UNIVERSITÁ DEGLI STUDI DI MODENA E REGGIO EMILIA
UNIVERSITÁ DEGLI STUDI DI MODENA E REGGIO XXXXXX
FACOLTÁ DI ECONOMIA “XXXXX XXXXX”
CORSO DI LAUREA SPECIALISTICA IN RELAZIONI DI LAVORO
LA DIMENSIONE LAVORISTICA DEL CONTRATTO DI APPALTO TRA TUTELA DEL LAVORATORE, ORGANIZZAZIONE DI IMPRESA, CONTRASTO AL LAVORO NERO
Relatore:
Xxxxx.xx Xxxx. XXXXXXXX XXXXXXXX
Tesi di laurea di: XXXXX XXXXXX
ANNO ACCADEMICO 2007/2008
Alla mia famiglia e alla mia terra,
fonti di ispirazione, ragioni di gioie e dolori che hanno contraddistinto
il mio cammino e contribuito allo sviluppo della mia personalità
SOMMARIO
INTRODUZIONE
1. Posizione del problema 3
2. Struttura della ricerca 7
Capitolo I
DIMENSIONE LAVORISTICA DELL’APPALTO. QUADRO CONCETTUALE ED EVOLUZIONE DEL SISTEMA DI REGOLAZIONE
1. Il contratto di appalto: la disciplina civilistica 11
2. La distinzione con figure contrattuali affini: contratto d’opera e somministrazione
di lavoro 16
3. Profili di connessione con la disciplina lavoristica del trasferimento d’azienda 24
4. Appalto ed esternalizzazioni produttive 25
5. Ratio della disciplina lavoristica dell’appalto: l’evoluzione dell’ordinamento italiano 36
6. Il sistema regolatorio della legge 1369 del 1960: disciplina e effettività 41
7. Le possibili articolazioni del divieto di interposizione: rilevanza della frode vs. oggettività e assolutezza del divieto 44
8. Divieto di interposizione e appalto di servizi: i criteri elaborati da dottrina e giurisprudenza 46
9. Modelli di tutela dei lavoratori in appalto: parità di trattamento e vincolo solidale 53
Capitolo II
NUOVI MODELLI DI REGOLAZIONE. VALORIZZAZIONE DELLO STRUMENTO DELLA SOLIDARIETA’
1. Il processo di riforma della disciplina delle esternalizzazioni produttive: l’introduzione del lavoro interinale nel Pacchetto Treu 61
I
2. L’evoluzione del modello di riforma: la Legge Biagi 63
3. Valorizzazione dello strumento della solidarietà e superamento della distinzione tra appalto interno ed esterno 68
4. Il superamento della parità trattamento 71
5. Il nuovo apparato sanzionatorio 73
6. Il fenomeno della frammentazione degli appalti e le problematiche della regolazione 76
7. (segue) L’ampliamento dell’ambito di tutela fino a ricomprendere il controllo sulla filiera degli appalti 80
8. Un quadro normativo instabile 89
Capitolo III
MODELLI DI REGOLAZIONE DELL’APPALTO E CONTRASTO AL LAVORO NERO
1. Il rapporto tra effettività delle norme di diritto del lavoro e economia sommersa 91
2. La distinzione tra irregolarità, flessibilità e precariato 96
3. Strumenti tradizionali di emersione del lavoro nero 99
4. Strumenti indiretti di controllo e bonifica del mercato: il caso della solidarietà negli appalti 105
5. (segue) la solidarietà in ambito prevenzionistico 111
6. (segue) prospettive di soft law: l’appalto certificato 117
Indice Giurisprudenza Citata 123
Bibliografia 125
II
INTRODUZIONE
1. POSIZIONE DEL PROBLEMA
La ricerca, di cui queste pagine costituiscono il resoconto, mira ad indagare il nesso tra riduzione dell’irregolarità nell’uso della forza lavoro e la promozione del corretto utilizzo, nel mercato, degli strumenti contrattuali. La ricerca è svolta avendo riguardo in particolare alla dimensione lavoristica del contratto di appalto.
L’obiettivo, a partire dal richiamo dei principali strumenti concettuali di analisi giuridica individuati anche per il tramite dell’indagine sulla evoluzione storica della regolazione della materia, è ricostruire il quadro regolatorio vigente tenendo conto di tre direttive di analisi fondamentali con riferimento al tema in esame: la tutela effettiva del lavoratore coinvolto nelle forme di frammentazione di impresa, la protezione dell’iniziativa economica privata nella scelta degli strumenti di organizzazione delle attività produttive, le opportunità di contrasto al lavoro nero.
Un recente studio Europeo sul profilo della responsabilità degli operatori coinvolti nelle catene degli appalti, seppur limitato al settore edile, ha evidenziato il forte legame esistente tra frammentazione della filiera produttiva, utilizzo di lavoro irregolare e inadempimenti in materia di sicurezza sul lavoro1.
Interrompere questo circolo vizioso attraverso politiche del lavoro volte a promuovere la regolarità nel mercato, non può che rafforzare le garanzie sostanziali poste a presidio dei diritti dei lavoratori, con un impatto positivo in termini di certezza del diritto, di leale competizione nel mercato e di contrasto indiretto all’irregolarità.
Il tema è di grande attualità, rilevato che non esiste impresa nello scenario economico odierno che non abbia fatto ricorso a contratti di appalto nella gestione della propria attività.
L’evoluzione della disciplina lavoristica del contratto di appalto, con la crescente valorizzazione del vincolo solidale, costituisce il filo conduttore di questo ragionamento.
1 Si tratta dello studio condotto da XXXXXXXXXX X., XXXXXX XXXXXX, Liability in subcontracting processes in the European construction sector, pubblicato da European Foundation for the Improvement of Living and Working Conditions, consultabile sul Bollettino Adapt, 2008, n. 38. Il rapporto completo sul caso italiano è di X. XXXXXXX, X. XXXXXXXX, Liability in subcontracting processes in the European construction sector: Italy, pubblicato da European Foundation for the Improvement of Living and Working Conditions, disponibile su xxx.xxxxxxxxx.xxxxxx.xx;
Il tasso di irregolarità nel lavoro è così elevato in quei settori, quali ad esempio l’edilizia e i servizi, in cui l’appalto è radicato nella prassi dei rapporti economici tra le imprese.
L’esternalizzazione di fasi del processo produttivo - appaltate a piccole imprese e a loro volta subappaltate a micro-imprese - ritenuta necessaria per la sopravvivenza in mercati fortemente competitivi, ha favorito l’uso scorretto di contratti di appalto e subappalto.
Xxxxx analizzare ancora una volta il settore delle costruzioni e il progressivo processo di destrutturazione e frammentazione che lo ha interessato per rendersene conto.
I dati statistici lo confermano. Le filiere produttive del settore delle costruzioni sono caratterizzate da una concentrazione del tasso di irregolarità pari a circa l’11%. La stessa valutazione può essere estesa al settore dei servizi, in cui il tasso di irregolarità registrato è pari a circa 13,7%2.
Le imprese che occupano una bassa posizione nella catena di valore della filiera degli appalti, così come rilevato nel citato rapporto comunitario, hanno un minore potere contrattuale che potrebbe spingerle a stipulare appalti discutibili, il cui basso costo è spesso giocato sulla riduzione degli standard di trattamento riconosciuti ai lavoratori.
Spesso la segmentazione dell’impresa è utilizzata come strumento di frammentazione delle responsabilità nei confronti degli obblighi che discendono dal rapporto di lavoro.
A ciò si aggiunge il profilo del mancato rispetto degli obblighi di sicurezza, poiché è stato constatato che le imprese che ricorrono a manodopera irregolare sono anche quelle che presentano maggiori tassi infortunistici.
L’utilizzo da parte delle imprese di manodopera irregolare può ragionevolmente far presupporre che la stessa forza lavoro non abbia ricevuto una adeguata formazione e informazione sulla prevenzione dei rischi sul lavoro.
L’irregolarità sul lavoro rappresenta una delle tante sfaccettature con cui si manifesta il fenomeno dell’economia sommersa. L’economia non visibile e non direttamente misurabile ha riflessi negativi sia sulla finanza pubblica, sia sul corretto funzionamento del mercato. Comporta la perdita di ingenti entrate fiscali e di contributi previdenziali, a danno del bilancio dello Stato e causa una forte distorsione della concorrenza, dovuta ad una riduzione (illecita) dei costi per le imprese che operano irregolarmente.
2 I dati sono stati estrapolati da La misura dell’economia sommersa secondo le statistiche ufficiali, Istat, 2006;
Le imprese che agiscono nella legalità e nella trasparenza sono costrette a competere in un mercato in cui alcune aziende riescono ad offrire prodotti a costi nettamente inferiori, facendo leva sull’elusione della normativa protettiva dei lavoratori.
Le conseguenze negative del lavoro irregolare non sono solo economiche. Il lavoro nero è la massima espressione della lesione dei diritti dei lavoratori e rappresenta, pertanto, uno dei problemi sociali più importanti da risolvere nel nostro sistema economico.
Le classiche politiche pubbliche di contrasto al lavoro irregolare si sono avvalse di strumenti in grado di agire solo a posteriori, andando a colpire fenomeni patologici del mercato già esistenti. Si fa riferimento ai provvedimenti sanzionatori di condotte irregolari e agli incentivi finalizzati a favorire l’emersione di aree di lavoro nero.
L’esperienza ha dimostrato che queste tecniche, in grado di essere utilizzate solo dopo che il fenomeno si sia concretato, non hanno portato risultati significativi.
Il legislatore, per rendere maggiormente effettiva la lotta all’irregolarità, deve modificare l’approccio con cui si rapporta al problema, poiché lo scopo perseguito può essere raggiunto con maggiore efficacia solo affiancando alle classiche misure di contrasto al lavoro nero delle efficaci politiche di promozione della regolarità nella gestione dei rapporti di lavoro.
