Common use of Trasferimento d’azienda Clause in Contracts

Trasferimento d’azienda. Si è affrontata la problematica relativa al mancato rispetto delle disposizioni di cui all’art. 2112 c.c., alle leggi 29 dicembre 1990 n. 428 e 23 luglio 1991 n. 223, nell’operazione di acquisto di un’impresa assicurativa da parte di un’altra e successivamente da quest’ultima ceduta ad una terza impresa di assicurazioni. La disciplina del trasferimento d’azienda, oggetto delle disposizioni citate, è applicabile esclusivamente nelle ipotesi in cui si sia verificata la cessione da un soggetto ad un altro del “complesso di beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa”, qualunque sia il mezzo tecnico-giuridico (vendita, usufrutto, affitto) con il quale il trasferimento è avvenuto. Tratto essenziale del trasferimento d’azienda è, pertanto, il mutamento del soggetto titolare del complesso aziendale, rimanendo quest’ultimo inalterato nella sua struttura organica e funzionale di bene strumentale rispetto all’esercizio dell’attività imprenditoriale. Le norme in materia di trasferimento d’azienda, disciplinanti la successione nei contratti di impresa e nei rapporti di lavoro stipulati dal cedente, non risultano applicabili nella fattispecie de qua poiché l’operazione si è concretizzata nell’acquisto e nella successiva vendita della totalità del pacchetto azionario dell’impresa oggetto del doppio scambio. In tale, ipotesi, infatti, manca il presupposto essenziale del trasferimento d’azienda, consistente nella successione di un soggetto all’altro nell’esercizio dell’attività imprenditoriale a cui il complesso dei beni aziendali è preposto. La società di capitali, come è noto, è soggetto giuridico autonomo, distinto e differenziato rispetto ai soci e l’eventuale mutamento di tutto o parte dell’azionariato non è in grado di incidere su di essa trasformandola in soggetto diverso da quello originario. Ne consegue che, mancando il presupposto del mutamento di soggettività, se l’attività societaria si concretizza nella gestione di un’azienda, questa rimarrà nella titolarità della società medesima non potendo in alcun modo configurarsi una successione, cioè un trasferimento, dell’azienda medesima. Al contrario, nell’ipotesi di fusione, anche per incorporazione, tra società si realizza una sorta di successione universale corrispondente a quella che per le persone fisiche interviene mortis causa, con la conseguenza che il nuovo soggetto sarà totalmente autonomo e distinto rispetto alle entità originarie e potrà, pertanto, applicarsi integralmente la disciplina del trasferimento d’azienda. La suesposta interpretazione risulta confermata da costante giurisprudenza – tale da far ritenere il principio jus receptum - secondo cui l’alienazione dell’intero pacchetto azionario non equivale alla vendita dell’azienda gestita dalla società; e ancora, il trasferimento del pacchetto azionario di maggioranza o di controllo della società non incide (a differenza che nella fattispecie della fusione) sull’autonoma soggettività giuridica delle società interessate e non vale ad integrare il passaggio della titolarità dell’azienda ai sensi dell’art. 2112 x.x. (xx xxxxxxxx: Xxxx., xxxxxxxx x. 00/000; Cass., 03/07/1992, n. 8145; Xxxx., sez. lav., 02/04/1993, n. 4012; Cass., sez. lav., 06/09/1993, n. 9339; Cass., sez. lav., 26/11/1994, n. 10068, e, con riferimento specifico alla analoga fattispecie dell’acquisto, da parte di una società, delle azioni di un’altra società in numero tale – ancorché non superiore al 50% - da consentire alla prima il controllo sulla seconda, cfr. Xxxx., sez. lav., 11/04/1996, n. 3371). Per le ragioni esposte, si ritiene di poter escludere l’applicabilità alla fattispecie in esame della norme disciplinanti il trasferimento dell’azienda. Si è affrontata la questione relativa alla sanzionabilità del ritardo nella richiesta di autorizzazione ex artt. 10 e 11 legge n. 20/91 da parte di un Istituto bancario all’acquisto indiretto - attraverso l’assunzione del controllo sul capitale di altro Istituto bancario – di partecipazione qualificata in imprese di assicurazione. L’istanza di autorizzazione risulta, infatti, pervenuta a questo Istituto in data successiva a quella dell’effettivo trasferimento del pacchetto azionario di controllo, conseguente al positivo esperimento di un’offerta pubblica di acquisto ed avvenuto con il pagamento del quantum pattuito. Il dato normativo appare chiaro e puntuale nel prevedere che le operazioni debbano essere autorizzate prima che vengano poste in essere. Infatti, nell’ipotesi di acquisto, anche indiretto, di una partecipazione di controllo del capitale di un’impresa di assicurazione, la legge n. 20/91 prevede espressamente che la società acquirente debba essere “preventivamente autorizzata dall’Isvap” (art. 10). Inoltre, il decreto ministeriale di attuazione della legge n. 20/91 (D.M. 10 luglio 1991) precisa che ai fini del rilascio dell’autorizzazione l’Istituto dovrà valutare la capacità finanziaria e l’onorabilità del richiedente, gli eventuali collegamenti di carattere organizzativo, finanziario e convenzionale con altri soggetti ed, infine, il corretto esercizio dell’attività in precedenza svolta. Lo scopo della disciplina dell’acquisto delle partecipazioni di controllo appare, quindi, incentrato sulla necessità di accertare la consistenza patrimoniale della società controllante l’impresa di assicurazione al fine precipuo di impedire che le direttive impartite dalla controllante nell’attività di gestione del gruppo possano compromettere l’attività della controllata a danno degli assicurati. Ciò premesso, si comprende perché il legislatore non abbia ritenuto sufficiente la mera comunicazione dell’avvenuto acquisto della partecipazione ed abbia, al contrario, ritenuto indispensabile il rilascio di un provvedimento autorizzatorio. Nella fattispecie in esame, pur essendosi l’operazione perfezionata con il pagamento del prezzo d’acquisto, l’istanza di autorizzazione è stata inviata all’Isvap soltanto in data successiva; pertanto, si ritiene che il comportamento dell’Istituto bancario possa essere sanzionato. La circostanza che l’acquisto si sia realizzato a seguito del fruttuoso esperimento di un’OPA preventiva non esclude la sanzionabilità del ritardo nella formulazione della richiesta di autorizzazione. Infatti, il dettato della norma in esame - nella sua genericità - comprende qualunque tipo di operazione che sia in grado di realizzare l’acquisto di una partecipazione di controllo nel capitale di un’impresa di assicurazione, ivi compreso lo strumento dell’offerta pubblica di acquisto. Né vale ad escludere la responsabilità la supposta “presunzione di conoscenza” da parte dell’Istituto del progetto di acquisizione dell’Istituto bancario insita nell’utilizzazione dello strumento dell’OPA. Come è noto, il T.U. sull’intermediazione finanziaria ( d.lgs. 24/02/1998 n. 58, cd. “riforma Draghi”), nel disciplinare le offerte pubbliche di acquisto, prevede la pubblicazione dell’offerta esclusivamente al duplice scopo di fornire ai titolari delle azioni informazioni utili per valutare l’opportunità di aderire o meno all’offerta e di garantire alla società “bersaglio” la