Contract
IL CONTRATTO DI LAVORO SUBORDINATO
27 febbraio 2015 Xxxx. Xxxxxxxxx Xxxxxxx
Avv. Xxxx Xxxxxxxxxx
CERTIFICAZIONE DEL CONTRATTO DI LAVORO
apposita procedura finalizzata a rendere difficile l’instaurazione di un giudizio in merito alla qualificazione del contratto certificato (art. 75 e ss, D.lgs. 276/2003).
CERTIFICAZIONE DEL CONTRATTO DI LAVORO
Le diverse funzioni delle Commissioni di certificazione, a seguito delle modifiche introdotte dal c.d. Collegato lavoro (legge n. 183/2010), sono:
⮚ certificazione dei contratti di lavoro finalizzata a dare certezza alla qualificazione dei rapporti di lavoro;
⮚ certificazione dei contratti di appalto finalizzato a distinguere tra appalto illecito e somministrazione irregolare;
⮚ certificazione dei regolamenti interni delle cooperative, finalizzata a certificare le tipologie di rapporti che possono essere instaurati da parte dei soci lavoratori della cooperativa;
⮚ certificazione delle rinunce e transazioni aventi ad oggetto i diritti derivanti da un rapporto di collaborazione a progetto già in essere finalizzata a rendere inoppugnabili, ai sensi dell’art. 2113 c.c. tali atti;
⮚certificazione delle rinunce e transazioni aventi ad oggetto i diritti derivanti da un rapporto di lavoro finalizzata a rendere inoppugnabili, ai sensi dell’art. 2113 c.c. tali atti;
⮚ consulenza ed assistenza alle parti contrattuali, con particolare riferimento alla disponibilità dei diritti ed alla esatta qualificazione dei contratti di lavoro;
⮚ certificazione della clausola compromissoria con cui le parti devolvono una controversia agli arbitri.
NATURA GIURIDICA DELL’ATTO DI CERTIFICAZIONE
L’atto di certificazione è una dichiarazione valutativa (parere) sulla qualificazione del contratto munita di adeguata motivazione.
Si tratta di una valutazione di puro diritto, consistente nella sussunzione della fattispecie concreta (il contratto) nella fattispecie astratta ritenuta corrispondente.
N.B.: è sostanziale la differenza rispetto al sistema della volontà assistita, in cui non viene qualificata una fattispecie, ma viene convenuta dalle parti la disciplina del rapporto in virtù dell’assistenza di un soggetto imparziale considerata dal legislatore sufficiente ed insindacabile garanzia di equità (cfr. rinunzie e transazioni nelle sedi previste dall’art. 2113 c.c.).
CONTRA la certificazione, proprio per la sua natura qualificatoria, è destinata a cedere di fronte ad una eventuale successiva diversa qualificazione del giudice.
ORGANI DELLA CERTIFICAZIONE (ART. 76 D.LGS. 276/2003)
Ministero del lavoro e delle politiche sociali
Le Università pubbliche e private registrate nell’albo istituito presso il ministero del lavoro
La Direzione Provinciale del Lavoro
DM 21 luglio 2004 Circ. Min. Lav. 48/2004
I Consigli provinciali dell’ordine dei consulenti del lavoro, esclusivamente per i contratti di lavoro instaurati nell’ambito territoriale di riferimento
Gli enti bilaterali costituiti dalle associazioni dei datori e prestatori di lavoro
Le parti devono presentare l’istanza di avvio della procedura alle commissioni costituite dalle rispettive associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro
PROCEDIMENTO DI CERTIFICAZIONE E CODICI DI BUONE PRATICHE
Art. 78 D.Lgs. 276/2003
.
1. La procedura di certificazione è volontaria e consegue obbligatoriamente a una istanza scritta comune delle parti del contratto di lavoro.