Il settore degli appalti è interessante da questo punto di vista. Rilevata l’esistenza di un legame tra l’impiego del contratto di appalto quale strumento di frammentazione dell’impresa e irregolarità nell’uso della forza lavoro, possono essere sperimentati degli strumenti di promozione della regolarità nel ricorso agli appalti in grado di promuovere indirettamente il contrasto al lavoro nero.
Il rafforzamento del meccanismo della responsabilità solidale su tutta la filiera degli appalti è un forte strumento di tutela del lavoratore, poiché consente la ripartizione della responsabilità economica di quanto dovuto al lavoratore tra appaltante, generalmente il soggetto più solido e affidabile nel rapporto, e tutti gli eventuali subappaltatori.
L’inadempimento dell’appaltatore-datore di lavoro consentirà di risalire a ritroso tutta la filiera, affinché i diritti del lavoratore trovino soddisfazione.
Il vincolo solidale, così concepito, non si limita a coinvolgere le sole parti legate direttamente dal contratto di appalto, bensì si estende anche nei confronti di tutti i soggetti che intervengono nella filiera.
La rimodulazione delle tecniche di tutela dei lavoratori impiegati negli appalti, registrate a partire dal 2003 dimostra come il legislatore voglia promuovere la regolarità nei rapporti di lavoro mediante un uso consapevole e responsabile dell’istituto in esame.
Rendere più costoso l’utilizzo scorretto degli appalti e dei subappalti attraverso la valorizzazione dello strumento della solidarietà, la cui operatività interessa l’intera filiera produttiva, produrrà necessariamente, seppure sul medio-lungo periodo, un effetto benefico in termini di contrasto al lavoro nero e di promozione della leale competizione nel mercato. Il rischio che possa operare in concreto il vincolo solidale spingerà gli operatori economici a scegliere i propri partner commerciali mediante l’utilizzo di criteri che vanno al di là del mero prezzo dell’appalto, quali la solidità e affidabilità economica della controparte della relazione, anche mediante il ricorso nella definizione del contratto a garanzie economiche che solo operatori solidi possono sostenere.
La rimodulazione della ripartizione degli obblighi gravanti sulle parti, è un’occasione per condizionare diffusamente il mercato, poiché orienta la scelta del partner commerciale verso soggetti economicamente affidabili e regolari.
Gli operatori inaffidabili e irregolari, sono costretti ad abbandonare il mercato poiché non in grado di sostenere le garanzie economiche richieste dai committenti.
L’innalzamento del tasso di effettività della disciplina del lavoro regolare può essere così realizzata anche attraverso l’utilizzo di strumenti di bonifica del mercato del lavoro.
L’esperienza italiana degli ultimi anni, con riferimento in particolare alla legge Biagi e alla Finanziaria del 2007, si sta muovendo in questa direzione. Si tratta di interventi che rappresentano dei nuovi capitoli nel lento processo di modernizzazione del mercato del lavoro italiano.
Il contrasto al lavoro nero è inserito in un più ampio progetto di regolazione del modo di fare impresa. Solo responsabilizzando gli imprenditori che partecipano ai processi produttivi e migliorando il tasso di effettività della disciplina del lavoro regolare sarà possibile fare della “buona impresa”3, presupposto necessario per lo sviluppo dell’economia.
L’indagine condotta nel prosieguo del lavoro è stata realizzata attraverso una approfondita analisi - in una prospettiva storica e comparata - della letteratura in materia, con particolare attenzione ai più attuali orientamenti dottrinali, che offrono interessanti spunti per ulteriori approfondimenti.
3 X. XXXXXXXXX, Il contrasto al lavoro irregolare tra sanzioni e regole di responsabilità, in Rivista giuridica del lavoro e della previdenza sociale, 2008, n. 1;
L’attenzione rivolta agli approcci utilizzati negli altri Stati dell’Unione europea permette di riflettere sulle ragioni storiche che hanno contribuito allo sviluppo di similarità e differenze nelle diverse discipline nazionali.
Nonostante le diverse tradizioni legislative e i diversi sistemi di relazioni industriali, in tutti gli Stati dell’Unione Europea presi in considerazione è possibile rilevare un dato comune: la condivisione delle responsabilità è letta come strumento di effettività della disciplina del lavoro regolare, al fine di evitare la concorrenza sleale tra le imprese e contenere i frequenti abusi che si registrano nelle estremità inferiori delle filiere degli appalti, dove il costo dell’appalto spesso e giocato su una riduzione degli standard di trattamento economico e normativo riconosciuto ai lavoratori dalla legislazione vigente.
La valorizzazione del meccanismo della responsabilità solidale, senza condizioni e limitazioni, tra tutti gli attori coinvolti nella catena degli appalti, sebbene contrattualmente costosa, ha una forte valenza pratica. Fermare il meccanismo della responsabilità al primo livello della catena, in altre parole limitarlo alla relazione tra appaltante e appaltatore principale, limita l’efficacia concreta dello strumento.
La complessità del fenomeno analizzato ha reso necessario anche una analisi degli orientamenti Giurisprudenziali, della prassi amministrativa e della legislazione sulla dimensione giuslavoristica dell’appalto.
Il lavoro si divide schematicamente in tre parti, che seguono il filo logico rappresentato dalla tesi che si vuole dimostrare.
2. STRUTTURA DELLA RICERCA
La ricerca muove dalla ricostruzione e dalla rilettura del divieto di interposizione e intermediazione nei rapporti di lavoro che ha condizionato il mercato del lavoro italiano.
La riflessione si apre con l’analisi della natura del contratto di appalto, quale rilevante strumento commerciale di regolazione dei rapporti tra entità giuridiche economicamente e giuridicamente indipendenti. Il contratto di appalto è un contratto di impresa che consente al committente di traslare all’esterno il rischio inerente l’esecuzione dell’opera o del servizio che costituiscono oggetto dell’accordo.
Il contratto in esame, soddisfacendo l’esigenza di forza lavoro al di fuori dello schema del rapporto di lavoro subordinato, presenta un quid pluris rispetto al più ampio genus rappresentato dai contratti di impresa.
Da questo dato muove l’analisi delle motivazioni sottese al divieto di interposizione nei rapporti di lavoro che ha colpito le forme di destrutturazione dell’impresa. Proprio l’utilizzazione mediata delle prestazioni lavorative altrui ha giustificato il sospetto che il legislatore ha riservato per decenni nei confronti di questo strumento contrattuale.
Il rischio che il legislatore ha voluto scongiurare è che l’appalto – soprattutto quello di servizi – possa rivelarsi nella pratica camuffamento formale dell’interposizione. Sotto la forma di appalto di servizi si è spesso nascosto l’affitto di manodopera. Aziende che in apparenza assumono la posizione di appaltatori ma che in realtà si limitano, dietro corrispettivo, a fornire forza lavoro ad imprese committenti.
Il potenziale profilo patologico insito nelle forme di frammentazione delle attività di impresa è alla base della disciplina contenuta nella legge 1369/60. Disciplina che ha dimostrato un basso tasso di effettività, giacché non è stata in grado di discernere con certezza le ipotesi fisiologiche di esternalizzazione di fasi dell’attività produttiva e ipotesi patologiche di decentramento dettate dall’esigenza di comprimere i costi, spesso giocata sul mancato rispetto della disciplina protettiva del lavoratore. La limitata portata del vincolo di solidarietà originariamente previsto, operante esclusivamente riguardo agli appalti interni, ha reso questa normativa ancora più ineffettiva.
Nella seconda parte del lavoro, all’analisi giuridica dell’istituto e ai limiti insiti nella disciplina sull’interposizione dettata nel 1960, segue la disamina della ridefinizione e rimodulazione della disciplina lavoristica dell’appalto realizzata a partire dalla Legge Biagi, cui segue in ordine cronologico la Legge Bersani e la Finanziaria per il 2007.
Si tratta di interventi normativi che presentano il medesimo filo conduttore: la valorizzazione del principio di responsabilità solidale quale tecnica di controllo della regolarità nel mercato degli appalti. Il contrasto al lavoro irregolare viene inserito in un più ampio progetto di regolazione del modo di fare impresa.
Il terzo capitolo è il capitolo conclusivo del ragionamento condotto nei primi due, in cui si affronta in una diversa prospettiva il tema del contrasto all’irregolarità.
L’ineffettività delle norme del diritto del lavoro è indice rivelatore della distanza tra il diritto e il mercato del lavoro. Il legame esistente tra ineffettività della disciplina del lavoro regolare e lavoro nero evidenzia come l’effettività non possa essere esclusivamente perseguita attraverso l’uso dello strumento dell’inderogabilità delle disposizioni di legge e
di contratto collettivo, bensì anche attraverso l’impiego di sanzioni indirette, che migliorano il corretto e leale funzionamento del mercato e innalzano gli standard qualitativi del lavoro.
Le classiche tecniche di emersione sperimentate nel nostro ordinamento giuridico, non sempre rivelatesi efficaci, devono essere affiancate da politiche che siano in grado di contrastare a monte le cause e gli aspetti che favoriscono l’irregolarità.
La solidarietà negli appalti, anche in ambito prevenzionistico, è uno strumento di controllo indiretto della regolarità nel mercato. Il potenziale costo che l’appaltante (e gli eventuali subappaltatori) è tenuto a sostenere in caso di concreta operatività del vincolo solidale indurrà quasi certamente le parti coinvolte nella filiera degli appalti ad adottare tutti quegli accorgimenti che escludano (o quantomeno limitino) il funzionamento della suddetta regola. Si va da un approfondito controllo sulla solvibilità e affidabilità del proprio partner commerciale sino alla predisposizione nel contratto di clausole di garanzie del pagamento, di applicazione di penali etc.
Nel processo di stipulazione di un contratto di appalto, il costo dello stesso non può essere più considerato l’unico criterio guida delle scelte imprenditoriali. Le stesse saranno condizionate da valutazioni sulla solidità economica della controparte contrattuale. Valutazioni che favoriranno la promozione della leale competizione tra le imprese e la corretta gestione dei rapporti di lavoro.