possibilità di contrastare il tentativo di acquisizione. La conoscenza dell’operazione da parte della vigilanza assicurativa è un fatto puramente eventuale, non essendo a ciò finalizzata la pubblicazione del progetto. Né tantomeno possono ritenersi rilevanti le eccezioni formulate dalla Banca acquirente laddove sostiene di non aver effettuato tempestivamente la richiesta perché l’Opa è stata lanciata dopo aver raggiunto un accordo con il management della controllata, che non prevedeva alcuna verifica di due diligence sul gruppo oggetto di acquisizione, circostanza questa che avrebbe impedito all’offerente di avere una perfetta conoscenza delle partecipazioni assicurative, posto che presentavano minore rilevanza economica all’interno di gruppo svolgente prevalentemente attività nel settore bancario. L’attività di due diligence è un’attività organizzata al fine di raccogliere e verificare informazioni di natura patrimoniale, economica, gestionale ed ambientale relativamente ad una società oggetto di acquisizione che solitamente – ma non necessariamente – si svolge prima del lancio dell’OPA. Trattasi, in sostanza, di strumento preordinato alla valutazione dell’opportunità economica di acquisizione della società “bersaglio”. Il mancato espletamento di un’attività di due diligence da parte della società offerente rientra, pertanto, nella valutazione discrezionale delle modalità con le quali si intende procedere all’acquisizione, senza che ciò comporti il venir meno degli obblighi imposti dalla legge per l’acquisto di partecipazioni qualificate. E se la società è giunta all’acquisizione del gruppo senza sufficienti informazioni sulle attività da questo svolte, ciò è imputabile esclusivamente alle proprie scelte imprenditoriali e non può, in tutta evidenza, assurgere a causa di giustificazione di un comportamento violativo della legge. Infine, si ricorda che il regolamento della Consob (delibera n. 11971 del 14/05/1999) adottato in attuazione dell’art. 102, comma 1 del T.U. obbliga colui che intende lanciare un’OPA a comunicare alla Consob il documento d’offerta e la scheda di adesione, che debbono indicare che “sono state contestualmente presentate alle autorità competenti le richieste di autorizzazione necessarie per l’acquisto delle partecipazioni” (art. 37, comma 1, lett. a). Se ne desume che anche nel caso dell’Opa è indispensabile che l’offerente abbia adempiuto agli obblighi di legge richiedendo le previste (e preventive) autorizzazioni. Inoltre, si consideri che – pur in assenza di riferimenti normativi – la dottrina maggioritaria è concorde nel sostenere che l’efficacia dell’offerta possa essere condizionata, risolutivamente o sospensivamente, al verificarsi di una o più condizioni, purché ciò non dipenda dalla mera volontà dell’offerente. Nel caso di specie, la condizione del rilascio dell’autorizzazione da parte dell’Autorità di controllo del settore avrebbe rispettato entrambi i requisiti richiesti e avrebbe potuto, quindi, essere legittimamente apposta all’OPA. Infine, non possono ritenersi rilevanti ai fini dell’esclusione di responsabilità né il fatto che l’Istituto bancario acquirente sia un soggetto noto all’Istituto perché già sottoposto alle verifiche previste dal D.M. 186/97, né tantomeno la probabile conclusione positiva dell’istruttoria con il rilascio dell’autorizzazione richiesta. Non può, infatti, legittimarsi con considerazioni postume o collaterali comportamento resta lesivo dell’obbligo di preventiva autorizzazione per l’acquisto di partecipazioni qualificate o di cartello. Per le ragioni sopra esposte si ritiene che il ritardo della Banca acquirente sia passibile di sanzione in rapporto all’inosservanza degli obblighi di cui agli artt. 10 e 11 legge n. 20/91; e ciò astraendo da profili di attenuazione delle relative responsabilità eventualmente valutabili nelle pertinenti fasi del procedimento sanzionatorio. Si è affrontata la questione relativa alla necessità per le compagnie di assicurazioni di acquisire il previo consenso del danneggiato per la evasione di una pratica risarcitoria. Nell’esaminare il problema dei rapporti tra norme della legge n. 57/01 e norme della legge 675/96 si è preliminarmente rilevato che sia mal posto in punto di diritto intertemporale. E’ di tutta evidenza, infatti, che la legge n. 57/01 costituisce, sotto il profilo delle ragioni della privacy, legge speciale e successiva rispetto alla legge n. 675/96, così dispiegando ai sensi dell’art. 15 preleggi piena efficacia modificativa (se non pure abrogativa in parte qua) delle norme in ipotesi ritenute contrastanti della legge n. 675/96. Che il legislatore non si sia fatto carico di conciliare le diverse esigenze insite nei due testi normativi è critica che tocca il merito legislativo e, dunque, non appare rilevante in sede applicativa; e ciò a tacere del fatto che ben potrebbe sostenersi la piena conciliabilità delle due esigenze, avendo la legge n. 57/01 previsto di porre a carico del danneggiato l’onere di completa documentazione probatoria dei danni subiti in modo da sottrarre l’impresa assicuratrice ad obblighi risarcitori non adeguatamente giustificati. Se si consideri, infine, l’interesse del danneggiato a fornire ogni possibile informazione – maxime sui danni fisici subiti – per dare congruo sostegno alla propria pretesa risarcitoria, si giunge alla ragionevole conclusione che il problema non si pone in chiave pratica, potendosi accreditare la sensazione che l’impresa con argomenti di carattere pretestuoso tenti di sottrarsi ad obblighi risarcitori dalla legge resi – qui la ratio legis è precisa al punto di sostenere l’intero impianto del novellato art. 3 legge n. 39/77 – più stringenti. In realtà, la necessità della Compagnia di chiedere il previo consenso quale pre- condizione di evasione della pratica risarcitoria ha una sua giustificazione, non tanto perché in assenza del consenso vi osterebbe il vincolo del rispetto della privacy, quanto piuttosto perché, non dando l’interessato le informazioni richieste come necessarie ai fini della valutazione e della quantificazione del danno, non viene data all’impresa la possibilità di soddisfare l’obbligo dell’offerta; ciò dicesi al punto da potersi sostenere che la mancata comunicazione dei dati costituisca valido motivo di rifiuto dell’offerta medesima ex art. 3, comma 1 novellato. Del resto, si richiama – a conforto di quanto precede – l’orientamento già espresso dal Garante per la privacy sulla questione (non priva di attinenza con quella qui in esame) dei rapporti tra riservatezza dei dati sanitari (i.e.: sensibili) e diritto di accesso presso la P.a.. Con una risoluzione del settembre 1999 il Garante ha riconosciuto la prevalenza di quest’ultimo diritto rispetto alla tutela della riservatezza circa dati sensibili attinenti (fra l’altro) a soggetti terzi. Ciò equivale a dire che la privacy non è un tabù, tanto più quando venga invocata contro gli interessi dello stesso titolare dei dati sensibili. Alla delle suesposte argomentazioni, si conclude sostenendo la non necessarietà del consenso del danneggiato per il trattamento dei dati sensibili acquisiti ai fini della formulazione dell’offerta da parte dell’impresa.

