dovrebbe seguire una nuova costituzione, che
85 R.J. XXXXXX – C.F. SABEL – R.E. XXXXX, Contracting for innovation: vertical disintegration and interfirm collaboration, in Columbia law review, New York, 2009, 3, 450 ss.
richiederebbe necessariamente l’unanimità dei consensi delle imprese partecipanti a fronte di un vero e proprio mutamento della causa.
Il programma di rete, così come individuato, consente di distinguere la fattispecie del coordinamento in forma reticolare dalle figure affini alla stessa. Peculiarità del programma di rete è apprezzabile anche in una prospettiva strutturale, nella bipartizione contratti bilaterali/plurilaterali. Il contratto tracciato del legislatore con la normativa del 2009 può inquadrarsi nella seconda tra le suindicate categorie, ricostruzione avvalorata proprio dalla presenza del programma di rete.
La plurilateralità della struttura del contratto di rete non emergeva direttamente in sede di prima formulazione dalla normativa, in cui si faceva riferimento a - due o più imprese - ma era desumibile dall’analisi della disciplina approntata ad altre tipologie di contratti riguardanti fenomeni affini, definibili in termini pseudo- reticolari, quali l’affiliazione commerciale e la subfornitura.
L’adozione di tali fattispecie contrattuali, in cui i relativi rapporti sono predisposti dal legislatore alla stregua di contratti bilaterali, piuttosto che plurilaterali o associativi, consente di escludere a priori ogni sorta di discrezionalità dei contraenti in ordine alla stabilizzazione delle proprie relazioni di interdipendenza in base a specifici obblighi e vincoli contrattuali reciproci, suscettibili di essere pretesi e sanzionati tra le imprese medesime. Di contro, ciò è proprio quello che si determina in ordine alla scelta da parte di un certo numero di imprese di collaborare sinergicamente vincolandosi sulla base di un regolamento contrattuale, il contratto di rete, che deve obbligatoriamente contenere al suo interno un programma comune di rete, predisposto alla stregua di un regolamento contrattuale in tema di diritti ed obblighi reciproci dei contraenti.
Questi ultimi devono essere stabiliti in modo chiaro, così da individuare modelli di condotta specifici, la cui osservanza e rispetto da parte di ciascuna impresa coinvolta è da considerarsi imprescindibile ai fini di una compiuta realizzazione dello
scopo comune86. Tale peculiarità era oltremodo supportata dalla previsione dell’esercizio in comune di una o più attività economiche, caratteristica insussistente nelle richiamate tipologie contrattuali.
Orbene, la connotazione che il programma di rete ricopre nelle sole relazioni reticolari riconducibili al contratto di rete, così come definito in principio dalla l. 33/2009, nonché la struttura plurilaterale del negozio medesimo, serve a differenziare lo stesso dalle citate figure bilaterali affini; ciò ha consentito, prima delle ripetute modifiche ed integrazioni apportate alla disciplina, di restringerne il campo di applicazione in ordine a determinate tipologie di rapporti reticolari.
Difatti, la normativa dettata ab origine in tema di contratto di rete si rendeva applicabile laddove l’attività economica esercitata dalle imprese coinvolte veniva a svilupparsi sotto forma di esercizio comune, tale, dunque, da costituire specifico oggetto di un programma comune di rete, volto alla specifica regolamentazione dei diritti ed obblighi reciproci delle parti contraenti. Da ciò ne derivava, quale logico corollario, che indipendentemente dalla denominazione attribuita dalle parti al contratto, la disciplina in esame si rendeva applicabile ogni qualvolta l’attività economica esercitata fosse suscettibile di essere interpretata in termini di esercizio in comune, inglobando così una serie di contratti bilaterali tra loro paralleli, che realizzavano di fatto lo stesso risultato di un contratto plurilaterale unico inquadrabile alla stregua di un vero e proprio contratto di rete.
86 X. XXXXXXX, Xxxxx reti di imprese al contratto di rete nella recente prospettiva legislativa, cit., 934.
3.3. Governance della rete tra programmazione strategica ed esecuzione del contratto
A fronte della citata separazione tra programmazione e attuazione del contratto di rete, del conseguente trade-off tra certezza del disegno contrattuale ex ante e governo delle contingenze ex post, nonché dei rischi connessi agli eventuali conflitti tra interessi inconciliabili degli aderenti in sede di completamento contrattuale, l’organo comune è chiamato a comporre e a gestire tali divergenze, in una logica volta a realizzare una limpida collaborazione inter-aziendale.
Infatti, la separazione tra programmazione ed attuazione testimonia la complessità della rete, determinata oltretutto da una notevole incompletezza contrattuale iniziale. La funzione dirimente dell’organo comune, in ordine alla fase di completamento contrattuale, appare di estrema rilevanza proprio in virtù del fatto che l’interesse collettivo superiore deve comunque conciliarsi con quello individuale dei singoli aderenti87.
Il grado di discrezionalità dell’organo comune nella fase di definizione del contenuto negoziale appare tanto più elevato quanto più rilevante si dimostra l’incompletezza contrattuale iniziale. L’attività esecutiva dell’organo comune, inteso quale “agente” dei partecipanti, deve collocarsi, quanto più possibile, in una logica volta a comporre la possibile divergenza di interessi tra gli aderenti, così da far prevalere l’interesse collettivo della rete rispetto a quello dei singoli partecipanti.
In linea generale, le relazioni di tipo reticolare si costituiscono sulla base di una serie di legami di interdipendenza tra le attività delle imprese, dando luogo ad una situazione di complementarità tra le attività stesse. L’interdipendenza che qui si determina è così sottesa ad una logica di complementarità, diversa da quella normalmente connessa ai rapporti di scambio, ossia la corrispettività88. Il
87 X. XXXXXXX, Consorzi commerciali, in Nuov. Dig. It., Torino, 1938; X.XXXXXXX, Organisational loyalties and models of firms: governance design and standard of duties, in Theoretical inquiries in law, 2005, 6, 2, 413 ss.
88 X. XXXXXXX, Introduzione, in X. XXXXXXX (a cura di), Il contratto di rete. Commentario, cit., 14 ss.
coordinamento tra le diverse attività dalle imprese, che si realizza con la costituzione della rete, può richiedere complessi sistemi di governance, che nelle reti puramente contrattuali non si configura nei termini di organizzazione corporativa tipica del modello societario.
La disciplina del contratto di rete, prevedendo una separazione tra fase costitutivo-programmatica e fase attuativa del programma, sottintende una bipartizione sia sul piano della definizione in astratto e in concreto dell’attività della rete, a mezzo della definizione del programma di rete, sia sotto il profilo dell’individuazione dei soggetti coinvolti nell’assunzione delle decisioni per il perseguimento dell’interesse collettivo della rete.
In ordine a tale ultimo profilo, viene in considerazione l’attuazione del governo della rete, il quale deve svilupparsi in modo da far prevalere l’interesse collettivo a fronte di quello dei singoli partecipanti, in capo ai quali grava un dovere di lealtà verso la collettività. Tale dovere di lealtà richiede l’adozione di procedure decisionali adeguatamente rappresentative degli interessi dei partecipanti stessi, in stretta connessione con l’interesse collettivo proprio dell’intera rete.
L’organo comune è stato pensato quale strumento di attuazione e di governo delle relazioni reticolari, sia nella dimensione interna, che in quella esterna, in termini di coordinamento strategico di attività e rapporti, al fine di assicurare che tutto si sviluppi in sintonia con l’interesse collettivo degli aderenti al fine della realizzazione dello scopo comune89.
Ai sensi dell’art. 4-ter lettera e), il governo della rete viene così affidato ad un organo comune, la cui previsione è tuttavia divenuta soltanto opzionale a seguito della modifica introdotta con la l. 122/2010. La normativa, oltre a non imporne la costituzione, rimette alla libera determinazione delle parti l’individuazione della composizione e della struttura che l’organo comune deve assumere ai fini di un’effettiva tutela delle imprese contraenti. L’organo comune, qualora costituito, consente la partecipazione o meno, in dipendenza della volontà delle parti, di tutti gli
89 X. XXXXXXX – P. IAMICELI, La governance nel contratto di rete, cit., 56 ss.
aderenti alla rete, ed è tenuto a perseguire l’interesse collettivo della stessa agendo per conto delle imprese aderenti sia nel compimento di atti giuridici che materiali in maniera rispondente al generico rispetto del dovere di lealtà nei confronti degli appartenenti alla rete medesima.
In ordine alla struttura di tale organo la normativa, non ponendo vincoli circa la sua composizione, consente di istituire un organo comune più o meno rappresentativo, attribuendo la gestione solo ad alcuni o anche ad uno solo dei componenti o addirittura a soggetti esterni alla rete medesima, sebbene tale previsione venga spesso espressamente esclusa in sede contrattuale.
Preme rilevare come spesso la scelta di dar vita ad organo monocratico, piuttosto che collegiale, dipenda dal profilo dimensionale della rete nonché dal peso economico che ciascun aderente ricopre all’interno della stessa, con conseguente partecipazione non paritaria all’organo comune. Invero, ad un diverso livello di investimento corrisponde l’assunzione di un maggiore rischio imprenditoriale e, pertanto, un differente peso a livello decisionale.