In questa prospettiva, assume particolare rilevanza l’attività svolta dalle sedi di certificazione dei contratti di lavoro, cui è attribuita la possibilità di certificare i contratti di appalto per agevolarne la distinzione con le ipotesi di somministrazione di lavoro.
La funzione di consulenza e assistenza delle parti svolta dalle sedi di certificazione nella scelta dello strumento contrattuale più consono agli scopi che si vogliono perseguire, promuove l’utilizzo consapevole e regolare degli strumenti contrattuali.
Le conclusioni ricavate in merito all’evoluzione della disciplina legale del contratto di appalto possono essere estese, con i dovuti adeguamenti, ad altri strumenti contrattuali che presentano i medesimi profili di criticità. Si pensi a titolo esemplificativo al fenomeno del Consorzio tra le imprese.
Capitolo I
DIMENSIONE LAVORISTICA DELL’APPALTO. QUADRO CONCETTUALE ED EVOLUZIONE DEL SISTEMA DI REGOLAZIONE
1. IL CONTRATTO DI APPALTO: LA DISCIPLINA CIVILISTICA
Il contratto di appalto è un contratto sinallagmatico, affidato intuitu personae4, rientrante nella categoria dei contratti di impresa5.
Ai sensi della disciplina civilistica, contenuta negli articoli 1655 – 1677 c.c., “l’appalto è il contratto col quale una parte assume, con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio, il compimento di un’opera o di un servizio verso un corrispettivo in denaro” 6.
È un contratto a titolo oneroso a effetti obbligatori che può avere ad oggetto la realizzazione di un opus, oppure l’esecuzione di un servizio7. L’appalto avente ad oggetto il compimento di un’opera richiede l’alterazione e la trasformazione di cose esistenti, finalizzata alla produzione di un nuovo bene ovvero all’apporto di sostanziali modifiche a un bene già disponibile. Nell’appalto avente ad oggetto l’attuazione di un servizio, invece, si aspira a generare un’utilità o a soddisfare uno specifico interesse del committente, senza che ciò implichi manipolazione della materia8.
Oggetto del vincolo contrattuale è una prestazione di fare, che si concreta in un’obbligazione di risultato (do ut facias). Il committente ha diritto di veder soddisfatto il proprio interesse, che si esplica nella fruizione del servizio o nella consegna dell’opera
4 In virtù di questa caratteristica non è possibile, ad esempio, affidare in subappalto il compimento di un’opera o l’esecuzione di un servizio senza il consenso del committente. La prestazione dedotta in contratto ha un carattere eminentemente personale;
5 X. XXXXXXXXX, Manuale di diritto commerciale, 4. ed., Torino, Xxxxxxxxxxxx, 2003, p. 943;
6 Al contratto di appalto si applicano altresì le norme sul contratto in generale e, riguardo al carattere continuato della prestazione tipico degli appalti di servizi, si applicano alcune disposizioni disciplinanti il contratto di somministrazione. Per un approfondimento della disciplina civilistica dell’appalto, in particolare per quanto disposto riguardo alle variazioni del progetto, all’impossibilità dell’opera, all’estinzione del contratto, ai diritti degli eredi dell’appaltatore, ai vizi e difformità dell’opera, alla determinazione del corrispettivo, alle verifiche in corso di esecuzione dell’opera ed al recesso unilaterale del contratto, si veda per tutti X. XXXXXXX, Diritto commerciale, Zanichelli, Bologna, 2004;
7 È definito a effetti obbligatori poiché dal suo perfezionamento scaturiscono delle obbligazioni (principali e accessorie) in capo alle parti contraenti. L’obbligazione di consegnare l’opera o prestare il servizio pattuito, che grava sull’appaltatore e l’obbligazione di pagare il corrispettivo in denaro che incombe sul committente. Si rimanda a X. XXXXXXXX, X. XXXXXXXX, Il contratto di appalto nel diritto civile e pubblico, Ebc, Milano, 1992, p. 4;
8 Entrambe le definizioni sono tratte da X. XXXXXX, Appalto, Enc dir, II, Milano, 1958, p. 630;
pattuita. L’appaltatore, per liberarsi dal vincolo obbligatorio, è tenuto a conseguire necessariamente un determinato esito corrispondente all’interesse del creditore.
L’appaltatore organizza liberamente i mezzi che costituiscono il complesso aziendale. Sul piano organizzativo l’appalto permette di traslare all’esterno – nello specifico, in capo all’appaltatore - il rischio del risultato produttivo e dell’impossibilità di lavoro9.
È per sua natura un contratto a esecuzione prolungata, giacché l’appaltatore avrà bisogno di un certo arco temporale per realizzare il risultato concordato. Il pagamento del corrispettivo sarà necessariamente subordinato all’adempimento dell’appaltatore e alla verifica dell’idoneità dell’opera10.
L’appaltatore dispone di un’organizzazione commerciale - capitali, mezzi e personale - e gestisce a proprio rischio l’adempimento della prestazione dedotta in contratto. Il rischio cui si fa riferimento è il normale rischio d’impresa, vale a dire l’eventualità che l’appaltatore non riesca a coprire i costi sostenuti con il corrispettivo pattuito, cui si aggiunge il rischio di non ricevere alcun compenso nel caso questi non sia in grado di realizzare l’opera11.
L’assunzione del rischio d’impresa è il requisito fondamentale affinché il contratto di appalto si configuri come legittimo ed è sintomatico del fatto che l’appaltatore sia, a tutti gli effetti, un imprenditore e non un mero intermediario12.
Dalla definizione codicistica si evincono, pertanto, i requisiti necessari affinché si configuri un appalto legittimo. Criteri legati alla natura imprenditoriale dell’attività dedotta in contratto, quali:
- la professionalità dell’attività svolta (art. 2082 c.c.)13;
9 X. XXXXX, L’outsourcing: una strategia priva di rischi?, in Guida al lavoro, n. 3, 1997, ora anche in Montruschi L., Xxxxxxxxxx M., Xxxx T. (a cura di), Xxxxx Xxxxx. Un giurista progettuale. Scritti scelti, Xxxxxxx, Milano, p. 271, 2003;
10 La dottrina è concorde nel ritenere che il contratto in esame non possa essere considerato un contratto di durata. “L’utilità del contratto è strettamente legata al risultato prodotto e non al tempo necessario a produrlo”. Diverso è il caso degli appalti di servizi, che data la periodicità delle prestazioni, rientrano a pieno titolo nei contratti di durata. Sul punto si rimanda a X. XXXXXXXX, X. XXXXXXXX, Il contratto di appalto nel diritto civile e pubblico, op. cit., p. 5;
11 “Salvo che l’esecuzione sia diventata impossibile per causa imputabile al committente”, X. XXXXXXX,
Diritto commerciale, op. cit., p. 196;
12 In questo senso, non potrebbe essere configurato come appalto un contratto che leghi il corrispettivo dello pseudo-appaltatore alle ore di lavoro dei propri dipendenti, per carenza dell’assunzione del rischio economico derivante dall’organizzazione dell’impresa;
13 Non tutta la dottrina, civilistica e lavoristica, concorda con quest’affermazione. Alcuni sostengono che il requisito della professionalità non sia un elemento necessario affinché si configuri un appalto legittimo, ben potendosi verificare un appalto genuino stipulato da un imprenditore esclusivamente per portare a compimento un singolo affare. In tal senso M. T. CARINCI, L’unicità del datore di lavoro – quale parte del
- l’assunzione del rischio d’impresa;
- l’organizzazione autonoma dei mezzi e delle persone necessarie;
Si desume, quindi, che l’attività è esercitata sotto forma d’impresa, per cui l’appaltatore è un imprenditore commerciale. Committente dell’opera o del servizio può essere sia un soggetto pubblico, sia un soggetto privato. È da rilevare tuttavia, che la disciplina codicistica dell’appalto può essere integralmente applicata ai soli appalti privati. Se il committente è un soggetto pubblico, la disciplina codicistica è integrata o sostituita da una complessa legislazione speciale (L. 109/2004)14.
Le ingerenze del committente nelle scelte organizzative dell’impresa appaltatrice, che esulano le semplici prescrizioni sull’esecuzione dell’opera e sul controllo dello svolgimento dei lavori, potrebbero assurgere, come vedremo, a indice rivelatore dell’illegittimità dell’appalto15. Il rispetto dei ruoli delle parti coinvolte può essere assicurato mediante una definizione accurata del contratto.
Tra i lavoratori dipendenti impiegati nell’appalto e appaltatore si instaura un normale rapporto di lavoro subordinato. Rimane estraneo a tale rapporto il committente, che beneficerà del risultato dell’attività coordinata e gestita interamente dall’appaltatore.
Accanto allo schema civilistico dell’appalto, il legislatore del 1942 menziona la figura del contratto di subappalto nell’art. 1656 c.c., senza peraltro definirlo. La giurisprudenza della Suprema Corte, ha chiarito il ruolo di questo schema negoziale e il suo rapporto con il contratto di appalto.
Il subappalto è un “contratto derivato da altro contratto stipulato a monte, che ne costituisce il presupposto16”. Il subappalto è, a sua volta, un contratto di appalto, con il quale l’appaltatore demanda a un terzo l’esecuzione dell’opera o del servizio pattuita con il committente principale17. Nel contratto di subappalto, l’appaltatore assume il ruolo di
contratto di lavoro, creditore della prestazione e titolare di tutte le posizioni di diritto, potere, obbligo ad esse connesse – è regola generale dell’ordinamento giuslavoristico, in Argom. Dir. Lav., 2007, p. 1031;
14 Xxxx appalti pubblici si applica la tutela delle posizioni creditizie dei dipendenti dell’appaltatore prevista dall’art. 1676 c.c.. Si veda sul punto Corte di Cassazione, Sezione Civile, sentenza del 31 luglio 1984, n. 4051;
15 “Una cosa è il controllo tecnico operato dal committente, che è connaturale al contratto di appalto, altra cosa è il controllo organizzativo (che è proprio del datore di lavoro)”, in Cassazione civile, Sezione Lavoro, sentenza del 19 Dicembre 2002, n. 18098, disponibile su xxx.xxx.xxxxxxx.xx, indice A-Z, voce Appalto e Subappalto;
16 Cassazione civile, Sezione Lavoro, sentenza del 07 marzo 2008, n. 6208;
17 M. T. CARINCI definisce il subappalto come un subcontratto, in Utilizzazione e acquisizione indiretta del lavoro: somministrazione e distacco, appalto e subappalto, trasferimento d’azienda e di ramo. Diritto del lavoro e nuove forme di organizzazione dell’impresa, Xxxxxxxxxxxx, Torino, 2008, p. 100. Sulla qualificazione dell’appalto come contratto derivato si veda, in Giurisprudenza, Corte di Cassazione, Sezione Civile, sentenza del 9 agosto 2003, n. 12048;
committente (o di subappaltante) nei confronti del terzo che assume le vesti di subappaltatore. È quest’ultimo che si obbliga alla realizzazione dell’opera o del servizio dedotto in contratto con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio.
