Contrattazione collettiva
Contrattazione collettiva
caratteristiche e funzioni
relatore Prof. Avv. Xxxxxxxxx XXXXXX
ADAPT Professional fellow Docente di Diritto sanzionatorio del lavoro
Dirigente dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro
Ascoli Xxxxxx – 22 marzo 2019
Le considerazioni contenute nel presente intervento sono frutto esclusivo del pensiero dell’Autore e non hanno carattere in alcun modo impegnativo per l’Amministrazione alla quale appartiene.
SOMMARIO
ESTENSIONE DELLA TITOLARITÀ CONTRATTUALE E SPAZI DELLA CONTRATTAZIONE COLLETTIVA 3
RUOLO DEI CONTRATTI COLLETTIVI DI PROSSIMITÀ 6
CONTRATTI COLLETTIVI DI SECONDO LIVELLO PER WELFARE, PREMI DI RISULTATO E PARTECIPAZIONE DEI LAVORATORI 17
CONTRATTO COLLETTIVO APPLICABILE E VIGILANZA 25
ACCORDO INTERCONFEDERALE DI INDIRIZZO 9 MARZO 2018 SULLE RELAZIONI INDUSTRIALI 46
MATERIALI 56
NOTA SUL RELATORE 87
Estensione della titolarità contrattuale e spazi della contrattazione collettiva
Il X.Xxx. n. 81/2015, attuativo della legge n. 183/2014, contiene, all’art. 51, una disposizione definitoria unica, valida per l’intera “disciplina organica”, relativa alla definizione di “contratti collettivi”.
La norma estende la titolarità contrattuale collettiva ad ogni livello di contrattazione sia esso nazionale, ma anche territoriale ovvero aziendale in ogni ipotesi nelle quali lo stesso D.Lgs. n. 81/2015 non preveda espressa- mente in modo differente.
La disposizione, d’altra parte, senza entrare nel merito della valuta- zione di rappresentatività (se non per la scelta dell’ambito territoriale di rappresentanza che è esclusivamente quello “nazionale”) rende possibili e legittimi anche accordi collettivi “separati”, consentendo la sottoscrizione delle intese contrattuali “da” associazioni sindacali comparativamente più rappresentative (sul piano nazionale, come detto), anziché “dalle” (come in- vece accade nell’art. 42, comma 5, in materia di apprendistato).
Infine, l’art. 51 D.Lgs. n. 81/2015, parifica, sulla falsariga di quanto già previsto proprio nell’art. 8 del D.L. 13 agosto 2011, n. 138, come con- vertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 1481, gli ac- cordi sottoscritti in azienda dalle rappresentanze sindacali aziendali delle
1 Si vedano in proposito i contributi di X. Xxx Xxxxx, “La riforma della contrattazione decentrata: dissoluzione o evoluzione del diritto del lavoro?”; X. Xxxxxxxxxx, “L’art. 8 del decreto legge 13 agosto 2011, n. 138: una prima attuazione dello ‘Statuto dei lavori’ di Xxxxx Xxxxx” e X. Xxxxxxxxx, “Contrattazione di prossimità: clausole derogatorie, limiti ed opponibilità. Problematiche contributive”, tutti in DRI, 2015, 2. Cfr. anche X. Xxxxxxx, “La contrattazione collettiva «di prossimità»: teoria, comparazione e prassi”, in Riv., it. dir. lav., 2013, 4, pagg. 919-960; X. Xxxxx, “L’art. 8 della legge n. 148/2011 nel prisma dei rap- porti tra legge ed autonomia collettiva”, in Diritto delle Relazioni Industriali, 2103, 4, pag. 958 ss.; X. Xxxxxxx, “A proposito dell’art. 8 della legge n. 148/2011: le deroghe si fanno, ma non si dicono”, in Giornale di Diritto del lavoro e relazioni Industriali, 2013, 2, pag. 270;
X. Xxxxxxx, “Il contratto collettivo dopo l’art. 8 del Decreto n. 138/2011”, in WP C.S.D.L.E. Xxxxxxx X’Xxxxxx.xx 2011, 129, pag. 1 ss. Sia consentito inoltre fare rinvio anche a P. Xxxxxx, “Contrattazione collettiva: nuove frontiere e contratti di prossimità”, in “Manovra bis: nuove misure sul lavoro”, Dir. Prat. Lav., 2011, pag. 41, digital edition.
associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano na- zionale ovvero dalla rappresentanza sindacale unitaria.
Alla contrattazione collettiva, peraltro, è affidato il ruolo di definizio- ne dell’inquadramento per livelli e mansioni, anche ai fini dell’attuazione dell’art. 2013 cod. civ., ma alla stessa è pure riconosciuta la facoltà di inter- vento normativo integrativo o emendativo rispetto alla gestione dei rapporti di lavoro (non solo di quello a tutele crescenti, ma anche delle fattispecie di lavoro a tempo determinato, a tempo parziale, in somministrazione di lavo- ro, in collaborazione coordinata e continuativa, secondo le disposizioni con- tenute nel D.Lgs. n. 81/2015).
La contrattazione collettiva aziendale, d’altro canto, ha già sperimen- tato la possibilità di attivare rapporti di lavoro subordinato a tempo indeter- minato rinunciando alle nuove flessibilità riconosciute dal legislatore rispet- to al lavoro subordinato a tutele crescenti.
In questo senso, infatti, è stato concordato con le rappresentanze sin- dacali di seguitare ad applicare le tutele più ampie dell’art. 18 della legge n. 300/1970 in caso di licenziamento individuale.
Analogamente può operarsi, in sede di contratto collettivo aziendale come pure nel contratto individuale, con riferimento all’esercizio del con- trollo a distanza sulla prestazione lavorativa (ad esempio riconoscendo alle rappresentanze sindacali la facoltà di concordare le modalità di esercizio del potere, ora affermato dall’art. 4 della legge n. 300/1970, oppure una mag- giore tutela rispetto all’esercizio dello ius variandi di cui al novellato art. 2103 cod. civ. nei confronti della assegnazione di mansioni differenti al la- voratore assunto a tempo indeterminato).
D'altra parte, l’art. 14 del D.Lgs. n. 151/2015 ha introdotto l’obbligo di deposito dei contratti collettivi aziendali e territoriali (in via telematica) presso la Direzione Territoriale del Lavoro competente2, per poter consegui- re agevolazioni contributive o fiscali.
Su questo quadro, peraltro, impattano anche le nuove misure introdot- te dalla legge n. 208/2015 in materia di detassazione e agevolazioni fiscali in base alla contrattazione collettiva di secondo livello.
2 Per effetto dell’attuazione del D.Lgs. n. 149/2015 le DTL confluiranno nel nuovo Ispetto- rato Nazionale del Lavoro ed assumeranno la denominazione di «Ispettorato Territoriale del Lavoro».
Come si depositano i contratti
In attuazione della legge n. 402 del 29 luglio 1996 la Direzione Generale della Tutela delle Condizioni di Lavoro e delle Relazioni Industriali Divisione IV provvede alla conservazione degli accordi o dei contratti collettivi nazionali di lavoro, depositati ai fini dell'applicazione del regime contributivo agevolato e alla loro catalogazione.
Conserva e consente la consultazione dei contratti collettivi nazionali dell'archivio storico e dei contratti collettivi nazionali vigenti depositati ai sensi della predetta normativa.
La normativa vigente prevede il deposito dei contratti di qualsiasi livello per la determinazio- ne degli elementi contrattuali imponibili ai fini contributivi nonché il deposito dei contratti di secondo livello per l'applicazione di un regime fiscale agevolato.
La legge 402/96 stabilisce che la determinazione degli istituti contrattuali e degli elementi da considerare agli effetti previdenziali, in aggiunta a quelli previsti dalla legge, fa capo agli ac- cordi collettivi di qualsiasi livello.
Per usufruire dei benefici contributivi e/o previdenziali previsti dai contratti collettivi di lavoro, la legge 402/96 richiede che entro 30 giorni dalla data della stipula ne sia effettuato il de- posito.
La data in cui viene effettuato il deposito presso i sotto indicati uffici del Ministero costituisce assolvimento del termine per l'adempimento previsto dalla legge di rife- rimento.
Il deposito deve avvenire con le seguenti modalità:
Accordi interconfederali ed i contratti nazionali di lavoro
Gli accordi interconfederali ed i contratti nazionali di lavoro devono essere depositati presso il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali — Direzione Generale della Tutela delle Condizioni di Lavoro e delle Relazioni Industriali Divisione IV esclusivamente mediante po- sta elettronica certificata all'indirizzo xxxxxxxxxxxxxx.xxx0@xxx.xxxxxx.xxx.xx o tramite posta elettronica all'indirizzo xxxxxxxxxxxxxxxxx0@xxxxxx.xxx.xx.
Il deposito deve avvenire, in applicazione di quanto disposto dalla Circolare del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali n.139 del 24 ottobre 1996, esclusivamente mediante le modalità sopraindicate, allegando fotocopia di documento di identità in corso di validità ed una dichiarazione sostituiva dell'atto di notorietà ex art. 47 e ss. DPR 445/2000 e ss.mm.ii. sottoscritta dal soggetto che effettua il deposito, attestante l'avvenuta consegna in nome e per conto di una delle parti stipulanti.
Per eventuali chiarimenti: Divisione IV – xxxxxxxxxxxxxxxxx0@xxxxxx.xxx.xx Tel. 06/00000000
Accordi territoriali
Gli accordi territoriali devono essere depositati presso la Direzione Territoriale del lavoro
— Servizio politiche del lavoro competente per territorio;
Gli accordi regionali devono essere depositati presso la Direzione Territoriale del lavoro con sede nel capoluogo di Regione; gli accordi di secondo livello aziendali devono essere depositati presso la Direzione Territoriale del lavoro—Servizio Politiche del Lavoro nel cui ambito ha sede l'azienda.
Nel caso di contratto riguardante più unità produttive facenti capo a diverse Regioni o pro- vince, la Direzione Territoriale del lavoro competente è quella nel cui ambito ha sede la di- rezione dell'azienda.
Per i contratti territoriali ed aziendali il deposito deve essere effettuato a cura della parte datoriale.
Ruolo dei contratti collettivi di prossimità
Uno dei temi di peculiare interesse dopo l’entrata in vigore del D.Lgs.
n. 81/2015, peraltro, attiene alle possibilità di utilizzo e all’ambito di applicazione, dal 25 giugno 2015, dei contratti collettivi di prossimità di cui all’art. 8, commi 1, 2 e 2-bis, del D.L. n. 138/2011, convertito dalla legge n. 148/2011, rubricato «Sostegno alla contrattazione collettiva di prossimità», che prevede la possibilità - generale ed astratta - per i contratti collettivi di lavoro sottoscritti a livello aziendale o territoriale di realizzare specifiche intese con efficacia nei confronti di tutti i lavoratori in deroga alle disposizioni normative contenute nella contrattazione collettiva nazionale di lavoro e nella legge3.
Nozione di “contratto di prossimità”
Nello specifico il riferimento è all’art. 8, comma 1, prima parte, del
D.L. n. 138/2011, convertito in legge n. 148/2011, che indica la nozione di “contratto di prossimità” e specifica l’efficacia erga omnes dello stesso. Sono “contratti di prossimità” quei contratti collettivi di lavoro che sono stati sottoscritti a livello aziendale o territoriale da organizzazioni sindacali dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazio- nale o territoriale ovvero dalle loro rappresentanze sindacali operanti in azienda, ai sensi della normativa di legge e degli Accordi interconfederali vigenti, compreso l’Accordo interconfederale del 28 giugno 2011.
Tali contratti, dunque, possono realizzare specifiche intese, con effi- cacia generale (erga omnes appunto) nei confronti di tutti i lavoratori inte- ressati, a condizione che siano stati debitamente sottoscritti sulla base di un criterio maggioritario relativo alle predette rappresentanze sindacali4.
3 Fra i primi ad interrogarsi su questo tema: X. Xxxxxxxxxx, “Prima lettura del D.Lgs. n. 81/2015 recante la disciplina organica dei contratti di lavoro”, Adapt Labour Studies, Adapt University Press, e-Book series, 2015, 45, pagg. 28-29; X. Xxxxxxxx, “Le collaborazioni autonome dopo il Jobs Act”, in Dir. Prat. Lav., 2015, 14, pagg. 863-867.
4 Sulla legittimità generalizzata dei primi accordi riconducibili all’art. 8 del D.L. n. 138/2011, si è pronunciata una prima interessante giurisprudenza di merito: Trib. Venezia 24 luglio 2013, n. 583; Trib. Torino 23 gennaio 2012. Cfr. X. Xxxxxx, “Art. 8 della legge n.
(segue)
Finalizzazione espressa degli accordi
L’art. 8, comma 1, seconda parte, detta tassativamente le finalità che devono essere perseguite dalle specifiche intese le quali, in effetti, devono essere finalizzate a obiettivi di:
- maggiore occupazione: si pensi ad un contratto di prossimità che finalizzi le modifiche organizzative ad un progressivo incremento occu- pazionale nell’arco di un triennio;
- qualità dei contratti di lavoro: si immaginino interventi per quali- ficare in senso migliorativo le tipologie contrattuali in uso in azienda, ad esempio passando da contratti di lavoro a tempo indeterminato a con- tratti di lavoro a tempo indeterminato;
- adozione di forme di partecipazione dei lavoratori: si pensi ad azioni di coinvolgimento e corresponsabilizzazione dei lavoratori negli ambiti di gestione e nei processi decisionali della società datrice di lavoro;
- emersione del lavoro irregolare: si pensi ad un contratto di prossi- mità che disponga la progressiva emersione di rapporti di lavoro total- mente irregolari (“in nero”) ovvero parzialmente irregolari (“in grigio”) attraverso il ricorso a step successivi di stabilizzazione (ad esempio dap- prima con contratti di collaborazione a progetto e a seguire con rapporti di lavoro subordinato a tempo indeterminato), con l’avvertenza, tuttavia, che non potendo l’accordo di prossimità incidere sul rilievo sanzionatorio dei pregressi rapporti di lavoro irregolari, occorrerà quanto meno accompa- gnare la contrattazione aziendale con un tentativo di conciliazione mono- cratica (art. 11 del D.Lgs. n. 124/2004) al fine di poter definire le fattispe- cie anche con riguardo alla potestà sanzionatoria delle Direzioni Territo- riali del Lavoro;
- incrementi di competitività e di salario: immaginando un possibile contratto di prossimità che introduca elementi di aumento dei salari di- rettamente connessi ad incrementi della produttività;
- gestione delle crisi aziendali e occupazionali: si pensi ad un con- tratto di prossimità che finalizzi le intese modificative degli assetti orga- nizzativi aziendali alla possibilità di evitare licenziamenti;
- investimenti: si immagini un accordo aziendale nel quale l’azienda metta in campo un impegno per investimenti programmati nell’arco del triennio e proponga di accompagnare gli investimenti stessi con interventi sulle tipologie contrattuali, ovvero
148/2011 e questioni giurisprudenziali sull’aziendalizzazione (a proposito di deroghe e so- stituzioni del contratto nazionale)”, in RGL, 3, 2012, pag. 579 ss.
- avvio di nuove attività: si pensi ad un contratto di prossimità che preveda il ricorso a specifiche tipologie contrattuali o a peculiari discipline organizzative flessibili per agevolare lo start up aziendale.
Contenuti
Alla luce del D.Lgs. n. 81/2015, ciò che rileva, in modo tutt’affatto particolare, attiene ai contenuti delle intese derogatorie di prossimità.
Il comma 2, dell’art. 8 del D.L. n. 138/2011, convertito in legge n. 148/2011, dalla lett. a) alla lett. d) e nella prima parte della lett. e), precisa e puntualizza i contenuti regolatori delle specifiche intese modificative le quali, dunque, possono riguardare la regolazione delle materie inerenti l’organizzazione del lavoro e della produzione con riferimento tassativo a:
- impianti audiovisivi e introduzione di nuove tecnologie: relativa- mente alla generalità dei sistemi di potenziale controllo a distanza della prestazione lavorativa;
- mansioni del lavoratore, classificazione e inquadramento del personale: si pensi ad un contratto di prossimità che intervenga sulla pro- mozione conseguente allo svolgimento di mansioni superiori; oppure pro- lunghi il limite temporale massimo perché operi la promozione automatica per lo svolgimento di mansioni superiori;
- contratti a termine: si pensi ad un contratto di prossimità che in- tervenga sull’estensione a 60 mesi della durata cumulativa dei contratti a tempo determinato, in deroga al limite generale di 36 mesi, oppure disci- plini in modo differente la durata massima del contratto acausale;
- contratti a orario ridotto, modulato o flessibile: si pensi ad un contratto di prossimità che disciplini modalità contrattuali con orario fles- sibile nel contesto di una articolazione dell’orario di lavoro plurisettima- nale, ad esempio intervenendo sulle modalità di utilizzo del lavoro a tem- po parziale o disciplini espressamente il lavoro ripartito;
- regime della solidarietà negli appalti: si pensi ad un contratto di prossimità che limiti o addirittura escluda del tutto, a determinate condi- zioni o a fronte di specifici presupposti informativi o documentali, la soli- darietà;
- casi di ricorso alla somministrazione di lavoro: si immagini ad un contratto di prossimità che intervenga sulla legittimità dei casi di ricorso alla somministrazione di lavoro sia a termine che in staff leasing anche superando i limiti fissati dalla legge o dal contratto collettivo nazionale di lavoro;
- disciplina dell’orario di lavoro: un accordo aziendale che introdu- ca elementi di flessibilità dell’organizzazione dell’orario di lavoro altri- menti rimessi alla contrattazione nazionale, riducendo l’orario normale di lavoro o intervenendo sulla modularità temporale della prestazione lavora- tiva;
- modalità di assunzione: ad esempio un contratto di prossimità che preveda termini più ampi per la durata del periodo di prova o per la conse- gna della dichiarazione di assunzione;
- disciplina del rapporto di lavoro, comprese le collaborazioni coordinate e continuative a progetto e le partite IVA: un contratto azienda- le che deroghi al quadro regolatorio relativo allo svolgimento del rapporto di lavoro subordinato o autonomo, ad esempio con riferimento ai contenuti del contratto di collaborazione coordinata e continuativa esclusivamente personale o alle caratteristiche di autonomia del collaboratore in partita IVA;
- trasformazione e conversione dei contratti di lavoro: si pensi ad un contratto di prossimità che escluda l’operatività delle norme che preve- dono la conversione o la trasformazione dei rapporti di lavoro in contratti di differente qualificazione o tipologia.
Contenuti possibili dopo il D.Lgs. n. 81/2015
Per comprendere i limiti di utilizzo dei contratti di prossimità alla luce del D.Lgs. n. 81/2015 occorre porsi anzitutto nella prospettiva diacronica delle scelte legislative e di politica del diritto, attinenti ai contratti e ai rap- porti di lavoro, in una ottica dichiaratamente evolutiva, che asseconda le re- gole del mutamento del quadro regolatorio.
In questo senso, dunque, prima dell’odierno intervento del D.Lgs. n. 81/2015, la norma contenuta nell’art. 8 del D.L. n. 138/2011, convertito in legge n. 148/2011, ha già subito almeno due momenti di profondo muta- mento regolativo.
In primo luogo a fronte dell’entrata in vigore della legge n. 92/2012, allorquando, intervenendo la legge su larga parte degli ambiti di applicazio- ne dei contratti collettivi di prossimità, ci si è interrogati sui margini ap- prezzabili di persistente utilizzo dell’istituto, anche a fronte della intervenu- ta successione di leggi nel tempo. D’altra parte, in quel contesto temporale, nella prassi applicativa, le organizzazioni e le associazioni sindacali rappre- sentative non hanno ritenuto improcedibile la negoziazione, né hanno visto nei ridimensionamenti operativi di quella riforma (come in materia di lavo- ro a progetto, ad esempio, o di lavoro intermittente) una ragionevole fonte
di impasse contrattuale. D’altro canto, con riferimento ad un ambito specifi- co e di rilievo, qual è quello della solidarietà degli appalti, dopo gli inter- venti operati dalla legge n. 92/2012 (e in seguito dal D.L. n. 76/2013, con- vertito in legge n. 99/2013), la riserva fatta dalla legge alle deroghe da parte della contrattazione collettiva di solo livello nazionale ha indotto ad esclu- dere margini di operatività ulteriore ed attuale ad un contratto di prossimità, sebbene in dottrina si sia autorevolmente sostenuto il contrario5.
Successivamente il quadro regolatorio ha impattato sui contratti di prossimità rispetto alla materia del lavoro a tempo determinato, con le pre- visioni introdotte dall’art. 1 del D.L. n. 34/2014, convertito dalla legge n. 78/2014, a modifica del D.Lgs. n. 368/2001. In questo contesto di novella legislativa ci si è interrogati sulla possibile persistenza di un ambito di ope- ratività dei contratti di prossimità a fronte dei nuovi limiti assegnati alla contrattazione collettiva, con riserva alla sola contrattazione collettiva na- zionale di stabilire limiti di contingentamento differenti rispetto a quelli sanciti dalla legge. Sul tema specifico, peraltro, si è pronunciato il Ministero del Lavoro con la risposta ad Interpello n. 30 del 2 dicembre 2014, con la quale è stato sottolineato come «l’intervento della contrattazione di prossi- mità non potrà comunque rimuovere del tutto i limiti quantitativi previsti dalla legislazione o dalla contrattazione nazionale ma esclusivamente pre- vederne una diversa modulazione»6.
Con il D.Lgs. n. 81/2015, pertanto, si è dinanzi ad un terzo momento evolutivo della disciplina dei rapporti fra contrattazione collettiva di pros- simità e quadro normativo generale, in una fase, tuttavia, nella quale, rispet- to agli interventi comunque di matrice settoriale, il legislatore ha scelto la via di una ri-regolazione “organica” dei contratti di lavoro flessibili e non standard.
5 Così X. Xxxxx, L’art. 8 della legge n. 148/2011 nel prisma dei rapporti tra legge ed au- tonomia collettiva cit., pag. 961, ha sostenuto che «le previsioni dell’art. 8 e quelle dell’art. 29 del decreto legislativo n. 276/2003, come modificate dalla legge n. 92/2012, possono ben coordinarsi nel senso che sia possibile la deroga tramite contratto di prossimità in presenza delle condizioni e delle finalità ivi previste; mentre la deroga da parte del con- tratto nazionale sia possibile in assenza di quelle condizioni, ma con la diversa condizione che vengano previsti i meccanismi di controllo contemplati nell’art. 29 del decreto legisla- tivo n. 276/2003».
6 Cfr. X. Xxxxxxx, “Il Ministero del Lavoro si pronuncia su contratto di prossimità e con- tratto a termine”, in DRI, 2015, 1, pagg. 258-262; X. Xxxxxxxxxx, X. Xxxxxxxxxx, “La (limita- ta) derogabilità del ricorso al contratto a termine nell’interpretazione ministeriale”, in Bol- lettino ADAPT, n. 43/2014.
Pure a fronte di una operazione sostanzialmente di restyling normati- vo e di reductio ad unum di una pluralità di testi legislativi, il D.Lgs. n. 81/2015 reca alcuni interventi puntuali di rinvio alla contrattazione colletti- va, talora specificandone la competenza di livello esclusivamente nazionale, così accade, precisamente, a proposito di collaborazioni coordinate e conti- nuative personali (art. 2, comma 2, lett. a) e di apprendistato (art. 42, commi 5 e 8; art. 44, commi 2 e 5).
Su questo piano, infatti, la dottrina ha già sostenuto la possibilità di una abrogazione implicita parziale dell’art. 8 del D.L. n. 138/2011, convertito dalla legge n. 148/2011, almeno per quanto attiene le possibilità di disciplina derogatoria in materia di contratti di collaborazione coordinata e continuativa7.
Analogamente si è sostenuto che la disciplina organica recata dal D.Lgs. n. 81/2015 con riferimento ai tipi contrattuali ridefiniti e normati, anche soltanto per i profili di successione di leggi nel tempo, impatta in termini restrittivi, se non proprio implicitamente abrogativi, rispetto alla contrattazione collettiva di prossimità8.
D’altra parte, ove si consideri la portata generale ed astratta dell’art. 8 del D.L. n. 138/2011, convertito dalla legge n. 148/2011, e la coerenza in- terna della norma anche rispetto al percorso evolutivo, in prospettiva dia- cronica appunto, del quadro normativo di riferimento, potrebbe riconoscersi ancora una operatività significativa dei contratti collettivi di prossimità an- che rispetto ai nuovi profili di disciplina delineati dal D.Lgs. n. 81/2015,
7 Così specificamente X. Xxxxxxxx, Le collaborazioni autonome dopo il Jobs Act cit., pag. 866, che ha sostenuto: «Il potere mediante contrattazione collettiva, previsto ora solo per i sindacati confederali, abroga per incompatibilità̀ o assorbimento il potere ana logo previsto con i “contratti di prossimità̀”, che potevano essere conclusi con qualunque rap- presentanza purché approvati con votazione a maggioranza dei lavoratori». Lo stesso Au- tore, d’altronde, si spinge ad estendere l’effetto abrogativo dell’analisi alla generalità delle tipologie contrattuali («i contratti di “prossimità̀”, o almeno con riguardo ai tipi contrat- tuali, sono abrogati»).
8 Così per X. Xxxxxxxxxx, Prima lettura del D.Lgs. n. 81/2015 recante la disciplina orga- nica dei contratti di lavoro cit., 28, secondo cui «La prima impressione, da sottoporre a più̀ attenta valutazione, è che gli spazi di deroga in peius concesso dal decreto-legge ven- gano oggi ristretti, in chiave di successione delle leggi nel tempo, almeno con riferimento a istituti (termine, somministrazione, part-time, apprendistato) o specifiche clausole dove gli spazi di modificazione della disciplina legale per opera della contrattazione collettiva (non solo di livello nazionale ma anche aziendale) siano chiaramente ed espressamente delinea- ti dal legislatore del testo organico».
fatta eccezione, presumibilmente, per gli ambiti regolatori affidati esclusi- vamente alla contrattazione di livello nazionale.
Parrebbe deporre in questa direzione l’assenza nel testo dell’art. 8 del
D.L. n. 138/2011, convertito dalla legge n. 148/2011, di richiami normativi specifici e contestualizzati, limitandosi la disposizione a menzionare esclu- sivamente le materie di contrattazione derogatoria (comma 2), che potreb- bero essere intese nel loro contesto evolutivo, “con riferimento” ai singoli provvedimenti legislativi e alle singole disposizioni della contrattazione col- lettiva nazionale di lavoro “del tempo” nel quale si avvia la negoziazione collettiva aziendale o territoriale.