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Trasferimento d’azienda. Si è affrontata Nei casi di rilevanti ristrutturazioni e/o riorganizzazioni (anche se derivanti da innovazioni tecnologiche) l’informazione e la problematica relativa al mancato rispetto delle disposizioni consultazione sono successive alla fase decisionale. L’informazione scritta di cui all’art. 2112 c.c., alle leggi 47 della legge 29 dicembre 1990 1990, n. 428 come modificato dall’art. 2 del D.Lgs. n. 18/2001 deve riguardare i motivi della programmata ristrutturazione e/o riorganizzazione, le conseguenze giuridiche, economiche e 23 luglio 1991 n. 223sociali per i lavoratori/lavoratrici, nell’operazione le eventuali misure previste nei confronti di acquisto questi ultimi. Le ricadute sulle condizioni di un’impresa assicurativa da parte lavoro del personale nei casi su indicati formano oggetto di un’altra apposita procedura di contrattazione prima dell’attuazione operativa. I relativi incontri si svolgono tra l’azienda e successivamente da quest’ultima ceduta ad una terza impresa di assicurazionigli organismi sindacali aziendali e/o territoriali. La disciplina del trasferimento d’aziendaprima fase di detta procedura, oggetto delle disposizioni citatesalvo diversi accordi tra le Parti, è applicabile esclusivamente nelle ipotesi si svolge in sede aziendale e deve esaurirsi entro il termine di 15 giorni, successivi all’informativa di cui al primo comma. Qualora in tale sede non si sia verificata la cessione da un soggetto giunga ad un altro del “complesso di beni organizzati dall’imprenditore accordo si dà luogo ad ulteriori incontri negoziali che devono esaurirsi entro altri 30 giorni, trascorsi i quali l’azienda può attuare i provvedimenti deliberati, per l’esercizio dell’impresa”la parte concernente il personale. Nelle ipotesi, qualunque sia il mezzo tecnico-giuridico (venditainvece, usufrutto, affitto) con il quale il trasferimento è avvenuto. Tratto essenziale del trasferimento d’azienda è, pertanto, il mutamento del soggetto titolare del complesso aziendale, rimanendo quest’ultimo inalterato nella sua struttura organica e funzionale di bene strumentale rispetto all’esercizio dell’attività imprenditoriale. Le norme in materia di trasferimento d’azienda, disciplinanti la successione nei contratti di impresa e nei rapporti di lavoro stipulati dal cedente, non risultano applicabili nella fattispecie de qua poiché l’operazione si è concretizzata nell’acquisto e nella successiva vendita della totalità del pacchetto azionario dell’impresa oggetto del doppio scambio. In tale, ipotesi, infatti, manca il presupposto essenziale del trasferimento d’azienda, consistente nella successione di un soggetto all’altro nell’esercizio dell’attività imprenditoriale a cui il complesso dei beni aziendali è preposto. La società di capitali, come è noto, è soggetto giuridico autonomo, distinto e differenziato rispetto ai soci e l’eventuale mutamento di tutto o parte dell’azionariato non è in grado di incidere su di essa trasformandola in soggetto diverso da quello originario. Ne consegue che, mancando il presupposto del mutamento di soggettività, se l’attività societaria si concretizza nella gestione di un’azienda, questa rimarrà nella titolarità della società medesima non potendo in alcun modo configurarsi una successione, cioè un trasferimento, dell’azienda medesima. Al contrario, nell’ipotesi di azienda (quali fusione, anche per incorporazione, tra società concentrazione e scorporo) si realizza una sorta di successione universale corrispondente a quella che per le persone fisiche interviene mortis causa, con la conseguenza che il nuovo soggetto sarà totalmente autonomo e distinto rispetto alle entità originarie e potrà, pertanto, applicarsi integralmente applica la disciplina del trasferimento d’aziendadi legge, a prescindere dal numero dei dipendenti delle aziende interessate. La suesposta interpretazione risulta confermata da costante giurisprudenza – tale da far ritenere il principio jus receptum - secondo cui l’alienazione dell’intero pacchetto azionario non equivale alla vendita dell’azienda gestita dalla società; e ancora, il trasferimento Nel caso di cessione del pacchetto azionario di maggioranza o controllo l’impresa cedente, l’impresa ceduta e quella cessionaria, dopo la cessione medesima, ne informano con immediatezza gli organismi sindacali aziendali e verificano con gli stessi se vi sono ricadute sulle condizioni di controllo della società non incide (a differenza che nella fattispecie della fusione) sull’autonoma soggettività giuridica delle società interessate e non vale ad integrare il passaggio della titolarità dell’azienda ai sensi dell’art. 2112 x.x. (xx xxxxxxxx: Xxxx.lavoro del personale, xxxxxxxx x. 00/000; Cass., 03/07/1992, n. 8145; Xxxx., sez. lav., 02/04/1993, n. 4012; Cass., sez. lav., 06/09/1993, n. 9339; Cass., sez. lav., 26/11/1994, n. 10068, e, con riferimento specifico alla analoga fattispecie dell’acquisto, da parte di una società, delle azioni di un’altra società in numero tale – ancorché non superiore al 50% - da consentire alla prima il controllo sulla seconda, cfr. Xxxx., sez. lav., 11/04/1996, n. 3371). Per le ragioni esposte, si ritiene di poter escludere l’applicabilità alla fattispecie in esame della norme disciplinanti il trasferimento dell’azienda. Si è affrontata la questione relativa alla sanzionabilità del ritardo nella richiesta di autorizzazione ex artt. 10 e 11 legge n. 20/91 da parte di un Istituto bancario all’acquisto indiretto - attraverso l’assunzione del controllo sul capitale di altro Istituto bancario – di partecipazione qualificata in imprese di assicurazione. L’istanza di autorizzazione risulta, infatti, pervenuta a questo Istituto in data successiva a quella dell’effettivo trasferimento del pacchetto azionario di controllo, conseguente al positivo esperimento di un’offerta pubblica di acquisto ed avvenuto con il pagamento del quantum pattuito. Il dato normativo appare chiaro e puntuale nel prevedere che le operazioni debbano essere autorizzate prima che vengano poste in essere. Infatti, nell’ipotesi di acquisto, anche indiretto, di una partecipazione di controllo del capitale di un’impresa di assicurazione, la legge n. 20/91 prevede espressamente che la società acquirente debba essere “preventivamente autorizzata dall’Isvap” (art. 10). Inoltre, il decreto ministeriale di attuazione della legge n. 20/91 (D.M. 10 luglio 1991) precisa che ai fini del rilascio dell’autorizzazione l’Istituto dovrà valutare la capacità finanziaria e l’onorabilità del richiedente, gli eventuali collegamenti di carattere organizzativo, finanziario e convenzionale con altri soggetti ed, infine, il corretto esercizio dell’attività in precedenza svolta. Lo scopo dell’eventuale attivazione della disciplina dell’acquisto delle partecipazioni di controllo appare, quindi, incentrato sulla necessità di accertare la consistenza patrimoniale della società controllante l’impresa di assicurazione al fine precipuo di impedire che le direttive impartite dalla controllante nell’attività di gestione del gruppo possano compromettere l’attività della controllata a danno degli assicurati. Ciò premesso, si comprende perché il legislatore non abbia ritenuto sufficiente la mera comunicazione dell’avvenuto acquisto della partecipazione ed abbia, al contrario, ritenuto indispensabile il rilascio di un provvedimento autorizzatorio. Nella fattispecie in esame, pur essendosi l’operazione perfezionata con il pagamento del prezzo d’acquisto, l’istanza di autorizzazione è stata inviata all’Isvap soltanto in data successiva; pertanto, si ritiene che il comportamento dell’Istituto bancario possa essere sanzionato. La circostanza che l’acquisto si sia realizzato a seguito del fruttuoso esperimento di un’OPA preventiva non esclude la sanzionabilità del ritardo nella formulazione della richiesta di autorizzazione. Infatti, il dettato della norma in esame - nella sua genericità - comprende qualunque tipo di operazione che sia in grado di realizzare l’acquisto di una