La fattispecie in esame determina la nascita di un secondo rapporto obbligatorio che lega l’appaltatore iniziale al subappaltatore. Al contrario, non esiste nessun rapporto che lega il committente principale al nuovo appaltatore, eccezion fatta per il profilo della ripartizione delle responsabilità come da recenti modifiche della disciplina giuslavoristica dell’appalto. Il subappalto può avere il medesimo oggetto dell’appalto principale o una sua frazione. Nel secondo caso ci troviamo di fronte a una forma d’integrazione verticale, che lega le imprese gerarchicamente. L’appaltatore principale sostanzialmente dirige i lavori e il subappaltatore li esegue.
Nelle forme di integrazione verticale, non sempre le imprese assumono nella relazione una posizione paritaria. Soprattutto se le imprese appaltatrici operano in regime di monocommittenza. È sono proprio queste forme di “dipendenza economica18” quelle che potenzialmente sono esposte a maggiori rischi di sottotutela dei lavoratori e che richiederebbero - secondo alcuni autori - una tutela che responsabilizzi non solo i datori di lavoro (nello specifico le imprese appaltatrici) nei confronti dei propri dipendenti, ma anche – e soprattutto – una legislazione in grado di agire sulle leve della responsabilità delle imprese committenti che, con il proprio comportamento, sono in grado di influenzare le scelte economiche e organizzative delle imprese a loro sottoposte19.
Nel primo caso, invece, ci troviamo di fronte a una forma d’integrazione orizzontale, in cui le imprese cooperano tra loro per il raggiungimento dello stesso risultato. Si pensi a un’impresa che riceve in appalto la costruzione di capannoni e cede in subappalto l’installazione dell’impianto elettrico. Entrambe le aziende concorrono alla realizzazione dell’opera o all’erogazione del servizio dedotto in contratto.
Possiamo asserire, in conclusione, che il contratto di subappalto non è un tipo legale differente rispetto al contratto di appalto, tanto che a questo si applicano le stesse norme che lo regolano.
18 Espressione usata da X. XXXXXX;
19 Nel senso della responsabilizzazione delle parti coinvolte nella filiera degli appalti si muovono le recenti modifiche della disciplina lavoristica dell’appalto, che analizzeremo più dettagliatamente nei prossimi capitoli;
Il subappalto è un contratto che “soddisfa le esigenze del moderno sistema produttivo, c.d.
«sistema produttivo integrato», basato sulla collaborazione fra più imprese per l’esecuzione di una medesima opera o di un medesimo servizio20”.
La disciplina codicistica in materia di appalto, per ciò che concerne gli scopi di questo studio, contiene altresì una specifica norma avente ad oggetto la tutela delle posizioni creditizie dei lavoratori impiegati in appalti. Come espresso dalla Suprema Corte, la ratio della norma è “ravvisabile nell'esigenza di assicurare una particolare tutela in favore dei lavoratori ausiliari dell'appaltatore, atta a preservarli dal rischio dell'[eventuale] inadempimento di questi21”.
L’art. 1676 c.c. sancisce che “coloro che, alle dipendenze dell'appaltatore, hanno dato la loro attività per eseguire l'opera o per prestare il servizio possono proporre azione diretta contro il committente per conseguire quanto è loro dovuto, fino alla concorrenza del debito che il committente ha verso l'appaltatore nel tempo in cui essi propongono la domanda”. L’azione di cui all’art. 1676 c.c., per esplicita previsione della Corte di Cassazione, può essere esercitata anche dai dipendenti del subappaltatore nei confronti del sub-committente (e non anche nei confronti del committente principale)22.
“L'art. 1676 c.c., funziona nel senso che il committente diviene diretto debitore degli ausiliari dell'appaltatore fino a concorrenza del prezzo di appalto23”.
I dipendenti dell’appaltatore, fermo restando il diritto di rivolgersi al proprio datore di lavoro per la soddisfazione del proprio credito, possono pretendere direttamente dal committente il loro compenso economico, nei limiti del debito residuo che questi ha nei confronti dell’appaltatore al momento della presentazione della domanda (c.d. azione di rivalsa).
Il committente, pertanto, non potrà liberarsi pagando quanto dovuto all’appaltatore, poiché rimarrebbe in ogni caso vincolato nei confronti dei dipendenti di quest’ultimo che hanno proposto domanda per il soddisfacimento del loro credito24. Nessuna legittimazione ad agire è riconosciuta – di contro – all’ente previdenziale e all’agenzia fiscale, che restano privi di strumenti [codicistici] per il recupero di eventuali versamenti omessi25.
20 X. XXXXXXX, Diritto commerciale, op. cit., p. 199;
21 Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, massima del 19 marzo 2008, n. 7384;
22 Corte di Cassazione, Sezione Civile, sentenza del 9 agosto 2003, n. 12048;
23 Così Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, massima del 19 marzo 2008, n. 7384;
24 Sul punto si rimanda a Corte di Cassazione, Sezione Civile, sentenza del 19 aprile 2006, n. 9048;
25 A. XXXXX, Obbligazione contributiva e responsabilità solidale, in Working Paper Adapt n. 58/2008;
La tutela delle posizioni creditizie dei lavoratori disciplinata dal codice civile, così come strutturata, è una tutela molto debole, che non può essere estesa al recupero dei versamenti fiscali e previdenziali omessi dal datore di lavoro. Inoltre, affinché il credito del lavoratore trovi soddisfazione, è necessario che occorrano contestualmente i seguenti presupposti: l’esistenza di un credito derivante da un rapporto di lavoro subordinato nei confronti dell’appaltatore; un debito residuo del committente nei confronti della controparte per l’opera o il servizio commissionato; la prestazione lavorativa del dipendente prestata in quel determinato appalto26.
Alla luce della disciplina sulla responsabilità solidale negli appalti, cui al d. lgs. 276 del 2003 e le recenti modifiche introdotte con la Legge Bersani e la Finanziaria per il 2007, l’art. 1676 ha un ambito di applicazione residuale.
2. LA DISTINZIONE CON FIGURE CONTRATTUALI AFFINI: CONTRATTO D’OPERA E SOMMINISTRAZIONE DI LAVORO
Lo schema giuridico dell’appalto presenta dei margini parzialmente coincidenti con altre fattispecie. In primis con la fattispecie della somministrazione di lavoro (e di cose), cui si aggiungono il contratto d’opera, la vendita di cose future e il distacco.
Discernere tra appalto e altre figure confinanti permetterà di capire meglio l’ambito di applicazione della disciplina civilistica e delle tutele concepite per i lavoratori.
L’appalto, come abbiamo già visto, può avere ad oggetto la prestazione periodica di servizi. Questa forma di appalto presenta delle similitudini con il contratto di somministrazione di cose, cui agli articoli 1559 c.c. - e ancor di più con la somministrazione di manodopera, cui al D. Lgs. 276 del 2003 -. Per esplicita previsione normativa (art. 1677 c.c.) e per quanto compatibili, si applicheranno agli appalti di servizi, le norme che regolano il contratto di somministrazione di cose. È da puntualizzare che la somministrazione di cui all’art. 1559 c.c., nonostante la coincidenza terminologica, è un
26 Corte di Cassazione, Sezione Civile, sentenza del 14 marzo 2001, n. 3559. Per un approfondimento dell’operatività della tutela di cui all’art. 1676 c.c. si rimanda a X. XXXXXXX, La disciplina delle responsabilità solidali negli appalti e nei subappalti: lo stato dell’arte in continuo movimento, in Working Papers
C.S.D.L.E. “Xxxxxxx X’Xxxxxx”, IT – 72/2008, disponibile su xxx.xxx.xxxxx.xx, ora anche su Il lavoro nella Giurisprudenza, n. 7 del 2008, p. 9. In dottrina ancora X. XXXXX, Obbligazione contributiva e responsabilità solidale, op. cit., p. 3;
istituto differente – data la diversità dell’oggetto - rispetto alla somministrazione di lavoro, disciplinata dalla Legge Biagi27.
Lo schema contrattuale della somministrazione di lavoro, sostitutiva del lavoro interinale, è una fattispecie i cui confini si sono sempre sovrapposti e confusi con il contratto di appalto, specie se di servizi. Comprenderne le differenze permette di assimilare quelle che sono le diverse funzioni economiche ravvisabili nei due istituti, al fine di focalizzare le ragioni che spingono gli operatori economici a preferire l’uno o l’altro schema contrattuale.
Il discrimine tra somministrazione e appalto di servizi è ravvisabile, come si deduce dallo stesso art. 29 del d. lgs. 276/2003, nel tipo di obbligazione dedotta in contratto: la mera fornitura di manodopera nel primo caso, un risultato produttivo nel secondo.
La somministrazione, a tempo determinato e indeterminato (c.d. staff leasing), rappresenta un’internalizzazione di forza lavoro, perché consente all’utilizzatore di ricorrere a mercati esterni del lavoro per acquisire manodopera che opera nel proprio interesse28. Le agenzie del lavoro sono i soggetti abilitati a svolgere attività di fornitura di manodopera, previo ottenimento di una autorizzazione, subordinata alla verifica di determinati requisiti di solidità economica.