Peraltro, in questo rinnovato contesto, l’art. 51 del D.Lgs. n. 81/2015 sui contratti collettivi di ogni livello, dunque, sembra porsi in diretta compe- tizione con quella del 2011 sui contratti collettivi di prossimità, quanto me- no per la scelta legislativa di carattere generale che affida anche alla contrat- tazione aziendale e territoriale le possibilità di intervento normativo che il D.Lgs. n. 81/2015 affida alle parti sociali, liberando la fase di contrattazione collettiva “di prossimità”, vale a dire in azienda o nel territorio di riferimen- to (provinciale o regionale, ma forse anche metropolitano o comunale), dai vincoli specifici dell’art. 8, in particolare in termini di finalizzazione.
Limiti generali di utilizzo
Nell’art. 8, comma 2, lett. e), seconda parte, invece, trova spazio la previsione normativa relativa alle conseguenze dei licenziamenti, laddove si prevede che le specifiche intese possono riguardare anche le conseguenze del recesso dal rapporto di lavoro, pensando, ad esempio, ad un contratto di prossimità che introduca nuove reazioni sanzionatorie di tipo risarcitorio ri- spetto a quelle di carattere ripristinatorio, sebbene il possibile contrasto con i principi della Convenzione OIL n. 158 in materia di licenziamenti (che esclude una disciplina demandata alla contrattazione collettiva) porterebbe a limitare l’intervento dei contratti di prossimità ad istituti come il preavviso e il TFR, non anche ai regimi di tutela applicabili, sebbene più ampio appaia il dettato legislativo che vieta espressamente interventi derogatori riferiti al- le ipotesi di cessazione del rapporto solo per: licenziamento discriminatorio, licenziamento della lavoratrice in concomitanza del matrimonio, licenzia- mento della lavoratrice dall’inizio del periodo di gravidanza fino al termine dei periodi di interdizione al lavoro, nonché fino ad un anno di età del xxx- xxxx, licenziamento causato dalla domanda o dalla fruizione del congedo parentale e per la malattia del bambino da parte della lavoratrice o del lavo- ratore, licenziamento in caso di adozione o affidamento.
Il comma 2-bis dell’art. 8, dal canto suo, introduce la previsione espli- cita riguardante la portata normativa delle deroghe e delle modifiche propo- ste e accordate nelle specifiche intese.
Restano in ogni caso fermi e inderogabili, infatti, i principi, i criteri e le disposizioni derivanti dal rispetto integrale:
- delle previsioni di tutela del lavoro contenute nella Costituzione;
- dei vincoli derivanti dalle normative comunitarie, con riferimento a Direttive e regolamenti9, ad esempio: la Dir. 2008/104/CE sul lavoro tramite agenzia; la Dir. 2006/54/CE per le pari opportunità e la parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego; la Dir. 2003/88/CE con riguardo alle ferie; la Dir. 2000/78/CE per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro; la Dir. 1999/70/CE in materia di lavoro a tempo determinato; la Dir. 1997/81/CE sul part‐time; la Dir. 1995/46/CE in materia di riservatezza;
- dei vincoli derivanti dalle convenzioni internazionali sul lavoro (OIL), potendo rilevare a questo fine, oltre alla citata Convenzione n. 158 in materia di licenziamenti, anche le Convenzioni: n. 132 sulle ferie; nn. 138 e 182 sul lavoro dei minori, n. 142 sulla valorizzazione delle risorse umane; n. 181 sulle agenzie per l’impiego10.
Con i limiti e i vincoli richiamati, peraltro, le specifiche intese sotto- scritte con le organizzazioni rappresentative o con le loro rappresentanze in azienda, operano anche in deroga alle disposizioni di legge che discipli- nano le materie sopra richiamate ed alle relative regolamentazioni conte- nute nei contratti collettivi nazionali di lavoro.
Invero la deroga al contratto collettivo nazionale da parte del contratto di secondo livello rappresenta l’accoglimento di un portato giurisprudenzia- le pressoché consolidato, in ragione del quale trova applicazione il principio generale civilistico (ai sensi dell’art. 1372, comma 1, cod. civ.) per cui fra più contratti stipulati nei confronti delle stesse parti prevale il più recente (fatti salvi i diritti quesiti perché già maturati), anche se si tratta di un con- tratto collettivo aziendale (o territoriale) che prevede una disciplina diffe-
9 In argomento si segnalano le osservazioni di X. Xxxxxxx, “Contratti collettivi di prossi- mità e deroga alle norme europee”, in Diritti, Lavori, Mercati, 2012, III, pag. 465 ss.
10 Sul tema si vedano le analisi di X. Xxxxx, “Le pedine e la scacchiera: la contrattazione collettiva di prossimità̀ alla prova dei vincoli sovranazionali”, in X. Xxxxxxx, X. Xxxxxxx (a cura di), Consenso, dissenso e rappresentanza: le nuove relazioni sindacali, cit., pagg. 97- 106.
rente (finanche peggiorativa) rispetto a quella sancita dal contratto collettivo nazionale di lavoro11.
Ne deriva, conseguentemente, che qualsiasi impresa, anche non asso- ciata ad alcuna associazione rappresentativa di categoria, potrà rivolgersi al- le organizzazioni sindacali dei lavoratori comparativamente più rappresen- tative sul piano nazionale o territoriale ovvero alle rappresentanze sindacali in azienda per proporre intese modificative negli ambiti individuati dalla norma con la evidente e specifica finalità di invitare i lavoratori (nelle loro rappresentanze sindacali) ad intervenire, nel comune intendimento di con- servare l’attività d’impresa, espanderla e difendere e promuovere l’occupazione.
Rappresentatività
Su un piano squisitamente operativo occorre in primo luogo eviden- ziare che la contrattazione collettiva di prossimità è validamente attivata esclusivamente ove essa abbia visti coinvolti i soggetti sindacali a ciò abili- tati.
Ne consegue che qualora l’organizzazione sindacale non abbia nessu- no dei due requisiti di rappresentatività declinati dall’art. 8 del D.L. n. 138/2011, convertito in legge n. 148/2011, a livello nazionale o territoriale, gli accordi di prossimità eventualmente stipulati saranno radicalmente nulli, perché inesistenti.
Ancora sul piano dei soggetti abilitati vanno rilevati tre importanti profili.
La circostanza della sottoscrizione delle intese “da” associazioni dei lavoratori comparativamente più rappresentative permette di ritenere legit- timi e validi gli accordi sottoscritti anche da una soltanto delle organizza- zioni sindacali che rivestano quel livello di rappresentatività12. Il riferimen-
11 Cfr. ex multis Cass. civ., Sez. lav., 19 giugno 2001, n. 8296; Cass. civ., Sez. lav., 18 settembre 2007, n. 19351.
12 Sul tema si vedano: X. Xxxxxxxxxxx, “Il modello del sindacato comparativamente più rappresentativo nell’evoluzione delle relazioni sindacali”, in DRI, 2, 2014, pag. 378 ss.; X. Xxxxxxx, X. Xxxxxxx (a cura di), Consenso, dissenso e rappresentanza: le nuove relazioni sindacali, CEDAM, Padova, 2014; X. Xx Xxxx, “Rappresentatività sindacale nel Protocol- lo d’intesa del 31 maggio 2013 ed in recente pronuncia di incostituzionalità (dell’art. 19 dello Statuto dei lavoratori): dall’ordinamento intersindacale alla rilevanza per l’ordinamento giuridico dello stato”, in WP C.S.D.L.E. “Xxxxxxx X’Xxxxxx”.IT, 2013, pag. 193; X. XXXXXXXXXX, “Gli accordi sindacali separati tra formalismo giuridico e dina-
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to al piano nazionale o territoriale determina che sia sufficiente, con crite- rio di alternatività, uno dei due livelli di rappresentatività; tenendo presente che per il livello territoriale può farsi utile riferimento alle determinazioni assunte in occasione della costituzione del Comitato Provinciale INPS, se- condo quanto segnalato dal Ministero del Lavoro con Nota n. 3428 del 25 novembre 2010, mentre per quello nazionale dovrà tenersi conto del Proto- collo d’intesa sulla rappresentanza del 31 maggio 2013 e dell’Accordo in- terconfederale del 10 gennaio 2014 recante il Testo Unico sulla Rappresen- tanza13.
D’altronde, i contratti di prossimità aziendali possono essere sotto- scritti dalle rappresentanze sindacali in azienda delle organizzazioni compa- rativamente più rappresentative, sia quali RSA (art. 19 della legge 20 mag- gio 1970, n. 300) ovvero anche come RSU (Accordo Interconfederale del 20 dicembre 1993), se regolarmente costituite, ma anche su questo tema ri- leva l’attuazione del Protocollo d’intesa citato e del Testo Unico sulla Rap- presentanza, oltreché gli effetti della pronuncia della Corte cost. 23 luglio 2013, n. 231 sulla illegittimità costituzionale dell’art. 19 della legge n. 300/197014.
Accordi con efficacia generale
I contratti di prossimità hanno efficacia erga omnes esclusivamente
miche intersindacali”, in DRI, 2011, 2; X. XXXXXXX-XXXXXXXXXX, “Efficacia soggettiva del contratto collettivo: accordi separati, dissenso individuale e clausola di rinvio”, in RIDL, 3, 2010; X. XXXXXXX, “Accordi collettivi separati: tra libertà contrattuale e democrazia sin- dacale”, in RIDL, 1, 2010, pag. 3; X. Xxxxxxx, “La contrattazione collettiva di prossimità: le questioni aperte sulla rappresentatività sindacale e le ricadute sul piano contributivo”, in Massimario di Giurisprudenza del Lavoro, 2014, 5, 270 ss.
13 Cfr. X. Xxxxxxx (a cura di), “Il Testo Unico sulla rappresentanza 10 gennaio 2014”, Adapt Labour Studies, Adapt University Press, e-Book series, 2014, pag. 26. In data 16 marzo 2015, Confindustria, Cgil, Cisl e Uil hanno condiviso con l’INPS una convenzione per raccogliere, elaborare e comunicare i dati relativi alla misurazione della rappresentanza. In argomento, cfr. Xxxxx xxxx. x. 00 del 26 marzo 2015 e risposta ad Interpello n. 8 del 24 marzo 2015. Si aggiungano i successivi Accordi interconfederali sulla rappresentanza si- glati da: Confservizi con Cgil, Cisl e Uil in data 10 febbraio 2014; Agci, Confcooperative, Legacoop con Cgil, Cisl e Uil in data 28 luglio 2015; Confcommercio con Cgil, Cisl e Uil in data 26 novembre 2015.
14 Si vedano in proposito le riflessioni di X. Xxxxxxx, X. Xxxxx, X. Xxxxxx, X. Xxxx, X. Xxxx, X. Xxxxxx, X. Xxxxxxxxx, X. Xxxxxxxxxx, “La RSA dopo la sentenza della Corte co- stituzionale 23 luglio 2013, n. 231”, ADAPT Labour Studies, Adapt University Press, e- Book series, 2013, pag. 13.
quando sia rispettato il criterio maggioritario nella adesione delle asso- ciazioni sindacali (art. 8, comma 1). Avranno efficacia generale, se adottati a maggioranza: i contratti aziendali stipulati con la RSU; i contratti azienda- li stipulati con un gruppo di RSA cui partecipano almeno due organizzazio- ni sindacali comparativamente più rappresentative; i contratti aziendali e territoriali stipulati con almeno due organizzazioni sindacali comparativa- mente più rappresentative. Se i contratti di prossimità non raggiungono la maggioranza necessaria alla efficacia erga omnes, se sottoscritti dai soggetti abilitati, sono validi e mantengono la portata derogatoria e ablativa nei con- fronti dei soli lavoratori che sono rappresentati dalle associazioni stipu- lanti o che hanno recepito e condiviso le risultanze della attività negoziale.
Contratti collettivi di secondo livello per welfare, premi di risultato e partecipazione dei lavoratori
Il DM 25 marzo 2016 attua quanto previsto dall'art. 1, commi 182-
191, della legge 28 dicembre 2015, n. 208 (legge di stabilità 2016) discipli- nando le modalità operative e le procedure applicative delle disposizioni in materia di detassazione, agevolazioni di imposta per welfare, premi di risul- tato e somme erogate sotto forma di partecipazione dei lavoratori agli utili di impresa15.
Con Circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 28/E del 15 giugno 2016 sono stati descritti i criteri e le modalità che consentono di accedere alle agevolazioni fiscali.
D'altra parte, la legge 11 dicembre 2016, n. 232, art. 1, commi 160-
162 (legge di Bilancio 2017), il decreto legge 24 aprile 2017, n. 50, conver- xxxx con modificazioni dalla legge 21 giugno 2017, n. 96 e la legge 27 di- cembre 2017, n. 205, commi 28 e 161 (legge di Bilancio 2018), hanno pro- seguito il percorso avviato dall’art. 1, commi 182-191, della legge n. 208/2015.
In argomento è più di recente intervenuta nuovamente l'Agenzia delle Entrate con la Circolare n. 5/E del 29 marzo 2018.
Mentre con Nota n. 4274 del 22 luglio 2016 il Ministero del Lavoro si è occupato di fornire indicazioni operative per la compilazione della modu- listica per il deposito dei contratti collettivi aziendali o territoriali16 e per l’attività di monitoraggio e verifica.
15 La Circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 28/E/2016 chiarisce che la legge n. 208/2015 è finalizzata ad incentivare schemi organizzativi per produzione e lavoro volti ad accrescere la motivazione del personale e a coinvolgerlo in modo attivo nei processi di in- novazione, realizzando in tal modo incrementi di efficienza, produttività e di miglioramen- to della qualità della vita e del lavoro, perciò non costituiscono strumenti e modalità utili ai fini del coinvolgimento paritetico dei lavoratori i gruppi di lavoro e i comitati di semplice consultazione, addestramento o formazione, come espressamente evidenziato dal DM 25 marzo 2016.
16 Confindustria e Cgil, Cisl, Uil hanno stipulato l’Accordo Interconfederale Quadro del 14 luglio 2016 quale riferimento per la definizione di accordi territoriali in materia di agevolazioni fiscali per importi erogati a titolo di premi di risultato di ammontare variabile a seguito di incrementi di produttività, redditività, qualità efficienza ed innovazione previsti nei contratti aziendali o territoriali. Analogamente il 5 ottobre 2016 è stato sottoscritto da
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L'art. 1, commi 182-191, della legge n. 208/2015, come modificata dalla legge n. 205/2017, prevede una tassazione agevolata, con imposta so- stitutiva del 10%, per i premi di risultato e per le somme erogate sotto forma di partecipazione agli utili dell’impresa, entro il limite di 3.000 euro lordi (che aumenta fino a 4.000 euro nel caso in cui l'azienda coinvolga «pariteti- camente i lavoratori nell’organizzazione del lavoro»), peri lavoratori che hanno reddito da lavoro dipendente fino a 50mila euro.
Il DM 25 marzo 2016 individua i criteri di misurazione degli incre- menti di produttività17, redditività, qualità, efficienza e innovazione che i contratti collettivi aziendali o territoriali devono assumere quali parametri di misurazione per corrispondere premi di risultato di importo variabile18, oltre ad identificare i criteri per individuare le somme corrisposte a titolo di par- tecipazione agli utili dell’impresa. L’art. 2, comma 2, del DM 25 marzo 2016 rinvia alla contrattazione collettiva aziendale o territoriale la defini- zione dei criteri di misurazione e verifica degli incrementi di produttività, redditività, qualità, efficienza ed innovazione, "che possono consistere nell’aumento della produzione o in risparmi dei fattori produttivi ovvero nel miglioramento della qualità dei prodotti e dei processi, anche attraver- so la riorganizzazione dell’orario di lavoro non straordinario o il ricorso al lavoro agile quale modalità flessibile di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato, rispetto ad un periodo congruo definito dall’accordo, il cui raggiungimento sia verificabile in modo obiettivo attraverso il riscontro di indicatori numerici o di altro genere appositamente individuati".
Nelle Circolari dell’Agenzia delle Entrate si sottolinea che per fruire del beneficio fiscale per l’ammontare complessivo del premio di risultato erogato è necessario che, con riferimento a un periodo congruo individuato
Federalberghi, Faita e Filcams-Cgil, Fisascat-Cisl, Uiltucs-Uil, l’accordo per la detassazio- ne dei premi di produttività nelle strutture ricettive. Sulla stessa falsariga il 9 novembre 2016 è stato siglato da Confimi Industria con Cgil, Cisl e Uil un Accordo per la detassazio- ne 2016 che consente, alle imprese prive di rappresentanze sindacali, di erogare premi di ri- sultato aziendali collegati a incrementi di produttività, redditività, qualità, efficienza ed in- novazione.
17 La Circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 28/E/2016 in proposito sottolinea che l'at- tuale normativa non riserva più il beneficio fiscale alla "retribuzione di produttività" (di cui al d.P.C.M. 22 gennaio 2013), limitandone gli effetti ai soli premi di risultato, escludendo, quindi, dal regime agevolativo voci retributive come le maggiorazioni di retribuzione o gli straordinari, corrisposti per un processo di riorganizzazione del lavoro.
18 La Circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 28/E/2016 evidenzia che il riferimento al- la variabilità delle somme - caratteristica tipica dei premi di risultato - non deve essere inte- so necessariamente come gradualità dell’erogazione in base al raggiungimento dell’obiettivo definito nell’accordo aziendale o territoriale.
nel contratto collettivo, risulti effettivamente realizzato l’incremento di al- meno uno degli obiettivi richiamati dalla norma, che possa essere verificato attraverso indicatori numerici definiti dalla stessa contrattazione collettiva, i quali, in sede di dichiarazione di conformità, devono essere indicati nella Sezione 6 del modello allegato al DM 25 marzo 2016.
Ancora nel DM 25 marzo 2016 attuativo dell'art. 1, commi 182-191, della legge n. 208/2015 sono disciplinati strumenti e modalità mediante i quali le aziende possono procedere a coinvolgere in modo paritetico i propri dipendenti nell’organizzazione del lavoro.
Riguardo alle forme di coinvolgimento paritetico dei lavoratori la Cir- colare dell’Agenzia delle Entrate n. 28/E/2016 chiarisce che i lavoratori de- vono intervenire, operare ed esprimere opinioni che "siano considerate di pari livello, importanza e dignità di quelle espresse dai responsabili azien- dali che vi partecipano con lo scopo di favorire un impegno "dal basso" che consenta di migliorare le prestazioni produttive e la qualità del prodotto e del lavoro".
Welfare aziendale
Il DM 25 marzo 2016, attuando l'art. 1, comma 190, della legge n. 208/2015 disciplina anche le modalità per erogare, attraverso appositi vou- cher, beni, prestazioni e servizi di welfare aziendale, benefit esclusi dal red- dito di lavoro dipendente, conseguentemente assume un importante signifi- cato la scelta del lavoratore di convertire i premi di risultato agevolati in be- nefit del welfare aziendale che consente di detassare completamente il valo- re dei beni e servizi messi a disposizione dal datore di lavoro, i quali non sono assoggettati neppure all’imposta sostitutiva del 10%.
Come evidenziato dalla Circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 28/E/2016 si tratta di prestazioni, opere, servizi corrisposti al dipendente in natura o sotto forma di rimborso spese con finalità di rilevanza sociale, per- ciò escluse dal reddito di lavoro dipendente.
In sostanza il legislatore interviene per spingere le aziende a modulare "piani di welfare aziendale o di flexible benefit", vale a dire i programmi aziendali che mettono a disposizione del dipendente "un paniere di "utilità" tra i quali questi può scegliere quelle più rispondenti alle proprie esigenze", ampliando le tipologie di somme e valori che non concorrono a determinare il reddito di lavoro dipendente, modificando l’art. 51 del TUIR (DPR 22 di- cembre 1986, n. 917), con riferimento alle lettere f) ed f-bis) del comma 2 -
nel quale vengono introdotte anche le nuove lettere f-ter) e f-quater) - non- ché il comma 3-bis.
In particolare le lettere f)19 ed f-bis)20 individuano le erogazioni carat- terizzate da particolari finalità di educazione, istruzione, ricreazione, assi- stenza sociale e sanitaria o culto, rispetto alle quali la non concorrenza al reddito di lavoro dipendente è subordinata alla condizione che gli stessi be- nefit siano offerti alla generalità dei dipendenti o a categorie di dipendenti (anche gruppo omogeneo di dipendenti, a prescindere dalla circostanza che in concreto soltanto alcuni ne usufruiscano).
La nuova lettera f-ter) del comma 2 dell’art. 51 del TUIR, invece, di- sciplina l’esenzione dalla formazione del reddito di lavoro dipendente "le somme e le prestazioni erogate dal datore di lavoro alla generalità dei di-
19 La nuova formulazione della lettera f) dell’art. 51, comma 2, del TUIR, stabilisce che non concorrono alla formazione del reddito di lavoro dipendente "l’utilizzazione delle ope- re e dei servizi riconosciuti dal datore di lavoro volontariamente o in conformità a disposi- zioni di contratto o di accordo o di regolamento aziendale, offerti alla generalità dei dipen- denti o a categorie di dipendenti e ai familiari indicati nell'articolo 12 per le finalità di cui al comma 1 dell'articolo 100", escludendo dal reddito di lavoro dipendente le opere e i ser- vizi indicati, anche quando riconosciuti in base a contratti, accordi o regolamenti aziendali e non solo quando volontariamente erogati dal datore di lavoro; peraltro se i benefit sono erogati in conformità a disposizioni di contratto, di accordo o di regolamento per l’adempimento di un obbligo negoziale opera la deducibilità integrale dei relativi costi da parte del datore di lavoro (art. 95 TUIR), ma senza il limite del 5 per mille, che continua ad operare solo per opere e servizi offerti volontariamente dal datore di lavoro. Si tratta di opere e servizi con finalità di educazione, istruzione, ricreazione, assistenza sociale e sani- taria o culto, utilizzabili dal dipendente o dai familiari indicati nell’art. 12 del TUIR, che possono anche essere non fiscalmente a carico del lavoratore (ad es. corsi di lingua, di in- formatica, di musica, teatro, danza). I benefit possono essere messi a disposizione diretta- mente dal datore o da parte di strutture esterne all’azienda, a condizione che il dipendente resti estraneo al rapporto economico che intercorre tra l’azienda e il terzo erogatore del ser- vizio.
20 La nuova formulazione dell’art. 51, co. 2, lettera f-bis), del TUIR dispone che non con- corrono a formare il reddito di lavoro dipendente "le somme, i servizi e le prestazioni ero- gati dal datore di lavoro alla generalità dei dipendenti o a categorie di dipendenti per la fruizione, da parte dei familiari indicati nell'articolo 12, dei servizi di educazione e istru- zione anche in età prescolare, compresi i servizi integrativi e di mensa ad essi connessi, nonché per la frequenza di ludoteche e di centri estivi e invernali e per borse di studio a fa- vore dei medesimi familiari". La norma amplia, anche con migliore definizione, i servizi di educazione ed istruzione fruibili dai familiari del dipendente, anche fiscalmente non a cari- co, consentendo di comprendere anche scuole materne, centri estivi e invernali e ludoteche, ma anche borse di studio, assegni, premi di merito, sussidi per fini di studio, rimborso delle spese per rette scolastiche, tasse universitarie, libri di testo scolastici e gite didattiche, in- centivi economici agli studenti che conseguono livelli di eccellenza in ambito scolastico, servizio di trasporto scolastico.
pendenti o a categorie di dipendenti per la fruizione dei servizi di assistenza ai familiari anziani o non autosufficienti"21, con lo scopo di conciliare esi- genze della vita familiare del dipendente con quelle lavorative, detassando le prestazioni di assistenza per familiari anziani o non autosufficienti anche se erogate come rimborso spese.
L’art. 51, comma 2, del TUIR si arricchisce di una nuova lettera f- quater) che include nei piani di welfare aziendale o di flexible benefit, non soggetti a tassazione, anche i contributi e i premi versati dal datore di lavoro a favore della generalità dei dipendenti o di categorie di dipendenti per assi- curazioni aventi per oggetto il rischio di non autosufficienza nel compimen- to degli atti della vita quotidiana (art. 15, comma 1, TUIR) o aventi per og- getto il rischio di una delle malattie considerate gravi.
Va rilevato, inoltre, che l’art. 1, comma 190, lettera b), ha inserito, dopo il comma 3 dell’art. 51 del TUIR, il nuovo comma 3-bis prevedendo che l’erogazione di beni, prestazioni, opere e servizi di welfare da parte del datore di lavoro possa avvenire anche mediante documenti di legittimazio- ne, in formato cartaceo o elettronico, riportanti un valore nominale22. L’art. 6 del DM 25 marzo 2016 li definisce "voucher" e stabilisce che “non posso- no essere utilizzati da persona diversa dal titolare, non possono essere mo- netizzati o ceduti a terzi e devono dare diritto ad un solo bene, prestazione, opera o servizio per l’intero valore nominale senza integrazioni a carico del titolare”. In quanto i voucher hanno lo scopo di identificare il soggetto che ha diritto alla prestazione e perciò richiedono la previa intestazione del titolo all’effettivo fruitore della prestazione23.
21 La Circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 28/E/2016 ha chiarito che sono soggetti non autosufficienti coloro che non sono in grado di compiere gli atti della vita quotidiana (ad esempio, assumere alimenti, espletare funzioni fisiologiche, provvedere all'igiene per- sonale, deambulare, indossare indumenti), precisando che va considerata non autosufficien- te anche la persona che necessita di sorveglianza continuativa. Si chiarisce che lo stato di non autosufficienza può essere indotto dalla ricorrenza anche di una sola delle condizioni esemplificativamente richiamate e deve risultare da certificazione medica. Quanto ai fami- liari anziani si deve fare riferimento ai soggetti che hanno compiuto i 75 anni (art. 13, comma 4, TUIR).
22 La Risoluzione n. 26/E del 2010 dell’Agenzia delle Entrate ha chiarito che il valore normale può essere costituito anche dal prezzo scontato, praticato dal fornitore sulla base di apposite convenzioni stipulate dal datore.
23 In deroga al principio di unicità del benefit considerati nel voucher, quale eccezione al "divieto di cumulo", l’art. 6, comma 1, DM 25 marzo 2016 prevede che "i beni e servizi di cui all’articolo 51, comma 3, ultimo periodo del TUIR possono essere cumulativamente indicati in un unico documento di legittimazione purché il valore complessivo degli stessi non ecceda il limite di importo di 258,23 euro". Inoltre, il successivo comma 3 dello stesso
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Procedura telematica di deposito dei contratti collettivi
La Nota ministeriale n. 4274/2016 attua l’art. 5 del DM 25 marzo 2016 in merito all'obbligo di depositare i contratti collettivi (aziendali o ter- ritoriali)24, entro 30 giorni dalla loro sottoscrizione, congiuntamente alla re- lativa dichiarazione di conformità. L'adempimento deve essere assolto me- diante l'apposita procedura telematica25 nella sezione "Servizi" del sito isti- tuzionale xxx.xxxxxx.xxx.xx.