partecipazione di controllo nel capitale di un’impresa di assicurazione, ivi compreso lo strumento dell’offerta pubblica di acquisto. Né vale ad escludere la responsabilità la supposta “presunzione di conoscenza” da parte dell’Istituto del progetto di acquisizione dell’Istituto bancario insita nell’utilizzazione dello strumento dell’OPA. Come è noto, il T.U. sull’intermediazione finanziaria ( d.lgs. 24/02/1998 n. 58, cd. “riforma Draghi”), nel disciplinare le offerte pubbliche di acquisto, prevede la pubblicazione dell’offerta esclusivamente al duplice scopo di fornire ai titolari delle azioni informazioni utili per valutare l’opportunità di aderire o meno all’offerta e di garantire alla società “bersaglio” la possibilità di contrastare il tentativo di acquisizione. La conoscenza dell’operazione da parte della vigilanza assicurativa è un fatto puramente eventuale, non essendo a ciò finalizzata la pubblicazione del progetto. Né tantomeno possono ritenersi rilevanti le eccezioni formulate dalla Banca acquirente laddove sostiene di non aver effettuato tempestivamente la richiesta perché l’Opa è stata lanciata dopo aver raggiunto un accordo con il management della controllata, che non prevedeva alcuna verifica di due diligence sul gruppo oggetto di acquisizione, circostanza questa che avrebbe impedito all’offerente di avere una perfetta conoscenza delle partecipazioni assicurative, posto che presentavano minore rilevanza economica all’interno di gruppo svolgente prevalentemente attività nel settore bancario. L’attività di due diligence è un’attività organizzata al fine di raccogliere e verificare informazioni di natura patrimoniale, economica, gestionale ed ambientale relativamente ad una società oggetto di acquisizione che solitamente – ma non necessariamente – si svolge prima del lancio dell’OPA. Trattasi, in sostanza, di strumento preordinato alla valutazione dell’opportunità economica di acquisizione della società “bersaglio”. Il mancato espletamento di un’attività di due diligence da parte della società offerente rientra, pertanto, nella valutazione discrezionale delle modalità con le quali si intende procedere all’acquisizione, senza che ciò comporti il venir meno degli obblighi imposti dalla legge per l’acquisto di partecipazioni qualificate. E se la società è giunta all’acquisizione del gruppo senza sufficienti informazioni sulle attività da questo svolte, ciò è imputabile esclusivamente alle proprie scelte imprenditoriali e non può, in tutta evidenza, assurgere a causa di giustificazione di un comportamento violativo della legge. Infine, si ricorda che il regolamento della Consob (delibera n. 11971 del 14/05/1999) adottato in attuazione dell’art. 102, comma 1 del T.U. obbliga colui che intende lanciare un’OPA a comunicare alla Consob il documento d’offerta e la scheda di adesione, che debbono indicare che “sono state contestualmente presentate alle autorità competenti le richieste di autorizzazione necessarie per l’acquisto delle partecipazioni” (art. 37, comma 1, lett. a). Se ne desume che anche nel caso dell’Opa è indispensabile che l’offerente abbia adempiuto agli obblighi di legge richiedendo le previste (e preventive) autorizzazioni. Inoltre, si consideri che – pur in assenza di riferimenti normativi – la dottrina maggioritaria è concorde nel sostenere che l’efficacia dell’offerta possa essere condizionata, risolutivamente o sospensivamente, al verificarsi di una o più condizioni, purché ciò non dipenda dalla mera volontà dell’offerente. Nel caso di specie, la condizione del rilascio dell’autorizzazione da parte dell’Autorità di controllo del settore avrebbe rispettato entrambi i requisiti richiesti e avrebbe potuto, quindi, essere legittimamente apposta all’OPA. Infine, non possono ritenersi rilevanti ai fini dell’esclusione di responsabilità né il fatto che l’Istituto bancario acquirente sia un soggetto noto all’Istituto perché già sottoposto alle verifiche previste dal D.M. 186/97, né tantomeno la probabile conclusione positiva dell’istruttoria con il rilascio dell’autorizzazione richiesta. Non può, infatti, legittimarsi con considerazioni postume o collaterali comportamento resta lesivo dell’obbligo di preventiva autorizzazione per l’acquisto di partecipazioni qualificate o di cartello. Per le ragioni sopra esposte si ritiene che il ritardo della Banca acquirente sia passibile di sanzione in rapporto all’inosservanza degli obblighi procedura di cui agli arttal 1° comma del presente articolo. 10 Durante le procedure di cui al presente articolo le Parti si asterranno da ogni iniziativa unilaterale e 11 legge n. 20/91; e ciò astraendo da profili di attenuazione delle relative responsabilità eventualmente valutabili nelle pertinenti fasi del procedimento sanzionatorio. Si è affrontata la questione relativa alla necessità per le compagnie di assicurazioni di acquisire il previo consenso del danneggiato per la evasione di una pratica risarcitoria. Nell’esaminare il problema dei rapporti tra norme della legge n. 57/01 e norme della legge 675/96 si è preliminarmente rilevato che sia mal posto in punto di diritto intertemporale. E’ di tutta evidenza, infatti, che la legge n. 57/01 costituisce, sotto il profilo delle ragioni della privacy, legge speciale e successiva rispetto alla legge n. 675/96, così dispiegando ai sensi dell’art. 15 preleggi piena efficacia modificativa (se non pure abrogativa in parte qua) delle norme in ipotesi ritenute contrastanti della legge n. 675/96. Che il legislatore non si sia fatto carico di conciliare le diverse esigenze insite nei due testi normativi è critica che tocca il merito legislativo e, dunque, non appare rilevante in sede applicativa; e ciò a tacere del fatto che ben potrebbe sostenersi la piena conciliabilità delle due esigenze, avendo la legge n. 57/01 previsto di porre a carico del danneggiato l’onere di completa documentazione probatoria dei danni subiti in modo da sottrarre l’impresa assicuratrice ad obblighi risarcitori non adeguatamente giustificati. Se si consideri, infine, l’interesse del danneggiato a fornire ogni possibile informazione – maxime sui danni fisici subiti – per dare congruo sostegno alla propria pretesa risarcitoria, si giunge alla ragionevole conclusione che il problema non si pone in chiave pratica, potendosi accreditare la sensazione che l’impresa con argomenti di carattere pretestuoso tenti di sottrarsi ad obblighi risarcitori dalla legge resi – qui la ratio legis è precisa al punto di sostenere l’intero impianto del novellato art. 3 legge n. 39/77 – più stringenti. In realtà, la necessità della Compagnia di chiedere il previo consenso quale pre- condizione di evasione della pratica risarcitoria ha una sua giustificazione, non tanto perché in assenza del consenso vi osterebbe il vincolo del rispetto della privacy, quanto piuttosto perché, non dando l’interessato le informazioni richieste come necessarie ai fini della valutazione e della quantificazione del danno, non viene data all’impresa la possibilità di soddisfare l’obbligo dell’offerta; ciò dicesi al punto da potersi sostenere che la mancata comunicazione dei dati costituisca valido motivo di rifiuto dell’offerta medesima ex art. 3, comma 1 novellato. Del resto, si richiama – a conforto di quanto precede – l’orientamento già espresso dal Garante per la privacy sulla questione (non priva di attinenza con quella qui in esame) dei rapporti tra riservatezza dei dati sanitari (i.e.: sensibili) e diritto di accesso presso la P.a.. Con una risoluzione del settembre 1999 il Garante ha riconosciuto la prevalenza di quest’ultimo diritto rispetto alla tutela della riservatezza circa dati sensibili attinenti (fra l’altro) a soggetti terzi. Ciò equivale a dire che la privacy non è un tabù, tanto più quando venga invocata contro gli interessi dello stesso titolare dei dati sensibili. Alla delle suesposte argomentazioni, si conclude sostenendo la non necessarietà del consenso del danneggiato per il trattamento dei dati sensibili acquisiti ai fini della formulazione dell’offerta da parte dell’impresaazione diretta.