L’agenzia di somministrazione assume con un contratto di lavoro subordinato il prestatore di lavoro e, in virtù del collegamento con l’impresa committente, dato dal contratto di somministrazione (contratto di natura commerciale), il lavoratore eseguirà la prestazione lavorativa nell’interesse dell’impresa utilizzatrice.
L’impresa committente è titolare dei poteri di direzione tipici del datore di lavoro, pur non configurandosi come tale. Sarà quest’ultima a servirsi del potere direttivo e organizzativo nei confronti del prestatore di lavoro29. L’utilizzatore, nell’optare per la somministrazione, manterrà il controllo sull’esecuzione dell’attività lavorativa.
27 Xxxxx xx Xxxxxxxxxx, Xxxxxxx Xxxxx Xxxxxx, 00 Gennaio 2004, n. 2583, disponibile su xxx.xxx.xxxxxxx.xx, Indice A-Z, voce Appalto e Subappalto. Alcuni autori sostengono, tuttavia, che il legislatore nella definizione della somministrazione di cose non abbia voluto escludere i servizi. Se per estensione comprendiamo nel termine “cose” anche i servizi, allora ne deriva che nel nostro ordinamento trova cittadinanza anche la somministrazione di servizi, che è così coincidente con la somministrazione di lavoro. Sul punto si veda X. XXXXXX, Le nuove esternalizzazioni tra fornitura di prestazioni lavorative (somministrazione e distacco) e appalti labour intensive, in Curzio (a cura di), Lavoro e diritti a tre anni dalla legge 30/2003, Xxxxxxx, Bari, 2006, p. 112;
28 Con riferimento alla somministrazione sarebbe più corretto parlare di Xxxxxxxxxx, piuttosto che di Outsourcing, poiché tale schema negoziale permette di internalizzare forza lavoro, a differenza dell’appalto con il quale si procede tecnicamente a una esternalizzazione;
29 È da rilevare che l’Agenzia di lavoro non perde totalmente i poteri direttivi nei confronti del lavoratore mandato in missione presso una impresa Utilizzatrice. L’Agenzia ha il potere di richiamo del lavoratore, di assegnare la missione etc.;
Oggetto del contratto di somministrazione non è quindi il compimento dell’opera o la prestazione di un servizio bensì la mera prestazione lavorativa. Il committente attraverso la somministrazione di lavoro si procura, per il tramite di un soggetto terzo, la forza lavoro necessaria allo svolgimento della propria attività30.
Il ricorso alla somministrazione, eccezion fatta per un elenco tassativo di ipotesi, è ammesso a “fronte di ragioni di carattere tecnico, organizzativo, produttivo o sostitutivo, anche se riferibili all’ordinaria attività dell’utilizzatore”, non sindacabili nel merito in sede giudiziale. Le ragioni giustificatrici del ricorso alla somministrazione, che coincidono con le cause che motivano un licenziamento per giustificato motivo oggettivo, rappresentano la maggiore novità in materia. Il lavoro interinale – quale antecedente contrattuale della somministrazione – era ammesso solo per la soddisfazione di esigenze temporanee dell’impresa. La disciplina della fornitura professionale di manodopera ha superato questo limite. Il legislatore non ha voluto imporre, come spesso ha fatto nel passato, un modello organizzativo di impresa31. Non ha stabilito a priori tutte le ipotesi in cui è legittimo ricorrere alla somministrazione, ma ha lasciato alle imprese la valutazione dell’opportunità di avvalersi o meno di questo istituto. La scelta da parte del legislatore delegato di quello che taluni chiamano “causalone” deve essere interpretato in coerenza con la disciplina del licenziamento. C’è una perfetta simmetria32 tra le cause che legittimano il ricorso a contratti di natura temporanea - quali ad esempio la somministrazione a tempo determinato e il lavoro a termine - e le cause che legittimano la risoluzione del rapporto di lavoro per giustificato motivo oggettivo. Le imprese possono decidere di predeterminare le ragioni del venir meno del rapporto nella sua fase costitutiva oppure risolvere il rapporto a tempo indeterminato utilizzando la medesima causa giustificatrice, individuate – in questo caso – a posteriori. Tecnicamente il risultato non cambia. Ovviamente l’operatore economico più attento preferirà la prima soluzione perché meno suscettibile di contenzioso con il lavoratore.
La somministrazione a tempo indeterminato è invece ammessa per la prestazione di alcuni particolari servizi, elencati nell’art. 20, quali, servizi di consulenza e assistenza nel settore
30 I motivi che possono spingere le imprese a rivolgersi ad agenzie del lavoro per il reclutamento del personale sono numerosi. Si va dalla possibilità per l’impresa di non applicare la disciplina limitativa del licenziamento individuale a un risparmio economico nella fase di acquisizione della forza lavoro e della gestione amministrativa dei rapporti contrattuali, data la maggiore efficienza del somministratore nella fase di selezione e reclutamento dei lavoratori, X. XXXXXX, Il contratto di lavoro, op. cit., p. 386;
31 X. XXXXXXXXXX, Esternalizzazione del lavoro e valorizzazione del capitale umano: due modelli inconciliabili, op. cit., p. 33;
32 X. XXXXXXXXXX, Somministrazione di lavoro, appalto di servizi, distacco, op. cit., p. 207;
informatico, servizi di pulizia, custodia, portineria, servizi di trasporto di persone o di trasporto e movimentazione di macchinari e merci, etc33. Si tratta di attività che possono formare indistintamente oggetto di somministrazione di lavoro e di appalto di servizi. Proprio riguardo queste attività, destinatarie nella vecchia normativa della disciplina sugli appalti interni, che i due istituti entrano in concorrenza tra loro.
Nella somministrazione di lavoro a tempo indeterminato i lavoratori rimangono a disposizione dell’agenzia per i periodi in cui non svolgono la prestazione lavorativa presso un utilizzatore.
L’agenzia di lavoro svolge un’attività professionale che non si riduce nel mero reclutamento dei lavoratori e la loro messa a disposizione a favore delle imprese utilizzatrici. Il compenso del somministratore non è costituito da una rendita parassitaria sulla differenza del costo del lavoro, ma è un compenso che va a remunerare il valore aggiunto del servizio professionale reso, vale a dire la messa a disposizione di forza lavoro e tutta l’attività di ricerca/selezione del personale, gestione amministrativa dei rapporti di lavoro etc., che fa da corollario al servizio principale.34 Rischio scongiurato dalla regola paritaria, che impone l’applicazione al lavoratore somministrato dello stesso trattamento economico-normativo riconosciuto ai dipendenti dell’utilizzatore impiegati in mansioni equiparabili.
Con l’istituto della somministrazione, si consente la dissociazione fra utilizzatore e titolare del rapporto lavorativo, da cui deriva la necessaria ripartizione tra le parti degli obblighi che discendono dal contratto di lavoro.
Il contratto di somministrazione non fa venir meno le responsabilità in capo all’impresa committente riguardo ai rapporti di lavoro instaurati con il lavoratore somministrato, in particolare in riferimento agli obblighi retributivi e previdenziali. Su impresa utilizzatrice e agenzia del lavoro gravano rischi e oneri legalmente ripartiti, in un’ottica di corresponsabilità tra le parti coinvolte – tanto da indurre alcuni autori a parlare di co- datorialità nel rapporto35.
33 Lo staff leasing è ammesso solo limitatamente alle tassative ipotesi elencate dal legislatore nell’art. 20 del
d. lgs. 276/2003. L’ambito di operatività della somministrazione a tempo indeterminato può essere ampliato solo dalla contrattazione collettiva;
34 X. XXXXXXXXXX, Xxxxxx, op. ult. cit., p. 209;
35 X. XXXXXXXXXX, Esternalizzazione del lavoro e valorizzazione del capitale umano: due modelli inconciliabili?, op. cit., p. 24. Contra M. T. CARINCI, L’unicità del datore di lavoro – quale parte del contratto di lavoro, creditore della prestazione e titolare di tutte le posizioni di diritto, potere, obbligo ad esse connesse – è regola generale dell’ordinamento giuslavoristico, op. cit., p. 1021 ss. esclude che la responsabilità solidale possa configurare co-datorialità tra appaltatore e appaltante;
La somministrazione rompe la visione dell’impresa come un’entità dai confini chiusi e gli permette di attingere dai mercati esterni del lavoro, per la soddisfazione di esigenze brevi e lunghe.
L’appalto è, invece, una vera esternalizzazione, che poggia sulla stipulazione di un contratto commerciale. Questo schema negoziale assicura un risultato produttivo, togliendo all’impresa committente la facoltà di dare direttive ai dipendenti dell’appaltatore, giacché l’appaltante non è titolare di nessun potere datoriale. Il committente, nell’optare per l’appalto, perderà il controllo sull’esecuzione dell’attività lavorativa.
L’appaltante beneficia dell’attività lavorativa dei dipendenti di un altro soggetto, rimanendo totalmente estraneo al rapporto di lavoro. È l’appaltatore che assume, organizza e dirige i lavoratori necessari all’assolvimento dell’obbligo contrattuale.
La genuina funzione economica dell’appalto è la realizzazione di un risultato produttivo. L’introduzione nel nostro ordinamento giuridico dell’istituto della somministrazione di lavoro è stata tutt’altro che pacifica. Xxxxxx ravvisano in questo schema negoziale un’ulteriore possibilità per l’impresa di “ procedere a esternalizzazioni finalizzate alla ricerca di più vantaggiosi (e leciti), per l’impresa, livelli di scambio tra lavoro e trattamento economico-normativo36”. Un’analisi sistematica del testo normativo ci dimostra che non è così.
Il divieto d’interposizione e i vincoli sull’utilizzo da parte delle imprese dei mercati esterni del lavoro sono stati il frutto di una valutazione politica sfavorevole sul decentramento produttivo, non sempre rispondente a una reale tutela dei lavoratori.