Il deposito del contratto - nel caso di società cooperative del verbale dell’assemblea dei soci che ha deliberato i ristorni per i soci lavoratori (art. 1 della legge n. 142/2001)26 - può essere effettuato dal datore di lavoro per- sonalmente o tramite gli intermediari appositamente abilitati (artt. 1, comma 1, e 2, comma 1, della legge n. 12/1979).
Le forme di partecipazione agli utili devono essere specificamente in- dicate nella Sezione 8 del modulo che va sempre compilata, evidenziano NO o SI a seconda che il contratto collettivo preveda o meno tale ipotesi, prestando attenzione, in caso affermativo, alla necessità di indicare il nume- ro di lavoratori e il valore annuo medio pro capite. D'altra parte, l’art. 3 del DM 25 marzo 2016 sancisce che "per somme erogate sotto forma di parte- cipazione agli utili dell’impresa si intendono gli utili distribuiti ai sensi
art. 6 fa salva la disciplina relativa ai servizi sostitutivi di mensa (richiamando il DPR 5 ot- tobre 2010, n. 207), sottraendo i buoni pasto alla disciplina di cui all’art. 6 del DM in con- siderazione della loro specificità. La Circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 28/E/2016 sul punto precisa che i voucher di cui all’art. 6, comma 1, del DM 25 marzo 2016 costituiscono uno strumento distinto dai buoni pasto o ticket, che non concorrono alla formazione del reddito di lavoro dipendente “fino all’importo complessivo giornaliero di euro 5,29, au- mentato a euro 7 nel caso in cui le stesse siano rese in forma elettronica”.
24 In caso di contratti territoriali che risultavano già depositati presso la Direzione territo- riale del lavoro competente, ex art. 14 del D.Lgs. n. 151/2015, alla data di pubblicazione del DM 25 marzo 2016, il datore di lavoro non deve depositare nuovamente il contratto ter- ritoriale, ma indicare nel modulo telematico unicamente i riferimenti dell’avvenuto deposi- to (data e DTL presso cui è avvenuto il deposito), evidenziando nella Sezione 2 la tipologia di contratto "Territoriale".
25 Il sistema informatizzato di archiviazione consente di accedere a tutti i contratti deposi- tati, ricercandoli per codice fiscale dell’azienda o per direzione territoriale di deposito, nonché di prendere visione dei modelli di monitoraggio compilati scegliendo un anno di ri- ferimento.
26 Nel compilare il modulo la voce "contratto" deve essere intesa quale "verbale di delibe- ra" e nella Sezione 6 deve essere evidenziata la voce "ristorni".
dell’articolo 2102 del codice civile"27 e la Circolare dell’Agenzia delle En- trate n. 28/E/2016 chiarisce ulteriormente che non si tratta di attribuire quo- te di partecipazione al capitale sociale, ma di erogare la retribuzione, in tut- to o in parte con partecipazione agli utili dell’impresa, fattispecie distinta dalla corresponsione dei premi di produttività, ammessa all’agevolazione a prescindere dagli incrementi di produttività, redditività, qualità, efficienza ed innovazione.
I chiarimenti ministeriali specificano che soltanto mediante la compi- lazione telematica del modello e l’upload del contratto collettivo aziendale o territoriale il modello è messo a disposizione automaticamente alla Dire- zione del lavoro territorialmente competente e il datore di lavoro avrà modo di dichiarare la conformità del contratto alle disposizioni di cui all’art. 1, commi 182-189, della legge n. 208/2015 e al DM 25 marzo 2016.
Contratto collettivo e regolamento aziendale
Sul valore del regolamento aziendale - redatto in ragione delle previ- sioni contenute negli artt. 2086 e 2104 c.c. - nello specifico per una pianifi- cazione del welfare in azienda, la Circolare n. 28/E/2016 ha precisato che "la erogazione dei benefit in conformità a disposizioni di (...) regolamento che configuri l’adempimento di un obbligo negoziale determina la deducibi- lità integrale dei relativi costi da parte del datore di lavoro ai sensi dell’articolo 95 del TUIR, e non nel solo limite del cinque per mille, secon- do quanto previsto dall’articolo 100 del medesimo testo unico. Tale limite di deducibilità continua ad operare, invece, in relazione alle ipotesi in cui le opere ed i servizi siano offerti volontariamente dal datore di lavoro".
Sulla falsariga la successiva Circolare n. 5/E/2018 ha esteso il riferi- mento ai diversi benefit ammessi alla deducibilità integrale, senza meglio esplicitare il concetto di "adempimento di un obbligo negoziale" riferito al regolamento aziendale.
Due differenti Direzioni Regionali dell’Agenzia delle Entrate, tuttavia, quella della Lombardia con Interpello n. 954-1417/2016 e quella del Lazio
27 Come ricordato dall'Agenzia delle Entrate in base all’art. 2102 codice civile, la par- tecipazione agli utili spettante al lavoratore (art. 2554 c.c.) è determinata secondo gli utili netti dell'impresa, e, per le imprese soggette a pubblicazione di bilancio (artt. 2423, 2435, 2464, 2491, 2516 c.c.), per gli utili netti dal bilancio approvato e pubblicato (artt. 2433 ss. c.c.).
con Interpello n. 913-807/2017, hanno affermato che per avere valenza di adempimento di obbligo negoziale il regolamento aziendale non può espli- citare in alcun modo la facoltà del datore di lavoro di recedere unilateral- mente e di valutare in modo discrezionale l’implementazione ovvero l’efficacia del piano di welfare attuato. al termine di ciascun anno di vigen- za senza che da questo possa derivare alcun successivo obbligo nei confron- ti dei collaboratori, non può configurarsi alcun obbligo negoziale; in genera- le il datore di lavoro non può riservarsi di apportare modifiche o integrazio- ni al regolamento aziendale sul welfare, che non deve contenere alcun ele- mento di arbitrarietà del datore di lavoro che farebbe venire meno senza dubbio la natura di "obbligo negoziale".
Ne consegue che la miglior valenza di tale azione aziendale potrebbe adeguatamente configurarsi in una contrattazione collettiva aziendale disci- plinante gli interventi di welfare concordati fra datore di lavoro e rappresen- tanze sindacali dei lavoratori, in base alle risorse rese disponibili dall’azienda.
D’altronde, la Nota del Ministero del Lavoro n. 4274/2016, nell'attua- re l’art. 5 del D.M. 25 marzo 2016 in merito all’obbligo di depositare i con- tratti collettivi (aziendali o territoriali), entro 30 giorni dalla loro sottoscrizio- ne, congiuntamente alla relativa dichiarazione di conformità (adempimento da assolvere mediante l’apposita procedura telematica nel sito istituzionale), non sembra estendere tale obbligo anche ai regolamenti aziendali, seppure non si possa negare che la presentazione del regolamento aziendale sul welfare, a mezzo PEC, all'Ispettorato Territoriale del Lavoro competente per territorio, potrà fornire al datore di lavoro una "ufficializzazione", che avvalorerà la necessaria puntuale infor- mazione alla generalità dei dipendenti dell'azienda, peraltro pienamente assicurata nel caso di una sottoscrizione per accettazione e per adesione dai singoli lavoratori.
Contratto collettivo applicabile e vigilanza
Vale la pena osservare che l’individuazione del contratto collettivo di diritto comune da applicare al singolo rapporto di lavoro, andrebbe sempre formalmente ricercata interpretando la volontà delle organizzazioni sindacali stipulanti e quella delle parti individuali che alla contrattazione intendono fare riferimento.
La giurisprudenza, tuttavia, applica l’art. 2070 cod. civ. per cui si può de- terminare secondo l’attività esercitata dall’imprenditore il CCNL applicabi- le.
D’altro canto, sempre in sede giurisprudenziale si è valutata la determinazione giudiziale della retribuzione sufficiente ai sensi dell’art. 36 Cost. e, in tal caso, «il ricorso al criterio della categoria economica di appartenenza del datore di lavoro, fissato dall’art. 2070 cod. civ., è consentito (...) quando non risulti applicato alcun contratto collettivo e sia dedotta l’inadeguatezza della retribuzione contrattuale ex art. 36 Cost. rispetto all’effettiva attività lavorativa esercitata» (Cass., 29 luglio 0000, x. 00000; Cass., S.U., 26 marzo 1997, n. 2665).
Anche nel caso in cui l’imprenditore eserciti attività plurime – se non hanno distinto carattere autonomo – l’appartenenza alla categoria professionale viene determinata dalla giurisprudenza ai sensi dell’art. 2070 cod. civ. (Cass., 23 settembre 2000, n. 12624; Cass., 25 luglio 1998, n. 7333), vale a dire con riferimento all’attività prevalente.
Occorre, infatti, richiamare l’attenzione sulla inattuazione dell’art. 39, seconda parte, Cost., in ragione della quale il contratto collettivo, rifluendo nell’ambito del diritto privato, è stato qualificato come contratto collettivo di diritto comune, per significare che esso trova disciplina, unicamente nel diritto contrattuale comune, con speciale riguardo alle disposizioni del codice civile sul contratto in generale.
La stessa possibilità di ammettere la cittadinanza nel nostro Ordinamento di un contratto collettivo non rispondente alle previsioni dell’art. 39 Cost. è, come noto, dipesa dalla lettura storicamente affermatasi della norma costituzionale che, radicando la contrattazione collettiva nel primo comma dello stesso art. 39, nel principio di libertà sindacale, ha fornito il fondamento positivo della teorizzazione della contrattazione collettiva di
diritto comune e ha giustificato l’accantonamento della prospettiva dell’attuazione costituzionale.
La qualificazione del contratto collettivo come contratto di diritto comune non poteva tuttavia considerarsi soddisfacente, perché la giurisprudenza non ha mai applicato tout court al contratto collettivo le norme del codice civile sui contratti in generale, applicando anzi in via diretta e non analogica alcu- ne norme (come l’art. 2077 cod. civ.) dettate dal codice civile per il contrat- to collettivo corporativo.
L’insieme delle questioni qui affrontate, in verità, ruota intorno alla duplicità di natura del contratto collettivo di lavoro, ad un tempo contratto e atto normativo, una ambiguità di fondo che rappresenta un dato strutturale, ineliminabile, della figura del contratto collettivo.
Venendo all’ambito oggettivo di efficacia del contratto collettivo, vale la pena richiamare che nell’Ordinamento corporativo, in cui, in forza del potere di rappresentanza legale attribuito al sindacato, il contratto collettivo era dotato di efficacia erga omnes, cioè era vincolante nei confronti di tutti gli appartenenti alla categoria cui si riferiva, l’art. 2070 cod. civ. svolgeva la funzione di individuazione del contratto collettivo applicabile al rapporto di lavoro sulla base dell’indice dell’attività effettivamente esercitata dall’imprenditore. La norma in sé non fondava l’obbligo di applicazione di un determinato contratto collettivo, ma più semplicemente indicava nei casi dubbi quale contratto applicare ovvero come risalire dal rapporto al contratto (collettivo), stabilendo l’appartenenza alla categoria professionale, previamente definita su base ontologica.
Dopo la caduta dell’Ordinamento corporativo, la giurisprudenza ha per un lungo periodo affermato, più che argomentato, la perdurante vigenza dell’art. 2070 cod. civ., muovendo dal rilievo che la ratio della norma soddisfa «generali esigenze dell’azione sindacale» e giungendo a dichiarare l’applicabilità tout court di entrambi i commi che compongono la disposizione. Siffatto orientamento, per quanto prevalente fino agli anni Ottanta, non è mai stato pacifico, per cui non è difficile, nel medesimo arco di tempo, riscontrare più di una decisione di segno opposto, schierata sulla posizione di incompatibilità dell’art. 2070 con il contratto collettivo cd. di diritto comune.
Tuttavia, soltanto nelle argomentazioni della giurisprudenza di legittimità più recente, poi confluite nella pronuncia delle Sessioni Unite del 26 marzo 1997, n. 2665, affiorano gli esiti di una più matura riflessione in ordine alle molteplici implicazioni dei principi di libertà e di autodeterminazione sindacale.
Passando al diverso profilo dell’ambito soggettivo di efficacia del contratto collettivo di lavoro, pur essendo astrattamente proponibile anche per i contratti, nazionali o aziendali, che modificano in melius a favore dei lavoratori i trattamenti previsti dalla legge o da precedenti discipline collettive, esso assume un rilevante tasso di criticità e di problematicità con riguardo ai contratti collettivi cd. in perdita o concessivi, specie di livello aziendale. Non si tratta, in effetti, di garantire ai lavoratori non iscritti lo stesso trattamento riservato agli iscritti alle associazioni sindacali stipulanti, ma di giustificare l’applicazione del contratto collettivo, nonostante la presenza di un eventuale dissenso da parte dei primi.
Nel tempo dottrina e giurisprudenza hanno valorizzato così il veicolo di espansione dell’ambito di efficacia del contratto collettivo rappresentato dall’adesione individuale, espressa attraverso il rinvio esplicito del contratto individuale alla disciplina collettiva (anche nella dichiarazione di assunzione consegnata al lavoratore) o attraverso la sua stabile utilizzazione nei fatti, con conseguente assoggettamento del rapporto individuale al complessivo regolamento collettivo.
Merita un cenno anche la questione dei criteri di interpretazione del con- tratto collettivo che si fondano sulla peculiare natura del contratto colletti- vo.
Se è indubbio che costituisce espressione dell’autonomia negoziale degli stipulanti (e perciò rientri nella nozione di contratto accolta dall’art. 1321 cod. civ.), altrettanto vero è che il contratto collettivo realizza gli effetti tipici di un atto normativo, fungendo da fonte di regolamentazione dei rapporti individuali di lavoro.
Tale ambivalente natura è stata efficacemente compendiata in una ormai celebre metafora, secondo la quale il contratto collettivo è «un ibrido con il corpo del contratto e l’anima della legge» (X. Xxxxxxxxxx).
Così, per individuare quali criteri debbano presiedere all’interpretazione del contratto collettivo, viene posta, preliminarmente, l’alternativa tra i criteri dettati dall’art. 12 disp. prel. cod. civ. (riferiti alla legge, atto normativo generale) e quelli indicati dagli art. 1362 ss. cod. civ. (riferiti al contratto, atto di autonomia privata).
In particolare, la dottrina, difendendo e rimarcando la natura privatistica del contratto collettivo post-corporativo, ha affermato, senza esitazioni, l’applicabilità dei criteri codicistici di ermeneutica contrattuale, ponendo tuttavia l’accento soprattutto sui criteri oggettivi, di cui agli artt. 1367-1371 cod. civ. (contrapposti a quelli soggettivi, di cui agli artt. 1362-1365 cod. civ.), in quanto ritenuti più idonei a guidare l’interpretazione di un atto, quale il contratto collettivo, dalla spiccata attitudine regolativa.
Di fonte giurisprudenziale un ulteriore canone interpretativo riguardante la coerenza del contratto collettivo con i valori fondamentali dell’Ordinamento giuslavoristico, così come formulati nel diritto vivente (Cass., 1° luglio 2002, n. 9538).
Da ultimo deve sottolinearsi la portata, sul piano squisitamente ermeneutico, dell’art. 420-bis cod. proc. civ., introdotto dall’art. 18 del D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, a norma del quale: «1. Quando per la definizione di una controversia di cui all’art. 409 è necessario risolvere in via pregiudiziale una questione concernente l’efficacia, la validità o l’interpretazione delle clausole di un contratto o accordo collettivo nazionale, il giudice decide con sentenza tale questione, impartendo distinti provvedimenti per l’ulteriore istruzione o, comunque, per la prosecuzione della causa fissando una successiva udienza in data non anteriore a novanta giorni. 2. La sentenza è impugnabile soltanto con ricorso immediato per cassazione da proporsi entro sessanta giorni dalla comunicazione dell’avviso di deposito della sentenza. 3. Copia del ricorso per cassazione deve, a pena di inammissibilità del ricorso, essere depositata presso la cancelleria del giudice che ha emesso la sentenza impugnata entro venti giorni dalla notificazione del ricorso alle altre parti; il processo è sospeso dalla data del deposito».
La norma ha, infatti, spinto la giurisprudenza ad affermare che «nel procedimento di accertamento pregiudiziale della validità, efficacia ed interpretazione dei contratti ed accordi collettivi nazionali di cui all’art. 420-bis cod. proc. civ., la Corte di legittimità, pur adottando i canoni di ermeneutica negoziale indicati dal codice civile, si muove secondo una metodica peculiare in ragione della portata che assume la sua decisione, destinata a provocare una pronuncia che tende a fare stato in una pluralità di controversie cosiddette “seriali”, non essendo, quindi, vincolata dall’opzione ermeneutica adottata dal giudice di merito, pur se congruamente e logicamente motivata, giacché può autonomamente pervenire, anche tramite la libera ricerca all’interno del contratto collettivo di qualunque clausola ritenuta utile all’interpretazione, ad una diversa decisione sia per quanto attiene alla validità ed efficacia di detto contratto, sia in relazione ad una diversa valutazione del suo contenuto normativo» (Cass., 6 ottobre 2008, n. 24654).
D’altronde l’effetto della disposizione contenuta nell’art. 420-bis cod. proc. civ., pur nella prospettiva di ricondurre, attraverso l’eventuale impugnazione della sentenza di accertamento pregiudiziale su efficacia, validità ed interpretazione, alla nomofilachia della Cassazione anche i contratti collettivi di lavoro, non può evitare che «due opposte
interpretazioni dei giudici di merito di una medesima disposizione collettiva siano entrambe convalidate o censurate dalla Suprema Corte, a seconda del superamento o meno del controllo limitato alla verifica della correttezza della motivazione e del rispetto dei criteri di ermeneutica di cui agli artt. 1362 ss. cod. civ.» (cfr. Cass. 25 settembre 2007, n. 19710; Cass. 12 maggio 2006, n. 11037).
La vigilanza sui contratti collettivi
La vigilanza in materia di contrattazione collettiva è oggi espressamente sancita dall’art. 7 del D.Lgs. 23 aprile 2004, n. 124, di attuazione della de- lega di cui all’art. 8 della legge 14 febbraio 2003, n. 30.
La lett. b) dell’art. 7, comma 1, del D.Lgs. n. 124/2004, infatti, affida espressamente al personale ispettivo delle direzioni provinciali e regionali del lavoro il compito, fra l’altro, di «vigilare sulla corretta applicazione dei contratti e accordi collettivi di lavoro».
La titolarità della vigilanza in materia di lavoro e di previdenza sociale, progressivamente fortemente incisa dalla contrattazione collettiva di lavoro, sorge nel sistema normativo e istituzionale italiano in connessione con le prime norme inderogabili in materia di legislazione sociale e, precisamente, con l’entrata in vigore della legge 17 marzo 1898, n. 80 – ritenuta dalla dottrina come momento di nascita della previdenza sociale italiana – e del regolamento attuativo di essa (25 settembre 1898, n. 411), relativamente agli obblighi datoriali riguardanti la stipula di apposite polizze assicurative contro i rischi di infortuni sul lavoro.
D’altro canto, è con la legge 22 luglio 1961, n. 628 che la vigilanza sui contratti collettivi di lavoro viene ad essere esplicitata dal Legislatore: nell’art. 4, comma 1, lett. b), di detta legge, infatti, viene affidata all’allora Ispettorato del Lavoro anche il compito di «vigilare sull’esecuzione dei contratti collettivi di lavoro».
L’art. 4 della legge n. 628/1961, dunque, si offre quale fonte diretta dell’attuale art. 7 del D.Lgs. n. 124/2004, per quanto si debbano necessariamente rilevare alcune differenze, anche di ordine testuale, fra i due testi normativi.
In primo luogo, la titolarità della vigilanza sulla contrattazione collettiva di lavoro si estende, nel nuovo dettato normativo, a qualsiasi ambito: nazionale, ma anche di secondo livello, vale a dire territoriale o aziendale). In seconda battuta il riferimento del Legislatore non è soltanto al contratto collettivo in senso stretto, ma anche alla generalità degli accordi conclusi in
sede collettiva dalle rappresentanze sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro ai diversi livelli, compreso quello interconfederale.
Sotto altro profilo la norma fa ora riferimento alla “applicazione” e non già alla “esecuzione” dei contratti collettivi, a sottolineare la chiara intenzione del Legislatore di impostare la tutela fondando l’accertamento ispettivo sulla volontà contrattuale delle parti di disciplinare fra loro con determinate regole di origine collettiva il rapporto di lavoro individuale.
I limiti alla vigilanza sui contratti collettivi di diritto comune
D’altro canto, per inquadrare correttamente i limiti della vigilanza in materia di esatta applicazione dei contratti collettivi di lavoro, occorre riandare al dibattito dottrinale scaturito nella vigenza dell’art. 4 della legge
n. 628/1961, nonché, conseguentemente, ai rapporti fra legge e contrattazione collettiva nell’Ordinamento giuridico.
La legge del 1961, peraltro, vedeva la luce in un periodo storico nel quale la contrattazione collettiva era in larga misura ancora identificabile nei contratti collettivi con efficacia erga omnes di cui alla legge 14 luglio 1959,
n. 741 (cd. “legge Vigorelli”) e nei contratti collettivi corporativi che trovavano ancora significativi ambiti di operatività.
In questo panorama, la dottrina si era sostanzialmente schierata su due con- trapposte posizioni per quanto attiene la portata della vigilanza sulla “ese- cuzione” dei contratti collettivi attribuita alle competenze degli ispettori del lavoro.
Da un lato vi erano quanti, sulla scorta della natura di “diritto comune” della generalità dei contratti collettivi applicabili in Italia, limitavano la vigilanza degli Ispettorati del lavoro alla sola verifica della corretta “esecuzione” dei contratti collettivi corporativi o di quelli erga omnes operando, in caso di inosservanza, l’accertamento dei relativi illeciti con applicazione delle sanzioni previste dal Legislatore, di cui appresso nel testo.
Dall’altro lato si ponevano quanti, pur minoritariamente, sposavano una lettura più ampia della disposizione, ritenendo che l’art. 4 della legge n. 628/1961 era entrato in vigore in un’epoca nella quale già i contratti collettivi di diritto comune venivano stipulati e sostituivano o superavano quelli corporativi e quelli erga omnes, ragione per la quale il potere ispettivo attribuito ai funzionari dell’Ispettorato del lavoro in materia doveva riguardare anche la contrattazione collettiva di diritto comune, sebbene nei limiti della sfera soggettiva di efficacia della stessa.
La sicura prevalenza del primo orientamento, ante D.Lgs. n. 124/2004, ave- va portato la dottrina a sostenere che l’attività di vigilanza sull’esecuzione della contrattazione collettiva doveva ritenersi svuotata di contenuto e di si- gnificato.
L’art. 7 del decreto di riforma dei servizi ispettivi, peraltro, pone fine e supera il dibattito dottrinale, sinteticamente riassunto, e spostando l’asse della vigilanza dalla “esecuzione” alla “applicazione” di accordi e contratti collettivi si volge a considerare il ruolo di completamento “normativo” della contrattazione collettiva rispetto alla disciplina legale (si pensi ai molti esempi in tal senso contenuti nel D.Lgs. 8 aprile 2003, n. 66 in materia di orario di lavoro ovvero anche nel X.Xxx. 10 settembre 2003, n. 276 con riferimento a talune tipologie contrattuali).
Rapporti fra legge e contratto collettivo
La sempre più stretta integrazione di tipo funzionale fra contrattazione collettiva e legge è stata operata dal Legislatore, in specie nell’ultimo decennio, con una serie di tecniche normative fra loro fortemente differenziate, che possono essere sintetizzate, secondo la ricostruzione da altri autorevolmente operata (X. Xxxxxx), come segue:
1. la disposizione di legge detta una regola, più o meno dettagliata, affi- dando al contratto collettivo il compito di integrarne ulteriormente la portata o il campo di applicazione;
2. la norma legale stabilisce una disciplina ma consente al contratto collet- tivo di derogarla in tutto o in parte;
3. la legge fissa una regola di carattere sostitutivo o suppletivo applicabile solo nei casi in cui il contratto collettivo non ha disciplinato la fattispecie;
4. la disposizione di legge contiene una normativa di massima e affida al contratto collettivo il compito di integrarla, ma assegna al Ministro del lavoro o ad Autorità indipendente la facoltà di integrazione affidata alla contrattazione collettiva in caso di inerzia da parte di questa;
5. la legge detta una regola generale e assegna al contratto collettivo il compito di integrarla, prevedendo che in assenza di contrattazione collettiva la disciplina possa essere individuata dalla autonomia individuale.
In quest’ottica, comunque, le relazioni fra legge e contrattazione collettiva, anche ai fini della vigilanza, devono essere osservate secondo i due distinti profili dei rapporti tra due sistemi normativi differenti e dello scambio fra due diverse fonti del diritto disciplinanti i rapporti di lavoro.
Sotto il primo profilo non possono non rilevare, anche in considerazione delle tecniche normative di interazione già elencate, proprio le ipotesi di rinvio legale alla contrattazione collettiva in funzione integrativa o anche derogatoria.
Nella prospettiva delle fonti del diritto, invece, si nota come dal paradigma classico della inderogabilità in peius (cd. “unilaterale”), si sia progressivamente transitati verso interventi deregolativi in settori via via più ampi della disciplina del rapporto di lavoro, vestendo il contratto collettivo di funzioni non soltanto integrativa e derogatoria tout court, ma piuttosto anche autorizzatoria e gestionale, pure a fronte di un carattere normalmente imperativo della disciplina legale, salva contraria ed espressa previsione legislativa.
Proprio alla luce delle odierne interazioni fra legge e contrattazione collettiva, dunque, l’art. 7, comma 1, lett. b), del D.Lgs. n. 124/2004 va inteso nel senso di una verifica ispettiva immanentemente subordinata alla volontà del datore di lavoro ispezionato e del lavoratore, sul cui rapporto di lavoro si investiga, di applicare esplicitamente al contratto individuale fra le stesse parti posto in essere uno specifico contratto collettivo (nazionale) di lavoro, all’interno dei limiti – costituzionalmente sanciti – posti dalla libertà sindacale (positiva e negativa, ai sensi dell’art. 39 Cost.) e dal pluralismo sindacale, da un lato, nonché dalla autonomia negoziale e dalla libertà imprenditoriale (art. 41 Cost.), dall’altra.
Contratto collettivo applicabile
In tale prospettiva, pertanto, l’ispettore del lavoro che eserciti la vigilanza in forza del richiamato art. 7 del D.Lgs. n. 124/2004 potrà legittimamente veri- ficare la corretta applicazione di qualsivoglia contratto collettivo (nazionale, territoriale o aziendale) che sia lecitamente stipulato da una qualsiasi asso- ciazione di categoria od organizzazione datoriale con una qualsiasi rappre- sentanza sindacale dei lavoratori.