2. Le procedure di certificazione sono determinate all'atto di costituzione delle commissioni di certificazione e si svolgono nel rispetto dei codici di buone pratiche di cui al comma 4, nonché dei seguenti principi:
a) l'inizio del procedimento deve essere comunicato alla Direzione provinciale del lavoro che provvede a inoltrare la comunicazione alle autorità pubbliche nei confronti delle quali l'atto di certificazione è destinato a produrre effetti. Le autorità pubbliche possono presentare osservazioni alle commissioni di certificazione;
b) il procedimento di certificazione deve concludersi entro il termine di trenta giorni dal ricevimento della istanza;
c) l'atto di certificazione deve essere motivato e contenere il termine e l'autorità cui è possibile ricorrere;
d) l'atto di certificazione deve contenere esplicita menzione degli effetti, civili, amministrativi, previdenziali o fiscali, in relazione ai quali le parti richiedono la certificazione.
3. I contratti di lavoro certificati, e la relativa pratica di documentazione, devono essere conservati presso le sedi di certificazione, per un periodo di almeno cinque anni a far data dalla loro scadenza. Copia del contratto certificato può essere richiesta dal servizio competente di cui all'articolo 4-bis, comma 5, del decreto legislativo 21 aprile 2000, n. 181, oppure dalle altre autorità pubbliche nei confronti delle quali l'atto di certificazione è destinato a produrre effetti.
4. Entro sei mesi dalla entrata in vigore del presente decreto legislativo, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali adotta con proprio decreto codici di buone pratiche per l'individuazione delle clausole indisponibili in sede di certificazione dei rapporti di lavoro, con specifico riferimento ai diritti e ai trattamenti economici e normativi. Tali codici recepiscono, ove esistano, le indicazioni contenute negli accordi interconfederali stipulati da associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.
5. Con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali vengono altresì definiti appositi moduli e formulari per la certificazione del contratto o del relativo programma negoziale, che tengano conto degli orientamenti giurisprudenziali prevalenti in materia di qualificazione del contratto di lavoro, come autonomo o subordinato, in relazione alle diverse tipologie di lavoro.
EFFETTI DELLA CERTIFICAZIONE
Art. 79 D.Lgs. n. 276/2003
1. Gli effetti dell'accertamento dell'organo preposto alla certificazione del contratto di lavoro permangono, anche verso i terzi, fino al momento in cui sia stato accolto, con sentenza di merito, uno dei ricorsi giurisdizionali esperibili ai sensi dell'articolo 80 D.Lgs. n. 276/2003, fatti salvi i provvedimenti cautelari
⮚ L’atto quindi tiene, anche nei confronti dei terzi (es: enti previdenziali) fino a diverso accertamento giudiziale in base alle previsioni di cui all’art. 80 D.Lgs. N. 276/2003
⮚ Dal punto di vista previdenziale si ritiene che possa determinare la riduzione fino alla misura degli interessi legali (1%) delle sanzioni amministrative ai sensi dell’art. 116, c. 15 L. 388/2000 per “rilevanti incertezze interpretative”
MOTIVI DELLO SCARSO SUCCESSO DELLA CERTIFICAZIONE
⮚ Scarsa confidenza con le Commissioni di certificazione
⮚ Rischio di non ottenere la certificazione
⮚ Possibilità di impugnare comunque l’atto davanti al giudice
⮚ Validità solo per il futuro
CONTRATTO DI LAVORO SUBORDINATO DEFINIZIONE
La definizione di contratto di lavoro subordinato si rinviene dalla nozione di prestatore di lavoro subordinato di cui all’art. 2094 c.c.:
È il contratto mediante il quale il prestatore di lavoro si obbliga a prestare la propria opera alle dipendenze e sotto la direzione del datore di lavoro in cambio di una determinata retribuzione.
FORMAZIONE DEL CONTRATTO DI LAVORO SUBORDINATO
Il contratto di lavoro si forma, come gli altri contratti di diritto comune, nel momento in cui si incontrano le volontà delle due parti contraenti.
Ma quali limiti all’autonomia individuale?
L’ambito entro il quale si svolge il negoziato tra le parti è molto ristretto, in quanto il diritto del lavoro tradizionalmente considera l’autonomia individuale inidonea a disciplinare tutte le obbligazioni che possono scaturire dal contratto di lavoro.