L’acquisto da parte delle imprese del servizio di fornitura di manodopera comporta un costo sicuramente maggiore rispetto a quello che l’imprenditore sosterrebbe assumendo direttamente il personale di cui ha bisogno, utilizzando contratti temporanei. Questo maggior costo rappresenta la remunerazione del servizio professionale e di qualità erogato dall’agenzia. Non è sufficiente individuare la convenienza della somministrazione in una disaffezione da parte degli imprenditori dalle responsabilità che discendono dal rapporto di
36 X. XXXXXX, Le nuove esternalizzazioni tra fornitura di prestazioni lavorative (somministrazione e distacco) e appalti labour intensive, op. cit., p. 107. Xxxxxx, ritiene che la struttura della normativa disegnata dal d. lgs 276 del 2003, non sia in grado di assicurare la preferenza del contratto di somministrazione rispetto al meno tutelato appalto. Tra i due istituti è significativamente più conveniente l’appalto, il cui uso determinerà una corsa al ribasso dei diritti dei lavoratori e non – come voluto dal legislatore delegato – una specializzazione del processo produttivo. X. XXXXXXXX, nel suo Le “esternalizzazioni” dei processi produttivi dopo il d. lgs. 276 del 2003: proposte di riforma, op. cit., p. 14, ritiene opportuna l’abrogazione dello staff leasing, ritenuto strumento potenzialmente elusivo delle garanzie giuslavoristiche, poiché consente la sostituzione dei lavoratori sgraditi, ai quali non può essere applicata la disciplina limitativa del licenziamento;
lavoro, perché il vincolo di solidarietà e della parità di trattamento previste esplicitamente per la somministrazione di manodopera ci dimostra che il ricorso a tale istituto non è solo funzionale a strategie finalizzate, come pure molti sostengono, alla riduzione degli standard di trattamento dei lavoratori37.
“La somministrazione di lavoro a tempo indeterminato (…) viene sempre, presentata, ingiustamente come una delle forme più precarizzanti di lavoro. La verità è che lo staff leasing, in Italia, c’è sempre stato, ma nella forma più debole e spesso irregolare dell’appalto di xxxxxxx00”.
Il pregiudizio nei confronti dello staff leasing si è spinto sino alla sua abrogazione, a opera della recente legge 24 dicembre 2007, n. 247, contenente le “norme di attuazione del Protocollo sul Welfare” del 23 luglio 2007, e pubblicata in G.U. n. 301 del 29 dicembre 2007.
Il contratto di appalto presenta inoltre una struttura parzialmente sovrapponibile a quella del contratto d’opera, di cui all’art 2222 del codice civile. Entrambe le fattispecie hanno la medesima causa, ravvisabile nella realizzazione di un’opera o di un servizio verso il pagamento di un corrispettivo in denaro. Dalla definizione legislativa di contratto d’opera si desume tuttavia l’elemento che differenzia questo tipo negoziale dall’appalto39. Il tratto distintivo del contratto d’opera consiste nella necessaria prevalenza del lavoro personale dell’esecutore dell’opera o del servizio, contemplata esplicitamente per quest’ultimo e – di contro – non richiesta per l’appalto40. È necessario che il rapporto che lega il prestatore
37 È stato giustamente osservato che ricorrere ad agenzie specializzate nel campo delle risorse umane, “non significa impoverire le dotazioni di capitale umano delle nostre imprese e optare per una xxx xxxxx xxxxx xxxxxxxx (…). Vero è peraltro che le tecniche di impiego del lavoro altrui, comunemente – e genericamente – identificate mediante l’utilizzo della ampia quanto ambigua locuzione «esternalizzazioni del lavoro», sempre meno frequentemente si risolvono in una deresponsabilizzazione nella gestione del personale”, X. XXXXXXXXXX, Esternalizzazione del lavoro e valorizzazione del capitale umano: due modelli inconciliabili?, op. cit., p. 20;
38 C. XXXXXXXX, Abolire lo staff leasing per tornare al lavoro nero e agli appalti fittizi…quando anche il Ministero del lavoro finisce nella trappola degli appalti di servizi irregolari, in Bollettino Adapt, del 29 giugno 2007, n. 29, disponibile su xxx.xxx.xxxxxxx.xx;
39 Art. 2222 codice civile – Contratto d’opera: “Quando una persona si obbliga a compiere verso un corrispettivo (1351) un'opera o un servizio, con lavoro prevalentemente proprio e senza vincolo di subordinazione nei confronti del committente, si applicano le norme di questo Capo, salvo che il rapporto abbia una disciplina particolare nel Libro IV (1655 e seguenti)”;
40 La Suprema Corte, ha ribadito che “se, per un verso, l'appalto ed il contratto d'opera hanno in comune
l'obbligazione, verso il committente, di compiere, a fronte di un corrispettivo, un'opera, o un servizio, senza vincolo di subordinazione e con assunzione del rischio da parte di chi li esegue, per altro verso le due fattispecie negoziali si differenziano per il fatto che l'opera, o il servizio, comportino, nella prima, un'organizzazione di media o grande impresa cui l'obbligato è preposto, e, nella seconda fattispecie, il prevalente lavoro dell'obbligato medesimo, pur se adiuvato da componenti della sua famiglia e da qualche collaboratore, secondo il modulo organizzativo della piccola impresa desumibile dall'art. 2083 c.c.”,
d’opera al committente sia un rapporto di lavoro autonomo. Nel caso contrario, che si osserva sostanzialmente quando il prestatore d’opera è assoggettato al potere direttivo del committente con riferimento all’esecuzione della prestazione, il prestatore si configura come un vero dipendente dell’impresa e nei suoi confronti è applicabile la disciplina del lavoro subordinato.
L’autonomia nell’organizzazione del lavoro è il fattore che accomuna appalto e contratto d’opera e li differenzia invece dal rapporto di lavoro subordinato. In quest’ultima fattispecie, disciplinata dall’art. 2094 c.c., “il prestatore (…) si obbliga mediante retribuzione a collaborare nell'impresa prestando il proprio lavoro intellettuale o manuale alle dipendenze e sotto la direzione dell'imprenditore.41”
L’appalto è uno schema negoziale differente rispetto alla vendita, di cui all’art. 1470 c.c.. Il primo ha come oggetto un facere, il secondo un dare. La distinzione talvolta può essere particolarmente delicata, specie rispetto alla vendita di cosa futura, in cui l’effetto traslativo occorre nel momento in cui il bene viene a esistenza (art. 1472 c.c.). La distinzione in questo caso si gioca sull’attività oggetto del contratto. Si avrà vendita di cosa futura quando l’accordo delle parti abbia ad oggetto il trasferimento della cosa, mentre l’attività costruttiva è solo strumentale al passaggio. Nell’appalto, di contro, è proprio l’attività a divenire l’oggetto della prestazione di fare, che si adempie con la consegna del bene o servizio pattuito42.
Ultima figura che presenta un nesso con l’appalto genuino (e con la somministrazione) è la fattispecie del distacco43, definita anche come somministrazione non professionale di manodopera44.
Cassazione Civile, Sezione II, 17 Luglio 1999, n. 7606, disponibile su xxx.xxx.xxxxxxx.xx, Indice A-Z, voce Appalto e Subappalto;
41 Secondo la consolidata giurisprudenza della Suprema Corte l’eterodirezione è il requisito principe della qualificazione del lavoro subordinato. Nella Sentenza n. 11880 del 19 maggio 2006 la Suprema Corte afferma che: “Costituisce requisito fondamentale dei rapporto di lavoro subordinato, ai fini della sua distinzione dal rapporto di lavoro autonomo, il vincolo di soggezione del lavoratore al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro, il quale discende dall'emanazione di ordini specifici, oltre che dall'esercizio di un'assidua attività di vigilanza e controllo dell'esecuzione delle prestazioni lavorative. L'esistenza di tale vincolo va concretamente apprezzata con riguardo alla specificità dell'incarico conferito al lavoratore e al modo della sua attuazione, fermo restando che ogni attività umana, economicamente rilevante, può essere oggetto sia di rapporto di lavoro subordinato che di rapporto di lavoro autonomo”
42 Corte di Cassazione, Sezione Civile, Sentenza n. 11656 del 12 maggio 2008, disponibile su xxx.xxxxxxxxxxxxxxxxx.xx;
43 Per una disamina della figura del distacco e del rapporto con la somministrazione e con l’appalto si rimanda a C. BIZZARRO, X. XXXXXXXXXX, La disciplina del distacco nel decreto legislativo n. 276 del 2003, in Tiraboschi M., Xxxxxxxx Xxxxxxx X. (a cura di), Le esternalizzazioni dopo la riforma Biagi. Somministrazione, appalto, distacco e trasferimento d’azienda, Milano, Xxxxxxx Editore, Collana Adapt n. 12, 2006;
Una fattispecie nata nella prassi dei rapporti economici e in seguito legittimata dalla giurisprudenza. Si tratta della prima forma di dissociazione tra datore di lavoro formale e sostanziale autorizzata a esistere nel nostro ordinamento giuridico. Il distacco è un rapporto interpositorio che risponde a specifiche esigenze aziendali e non costituisce un mero aggiramento della legge o del contratto collettivo. La fornitura non professionale di manodopera trova per la prima volta una disciplina puntuale nell’art. 30 del d. lgs. 276/2003. Eccetto la specifica figura del distacco transfrontaliero e qualche raro riferimento normativo (ad es. nella disciplina dei licenziamenti collettivi o in materia di assunzioni obbligatorie) la fattispecie in esame è stata regolata per la prima volta nel 2003. Il distacco occorre quando il dipendente è inviato a svolgere temporaneamente la propria prestazione lavorativa presso un diverso datore di lavoro. Il vincolo che lega lavoratore e impresa distaccataria è un vincolo di dipendenza funzionale e non di subordinazione. Ne consegue che il rapporto tra lavoratore e impresa distaccante rimane immutato e il datore di lavoro resta l’unico responsabile del trattamento economico e normativo spettante al dipendente. Il soggetto che trae beneficio dall’utilizzo di tale fattispecie, ci permette di distinguere il distacco dalla somministrazione di lavoro. Si tratta di due istituti di diversa natura e struttura, che assolvono funzioni differenti. Nella somministrazione di manodopera si soddisfa l’esigenza (temporanea e non) di forza lavoro dell’impresa utilizzatrice. Nella figura del distacco il lavoratore è tenuto a svolgere l’attività lavorativa a favore di un soggetto terzo, in vista della soddisfazione dell’interesse del distaccatario.