All’un tempo, tuttavia, il personale ispettivo delle Direzioni provinciali e regionali del lavoro non può omettere di verificare, preliminarmente, in forza della natura di diritto comune (privatistica) del contratto collettivo di lavoro, se questo risulta essere effettivamente applicato fra le parti in forza di una volontaria adesione alle organizzazioni firmatarie dello stesso o anche solo per rinvio esplicito contenuto nel contratto individuale di lavoro (o nella dichiarazione di assunzione oppure, infine, nella comunicazione obbligatoria di instaurazione del rapporto di lavoro effettuata mediante il modulo “Unificato Lav”).
Evidentemente, pertanto, gli ispettori del lavoro non potranno operare la prevista vigilanza in argomento nei casi di “rinvio implicito” o di “rinvio presunto” ad un contratto collettivo essendo rimesso soltanto (ed esclusivamente) al giudice (e non agli organi di vigilanza) il potere di valutare l’adesione del datore di lavoro ad una determinata contrattazione collettiva in virtù di comportamenti o fatti concludenti e così estendere l’efficacia soggettiva del contratto collettivo del settore di riferimento.
D’altra parte in questa stessa direzione si è mossa la giurisprudenza della Suprema Corte, laddove, superando un annoso contrasto di orientamenti con riferimento alla identificazione del contratto collettivo applicabile all’interno di una singola impresa, con la sentenza Xxxx. Civ., Sez. Un., 26 marzo 1997, n. 2665, ha avuto modo di affermare «Il primo comma dell’art. 2070 cod. civ. (secondo cui l’appartenenza alla categoria professionale, ai fini dell’applicazione del contratto collettivo, si determina secondo l’attività effettivamente esercitata dall’imprenditore) non opera nei riguardi della contrattazione collettiva di diritto comune, che ha efficacia vincolante limitatamente agli iscritti alle associazioni sindacali stipulanti e a coloro che, esplicitamente o implicitamente, al contratto abbiano prestato adesione. Pertanto, nell’ipotesi di contratto di lavoro regolato dal contratto collettivo di diritto comune proprio di un settore non corrispondente a quello dell’attività svolta dell’imprenditore, il lavoratore non può aspirare all’applicazione di un contratto collettivo diverso, se il datore di lavoro non vi è obbligato per appartenenza sindacale, ma solo eventualmente richiamare tale disciplina come termine di riferimento per la determinazione della retribuzione ex art. 36 Cost., deducendo la non conformità al precetto costituzionale del trattamento economico previsto nel contratto applicato».
Se ne deduce, pertanto, che la vigilanza pubblica sul contratto collettivo di lavoro esige la riconosciuta applicabilità del contratto stesso da parte del datore di lavoro e del lavoratore.
In questo stesso senso, più di recente, Cass. Civ., Sez. Lav., 5 maggio 2004,
n. 8565, secondo cui: «Il primo comma dell’art. 2070 cod. civ. (secondo cui l’appartenenza alla categoria professionale, ai fini dell’applicazione del contratto collettivo, si determina secondo l’attività effettivamente esercitata dall’imprenditore) non opera nei riguardi della contrattazione collettiva di diritto comune, che ha efficacia vincolante esclusivamente per gli iscritti alle associazioni sindacali stipulanti(nonché per coloro che, esplicitamente o implicitamente, al contratto abbiano prestato adesione) e solo nei limiti della volontà manifestata dalle suddette organizzazioni sindacali. Ne consegue la piena validità ed efficacia della clausola di un accordo
aziendale - avente natura collettiva in relazione agli interessi generali coinvolti - diretto a stabilire il contratto collettivo di categoria applicabile al personale dell’azienda».
Rilevano, quindi, nella prospettiva della vigilanza sulla corretta applicazione della contrattazione collettiva due distinte questioni, principalmente, quella relativa all’istituto della diffida accertativa per crediti patrimoniali, di cui all’art. 12 del D.Lgs. n. 124/2004, e quello della determinazione della retribuzione da assoggettare a contribuzione, a norma dell’art. 1 del D.L. 9 ottobre 1989, n. 338, convertito nella legge 7 dicembre
1989, n. 389.
La diffida accertativa per crediti patrimoniali
Con l’art. 12 del D.Lgs. n. 124/2004, rubricato «Diffida accertativa per crediti patrimoniali», ha fatto ingresso nel nostro Ordinamento giuslavoristico un istituto che, senza enfasi, è possibile qualificare “rivoluzionario”, anzitutto per la sua assoluta novità, ma soprattutto per il suo caratterizzarsi in base ad una dirompente vis giuridica con effetti immediati e decisivi sulla tutela diretta dei diritti retributivi e pecuniari in genere dei lavoratori.
La norma fornisce, pertanto, all’Ispettore del lavoro uno strumento di straordinaria importanza per muoversi a difesa delle concrete esigenze dei lavoratori, potendo intervenire, in sede ispettiva, con un proprio provvedimento, al quale potrà successivamente essere riconosciuta efficacia giuridica di titolo esecutivo per l’ottenimento delle somme dovute in ragione dell’attività lavorativa svolta.
Peraltro, la diffida accertativa non è un istituto giuridico di origine proces- suale rivolto alle parti private, datore di lavoro e lavoratore, nella tutela del- le proprie rispettive posizioni di creditore o debitore, ma l’attribuzione di uno specifico potere ad una Autorità amministrativa, con competenze di vi- gilanza e ispezione, laddove accerti la sussistenza di un credito di natura pa- trimoniale che consegue ad inosservanze contrattuali.
Con riguardo alla individuazione dell’ambito di operatività dell’istituto, l’art. 12, comma 1, stabilisce che il presupposto affinché possa procedersi con un provvedimento di diffida accertativa è l’emergere, nell’ambito di una attività di vigilanza, di «inosservanze alla disciplina contrattuale».
In argomento sussiste una chiara e decisa presa di posizione ministeriale (in seno alla Circolare n. 24 del 24 giugno 2004), del tutto condivisibile, secondo cui il provvedimento di diffida accertativa riguarda
indifferentemente crediti patrimoniali che scaturiscono dalla contrattazione collettiva ovvero anche dal contratto individuale di lavoro.
Quanto ai contratti collettivi non si può non evidenziare che il mancato riferimento al solo livello nazionale, stante la generale previsione terminologica contenuta nel D.Lgs. n. 276/2003, consente di estendere il parametro attuativo anche alla contrattazione di secondo livello, ovvero a quella territoriale e finanche a quella aziendale, pur nei limiti della loro naturale efficacia soggettiva, e sempre ché i contratti assunti ai fini del calcolo delle spettanze risultino stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative.
D’altra parte, va altresì segnalato che il collegamento con la contrattazione collettiva di lavoro, anche in riferimento alla valutazione delle condotte datoriali in generale e non solo, quindi, con riguardo all’applicazione della diffida accertativa, rappresenta un derivato diretto del portato normativo dell’art. 7, comma 1, lett. b), del D.Lgs. n. 124/2004.
Da quanto detto, peraltro, deriva la consapevolezza che nelle unità produttive in cui non risulta di fatto applicato nessun contratto collettivo, il personale ispettivo ministeriale dovrà necessariamente limitarsi a prendere in esame esclusivamente il contenuto sostanzialmente contrattuale delle pattuizioni individuali intervenute, sebbene le stesse non siano state in alcun modo formalizzate o documentate, senza potere, invece, fare riferimento ai livelli minimi retributivi fissati dall’autonomia collettiva nel contratto applicabile astrattamente all’azienda in base al settore merceologico di attività.
In questo senso, allora, non potrà ritenersi comunque necessaria, ai fini dell’applicazione dell’art. 12 del D.Lgs. n. 124/2004, l’esistenza documentata di un qualsiasi atto scritto da cui si evincano tutti i termini contrattuali individuali, di tipo patrimoniale, invocabili nel conteggio della retribuzione e degli altri emolumenti accreditabili al lavoratore interessato.
Sarà, al contrario, possibile fare riferimento alle circostanze oggettive investigate, come, ad esempio, nel caso di prestazioni lavorative rese “in nero” da lavoratori che non risultano registrati sui documenti obbligatori di lavoro ovvero anche nel caso in cui il personale ispettivo proceda a disconoscere la sussistenza di un rapporto di lavoro autonomo ricostruendolo nei termini di una effettiva subordinazione: occorrerà, tuttavia, soprattutto in siffatte ipotesi, per l’adozione della diffida accertativa sulla scorta delle pattuizioni individuali, che il funzionario ispettivo acquisisca in concreto elementi probatori chiari, determinati e certi con riguardo al calcolo dei crediti pecuniari derivanti dal trattamento economico e retributivo pattuito fra le parti, senza alcuna impossibile
sostituzione della potestà decisoria, esclusiva in argomento, della magistratura.
Ne deriva, pertanto, che in occasione di una verifica ispettiva che abbia per oggetto esclusivamente rapporti di lavoro fondati su pattuizioni individuali il personale ispettivo delle Direzioni del lavoro potrà adottare la diffida ac- certativa per tutti i crediti patrimoniali derivanti dal contratto individuale, quale che sia la fonte normativa o contrattuale collettiva di provenienza, giusta la valorizzazione del credito in ragione dell’accordo individuale fra datore e prestatore di lavoro.
In base all’art. 12 del D.Lgs. n. 124/2004 con la «diffida accertativa per crediti patrimoniali» (Circolare n. 1 dell’8 gennaio 2013) il personale ispet- tivo delle Direzioni del lavoro diffida, in sede di indagine ispettiva, il datore di lavoro (e l’obbligato in solido secondo la risposta ad Interpello n. 33 del 12 ottobre 2010) a corrispondere direttamente al lavoratore le somme che risultano accertate come crediti patrimoniali, anche non di natura stretta- mente retributiva, in qualsiasi modo derivanti dalla corretta applicazione delle norme e degli istituti contrattuali, nei limiti dell’efficacia soggettiva dei contratti collettivi ovvero dell’ambito di operatività del singolo contratto individuale. L’ispettore del lavoro procede ad impartire la diffida accertati- va, dopo avere opportunamente valutato le circostanze del caso e la situa- zione complessiva in concreto sottoposta alla sua indagine. Il prudente ap- prezzamento dei risultati dell’indagine e degli elementi obiettivi acquisiti, comporta che il funzionario ispettivo potrà diffidare il datore di lavoro, se- condo quanto chiarito dalla Circolare n. 1/2013, per: crediti retributivi da omesso pagamento; crediti di tipo indennitario, da maggiorazioni, TFR; crediti legati al demansionamento o alla mancata applicazione di livelli mi- nimi retributivi legalmente previsti; crediti derivanti dall’accertamento di lavoro sommerso. Il datore di lavoro diffidato, che non ritenga di dover adempiere, può promuovere, nel termine di 30 giorni dalla notifica dell’atto, un tentativo di conciliazione presso la Direzione del lavoro, sul quale peserà il valore della diffida accertativa come accertamento tecnico riguardo alle possibilità di accordo fra le parti su dati retributivi o sostanziali differenti. In caso di conciliazione la diffida accertativa «perde efficacia», mentre se il termine per esperire la conciliazione è decorso inutilmente oppure se l’accordo fra le parti non viene raggiunto in sede conciliativa, la diffida ac- certativa «acquista valore di accertamento tecnico, con efficacia di titolo esecutivo», mediante provvedimento di validazione del Direttore della Dire- zione territoriale del lavoro. Il lavoratore sulla base della diffida accertativa validata potrà adire l’Autorità giudiziaria per la rapida soddisfazione dei crediti. Peraltro, il datore di lavoro può impugnare il titolo esecutivo entro
30 giorni dalla notificazione, mediante ricorso presentato al Comitato re- gionale per i rapporti di lavoro (art. 17, D.Lgs. n. 124/2004), integrato dalle parti sociali, il quale dovrà decidere il ricorso (che sospende l’esecutività della diffida accertativa), entro 90 giorni, in caso di mancata decisione nei termini il ricorso si intende respinto. Le Circolari n. 1/2013 e n. 24/2004 hanno precisato che la diffida accertativa appare possibile anche per un rap- porto di lavoro autonomo se l’erogazione dei compensi è legata a presuppo- sti oggettivi e predeterminati.
La determinazione di retribuzione e contributi
Sotto altro e differente profilo, la vigilanza di cui all’art. 7, comma 1, lett. b), del D.Lgs. n. 124/2004 può concentrarsi anche sulla determinazione della retribuzione da assoggettare a contribuzione, a norma dell’art. 1 del
D.L. n. 338/1989, come convertito nella legge n. 389/1989, secondo cui: «la retribuzione da assumere come base per il calcolo dei contributi di previdenza e di assistenza sociale non può essere inferiore all’importo delle retribuzioni stabilito da leggi, regolamenti o contratti collettivi, stipulati dalle organizzazioni sindacali più rappresentative sul piano nazionale, ovvero da accordi collettivi o contratti individuali qualora ne derivi una retribuzione di importo superiore a quello previsto dal contratto collettivo».
La norma in seguito è stata autenticamente interpretata dall’art. 2, comma 25, della legge 28 dicembre 1995, n. 549, secondo il quale la norma deve interpretarsi «nel senso che, in caso di pluralità di contratti collettivi intervenuti per la medesima categoria, la retribuzione da assumere come base per il calcolo dei contributi previdenziali ed assistenziali è quella stabilita dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative nella categoria».
L’individuazione del contratto leader, dunque, spetta finanche al personale ispettivo delle Direzioni del lavoro e a quello degli Istituti previdenziali, ai fini della effettuazione della prevista vigilanza riguardo al corretto adempimento degli obblighi contributivi, assicurativi e assistenziali.
D’altro canto, lo svolgimento di tale vigilanza comporta l’esatta analisi della contrattazione collettiva di riferimento, anche con riguardo alla distinzione ordinaria del contratto collettivo nelle sue due parti, normativa e obbligatoria.
L’oggetto della contrattazione collettiva, in effetti, è individuabile essenzialmente in due diversi contenuti:
• il contenuto normativo, che attiene al complesso di clausole destinate ad avere efficacia nei singoli rapporti di lavoro per la loro disciplina;
• il contenuto obbligatorio, che vincola a determinati comportamenti le associazioni sindacali (dei lavoratori e datori) tra loro.
Le clausole obbligatorie, che istituiscono direttamente fra le associazioni stipulanti rapporti di obbligazione e il cui eventuale inadempimento determina la insorgenza di una responsabilità delle stesse associazioni, possono essere molteplici (istituzionali, di amministrazione, di tregua sindacale), ma delineano soltanto la parte obbligatoria del contratto collettivo e non incidono nella determinazione del “minimale contributivo”, vale a dire nella individuazione del limite minimo di retribuzione imponibile ai fini contributivi.
La parte normativa del contratto collettivo, peraltro, si distingue in due diverse sezioni, la prima delle quali dedicata al “trattamento economico”, inerente alla valorizzazione retributiva della prestazione lavorativa, con riferimento all’inquadramento contrattuale spettante al lavoratore, l’altra che interessa il “trattamento normativo” vero e proprio, relativo alle norme che disciplinano i singoli profili del rapporto di lavoro.
Sul punto la Suprema Corte, con sentenza Xxxx. Civ., Sez. Lav., 17 marzo 2003, n. 3906, ha avuto modo di chiarire con assoluta nettezza che:
«L’importo della retribuzione da assumere come base di calcolo dei contributi previdenziali non può essere inferiore all’importo di quella che ai lavoratori di un determinato settore sarebbe dovuta in applicazione dei contratti collettivi stipulati dalle associazioni sindacali più rappresentative su base nazionale (cosiddetto “minimale contributivo” fissato in riferimento al cosiddetto contratto collettivo leader), secondo il riferimento ad essi fatto - con esclusiva incidenza sul rapporto previdenziale - dall’art. 1, D.L. n. 338 del 1989, convertito nella legge n. 389 del 1989; non possono, invece entrare a far parte del “minimale contributivo” le maggiorazioni stabilite dal contratto collettivo leader sul compenso per lavoro straordinario, in quanto, al fine della determinazione di detto minimale, occorre avere riguardo esclusivamente alla parte retributiva, non anche a quella normativa del contratto collettivo leader, come accadrebbe se ad esso si facesse riferimento per stabilire la qualificazione come lavoro straordinario di quello eccedente le 40 ore, prestato in anni anteriori all’entrata in vigore della legge n. 196 del 1997 (nella specie, 1985 - 1993), allorché la legge fissava l’orario normale di lavoro in 48 ore settimanali, e tenuto conto che la legge ha stabilito una espressa definizione del compenso per lavoro straordinario al fine del computo dei contributi, determinandone l’ammontare con una pluralità di norme succedutesi nel
tempo (art. 5-bis, R.D.L. n. 692/1923; art. 2, legge n. 549/1995), sicché sarebbe incongruo far ricorso alle previsioni del contratto collettivo leader in ordine all’orario di lavoro ed alle maggiorazioni retributive stabilite per il lavoro straordinario, poiché ciò produrrebbe una sostanziale duplicazione dell’onere retributivo sullo straordinario».
Ciò significa, dunque, che nell’esercizio dell’attività di vigilanza il persona- le ispettivo dovrà aver riguardo, per quanto attiene alla determinazione del minimale contributivo esclusivamente alla parte economica del contratto collettivo, pur considerando che «l’importo della retribuzione imponibile non può essere inferiore a quella che sarebbe dovuta in astratto, in applica- zione dei contratti collettivi. Ciò anche quando talune somme ricompresse nella retribuzione contrattuale non siano in concreto erogate dal datore di lavoro non iscritto alle associazioni stipulanti» (Cass. Civ., Sez. Lav., 28 aprile 2006, n. 9980).
Parte obbligatoria del contratto collettivo, sanzioni civili e clausole sociali
Con riguardo, invece, alle clausole relative alle competenze dei diversi livelli contrattuali, pacificamente ricondotte alla cd. “parte obbligatoria” del contratto collettivo, si pone anzitutto il problema della loro tenuta e sanzionabilità sul piano giuridico, a seguito di una attività di vigilanza ai sensi dell’art. 7, comma 1, lett. b), del D.Lgs. n. 124/2004.
Si pensi, a mero titolo di esempio, alle Casse Edili e, in genere, a tutti gli Enti bilaterali, ovvero anche ai contributi “integrativi” ai Fondi di tipo sanitario o previdenziale previsti e istituiti dai contratti collettivi.
Per il Ministero del Lavoro (Circolare 15 gennaio 2004, n. 4) e per l’Inps (Circolare 7 giugno 2005, n. 74) le clausole dei contratti collettivi che riguardano gli Enti bilaterali devono considerarsi come meramente obbligatorie, idonee a impegnare e obbligare esclusivamente le parti contraenti, quindi non capaci di condizionare il godimento dei benefici normativi e contributivi ai sensi dell’art. 10 della legge n. 30/2003.
Nello stesso senso, peraltro, anche la giurisprudenza della Suprema Corte che con sentenza Xxxx. Civ., Sez. Lav., 10 maggio 2001, n. 6530, ha sancito: «L’art. 3 del D.L. n. 71 del 1993 (convertito nella legge n. 151 del 1993) - che, innovando rispetto alla disciplina generale in materia di fiscalizzazione degli oneri sociali dettata dall’art. 6 del D.L. n. 338 del 1989 (convertito nella legge n. 389 del 1989), ha subordinato il riconoscimento in favore delle “imprese rientranti nella sfera di applicazione dei contratti collettivi nazionali dell’artigianato” degli sgravi contributivi per le aziende operanti nel Mezzogiorno e della fiscalizzazione
degli oneri sociali all’integrale rispetto non soltanto degli istituti economici previsti dalla contrattazione collettiva di categoria, ma anche degli istituti normativi della contrattazione stessa - non esclude la attribuibilità dei benefici in argomento in favore delle imprese che non abbiano provveduto al versamento dei contributi dovuti agli enti regionali bilaterali per l’artigianato (operativi solo in alcune regioni). Infatti, le clausole prevedenti l’adesione ai suddetti enti non rientrano né fra gli istituti di parte economica né fra gli istituti di parte normativa della contrattazione collettiva di riferimento dovendo, invece, considerarsi come clausole contrattuali meramente “obbligatorie”, destinate come tali a impegnare esclusivamente le parti contraenti».
Più specificamente, con riguardo ai Fondi di previdenza complementare, il Ministero del Lavoro con risposta ad Interpello n. 11 del 2 maggio 2008, ha chiarito che «esclusa la sussistenza dell’obbligo contributivo de quo nei confronti dei datori di lavoro non iscritti all’Organizzazione sindacale stipulante gli accordi istitutivi dei Fondi e che non applicano nemmeno in via di fatto gli stessi accordi, detto obbligo permane nei confronti dei datori di lavoro i quali, ancorché non iscritti all’Organizzazione stipulante, diano concreta applicazione al contratto collettivo istitutivo del Fondo a cui il lavoratore risulti iscritto».
Mentre con riferimento alle Xxxxx Xxxxx, la Suprema Corte, con sentenza Xxxx. Pen., Sez. Un., 19 gennaio 2005, n. 1327, ha precisato che né il reato di cui all’art. 2 della legge n. 638/1983, né quello similare di cui all’art. 646 cod. pen., possono considerarsi integrati dalla condotta del datore di lavoro (imprenditore edile) che omette di versare alla Cassa Edile le somme tratte- nute sugli stipendi dei lavoratori dipendenti per ferie gratifica natalizia e contributi.
Nel risolvere una problematica querelle giurisprudenziale, la sentenza citata muove dall’assunto che i versamenti alle Casse Edili insorgono per obbligo contrattuale (CCNL “per gli addetti delle piccole e medie industrie edilizie ed affini”, validi erga omnes ai sensi e per gli effetti della cd. “legge Vigo- relli”, legge 14 luglio 1959, n. 741) e le stesse Casse rappresentano istituti di diritto privato, ai quali non può essere riconosciuta la «natura di enti di previdenza e di assistenza» alla pari dell’Inps o dell’Inail, concludendo nel senso che «la trattenuta effettuata a favore della Casse Edili non ha natura “contributiva previdenziale o assistenziale”, ma di salario differito che tro- va la sua legittimazione in un accordo contrattuale, sia pure recepito for- malmente in un atto avente forza di legge» (nel caso di specie, dunque, la Corte ha ritenuto applicabile la sanzione prevista per l’illecito amministrati-
vo di cui all’art. 8 della legge n. 741/1959, come modificato dall’art. 13 del D.Lgs. n. 758/1994).
D’altro canto, in materia di somministrazione di lavoro, nella Circolare ministeriale n. 7 del 22 febbraio 2005, si è espressamente affermato:
«nell’ipotesi in cui sono violati le condizioni e i limiti di ricorso alla somministrazione di lavoro si verifica, invece, la fattispecie della somministrazione irregolare che è prevista e disciplinata dall’art. 27, comma 1, D.Lgs. n. 276 del 2003. Si avrà pertanto somministrazione irregolare nelle seguenti ipotesi: (…) se il ricorso alla somministrazione di lavoro a tempo determinato interviene in violazione dei limiti quantitativi individuati dalla contrattazione collettiva». Nella stessa circolare si specificano poi le conseguenze sanzionatorie che ne derivano, con una chiara presa di posizione del Ministero del Lavoro sulla natura “normativa” e non meramente “obbligatoria” della clausola di contingentamento.
In questa stessa direzione il Ministero si è mosso nella risposta ad Interpello
n. 8 del 3 marzo 2011, offrendo una lettura dell’art. 1, comma 3, del D.Lgs.
n. 61/2000, che consente alla contrattazione collettiva l’introduzione di li- mitazioni per l’attivazione dei rapporti di lavoro a tempo parziale, con spe- cifico riferimento al CCNL Edilizia industria del 18 giugno 2008 che all’art. 78 consente all’impresa edile di assumere operai a tempo parziale nel limite massimo del 3% del totale dei lavoratori occupati a tempo indeterminato, riconoscendo comunque la possibilità di impiegare almeno un operaio part- time se non si eccede il limite del 30% degli operai occupati a tempo pieno. L’Inps con la Circolare n. 6/2010 (per i profili contributivi) e l’Inail con la Circolare n. 51/2010 (per quelli assicurativi), avevano già previsto, peraltro, il recupero previdenziale per la contribuzione virtuale da applicarsi al part- time in edilizia nel caso di violazione del limite contrattualmente stabilito, in considerazione della previsione normativa che obbliga i datori di lavoro che esercitano attività edile ad assolvere la contribuzione previdenziale ed assistenziale sulla retribuzione commisurata ad un numero di ore settimanali comunque non inferiore all’orario di lavoro normale stabilito dai contratti collettivi nazionali di lavoro (art. 29, comma 1, D.L. n. 244/1995, convertito dalla legge n. 341/1995). Il Ministero del Lavoro nell’Interpello n. 8/2011 si spinge più in là, nel riconoscere che l’omissione contributiva ed assicurativa verificatasi a seguito del mancato versamento previdenziale, con riguardo sia alla contribuzione virtuale che a quanto dovuto alle Casse edili (rien- trando nella retribuzione imponibile anche gli accantonamenti e le contribu- zioni ad esse dovuti), determina direttamente il mancato rilascio del DURC. Come già operato dalla Circolare ministeriale n. 7/2005, che aveva ritenuto sussistente la somministrazione irregolare nei casi di ricorso alla sommini-
strazione a tempo determinato in violazione dei limiti quantitativi individua- ti dalla contrattazione collettiva, così la risposta ad Interpello del marzo 2011 sulla irregolarità dei part-time in edilizia oltre i limiti contrattuali sembra affermare la natura “normativa” e non meramente “obbligatoria” delle clausole “di contingentamento” che la legge affida alle parti sociali nella contrattazione collettiva.
D’altro canto, con Lettera circolare n. 10310 del 1° giugno 2012 il Ministero del Lavoro ha fornito agli ispettori del lavoro le modalità per la corretta individuazione dei contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali e datoriali comparativamente più rappresentative a livello nazionale nella categoria, ribadendo che al fine di determinare il grado di rappresentatività, in termini comparativi, delle organizzazioni sindacali, occorre far riferimento a:
- numero complessivo delle imprese associate e dei lavoratori occupati; diffusione territoriale (numero di sedi presenti sul territorio ed ambiti settoriali);
- numero dei contratti collettivi nazionali stipulati e vigenti.
Facendo presente che nel settore cooperativistico l’unico contratto da pren- dere come riferimento ai fini dell’individuazione della base imponibile con- tributiva, è il contratto collettivo nazionale sottoscritto da Cgil, Cisl e Uil/Agci, Legacoop, Confcooperative. Con Lettera circolare n. 10310/2012 il Ministero ha chiarito che quando si riscontra l’applicazione di un diverso Contratto collettivo nazionale di lavoro, gli ispettori del lavoro devono pro- cedere al recupero delle differenze retributive, mediante l’adozione di diffi- da accertativa.