FORMAZIONE DEL CONTRATTO DI LAVORO SUBORDINATO
Lo sfavore verso l’autonomia individuale è determinato dalla necessità di tutelare il lavoratore nella sua posizione di debolezza contrattuale rispetto al datore di lavoro.
Il contratto di lavoro pur essendo, come ogni contratto, il frutto dello scambio delle reciproche volontà delle parti e del loro consenso rispetto alle reciproche clausole di cui esso si compone, è liberamente negoziato dal datore di lavoro e dal lavoratore solo in parte.
Per bilanciare questa debolezza contrattuale,il legislatore pone NORME INDEROGABILI che fissano i livelli minimi che devono essere garantiti al lavoratore nell’applicazione di determinati istituti, anche a prescindere dalla sua volontà che potrebbe facilmente essere coartata.
FORMAZIONE DEL CONTRATTO DI LAVORO SUBORDINATO
Le norme inderogabili come intervengono a disciplinare il contratto?
Attraverso il meccanismo noto come eterointegrazione del contratto: la clausola che si pone in contrasto con la legge viene automaticamente sostituita dalla norma violata, in applicazione del meccanismo della nullità parziale disciplinato dall’art. 1419 c.c., e quello della sostituzione de jure delle clausole nulle con le norme di legge violate (art. 1339 c.c.).
FORMA DEL CONTRATTO DI LAVORO SUBORDINATO
Il contratto di lavoro subordinato non deve essere stipulato in una specifica forma, ma è soggetto al principio generale della libertà di forma ex art. 1325 c.c., e può dunque essere concluso anche mediante comportamento concludente.
La forma scritta è tuttavia normalmente utilizzata nella prassi in quanto il datore di lavoro è soggetto a specifici e vincolanti obblighi di comunicazione sia nei confronti del lavoratore che nei confronti della Pubblica amministrazione.
L’adempimento di tali obblighi richiede la forma scritta; la loro mancata esecuzione, seppure non influisce sulla validità del contratto, comporta l’applicazione di sanzioni amministrative.
ECCEZIONI
Il principio della libertà di forma è derogato in relazione ad alcune tipologie contrattuali per le quali la legge richiede la forma scritta.
La forma scritta del contratto è richiesta a pena di nullità per il contratto di lavoro sportivo (cfr. art. 4, comma 1, legge 23 marzo 1981, n. 91) e il contratto di arruolamento del personale marittimo (art. 328 cod. nav.).
Altre deroghe sono previste per l’introduzione nel contratto di elementi accidentali la cui apposizione potrebbe avere conseguenze pregiudizievoli per il lavoratore. Al fine di evitare l’abuso di questi strumenti, il legislatore è solito richiedere la forma scritta non solo ai fini probatori, ma come condizione di validità del contratto.
Sono soggetti a questa regola la clausola di apposizione del termine nel contratto a tempo determinato, il patto di prova, il patto di non concorrenza.
L’INDIVIDUAZIONE DEGLI ELEMENTI DEL CONTRATTO DI LAVORO SUBORDINATO
(art. 1 c. 1 del D.Lgs. 152/1997, Attuazione della direttiva 91/533/CEE)
Il datore di lavoro pubblico e privato e' tenuto a fornire al lavoratore, entro trenta giorni dalla data dell'assunzione, le seguenti informazioni:
a) l'identità delle parti;
b) il luogo di lavoro; in mancanza di un luogo di lavoro fisso o predominante, l'indicazione che il lavoratore è occupato in luoghi diversi, nonché la sede o il domicilio del datore di lavoro;
c) la data di inizio del rapporto di lavoro;
d) la durata del rapporto di lavoro, precisando se si tratta di rapporto di lavoro a tempo determinato o indeterminato;
e) la durata del periodo di prova se previsto;
f) l'inquadramento, il livello e la qualifica attribuiti al lavoratore, oppure le caratteristiche o la descrizione sommaria del lavoro; (vedi anche art. 96 disp. att. c.c.)
g) l'importo iniziale della retribuzione e i relativi elementi costitutivi, con l'indicazione del periodo di pagamento;
h) la durata delle ferie retribuite cui ha diritto il lavoratore o le modalità di determinazione e di fruizione delle ferie;
i) l'orario di lavoro;
j) i termini del preavviso in caso di recesso.