Molteplici sono dunque le alternative circa la composizione dell’organo comune, con conseguente differente rilievo in termini di gestione e governo della rete, soprattutto in dipendenza della natura strettamente contrattuale ovvero associativa con rilevanza esterna della rete stessa.
In ordine al rapporto tra aderenti e organo comune, antecedentemente alla modifica introdotta con la l. 122/10 (la quale rinvia ora espressamente alle norme in tema di mandato), parte della dottrina riteneva applicabile le norme sul mandato solo alle reti meramente contrattuali in quanto, a fronte dell’elevata complessità strutturale propria delle reti a rilevanza esterna, riteneva necessaria per queste ultime l’adozione di quelle norme organizzative e decisionali proprie dell’ente associativo.
Con riferimento alle reti meramente contrattuali, in assenza di ulteriori specifiche indicazioni, troverà applicazione la disciplina del mandato per ciò che riguarda l’attuazione del programma di rete, in cui gli aderenti, in veste di mandanti, conservano un’elevata incidenza sull’operato dell’organo; di contro, in presenza di un
modello organizzativo notevolmente più complesso, proprio delle reti a struttura associativa, l’organo comune risulterà dotato di maggiore autonomia in sede decisionale.
Per quanto riguarda la natura del mandato conferito all’organo comune questa sarà necessariamente collettiva, in quanto si è in presenza di un incarico conferito da almeno due soggetti (imprese-contraenti) con un unico atto ed in vista di un interesse comune (art. 1726 c.c.). Per il caso di mandato conferito ad un organo non monocratico opererà altresì la disciplina di cui all’art 1716 c.c. sulla pluralità dei mandatari, con presunzione della natura disgiunta dell’esecuzione del mandato, in assenza di espressa volontà contraria delle parti. Ed altresì, sebbene sia stato conferito un incarico unitario, è possibile prevedere un’attribuzione specifica di compiti a ciascun membro dell’organo comune, di gestione complessiva del programma di rete, oppure semplicemente un’esecuzione congiunta dello stesso, con conseguente responsabilità dell’intero organo comune per il caso di inadempimento dei singoli membri90.
In tutti i casi, l’oggetto principale del mandato conferito all’organo comune è quello di svolgere una funzione di regìa e dunque di coordinamento del programma comune. L’organo comune potrebbe però assumere il ruolo di mero esecutore di volontà già assunte dalle imprese in rete; al riguardo, infatti, le modalità operative e di azione della rete possono concentrarsi in un’unica soluzione oppure suddividersi in una preliminare fase decisionale, seguita da una successiva fase di mera realizzazione dell’assetto decisionale già predisposto, di competenza dell’organo comune.
Ed inoltre, la normativa in esame, anche a seguito delle ripetute modifiche e integrazioni, con riferimento alla natura e alle modalità operative dell’organo comune non esprime il carattere deliberativo dello stesso, lasciando così alla libera determinazione delle parti la regolamentazione di un sistema decisionale che sia idoneo alla realizzazione delle rispettive esigenze funzionali, sebbene sia necessaria l’espressa indicazione in atto del sistema prescelto. Ciò che rileva, al riguardo, è che
90 X. XXXXXXXXX, Del mandato. Delle obbligazioni del mandatario e delle obbligazioni del mandante. Artt. 1710-1721, in Comm. del cod. civ. Xxxxxxxx-Xxxxxx (a cura di Xxxxxxx F.), Bologna, 260 ss.
le decisioni assunte dall’organo comune si rivelino idonee, cosi come espressamente richiesto, ad accrescere individualmente e collettivamente la capacità innovativa e la competitività delle singole imprese aderenti alla rete, stante la vincolatività e la necessaria soggezione alle stesse in una logica di comune operatività91.
L’organo comune deve attivarsi al fine di garantire un corretto coordinamento tra le attività reticolari e un adeguato funzionamento della rete; a tal fine, lo stesso può operare mediante l’affidamento dell’esecuzione di parte del programma a soggetti specializzati, i quali potranno fornire il loro apporto in fase esecutiva attraverso la stipula di contratti di collaborazione con la rete medesima.
Va rilevato altresì che a seguito dell’ultima modifica normativa di cui alla l. 134/2012, ed in conseguenza dell’espressa previsione della possibilità da parte delle reti di impresa di acquisire soggettività giuridica, è stata attribuita la facoltà all’organo comune di agire non più meramente in rappresentanza dei singoli partecipanti alla rete, bensì in rappresentanza dell’intera rete (lett. e), art.3, comma 4-ter).
Pertanto, grazie della stipulazione di contratti con terzi specializzati, cui sub- affidare lo svolgimento di parte del programma in ragione del possesso di specifiche competenze, l’organo comune potrà gestire l’esecuzione del contratto agendo direttamente in nome e per conto della rete stessa. Tale aspetto assume notevole rilievo in quanto l’attribuzione espressa del potere di agire in nome e per conto della rete, e dunque in rappresentanza della stessa, consente il raggiungimento di obiettivi strategici pur in assenza di una propria personalità giuridica, così come già previsto in tema di A.T.I. e di consorzi92.
91 X. XXXXX XXXXX, I contratti associativi, Milano, 2001, 280 ss.
92 Al riguardo si precisa come in tema di A.T.I., conferendo all’impresa capogruppo il mandato collettivo, tutte le imprese associate entrano in contatto con le stazioni appaltanti ed i terzi committenti pur mantenendo ciascuna la propria piena autonomia giuridica ed economica, così come sancito dall’art. 23, comma 10 del d.lgs. 406/1991; altresì in tema di consorzi, si veda X. XXXXXXX, Consorzi commerciali, cit., in cui viene esplicitato che, per il raggiungimento di validi risultati economici ed accordi commerciali, xxxxxx si rivela il conferimento da parte dei consorziati del potere di rappresentanza ad un organo comune, e ciò al fine di supplire alla mancanza della personalità giuridica del consorzio medesimo.
3.4 Il fondo patrimoniale comune e la sua funzione: profili di analisi
Il contratto di rete, nella prospettiva sopra tracciata, in un’ottica di un inquadramento formale dei fenomeni di cooperazione tra imprese, si pone quale veicolo di crescita in termini di capacità innovativa e competitività sul mercato delle stesse. Altresì, lo stesso costituisce strumento idoneo per l’allocazione dei rischi derivanti dall’attività o dalle singole prestazioni imposte alle imprese aderenti, le quali possono dar luogo ad assetti patrimoniali quanto mai diversificati, con conseguente differenziazione dei regimi di responsabilità93.
Al riguardo, estrema rilevanza riveste il nesso tra contratto e patrimonio e ciò a fronte di una stretta correlazione tra la capacità delle imprese di competere sul mercato in termini di sviluppo e competitività e le scelte che queste compiono in termini di governance interna ed esterna per la gestione del rischio d’impresa. Il legislatore, nel disciplinare il contratto di rete, ha inteso contribuire al riconoscimento di tale correlazione, attribuendo rilevanza all’organizzazione di interessi condivisa tra le imprese che decidono di dar vita ad una rete, con differenti potenzialità di impiego.
Viene così ideato lo strumento atto a disciplinare i termini dell’allocazione del rischio imprenditoriale e degli effetti dell’inadempimento relativo sia all’attività globalmente intesa che alle singole prestazioni delle imprese contraenti, con conseguente determinazione dei regimi di responsabilità in una logica d’incentivazione alla cooperazione per la riduzione di comportamenti opportunistici da parte delle imprese stesse e di gestione generale del rischio imprenditoriale.
Orbene, in ordine al profilo patrimoniale, il contratto di rete, nella sua formulazione originaria, imponeva alle imprese aderenti la necessaria costituzione di un fondo patrimoniale per il perseguimento dello scopo comune. Il fondo patrimoniale, così come predisposto, rappresentava un regime di mera comunione di
93 X. XXXXXXX – X. XXXXXXX, Xxxxxxx e responsabilità nella rete, in Il contratto di rete. Commentario, cit., 95 ss.
diritti tra gli aderenti alla rete, senza alcuna limitazione di responsabilità a favore delle singole imprese coinvolte, esponendo le quote dagli stessi aderenti conferite alle possibili azioni esecutive da parte dei rispettivi creditori particolari.
In seguito, con le modifiche apportate dalla l. 99/2009, viene prevista l’applicazione, ove compatibile, della normativa dettata in tema di fondo consortile e di responsabilità patrimoniale dei consorzi con attività esterna, con esplicito riferimento ad un fondo comune in regime di autonomia patrimoniale ex artt. 2614 e 2615 c.c.
Xxxxxx, viene così predisposta un’alternativa tra reti contrattuali prive di soggettività e di autonomia patrimoniale e reti contrattuali dotate di un certo grado di autonomia patrimoniale, idonee a rappresentare un centro di interessi, diritti e responsabilità, grazie all’applicazione rispettivamente, delle norme in tema di fondo consortile e di responsabilità patrimoniale nei consorzi con attività esterna94.