Da ultimo, si tenga presente in argomento che il Legislatore ha dato spazio notevo- le in materia di contrattazione collettiva alla sanzione civile di tipo interdittivo, ca- ratterizzata da quelle sanzioni comminatorie (astreintes) di ispirazione comunitaria appunto, ovvero dalle “clausole sociali” che condizionano taluni benefici al rispet- to integrale di specifiche norme di tutela del lavoro. In questo senso, dunque, van- no senza dubbio esaminate, sia pure schematicamente, le sanzioni previste dall’art. 3 del D.L. n. 71/1993, come convertito dalla legge n. 151/1993, e modificato dall’art. 10 della legge n. 30/2003, con riguardo alla piena e corretta applicazione dei contratti collettivi nei settori dell’artigianato, del commercio e del turismo, nonché dall’art. 7 del D.L. n. 248/2007, come convertito dalla legge n. 31/2008, re- lativamente alla regolare applicazione dei contratti collettivi nel settore cooperati- vistico.
Illeciti amministrativi per i soli contratti collettivi erga omnes
Sempre con riferimento alla vigilanza sui contratti collettivi di lavoro, non può non farsi riferimento alle residue ipotesi sanzionatorie, oggi di natura amministrative, ancora vigenti nell’Ordinamento per violazioni afferenti ai precetti contenuti in norme contrattuali collettive.
Con legge 14 luglio 1959, n. 741 il Governo ricevette la delega a “recepire” con appositi decreti legislativi i contratti collettivi di diritto comune post- corporativi che fossero stati stipulati prima del 3 ottobre 1959, data di entrata in vigore della legge stessa. Il Governo provvide ad emanare circa 900 decreti, depositandoli presso il Ministero del Lavoro, con i quali, appunto, si resero obbligatori erga omnes, vale a dire per la generalità dei datori di lavoro, i predetti contratti collettivi (si tenga presente, tuttavia, che alcuni decreti presidenziali recepirono i relativi contratti collettivi in ritardo rispetto al termine concesso dal Legislatore, essi, pertanto, non possono ritenersi efficaci erga omnes e, quindi, non può essere in alcun modo sanzionata la violazione, in conseguenza della dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma di delega contenuta nell’art. 1 della legge 1° ottobre 1960, n. 1027, Corte costituzionale sentenza n. 106 del 19 dicembre 1962; in questo senso, Xxxx. Civ., Sez. Un., 5 dicembre 1979, n. 6309; Cass. Civ., Sez. Lav., 5 marzo 1982, n. 1371).
Alla luce dell’efficacia vincolante attribuita dalla legge n. 741/1959, pertanto, pur in presenza di successivi contratti collettivi di diritto comune i contratti collettivi estesi erga omnes trovano applicazione, e la loro mancata attuazione anche solo parziale è espressamente sanzionata.
In effetti, laddove si tratti di verificare il trattamento normativo e retributivo di un singolo istituto contrattualistico, sembra doversi procedere ad una attenta comparazione fra le diverse previsioni, non sulla scorta di un esame complessivo del contratto collettivo nella sua globalità (metodo utilizzato invece per il raffronto in melius fra due o più contratti di diritto comune), ma piuttosto mediante una valutazione comparatistica effettuata sul singolo istituto considerato (così da ultimo Cass. Civ., Sez. Lav. 13 ottobre 1992, n. 11165).
L’omesso adempimento degli obblighi derivanti dai singoli decreti del Presidente della Repubblica che hanno recepito il contenuto dei contratti collettivi estendendoli erga omnes è, dunque, sanzionato in via amministrativa dall’art. 8 legge n. 741/1959, per effetto della depenalizzazione di cui all’art. 13 del D.Lgs. n. 758/1994, con riferimento all’assicurazione dei minimi inderogabili di trattamento economico e normativo per tutti i lavoratori appartenenti alla stessa categoria di settore o
di comparto, indipendentemente dalla loro adesione alle organizzazioni sindacali.
Da ultimo, sempre in materia di contratti collettivi, ma di “diritto corporativo”, pur in costanza della abrogazione dell’Ordinamento corporativo ad opera del D.Lgs.Lgt. 23 novembre 1944, n. 369, residua la sanzione amministrativa prevista ora dall’art. 509 cod. pen., in ragione della depenalizzazione operata dall’art. 1 del D.Lgs. n. 758/1994.
Tuttavia l’operatività dell’apparato sanzionatorio in argomento risulta affatto limitata in virtù della previsione dell’art. 43 del D.Lgs. Lgt. n. 369/1944, che lasciava in vita gli obblighi delle norme contrattuali corporative «salvo successive modifiche», modifiche che si ritengono operate dai contratti collettivi di diritto comune e, pertanto, impediscono quasi del tutto l’applicabilità dell’art. 509 cod. pen., la vigilanza sulla cui osservanza, peraltro, è demandata al Ministero del Lavoro, competente ad emettere anche la relativa ordinanza (art. 19-bis, Disp. coord. trans. cod. pen., introdotto dall’art. 59 del D.Lgs. n. 507/1999).
Sul punto la Circolare del Ministero del Lavoro 19 dicembre 1995, n. 161 ha avuto modo di chiarire, in occasione della depenalizzazione appunto dell’illecito di cui all’art. 509 cod. pen., che «allo stato attuale, l’ultrattività delle norme corporative rimaste in vigore per effetto dell’art. 43 del D.Lgt.
n. 369 del 1944, anche dopo l’abolizione degli organi corporativi che le posero in essere, è circoscritta a casi del tutto limitati e pertanto l’applicazione dell’art. 509 cod. pen. potrà essere richiamata solo nelle residuali ipotesi di contratti corporativi che possono considerarsi tuttora in vigore ai sensi del sopra richiamato art. 43».
Un richiamo “attuale” in ragione della pronuncia della Corte Costituzionale che ha ritenuto la norma in vigore e, con sentenza n. 55 del 17 aprile 1957, ha escluso il preteso contrasto dell’art. 509 cod. pen. con l’art. 39 Cost., precisando che «esso trova fondamento non già nella tutela dell’ordine corporativo (ormai superato e contrastante col nuovo sistema di organizzazione sindacale instaurato dalla Costituzione) ma nella peculiare efficacia cogente erga omnes dei contratti stipulati prima della soppressione dell’Ordinamento corporativo che, secondo l’art. 39 della Costituzione, avrebbe dovuto caratterizzare anche i contratti collettivi stipulati con il nuovo sistema» (cfr. anche Corte Cost. n. 136 dell’11 giugno 1975).
In conclusione, si ribadisce che, a tutt’oggi, i contratti collettivi di lavoro di diritto comune non sono soggetti a sanzione di alcun tipo (Cass. Pen., Sez. III, 18 ottobre 1990, n. 13695), salva la più recente tendenza, manifestata in tema di orario di lavoro (più sopra esaminata), a recepire precise
disposizioni di origine contrattuale, quale precetto cui ricollegare una fonte sanzionatoria legale.
Da ultimo, per quanto concerne l’applicabilità dell’istituto della diffida ob- bligatoria (art. 13, D.Lgs. n. 124/2004) sembra doversi sostenere la tesi del- la sanabilità dell’inadempimento in esame, anche in ragione dell’effetto cor- rettivo a favore del lavoratore.
Circolare INL n. 3 del 25 gennaio 2018
L’Ispettorato Nazionale del Lavoro (INL) ha emanato la circolare n. 3 del 25 gennaio 2018, con la quale fornisce indicazioni operative, ai propri ispet- tori, circa l’attività di vigilanza verso le aziende che non applicano i contrat- ti collettivi sottoscritti dalle organizzazioni comparativamente più rappre- sentative sul piano nazionale e che possono determinare problematiche di dumping.
L’ordinamento riserva l’applicazione di determinate discipline subordina- tamente alla sottoscrizione o applicazione di contratti collettivi dotati del requisito della maggiore rappresentatività in termini comparativi. In partico- lare:
CONTRATTO DI PROSSIMITA’
Ai sensi dell’art. 8 del D.L. n. 138/2011 in materia contratti di prossimità; eventuali contratti sottoscritti da soggetti non “abilitati” non possono evi- dentemente produrre effetti derogatori, come prevede il Legislatore, “alle disposizioni di legge (…) ed alle relative regolamentazioni contenute nei contratti collettivi nazionali di lavoro”. Ne consegue che il personale ispet- tivo, in sede di accertamento, dovrà considerare come del tutto inefficaci detti contratti, adottando i conseguenti provvedimenti (recuperi contributivi, diffide accertative ecc.);
BENEFICI NORMATIVI E CONTRIBUTIVI
L’applicazione di contratti collettivi sottoscritti da organizzazioni compara- tivamente più rappresentative sul piano nazionale è indispensabile per il go- dimento di “benefici normativi e contributivi”, così come stabilito dall’art. 1, comma 1175, L. n. 296/2006;
CONTRIBUZIONE DOVUTA
Il contratto collettivo sottoscritto dalle organizzazioni comparativamente più rappresentative a livello nazionale rappresenta il parametro ai fini del calcolo della contribuzione dovuta, indipendentemente dal CCNL applicato ai fini retributivi, secondo quanto prevede l’art. 1, comma 1, del D.L. n.
338/1989 unitamente all’art. 2, comma 25, della L. n. 549/1995. DELEGA ALLA CONTRATTAZIONE COLLETTIVA
Facoltà, rimessa esclusivamente alla contrattazione collettiva in questione, di “integrare” la disciplina normativa di numerosi istituti. A tal proposito si
ricorda anzitutto che l’art. 51 del D.Lgs. n. 81/2015 – recante, tra l’altro, la “disciplina organica dei contratti di lavoro (…)” – stabilisce che “salvo di- versa previsione, ai fini del presente decreto, per contratti collettivi si inten- dono i contratti collettivi nazionali, territoriali o aziendali stipulati da asso- ciazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e i contratti collettivi aziendali stipulati dalle loro rappresentanze sindacali aziendali ovvero dalla rappresentanza sindacale unitaria”.
Pertanto ogniqualvolta, all’interno del medesimo Decreto, si rimette alla “contrattazione collettiva” il compito di integrare la disciplina delle tipolo- gie contrattuali, gli interventi di contratti privi del requisito della maggiore rappresentatività in termini comparativi non hanno alcuna efficacia.
Ciò può avvenire, a titolo meramente esemplificativo, in relazione al con- tratto di lavoro intermittente, al contratto a tempo determinato o a quello di apprendistato. Ne consegue che, laddove il datore di lavoro abbia applicato una disciplina dettata da un contratto collettivo che non è quello stipulato dalle organizzazioni comparativamente più rappresentative, gli effetti dero- gatori o di integrazione della disciplina normativa non possono trovare ap- plicazione. Ciò potrà comportare la mancata applicazione degli istituti di flessibilità previsti dal D.Lgs. n. 81/2015 e, a seconda delle ipotesi, anche la “trasformazione” del rapporto di lavoro in quella che, ai sensi dello stesso Decreto, costituisce “la forma comune di rapporto di lavoro”, ossia il con- tratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato.
Cass. Civ., Sez. Lav., 20 febbraio 2019, n. 4951 - La retribuzione dei lavoratori delle società cooperative
Xxxxxxxx XXXXX
La Corte di Cassazione ha affermato che, indipendentemente dal CCNL applicato dalla cooperativa, ai lavoratori va garantito un trattamento eco- nomico minimo non inferiore a quello previsto dai CCNL più rappresenta- tivi.
Il tema del c.d., “dumping salariale” in settori particolarmente esposti co- me, ad esempio, quello delle cooperative di produzione e lavoro, è sotto gli occhi degli operatori, da tempo: in tale quadro si inserisce una recentissima sentenza della Corte di Cassazione, la n. 4951 depositata il 20 febbraio 2019, con la quale i Giudici di Piazza Cavour pongono una serie di paletti.
Il caso nasce da una richiesta avanzata, nei gradi di merito, da una lavora- trice dipendente di una società cooperativa addetta alle pulizie che aveva chiesto l’applicazione del CCNL “multiservizi pulizie”, sottoscritto dalle organizzazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativa- mente più rappresentative sul piano nazionale, in luogo del trattamento economico applicato sulla base del CCNL portieri e custodi.
La conclusione alla quale giunge la Suprema Corte (vedrò, tra un attimo, di esaminare il percorso logico-giuridico seguito) è la seguente: prescindendo dal CCNL applicato dal datore di lavoro, ai dipendenti o ai soci lavoratori delle società cooperative deve essere riconosciuto un trattamento economi- co complessivo non inferiore ai minimi previsti nel settore, o in un settore affine, dal contratto collettivo sottoscritto da quelle organizzazioni sindaca- li che, sul piano della comparazione, “godono” della rappresentatività sul piano nazionale.
Il percorso logico-giuridico tiene conto di due norme, l’art. 3, comma 1, della legge n. 142/2001 e l’art. 7 della legge n. 31/2008 che ha convertito, con modificazioni, il D.L. n. 248/2007 e di una sentenza della Corte Costi- tuzionale, la n. 51/2015.
L’art. 3, comma 1, della legge n. 142/2001 ha una finalità specifica: si pone come obiettivo quello di estendere ai soci lavoratori delle cooperative le tu- tele proprie del lavoro subordinato. Tale disposizione afferma infatti che “fermo restando quanto previsto dall’art. 36 della legge n. 300/1970, le so- cietà cooperative sono tenute a corrispondere al socio lavoratore un tratta- mento economico complessivo proporzionato alla quantità e qualità del la- voro prestato e, comunque, non inferiore ai minimi previsti, per prestazioni analoghe, dalla contrattazione collettiva nazionale del settore o della cate- goria affine, ovvero per i rapporti di lavoro diversi da quello subordinato, in assenza di contratti od accordi collettivi specifici, ai compensi medi in uso per prestazioni analoghe rese in forma di lavoro autonomo”.
L’art. 7 della legge n. 31/2008 stabilisce, poi, che “fino alla completa at- tuazione della normativa in materia di socio lavoratore delle società coope- rative, in presenza di una pluralità di contratti collettivi della medesima ca- tegoria, le società cooperative che svolgono attività ricomprese nell’ambito di applicazione di quei contratti di categoria applicano ai propri soci lavoratori, ai sensi dell’art. 3, comma 1, della legge n. 142/2001, i trat- tamenti economici complessivi non inferiori a quelli dettati dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni datoriali e sindacali comparativa- mente più rappresentative a livello nazionale nella categoria”.
Vale la pena di ricordare come tale disposizione sia frutto del protocollo d’intesa sottoscritto nel settembre 2007 dal Governo con Lega delle Coope- rative, Confcooperative, AGCI, CGIL, CISL e UIL.
Le due norme appena richiamate, secondo la Cassazione, rappresentano un parametro esterno ed indiretto di commisurazione del trattamento econo- mico complessivo agganciato all’art. 36 della Costituzione relativo alla suf- ficienza della retribuzione che non può non applicarsi anche ai soci delle cooperative.
L’attuazione, per via legislativa dell’art. 36 della Costituzione, non fornisce il c.d. “erga omnes” al contratto collettivo ma rappresenta, come afferma la Consulta con la sentenza n. 51/2015, la utilizzazione di un parametro ester- no al quale ci si deve attenere pur nella perdurante in attuazione dell’art. 39.
Il rinvio a specifiche norme, secondo la predetta decisione, consente il rag- giungimento di una finalità specifica che è quella di contrastare forme di “dumping” e di retribuzioni al ribasso ed è, perfettamente, in linea sia con
la previsione dell’art. 36 che con gli indirizzi espressi dalla Suprema Corte con le sentenze n. 19832/2013 e n. 17583/2014.
Da tale quadro normativo non discende alcuna preclusione alla libertà di associazione sindacale: si possono stipulare, liberamente, tutti gli accordi che si vogliono, ma i limiti retributivi debbono essere almeno uguali a quelli stabiliti dal Legislatore attraverso il rinvio alla contrattazione “com- parativamente più rappresentativa”.
Nel caso di specie, la società cooperativa aveva, nel proprio regolamento, fatto riferimento al CCNL che regolamenta l’attività dei custodi e dei por- tieri (CCNL lavoratori dipendenti da proprietari di fabbricati): ritenendo corretto il ragionamento già effettuato dalla Corte di Appello, la Cassazio- ne sottolinea l’inapplicabilità dello stesso in quanto l’accordo collettivo, seppur sottoscritto da CGIL, CISL e UIL risulta siglato, per la parte dato- riale, dalla sola Confederazione Italiana della Proprietà Edilizia, cosa che non soddisfa il requisito ex art. 7 della legge n. 31/2008. Si tratta, infatti, di un settore che poco c’entra con quello oggetto di appalto, essendo tale ul- timo contratto collettivo riferibile ai soli rapporti dei lavoratori dipendenti da proprietari di fabbricati ed agli addetti ad amministrazioni immobiliari e condominiali.
Fin qui la decisione della Corte di Cassazione che appare logica e giusta e si inserisce in un filone che intende limitare, sotto l’aspetto meramente economico, in assenza della attuazione legislativa dell’art., 39 della Costi- tuzione, gli effetti negativi di contratti collettivi applicati in settori diversi (come nel caso di specie) o, ancora peggio, di accordi collettivi che, seppur depositati presso il CNEL, sono stati sottoscritti da associazioni datoriali e sindacali di dubbia rappresentatività.
Senza andare nel merito di una discussione che mi porterebbe in un “terre- no minato” e in attesa che gli organi a ciò deputati facciano qualcosa (Go- verno, Parlamento, CNEL) mi limito a ricordare come l’insegnamento del- la Consulta sia, sull’argomento, abbastanza chiaro, nel senso che la “com- parazione dei pesi” appare, “a colpo d’occhio”, facile da effettuare con- frontando “il pondus” delle associazioni che hanno sottoscritto il contratto (ed è a quel trattamento minimo stabilito che occorre far riferimento nell’ottica dell’art. 36 della Costituzione): se da una parte si hanno le tre centrali sindacali e le tre associazioni di rappresentanza delle cooperative e, dall’altra, un’altra sigla sindacale minoritaria ed una sola associazione di rappresentanza delle cooperative, la differenza di “peso” appare evidente.
Ovviamente, in assenza di un chiaro indirizzo legislativo sulla rappresen- tanza, altri elementi possono concorrere per la definizione del “peso” co- me, la partecipazione, a trattative in sedi istituzionali, a procedure colletti- ve di riduzione di personale, ad esami congiunti per la richiesta di ammor- tizzatori sociali, alla conciliazione delle controversie individuali di lavoro ex artt. 410 e 411 cpc, alla sottoscrizione di accordi correlati alla produtti- vità o alla detassazione che vanno depositati attraverso l’apposito indirizzo di posta elettronica del Ministero del Lavoro, la dislocazione territoriale delle sedi: non ho citato, appositamente, il numero degli iscritti non essen- do tale dato verificabile, quindi, non oggettivo.
Accordo interconfederale di indirizzo 9 marzo 2018 sulle relazioni industriali
Commento a cura degli
Avv. Xxxxxxx Xxxxx e Xxxxxx Xxxxx Xxxxxxx & Partners Avvocati
(Il Sole 24 Ore - 9 marzo 2018 - xxxx://xxx.xxxxxxx00.xxxxxx00xxx.xxx/xxx/xxxxxxxXxxxxx/0000-00-00/x- accordo-interconfederale-indirizzo-9-marzo-2018-relazioni-industriali- 104838.php)
Il 9 marzo si è concluso ufficialmente, con la firma delle parti, l'iter di for- malizzazione dell'accordo quadro tra Confindustria e organizzazioni sinda- cali maggiormente rappresentative (CGIL – CISL –UIL), già raggiunto nel- la sostanza lo scorso 28 febbraio, relativo a "contenuti e indirizzi delle re- lazioni industriali e della contrattazione collettiva".
L'intesa è stata annunciata, forse con eccessiva enfasi, come un momento "storico" nell'evoluzione delle relazioni industriali, introducendo un nuovo modello di contrattazione. L'obiettivo dichiarato dalle parti sociali è offrire strumenti di gestione dei rapporti sindacali in grado di rispondere alle esigenze di cambiamento cor- relate allo sviluppo tecnologico e produttivo del tessuto imprenditoriale ita- liano. Si tratta, però, di un accordo programmatico che contiene numerose dichiarazioni di intenti, pur non avendo un immediato effetto nella disci- plina delle relazioni industriali e dei rapporti di lavoro.
Il momento politico in cui approda l'intesa non è casuale. La tornata eletto- rale, infatti, ha messo in luce il proposito di alcune forze politiche di intro- durre un salario minimo legale ed una disciplina sulla rappresentan- za/rappresentatività. E così, dopo mesi di stallo, la firma - prima dell'inse- diamento del nuovo Parlamento – sembra quasi un monito al Legislatore, per segnalare che il salario è definito dalle parti sociali e non per legge; che la "pirateria" al ribasso delle regole sul lavoro deve essere combattuta dall'interno del mondo del lavoro; più in generale, che la materia sindacale è costituzionalmente intangibile.
In questo quadro, l'accordo premette che "un sistema di relazioni industria- le più efficace e partecipativo è necessario per qualificare e realizzare i processi di trasformazione e di digitalizzazione nella manifattura e nei ser- vizi innovativi, tecnologici e di supporto all'industria". Dunque, '"un am-
modernamento del sistema delle relazioni industriali e della contrattazione collettiva" è funzionale a "contribuire fattivamente alla crescita del Paese, alla riduzione delle disuguaglianze, nella distribuzione del reddito, alla crescita dei salari, al necessario miglioramento della competitività attra- verso l'incremento della produttività delle imprese, al rafforzamento dell'occupabilità delle lavoratrici e dei lavoratori ed alla creazione di posti di lavoro qualificati".
Il confronto fattivo e partecipativo è già iniziato: l'intesa si presenta, infatti, solo come il primo passo verso il cambiamento. Le parti condividono le li- nee guida del percorso ed i "principi di indirizzo su alcune questioni di co- mune interesse, che è volontà condivisa mettere al centro del prosieguo del confronto, al fine di addivenire a ulteriori concrete intese". Al di là delle dichiarazioni di principio, le Parti Sociali si sono concentrate su una serie aspetti di ordine generale.
IL MODELLO CONTRATTUALE. IL RUOLO CENTRALE DEI CONTRATTI COLLETTIVI DI SECONDO LIVELLO.
Le parti, nel confermare la necessità di due livelli di contrattazione, nazio- nale e decentrato (aziendale o territoriale), condividono l'esigenza di asse- gnare ai medesimi compiti e funzioni distinti, onde poter rispondere alle esigenze di competitività delle imprese e di valorizzazione del lavoro.
La contrattazione nazionale, da un lato, mantiene il compito di garantire trattamenti economici e normativi comuni a tutti i lavoratori del settore, ovunque impiegati sul territorio nazionale, e regolatore delle relazioni sin- dacali a tale livello.
Alla contrattazione di secondo livello, invece, è delegata l'introduzione di trattamenti economici legati ad obiettivi – individuati secondo standard qualitativi e quantitativi - di crescita della produttività aziendale, di effi- cienza, di redditività, di innovazione, attraverso i percorsi definiti nell'ac- cordo interconfederale del 14 luglio 2016.
IL TEC ED IL TEM. UN NUOVO TRATTAMENTO ECONOMICO.
L'accordo quadro assegna al contratto collettivo nazionale di categoria il compito di disciplinare una nuova forma di trattamento economico, com- posto dal c.d. "TEC", "trattamento economico complessivo", costituito dal "TEM", "trattamento economico minimo" (i minimi tabellari), e dai tratta- menti economici (incluse le eventuali forme di "welfare") qualificati co- me "comuni a tutti i lavoratori del settore", di cui lo stesso contratto ne qualificherà durata, causa e competenza nel livello di contrattazione, oltre- ché gli effetti economici "in sommatoria" fra il primo e il secondo livello di contrattazione collettiva.
La variazione dei valori dei minimi tabellari avverrà secondo le regole condivise, per norma o prassi, nei singoli CCNL, in funzione degli scosta- menti registrati nel tempo dall'indice di inflazione Ipca (Indice dei Prezzi al Consumo Armonizzato per i paesi dell'Unione Monetaria Europea), depu- rato dalla dinamica dei prezzi dei beni energetici importati come calcolato dall'Istat. Quindi, ciascun contratto potrà scegliere il meccanismo di ag- giornamento degli importi.
Sempre sul piano economico, l'accordo prevede che, con accordi di livello interconfederale, dovranno essere stabilite le linee di indirizzo per la con- trattazione collettiva con riferimento a materie di interesse generale quali previdenza complementare, assistenza sanitaria integrativa, tutela della non autosufficienza, prestazioni di welfare sociale e conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, nell'ottica di favorire una "maggiore universalità delle tu- tele".
LA MISURA DELLA RAPPRESENTANZA DATORIALE. NO AL DUMPING SALARIALE.
Le Parti hanno ribadito che "Democrazia sindacale, misurazione e certifi- cazione della rappresentanza costituiscono uno dei pilastri fondamentali del modello di relazioni industriali", nel solco delle regole del T.U. della rappresentanza sindacale del 2014. Di qui la necessità di impegnarsi a con- trastare il proliferare dei contratti "pirata", ossia quei contratti stipulati da soggetti senza nessuna rappresentanza certificata e finalizzati esclusiva- mente a dare copertura formale a situazioni di vero e proprio "dumping contrattuale".
In questo quadro, un primo passo è quello di misurare la rappresentanza della parte datoriale. Un'azione che, secondo i firmatari, dovrebbe coinvol- xxxx le istituzioni e, in particolare, il CNEL. Quest'ultimo potrebbe favorire questo percorso tramite una serie di attività ricognitive sia dei perimetri della contrattazione, che dei soggetti coinvolti al fine di verificarne la effet- tiva rappresentatività.
Viene tuttavia considerato anche un passaggio successivo: l'impegno a proporre a tutti i soggetti coinvolti alcune regole che assicurino il rispetto dei perimetri e ne impediscano la violazione da parte di soggetti privi di adeguata rappresentatività.
Sul punto le parti, forse pensando ad un contratto collettivo valido erga omnes o comunque applicabile a tutti i lavoratori aderenti alle XX.XX. più rappresentative, concludono sottolineando che «Confindustria e Cgil, Cisl, Uil ritengono che l'efficacia generalizzata dei contratti collettivi di lavoro costituisca un elemento qualificante del sistema di relazioni industriali e che le intese in materia di rappresentanza possano costituire, attraverso il
loro recepimento, il presupposto per la definizione di un quadro normativo in materia».
L'UNITÀ SINDACALE ED IL RUOLO DELLE PARTI SOCIALI.