Qualora il distacco sia utilizzato al di fuori dei limiti legali, il lavoratore può richiedere – ai sensi dell’art. 414 c.p.c. – la costituzione di un rapporto di lavoro subordinato con l’utilizzatore effettivo, così come accade per qualsiasi altra forma di somministrazione irregolare45.
44 Richiamandone così i connotati che legano il distacco alla somministrazione di lavoro a tempo determinato, in X. XXXXXX, Le nuove esternalizzazioni tra fornitura di prestazioni lavorative (somministrazione e distacco) e appalti labour intensive, op. cit., p. 130;
45 C. XXXXXXXX, X. XXXXXXXXXX, La disciplina del distacco nel decreto legislativo n. 276 del 2003, op. ult. cit., p. 317;
3. PROFILI DI CONNESSIONE CON LA DISCIPLINA LAVORISTICA DEL TRASFERIMENTO D’AZIENDA
Il contratto di appalto, quale strumento di esternalizzazione di attività produttive, è collegato con il fenomeno del trasferimento di azienda, tipizzato dal legislatore all’art. 2112 c.c..
La disamina dell’istituto eccede gli scopi perseguiti in questo lavoro46. Ai fini della presente indagine, possiamo limitarci ad analizzare l’ipotesi in cui si procede alla cessione di un’articolazione dell’impresa, la cui attività è riacquisita in un secondo momento mediante un contratto di appalto, che implica l’utilizzazione della struttura trasferita..
È il classico schema dell’outsourcing47 di fasi dell’attività produttiva, cui segue un processo d’insourcing, che consiste nel riacquisire l’attività - in precedenza esternalizzata - mediante un contratto di natura commerciale con la cessionaria48.
Il legislatore del 2003 sancisce nell’art. 29, comma 2, che qualora si proceda a un trasferimento di ramo d’azienda seguito da un contratto di appalto con il cessionario, che implichi l’utilizzo del ramo trasferito, appaltante e appaltatore saranno gravati dal vincolo della responsabilità solidale passiva. Si tratta di una tutela aggiuntiva a quella prevista dall’art. 2112 c.c., applicabile alle posizioni creditizie dei lavoratori maturate dopo la stipulazione del contratto di appalto. Ultima precisazione degna di nota è rappresentata dal comma 3 dell’art. 29, con il quale si sancisce che il subentro di un nuovo appaltatore nel contratto di appalto non costituisce, ai fini legali, trasferimento di azienda, con la conseguente inapplicabilità della disciplina di cui all’art. 2112 c.c..
46 La disciplina del trasferimento di azienda rappresenta l’applicazione del principio secondo cui il rapporto di lavoro deve essere insensibile alle vicende circolatorie dell’azienda. Si veda X. XXXXXXX“Contractual integration” e rapporti di lavoro. Uno studio sulle tecniche di tutela del lavoratore, Cedam, Padova, 2004, p.
36. Il summenzionato principio è divenuto ben presto pietra miliare del nostro ordinamento giuridico. Il rapporto di lavoro dipendente non deve risentire delle vicende dell’impresa (fallimento, fusione, trasferimento, morte titolare ecc.), intesa come attività organizzata. Sul punto X. XXXXXX, Il contratto di lavoro, op. cit., p. 401. Sulla connessione tra la disciplina lavoristica dell’appalto e il trasferimento di azienda si rimanda a X. XXXXXXXX, Appalti e trasferimento d’azienda, in Working Papers C.S.D.L.E. “Xxxxxxx X’Xxxxxx”, IT – 41/2006, disponibile su xxx.xxx.xxxxx.xx;
47 Con il termine outsourcing s’intende “l’esternalizzazione nelle sue varie formulazioni”, X. XXXXX, L’outsourcing: una strategia priva di rischi?, op. cit., p. 271;
48 X. XXXXXXXXX PARRAVICINI, Appalto e rapporti di lavoro: fattispecie, disciplina e responsabilità solidale alla luce delle novità legislative di cui al decreto 4.7.2006 n. 223 (c.d. Decreto Bersani) e dalla legge 27.12.2006 n. 296 (Legge Finanziaria), in Giurisprudenza Piemontese, Unione Industriale Torino, n. 2, 2007, p. 160;
4. APPALTO ED ESTERNALIZZAZIONI PRODUTTIVE
L’appalto non può essere valutato unicamente alla stregua di un qualsiasi altro contratto d’impresa, poiché presenta un quid pluris che non può essere trascurato.
Il contratto in esame consente al committente di avvantaggiarsi indirettamente della performance dei lavoratori impiegati dall’appaltatore per l’assolvimento dell’obbligo contrattuale49.
Questo dato rende l’appalto, così come la somministrazione e il distacco, una forma di utilizzazione mediata della forza lavoro - anche se, per completezza, solo le ultime due fattispecie integrano, di fatto, dei rapporti interpositori, data la presenza di un titolare formale del rapporto di lavoro ed un soggetto che utilizza concretamente la prestazione lavorativa50 -. Le imprese hanno la facoltà, pertanto, di beneficiare di prestazioni lavorative rese al di fuori dello schema del lavoro dipendente attraverso il ricorso a contratti di lavoro autonomo o a contratti di natura commerciale.
L’utilizzo corretto di questo strumento presuppone che l’appalto sia genuino. Il rischio che talvolta occorre - e che il legislatore ha il dovere di scongiurare - è che l’appalto divenga nella pratica camuffamento formale dell’interposizione51. È irrilevante il nomen iuris utilizzato per qualificare il rapporto, si guarda invece all’esecuzione sostanziale, concreta. Si vuole evitare che l’appaltante operi come un committente finto, che gestisce direttamente il personale formalmente dipendente dall’appaltatore. L’appalto in questo
49 Utilizzando la classificazione elaborata da M. T. CARINCI, Utilizzazione e acquisizione indiretta del lavoro: somministrazione e distacco, appalto e subappalto, trasferimento d’azienda e di ramo. Diritto del lavoro e nuove forme di organizzazione dell’impresa, op. ult. cit., si parla di “acquisizione indiretta di lavoro tutte le volte in cui un soggetto diviene a pieno titolo il datore di lavoratori non per averli assunti direttamente, ma in conseguenza del trasferimento del complesso organizzato in cui i lavoratori stessi sono inseriti. È l’ipotesi del trasferimento d’azienda o di un suo ramo”. Si parla invece di “utilizzazione indiretta del lavoro tutte le volte in cui un soggetto dispone o beneficia dell’attività di lavoratori non assunti da lui, ma da un altro soggetto che ne è il datore di lavoro”. Queste ultime ipotesi sono quelle, rispettivamente, della somministrazione/distacco e dell’appalto/sub-appalto;
50 Quando si parla di interposizione si fa riferimento a complessi fenomeni nei quali interagiscono tre differenti soggetti: il lavoratore o i lavoratori, il soggetto utilizzatore delle prestazioni lavorative e il soggetto interposto. Proprio in merito al ruolo di quest’ultimo soggetto si sono incentrati i dibattiti dottrinali sulla liceità o meno delle fattispecie interpositorie. Ci si interroga sino a che punto la sua presenza sia dovuta ad obiettive esigenze organizzative dell’impresa che compra dall’intermediario un servizio professionale di selezione e ricerca di manodopera o la sua presenza sia solo un pretesto per permettere a quest’ultimo di speculare sul costo del lavoro, consentendo all’interposto di comportarsi, di fatto, come un vero e proprio mercante di uomini (merchands d’hommes);
51 X. XXXXX, (continuato da) X. XXXXXXXXXX, Istituzioni di diritto del lavoro, Milano, Xxxxxxx, p. 435, 2003, “là dove un datore di lavoro si avvale – direttamente o indirettamente del lavoro altrui si parla di rapporto interpositorio”.
caso è solo un contratto simulato che serve a nascondere il vero rapporto contrattuale: la fornitura di mere prestazioni di lavoro.
Sotto la forma di appalto di servizi si è spesso nascosto l’affitto di manodopera. Aziende che in apparenza assumono la posizione di appaltatori ma che in realtà si limitano, dietro corrispettivo, a fornire forza lavoro a imprese committenti.
Gli aspetti giuslavoristici insiti nei contratti di appalto e subappalto – e la tendenza a imporre modelli organizzativi di impresa - hanno indotto il legislatore a predisporre una normativa ad hoc volta a tutelare le posizioni lavorative di coloro che sono impiegati in queste forme di frazionamento organizzativo delle imprese.
La legge 1369/60 rappresenta il primo intervento organico, seppur in un certo senso criticabile, in tema d’interposizione e intermediazione nei rapporti di lavoro e regolazione dei profili lavoristici degli appalti leciti. Norma che non è riuscita a produrre l’effetto prefissatosi, vale a dire separare il decentramento fisiologico da quello patologico52.
Il divieto d’interposizione non è altro che un modo di leggere il concetto di subordinazione: è dipendente chi, di fatto, lavora sotto le dipendenze e le direttive dell’imprenditore.
Vietare i rapporti interpositori, significa in concreto impedire che la forza lavoro possa essere utilizzata mediante schemi che differiscono dal classico rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato.
La disciplina giuslavoristica dell’appalto è appositamente calibrata sui rapporti di lavoro e non sul rapporto commerciale, che rimane regolato dalla sola disciplina codicistica53.
Il ricorso all’appalto rientra nella rosa delle possibili scelte gestionali dell’imprenditore. La disarticolazione dell’impresa, che causa la rottura “dell’unitarietà del ciclo produttivo54”, può essere conseguita mediante l’utilizzo di una pluralità di schemi contrattuali.