L’applicabilità dell’art. 2614 c.c. al fondo della rete, oltre ad individuare una vera e propria autonomia patrimoniale, escludendo così il rischio di azioni esecutive sui beni del fondo da parte dei creditori particolari dei singoli aderenti, fa sì che il fondo stesso sia costituito non solo dai contributi inziali conferiti ma anche dai beni con questi acquistati.
In ordine al profilo della sopra citata compatibilità, non avendo il legislatore fornito alcun indice di valutazione in merito alla stessa, né attribuito tale controllo ad un organo a ciò predisposto, viene demandato alle stesse parti contraenti il ruolo di predisporre adeguata regolamentazione della dotazione patrimoniale in conformità a quanto espressamente disciplinato in tema di consorzi con attività esterna. L’istituzione di un fondo comune, prevista come obbligatoria nella precedente versione della legge, costituiva di certo un elemento innovativo se considerato nella prospettiva delle reti meramente contrattuali, quali quelle sino a quel momento
94 P. IAMICELI, Il contratto di rete tra percorsi di crescita e prospettive di finanziamento, in I contratti, 10, 2009, 946.
realizzate mediante il collegamento negoziale tra contratti di subfornitura o di
franchising in cui tale dotazione, pur potendo sussistere, non era imposta.
Il successivo emendamento, approvato con la l. 122/2010, ha apportato una rilevante modifica all’originario assetto normativo, rendendo l’istituzione del fondo non più obbligatoria ma, semplicemente, facoltativa, divenendo lo stesso elemento per così dire accidentale del contratto stesso, lasciando alla libera determinazione delle parti contrenti la scelta di un modello di responsabilità e di allocazione del rischio congeniale all’esecuzione del programma di rete condiviso.
Invero, ai sensi dell’articolo 3, comma 4-ter della citata l. n. 33/2009, come più volte modificato ed integrato: “Il contratto può anche prevedere l’istituzione di un fondo patrimoniale comune e la nomina di un organo comune incaricato di gestire, in nome e per conto dei partecipanti, l’esecuzione del contratto o di singole parti o fasi dello stesso”.
Emerge, pertanto, a seguito delle modifiche del 2010, in modo inequivocabile dalla lettera della norma, come tanto la dotazione patrimoniale, ossia la costituzione di un fondo comune, quanto la nomina di un organo comune per la gestione del contratto in nome e per conto degli aderenti, costituisca, una mera eventualità nell’ambito del contratto di rete, diversamente da quanto previsto dalla disciplina pregressa, per la quale la costituzione del fondo medesimo rappresentava un elemento imprescindibile di tale peculiare tipologia negoziale95.
In seguito alla riforma del 2010 è così intervenuto un “alleggerimento” per il contratto di rete, nel senso di rendere facoltativa la previsione del fondo, sebbene lo stesso si riveli necessario al fine di poter fruire delle agevolazioni fiscali e amministrative a tal uopo previste. Il primo intento che può rinvenirsi nella previsione legislativa è quello di legare l’idea della costituzione di un fondo comune all’esigenza di stabilità dei rapporti nella rete, cui l’istituzione del contratto stesso è tesa a rispondere.
95 X. XXXXXX, L’osservatorio legislativo. Nasce il contratto di rete., in Obbl e Contr., 2009, 6, 568 ss.;
X. XXXXX, Il contratto di rete in agricoltura, in Riv. dir. civ., 1/2015, 184.
Con le ulteriori modifiche di cui all’art. 45 del d.l. 83/2012 è stato altresì stabilito che la presenza (peraltro solo eventuale) del fondo comune e di un organo comune non implica la necessaria acquisizione della soggettività giuridica da parte della rete, la quale consegue unicamente all’iscrizione nella sezione ordinaria del registro delle imprese nella cui circoscrizione è stabilita la sua sede. Da ciò ne consegue come la sussistenza del fondo comune sia un requisito necessario al fine di costituire una rete dotata di soggettività giuridica (c.d. rete-soggetto) ma non sufficiente, posto che per godere della citata soggettività la rete deve essere appositamente iscritta al registro imprese.
Tale novella del 2012 inoltre, stabilendo che “in ogni caso, per le obbligazioni contratto dall’organo comune in relazione al programma di rete, i terzi possono far valere i loro diritti esclusivamente sul fondo comune”, sancisce una vera e propria limitazione di responsabilità per le imprese coinvolte tutte le volte in cui il contratto preveda l’istituzione di un fondo comune, e ciò pur se la rete non sia dotata di soggettività giuridica, rendendo dunque siffatta limitazione operante a prescindere dall’iscrizione della rete al registro delle imprese.
Orbene, la stabilità e il consolidamento delle relazioni tra le imprese coinvolte, come già rilevato non garantiti da un semplice collegamento contrattuale, necessitano di un certo grado di serietà dell’impegno assunto, nonché di flessibilità operativa, qualità entrambe in astratto rinvenibili in una rete che si doti di un fondo patrimoniale: gli obblighi di conferimento - iniziali e successivi - e l’esistenza stessa del fondo permettono di coniugare l’impegno delle imprese e la facilitazione in termini strettamente operativi dell’attività per quanto riguarda il profilo patrimoniale, escludendo di dover sistematicamente ricorrere alla contribuzione delle partecipanti96.
Tutto ciò è altresì rafforzato dalle previsioni in materia di scioglimento del fondo, non direttamente dettate dal legislatore ma previste con richiamo alla disciplina dei consorzi, che ne sancisce l’indivisibilità nel corso del rapporto contrattuale (art. 2614 c.c.), vincolo peraltro già desumibile dal legame tra fondo e scopo comune.
96 P. IAMICELI, Il contratto di rete, cit., 946.
Il fondo patrimoniale comune può assolvere dunque svariate funzioni. In primo luogo, fa sì che l’attività di rete risulti maggiormente duttile ed efficiente, in cui la componente patrimoniale comune costituisce indice del reale impegno profuso dalle imprese aderenti, nonché della solidità caratterizzante le relazioni che tra la medesime imprese intercorrono97.
Pertanto, la previsione di un fondo patrimoniale comune incide favorevolmente sull’immagine della rete, potendosi verosimilmente ipotizzare che la sua adeguata patrimonializzazione faciliterà le relazioni negoziali con i terzi, qualora risultino necessarie alla realizzazione del programma di rete, in quanto sintomatica della effettiva predisposizione delle imprese aderenti ad investire sul progetto comune.
Invero, la stabilità ed il consolidamento dei rapporti intercorrenti tra le imprese coinvolte richiedono un certo grado di affidabilità che, presumibilmente, l’istituzione del fondo, e con essa i relativi obblighi di conferimento e di gestione, risulta idonea a dimostrare. Si può ritenere che i suddetti obblighi di conferimento così come l’esistenza stessa del fondo, consentano di coniugare l’impegno delle imprese aderenti, da un lato, e la semplificazione in termini operativi dell’attività per ciò che attiene al profilo patrimoniale, dall’altro. Per di più, preme rilevare come il fondo patrimoniale comune costituisca requisito imprescindibile ai fini dell’iscrizione della rete nel registro delle imprese e del consequenziale acquisto della soggettività giuridica.
Non da ultimo, il fondo in esame costituisce il solo patrimonio aggredibile da parte del creditore nel caso in cui l’obbligazione sia stata contratta per via del programma di rete. Al riguardo, si tratta, probabilmente, del profilo di maggior rilievo della fattispecie negoziale in esame, rappresentando un incentivo per le imprese nel determinarsi in ordine alla costituzione del fondo comune, derivando dalla stessa anche una vera e propria limitazione di responsabilità98.
97 X. XXXXXXX, Xxxxx reti di imprese al contratto di rete nella recente prospettiva legislativa, cit., 931. 98 X. XXXXXXXXX, Il fondo patrimoniale della rete di imprese tra interessi delle imprese aderenti e tutela dei creditori, in Contratto e impresa, 3/2015, 742 ss.
Qualora si opti per la costituzione del fondo o del patrimonio, è possibile configurare diversi modelli patrimoniali e relativi schemi di allocazione del rischio, configurazione utile al fine di rimediare alle incertezze in tema di distinzione tra dimensione individuale e collettiva all’interno della rete e delle responsabilità che, mediante l’istituzione del patrimonio, il contratto realizza.
3.4.1 (segue) Definizione contrattuale dell’assetto patrimoniale
In base all’assetto patrimoniale prescelto dalle parti in sede di stipulazione del contratto, possono configurarsi tre distinte tipologie: il contratto di rete con istituzione del fondo comune in regime di mera comunione; il contratto di rete con istituzione del fondo comune in regime di autonomia patrimoniale, ex artt. 2614 e 2615 c.c., comma 2, ove compatibili; ed, infine, il contratto di rete che stabilisca l’istituzione di patrimoni destinati all’affare ex art. 2447-bis c.c. In ogni caso, per le obbligazioni contratte dall’organo comune in relazione al programma di rete, i terzi possono far valere i loro diritti esclusivamente sul fondo comune.