In continuità con le precedenti intese, le parti colgono l'occasione per rin- novare il loro ruolo unitario, confermando di voler dare piena attuazione all'intero Testo Unico sulla rappresentanza. Per questo è prioritario e cen- trale l'avvio di un percorso di confronto su una serie di temi, come il Wel- fare, la formazione e competenze, la sicurezza sul lavoro, il mercato del la- voro e la partecipazione dei lavoratori, per sensibilizzare le istituzioni a sviluppare strumenti di sviluppo e di rilancio, ed oggetto di futuri protocol- li.
SICUREZZA SUL LAVORO.
Viene definita "un obiettivo prioritario e un ambito privilegiato per svilup- pare un sistema di relazioni industriali responsabile e partecipato". Anche sotto questo profilo, l'accordo sottolinea l'importanza dei rappresentanti dei lavoratori a livello aziendale e territoriale, suggerendo sinergie con le ini- ziative istituzionali dell'Inail.
Tirando le somme, l'accordo ha una importante valenza programmatica e di reciproci affidamenti, pur non contenendo novità rilevanti. Inoltre, sul pia- no giuridico, esso sconta i limiti di una disciplina contrattuale privatistica, per cui non è precettivo né vincolante rispetto alla generalità dei soggetti del rapporto sindacale (imprese, sindacati, firmatari e non dell'intesa, lavo- ratori).
A questo punto, si tratta di attendere le eventuali iniziative del Parlamento appena insediatosi sui temi affrontati dall'accordo quadro, nonché la messa in pratica dei principi generali in occasione della stipula dei prossimi C.C.N.L..
Materiali
CONTRATTO COLLETTIVO TERRITORIALE PER IL WELFARE AZIENDALE
…, addì 2016
Tra (Associazione Confindustria) rappresentata da …
e C.G.I.L. (provinciale/ regionale), rappresentata da , C.I.S.L. (provin-
ciale/ regionale), rappresentata da , U.I.L. (provinciale/ regionale),
rappresentata da ,
visti l’art. 1, commi 182, 186, 187 188, 189, 190, 191 della legge 28 dicem-
bre 2015, n. 208, l’art. 51 del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81,
l’art. 14 del decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 151
PREMESSO CHE
- con Decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali , di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, del 25 marzo 2016 è stata da- ta attuazione ai contenuti di cui ai citati commi dell’art. 1 della legge 28 di- cembre 2015, n. 208, in materia di agevolazioni fiscali per importi erogati a titolo di premi di risultato di ammontare variabile a seguito di incrementi di produttività, redditività, qualità efficienza ed innovazione previsti nei con- tratti aziendali o territoriali di cui all’art. 51 del decreto legislativo n. 81 del 2015;
- con la circolare n.28/E del 15 giugno 2016, l'Agenzia delle Entrate, d’intesa con il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, è intervenuta su quanto disposto dal Decreto del 25 marzo 2016, in tema di agevolazioni fiscali di cui all’articolo 1, commi 182, 189 e 190 della legge n. 208 del
2015;
- Confindustria e Cgil, Cisl, Uil hanno stipulato, in data 14 luglio 2016, un accordo interconfederale quadro di riferimento per la definizione di accordi territoriali sulla stessa materia, che verranno depositati con le modalità e nei termini che saranno indicate dalla Amministrazioni competenti;
considerato altresì che le parti firmatarie del presente accordo intendono fa- vorire, ai sensi dell’Accordo Interconfederale del 14 luglio 2016, la contrat- tazione collettiva aziendale con contenuti economici correlati a incrementi di produttività, redditività, qualità, efficienza ed innovazione, quale stru-
mento utile sia per la crescita della competitività e lo sviluppo delle imprese nonché per accrescere il potere d’acquisto dei lavoratori che hanno la possi- bilità di beneficiare della detassazione in virtù della legge di stabilità 2016
SI CONVIENE QUANTO SEGUE
1. le imprese aderenti al Sistema di rappresentanza di Confindustria, aventi sede legale e/o operativa nella città di (o nelle provincie di… / o nella re- gione…..), nelle quali non è costituita la RSU (o la RSA), in caso di stipula
di accordi aziendali con le organizzazioni di categoria di CGIL, CISL, UIL, relativi all’attuazione delle normative di cui in premessa, ai sensi dell’art.
51 del decreto legislativo n. 81 del 2015, si avvalgono dell’assistenza delle associazioni aderenti al Sistema di rappresentanza di Confindustria aventi competenza sindacale cui aderiscono o alle quali conferiscono espresso mandato;
2. in alternativa al punto precedente, le imprese associate (o che conferisco- no espresso mandato alle associazioni aderenti al Sistema di rappresentanza di Confindustria aventi competenza sindacale) nelle quali non è costituita la RSU (o la RSA), per poter applicare l’agevolazione fiscale prevista dal De- creto 25 marzo 2016, opereranno conformemente a quanto di seguito pattui- to, fermo restando che l’applicazione del presente accordo territoriale, in entrambi i casi fin qui previsti, esplica i suoi effetti nei confronti di tutti i dipendenti dell’impresa, anche se occupati presso sedi o stabilimenti situati al di fuori della città/provincia/regione;
3. i premi saranno assoggettati al trattamento fiscale agevolato qualora le imprese adottino uno o più indicatori, anche in via alternativa, per la misu- razione degli incrementi di produttività, redditività, qualità, efficienza ed innovazione, tra quelli elencati nella sezione 6 del modello allegato al De- creto 25 marzo 2016. A tal fine le organizzazioni che sottoscrivono il pre- sente accordo concordano espressamente nel ritenere essenziale, come pre- visto nella circolare n.28/E del 15 giugno 2016, che la condizione di incre- mentalità degli obiettivi, cha dà diritto al trattamento fiscale agevolato, ven- ga rispettata, ossia che l’incremento possa essere verificato, nell’arco di un periodo congruo (intendendosi per esso un periodo significativo anche ai fi- ni della quantificazione del premio aziendale), attraverso indicatori numeri- ci appositamente individuati e fondati su idonei riscontri documentali aziendali;
4. pertanto, le imprese associate applicheranno le agevolazioni fiscali, nei limiti ed alle condizioni previste dalla normativa vigente, agli importi dei premi di risultato erogati a seguito del raggiungimento di un effettivo mi- glioramento dell’indicatore o degli indicatori adottati, anche in via alterna-
xxxx, dall’impresa stessa, come individuati al punto precedente, rispetto al risultato registrato dallo stesso indicatore o dagli stessi indicatori nell’anno precedente o, comunque, nel periodo congruo, come determinato ai sensi del precedente punto 3;
5. le imprese associate che si avvarranno del presente accordo invieranno, anche con modalità informatiche, una comunicazione scritta ai lavoratori dichiarando che, in applicazione del medesimo, viene istituito un premio di risultato. Nella comunicazione verrà precisato:
a) il periodo di riferimento;
b) la composizione del premio e gli indicatori adottati;
c) la stima del valore annuo medio pro capite del premio (Sez. 4 del modulo allegato al Decreto 25 marzo 2016) e le sue modalità di corresponsione , ivi compresa l’eventualità che il premio venga corrisposto, in tutto o in parte, per scelta del lavoratore, tramite prestazioni di welfare aziendale, ai sensi del comma 184 dell’art. 1 della legge 28 dicembre 2015, n. 208 e alle con- dizioni previste dalla Circolare n. 28/E;
6. ai fini dell’eventuale individuazione dei servizi o delle prestazioni di wel- fare aziendale da offrire ai lavoratori, l'impresa, tenendo conto delle indica- zioni espresse dai lavoratori e dell’offerta dei servizi esistente nel territorio dove insiste, valuterà, in particolare, le eventuali iniziative in materia poste in essere, anche autonomamente, dalle parti che hanno sottoscritto l’accordo territoriale;
7. ai fini di incentivare gli schemi organizzativi della produzione e del lavo- ro, orientati ad accrescere la motivazione del personale, le parti firmatarie del presente accordo potranno attivare iniziative sul territorio volte ad ac- crescere la cultura del coinvolgimento paritetico dei lavoratori nell'organiz- zazione del lavoro sulla base di quanto previsto dal Decreto 25 marzo 2016 e dalla Circolare n. 28/E;
8. la comunicazione di cui al punto 5 verrà tempestivamente trasmessa dall’impresa anche al comitato di cui al successivo punto 9.
9. Le parti firmatarie del presente accordo istituiranno un comitato compo- sto da un rappresentante di ciascuna delle organizzazioni sindacali e im- prenditoriali firmatarie che avrà il compito: a) di valutare la conformità al presente accordo dei contenuti della comunicazione trasmessa ai sensi del punto 5; b) di valutare l’andamento dell’attuazione dell'accordo territoriale 4 anche ai fini di quanto previsto al successivo punto 11. Il comitato effet- tuerà la valutazione di conformità entro 10 giorni dall’invio della comuni- cazione di cui al punto 5.
10. l’impresa che applica il presente accordo ai sensi del punto 2, concluso il periodo di riferimento previsto, e nei tempi tecnicamente necessari per la verifica dei risultati, darà ai lavoratori informazione scritta sulle risultanze
del premio. Tale comunicazione sarà tempestivamente trasmessa anche al comitato di cui al punto 9;
11. il comitato di cui al punto 9 provvederà a redigere un rapporto, su dati aggregati, dei premi istituiti nel territorio ai fini del monitoraggio degli ef- fetti dell’accordo territoriale; tale rapporto sarà inviato alle organizzazioni firmatarie dell’Accordo Interconfederale 14 luglio 2016 anche al fine di va- lutare l’andamento complessivo e gli effetti dell’Accordo stesso.
12 le parti sono impegnate, ciascuna per le proprie competenze, ad assicura- re l’informazione a lavoratori e imprese sui contenuti del presente accordo anche ai fini di una corretta applicazione;
13 il presente accordo ha durata 24 mesi dalla sua sottoscrizione e natura sperimentale. Si rinnova tacitamente alla sua scadenza salva espressa di- sdetta da comunicare almeno 30 giorni prima.
Letto, confermato e sottoscritto
CONTRATTO COLLETTIVO AZIENDALE DI PROSSIMITA'
Il giorno … giugno 2014, in , presso la sede amministrativa della so-
cietà ……………. , in , tra
• la …………………… cod. fiscale e partita IVA , rappresentata dal
Sig. ……….. e assistita dal Consulente del Lavoro ,
e
• la R.S.A. UILM-UIL rappresentata dal Sig. , assistita dalla
O.O.S.S. Sig. della UILM-UIL di Macerata, (unica rappresen-
tanza sindacale presente in azienda alla data attuale) che assistono i lavora- tori;
stipulano di comune accordo il presente Contratto Integrativo Aziendale di Prossi- mità ai sensi dell'art. 8 della Legge n. 148/2011, al fine di favorire le migliori condi- zioni di lavoro ai lavoratori ed al tempo stesso al fine di garantire una maggiore competitività all’impresa, nell’intento di garantire una crescita quantitativa e qualita- tiva del fattore lavoro;
Premesso
• che l’impresa opera nel settore dell’istallazione di impianti di condizionamento, di istallazione di canalizzazioni d’aria, di impianti antincendio e di impianti ter- mo-idraulici, i cui cantieri sparsi su tutto il territorio nazionale e che prevalen- temente si concentrano all’interno della Regione Toscana, possono avere una durata che oscilla da un minimo di 15 giorni di calendario ad un massimo di 3/4 mesi,
• che l’impresa da diversi anni in conseguenza della crisi economica che atta- naglia tutto il paese e non solo, in taluni periodi dell’anno, a causa della man- canza di commesse di lavoro, non è in grado di garantire la piena occupazio- ne per l’intero anno, anche al proprio personale in forza eccedente quello as- sunto a tempo indeterminato, a causa del fatto che in tali periodi, non ripetitivi con andamento ciclico o regolare nel tempo, si viene a registrare la mancanza totale o comunque una carenza di commesse per un periodo imprecisato che metterebbe in chiara difficoltà l’impresa sia da un punto di vista organizzativo, sia da un punto di vista economico, come è già avvenuto in passato, allor- quando la stessa si è vista costretta, suo malgrado, ad una imprescindibile ri- duzione del personale assunto a tempo indeterminato. Poiché il sopraggiun- xxxx di tali periodi è strettamente connesso all’alea del mercato, non è possi- bile riuscire a prevenirli da parte di alcuno, né è possibile stabilirne con antici- po la loro durata. Di certo, sulla base della esperienza vissuta dall’impresa negli ultimi anni, si è in grado soltanto di sapere con certezza che ad intervalli irregolari, tali periodi purtroppo si registrano più volte nell’arco di un anno;
• che l’impresa nei casi di incrementi di attività in seguito all’acquisizione di nuove commesse da completare entro i termini richiesti dal Committente, alla luce ed in considerazione delle novità introdotte dalla vigente normativa, con- siderate le modeste dimensioni aziendali a livello di organico, avrebbe la fa-
coltà di poter assumere una sola unità operativa con contratto di lavoro a tempo determinato e si vedrebbe costretta nella maggior parte dei casi a do- ver rinunciare all’acquisizione di detti lavori o a dover pagare le penalità previ- ste all’interno dei contratti di appalto per non aver rispettato i termini di ultima- zione della commessa o peggio ancora, si vedrebbe costretta pur di rispettare i tempi di riconsegna, a dover impiegare i lavoratori in forza senza preoccu- parsi del mancato rispetto dei riposi giornalieri e/o settimanali o a dover occu- pare personale in nero pur di rispettare detti termini di riconsegna. Non po- tendo fare altrimenti in conseguenza di quanto detto alla premessa che pre- cede;
• che l’impresa viceversa come già detto nel precedente contratto di prossimità al quale si rimanda, ha dato molto importanza sia al rispetto della normativa antinfortunistica, sottoponendo i propri lavoratori a continui aggiornamenti in materia, nell’intento di salvaguardare l’incolumità e l’integrità di ognuno di loro, ben sapendo che gli stessi spesso si trovano a dover lavorare in altezza, sia al rispetto dei riposi giornalieri, settimanali e parimenti a quello delle ferie an- nuali e dei riposi previsti dalla contrattazione collettiva. al fine di consentire ad ognuno di loro di conciliare le proprie esigenze, con quelle della propria fami- glia e della società nella quale ognuno si trova a convivere,
Tutto ciò premesso, si conviene e si stipula quanto segue:
1 - Le premesse formano parte integrante e sostanziale del presente Contratto In- tegrativo Aziendale di Prossimità, i cui vari punti concorrono, in una logica di coe- renza con le linee di azione e con gli impegni assunti dalle parti, a favorire il rag- giungimento degli obiettivi di sviluppo dell’impresa, indicati nelle premesse mede- sime.
2 - Numero rapporti di lavoro a tempo determinato.
Si consente all’impresa assumere fino al raggiungimento dei quarantaquattro me- si, comprensivi di proroghe e rinnovi, indipendentemente dai periodi di interruzio- ne che intercorrono tra un contratto e l’altro, n. 6 lavoratori con contratto a tempo determinato, in deroga ai limiti quantitativi previsti dalla normativa in materia. Non rientrano in detto computo i lavoratori assunti a tempo determinato ai sensi di di- sposizioni normative diverse dal D.Lgs. n. 81/2015.
3 - Disciplina della proroga nei contratti a termine - Il termine del contratto a tempo determinato puo' essere, con il consenso del lavoratore, prorogato solo quando la durata iniziale del contratto sia inferiore a 36 mesi. In questi casi la proroga e' ammessa fino ad un massimo di sette volte nell’arco dello stesso rapporto di lavo- ro e a condizione che sia richiesta da ragioni oggettive, anche se non si riferisca alla stessa attivita' lavorativa per la quale il contratto e' stato stipulato a tempo de- terminato. Con esclusivo riferimento a tale ipotesi la durata complessiva del rap- porto a termine non potra' essere superiore ai 44 mesi.
4 - Le parti riconoscono l'opportunità di arricchire il vigente sistema di relazioni, di cui ribadiscono l'efficacia in termini di coinvolgimento di tutte le risorse umane -
ampliando in particolare i contenuti delle informazioni che si andranno a raccoglie- re. Pertanto le parti si riservano di incontrarsi nuovamente in futuro, per migliorare ulteriormente la qualità del rapporto di lavoro, per dare un nuovo impulso ad una maggiore produzione, ad incrementi di competitività e di salario. L'Azienda dichia- ra inoltre la propria disponibilità a valutare eventuali osservazioni e proposte for- mulate dai lavoratori in merito all'organizzazione del lavoro, ferma restando in ogni caso la necessità della compatibilità economica delle soluzioni proposte ed il rispetto degli obiettivi produttivi e di efficienza aziendali.
5 - Decorrenza e Durata - Il presente Contratto Aziendale di Prossimità decorre dal …. e scadrà il ....
6 - Deposito del Contratto - Copia del presente Contratto Integrativo Aziendale di Prossimità verrà depositata a cura del Consulente del Lavoro , alla
Direzione Territoriale del Lavoro, alla sede INPS e INAIL di entro 30 giorni dal-
la data della sua sottoscrizione, ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 14 del D.Lgs. n. 151/2015 e all'art. 3 della legge 20.7.1996, n. 402.
Letto, confermato e sottoscritto.
Il principio di “meritevolezza dei benefici normativi e contributivi” ed i sinda- cati comparativamente più rappresentativi
Xxxxxxx XXXXXXX
Sommario: 1. L’interpello: il principio di di favor per i contratti stipulati dai sindacati com- parativamente più rappresentativi. 2. La nozione di sindacato comparativamente più rappresentativo. – 3. Conclusioni.
L’interpello n. 8 del 24 marzo 2015 appare particolarmente degno di nota, dal momento che – al di là del ristretto ambito del suo oggetto - formula un principio generale di favor dell’ordinamento per i contratti stipulati dai sin- dacati comparativamente più rappresentativi. Verifichiamo come si sviluppa il ragionamento ministeriale ed in quali coordinate sistematiche si inserisce.
1. L’istanza di interpello è presentata dal Consiglio Nazionale dell’Ordine dei consulenti del lavoro in merito alla perdurante applicabilità dell’art. 20, comma 2, d.lgs. n. 375/1993, secondo il quale «le agevolazioni contributive previste dalla legge sono riconosciute ai datori di lavoro agricolo che appli- xxxx i contratti collettivi nazionali di categoria, ovvero i contratti collettivi territoriali ivi previsti». In particolare, il detto Consiglio ha chiesto chiari- menti in ordine al diritto a tali benefici in relazione all’art. 1, commi 1175 e 1176, della l. n. 296/2006, secondo il quale «a decorrere dal 1° luglio 2007 i benefici normativi e contributivi previsti dalla normativa in materia di lavo- ro e legislazione sociale sono subordinati al possesso, da parte dei datori di lavoro del documento unico di regolarità contributiva, fermi restando gli al- tri obblighi di legge ed il rispetto degli accordi e contratti collettivi naziona- li nonché di quelli regionali, territoriali o aziendali, laddove sottoscritti, sti- pulati dalle organizzazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale».
Quindi, il quesito sottoposto al Ministero attiene alla definizione del rappor- to tra norme che disciplinano la medesima materia – i benefici normativi ed economici alle imprese – e, perciò, a quale di esse debba essere conferita prevalenza. Posto che l’art. 20, comma 2, d.lgs. n. 375, cit. riveste carattere speciale in quanto riferito al settore particolare dell’agricoltura, mentre l’art. 1, commi 1175 e 1176, della l. n. 296 cit. ha carattere generale, nel caso in esame dovrebbe applicarsi la prima disposizione secondo il tradizionale principio lex posterior generalis non derogat legi priori speciali. Tuttavia, il Ministero giunge alla conclusione opposta, seguendo un percorso argo- mentativo che evidenzia il favore ordinamentale per un tipo di contrattazio- ne collettiva, quella stipulata dalle associazioni comparativamente più rap-
presentative, che si è affermato – seppure con diverse versioni, come sarà evidenziato - nell’ultimo ventennio legislativo.
Il Ministero osserva che, con specifico riferimento al settore agricolo, i be- nefici riconosciuti dal d.lgs. n. 375/1993 sono subordinati all’applicazione di generici ed inqualificati «contratti collettivi nazionali di categoria, ovvero dei contratti collettivi territoriali ivi previsti». Nondimeno, l’assunto mini- steriale sottolinea che la successiva l. n. 296/2006 contiene una nuova quali- ficazione della contrattazione collettiva, che, in virtù del suo rilevante obiet- tivo di contrasto alle forme non rappresentative di autonomia, non può esse- re ignorata nel settore delle agevolazioni alle imprese. In questo contesto, il documento di prassi rimarca l’individuazione, da parte della legge 296 cit., di quali contratti collettivi applicare, ossia di quelli «stipulati dalle organiz- zazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale». Il passaggio centrale
dell’argomentazione del Dicastero merita di essere citata testualmente: «Ta- le elemento, sebbene contenuto in una disposizione successiva a quella del 1993 e sebbene sia di carattere generale, appare di assoluto rilievo dal mo- mento che introduce nell’ordinamento il principio secondo cui solo i datori di lavoro che garantiscono quelle tutele minime previste dalla contrattazione collettiva in questione sono “meritevoli” di godere di benefici “normativi e contributivi”».
L’assunto ministeriale deriva, dunque, da una valutazione complessiva del quadro ordinamentale, la quale impone di interpretare la legislazione sui benefici alle imprese nel senso che la contrattazione da considerare è quella promanante dalle organizzazioni sindacali e dei datori di lavoro comparati- vamente più rappresentative sul piano nazionale. Pertanto, secondo il Mini- stero, in virtù della previsione della legge 296 cit., anche la inqualificata contrattazione collettiva, la cui osservanza è prevista dal d.lgs. n. 375 cit. quale condizione necessaria per il godimento delle agevolazioni contributi- ve ivi previste, deve essere posta in essere dalle associazioni comparativa- mente più rappresentative sul piano nazionale.
Dall’orientamento ministeriale emerge, a chiare lettere, un principio di fa- vore dell’ordinamento per la contrattazione posta in essere dalle associazio- ni comparativamente più rappresentative. L’interpello suggerisce che la contrattazione oggetto di rinvio da parte della legge, anche se da questa non qualificata, deve essere intesa quale quella prodotta dalle associazioni men- zionate. Il Ministero elabora un criterio interpretativo di assoluto rilievo, principalmente per quelle fattispecie anteriori alla consolidazione, per via normativa, del criterio di identificazione comparativo dei soggetti sindacali. Bisogna, peraltro, rilevare come il canone enunciato riguardi specificamente i benefici normativi ed economici alle imprese, uno dei settori nei quali la
legge fa spesso ricorso alla formula delle associazioni comparativamente più rappresentative.
Ciò considerato, l’interpello lascia aperte talune questioni che non possono essere trascurate. In primo luogo, quale sia l’esatta portata della formula normativa che, sebbene reiterata nel tempo, continua a non essere esplicitata dalla legge; ed inoltre, se il paradigma esegetico che il Ministero propone sia estensibile a tutti gli altri settori nei quali la legge opera rinvii alla con-
trattazione collettiva ed in particolare all’intera disciplina del modello inte- grativo legge-contrattazione (sul quale si veda, per tutti, X. XXXXXX, Diritto sindacale, Cacucci, 2001, 148 ss.). Per affrontare tali questioni, è necessario comprendere la ratio dell’introduzione della nozione in parola.
2. Come suggerisce la stessa denominazione, la figura in esame impone una selezione, mediante un confronto di rappresentatività, dei soggetti sindacali legittimati alla stipula del contratto collettivo cui la legge rinvia. La legge non intende impedire - né potrebbe in vigenza del principio di libertà sinda- cale ex art. 39 comma 1 Cost. - la stipulazione di una pluralità di contratti collettivi per una medesima categoria. Tuttavia, stabilisce che determinati effetti – nel caso in questione, l’attribuzione di benefici alle imprese -, da essa contemplati, possano discendere esclusivamente dalla contrattazione stipulata da parti sindacali dotate di una certa affidabilità, attestata dal se- guito di consenso goduto.
L’esordio della nuova formula avviene con l’art. 2, comma 25 della legge n. 549/1995, di interpretazione autentica della legge n. 398/1989, al fine di se- lezionare il contratto collettivo applicabile per la determinazione dei minimi contrattuali da adottare come base per il calcolo dei contributi previdenziali. (cfr. A. PESSI, Unità sindacale e autonomia collettiva, Giappichelli, 2007, 203). Il criterio nasce per contrastare il sindacalismo minoritario e frazioni- stico, che dà luogo al fenomeno dei cc.dd. contratti pirata, i quali prevedono condizioni economiche più sfavorevoli di quelle dei contratti delle maggiori confederazioni (X. XXXXXXX L’efficacia soggettiva del contratto collettivo, in QFMB Saggi/Ricerche, 10). Esso segna il passaggio da una rappresenta- tività presunta, quella dei sindacati maggiormente rappresentativi, ad una verificata: in presenza di più contratti in un medesimo settore, deve essere stabilito la prevalenza dell’uno o dell’altro attraverso il principio di maggio- ranza, applicato mediante un procedimento di comparazione (X. XXXXXXX,
X. XXXXXXXXX, Legittimazione dei soggetti sindacali ed efficacia del con- tratto collettivo, in X. XXXXXXXX, X. XXXXXXX - a cura di -, Contratto collet- tivo e disciplina dei rapporti di lavoro, Xxxxxxxxxxxx, 2004, 84 ss.).
Se le linee generali e lo scopo della formula sono chiari, sulle modalità della comparazione la dottrina ha espresso notevoli riserve sotto vari riguardi. E’ stata evidenziata «l’assoluta incertezza» della nozione circa: la fase della
negoziazione in cui effettuare la comparazione- ex ante ovvero ex post ri- spetto alle trattative -; la possibilità che il raffronto avvenga anche
all’interno dei sindacati maggiormente rappresentativi; l’individuazione dei criteri selettivi; infine, l’oggetto stesso della comparazione – contratti ovve- ro sindacati - (X. XXXXXXXXXX, Rappresentatività sindacale: fattispecie ed effetti, Xxxxxxx, 2000, 279). Nella stessa ottica, è stata segnalata la criticità della mancanza di una soglia minima quantitativa per la selezione del sinda- cato comparativamente più rappresentativo (X. XXXXXXXX, Rappresentatività e organizzazione sindacale, CEDAM, 2005, 141).