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Samples: Contratto Collettivo Nazionale Di Lavoro Per I Quadri, Impiegati E Gli Operai Delle Societa' d'Intermediazione Mobiliare, Societa' Di Raccolta E Di Sollecitazione Al Pubblico Risparmio E Aziende Di Servizi Intrinsecamente Ordinate E Funzionali Alle Stesse

Trasferimento d’azienda. Si è affrontata la problematica relativa L’art. 47 della legge 29 dicembre 1990, n. 428, come modificato dal X.Xxx. 2 febbraio 2001, n. 18, sancisce in caso di trasferimento di un'azienda in cui sono occupati più di 15 dipendenti (o di un ramo di essa) l’obbligo di comunicazione a carico del cedente e del cessionario nei confronti delle «rispettive rappresentanze sindacali unitarie, ovvero alle rappresentanze sindacali aziendali costituite, a norma dell’articolo 19 della legge 20 maggio 1970, n. 300, nelle unità produttive interessate, nonché ai sindacati di categoria che hanno stipulato il contratto collettivo applicato nelle imprese interessate al trasferimento. In mancanza delle predette rappresentanze aziendali, resta fermo l’obbligo di comunicazione nei confronti dei sindacati di categoria comparativamente più rappresentativi». Su richiesta scritta dei destinatari, comunicata entro 7 giorni dal ricevimento della predetta comunicazione, il cedente ed il cessionario sono tenuti ad avviare, entro i successivi sette giorni dal ricevimento della predetta richiesta, un esame congiunto con i soggetti sindacali richiedenti. La consultazione si intende esaurita qualora, decorsi 10 giorni dal suo inizio, non sia stato raggiunto un accordo. Il mancato rispetto delle disposizioni di cui all’art. 2112 c.c., alle leggi 29 dicembre 1990 n. 428 e 23 luglio 1991 n. 223, nell’operazione di acquisto di un’impresa assicurativa da parte del cedente o del cessionario dell’obbligo di un’altra e successivamente da quest’ultima ceduta ad una terza impresa esame congiunto (così come la comunicazione di assicurazioni. La disciplina del trasferimento d’azienda, oggetto delle disposizioni citate, è applicabile esclusivamente nelle ipotesi in cui si sia verificata la cessione da un soggetto ad un altro del “complesso di beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa”, qualunque sia il mezzo tecnico-giuridico (vendita, usufrutto, affittoinformazioni false o incomplete) con il quale il trasferimento è avvenuto. Tratto essenziale del trasferimento d’azienda è, pertanto, il mutamento del soggetto titolare del complesso aziendale, rimanendo quest’ultimo inalterato nella sua struttura organica e funzionale di bene strumentale rispetto all’esercizio dell’attività imprenditoriale. Le norme in materia di trasferimento d’azienda, disciplinanti la successione nei contratti di impresa e nei rapporti di lavoro stipulati dal cedente, non risultano applicabili nella fattispecie de qua poiché l’operazione si è concretizzata nell’acquisto e nella successiva vendita della totalità del pacchetto azionario dell’impresa oggetto del doppio scambio. In tale, ipotesi, infatti, manca il presupposto essenziale del trasferimento d’azienda, consistente nella successione di un soggetto all’altro nell’esercizio dell’attività imprenditoriale a cui il complesso dei beni aziendali è preposto. La società di capitali, come è noto, è soggetto giuridico autonomo, distinto e differenziato rispetto ai soci e l’eventuale mutamento di tutto o parte dell’azionariato non è in grado di incidere su di essa trasformandola in soggetto diverso da quello originario. Ne consegue che, mancando il presupposto del mutamento di soggettività, se l’attività societaria si concretizza nella gestione di un’azienda, questa rimarrà nella titolarità della società medesima non potendo in alcun modo configurarsi una successione, cioè un trasferimento, dell’azienda medesima. Al contrario, nell’ipotesi di fusione, anche per incorporazione, tra società si realizza una sorta di successione universale corrispondente a quella che per le persone fisiche interviene mortis causa, con la conseguenza che il nuovo soggetto sarà totalmente autonomo e distinto rispetto alle entità originarie e potrà, pertanto, applicarsi integralmente la disciplina del trasferimento d’azienda. La suesposta interpretazione risulta confermata da costante giurisprudenza – tale da far ritenere il principio jus receptum - secondo cui l’alienazione dell’intero pacchetto azionario non equivale alla vendita dell’azienda gestita dalla società; e ancora, il trasferimento del pacchetto azionario di maggioranza o di controllo della società non incide (a differenza che nella fattispecie della fusione) sull’autonoma soggettività giuridica delle società interessate e non vale ad integrare il passaggio della titolarità dell’azienda costituisce condotta antisindacale ai sensi dell’art. 2112 x.x28 Stat. (xx xxxxxxxx: XxxxLav., xxxxxxxx x. 00/000; Cass., 03/07/1992, n. 8145; Xxxx., sez. lav., 02/04/1993, n. 4012; Cass., sez. lav., 06/09/1993, n. 9339; Cass., sez. lav., 26/11/1994, n. 10068, e, con riferimento specifico alla analoga fattispecie dell’acquisto, da parte di una società, delle azioni di un’altra società in numero tale – ancorché non superiore al 50% - da consentire alla prima il controllo sulla seconda, cfr. Xxxx., sez. lav., 11/04/1996, n. 3371). Per le ragioni esposte, si ritiene di poter escludere l’applicabilità alla fattispecie in esame della norme disciplinanti il trasferimento dell’azienda. Si è affrontata la questione relativa alla sanzionabilità del ritardo nella richiesta di autorizzazione ex artt. 10 e 11 legge n. 20/91 da parte di un Istituto bancario all’acquisto indiretto - attraverso l’assunzione del controllo sul capitale di altro Istituto bancario – di partecipazione qualificata in imprese di assicurazione. L’istanza di autorizzazione risulta, infatti, pervenuta a questo Istituto in data successiva a quella dell’effettivo trasferimento del pacchetto azionario di controllo, conseguente al positivo esperimento di un’offerta pubblica di acquisto ed avvenuto con il pagamento del quantum pattuito. Il dato normativo appare chiaro e puntuale nel prevedere che le operazioni debbano essere autorizzate prima che vengano poste in essere. Infatti, nell’ipotesi di acquisto, anche indiretto, di una partecipazione di controllo del capitale di un’impresa di assicurazione, la legge n. 20/91 prevede espressamente che la società acquirente debba essere “preventivamente autorizzata dall’Isvap” (art. 10). Inoltre, il decreto ministeriale di attuazione della legge n. 20/91 (D.M. 10 luglio 1991) precisa che ai fini del rilascio dell’autorizzazione l’Istituto dovrà valutare la capacità finanziaria e l’onorabilità del richiedente, gli eventuali collegamenti di carattere organizzativo, finanziario e convenzionale con altri soggetti ed, infine, il corretto esercizio dell’attività in precedenza svolta. Lo scopo della disciplina dell’acquisto delle partecipazioni di controllo appare, quindi, incentrato sulla necessità di accertare la consistenza patrimoniale della società controllante l’impresa di assicurazione al fine precipuo di impedire che le direttive impartite dalla controllante nell’attività di gestione del gruppo possano compromettere l’attività della controllata a danno degli assicurati. Ciò premesso, si comprende perché il legislatore non abbia ritenuto sufficiente la mera comunicazione dell’avvenuto acquisto della partecipazione ed abbia, al contrario, ritenuto indispensabile il rilascio di un provvedimento autorizzatorio. Nella fattispecie in esame, pur essendosi l’operazione perfezionata con il pagamento del prezzo d’acquisto, l’istanza di autorizzazione è stata inviata all’Isvap soltanto in data successiva; pertanto, si ritiene che il comportamento dell’Istituto bancario possa essere sanzionato. La circostanza che l’acquisto si sia realizzato a seguito del fruttuoso esperimento di un’OPA preventiva non esclude la sanzionabilità del ritardo nella formulazione della richiesta di autorizzazione. Infatti, il dettato della norma in esame - nella sua genericità - comprende qualunque