In ordine alle prime due forme, esse corrispondono all’alternativa, sopra citata, tra reti contrattuali “leggere”, ossia prive di soggettività giuridica e autonomia patrimoniale, e reti contrattuali dotate di un certo grado di autonomia patrimoniale, che danno forma ad organismi verosimilmente organizzativi, sebbene non societari, con rilevanza esterna, facendo riferimento non all’attività ma alla soggettività, idonee a rappresentare un nuovo centro di responsabilità, diritti e interessi, e ciò quale diretta
conseguenza dell’applicazione delle citate norme in materia di consorzi con attività esterna99.
Quanto al profilo dell’applicabilità degli artt. 2614 e 2615 x.x., xxxxx 0, x.x., xxxxx xxxx xxx xxxxxxxx di compatibilità tra disciplina e fattispecie, la partizione sembrerebbe essere sottesa alla differenziazione tra rapporti reticolari tra imprese in cui siano presenti le caratteristiche tipiche della struttura corporativa, ossia l’autonomia sotto il profilo del rischio economico-imprenditoriale nonché organizzativo, e rapporti in cui tali caratteristiche non siano rinvenibili e che si fermino, dunque, ad un livello meno gravoso, anche in termini di costi amministrativi ed organizzativi100.
Tali potrebbero essere, ad esempio, i raggruppamenti temporanei di imprese nonché quelle reti che, sebbene istituite per contratto e dotate di fondo ed organo comune, non diano vita ad un organismo nuovo, dotato di autonomia sul piano patrimoniale e strutturale, configurandosi di fatto come vere e proprie forme atipiche di rete contrattuale.
La suesposta distinzione pare ricollegarsi a quella tesi, proposta e mai concretamente sviluppata, che vede contrapporsi reti a responsabilità limitata e reti a responsabilità illimitata101. Invero, qualora quest’ultima venisse formalmente elaborata, si potrebbe forse ricondurre entro confini più certi l’applicabilità della normativa dettata in tema di contratto di rete alle varie tipologie di rapporti reticolari esistenti.
Oltretutto, una disciplina puntuale e dettagliata, al posto di un semplice richiamo normativo, sarebbe forse in grado di dotare i contraenti di uno strumento concreto, finalizzato sia alla riduzione della responsabilità patrimoniale delle singole imprese ed al tempo stesso idoneo a costruire una struttura operativa trasparente in relazione ad una base patrimoniale certa e valutabile. Di contro, l’insussistenza di una
99 X. XXXXXXX – X. XXXXXXX, La responsabilità della rete verso i terzi, in X. Xxxxxxx (a cura di), Il contratto di rete, cit., 112 ss.; X. XXXXXXX, Reti di imprese e contratti di rete, cit., 418.
100 P. IAMICELI, Il contratto di rete, cit., 945.
101 Tesi elaborata da X. XXXXXXX, Il contratto di rete, cit., 145.
disciplina separata per le due possibili tipologie di assetto patrimoniale - con fondo comune e relativo regime della responsabilità - non determina altro che asimmetria informativa in ordine ai profili patrimoniali della rete, non rendendosi possibile un monitoraggio delle relazioni patrimoniali in concreto predisposte. Da ciò, oltretutto, potrebbe derivare oltre ad un evidente disincentivo verso ogni nuova forma di investimento, il connesso rischio di abusi della limitazione di responsabilità, e ciò a discapito dei creditori della rete, trasferendo di fatto su questi ultimi il rischio economico derivante dall’inadempimento contrattuale.
In ordine alle citate tipologie di assetto patrimoniale, e precisamente quelle che si basano sul fondo patrimoniale comune, occorre avere a mente la distinzione tra dimensione individuale e dimensione collettiva all’interno della rete, al fine di determinare la separazione tra responsabilità ed interessi, e ciò in una logica caratterizzata da stretta interdipendenza tra le sfere dell’attività dei singoli aderenti e tra queste e l’attività della rete complessivamente intesa.
Ove il contratto di rete preveda l’istituzione di un fondo patrimoniale in regime di mera comunione, sotto il profilo della responsabilità patrimoniale, dimensione individuale e collettiva del rischio coesistono: invero, optando per un coordinamento definibile “leggero”, le imprese aderenti scelgono il regime della comunione in luogo dell’autonomia patrimoniale della rete, facendosi carico individualmente della responsabilità per le obbligazioni assunte nell’ambito dell’esecuzione del programma di rete, al di là del conferimento effettuato.
A tale dimensione individuale del rischio, tuttavia, è possibile aggiungere una dimensione collettiva, che va dunque a separarsi dalla prima, dimensione legata per un verso all’eventuale applicazione del regime delle obbligazioni solidali102, ovvero alla previsione in contratto di criteri di riparto del rischio volti ad una vera e propria collettivizzazione dello stesso in relazione ad operazioni compiute nell’interesse di
102 Così, per gli atti computi in nome di tutti o anche di una pluralità degli aderenti al contratto di rete, nel caso in cui l’oggetto della prestazione abbia natura indivisibile, o anche divisibile, il contratto stipulato con il terzo, esterno alla rete, vincolerà tutti i contraenti e dunque tutti i partecipanti secondo il regime della solidarietà (artt. 1292 e ss. c.c.).
tutti gli aderenti103 e, per altro verso, alla possibile istituzione di garanzie reali sul fondo comune.
Nella suesposta tipologia, la distinzione tra le due dimensioni non sempre si rivela di agevole portata stante la difficile individuazione del punto di confine tra gli interessi in gioco, non essendovi di fatto una reale separazione tra sfere patrimoniali coinvolte. Infatti, sebbene il compimento di operazioni economiche possa talvolta coinvolgere più da vicino la singola impresa, o, al contrario, l’intero gruppo, l’assenza di una chiara ripartizione sul piano interno tra patrimonio individuale e patrimonio della rete tende a fondere i due distinti profili.
Di contro, qualora il contratto di rete venga stipulato mediante l’istituzione di un fondo comune in regime di autonomia patrimoniale, secondo la disciplina rispettivamente del fondo consortile e della responsabilità patrimoniale nei consorzi con rilevanza esterna di cui agli artt. 2614 e 2615 x.x., xxxxx 0 x.x., xxx xx xxxxxx risulti compatibile, profilo collettivo e profilo individuale risultano più agevolmente distinguibili.
L’art. 2614 c.c., dettato in tema di fondo consortile, cui la disciplina in esame espressamente rinvia, stabilisce due regole e, precisamente, che per tutta la durata del consorzio lo stesso resti ad effettiva disposizione dell’attività consortile, escludendo così la facoltà per i consorziati di chiederne la divisione e per i loro creditori particolari di poter aggredire il fondo. L’applicazione della prima regola non pone particolari in ambito reticolare in quanto generalmente i contratti di rete specificano tale circostanza, escludendo che le imprese aderenti possano chiedere la divisione del fondo. Circa l’insensibilità del fondo patrimoniale alle azioni dei creditori particolari degli aderenti alla rete è stato ritenuto necessario, ai fini dell’applicabilità della suddetta disciplina, che dai bilanci delle imprese aderenti risultino con chiarezza le risorse destinate alla rete, ciò al fine di garantire la corretta identificabilità da parte dei creditori particolari di ciascun contraente.
103 X. XXXXXXX – X. XXXXXXX, La responsabilità della rete verso i terzi, cit., 122 ss.
In ordine alle prescrizioni di cui al comma 2 dell’art. 2615 c.c., quest’ultimo regola il regime di responsabilità verso terzi nei consorzi con attività esterna. In particolare, viene stabilito che per le obbligazioni assunte per conto dei singoli consorziati questi ultimi sono responsabili in solido con il fondo consortile ed una loro eventuale insolvenza determina la ripartizione del debito e dunque dei rischi tra tutti gli altri consorziati pro quota.
Orbene, adattando tale disposizione al contratto di rete, la suddetta solidarietà dovrebbe estendersi alle obbligazioni assunte per conto di alcune singole imprese, e ciò nel caso in cui l’organo comune sia abilitato ad operare non solo nell’interesse di tutte le imprese aderenti ma, altresì, anche per conto di alcune o di gruppi di esse. Tale meccanismo consente dunque di poter operare per mezzo della rete ma nell’interesse individuale, sfruttando al meglio le sinergie che l’aggregazione comporta in un’ottica di ampia elasticità, anche oltre la generalità delle imprese aderenti.
Preme rilevare che, se in precedenza le parti potevano optare per l’applicazione integrale degli artt. 2614 e 2615 c.c., sulla base dell’ultima modifica normativa introdotta con la l. 134/2012 il legislatore ha limitato l’applicabilità dell’art. 2615 x.x. xxxx xxxx xxxxxxxxxx xxx xxxxx 0, xxxxx poi aggiungere che: “in ogni caso, per le obbligazioni contratte dall’organo comune in relazione al programma di rete, i terzi possono far valere i loro diritti esclusivamente sul fondo comune”.
Il regime previgente, invero, prevedeva un richiamo all’art. 2615 c.c. nella sua interezza, e quindi anche in merito al comma 1, il quale sancisce che “per le obbligazioni assunte in nome del consorzio (…) i terzi possono far valere i loro diritti esclusivamente sul fondo consortile”.