Sotto altro aspetto, la nozione in esame, in talune sue versioni aggiornate, è sembrata avallare, se non favorire, il fenomeno dei cc.dd. contratti separati (sui quali si veda X. XXXXXXXXXX, Gli accordi sindacali separati tra forma- lismo giuridico e dinamiche intersindacali, in DRI, 2011, 2; X. XXXXXXX- XXXXXXXXXX, Efficacia soggettiva del contratto collettivo: accordi separati, dissenso individuale e clausola di rinvio, in RIDL, 3, 2010; X. XXXXXXX, Accordi collettivi separati: tra libertà contrattuale e democrazia sindacale, in RIDL,1, 2010, 3). In costanza di unità di azione sindacale, infatti, il crite- rio comparativo è in grado di funzionare adeguatamente, in quanto è idoneo a perseguire lo scopo, per cui è nato, di contrasto alla contrattazione “pira-
ta”. Tuttavia, il metodo diventa oltremodo problematico nel momento in cui viene meno l’unità tra le principali confederazioni. Quando ciò si verifica, il contratto richiamato dalla legge potrebbe essere stipulato anche soltanto da alcuni dei sindacati richiamati, dando luogo al fenomeno dei cc.dd. contratti separati. Tale possibilità crea, in effetti, un notevole problema di compatibi- lità costituzionale, con l’art. 39, comma 4, Cost., di tutte quelle norme che rinviano a contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni comparativamen- te più rappresentative (X. XXXXXXX L’efficacia soggettiva del contratto col- lettivo, cit.). Tale lettura sarebbe confermata dalla modifica legislativa del d.lgs. 276/2003, che non parla più di contratti stipulati «dai», bensì «da» sindacati comparativamente più rappresentativi, che potrebbe significare che non è necessario il consenso di tutte le organizzazioni con il maggiore seguito, come si era ritenuto all’introduzione della formula. La modifica lessicale nel linguaggio normativo è stata oggetto di aspre critiche da parte di taluni settori dottrinali, che ne hanno letto la volontà – politica - di estro- mettere una parte rappresentativa del sindacato (tra gli altri, X. XXXXXXXX, Incostituzionalità del concetto di sindacato comparativamente rappresenta- tivo e carattere distorto dell’attuale dibattito sull’art. 18 St. lav., in Il Libro Bianco sul mercato del lavoro e la sua attuazione legislativa. Una riflessio- ne sul cambiamento, in xxx.xxxxxxx.xx, 27). In questo quadro, secondo altra opinione, la formula in esame, oltre a possedere scarsa idoneità selettiva per la sua vaghezza, ha perso ogni valore di garanzia a seguito dell’adozione
dell’art. 8 del d.l. 148/2011 sulla contrattazione di prossimità. Tale norma, disponendo la legittimazione a negoziare in capo a qualunque sindacato “comparativamente più rappresentativo”, avrebbe fatto definitivamente ve- nire meno la condizione che aveva consentito di ritenere il sistema sindacale di fatto in grado di imporsi quale modello alternativo all’art. 39, seconda parte, Cost.. In tal modo, la legge, in luogo di contrastare la competizione sindacale, la riproduce nella misura in cui fa riferimento all’eventualità di stipulazioni non unitarie in capo si sindacati comparativamente più rappre- sentativi (X. XXXXXXXX, I rinvii della legge alla contrattazione collettiva nel prisma del pluralismo sindacale, in X. XXXXXXX, X. XXXXXXX (a cura di) Xxxxxxxx, dissenso e rappresentanza: le nuove relazioni sindacali, CE- DAM, 2014, 4,). Recentemente è stata proposta una “decodificazione” er- meneutica della formula normativa in esame utilizzando i parametri di rap- presentatività sindacale adottati nell’ultima, feconda, stagione contrattuale confederale e, segnatamente, nel Protocollo del maggio 2013 e nel c.d. X.X. xxxxx rappresentanza del 10 gennaio 2014. In tale ottica, si suggerisce di adottare la soglia del 5%, quale media del dato elettorale con il dato asso- ciativo, quale criterio ermeneutico diretto ad individuare i sindacati compa- rativamente più rappresentativi legittimati ad attuare negli accordi collettivi la delega legale. Inoltre, trasponendo anche su questo punto le regole con- venzionali introdotte dal protocollo del 2013, si propone che la regola con- trattuale oggetto di rinvio legale sia ritenuta valida solo se espressa in con- tratti collettivi di lavoro sottoscritti da organizzazioni sindacali che nel loro complesso giungano al 50% +1 della rappresentatività. Con l’affermazione del principio maggioritario, si dovrebbero superare le obiezioni in merito al- la dubbia validità di accordi delegati sottoscritti da sigle sindacali nel loro complesso minoritarie, sebbene comparativamente più rappresentative (X. XXXXXXXXXXX, Il modello del sindacato comparativamente più rappresen- tativo nell'evoluzione delle relazioni sindacali, in DRI, 2, 2014, 378 ss.).
3. Come le opinioni dottrinali sintetizzate dimostrano, a vent’anni di distan- za dal suo esordio legislativo, il concetto di sindacato comparativamente più rappresentativo è tutt’altro che stabilmente definito nell’attuale ordinamen- to. A ciò ha contribuito non solo l’inerzia del legislatore nell’indicare gli elementi costituivi della fattispecie, ma anche la sua disinvoltura nel mutar- ne – o nel tentare di farlo – i connotati soggettivi. Da una nozione che com- prendeva, verosimilmente, tutte le organizzazioni più rappresentative sul piano nazionale, si è passati a formule più sfumate, che per un verso sem- brano riprodurre divisioni sindacali, e per l’altro fanno riferimento a più li- velli di contrattazione. Tali osservazioni consentono di precisare la portata del principio affermato dal Ministero del lavoro nell’interpello in commen- to. Il favor ivi individuato, invero, è riferito alla formula normativa più in-
clusiva, quella che cioè riconosce tutte le associazioni sindacali comparati- vamente più rappresentative sul piano nazionale. Non solo, infatti, il Dica- stero si richiama letteralmente a questa formula, ma essa è la sola che con- sente di identificare, al di là dei dubbi che pur suscita, i contratti collettivi che vanno applicati nelle varie fattispecie normative in luogo di quella con- trattazione “pirata” contro la quale il medesimo Ministero ha profuso un no- tevole impegno operativo, come recentemente riconosciuto dalla Corte Co- stituzionale (Sentenza n. 51 del 26 marzo 2015, in Boll. ADAPT, 4 maggio 2015, n. 17). Da questo punto di vista, si può anche affermare la portata generale del principio ministeriale, riferito cioè non solo al ristretto settore dei sussidi alle aziende, ma a tutte le ipotesi di rinvio normativo alla con-
trattazione collettiva. Invero, l’esigenza di contrasto alla contrattazione mi- noritaria è ugualmente avvertita in ogni settore dei rapporti di lavoro e di previdenza. Ne deriva che, se la proposta ermeneutica del Dicastero è cor- retta, il principio di favor per la contrattazione posta in essere dalle organiz- zazioni sindacali più rappresentative può essere esteso all’intero modello normativo di rinvio all’autonomia collettiva. In tale ordine di idee, ogni ge- nerico richiamo legislativo alla contrattazione collettiva andrebbe rapportato a quella stipulata dai soggetti sindacali menzionati. Il problema di tale qua-
lificazione dell’autonomia collettiva si pone, peraltro, relativamente alla le- gislazione non recente, posto che negli ultimi anni il paradigma esaminato di sindacalismo si è largamente imposto nell’ordinamento. In ogni caso, an- che accogliendo tale impostazione, resterebbe la contraddizione ordinamen- tale di un principio generale riferito ad una figura di cui sono tuttora incerti i confini.
In questo ambito, si può osservare che anche nell’attuale processo di attua- zione della legge delega (legge n. 183 del 10 novembre 2014) del c.d. Jobs act si fa ampio ricorso alla nozione di sindacato comparativamente più rap- presentativo sia nel testo della delega che nello schema di decreto sul rior- dino delle tipologie contrattuali (art. 2, lett. g: si intendono per «contratti collettivi» i contratti collettivi nazionali o territoriali stipulati da associazio- ni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e i contratti collettivi aziendali stipulati dalle rappresentan- ze sindacali aziendali ovvero dalle rappresentanze sindacali unitarie). Biso- gna, peraltro, notare un uso promiscuo delle proposizioni “da” e “dalle”, le quali risultano quasi alternate, all’interno dei testi normativi, nel precedere la formula delle associazioni comparativamente più rappresentative. Il che, per la verità, suscita qualche dubbio semantico sulla volontà legislativa di ricomprendere, o meno, tutte le organizzazioni sindacali maggiormente rap- presentative.
In particolare, poi, l’art. 47, comma 2, lett. a), ha conferito competenza esclusiva alle «confederazioni sindacali comparativamente più rappresenta- tive sul piano nazionale» per la previsione di collaborazioni alle quali non si applica la disciplina del lavoro subordinato, a condizione che si preveda uno speciale trattamento economico e normativo, in ragione delle particolari esigenze produttive ed organizzative di settore. Tale disposizione, quindi, esclude dalla potestà negoziale non solo i sindacati territoriali, ma anche quelli nazionali di categoria. A questo proposito, degna di nota è quella dot- trina (X. XXXXXXXX, Le collaborazioni autonome dopo il Jobs Act, in XXX, 00/0000, 866) la quale ha osservato che il potere mediante contrattazione collettiva, previsto ora solo per i sindacati confederali, abrogherebbe per in- compatibilità il potere analogo attribuito ai contratti di prossimità, stipulabi- li da qualunque rappresentanza purché approvati con votazione a maggio- ranza dei lavoratori, in merito alle «modalità d’assunzione e disciplina del rapporto di lavoro, comprese le collaborazioni coordinate e continuative a progetto e le partite Iva» (art. 8 comma 2 lett. e) D.L. 13 agosto 2011, n.
138).
Ministero del lavoro e delle Politiche Sociali, prot. n. 5623 del 24 marzo 2015
OGGETTO: c.c.n.l. nel settore delle agenzie assicurative in gestione libera.
Sono pervenute a questi Uffici segnalazioni in merito a possibili criticità nell'applicazione dei contratti collettivi stipulati dalle associazioni sindacali c datoriali nel settore delle agenzie assicurative. In proposito si ritiene opportuno fornire le seguenti indicazioni.
In termini generali, si sottolinea la necessità di garantire il pieno rispetto sia della disciplina legislativa in materia di lavoro, di regolarità contributiva ed assicurativa, sia delle condizioni di sicurezza all'interno dei luoghi di lavoro nel rispetto di principi validi nell'ambito del siste- ma delle agenzie assicurative oggetto della presente nota, come peraltro in ogni settore la- vorativo.
A tal fine appare determinante, come chiarito di seguito, la scelta dei datori di lavoro di ap- plicare o meno un contratto collettivo stipulato da organizzazioni in possesso del requisito della maggiore rappresentatività in termini comparativi, in ragione di specifiche scelte opera- te dal Legislatore volte a sollecitare, nel rispetto del principio di libertà sindacale, l'applica- zione di tali contratti.
In primo luogo, si ricorda infatti che l'adesione a un contratto collettivo non sottoscritto da organizzazioni "comparativamente più rappresentative” comporta che il datore di lavoro non possa fruire delle agevolazioni e dei benefici normativi e contributivi previsti dalla normativa in materia di lavoro e di legislazione sociale, ai sensi dell'art. 1, comma 1175, della legge n. 296/2006. Detta disposizione, che si inserisce nell'ambito degli interventi normativi volti al contenimento delle forme di evasione ed elusione, prevede che, fermi restando gli altri ob- blighi di legge, è possibile fruire dei benefici normativi e contributivi solo se siano rispettati gli accordi e i contratti collettivi nazionali nonché quelli regionali, territoriali o aziendali, stipu- lati dalle organizzazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.
Con riguardo al cosiddetto minimo contrattuale, si ricorda che, secondo quanto disposto dall'art. 1, co. 1, del D.L. n. 338/1989, convertito in L. n. 389/1989, la retribuzione da assu- mere come base per il calcolo dei contributi di previdenza ed assistenza sociale non può essere inferiore all'importo delle retribuzioni stabilito dai contratti collettivi, stipulati dalle or- ganizzazioni sindacali maggiormente rappresentative su base nazionale. Inoltre, ai sensi dell’art. 2, co. 25, legge n. 549/1995, norma di interpretazione autentica del citato art. 1, co. 1, in caso di pluralità di contratti collettivi intervenuti per la medesima categoria, la retribu- zione da assumere come base di calcolo è quella stabilita dai contratti collettivi stipulati dal- le organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappre- sentative nella categoria.
Di conseguenza, in caso di applicazione di c.c.n.l. sottoscritti da soggetti privi del requisito della rappresentatività comparata, la contribuzione dovuta sarà comunque calcolata sulla predetta retribuzione.
Sotto il profilo retributivo si ricorda inoltre la specifica disposizione contenuta nell’art. 7, comma 4, del D.l. n. 248/2007 (conv. da L. n. 31/2008) secondo la quale "fino alla completa attuazione della normativa in materia dì socio lavoratore di società cooperative, in presenza di una pluralità di contraili collettivi della medesima categoria le società cooperative che svolgono attività ricomprese nell’ambito di applicazione di quei contratti di categoria appli- xxxx ai propri soci lavoratori, ai sensi dell'articolo 3 comma 1, della legge 3 aprile 2001, n. 142 i trattamenti economici complessivi non inferiori a quelli dettati dai contratti collettivi sti- pulati dalle organizzazioni datoriali e sindacali comparativamente più rappresentative a livel- lo nazionale nella categoria".
Il requisito in esame rileva anche al fine di determinare il ruolo fondamentale della bilaterali-
tà per molteplici aspetti e, in particolare, per lo svolgimento della formazione in materia di sicurezza sul lavoro, come evidenziato nella circolare n. 20 del 29 luglio 2011. Infatti, sia l'art. 2 del d.lgs. n. 276/2003 che il d.lgs. n. 81/2008 specificano chiaramente che detti orga- nismi devono essere costituiti “a iniziativa di una o più associazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative". Quindi, come già chiarito in detta circola- re, il datore di lavoro è tenuto a rivolgersi solo agli organismi in possesso del citato requisito di legge.
In materia di contratto a termine il d.lgs. n. 368/01 affida ai sindacati comparativamente più rappresentativi la disciplina di diversi aspetti dell'istituto contrattuale. In particolare, si se- gnala che l’art. 1 del citato d.lgs. n. 368 stabilisce che il numero complessivo di contratti a termine stipulati non può eccedere il limite del 20 % del numero dei lavoratori a tempo inde- terminato in forza al datore di lavoro, salvo l'ipotesi che i c.c.n.l. stipulati dai "sindacati com- parativamente più rappresentativi” individuino diversi limiti quantitativi di utilizzo del contrat- to a tempo determinato, ai sensi dell’art. 10, co. 7, del d.lgs. n. 368/2001.
Infine, è il caso di ricordare che l’art. 2 del d.lgs. n. 167/2011 demanda la regolazione dell'i- stituto dell'apprendistato agli accordi interconfederali e ai contratti collettivi di lavoro stipulati a livello nazionale da “associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale". L'art. 4 del d.lgs. n. 167 stabilisce, inoltre, che la dura- ta dell'apprendistato professionalizzante non possa essere superiore a tre anni ovvero cin- que per i profili professionali caratterizzanti la figura dell'artigiano, individuati dalla contratta- zione collettiva di riferimento o da quella di settori merceologici differenti purché relativa- mente a "profili professionali equipollenti" (interpello n. 40/2001).
Pertanto, il datore di lavoro è tenuto comunque ad applicare la disciplina posta dai suddetti in caso di ricorso al contratto di apprendistato.
Quanto sopra rappresentato non è esaustivo, ovviamente, delle ipotesi normative in cui rile- va il citato requisito della rappresentatività, ma offre un'indicazione di massima delle dispo- sizioni che possano rilevare in caso di applicazione di contratti collettivi siglati da organizza- zioni non rappresentative nel settore assicurativo in esame.
L’intervento del Ministero del lavoro contro i “contratti pirata”
di Xxxxxxx Xxxxxxx
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Il Ministero del lavoro, con una nota del 24 marzo 2015, opera una sintetica ricognizione normativa in merito alle criticità dei cc.dd. contratti pirata e del concetto di “maggiore rappresentatività comparata”.
La problematica del “sindacato comparativamente più rappresentati- vo”
Sono attualmente numerose le previsioni normative che contemplano l’espressione in oggetto, alcune delle quali menzionate nella nota ministe-
riale. Sul piano funzionale, la tecnica è utilizzata dal legislatore princi- palmente in due varianti, una nel modello di integrazione tra legge e contrattazione collettiva, che è stato denominato di “delega”, di “autoriz- zazione” di “delegificazione”, di “deroga”, e così via; il tratto strutturale del paradigma è dato dalla volontà legislativa di riservare uno spazio, più o me- no ampio, alla contrattazione collettiva - anche di livello secondario - in ma- terie altrimenti disciplinate da norme di rango primario. L’altra variante è adottata nel sistema di benefici e sussidi pubblici alle aziende, concorda- to a condizione che le stesse applichino i contratti collettivi stipulati dai sindacati in questione. E’ chiaro, per un verso, che la legge intende affida- re una rilevante funzione para-normativa ad organizzazioni sindacali che presentino requisiti di affidabilità e rappresentatività e, per l’altro, che la concessione dei benefici è subordinata all’adempimento di un onere, l’applicazione di contratti collettivi “qualificati”. Dunque, lo scopo norma- tivo è evidentemente quello di assegnare, in presenza di più contratti stipulati per un medesimo settore, gli effetti legali ad una contrattazio- ne posta in essere da organizzazioni sindacali “affidabili”, dotate di un significativo seguito di iscritti o di consenso.
Come suggerisce la stessa denominazione, la figura del “sindacato com- parativamente più rappresentativo” impone una selezione, mediante un confronto di rappresentatività, dei soggetti sindacali legittimati alla sti- pula del contratto collettivo cui la legge rinvia. Tuttavia, analogamente al caso della “maggiore rappresentatività”, anche per il concetto in questione la legge non specifica i criteri per l’individuazione dei contratti, o dei soggetti sindacali, legittimati a produrre gli effetti previsti. Di conse- guenza, la giurisprudenza si è assunta il compito di chiarire la nozione, an- che attraverso i noti criteri già utilizzati per il concetto di “maggiore rappre- sentatività” - consistenza del numero di iscritti, l’effettivo svolgimento di azione sindacale e di contrattazione, la presenza della sigla sindacale in più settori produttivi e più territori - , mentre in dottrina si registrano vari dibat- titi sul tema.
Il carattere intrinsecamente selettivo della nozione è in grado di funzio- nare adeguatamente in costanza di unità di azione sindacale tra le grandi confederazioni, contribuendo al contrasto del fenomeno dei cc.dd. contratti pirata. Peraltro, il metodo diventa oltremodo problematico nel momento in cui, venuta meno l’unità sindacale, la comparazione si svi-
luppa all’interno delle stesse. Quando ciò si verifica, il contratto oggetto di rinvio legislativo potrebbe essere stipulato anche soltanto da alcuni dei sindacati richiamati, dando luogo allo schema dei cc.dd. contratti sepa- rati. Tale possibilità crea, secondo taluni settori dottrinali, un problema di compatibilità costituzionale con l’art. 39, comma 4, Cost., di tutte quelle norme che rinviano a contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni com- parativamente più rappresentative.
Una recente dottrina (X. XXXXXXXXXXX, Il modello del sindacato compara- tivamente più rappresentativo nell'evoluzione delle relazioni sindacali, in DRI, 2, 2014, 378 ss.) ha proposto una “decodificazione” della formula normativa in esame utilizzando i parametri di rappresentatività sindacale adottati nell’ultima, feconda, stagione contrattuale confederale e, segnata- mente, nel Protocollo del maggio 2013 e nel c.d. X.X. xxxxx rappresentanza del 10 gennaio 2014.
La nota ministeriale
Nella nota, il Dicastero rammenta che il principio di libertà sindacale, di cui all’art. 39 Cost., non può comportare un’estesa applicazione, da parte del datore di lavoro, dei cc.dd. contratti pirata, contratti collettivi particolarmente favorevoli alle aziende in termini retributivi e normativi, stipulati con sindacati privi di adeguata rappresentatività. Per tale motivo, la legge ha introdotto il concetto di “maggiore rappresentatività comparata” che, tramite incentivi ed agevolazioni, indica ai datori di lavoro l’applicazione, tra più contratti della stessa categoria, di quelli stipulati dalle organizzazioni più rappresentative.
Il Ministero procede ad indicare i principali incentivi normativi diretti all’applicazione dei contratti menzionati. Tra questi, vi sono i benefici nor- mativi e contributivi di cui alla legge 296/2006 (art. 1, comma 1175); la previsione di cui alla legge 389/89 (art. 1), come autenticamente interpretata dall’art. 2, comma 25 della legge 549/95, che impone comunque – indipen- dentemente dal contratto applicato - l’applicazione del minimo salariale sta- bilito dai contratti stipulati dalle organizzazioni più rappresentative ai fini del calcolo dell’obbligazione contributiva a carico dei datori. Inoltre, il Di- castero rammenta l’art. 7, comma 4 della legge 31/2008, che impone alle società cooperative l’obbligo di applicare ai propri soci lavoratori trattamen- ti economici complessivamente non inferiori a quelli previsti nei contratti stipulati dai soggetti rappresentativi. Il criterio della maggiore rappresenta- tività comparata rileva anche in tema di enti bilaterali, come previsto nell’art. 2 del D.lgs. 276/03 e nel D.lgs. 81/08, laddove è indicato ai datori
di lavoro di rivolgersi unicamente agli organismi previsti, ai fini dello svol- gimento della formazione in materia di sicurezza sul lavoro.
Il Ministero, infine, richiama due recenti discipline, a dimostrazione dell’attualità del criterio della comparazione tra i contratti applicabili. L’una si riferisce al D.lgs. 167/2011 sull’apprendistato, che all’art. 2 demanda la regolamentazione dell’istituto alla contrattazione posta in essere dalle asso- ciazioni comparativamente più rappresentative sul piano nazionale. L’altra riguarda il contratto a termine, ove il riformato art. 1 del D.lgs. 368/01 sta- bilisce il noto limite del 20% del personale in forza al 1° gennaio per il ri- corso al contratto a tempo determinato, limite che può essere derogato solo dai contratti stipulati dagli attori sindacali più volte citati.
Dunque, nel documento ministeriale si può agevolmente cogliere una evi- dente esortazione ai datori di lavoro a non avvalersi di contratti “pira- ta”, i quali sembrano registrare un sensibile aumento negli ultimi tempi (cfr. X. Xxxxxxxxxx, Arginare la piaga dei contratti pirata, in Boll. ADAPT n. 24/2014).
L’esonero contributivo della legge 190/2014
Appare utile, infine, un cenno alla recente legge 190/2014 (legge di stabilità finanziaria), la quale, come noto, ha previsto incentivi alle assunzioni a tempo indeterminato attraverso un esonero contributivo triennale per le aziende che si attivino in tal senso (cfr. X. Xxxxxxx, X. Xxxxxx e X. Xxxxxx- schi, Il contratto a tutele crescenti nel prisma delle convenienze e dei costi
d’impresa, in xxx.xxxxxxxxxxxxxxx.xx). Sebbene dal testo di legge non risulti espressamente, l’INPS ha chiarito che l’esonero è subordinato al rispetto delle condizioni fissate dall’art. 1, commi 1175 e 1176, della legge n. 296/2006, da parte del datore di lavoro che assume nuovi prestatori. Tra queste condizioni vi è l’applicazione degli accordi e contratti collettivi nazionali nonché di quelli regionali, territoriali o aziendali, laddove sot- toscritti, stipulati dalle organizzazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazio- nale (Circolare n. 17 del 29 gennaio 2015).
Posto ciò, emerge un dubbio relativamente alla contrattazione di prossimità, non menzionata nella circolare dell’istituto previdenziale. Esso consiste nel- la questione se, oltre ovviamente ai “contratti pirata”, anche la stipulazione di contratti di prossimità possa causare la preclusione all’accesso all’esonero contributivo - ovvero l’estinzione del relativo diritto -, e più in
generale a tutti gli altri incentivi previsti dalla legge, nell’ipotesi in cui fos- sero previsti – come pure possibile, ai sensi dell’art. 8, comma 2 bis, della legge 148/2011 - trattamenti inferiori rispetto al CCNL stipulato dalle orga- nizzazioni comparativamente più rappresentative.
La questione è seria e meriterebbe un adeguato approfondimento, ma in prima approssimazione può dirsi che verso la soluzione negativa sembrano condurre un elemento formale ed uno sostanziale. Il primo deriva dall’appena citata, espressa, autorizzazione legislativa alla deroga dei CCNL di cui all’art. 8, comma 2 bis; ritenere il contrario colliderebbe con il principio di non contraddizione dell’ordinamento. In aggiunta, si può notare che la legge 190 cit. non esclude l’intervento della contrattazione di prossi- mità. Naturalmente, tutt’altro discorso è quello relativo alla compatibilità costituzionale del disposto citato con l’art. 39, seconda parte Cost., non af- frontabile in questa sede. L’elemento sostanziale si ricava non solo dalla qualità soggettiva dei soggetti stipulanti, che anche nel caso della con- trattazione di prossimità sono previste nelle organizzazioni comparati- vamente più rappresentative - ovvero nelle relative rappresentanze azien- dali -. Invero, nell’art. 8 comma 1, cit. è richiesto – ai fini dell’efficacia er- ga omnes nel contesto di riferimento - anche un «criterio maggioritario relativo alle… rappresentanze sindacali» stipulanti i contratti di pros- simità, il quale può ritenersi, per quanto genericamente formulato, un dato idoneo ad implementare, in ambito decentrato, il principio di democra- zia e affidabilità sindacale sotteso al concetto normativo – peraltro anch’esso indeterminato, come osservato sopra - di sindacati comparati- vamente più rappresentativi. Tali considerazioni sembrano in linea con quanto recentemente affermato dal Ministero del lavoro, nell’interpello n. 8 dello scorso 24 marzo, laddove è stato individuato un canone generale di le- gittimazione dei contratti collettivi, quali necessari antecedenti dei vari be- nefici normativi, promananti dalle organizzazioni sindacali e datoriali com- parativamente più rappresentative sul piano nazionale.
Ne consegue che, stando alle vigenti norme, la stipula di contratti di pros- simità “peggiorativi” dovrebbe comunque consentire all’impresa di ac- cedere ai benefici della legge 190/14, oltre che di altre leggi. Nondimeno, sul piano pratico, in assenza di chiarimenti ufficiali delle amministrazioni competenti, non appare consigliabile alle aziende, che intendano usufruire dei benefici normativi, ricorrere alla contrattazione di prossimità nel senso descritto.