tipo di operazione che sia in grado di realizzare l’acquisto di una partecipazione di controllo nel capitale di un’impresa di assicurazione, ivi compreso lo strumento dell’offerta pubblica di acquisto. Né vale ad escludere la responsabilità la supposta “presunzione di conoscenza” da parte dell’Istituto del progetto di acquisizione dell’Istituto bancario insita nell’utilizzazione dello strumento dell’OPA. Come è noto, il T.U. sull’intermediazione finanziaria ( d.lgs. 24/02/1998 n. 58, cd. “riforma Draghi”), nel disciplinare le offerte pubbliche di acquisto, prevede la pubblicazione dell’offerta esclusivamente al duplice scopo di fornire ai titolari delle azioni informazioni utili per valutare l’opportunità di aderire o meno all’offerta e di garantire alla società “bersaglio” la possibilità di contrastare il tentativo di acquisizione. La conoscenza dell’operazione da parte della vigilanza assicurativa è un fatto puramente eventuale, non essendo a ciò finalizzata la pubblicazione del progetto. Né tantomeno possono ritenersi rilevanti le eccezioni formulate dalla Banca acquirente laddove sostiene di non aver effettuato tempestivamente la richiesta perché l’Opa è stata lanciata dopo aver raggiunto un accordo con il management della controllata, che non prevedeva alcuna verifica di due diligence sul gruppo oggetto di acquisizione, circostanza questa che avrebbe impedito all’offerente di avere una perfetta conoscenza delle partecipazioni assicurative, posto che presentavano minore rilevanza economica all’interno di gruppo svolgente prevalentemente attività nel settore bancario. L’attività di due diligence è un’attività organizzata al fine di raccogliere e verificare informazioni di natura patrimoniale, economica, gestionale ed ambientale relativamente ad una società oggetto di acquisizione che solitamente – ma non necessariamente – si svolge prima del lancio dell’OPA. Trattasi, in sostanza, di strumento preordinato alla valutazione dell’opportunità economica di acquisizione della società “bersaglio”. Il mancato espletamento di un’attività di due diligence da parte della società offerente rientra, pertanto, nella valutazione discrezionale delle modalità con le quali si intende procedere all’acquisizione, senza che ciò comporti il venir meno degli obblighi imposti dalla legge per l’acquisto di partecipazioni qualificate. E se la società è giunta all’acquisizione del gruppo senza sufficienti informazioni sulle attività da questo svolte, ciò è imputabile esclusivamente alle proprie scelte imprenditoriali e non può, in tutta evidenza, assurgere a causa di giustificazione di un comportamento violativo della legge. Infine, si ricorda che il regolamento della Consob (delibera n. 11971 del 14/05/1999) adottato in attuazione dell’art. 102, comma 1 del T.U. obbliga colui che intende lanciare un’OPA a comunicare alla Consob il documento d’offerta e la scheda di adesione, che debbono indicare che “sono state contestualmente presentate alle autorità competenti le richieste di autorizzazione necessarie per l’acquisto delle partecipazioni” (art. 37, comma 1, lett. a). Se ne desume che anche nel caso dell’Opa è indispensabile che l’offerente abbia adempiuto agli obblighi di legge richiedendo le previste (e preventive) autorizzazioni. Inoltre, si consideri che – pur in assenza di riferimenti normativi – la dottrina maggioritaria è concorde nel sostenere che l’efficacia dell’offerta possa essere condizionata, risolutivamente o sospensivamente, al verificarsi di una o più condizioni, purché ciò non dipenda dalla mera volontà dell’offerente. Nel caso di specie, la condizione del rilascio dell’autorizzazione da parte dell’Autorità di controllo del settore avrebbe rispettato entrambi i requisiti richiesti e avrebbe potuto, quindi, essere legittimamente apposta all’OPA. Infine, non possono ritenersi rilevanti ai fini dell’esclusione di responsabilità né il fatto che l’Istituto bancario acquirente sia un soggetto noto all’Istituto perché già sottoposto alle verifiche previste dal D.M. 186/97, né tantomeno la probabile conclusione positiva dell’istruttoria con il rilascio dell’autorizzazione richiesta. Non può, infatti, legittimarsi con considerazioni postume o collaterali comportamento resta lesivo dell’obbligo di preventiva autorizzazione per l’acquisto di partecipazioni qualificate o di cartello. Per le ragioni sopra esposte si ritiene che il ritardo della Banca acquirente sia passibile di sanzione in rapporto all’inosservanza degli obblighi di cui agli artt. 10 e 11 legge n. 20/91; e ciò astraendo da profili di attenuazione delle relative responsabilità eventualmente valutabili nelle pertinenti fasi del procedimento sanzionatorio. Si è affrontata la questione relativa alla necessità per le compagnie di assicurazioni di acquisire il previo consenso del danneggiato per la evasione di una pratica risarcitoria. Nell’esaminare il problema dei rapporti tra norme della legge n. 57/01 e norme della legge 675/96 si è preliminarmente rilevato che sia mal posto in punto di diritto intertemporale. E’ di tutta evidenza, infatti, che la legge n. 57/01 costituisce, sotto il profilo delle ragioni della privacy, legge speciale e successiva rispetto alla legge n. 675/96, così dispiegando ai sensi dell’art. 15 preleggi piena efficacia modificativa (se non pure abrogativa in parte qua) delle norme in ipotesi ritenute contrastanti della legge n. 675/96. Che il legislatore non si sia fatto carico di conciliare le diverse esigenze insite nei due testi normativi è critica che tocca il merito legislativo e, dunque, non appare rilevante in sede applicativa; e ciò a tacere del fatto che ben potrebbe sostenersi la piena conciliabilità delle due esigenze, avendo la legge n. 57/01 previsto di porre a carico del danneggiato l’onere di completa documentazione probatoria dei danni subiti in modo da sottrarre l’impresa assicuratrice ad obblighi risarcitori non adeguatamente giustificati. Se si consideri, infine, l’interesse del danneggiato a fornire ogni possibile informazione – maxime sui danni fisici subiti – per dare congruo sostegno alla propria pretesa risarcitoria, si giunge alla ragionevole conclusione che il problema non si pone in chiave pratica, potendosi accreditare la sensazione che l’impresa con argomenti di carattere pretestuoso tenti di sottrarsi ad obblighi risarcitori dalla legge resi – qui la ratio legis è precisa al punto di sostenere l’intero impianto del novellato art. 3 legge n. 39/77 – più stringenti. In realtà, la necessità della Compagnia di chiedere il previo consenso quale pre- condizione di evasione della pratica risarcitoria ha una sua giustificazione, non tanto perché in assenza del consenso vi osterebbe il vincolo del rispetto della privacy, quanto piuttosto perché, non dando l’interessato le informazioni richieste come necessarie ai fini della valutazione e della quantificazione del danno, non viene data all’impresa la possibilità di soddisfare l’obbligo dell’offerta; ciò dicesi al punto da potersi sostenere che la mancata comunicazione dei dati costituisca valido motivo di rifiuto dell’offerta medesima ex art. 3, comma 1 novellato. Del resto, si richiama – a conforto di quanto precede – l’orientamento già espresso dal Garante per la privacy sulla questione (non priva di attinenza con quella qui in esame) dei rapporti tra riservatezza dei dati sanitari (i.e.: sensibili) e diritto di accesso presso la P.a.. Con una risoluzione del settembre 1999 il Garante ha riconosciuto la prevalenza di quest’ultimo diritto rispetto alla tutela della riservatezza circa dati sensibili attinenti (fra l’altro) a soggetti terzi. Ciò equivale a dire che la privacy non è un tabù, tanto più quando venga invocata contro gli interessi dello stesso titolare dei dati sensibili. Alla delle suesposte argomentazioni, si conclude sostenendo la non necessarietà del consenso del danneggiato per il trattamento dei dati sensibili acquisiti ai fini della formulazione dell’offerta da parte dell’impresacomporta l’invalidità dell’intero negozio giuridico traslativo.