Al riguardo, si evidenzia come le conseguenze derivanti dal precedente richiamo effettuato ad entrambi i commi dell’art 2615 c.c. erano sostanzialmente duplici. Da un lato si poteva ipotizzare un regime di responsabilità limitata, valido per tutte quelle obbligazioni assunte in nome e per conto della rete da parte dell’organo comune in attuazione del programma di rete e limitatamente a queste; per le altre, ossia quelle assunte nell’interesse e per conto di uno o solo di alcuni dei partecipanti,
la responsabilità patrimoniale gravava, con vincolo di solidarietà, sul fondo comune e sul patrimonio personale del singolo interessato e, in caso di insolvenza, su quello degli altri aderenti.
Si rendeva così necessario tener conto delle incertezze riguardanti la distinzione tra gli ambiti applicativi del primo e del secondo comma dell’art. 2615 c.c., nonché della possibilità di ripercorrere una concezione restrittiva dell’ambito operativo della limitazione di responsabilità, come relegata alle sole obbligazioni contratte per le sole spese di gestione della rete e non, magari, per i debiti assunti nella realizzazione degli obiettivi di questa104. Tale precedente ricostruzione, infatti, evidenziava la natura da alcuni definita “bifronte” della rete medesima, ricorrendo anche qui, così come nella sopra citata ipotesi del regime di mera comunione, un fenomeno di parziale collettivizzazione del rischio105. Una distinzione da effettuare in ordine alla natura dell’interesse perseguito nelle singole operazioni sebbene, stante l’intrinseco collegamento che l’attività individuale presenta con il contratto di rete, assai complessa si rivelava una partizione tra obbligazioni che ricadono nell’uno o nell’altro regime di responsabilità.
Il legislatore ha così tentato di chiarire le questioni sorte in inconseguenza dell’integrale rinvio all’art. 2615 c.c., limitando il richiamo al solo comma 2 della citata disposizione. Orbene, ai fini di una esclusiva responsabilità del fondo comune non occorre più distinguere tra obbligazione contratte per conto delle singole imprese aderenti e obbligazioni contratte in nome dell’intera rete quanto, piuttosto, verificare la reale sussistenza di una correlazione tra le stesse ed il programma di rete come definito. Solo l’esistenza di una chiara relazione tra impegno assunto per conto di una singola impresa aderente e il programma di rete comporta l’applicazione del regime specifico, introdotto sostituendo il previgente rinvio all’art. 2615 comma 1, c.c.
104 X. XXXXXXXXX, Il fondo patrimoniale della rete di imprese tra interessi delle imprese aderenti e tutela dei creditori, cit., 755.
105 P. IAMICELI, Il contratto di rete tra percorsi di crescita e prospettive di finanziamento, cit., 949.
Sempre in relazione all’ipotesi da ultimo citata, ossia quando il contratto di rete venga stipulato mediante l’istituzione di un fondo comune in regime di autonomia patrimoniale, secondo la disciplina rispettivamente del fondo consortile e della responsabilità patrimoniale nei consorzi con rilevanza esterna, ci si è a lungo interrogati se, di fatto, si determini una vera e propria “entificazione” della rete.
Coordinando il profilo dell’autonomia patrimoniale realizzabile con il contratto di rete con le disposizioni di cui artt. 2614 e 2615, comma 2, c.c. tuttavia, pare possa escludersi la costituzione di un vero e proprio ente collettivo, nuovo e separato dalle imprese aderenti, come invece avviene nel caso del consorzio con attività esterna.
In particolare, l’applicazione dei precetti di cui all’art. 2615 x.x., xxxxx 0, x.x., xxxxxxx xxxxxxxxxx in quanto, a differenza di quanto avviene nel contratto di rete, la configurazione del consorzio con attività esterna presuppone la forma di ente.
Invero, nelle relazioni derivanti dal contratto di rete non si rappresenta propriamente un ente, quanto, piuttosto, una collettività di soggetti che hanno inteso vincolare delle utilità per uno scopo comune e che si presenta all’esterno come un soggetto unitario solo in termini di azione, non di soggetto entificato.
Alla luce di quanto sopra esposto, in ordine al rapporto tra la disciplina dettata in tema di consorzio ed il contratto di rete, introdotto con la l. 33/2009, pare potersi desumere come il legislatore, introducendo tale fattispecie, abbia di fatto legittimato la costituzione contrattuale di un patrimonio comune autonomo, a rilevanza esterna, non direttamente riferibile ad un soggetto - ente o persona fisica - quanto piuttosto ad una collettività sui generis, lontana dal concetto di collettività riferibile alle associazioni non riconosciute e, ancor di più, da quello riferibile alle società di persone. Un regime di autonomia patrimoniale del tutto eccezionale, con evidente limitazione della responsabilità, attuando una deroga al principio della garanzia patrimoniale ai sensi del secondo comma dall’art. 2740 c.c., i cui effetti devono tuttavia coordinarsi con l’espressa previsione dell’iscrizione del contratto nella sezione del registro delle imprese presso cui è iscritto ciascun partecipante.
3.4.2 (segue) Composizione del fondo patrimoniale di rete
Ove si costituisca un fondo patrimoniale comune, primaria rilevanza assume il profilo della consistenza e della natura delle entità suscettibili di conferimento; queste, solitamente, sono rappresentate dal bene fungibile per eccellenza, ossia il denaro.106
Oltre a tali versamenti, effettuati ai fini della costituzione della rete nonché periodicamente su sollecitazione dell’organo comune, potrebbero, eventualmente, imputarsi al fondo voci di spesa sostenute dalle singole imprese aderenti per lo svolgimento dell’attività comune. In simili evenienze, bisognerà agire con cautela al precipuo scopo di evitare una commistione tra spese realmente sostenute per la realizzazione del programma comune e spese che, invece, sono state affrontate per obiettivi differenti, che esulano dal programma medesimo.
Invero, non bisogna rischiare di imputare al fondo comune somme spese con finalità non perfettamente in linea con gli scopi da esso perseguiti, e ciò sarà possibile attraverso la specifica previsione in sede contrattuale che l’imputazione debba fondarsi sulla preventiva definizione, operata dall’organo comune, delle somme e degli obiettivi cui le relative spese sono destinate.
Preme sottolineare come oggetto di conferimento, oltre al denaro, potranno essere anche beni mobili o immobili, nonché crediti e dunque conferimenti in natura, determinati ed individuati per il loro effettivo valore. Potrebbero altresì comporre il fondo anche garanzie reali o personali, nonché le prestazioni d’opera o servizi da parte delle imprese aderenti. Vengono, di certo, in rilievo anche diritti di proprietà industriale o know-how.
La possibilità, prevista ex lege, di conferire beni diversi dal denaro porta con sé la necessità di indicare i criteri di valutazione a tal fine adottabili. Tale valutazione potrebbe anche essere demandata ad un soggetto terzo, eventualmente anche
106 X. XXXXXXX - P. IAMICELI - G.D. XXXXX, Il contratto di rete e le prime pratiche: linee di tendenza, modelli e prospettive di sviluppo, in Contratti di rete: prime applicazioni pratiche a cura di X. X’Xxxxx e X. Xxxxxxx, in Contratti, 2013, 799.
all’organo comune o, in alternativa, ad un esperto, tramite la redazione di una perizia di stima o, ancora, alle stesse imprese aderenti nel momento della stipulazione del contratto.107
Pertanto, la norma si limita a domandare l’indicazione della misura dei conferimenti de quibus e dei criteri di valutazione adottati, rimettendo alla volontà dei contraenti la loro definizione, senza imporre loro dei vincoli in tal senso, diversamente da ciò che, normalmente, accade per i conferimenti in natura delle società di capitali (a titolo esemplificativo, si pensi agli obblighi di cui all’art. 2343 x.x. xx xxxxxxx xx x.x.x., xxxxxx xxxx’xxx. 0000 x.x. xx xxxxxxx di s.r.l.).
A ben vedere, la definizione dei criteri di valutazione da parte delle imprese aderenti appare oltremodo discrezionale.108 Tale valutazione, infatti, potrebbe apparire funzionale non soltanto alla ripartizione dei benefici, come delle possibili perdite derivanti dall’attività di rete, ma anche ad attribuire diritti ed obblighi alle imprese aderenti. Rimettendo la valutazione dei conferimenti alla sola autonomia dei contraenti pare non esservi spazio per concepire una previsione di tal genere in una logica di protezione dei terzi che entrano in contatto con la rete, sebbene non possa escludersi un evidente e prevedibile interesse degli stessi nel conoscere la reale consistenza patrimoniale della rete medesima.
La possibilità di conferire nel fondo beni differenti dal denaro incide, altresì, sui rapporti interni alla rete, rendendo opportuna la contestuale previsione di una disciplina che protegga l’efficienza e la flessibilità operativa della rete stessa. In tale prospettiva, si rivelerebbe senza alcun dubbio utile l’adozione di una disciplina, a livello pattizio, che regoli l’eventuale ultra-vigenza degli obblighi aventi ad oggetto i conferimenti diversi dal denaro, e ciò nell’ipotesi in cui venga meno il rapporto con l’impresa aderente impegnatasi in tal senso, soprattutto se tali apporti risultino di
107 P. IAMICELI (a cura di), Le reti di imprese e i contratti di rete, cit., 7 ss.
108 In tal senso anche S. DELLE MONACHE, Il contratto di rete tra imprese, cit., 17, disponibile anche al sito xxx.xxxxxxxx.xx,; X. XXXXXX MASSAMORMILE, Profili civilistici del contratto di rete, in Riv. dir. priv., 2012, 356.
preliminare rilievo ai fini della realizzazione del programma di rete e della sua consistenza patrimoniale109.