CATEGORIE DI LAVORATORI SUBORDINATI
Art. 2095 c.c.
Categorie dei prestatori di lavoro
I prestatori di lavoro subordinato si distinguono in:
⮚ operai
⮚ impiegati
⮚ quadri
⮚ dirigenti
CATEGORIE DI LAVORATORI SUBORDINATI
⮚ OPERAI
⮚ IMPIEGATI
Originariamente la distinzione tra operai e impiegati si fondava, sulla scorta di quanto previsto dall’art. 1, R.D.L. 13 novembre 1924, n. 1825 (abrogato dal D.L. 22 dicembre 2008, n. 200), sul grado di collaborazione fornita dal lavoratore al datore di lavoro: l’operaio collabora “nell’impresa”, l’impiegato “all’impresa”.
Con l’inquadramento unico realizzato dalla contrattazione collettiva (tornata contrattuale 1973-1974) sono state superate quasi tutte le distinzioni, anche se di fatto i livelli superiori sono riservati alle qualifiche impiegatizie.
CATEGORIE DI LAVORATORI SUBORDINATI
⮚ QUADRI: la categoria dei quadri, introdotta dall’art. 2 legge n. 190/1985, comprende tutti quei lavoratori che pur non appartenendo alla categoria dei dirigenti, svolgono funzioni con carattere continuativo di rilevante importanza ai fini dello sviluppo e della attuazione degli obiettivi dell’impresa. La definizione non fa riferimento alle mansioni svolte dal prestatore, bensì alle funzioni da esso ricoperte. Spetta alla contrattazione collettiva nazionale o aziendale il compito di determinare i requisiti di appartenenza alla categoria in relazione a ciascun ramo di produzione e alla particolare struttura organizzativa dell’impresa.
Ai quadri si applicano le norme per la categoria degli impiegati salvo diversa disposizione (🡪 norme speciali artt. 4, 5, 6 L. n. 190/1985).
CATEGORIE DI LAVORATORI SUBORDINATI
⮚ DIRIGENTI: è l’unica categoria per la quale sussiste un’effettiva differenziazione della disciplina applicabile al rapporto di lavoro. La specialità di questa figura è connessa alla particolare intensità dell’elemento fiduciario che lega il dirigente al datore di lavoro, ed alle rilevanti responsabilità di carattere decisionale che sono attribuite al medesimo. In particolare il dirigente è preposto all’intera azienda o ad un ramo autonomo di essa con ampi poteri decisionali e sottoposto alle direttive del solo datore di lavoro (in dottrina e giurisprudenza si suol definire il dirigente come l’alter ego dell’imprenditore).
🡪 non sono soggetti alle norme che garantiscono la reintegrazione in caso di licenziamento ingiustificato (fatta salva l’ipotesi del licenziamento discriminatorio o determinato da motivo illecito determinante).
MA
accanto ai dirigenti tout court vi sono i c.d. pseudo dirigenti ossia quei dipendenti addetti a mansioni non classificate come dirigenziali dal contratto collettivo ma comunque inquadrati dal datore di lavoro come dirigenti 🡪 problema dibattuto in ordine all’applicabilità a questi delle tutele riservate agli altri dipendenti contro il licenziamento ingiustificato.
🡪 secondo parte della dottrina e della giurisprudenza dette tutele sono applicabili anche agli pseudo dirigenti, restando invece esclusi solo i dirigenti di vertice.