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Trasferimento d’azienda. Si La giurisprudenza si è affrontata occupata sotto diversi profili dell’antisindacalità del comportamento assunto dal datore di lavoro nell’ambito della procedura ex art. 47 della legge 428/1990. In primo luogo, la problematica relativa al norma contiene l’espressa previsione secondo cui il mancato rispetto da parte del cedente e del cessionario dell’obbligo di esame congiunto costituisca condotta antisindacale ai sensi dell’art. 28 Stat. Lav. Sebbene la disposizione limiti il carattere di antisindacalità alla sola violazione dell’obbligo di esame congiunto, la giurisprudenza è assolutamente costante nel riconoscere come antisindacale anche la mancata attivazione delle disposizioni procedure di comunicazione e informazione, atteso che esse sono prodromiche rispetto all’effettuazione dell’esame congiunto. V'è da sottolineare che la condotta antisindacale posta in essere dal datore di lavoro a causa dell’inosservanza degli obblighi di informazione non comporta l’invalidità dell’intero negozio giuridico traslativo, atteso che «il mancato adempimento dell’obbligo di informazione del sindacato costituisce comportamento che viola l’interesse del destinatario delle informazioni, ossia il sindacato, ed è pertanto, sussistendone i presupposti, configurabile come condotta antisindacale ai sensi dell’art. 28 legge 300/1970, ma non incide sulla validità del negozio traslativo, non potendosi configurare l’osservanza delle suddette procedure sindacali alla stregua di un presupposto di legittimità (e quindi di un requisito di validità) del negozio di trasferimento» (Cass. 4 gennaio 2000, n. 23). Se la violazione dell’obbligo di informazione del sindacato previsto dall’art. 47 della legge 428/1990 non inficia la validità del negozio di cessione dell’azienda, occorre chiedersi quali siano gli effetti della condotta antisindacale che devono essere rimossi attraverso l’ordine giudiziale emesso all’esito del procedimento di cui all’art. 2112 c.c.28 Stat. Lav. Al riguardo, si deve ritenere che tale ordine di rimozione non potrà che riguardare le «conseguenze giuridiche, economiche e sociali per i lavoratori» e le «eventuali misure previste nei confronti di questi ultimi» espressamente indicate dall’art. 47 in esame quali oggetto dell’esame congiunto. Quanto al contenuto della comunicazione inviata alle leggi 29 dicembre 1990 n. 428 e 23 luglio 1991 n. 223, nell’operazione di acquisto di un’impresa assicurativa da parte di un’altra e successivamente da quest’ultima ceduta ad una terza impresa di assicurazioni. La disciplina del trasferimento d’azienda, oggetto delle disposizioni citateorganizzazioni sindacali, è applicabile esclusivamente nelle ipotesi in cui si sia verificata la cessione da un soggetto ad un altro del “complesso stato innanzitutto rilevato dalla giurisprudenza di beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa”, qualunque sia il mezzo tecnico-giuridico (vendita, usufrutto, affitto) con il quale il trasferimento è avvenuto. Tratto essenziale del trasferimento d’azienda è, pertanto, il mutamento del soggetto titolare del complesso aziendale, rimanendo quest’ultimo inalterato nella sua struttura organica e funzionale di bene strumentale rispetto all’esercizio dell’attività imprenditoriale. Le norme in materia di trasferimento d’azienda, disciplinanti la successione nei contratti di impresa e nei rapporti di lavoro stipulati dal cedente, non risultano applicabili nella fattispecie de qua poiché l’operazione si è concretizzata nell’acquisto e nella successiva vendita della totalità del pacchetto azionario dell’impresa oggetto del doppio scambio. In tale, ipotesi, infatti, manca il presupposto essenziale del trasferimento d’azienda, consistente nella successione di un soggetto all’altro nell’esercizio dell’attività imprenditoriale a cui il complesso dei beni aziendali è preposto. La società di capitali, come è noto, è soggetto giuridico autonomo, distinto e differenziato rispetto ai soci e l’eventuale mutamento di tutto o parte dell’azionariato non è in grado di incidere su di essa trasformandola in soggetto diverso da quello originario. Ne consegue che, mancando il presupposto del mutamento di soggettività, se l’attività societaria si concretizza nella gestione di un’azienda, questa rimarrà nella titolarità della società medesima non potendo in alcun modo configurarsi una successione, cioè un trasferimento, dell’azienda medesima. Al contrario, nell’ipotesi di fusione, anche per incorporazione, tra società si realizza una sorta di successione universale corrispondente a quella che per le persone fisiche interviene mortis causa, con la conseguenza che il nuovo soggetto sarà totalmente autonomo e distinto rispetto alle entità originarie e potrà, pertanto, applicarsi integralmente la disciplina del trasferimento d’azienda. La suesposta interpretazione risulta confermata da costante giurisprudenza – tale da far ritenere il principio jus receptum - secondo cui l’alienazione dell’intero pacchetto azionario non equivale alla vendita dell’azienda gestita dalla società; e ancora, il trasferimento del pacchetto azionario di maggioranza o di controllo della società non incide (a differenza che nella fattispecie della fusione) sull’autonoma soggettività giuridica delle società interessate e non vale ad integrare il passaggio della titolarità dell’azienda ai sensi dell’art. 2112 x.x. (xx xxxxxxxx: Xxxx., xxxxxxxx x. 00/000; Cass., 03/07/1992, n. 8145; Xxxx., sez. lav., 02/04/1993, n. 4012; Cass., sez. lav., 06/09/1993, n. 9339; Cass., sez. lav., 26/11/1994, n. 10068, e, con riferimento specifico alla analoga fattispecie dell’acquisto, da parte di una società, delle azioni di un’altra società in numero tale – ancorché non superiore al 50% - da consentire alla prima il controllo sulla seconda, cfr. Xxxx., sez. lav., 11/04/1996, n. 3371). Per le ragioni esposte, si ritiene di poter escludere l’applicabilità alla fattispecie in esame della norme disciplinanti il trasferimento dell’azienda. Si è affrontata la questione relativa alla sanzionabilità del ritardo nella richiesta di autorizzazione ex artt. 10 e 11 legge n. 20/91 da parte di un Istituto bancario all’acquisto indiretto - attraverso l’assunzione del controllo sul capitale di altro Istituto bancario – di partecipazione qualificata in imprese di assicurazione. L’istanza di autorizzazione risulta, infatti, pervenuta a questo Istituto in data successiva a quella dell’effettivo trasferimento del pacchetto azionario di controllo, conseguente al positivo esperimento di un’offerta pubblica di acquisto ed avvenuto con il pagamento del quantum pattuito. Il dato normativo appare chiaro e puntuale nel prevedere che le operazioni debbano essere autorizzate prima che vengano poste in essere. Infatti, nell’ipotesi di acquisto, anche indiretto, di una partecipazione di controllo del capitale di un’impresa di assicurazione, la legge n. 20/91 prevede espressamente merito che la società acquirente debba essere “preventivamente autorizzata dall’Isvap” (art. 10). Inoltre, il decreto ministeriale comunicazione di attuazione informazioni generiche o incomplete integra gli estremi della legge n. 20/91 (D.M. 10 luglio 1991) precisa che ai fini del rilascio dell’autorizzazione l’Istituto dovrà valutare la capacità finanziaria e l’onorabilità del richiedente, gli eventuali collegamenti di carattere organizzativo, finanziario e convenzionale con altri soggetti ed, infine, il corretto esercizio dell’attività in precedenza svolta. Lo scopo della disciplina dell’acquisto delle partecipazioni di controllo appare, quindi, incentrato sulla necessità di accertare la consistenza patrimoniale della società controllante l’impresa di assicurazione al fine precipuo di impedire che le direttive impartite dalla controllante nell’attività di gestione del gruppo possano compromettere l’attività della controllata a danno degli assicurati. Ciò premesso, si comprende perché il legislatore non abbia ritenuto sufficiente la mera comunicazione dell’avvenuto acquisto della partecipazione ed abbia, al contrario, ritenuto indispensabile il rilascio di un provvedimento autorizzatorio. Nella fattispecie in esame, pur essendosi l’operazione perfezionata con il pagamento del prezzo d’acquisto, l’istanza di autorizzazione è stata inviata all’Isvap soltanto in data successiva; pertanto, si ritiene che il comportamento dell’Istituto bancario possa