Le implicazioni derivanti dalla previsione di una disciplina di tal genere sarebbero duplici: da un lato, essa mirerebbe a scongiurare, ove ed in quanto possibile, l’eventualità che le vicende inerenti il rapporto in rete dell’impresa aderente, tenuta ad effettuare i conferimenti, si riverberino sulla generale fattibilità del programma di rete; dall’altro, però, l’inserzione di tali clausole, di certo vista di buon grado da tutti coloro che confidano nella realizzazione del programma, potrebbe incontrare le resistenza di coloro che vorrebbero preservare un vero e proprio diritto di exit dal rapporto negoziale che li sollevi da ogni obbligo conseguente.
Ed inoltre, ci si interroga altresì sul se l’istituzione del fondo comune richieda necessariamente la nomina di un organo comune. Da un’interpretazione strettamente letterale del testo legislativo sembrerebbe potersi desumere piena libertà di scelta sia riguardo alla creazione del fondo patrimoniale che alla previsione di un organo comune. Ciò nonostante, il soggetto deputato alla gestione del fondo è naturalmente identificabile nell’organo comune.
Al riguardo, secondo parte della dottrina è ipotizzabile un affidamento della gestione del fondo anche ad un soggetto esterno, distinto dall’organo comune. Sarebbe, pertanto, possibile l’esternalizzazione della gestione del patrimonio tramite il conferimento di un mandato da parte delle imprese aderenti. Altri autori, di contrario avviso, ritengono che l’unico in grado di poter eseguire il programma di rete, così garantendone la realizzazione dello scopo, anche tramite la gestione del fondo ove previsto, sia identificabile nell’organo comune.
In ordine al profilo concernente l’amministrazione del patrimonio comune, questa può compiersi non solo attribuendo all’organo comune una competenza esclusiva e generale, ma altresì mediante una più dettagliata previsione, nonché
109 X. XXXXXXX – X. XXXXX, Il “contratto di rete”, Studio n. 1-2011/I, Approvato dalla Commissione studi d’impresa del CNN, disponibile al sito xxx.xxxxxxxxxxxxxxxxxxx.xx, 10, relativamente ai casi di recesso che dipendano da decisione dell’impresa aderente, ritengono che si possa prevedere che il recedente debba portare a termine l’esecuzione delle prestazioni.
limitazione, dei poteri gestori conferitigli. Peraltro, ulteriore modalità gestionale del fondo, determinata dalle parti, potrebbe consistere nella previsione di un rendiconto periodico sulla gestione, ovvero nell’indicazione di criteri cui la gestione dovrebbe ispirarsi nelle ipotesi di conflitto d’interessi tra la rete e le stesse imprese aderenti.
In ordine al regime pubblicitario del patrimonio della rete, nel caso di istituzione di un fondo comune, non è previsto nessun obbligo di rendicontazione dell’attività svolta, avendo il legislatore previsto un mero rinvio alla regolamentazione pattizia ai fini della determinazione delle modalità di gestione del fondo. La questione si pone, però, esclusivamente riguardo alle reti che svolgono attività con i terzi.
Al riguardo, alcuni autori, hanno sostenuto che la pubblicità del bilancio debba considerarsi regola generale di ogni attività d’impresa caratterizzata dal regime di responsabilità limitata, motivo per cui la si deve ritenere cogente anche nel caso in cui non sia espressamente prevista dalla relativa disciplina. Accogliendo tale tesi, si potrebbe ritenere che, anche nell’ipotesi di contratto di rete caratterizzato da attività esterna, sussista un vero e proprio obbligo di deposito di un rendiconto o, comunque, di una situazione patrimoniale.
Da ultimo, preme rilevare come la disciplina del contratto di rete, in materia di dotazione di fondi per l’attuazione del programma di rete, contempli altresì, come sopra precisato, la possibilità di istituire un patrimonio destinato ai sensi dell’art. 2447-bis, lett.a) c.c., e ciò in alternativa alla sopra esposta figura del fondo comune.
3.5 La costituzione di patrimoni destinati
Per quanto concerne l’ulteriore forma di finanziamento del programma di rete, prevista dall’art. 3. comma 4-ter, l. 33/2009, questa è caratterizzata dalla possibilità di istituire, da parte delle imprese aderenti che siano società per azioni, nell’ambito del proprio patrimonio generale, patrimoni destinati all’affare ex art. 2447-bis, lett a) c.c.
Tale disciplina, espressamente prevista in tema di società per azioni, è stata ideata al preciso scopo di creare un patrimonio separato, attraverso cui la società può destinare una parte del suo patrimonio sociale allo svolgimento di uno specifico affare, con l’effetto di escludere tale parte di patrimonio, per tutta la durata dell’operazione, dalla funzione di garanzia generica nei confronti dei creditori sociali, rimanendo così a disposizione solo dei soggetti coinvolti nello specifico affare.
Si assiste, così, alla creazione di un fenomeno di separazione patrimoniale, con evidente deroga al principio della responsabilità patrimoniale generica di cui all’art. 2740 c.c. e della par condicio creditorum, di cui al successivo art. 2741 c.c., dando luogo ad un vincolo di destinazione sui beni compresi nel patrimonio destinato110.
La costituzione di tali patrimoni separati rappresenta una modalità di esecuzione del conferimento, possibile in presenza di una espressa previsione del programma.111 Invero, la lett. c), ultima parte, del citato art. 3, c. 4-ter, recita testualmente: “se consentito dal programma, l’esecuzione del conferimento può avvenire anche mediante apporto di un patrimonio destinato ai sensi dell’art. 2447- bis, primo comma, lettera a), del codice civile”.
In primo luogo, preme rilevare come il conferimento effettuato tramite apporto di un patrimonio destinato costituisca un’ipotesi residuale, non soltanto data la scarsa
110 Cfr. CNN Studio n. 4457/2003, Patrimoni destinati ad uno specifico affare, di S. TONDO, secondo il quale l’istituto in oggetto, “oltre che a determinare un regime di separatezza agli effetti della responsabilità (..) si traduce in una scissione endosocietaria”.
111 Si vedano a tal proposito R.M. XXXXXXX e X. XXXXXXXXXX, I contratti di rete: le prospettive di un nuovo strumento imprenditoriale, in Disciplina del commercio e dei servizi, 2010, 4, 27 ss.
diffusione dei patrimoni destinati, ma anche per via delle perplessità ingenerate dal richiamo alla disciplina codicistica dell’istituto in esame. Xxxxxx, ci si potrebbe chiedere se l’attività di rete possa rientrare nel concetto di specifico affare, cui è destinato il patrimonio.
Il legislatore sembra presupporla, ma si è osservato, innanzitutto, come la specificità dell’affare non potrebbe coincidere semplicemente con l’attività programmata dalla rete ed inoltre, che alla stessa dovrebbe farsi riferimento non solo riguardo al patrimonio della società che lo costituisce ma anche al fondo comune, risultando di fatto possibile utilizzare i patrimoni destinati solo qualora l’attività reticolare appaia suddivisibile in operazioni chiaramente identificabili.
Inoltre, data la formulazione generale adottata dal legislatore, si pone l’ulteriore quesito volto a comprendere se la possibilità di costituire patrimoni destinati all’affare riguardi soltanto le ipotesi in cui le imprese partecipanti siano s.p.a. o se, viceversa, tale disposizione abbiamo voluto ampliare l’ambito applicativo dell’istituto qualora risulti funzionale alla nascita di una rete, non rilevando a tal fine la veste giuridica prescelta dalle imprese.
In altri termini, ci si interroga riguardo l’ambito applicativo di tale modalità di esecuzione del conferimento, al fine di comprendere se sia sfruttabile anche da imprese aderenti diverse dalle società per azioni.
La risposta al quesito è stata talvolta positiva, ritenendo che l’estensione dell’istituto dei patrimoni destinati a soggetti ulteriori rispetto a quelli previsti dalla legge rappresenti un beneficio derivante dall’appartenenza alla rete, oppure, derivi dal carattere generale dell’art. 2645-ter c.c., norma cardine in materia di atti di destinazione.112 A tal proposito, infatti, una parte della dottrina, partendo proprio dal dato letterale di tale norma, e dunque dalla generalità che la caratterizza, ha sostenuto la possibilità di dar vita a vincoli di destinazione atipici, e ciò anche nel caso delle
s.r.l. o delle imprese individuali.