CATEGORIE DI LAVORATORI SUBORDINATI
…DIRIGENTI:
⮚ ruolo centrale nella disciplina del rapporto di lavoro dei dirigenti è affidato alla contrattazione collettiva che è distinta rispetto a quella riservata agli altri dipendenti in quanto questi ultimi aderiscono ad associazioni sindacali distinte;
⮚ sono esclusi dal campo di applicazione delle norme ordinarie in materia di apposizione del termine al contratto di lavoro;
⮚ a fronte della loro autonomia nell’organizzare la loro prestazione lavorativa, sono esclusi da alcune tutele in tema di orario di lavoro (es. straordinari) e riposi.
⮚ sono esclusi dall’applicazione della disciplina in materia di cassa integrazione, mobilità, trattamento di disoccupazione ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 9, della legge del 23 luglio 1991, n. 223
MA
con la sentenza, 13 febbraio 2014 C-596/2012, la Corte di Giustizia Europea ha dichiarato l’illegittimità della normativa italiana per contrasto con la direttiva 98/59, nella parte in cui esclude dalla procedura di licenziamento collettivo la categoria dei lavoratori dirigenti.
L’OGGETTO DELLA PRESTAZIONE LAVORATIVA: LE MANSIONI
Art. 2103 c.c.
Art. 2103. 2103
“Il
prestatore di lavoro deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto”.
Le mansioni costituiscono l’oggetto della prestazione lavorativa.
Il datore di lavoro, ai sensi del D.Lgs. n. 152/1997 ha l’obbligo di dare informazione per iscritto al lavoratore, entro 30 giorni, sul suo inquadramento, livello e qualifica oppure sulle caratteristiche o circa la descrizione sommaria dell’attività lavorativa.
L’OGGETTO DELLA PRESTAZIONE LAVORATIVA: LA QUALIFICA
Nella pratica accade raramente che il contratto di lavoro definisca con precisione le mansioni affidate al lavoratore.
Più frequente è l’individuazione indiretta delle mansioni, mediante l’assegnazione al lavoratore di una qualifica (o di un livello, nozione che indica lo stesso concetto) scelta tra quelle previste dal contratto collettivo applicabile al rapporto.
In mancanza di indicazione e delle mansioni e della qualifica il contratto è nullo per indeterminatezza dell’oggetto.
La qualifica è una formula che descrive un insieme di mansioni che possono essere richieste al lavoratore, in quanto ricomprese in essa, ritenute tra loro equivalenti sulla base della professionalità richiesta per il loro svolgimento e della posizione gerarchica occupata dal lavoratore nell’azienda.
La qualifica esprime dunque in maniera sintetica il tipo di mansioni tipicamente assegnate a determinate figure professionali.
Ha particolare importanza in quanto costituisce il parametro da utilizzare per verificare il
corretto esercizio da parte del datore di lavoro del potere di adibire il lavoratore a mansioni diverse da quelle precedenti.
2103
IL MUTAMENTO DI MANSIONI
Art. 2103 c.c.
“Il prestatore di lavoro deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto (att. 96) o a quelle corrispondenti alla categoria superiore che abbia successivamente acquisito ovvero a mansioni equivalenti alle ultime effettivamente svolte, senza alcuna diminuzione della retribuzione.
Nel caso di assegnazione a mansioni superiori il prestatore ha diritto al trattamento corrispondente all’attività svolta, e l’assegnazione stessa diviene definitiva, ove la medesima non abbia avuto luogo per sostituzione di lavoratore assente con diritto alla conservazione del posto, dopo un periodo fissato dai contratti collettivi, e comunque non superiore a tre mesi.
Egli non può essere trasferito da una unità produttiva ad un’altra se non per comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive.
Ogni patto contrario è nullo”.
IL MUTAMENTO DI MANSIONI
Art. 2103 c.c.
Il lavoratore deve essere adibito alle mansioni
⮚ corrispondenti alla categoria superiore che abbia successivamente acquisito ovvero
⮚ a mansioni equivalenti alle ultime effettivamente svolte, senza alcuna diminuzione della retribuzione.
IL MUTAMENTO DI MANSIONI
Art. 2103 c.c.
Il datore di lavoro può mutare le mansioni del lavoratore?