La Direzione Generale per l’Attività Ispettiva del Ministero del Lavoro ha emanato la lettera circolare n. 7068 del 28 aprile 2015, con la quale ha diffuso la sentenza della Corte Costituzionale n. 51/2015 che ha dichiarato legittimo l’articolo 7, comma 4, del Decreto Legge
n. 248/2007 (convertito con la legge n. 31/2008) nella parte in cui stabilisce che “fino alla completa attuazione della normativa in mate- ria di socio lavoratore di società cooperative, in presenta di una plu- ralità di contratti collettivi della medesima categoria, le società coo- perative che svolgono attività ricomprese nell’ambito di applicazione di quei contratti di categoria applicano ai propri soci lavoratori, ai sensi dell’art,. 3, co.1, della legge 3 aprile 2001, n. 142, i trattamenti economici complessivi non inferiori a quelli dettati dai contratti collet- tivi stipulati dalle organizzazioni datoriali e sindacali comparativa- mente più rappresentativi a livello nazionale nella categoria“.
In pratica, in tema di società cooperative, dopo la Legge n. 142/2001, al socio lavoratore subordinato spetta la corresponsio- ne di un trattamento economico com•plessivo (accezione da in- tendersi concernente la retribuzione base e le altre voci retributive) comun•que non inferiore ai minimi previsti, per prestazioni analo- ghe, dalla contrattazione collettiva nazionale del settore o della categoria affine, purché comparativamente più rappresentativa.
Da un punto di vista ispettivo, pertanto, questa sentenza legittima il personale – in presenza di sodalizi cooperativi che applicano un di- verso contratto collettivo – a prendere come riferimento, ai fini dell’individuazione della base imponibile contributiva (ex art. 1, Leg- ge n. 389/1989), la retribuzione definita dal CCNL sottoscritto da CGIL, CISL e UIL/AGCI, LegaCoop e ConfCooperative.
Sentenza Corte Cost. n. 51/2015
GIUDIZIO DI LEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE IN VIA INCIDENTALE
Presidente XXXXXXXXX - Xxxxxxxxx XXXXXXX
Camera di Consiglio del 11/03/2015 Decisione del 11/03/2015 Deposito del 26/03/2015 Pubblicazione in G. U. 01/04/2015 n. 13
Norme impugnate: Art. 0, x. 0x, xxx xxxxxxx legge 31/12/2007, n. 248, con- vertito, con modificazioni, dall'art. 1, c. 1°, della legge 28/02/2008, n. 31.
Massime: Atti decisi:
ord. 100/2014
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Presidente: Xxxxxxxxxx XXXXXXXXX; Giudici : Xxxxx Xxxxx XXXXXXXXXX, Xxxxxxxx XXXXX, Xxxxx XXXXXX, Xxxx XXXXXX, Xxxxx XXXXXXXX, Xxxxx Xxxxxxx XXXXXXX, Xxxxxxxxx XXXXXXXX, Xxxxxxxx XXXXX, Xxxxxxx XXXXXXX, Xxxxx xx XXXXXX, Xxxxxx XXXXX,
ha pronunciato la seguente SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 7, comma 4, del decreto- legge 31 dicembre 2007, n. 248 (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative e disposizioni urgenti in materia finanziaria), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 28 febbraio 2008, n. 31, promosso dal Tribunale ordinario di Lucca nel procedimento vertente tra Xxxxxxxx Xxxxxxxx e Il Castello service società cooperativa, con ordinanza del 24 gennaio 2014, iscritta al n. 100 del registro ordinanze 2014 e pubbli- cata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 26, prima serie speciale, dell’anno 2014.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio dell’11 marzo 2015 il Giudice relatore Sil- vana Xxxxxxx.
Ritenuto in fatto
1.– Con ordinanza del 24 gennaio 2014, il Tribunale ordinario di Lucca ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento all’art. 39 della Costituzione, dell’art. 7, comma 4, del decreto-legge 31 dicembre 2007, n. 248 (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative e dispo- sizioni urgenti in materia finanziaria), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 28 febbraio 2008, n. 31, nella parte in cui
stabilisce che, «[f]ino alla completa attuazione della normativa in materia di socio lavoratore di società cooperative, in presenza di una pluralità di con- tratti collettivi della medesima categoria, le società cooperative che svolgo- no attività ricomprese nell’ambito di applicazione di quei contratti di cate- goria applicano ai propri soci lavoratori, ai sensi dell’articolo 3, comma 1, della legge 3 aprile 2001, n. 142, i trattamenti economici complessivi non inferiori a quelli dettati dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni datoriali e sindacali comparativamente più rappresentative a livello naziona- le nella categoria».
1.1.– Il rimettente premette di essere stato adito da un socio lavoratore, con mansioni di lavoratore facchino, della società cooperativa Il Castello, per ottenere la condanna, in applicazione del citato art. 7, comma 4, del decreto- legge n. 248 del 2007, della predetta società al pagamento delle differenze retributive correlate all’applicazione del CCNL unico della logistica, tra- sporto, merci e spedizione, sottoscritto in data 9 novembre 2006, da CON- FETRA, CONFTRASPORTO, XXXXX, XXXXX XXXXXXXX, CONFAR-
TIGIANATO ed altri (parte datoriale) e da FILT CGIL, FIT–CISL e UIL- TRASPORTI (parte dei lavoratori), anziché del diverso CCNL applicato dalla convenuta (CCNL multi servizi, stipulato da UNCI–FESICA- CONFSAL). Il Tribunale ordinario di Lucca precisa, inoltre, che la società convenuta ha fornito evidenza della delibera, intervenuta nel corso di appo- sita assemblea dei soci lavoratori, in merito all’applicazione del CCNL mul- tiservizi stipulato da UNCI-FESICA-CONFSAL. Essa ha eccepito l’illegittimità costituzionale del citato comma 4 dell’art. 7, per violazione degli artt. 39 e 41 Cost.
Tanto premesso, il rimettente solleva la questione di legittimità costituzio- nale dell’art. 7, comma 0, xxx x.x. x. 000 xxx 0000, xxx xxxxxxx xxxxxxxxxx, xx- servando, in punto di rilevanza, che tale disposizione è alla base della do- manda proposta dal ricorrente, cosicché essa deve trovare applicazione nel giudizio pendente dinanzi al medesimo.
1.2.– In particolare, il Tribunale ordinario di Lucca ritiene che la norma in esame si ponga in contrasto con l’art. 39 Cost. Quest’ultimo, infatti, come chiarito dalla Corte costituzionale, garantirebbe «alle associazioni sindacali di regolare i conflitti di interessi che sorgono tra le contrapposte categorie mediante il contratto, al quale poi si riconosce efficacia obbligatoria erga omnes, una volta che sia stipulato in conformità di una determinata proce- dura e da soggetti forniti di determinati requisiti»: pertanto, una «legge, la quale cercasse di conseguire questo medesimo risultato della dilatazione ed
estensione, che è una tendenza propria della natura del contratto collettivo, a tutti gli appartenenti alla categoria alla quale il contratto si riferisce, in ma- niera diversa da quella stabilita dal precetto costituzionale, sarebbe palese- mente illegittima» (sentenza n. 106 del 1962). La norma in esame, impo- nendo al giudice, in presenza di una pluralità di contratti collettivi di settore, di applicare un trattamento retributivo non inferiore a quello previsto da al- cuni di tali contratti, senza una previa valutazione ex art. 36 Cost. del diver- so contratto collettivo applicato per affiliazione sindacale dall’impresa, in- ciderebbe autoritativamente sul dinamismo, anche conflittuale, della con- correnza intersindacale, realizzando un’indebita estensione dell’efficacia collettiva dei contratti collettivi (sia pure limitatamente alla sola parte eco- nomica), in violazione appunto dell’art. 39 Cost.
2.– E’ intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rap- presentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile e comunque infondata.
Secondo la difesa statale la questione sarebbe inammissibile, anzitutto, per difetto di motivazione sulla rilevanza, attesa l’apoditticità e l’assertività del- le affermazioni contenute nell’ordinanza di rimessione in punto di rilevan- za.
Nella specie, difetterebbero anche le condizioni per porre validamente una questione di legittimità costituzionale, considerato che la motivazione sulla rilevanza della questione stessa, proposta nei confronti dell’art. 7, comma 4, del d.l. n. 248 del 2007, sarebbe manifestamente arbitraria ed implausibile, essendo già stato chiarito che «[l]a finalità perseguita [dalla norma] è quella di garantire l’estensione dei minimi di trattamento economico (cosiddetto minimale retributivo) agli appartenenti ad una determinata categoria, assicu- rando la parità di trattamento tra i datori di lavoro e tra i lavoratori» (sen- tenza di questa Xxxxx x. 00 del 2013). Da ciò deriverebbe il carattere prete- stuoso della questione sollevata e, quindi, il difetto di rilevanza della stessa.
La questione sarebbe inammissibile anche per difetto di motivazione sulla non manifesta infondatezza. Ad avviso della difesa statale nell’ordinanza di rimessione non sarebbe chiarito “dove le norme denunciate sarebbero inco- stituzionali” e “quale sarebbe il quadro precettivo costituzionale in ordine al quale concretamente affiorerebbe il contrasto”.
Nel merito, la difesa statale sostiene che la questione sollevata sia infondata.
La norma censurata, lungi dall’obbligare lavoratore e cooperativa ad appli- care al rapporto di lavoro una regolamentazione pattuita da attori sindacali che non li rappresentano, mortificando, in tal modo, la libertà sindacale, sa- rebbe espressione di un interesse costituzionalmente protetto, ossia quello di dare integrale attuazione all’art. 36 Cost. Essa si limiterebbe ad offrire un criterio per la scelta dei contratti collettivi che forniscano più garanzie ai la- voratori nel determinare la retribuzione sufficiente, «proporzionata alla quantità e qualità» del lavoro svolto.
In definitiva, la difesa statale ritiene che la norma censurata preveda che, a parità di attività lavorativa esercitata, la contrattazione collettiva che assicu- ra una retribuzione più elevata, sottoscritta dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale nella categoria economica in cui opera il datore di lavoro, costituisca parametro retributivo non derogabile verso il basso. Lo scopo della norma sarebbe quello di ga- rantire l’invarianza del trattamento economico complessivo minimo dei la- voratori, con riferimento agli standard concordati nei contratti collettivi di riferimento.
Considerato in diritto
1.– Il Tribunale ordinario di Lucca ha sollevato, in riferimento all’art. 39 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 7, comma 4, del decreto-legge 31 dicembre 2007, n. 248 (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative e disposizioni urgenti in materia finanziaria), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 28 febbraio 2008, n. 31, nella parte in cui stabilisce che, «[f]ino alla completa attuazione della normativa in materia di socio lavoratore di società cooperative, in pre- senza di un pluralità di contratti collettivi della medesima categoria, le so- cietà cooperative che svolgono attività ricomprese nell’ambito di applica- zione di quei contratti di categoria applicano ai propri soci lavoratori, ai sensi dell’articolo 3, comma 1, della legge 3 aprile 2001, n. 142, i tratta- menti economici complessivi non inferiori a quelli dettati dai contratti col- lettivi stipulati dalle organizzazioni datoriali e sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale nella categoria». A suo avviso, que- sta norma violerebbe il parametro costituzionale indicato, nell’imporre al giudice di applicare al socio lavoratore di una società cooperativa un tratta- mento retributivo non inferiore a quello previsto dai contratti collettivi di settore stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rap- presentative, pur in presenza di una pluralità di fonti collettive. In assenza di una previa valutazione, ex art. 36 Cost., del contratto collettivo applicato
dalla società cooperativa, in ragione della sua adesione alla organizzazione firmataria del contratto medesimo, si violerebbe il principio di libertà sinda- cale, realizzando un’indebita estensione dell’efficacia erga omnes dei con-
tratti collettivi, in contrasto con quanto stabilito dall’art. 39 Cost.
2.– In linea preliminare, va osservato che il Presidente del Consiglio dei ministri ha eccepito l’inammissibilità della questione per difetto di motiva- zione sulla rilevanza, a causa della ritenuta apoditticità ed assertività delle affermazioni contenute sul punto nell’ordinanza di rimessione.
L’eccezione non è fondata.
Nella specie, il rimettente non si limita ad affermare, in punto di rilevanza della questione, che “la domanda di differenze retributive di parte ricorrente si fonda sull’applicazione dell’art. 7, comma 4, del decreto-legge 31 dicem- bre 2007, n. 248”, e che, “la disposizione deve trovare applicazione da parte di questo giudice”, ma fornisce anche una descrizione della fattispecie con- creta che, pur se in forma sintetica, rende evidente la riconducibilità della stessa all’ambito di applicazione della norma della cui costituzionalità dubi- ta e, dunque, chiarisce la rilevanza della questione.
3.– La difesa statale ha, altresì, eccepito l’inammissibilità della questione per la “manifesta arbitrarietà nonché manifesta implausibilità della motiva- zione del giudice a quo sulla rilevanza”.
Anche questa eccezione non è fondata.
Questa Corte ha più volte riconosciuto che, per aversi una questione di le- gittimità validamente posta, è sufficiente che il giudice a quo fornisca un’interpretazione non implausibile della disposizione contestata che, per una valutazione compiuta in una fase meramente iniziale del processo, egli ritenga di dover applicare nel giudizio principale e su cui nutra dubbi non arbitrari di conformità a determinate norme costituzionali (fra le tante, sen- tenza n. 463 del 1994). Nella specie, il Tribunale ordinario di Lucca ha chiaramente proposto il dubbio di legittimità costituzionale dell’art. 7, comma 4, del d.l. n. 248 del 2007, di cui avrebbe dovuto fare applicazione per decidere se accogliere o meno la domanda di condanna al pagamento delle differenze retributive. Ha fornito una lettura della norma in questione, nella parte in cui impone alle società cooperative di applicare «i trattamenti economici complessivi non inferiori a quelli dettati dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni datoriali e sindacali comparativamente più
rappresentative a livello nazionale nella categoria», lettura orientata a rico- noscere efficacia erga omnes a taluni tipi di contratti collettivi. Una tale in- terpretazione non risulta manifestamente implausibile.
4.– La sollevata questione sarebbe, infine, inammissibile secondo la difesa statale, anche per difetto di motivazione sulla non manifesta infondatezza,
in quanto non sarebbe adeguatamente chiarito, nell’ordinanza di rimessione, “dove le norme denunciate sarebbero incostituzionali” e “quale sarebbe il quadro precettivo costituzionale in ordine al quale concretamente affiore- rebbe il contrasto”.
L’eccezione non è fondata.
Nell’ordinanza di rimessione, il Tribunale ordinario di Lucca non solo ri- produce ampi brani di una risalente decisione di questa Xxxxx (xx xxxxxxxx x. 000 del 1962), richiamando le argomentazioni ivi svolte sull’illegittimità costituzionale di leggi che estendano gli effetti erga omnes di contratti col-
lettivi in contrasto con quanto previsto dall’art. 39 Cost., ma chiarisce che l’art. 7, comma 4, del d.l. n. 248 del 2007, sarebbe costituzionalmente ille-
gittimo, proprio in quanto attribuirebbe efficacia erga omnes ai contratti col- lettivi di categoria, stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamen- te più rappresentative, in assenza delle condizioni prescritte dal predetto art. 39 Cost. Risultano, pertanto, individuate chiaramente, sebbene sintetica- mente, le ragioni che inducono il rimettente a dubitare della legittimità co- stituzionale della norma censurata, alla stregua della decisione riportata (in questo senso, fra le altre, sentenze n. 328 del 2011 e n. 234 del 2011).
5.– Nel merito, la questione non è fondata.
5.1.– La norma censurata si inserisce nel contesto normativo delineato dalla legge 3 aprile 2001, n. 142 (Revisione della legislazione in materia coopera- tivistica, con particolare riferimento alla posizione del socio lavoratore).
Con detta legge il legislatore ha portato a compimento e sviluppato prece- denti indirizzi, espressi a livello sia normativo sia giurisprudenziale, volti ad estendere la tutela propria del lavoro subordinato ai soci lavoratori delle cooperative. Tale norma ha previsto la prima disciplina unitaria ed organica che attiene alla posizione del socio lavoratore di società cooperativa.
Quest’ultimo, accanto al rapporto mutualistico, che scaturisce dalla sua par- tecipazione allo scopo dell’impresa collettiva e che lo rende titolare di pote- ri e di diritti nel concorrere alla formazione della volontà della società, «sta- bilisce con la propria adesione o successivamente all’instaurazione del rap-
porto associativo un ulteriore rapporto di lavoro, in forma subordinata o au- tonoma o in qualsiasi altra forma» (art. 1, comma 3). Questa riforma ha ri- conosciuto al socio lavoratore di cooperativa con rapporto di lavoro subor- dinato diritti individuali e collettivi previsti dalla legge 20 maggio 1970, n. 300 (Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell’attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul colloca- mento) (art. 2). Essa ha stabilito che, «[f]ermo restando quanto previsto
dall’articolo 36 della legge 20 maggio 1970, n. 300» che impone alle impre- se titolari di benefici accordati dallo Stato ed agli appaltatori di opere pub- bliche di applicare o far applicare nei confronti dei lavoratori dipendenti condizioni non inferiori a quelle risultanti dai contratti collettivi di lavoro della categoria e della zona – «le società cooperative sono tenute a corri- spondere al socio lavoratore un trattamento economico complessivo propor- zionato alla quantità e qualità del lavoro prestato e comunque non inferiore ai minimi previsti, per prestazioni analoghe, dalla contrattazione collettiva nazionale del settore o della categoria affine» (art. 3). Si è voluto così con- fermare il criterio, seguito dalla giurisprudenza nell’applicazione dell’art.
36 Cost., secondo cui il giudice valuta la conformità della retribuzione ai parametri del medesimo articolo, facendo riferimento ai CCNL applicabili alla categoria di appartenenza oppure ad una categoria affine, per poi de- terminare la retribuzione secondo equità, ai sensi dell’art. 2099 del codice civile (fra le tante, Corte di cassazione, sezione lavoro, sentenza 1° febbraio 2006, n. 2245), come, d’altronde, chiarito espressamente nella circolare del Ministero del lavoro 17 giugno 2002, n. 34.
Nella stessa prospettiva si colloca l’art. 9, comma 1, lettera f), della legge 14 febbraio 2003, n. 30 (Delega al Governo in materia di occupazione e
mercato del lavoro) che, nel modificare l’art. 6, comma 2, della legge n. 142 del 2001, ha stabilito che il rinvio ai contratti collettivi nazionali operi per il
«solo trattamento economico minimo di cui all’articolo 3, comma 1» della legge n. 142 del 2001. Con la circolare n. 10 del 18 marzo 2004, il Mini- stero del lavoro ha precisato che, a seguito della citata modifica, «al socio lavoratore inquadrato con rapporto di lavoro subordinato [deve] essere ga- rantita una retribuzione non inferiore ai minimi contrattuali non solo per quanto riguarda la retribuzione di livello, [...] ma anche per quanto riguarda le altre norme del contratto che preved[o]no voci retributive fisse, ovvero il numero delle mensilità e gli scatti di anzianità, a fronte delle prestazioni orarie previste dagli stessi contratti di lavoro».
5.2.– In questo quadro normativo si pone il censurato art. 7, comma 4, del
d.l. n. 248 del 2007, che, come già ricordato, recita «[f]ino alla completa at-
tuazione della normativa in materia di socio lavoratore di società cooperati- ve, in presenza di un pluralità di contratti collettivi della medesima catego- ria, le società cooperative che svolgono attività ricomprese nell’ambito di applicazione di quei contratti di categoria applicano ai propri soci lavorato- ri, ai sensi dell’articolo 3, comma 1, della legge 3 aprile 2001, n. 142, i trat- tamenti economici complessivi non inferiori a quelli dettati dai contratti col- lettivi stipulati dalle organizzazioni datoriali e sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale nella categoria». Tale previsione è stata adottata all’indomani del Protocollo d’intesa, sottoscritto il 10 ottobre 2007 da Ministero del lavoro, Ministero dello sviluppo economico, AGCI, Confcooperative, Legacoop, CGIL, CISL, UIL, in cui il Governo assumeva l’impegno di avviare «ogni idonea iniziativa amministrativa affinché le cooperative adottino trattamenti economici complessivi del lavoro subordi- nato, previsti dall’articolo 3, comma 1, della legge 3 aprile 2001, n. 142, non inferiori a quelli previsti dal contratto collettivo nazionale di lavoro sot- toscritto dalle associazioni del movimento cooperativo e dalle organizza- zioni sindacali per ciascuna parte sociale comparativamente più rappresen-
tative sul piano nazionale nel settore di riferimento» (punto C). L’obiettivo condiviso dai firmatari del Protocollo è di contestare l’applicazione di con- tratti collettivi sottoscritti da organizzazioni datoriali e sindacali di non ac- certata rappresentatività, che prevedano trattamenti retributivi potenzial- mente in contrasto con la nozione di retribuzione sufficiente, di cui all’art. 36 Cost., secondo l’interpretazione fornitane dalla giurisprudenza in colle- gamento con l’art. 2099 cod. civ.
Con l’entrata in vigore dell’art. 7, comma 4, del d.l. n. 248 del 2007 si è as- sistito a una intensa attività ispettiva, promossa dal Ministero del lavoro, per ribadire che «in presenza di più “contratti collettivi nazionali di lavoro nello stesso settore merceologico vanno applicati i trattamenti economici previsti dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni datoriali e sindacali comparativamente più rappresentative”», così come disposto dall’art. 7, comma 4, del d.l. n. 248 del 2007, in relazione alle tipologie dei rapporti di lavoro instaurati alla luce del regolamento interno ex art. 6, comma 1, lette- ra a), della legge n. 142 del 2001 (circolari del Ministero del lavoro 9 no- vembre 2010 e 6 marzo 2012) ed in linea con specifici indici sintomatici di rappresentatività sindacale, individuati nella circolare del Ministero del lavoro 1° giugno 2012.
La giurisprudenza di legittimità ha confermato tale impostazione e ha soste- nuto che «in tema di società cooperative [...] al socio lavoratore subordinato spetta la corresponsione di un trattamento economico complessivo (ossia
concernente la retribuzione base e le altre voci retributive) comunque non inferiore ai minimi previsti, per prestazioni analoghe, dalla contrattazione collettiva nazionale del settore o della categoria affine, la cui applicabilità, quanto ai minimi contrattuali, non è condizionata dall’entrata in vigore del regolamento previsto dall’art. 6, della legge n. 142 del 2001, che, destinato a disciplinare, essenzialmente, le modalità di svolgimento delle prestazioni lavorative da parte dei soci e ad indicare le norme, anche collettive, appli- cabili, non può contenere disposizioni derogatorie di minor favore rispetto alle previsioni collettive di categoria» (Corte di cassazione, sezione lavoro, sentenza 4 agosto 2014, n. 17583; in senso analogo, Corte di cassazione, se- zione lavoro, sentenza 28 agosto 2013, n. 19832).
Anche questa Corte, chiamata di recente a pronunciarsi sulla medesima questione di legittimità costituzionale oggi sollevata (peraltro dal medesimo giudice) nei confronti dell’art. 7, comma 4, del d.l. n. 248 del 2007, in rife- rimento all’art. 39 Cost., pur dichiarandola inammissibile, in ragione
dell’inconferenza della norma sottoposta a scrutinio circa il thema deciden- dum demandato al giudice rimettente, precisava, con riguardo sia al predet- to art. 7, comma 4, sia al connesso art. 3, comma 1, della legge n. 142 del 2001, che «[l]a finalità, perseguita da entrambe le norme, è quella di garan- tire l’estensione dei minimi di trattamento economico (cosiddetto minimale retributivo) agli appartenenti ad una determinata categoria, assicurando la parità di trattamento tra i datori di lavoro e tra i lavoratori» (sentenza n. 59 del 2013).
5.3.– Sulla base di quanto fin qui richiamato, risulta evidente che la censura sollevata dal Tribunale ordinario di Lucca si fonda su un erroneo presuppo- sto interpretativo.
Il censurato art. 7, comma 4, del d.l. n. 248 del 2007, congiuntamente
all’art. 3 della legge n. 142 del 2001, lungi dall’assegnare ai predetti con- tratti collettivi, stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative, efficacia erga omnes, in contrasto con quanto statuito dall’art. 39 Cost., mediante un recepimento normativo degli stessi, richiama i predetti contratti, e più precisamente i trattamenti economici complessivi minimi ivi previsti, quale parametro esterno di commisurazione, da parte del giudice, nel definire la proporzionalità e la sufficienza del trattamento economico da corrispondere al socio lavoratore, ai sensi dell’art. 36 Cost.
Tale parametro è richiamato – e dunque deve essere osservato – indipenden- temente dal carattere provvisorio del medesimo art. 7, che fa riferimento
«alla completa attuazione della normativa in materia di socio lavoratore di
società cooperative». Nell’effettuare un rinvio alla fonte collettiva che, me- glio di altre, recepisce l’andamento delle dinamiche retributive nei settori in cui operano le società cooperative, l’articolo censurato si propone di contra- stare forme di competizione salariale al ribasso, in linea con l’indirizzo giu- risprudenziale che, da tempo, ritiene conforme ai requisiti della proporzio- nalità e della sufficienza (art. 36 Cost.) la retribuzione concordata nei con- tratti collettivi di lavoro firmati da associazioni comparativamente più rap- presentative (fra le tante, la sentenza già citata della Corte di cassazione n. 17583 del 2014).
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 7, comma 4, del decreto-legge 31 dicembre 2007, n. 248 (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative e disposizioni urgenti in materia finanzia- ria), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 28 feb- braio 2008, n. 31, sollevata, in riferimento all’art. 39 della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Lucca, con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l’11 marzo 2015.
Nota sul Relatore
Xxxxxxxxx Xxxxxx Dirigente dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro. Docente di “Diritto san- zionatorio del lavoro” presso la Scuola di dot- torato in Formazione della persona e mercato del lavoro di ADAPT e CQIA dell’Università degli studi di Bergamo e presso la Scuola Su- periore della Magistratura. Collaboratore del Centro Studi Internazionali e Comparati DEAL del Dipartimento di Economia “Xxxxx Xxxxx” della Università di Modena e Reggio Xxxxxx. ADAPT professional fellow. Compo-
nente del Comitato scientifico della rivista “Diritto & Pratica del Lavoro”. Membro del Comitato di redazione della rivista “Diritto delle Relazioni Industriali”. Collabo- ra con le riviste “ISL Igiene & Sicurezza del lavoro”, “Guida alle Paghe”, “Esperto”, “Diritto e lavoro nelle Marche” e “Bollettino Adapt”, ed anche con “Il Quotidiano Ipsoa” e con il quotidiano “Il Sole 24 Ore”. Dirige, con Xxxxxxx Xxxxxxxxxx, la colla- na ADAPT professional series - ADAPT law school. Docente in corsi di formazione e di aggiornamento professionale. Autore di numerosi saggi e volumi sui temi del di- ritto del lavoro, della sicurezza sul lavoro e della amministrazione del personale.
Twitter @RauseiP
Si segnala che le considerazioni contenute nel presente volume sono frutto esclusivo del pensiero dell’Autore e non hanno carattere impegnativo per l’Amministrazione alla quale appartiene.