112 X. XXXXXXX, Una prospettiva analitica su reti di imprese e contratti di rete, in Obbligazioni e contratti, 2010, 87.
A ben vedere, però, questi argomenti non paiono del tutto convincenti: in primo luogo, data la regola generale sulle limitazioni di responsabilità, ammesse esclusivamente nei casi previsti ex lege, come si evince dall’art. 2740, comma 2, c.c., non pare configurabile un beneficio per le imprese aderenti alla rete che si ponga in contrasto con tale regola, minando così le ragioni creditorie; inoltre, non sembrerebbe possibile nemmeno far ricorso all’art. 2645-ter, c.c., il cui ambito applicativo non risulta ancora di certa definizione e che, inoltre, non risulta applicabile ai casi di segregazione patrimoniale mossi da interessi di natura imprenditoriale. Si deve, pertanto, escludere che la sola appartenenza alla rete autorizzi soggetti diversi dalle
s.p.a. a costituire patrimoni destinati.
Difettando dunque una esplicita previsione normativa in tal senso e, data la stretta connessione dell’istituto in esame al modello azionario, pare potersi ammettere questa peculiare configurazione del fondo esclusivamente nel caso in cui le società aderenti alla rete siano riconducibili a tale tipo.113
E ancora, in ordine ai dubbi circa l’applicabilità della disciplina vincolistica rinvenibile nella specifica sedes materiae, pare potersi rispondere affermativamente. In altre parole, ci si chiede se il riferimento all’art. 2447-bis, comma 1, lett. a), c.c., valga a richiamare l’intera normativa codicistica sul patrimonio destinato e, considerata la carenza di ragioni in grado di giustificare minori cautele nei confronti dei creditori sociali della s.p.a. che partecipa alla rete, si dà risposta positiva a tale interrogativo. Persiste, quindi, la necessità di un’applicazione integrale disciplina generale, la quale non è derogata nella disciplina del contratto di rete, dovendo, pertanto, restare fermi i vincoli dalla stessa previsti.
Ulteriore profilo problematico deriva dal fatto che la costituzione di patrimoni destinati può rendere ostica l’individuazione, da parte dei creditori della rete, del patrimonio da escutere, ferma comunque la limitazione della responsabilità al
113 X. XXXXXXXXXXXX, Profili dei patrimoni destinati di s. p. a., Napoli, 2012, 6; A DI LIZIA, (Contratto di) Rete di imprese. Rassegna e clausole contrattuali, in Not., 2012, 277 ss.; X. XXXXXXXXX, Il “contratto di rete” fra (comunione di) impresa e società (consortile), in Riv. dir. civ., 2011, 323 ss.
patrimonio destinato in favore della s.p.a. che abbia utilizzato tale strumento per contribuire al fondo comune.
Al riguardo, caratteristica peculiare di questi patrimoni è la loro individualità, nel senso che essi sono istituiti nell’ambito del patrimonio generale dell’aderente, da cui sono separati dal patrimonio della s.p.a sotto il profilo della responsabilità patrimoniale; un’individualità, dunque, in senso prettamente proprietario114. Diversamente, la natura collettiva del rischio correlato all’esecuzione del contratto emerge sul piano dalla destinazione di tali patrimoni: più precisamente l’affare alla cui esecuzione sono strettamente vincolati. Questa dissociazione tra proprietà e destinazione agevola una sorta di frammentazione del rischio e presenta elementi peculiari in ordine alla possibile convergenza di destinazioni plurime per l’attuazione del medesimo programma di rete. Tale convergenza fa dubitare di una totale autonomia tra i diversi patrimoni desinati sia sotto il profilo della gestione che sotto il profilo della responsabilità patrimoniale e della conseguente allocazione del rischio.
Orbene, sotto il profilo della gestione, ci si deve chiedere, in presenza di più patrimoni destinati, quale sia il ruolo dell’organo comune e se la gestione societaria debba cedere il passo ad un coordinamento da parte dell’organo della rete stessa115.
In ordine al profilo della responsabilità patrimoniale, l’interrogativo concerne la possibilità di configurare, in forza del contratto di rete, un collegamento tra i vari atti istitutivi dei patrimoni destinati, e se dunque l’unicità del fine non possa valere quale unicità dell’affare, con la conseguenza di considerare indistintamente aggredibili da parte dei creditori i singoli patrimoni rilevando soltanto l’affare, che è per tutti unico.
Si tratta dell’applicazione della teoria del veil perceing, di recente applicata anche con riguardo alle reti di imprese, la quale consentirebbe in primo luogo di correggere ex post le conseguenze degli eventuali abusi della limitazione di
114 X. XXXXXXX’, Patrimoni destinati e tutela dei creditori nella società per azioni, Milano, 2008, 48 ss.
115 Si vedano al riguardo X. XXXXXX, I patrimoni e finanziamenti destinati, Milano, 2006, 236 ss; X. XXXXXXXXX, Patrimoni destinati e rapporti intergestori, Torino, 2008, 199 ss.
responsabilità116, contravvenendo però all’assunto di frammentazione del rischio economico delle operazioni, rilegabili potenzialmente a questo o quel patrimonio destinato.
Per avvalersi del regime della separazione intra-reticolare (con riferimento ad un singolo patrimonio destinato) sarebbe necessario un ulteriore connotato di individualità del rischio economico, sia rispetto alla società, all’interno del cui patrimonio generale è istituito il patrimonio specifico, che alle singole imprese partecipanti, nonostante l’unitarietà del disegno economico di fondo. Questa caratteristica ulteriore è individuabile solo sulla base del rischio economico che abbia connotati di specificità relativamente alla singola impresa.
Diversamente, ove la natura del rischio economico non consenta di individuare tale elementi di specificità, ma evidenzi un coordinamento tra le attività, tale da determinare una attività congiunta, dovrebbe venir meno il profilo della separazione intra-reticolare, con conseguente necessità di riqualificazione della fattispecie nei termini di una rete contrattuale con fondo comune cui, ove compatibile, applicare le norme previste per il regime consortile.
In definitiva, visti i molteplici dubbi in ordine ai tratti ricostruttivi della costituzione del patrimonio destinato, quale possibile forma di conferimento in sede di contratto di rete, l’istituto in esame ha trovato e troverà scarsa applicazione nella pratica. Certo è, del resto, che da tali perplessità non possono di certo nascere arbitrarie deroghe, prive di fondamento, ai principi generali sulla possibilità di prevedere vere e proprie limitazioni della responsabilità.117
In definitiva, le tre tipologie analizzate ricostruiscono le possibili soluzioni cui la decisione circa l’assetto patrimoniale interno alla rete può orientarsi. Queste rispecchiano altrettanti schemi di allocazione del rischio, che possono essere collegati
116 P. IAMICELI, Il contratto di rete, cit., 950, la quale, sui rischi della rete in termini di esternalità negative sotto il profilo della de-responsabilizzazione della rete verso terzi, rinvia a X. XXXXXXX, “And if I by Beelzebub cast out Devils,…”: An Essay on the Diabolics of Network Failure, trad. di X. Xxxxxxx, X. Xxxxxxxxx, X. Xxxxxxxxx per il German Law Journal, 2009.
117 X. XXXXXXXXX, Il fondo patrimoniale della rete di imprese tra interessi delle imprese aderenti e tutela dei creditori, cit., 749 ss.
alle tipologie di rete costituibili per contratto, soprattutto alla luce delle riforme introdotte dalla novella del 2010. Quest’ultima, infatti, ha amplificato il novero delle modalità di collaborazione cui il contratto può estendersi, ampliandone il relativo oggetto, disciplinando, accanto alla originaria previsione dell’esercizio in comune di attività economiche, il coordinamento in funzione dello scambio di informazioni e conoscenze, ovvero la collaborazione in alcuni ambiti specifici, senza che questa sia generalizzata alla totalità delle attività dalle imprese svolte.
Con questo ampliamento si è ottenuto, innanzitutto, un riconoscimento formale per ulteriori tipologie di reti, prima escluse dal quadro normativo, nonché una maggiore elasticità nell’impiego del contratto di rete ai fini del coordinamento tra imprese. La predisposizione delle suindicate tipologie rispecchia quasi integralmente i modelli patrimoniali configurabili alla luce della disciplina i quali, in maniera anche alternativa rispetto alle forme di collaborazione, si pongono come idonei schemi di allocazione del rischio economico delle operazioni poste in essere, da selezionarsi anche in funzione del livello di collaborazione prefissato.
Così, a livello esemplificativo, nel caso di una rete creata al solo fine dello scambio d’informazioni e conoscenze specifiche, senza svolgimento in comune di alcuna attività, sarà ipotizzabile una scelta delle imprese orientata sul modello patrimoniale del fondo comune in regime di comunione, al fine di creare una rete contrattuale “leggera”, proprio in ragione della tenue convergenza tra attività e sfere economiche che si intende realizzare; al contrario, ai fini di un esercizio in comune di attività economiche risulta maggiormente congeniale il secondo modello, e dunque quello del fondo comune in regime di autonomia patrimoniale, stante la maggior interdipendenza economica tra le imprese coinvolte, che rende opportuna una distinzione in tal senso, e la rilevanza esterna della rete stessa, intesa ancora una volta dal punto di vista della soggettività e non dell’attività.
3.6 La soggettività giuridica della rete di imprese e relativi profili di criticità
Orientata a favorire processi di innovazione organizzativa potenzialmente volti alla crescita imprenditoriale, l’introduzione della disciplina sul contratto di rete è stata sin da subito travolta da innumerevoli critiche in merito ai suoi profili di criticità ed alle sue lacunosità. Certamente, uno dei profili più discussi, come peraltro confermato dagli ultimi interventi normativi in materia, concerne la possibilità – oggi espressamente prevista – che alla rete sia riconosciuta soggettività giuridica.