LO JUS VARIANDI
quale ESPRESSIONE DEL POTERE ORGANIZZATIVO DATORIALE
⮚ Limiti: livello economico e di inquadramento
⮚ Principio guida: criterio della equivalenza professionale
IL MUTAMENTO DI MANSIONI
Art. 2103 c.c.
⮚ Divieto di assegnazione a mansioni inferiori
⮚ Modificazione in verticale quale assegnazione a mansioni superiori: nessun limite
⮚ Modificazione in orizzontale (nel rispetto dell’equivalenza professionale)
IL MUTAMENTO DI MANSIONI
Art. 2103 c.c.
ECCEZIONI AL DIVIETO DI ASSEGNAZIONE A MANSIONI INFERIORI
⮚ per salvaguardare la salute della lavoratrice gestante;
⮚ per evitare il licenziamento collettivo;
⮚ per evitare il licenziamento dell’invalido divenuto tale durante il rapporto di lavoro;
⮚ per la conservazione dell’occupazione, quale alternativa al licenziamento
IL MUTAMENTO DI MANSIONI
Art. 2103 c.c.
Il Jobs Act – se approvato nella parte relativa alla modifica dell’art. 2103 c.c. – potrebbe determinare il superamento dell’attuale sistema normativo, aprendo la strada all’unilaterale demansionamento da parte del datore di lavoro in presenza di certe circostanze.
LO SVOLGIMENTO DEL RAPPORTO DI LAVORO
GLI OBBLIGHI DEL LAVORATORE
⮚ OBBLIGO DI DILIGENZA (Art. 2104 co.1 c.c.)
⮚ OBBLIGO DI OBBEDIENZA (Art. 2104 co. 2 c.c.)
⮚ OBBLIGO DI FEDELTA’ (Art. 2105 c.c.)
L’OBBLIGO DI DILIGENZA DEL LAVORATORE
Art. 210.4 co. 1 c.c.
Il prestatore di lavoro deve usare la diligenza richiesta
✓ dalla natura della prestazione dovuta
✓ dall’interesse dell’impresa
✓ [dall’interesse superiore della produzione nazionale]
L’OBBLIGO DI OBBEDIENZA DEL LAVORATORE
Art. 2086 c.c.
“L’imprenditore è il capo dell’impresa e da lui dipendono gerarchicamente i suoi collaboratori”
Art. 2104 co. 2 c.c.
“[Il prestatore di lavoro] Deve inoltre osservare le disposizioni per l’esecuzione e per la disciplina del lavoro impartite dall’imprenditore e dai collaboratori di questo dai quali gerarchicamente dipende”
L’OBBLIGO DI FEDELTA’ DEL LAVORATORE
Art. 2105 c.c.
Il prestatore di lavoro non deve
✓ trattare affari, per conto proprio o di terzi, in concorrenza con l’imprenditore
✓ divulgare notizie attinenti all’organizzazione e ai metodi di produzione dell’impresa, ovvero
✓ farne uso in modo da recare ad essa pregiudizio.
GLI OBBLIGHI DEL DATORE DI LAVORO
Principali obbligazioni del datore di lavoro:
⮚ Garantire al lavoratore i trattamenti retributivi, contributivi ed assicurativi.
⮚Garantire al lavoratore la sicurezza sul posto di lavoro.
I POTERI DEL DATORE DI LAVORO
⮚ Potere direttivo esercitato per conformare la prestazione lavorativa alle esigenze dell’organizzazione dell’impresa;
⮚ Potere di controllo esercitato per verificare l’esatto adempimento degli obblighi da parte del dipendente;
⮚ Potere disciplinare esercitato per sanzionare il lavoratore inadempiente.
IL POTERE DIRETTIVO
Insieme di poteri o facoltà del datore di lavoro (potere organizzativo, di vigilanza, gerarchico, di conformazione ecc.) finalizzati a garantire l’esecuzione e la disciplina del lavoro in vista degli interessi sottesi al rapporto.