essere sanzionato. La circostanza che l’acquisto si sia realizzato a seguito del fruttuoso esperimento di un’OPA preventiva non esclude la sanzionabilità del ritardo nella formulazione della richiesta di autorizzazione. Infatti, il dettato della norma in esame - nella sua genericità - comprende qualunque tipo di operazione che sia in grado di realizzare l’acquisto di una partecipazione di controllo nel capitale di un’impresa di assicurazione, ivi compreso lo strumento dell’offerta pubblica di acquisto. Né vale ad escludere la responsabilità la supposta “presunzione di conoscenza” da parte dell’Istituto del progetto di acquisizione dell’Istituto bancario insita nell’utilizzazione dello strumento dell’OPA. Come è noto, il T.U. sull’intermediazione finanziaria ( d.lgs. 24/02/1998 n. 58, cd. “riforma Draghi”), nel disciplinare le offerte pubbliche di acquisto, prevede la pubblicazione dell’offerta esclusivamente al duplice scopo di fornire ai titolari delle azioni informazioni utili per valutare l’opportunità di aderire o meno all’offerta e di garantire alla società “bersaglio” la possibilità di contrastare il tentativo di acquisizione. La conoscenza dell’operazione da parte della vigilanza assicurativa è un fatto puramente eventuale, non essendo a ciò finalizzata la pubblicazione del progetto. Né tantomeno possono ritenersi rilevanti le eccezioni formulate dalla Banca acquirente laddove sostiene di non aver effettuato tempestivamente la richiesta perché l’Opa è stata lanciata dopo aver raggiunto un accordo con il management della controllata, che non prevedeva alcuna verifica di due diligence sul gruppo oggetto di acquisizione, circostanza questa che avrebbe impedito all’offerente di avere una perfetta conoscenza delle partecipazioni assicurative, posto che presentavano minore rilevanza economica all’interno di gruppo svolgente prevalentemente attività nel settore bancario. L’attività di due diligence è un’attività organizzata al fine di raccogliere e verificare informazioni di natura patrimoniale, economica, gestionale ed ambientale relativamente ad una società oggetto di acquisizione che solitamente – ma non necessariamente – si svolge prima del lancio dell’OPA. Trattasi, in sostanza, di strumento preordinato alla valutazione dell’opportunità economica di acquisizione della società “bersaglio”. Il mancato espletamento di un’attività di due diligence da parte della società offerente rientra, pertanto, nella valutazione discrezionale delle modalità con le quali si intende procedere all’acquisizione, senza che ciò comporti il venir meno degli obblighi imposti dalla legge per l’acquisto di partecipazioni qualificate. E se la società è giunta all’acquisizione del gruppo senza sufficienti informazioni sulle attività da questo svolte, ciò è imputabile esclusivamente alle proprie scelte imprenditoriali e non può, in tutta evidenza, assurgere a causa di giustificazione di un comportamento violativo della legge. Infine, si ricorda che il regolamento della Consob (delibera n. 11971 del 14/05/1999) adottato in attuazione dell’art. 102, comma 1 del T.U. obbliga colui che intende lanciare un’OPA a comunicare alla Consob il documento d’offerta e la scheda di adesione, che debbono indicare che “sono state contestualmente presentate alle autorità competenti le richieste di autorizzazione necessarie per l’acquisto delle partecipazioni” (art. 37, comma 1, lett. a). Se ne desume che anche nel caso dell’Opa è indispensabile che l’offerente abbia adempiuto agli obblighi di legge richiedendo le previste (e preventive) autorizzazioni. Inoltre, si consideri che – pur in assenza di riferimenti normativi – la dottrina maggioritaria è concorde nel sostenere che l’efficacia dell’offerta possa essere condizionata, risolutivamente o sospensivamente, al verificarsi di una o più condizioni, purché ciò non dipenda dalla mera volontà dell’offerente. Nel caso di specie, la condizione del rilascio dell’autorizzazione da parte dell’Autorità di controllo del settore avrebbe rispettato entrambi i requisiti richiesti e avrebbe potuto, quindi, essere legittimamente apposta all’OPA. Infine, non possono ritenersi rilevanti ai fini dell’esclusione di responsabilità né il fatto che l’Istituto bancario acquirente sia un soggetto noto all’Istituto perché già sottoposto alle verifiche previste dal D.M. 186/97, né tantomeno la probabile conclusione positiva dell’istruttoria con il rilascio dell’autorizzazione richiesta. Non può, infatti, legittimarsi con considerazioni postume o collaterali comportamento resta lesivo dell’obbligo di preventiva autorizzazione per l’acquisto di partecipazioni qualificate o di cartello. Per le ragioni sopra esposte si ritiene che il ritardo della Banca acquirente sia passibile di sanzione in rapporto all’inosservanza degli obblighi di cui agli artt. 10 e 11 legge n. 20/91; e ciò astraendo da profili di attenuazione delle relative responsabilità eventualmente valutabili nelle pertinenti fasi del procedimento sanzionatorio. Si è affrontata la questione relativa alla necessità per le compagnie di assicurazioni di acquisire il previo consenso del danneggiato per la evasione di una pratica risarcitoria. Nell’esaminare il problema dei rapporti tra norme della legge n. 57/01 e norme della legge 675/96 si è preliminarmente rilevato che sia mal posto in punto di diritto intertemporale. E’ di tutta evidenza, infatti, che la legge n. 57/01 costituisce, sotto il profilo delle ragioni della privacy, legge speciale e successiva rispetto alla legge n. 675/96, così dispiegando ai sensi dell’art. 15 preleggi piena efficacia modificativa (se non pure abrogativa in parte qua) delle norme in ipotesi ritenute contrastanti della legge n. 675/96. Che il legislatore non si sia fatto carico di conciliare le diverse esigenze insite nei due testi normativi è critica che tocca il merito legislativo e, dunque, non appare rilevante in sede applicativa; e ciò a tacere del fatto che ben potrebbe sostenersi la piena conciliabilità delle due esigenze, avendo la legge n. 57/01 previsto di porre a carico del danneggiato l’onere di completa documentazione probatoria dei danni subiti in modo da sottrarre l’impresa assicuratrice ad obblighi risarcitori non adeguatamente giustificati. Se si consideri, infine, l’interesse del danneggiato a fornire ogni possibile informazione – maxime sui danni fisici subiti – per dare congruo sostegno alla propria pretesa risarcitoria, si giunge alla ragionevole conclusione che il problema non si pone in chiave pratica, potendosi accreditare la sensazione che l’impresa con argomenti di carattere pretestuoso tenti di sottrarsi ad obblighi risarcitori dalla legge resi – qui la ratio legis è precisa al punto di sostenere l’intero impianto del novellato art. 3 legge n. 39/77 – più stringenti. In realtà, la necessità della Compagnia di chiedere il previo consenso quale pre- condizione di evasione della pratica risarcitoria ha una sua giustificazione, non tanto perché in assenza del consenso vi osterebbe il vincolo del rispetto della privacy, quanto piuttosto perché, non dando l’interessato le informazioni richieste come necessarie ai fini della valutazione e della quantificazione del danno, non viene data all’impresa la possibilità di soddisfare l’obbligo dell’offerta; ciò dicesi al punto da potersi sostenere che la mancata comunicazione dei dati costituisca valido motivo di rifiuto dell’offerta medesima ex art. 3, comma 1 novellato. Del resto, si richiama – a conforto di quanto precede – l’orientamento già espresso dal Garante per la privacy sulla questione (non priva di attinenza con quella qui in esame) dei rapporti tra riservatezza dei dati sanitari (i.e.: sensibili) e diritto di accesso presso la P.a.. Con una risoluzione del settembre 1999 il Garante ha riconosciuto la prevalenza di quest’ultimo diritto rispetto alla tutela della riservatezza circa dati sensibili attinenti (fra l’altro) a soggetti terzi. Ciò equivale a dire che la privacy non è un tabù, tanto più quando venga invocata contro gli interessi dello stesso titolare dei dati sensibilicondotta antisindacale. Alla delle suesposte argomentazioni, medesima conclusione si conclude sostenendo la non necessarietà del consenso del danneggiato per il trattamento dei dati sensibili acquisiti ai fini della formulazione dell’offerta da parte dell’impresadeve pervenire anche nella diversa ipotesi di tardivo invio di tale comunicazione.

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