Nella sua prima formulazione il progetto Bersani, in tema di misure per l’agevolazione delle attività produttive e commerciali, individuava la rete di imprese quale nuovo ente dotato di personalità giuridica118. In sede di successiva formulazione dell’art. 3, comma 4-ter, l. 33/2009, istitutivo del contratto di rete, tuttavia, non era rintracciabile alcun riferimento in ordine all’attribuzione alla rete di una vera e propria personalità giuridica.
Dunque, esclusa qualsivoglia forma di personalità in capo alle reti di imprese, queste ultime, ai sensi dell’originaria formulazione del 2009, sembravano essere altresì sprovviste di una qualche soggettività giuridica, e ciò soprattutto in relazione alla non obbligatorietà dell’indicazione della sede, della denominazione, del compimento di specifici adempimenti pubblicitari in ordine alla situazione patrimoniale della rete, etc119.
118 X. XXXXXXX, Reti di impresa: dall’economia al diritto, dall’istituzione al contratto, in Contratto e Impresa, 2010, 4-5, 952. Al riguardo l’autore desumeva la volontà di attribuire personalità giuridica alle reti di imprese dall’art. 24 del progetto di legge rubricato “Delega al governo in materia di configurazione giuridica delle reti di impresa”, con cui si conferiva delega al governo per: - definire le forme di coordinamento stabile di natura contrattuale tra imprese aventi distinti centri di imputazione soggettiva, idonee a costituire in forma di gruppo paritetico o gerarchico una rete di imprese; - definire i requisiti di stabilità, di coordinamento e di direzione necessari al fine di riconoscere la rete di imprese; - definire le modalità per il riconoscimento internazionale delle reti di imprese e per l’utilizzo, da parte delle reti medesime, degli strumenti di promozione e di tutela internazionali dei prodotti italiani; - definire, anche con riguardo alle conseguenze di natura contabile e impositiva e in materia di mercato del lavoro, il regime giuridico delle reti di imprese, eventualmente coordinando o modificando le norme vigenti in materia di gruppi e consorzi di imprese.
119 X. XXXXXXXX, Cooperazione imprenditoriale e contratto di rete, cit., 56.
Tali elementi facevano propendere per una portata non “entificatrice” della fattispecie negoziale in esame, fattispecie introdotta dal legislatore al preciso fine di favorire la competitività sul mercato delle imprese di piccole e medie dimensioni, mantenendo tuttavia ferma in capo alle stesse autonomia e indipendenza senza stravolgimenti strutturali essenziali.
Di contro, l’aver sancito inizialmente l’obbligatorietà di un fondo patrimoniale comune – cui si riconnette autonomia dal punto di vista patrimoniale – faceva deporre a favore della sussistenza di una soggettività giuridica. Infatti, prima della novella del 2010, si riteneva che dall’istituzione dal fondo patrimoniale comune ne derivasse la creazione di un nuovo soggetto di diritto, sebbene l’esigenza del legislatore fosse stata quella di dar vita ad un nuovo modello contrattuale tale da consentire alle imprese contraenti di sviluppare forme di cooperazione sul mercato, non di un nuovo modello “entificato”, e dunque di un nuovo e diverso soggetto di diritto.
La rete di impese, secondo alcuni, non doveva essere intesa quale nuovo soggetto di diritto ma, semmai, quale autonomo centro di imputazione e destinazione patrimoniale, accostando tale fattispecie ai fenomeni di destinazione già esistenti nel nostro ordinamento, quali i patrimoni destinati, il fondo patrimoniale o i vincoli di destinazione, e ciò soprattutto a fronte dell’obbligatoria iscrizione del contratto di rete in tutti i Registri presso cui sono iscritti i partecipanti, al fine di rendere più agevole per i terzi la “visibilità” del rapporto tra le imprese stesse.
Tuttavia, al di là di ogni considerazione di principio, anche sotto la vigenza della disciplina ante novella (in cui si rendeva obbligatoria l’istituzione di un fondo patrimoniale e di un organo comune) non pareva possibile negare la sussistenza della soggettività giuridica per quei contratti di rete costituiti secondo le regole organizzative proprie del modello societario.
Sebbene il legislatore con la novella del 2010 - nella quale ha reso meramente facoltativa la costituzione dell’organo comune e del fondo patrimoniale - abbia esplicitato la voluntas di non attribuire alla rete di imprese alcuna soggettività giuridica, già manifestata nella versione originaria nella normativa, la prassi ha
interpretato il nuovo strumento di cooperazione contrattuale quale veicolo per la creazione di nuovo modello entificato, esplicitando, dunque, una generalizzata volontà “entificatrice”.
Infatti, l’idea di uno strumento contrattuale nuovo, in grado di coniugare esigenze differenti quali la flessibilità organizzativa e la sinergia sul mercato, accorpando in sé elementi contrattuali ed associativi, non escludeva la possibilità di raggiungere tali obbiettivi per il tramite di un una rete snella e versatile, dotata di soggettività giuridica distinta dal quella propria di ciascuna impresa aderente, così come già previsto in materia di società di persone e di associazioni non riconosciute.
Così, con la successiva novella di cui alla l. 134/2012 (di conversione del d.l. 83/2012), il legislatore ha introdotto (art 45, comma 2, confluito all’art.3, comma 4- ter del d.l. 5/2009) la possibilità, per le reti di imprese dotate di autonomo fondo patrimoniale comune, di iscrivere la rete presso la sezione ordinaria del registro delle imprese nella cui circoscrizione è stabilita la sua sede, esplicitando come da tale iscrizione ne discendesse ipso iure l’acquisto della soggettività giuridica.
Con tale intervento si è inteso rispondere alle esigenze sviluppate nella prassi, attribuendo così agli imprenditori la facoltà di poter scegliere una forma di cooperazione interimprenditoriale agile e snella, seppur mantenendo adeguata autonomia ed operatività, secondo una struttura sempre più vicina al modello dei gruppi organizzati. La stessa disposizione conteneva poi, al primo comma, la previsione per la quale, per le reti dotate di un fondo patrimoniale comune e di un organo comune destinato a svolgere attività con terzi, la pubblicità richiesta dal comma 4-quater dell’art. 3 “s’intende adempiuta” attraverso l’iscrizione nella sezione ordinaria del registro delle imprese ove la rete ha stabilito la sua sede. Da tale formulazione emergeva di fatto, a carico della rete di imprese che intendesse svolgere attività anche di carattere commerciale con terzi, l’onere di acquisire la soggettività mediante l’espletamento delle formalità pubblicitarie a tal uopo richieste.
In seguito al citato intervento, la dottrina risultava ancora “spaccata” a metà, sostenendo, una parte di essa, che il riconoscimento della soggettività giuridica in
capo alla rete costituirebbe elemento idoneo a renderla più facilmente individuabile, risolvendo anche una serie di inconvenienti pratici legati al suo agire; affermando, un’altra parte, come tale riconoscimento non determini altro se non un appesantimento della fattispecie, risultando, per di più, in contrasto con le finalità della nuova normativa, quali quelle evidenziate al momento dell’introduzione della fattispecie. Al riguardo, si fa riferimento all’idea di base, ossia quella di predisporre uno strumento leggero e snello che sia di supporto all’attività di impresa, in ciò differenziandosi dalle forme più strutturate ed evolute di aggregazione già presenti nel mercato120.
Il riconoscimento di una soggettività della rete è stato da taluni predicato sia per facilitare la “visibilità” del rapporto intercorrente tra le imprese in rete, di modo da rendere più agevoli le relazioni con soggetti istituzionali, quali banche e P.A. sia, in secondo luogo, per snellire e rendere meno problematico l’agire in rete, dunque per eminenti finalità di carattere pratico, desumendo altresì la necessità di attribuire alla rete di imprese una soggettività giuridica dalla normativa stessa, la quale fa espresso riferimento, nel definire l’oggetto del contratto di rete, all’esercizio in comune di attività121.
Viceversa, opposto orientamento dottrinale ha inteso sottolineare come tale riconoscimento porterebbe con sé unicamente il rischio di appesantire la rete, ponendosi in netto contrasto con gli obiettivi perseguiti dalla riforma. In altri termini, secondo tale impostazione, riconoscere la soggettività giuridica alla rete significherebbe svilire la ratio che di fatto ne ha supportato l’introduzione, dando luogo ad un’inutile duplicazione di istituti e strumenti già presenti nel nostro ordinamento.
Xxxxxx, l’atteggiamento del legislatore, intervenuto più volte sul punto, con previsioni tra loro apparentemente contrastanti, testimonia l’incertezza delle impostazioni sopra riferite. Oltretutto, sebbene per alcuni la scelta di non attribuire
120 X. XXXXXXX - P. IAMICELI, Contratto di rete. Inizia una nuova stagione di riforme? In Obbligazioni e contratti, 2009, 598.
121 X. XXXXXXX, Rete di imprese, La soggettività nel contratto di rete tra imprese, I contratti, 2013, 4, 401 ss.