Ad esso corrisponde il dovere di obbedienza del lavoratore quale soggezione al potere direttivo del datore di lavoro.
IL POTERE DI CONTROLLO
Esercitato dal datore di lavoro direttamente o mediante l’organizzazione gerarchica che a lui fa capo, rispetto a:
✓ adempimento delle prestazioni cui i dipendenti sono tenuti;
✓ eventuali mancanze specifiche dei dipendenti, già commesse o in corso di esecuzione.
IL POTERE DISCIPLINARE
Consiste nella facoltà del datore di lavoro di adottare provvedimenti sanzionatori nei confronti del lavoratore in caso di inosservanza delle disposizioni impartite. Tale potere è strettamente funzionale all’esigenza del datore di lavoro di ottenere un esatto adempimento della prestazione lavorativa.
Il potere disciplinare deve essere esercitato secondo le disposizioni dell’art. 7 dello Statuto dei Lavoratori
LE CLAUSOLE ACCESSORIE PIU’ RICORRENTI DEL CONTRATTO DI LAVORO SUBORDINATO
⮚ PATTO DI PROVA (art. 2096 c.c.)
⮚ PATTO DI NON CONCORRENZA (art. 2125 c.c.)
⮚ CLAUSOLA APPOSITIVA DEL TERMINE AL RAPPORTO DI LAVORO (Xxxxxx lezione contratto a termine).
IL PATTO DI PROVA
Art. 2096 c.c.
“1. Salvo diversa disposizione [delle norme corporative] l’assunzione del prestatore di lavoro per un periodo di prova deve risultare da atto scritto.
2. L’imprenditore e il prestatore di lavoro sono rispettivamente tenuti a consentire e a fare l’esperimento che forma oggetto del patto di prova.
3. Durante il periodo di prova ciascuna delle parti può recedere dal contratto, senza obbligo di preavviso o d’indennità. Se però la prova è stabilita per un tempo minimo necessario, la facoltà di recesso non può esercitarsi prima della scadenza del termine.
4. Compiuto il periodo di prova, l’assunzione diviene definitiva e il servizio prestato si computa nell’anzianità del prestatore di lavoro”.
forma scritta ad substantiam: in mancanza il patto è nullo l’assunzione diviene definitiva
Quando stipularlo?
In ogni tipologia di contratto di lavoro le parti possono prevedere l’effettuazione di un periodo di prova con lo scopo di permettere ad entrambi i contraenti di valutare la convenienza del rapporto di lavoro.
Per quanto?
La durata massima del patto di prova è di 6 mesi, in base a quanto stabilito generalmente dai ccnl di settore ed in base al limite indiretto ex art. 10 L. n. 604/1966 (laddove quest’ultima specifica che le norme della L. n. 604/1966 “si applicano dal momento in cui l’assunzione diviene definitiva e, in ogni caso, quando sono decorsi 6 mesi dall’inizio del rapporto di lavoro di lavoro”).
IL RECESSO DAL PATTO DI PROVA
“Durante il periodo di prova, ciascuna delle parti può recedere dal contratto, senza obbligo di preavviso o indennità”.
Il recesso datoriale non deve essere motivato, avendo natura discrezionale, ma non può fondarsi su un motivo non attinente all’esperimento della prova ossia il suo mancato superamento, altrimenti sarebbe illecito.
IL PATTO DI NON CONCORRENZA
Art. 2125 c.c.
“Il patto con il quale si limita lo svolgimento dell’attività del prestatore di lavoro, per il tempo successivo alla cessazione del contratto, è nullo
- se non risulta da atto scritto, [la forma scritta è ad substantiam]
- se non è pattuito un corrispettivo a favore del prestatore di lavoro e
- se il vincolo non è contenuto entro determinati limiti di oggetto, di tempo e di luogo.”
DURATA MASSIMA PATTO DI NON CONCORRENZA
Art. 2125 c.c.
⮚ Dirigenti: 5 anni;
⮚ Per tutti gli altri prestatori di lavoro: 3 anni che decorrono dalla cessazione del rapporto
In caso di previsione di una durata maggiore di quella stabilita dall’art. 2125 c.c. sostituzione automatica della clausola e riduzione della durata del
patto entro i limiti di legge
TEMPO DELLA SOTTOSCRIZIONE DEL PATTO
Il patto di non concorrenza può essere sottoscritto:
⮚ contestualmente alla costituzione del rapporto di lavoro
- clausola inserita nel contratto di lavoro;
- atto separato.
⮚ in corso di rapporto di lavoro
⮚ alla cessazione del rapporto di lavoro
IL TERRITORIO
• La limitazione territoriale può essere riferita ad una determinata area geografica (es. Italia, Lombardia, Lombardia-Veneto-Piemonte ecc.), ovvero all’area in cui operano società concorrenti, ovvero all’area in cui opera il datore di lavoro in quanto facente parte di un Gruppo (ma entro i limiti dell’interesse dell’impresa e del Gruppo).
• Il riferimento territoriale deve comunque essere specifico e deve essere valutato, ai fini della validità del patto, congiuntamente ai limiti di oggetto ed allo scopo che si intende raggiungere.
L’OGGETTO
Per valutare la congruità della determinazione dell’oggetto si deve tenere conto sia del contenuto obiettivo del patto, sia delle capacità economica residua del lavoratore, perché la validità dell’accordo dipende dalla validità congiunta dei 2 parametri.
L’oggetto può essere riferito, alternativamente e/o cumulativamente a:
✓ mansioni svolte dal dipendente
✓ attività del datore di lavoro
✓ clienti del datore di lavoro
✓ dipendenti del datore
✓ concorrenti del datore di lavoro
IL CORRISPETTIVO
Il patto di non concorrenza è oneroso
Il compenso del lavoratore
✓può consistere in somme di denaro, oppure altre utilità (ad es. remissione di un debito)
✓ non deve essere necessariamente determi-nato, ma è sufficiente sia determinabile
✓può essere versato in corso di rapporto, oppure dopo la cessazione dello stesso
✓deve essere congruo e specifico, in relazione al sacrificio richiesto
IL CORRISPETTIVO
Parametri per valutarne la congruità:
⮚ né simbolico né irrisorio
⮚ misura della retribuzione
⮚ estensione (temporale) territoriale e di oggetto del patto
⮚ professionalità del dipendente e capacità reddituale alternativa
⮚ proporzionale al sacrificio reddituale imposto al lavoratore
⮚ maggiori spese necessarie al dipendente per ricollocarsi sul mercato del lavoro o per cambiare luogo di lavoro
⮚ libertà di attività professionale alternativa (art. 4 Cost.)
PAGAMENTO DEL CORRISPETTIVO IN COSTANZA DI RAPPORTO
PRO
Con riferimento al patto di non concorrenza di cui all’art. 2125 c.c., va rilevato che il pagamento del corrispettivo in costanza di rapporto di lavoro non inficia la validità del patto, che il corrispettivo non deve essere necessariamente determinato, ma è sufficiente che sia determinabile, che l’art. 2125 c.c. lascia alle parti ampia autonomia nella determinazione delle modalità di pagamento del corrispettivo del patto, che non è necessario che il pagamento avvenga dopo la cessazione del rapporto di lavoro, ben potendo il corrispettivo essere pattuito sotto forma di percentuale sulla retribuzione o di somma da corrispondere in costanza di rapporto – Trib. Milano 3 maggio 2013; 21 luglio 2005 (conf. Trib. Milano, 27 gennaio 2007)
CONTRA
La previsione del pagamento di un corrispettivo del patto di non concorrenza durante il rapporto di lavoro non rispetta la previsione dell’art. 2125 c.c., in quanto introduce una variabile legata alla durata del rapporto che conferisce al patto un inammissibile elemento di aleatorietà ed indeterminatezza - (Trib. Milano, 18.6.2001; Trib. Milano, 11.09.04; Trib. Milano, 13.8.2007; Trib. Milano, 19.03.2008; Trib. Milano, 04.03.2009).