Come avremmo modo di appurare nel corso del presente lavoro, il concetto di esternalizzazione può essere considerato come un ampio contenitore che racchiude in sé una varietà di fenomeni di diversa valenza, da contratti di natura commerciale, quali appalto, subappalto, subfornitura, franchising, a contratti di lavoro autonomo e
52 X. XXXXXXX, “Contractual integration” e rapporti di lavoro. Uno studio sulle tecniche di tutela del lavoratore, op. cit., p. 8;
53 X. XXXXXXXXX XXXXXXXXXXX, Appalto e rapporti di lavoro: fattispecie, disciplina e responsabilità solidale alla luce delle novità legislative di cui al decreto 4.7.2006 n. 223 (c.d. Decreto Bersani) e dalla legge 27.12.2006 n. 296 (Legge Finanziaria), op. cit., p. 158;
54 I. XXXXXX, Il confine fra appalto e interposizione nel d. lgs 10 settembre 2003, n. 276, in Il lavoro nella giurisprudenza, n. 11, 2005, p. 1037;
parasubordinato 55. Tutte queste figure sono atte a soddisfare l’esigenza di forza lavoro dell’impresa al di fuori dello schema della subordinazione56.
Sino a quando queste figure contrattuali sono usate nel rispetto dei vincoli legali non emergono profili di criticità. Diverso è il caso in cui l’utilizzo dei suddetti schemi, solo formalmente legittimi, si configura a livello sostanziale come un vero e proprio rapporto interpositorio.
L’appalto e il subappalto di manodopera, la fornitura di lavoro temporaneo, il cottimo collettivo autonomo sono solo alcuni esempi, nell’ipotesi in cui siano usati indebitamente, delle indefinite forme in cui un terzo soggetto si inserisce nel rapporto tra lavoratore ed effettivo utilizzatore della forza lavoro.
Le operazioni di frammentazione dell’impresa sono state lette come necessariamente fraudolente da chi ritiene che la subordinazione sia l’unico schema in cui è possibile sussumere i rapporti di lavoro. Il principio giuridico di imputazione del rapporto di lavoro, che la dottrina ha estrapolato dall’art. 2094 c.c., lega i lavoratori a chi utilizza i poteri di direzione e di controllo nella gestione dell’attività di xxxxxxx00.
Principio questo, ritenuto incompatibile, da parte della dottrina giuslavoristica, con l’interposizione di un terzo soggetto nella relazione tra lavoratore e utilizzatore della prestazione. Se chi si obbliga a svolgere la propria prestazione lavorativa sotto la direzione e il controllo dell’imprenditore è lavoratore dipendente, allora ne consegue che chi beneficia dell’attività lavorativa deve necessariamente coincidere con il soggetto su cui ricadono le responsabilità (economiche e non) derivanti dal rapporto di lavoro58.
55 Ibidem;
56 Per un’analisi del fenomeno del decentramento, con particolare riferimento “alle implicazioni giuslavoristiche del contratto fra l'imprenditore e un soggetto diverso dal lavoratore, che tuttavia fornisce anch'egli, direttamente o indirettamente, lavoro”, si veda per tutti X. XXXXXX, La disciplina della segmentazione del processo produttivo e dei suoi effetti sul rapporto di lavoro, in Diritto del lavoro e nuove forme di decentramento produttivo, Atti delle giornate di studio AIDLASS, Trento, 5-6 giugno 1999, Xxxxxxx, Milano, 2000, disponibile anche su xxxx://xxx.xxxxxxx.xxx/xxxxxxxx/xxxxxxxx/xxxxxxxx00/xxxxxx_00.xxxx.
57 Il principio dell’effettività lega chi, sul piano sostanziale, si comporta da dipendente, nei confronti di chi si comporta come datore di lavoro. Questo principio è sempre vero tranne in due casi: la somministrazione e il distacco. Per un approfondimento sul divieto di dissociazione tra titolarità formale e sostanziale del rapporto di lavoro, letta in termini di principio generale di trasparenza del e nel mercato del lavoro, si veda X. XX XXXXXX, Titolarità dei rapporti di lavoro e regole di trasparenza. Interposizione, imprese di gruppo, lavoro interinale, Xxxxxx Xxxxxx, Xxxxxx, Xxxxxxx xx xxxxxxx xxx Xxxxxx, 0000;
58 X. XXXXXX, La disciplina della segmentazione del processo produttivo e dei suoi effetti sul rapporto di lavoro, op. cit., afferma che la gerarchia, intesa come assoggettamento del lavoratore subordinato al potere direttivo del datore di lavoro, permette di affermare che “le attività assoggettate a quel potere stavano "dentro" l'impresa, mentre quelle che non vi erano assoggettate stavano "fuori";
L’avversione tradizionalmente manifestata nei confronti delle varie forme di utilizzazione indiretta della forza lavoro fu dovuta principalmente alla fede riposta nel summenzionato principio.
La posizione di parte della dottrina, secondo cui l’interposizione è un fenomeno necessariamente incompatibile con la subordinazione, è alquanto discutibile59. Non è possibile giungere a questa conclusione dal tenore dell’art. 2094 c.c. e, per completezza, questa presunta incompatibilità non discende neanche dall’art. 1655 c.c. che, nel disciplinare l’appalto, non pone limiti di nessun tipo in merito all’attività o al servizio che può formare oggetto del contratto60.
Tuttavia l’opinione diffusa ha prevalso nella pratica per molti anni. Come è stato rilevato la nozione di subordinazione è stata ritenuta fondamentale per costruire il divieto di interposizione, così come quest’ultimo è stato usato per riempire di contenuto il concetto di subordinazione61.
Il rapporto di lavoro subordinato è stato plasmato sul modello classico d’impresa, contraddistinto da un ciclo produttivo unitario, interamente gestito dall’imprenditore, con una componente strumentale e impiantistica apprezzabile.
La crisi del modello di produzione fordista, la prolificazione di forme di disintegrazione verticale delle aziende e la crescente diffusione di imprese di servizi - in cui la componente materiale e tangibile è quasi inconsistente - misero a dura prova le tradizionali categorie concettuali e normative del diritto del lavoro62, divenute inadeguate a governare la mutata realtà economica.
59 X. XXXXXX, ritiene che dall’art. 2094 c.c. non discenda necessariamente l’incompatibilità tra lavoro subordinato e rapporti interpositori. L’art. 2094 non definisce il soggetto nei confronti del quale il lavoratore si obbliga a prestare il proprio lavoro intellettuale o manuale. Cosicché è possibile che il lavoratore si obblighi nei confronti di un soggetto a prestare il proprio lavoro a favore di un terzo, configurando così un rapporto interpositorio compatibile con lo schema del rapporto di lavoro subordinato. Per un approfondimento si rimanda a X. XXXXXX, Il contratto di lavoro, Xxxxxxx, Milano, vol. 1, 2000, p. 403. Della stessa opinione, X. XXXXXXX, “Contractual integration” e rapporti di lavoro. Uno studio sulle tecniche di tutela del lavoratore, op. cit., p. 22-30. L’Autrice, richiamando le norme Costituzionali, sottolinea come possa mettersi in dubbio il principio che vuole una necessaria incompatibilità tra subordinazione e somministrazione di lavoro. La tecnica di tutela predisposta dall’ordinamento giuridico per impedire il pericolo di dissociazione tra titolarità formale e sostanziale del rapporto di lavoro è l’imputazione del rapporto al soggetto che effettivamente abbia utilizzato le prestazioni. Il rapporto è così ancorato al vero datore di lavoro, con la conseguente applicazione della disciplina inderogabile costruita intorno alla figura del lavoratore subordinato;
60 I. XXXXXX, Il confine fra appalto e interposizione nel d. lgs 10 settembre 2003, n. 276, op. cit., p. 1039;
61 Si rimanda per una disamina della tematica, X. XXXXXXX, “Contractual integration” e rapporti di lavoro. Uno studio sulle tecniche di tutela del lavoratore, op. cit., p. 16-18;
62 X. XX XXXX XXXXXX, Diritto del lavoro e decentramento produttivo in una prospettiva comparata: scenari e strumenti, in Rivista Italiana di Diritto del Lavoro, n. I, 2007, p. 9; X. XXXXXXXX, Il mondo al di là dello specchio: la delega sul lavoro e gli incerti confini della liceità nei rapporti interpositori, in Working Papers
“Fenomeni di smaterializzazione e di esternalizzazione erano pressoché sconosciuti (diversamente da quanto accade oggi) all’impresa degli anni cinquanta ed erano guardati con estremo timore da quel diritto del lavoro che sentiva toccare, da quegli eventi, i propri
«nervi scoperti63»”64.
La grande impresa di produzione di massa degli anni ‘50 passa da un sistema definito “fabbrica integrata”, in cui i beni e servizi finali sono il risultato di un processo conseguito interamente nel perimetro aziendale, verso il modello delle “imprese a rete65”, contraddistinto da una pluralità d’imprenditori legati da rapporti di natura commerciale, ciascuno specializzato in una singola fase del processo produttivo66. Per usare la formula di un noto autore, nelle imprese concepite in maniera tradizionale, “da una porta entravano le materie prime, dall’altra usciva il prodotto finito”67.
Questa struttura organizzativa, divenuta troppo costosa, ha condotto le imprese verso una ridefinizione dei propri confini. La struttura imprenditoriale diviene sempre più snella, governabile e capace di competere nei mercati internazionali. Le aziende si liberano, affidandole a terzi, dei segmenti produttivi non strategici - o comunque con bassi margini di profitto - per concentrare i propri sforzi su quelle attività che permettono loro di ottenere un vantaggio competitivo rispetto ai concorrenti.
“Xxxxxxx X’Xxxxxx” C.S.L.D.E., IT – 4/2003, disponibile su xxx.xxx.xxxxx.xx, ora anche in De Xxxx Xxxxxx, Xxxxxxxx, Xxxxxxx (a cura di), Mercato del lavoro, Editoriale Scientifica, p. 91, 2004;
63 Espressione efficacemente utilizzata da X. XX XXXX XXXXXX, Metamorfosi dell’impresa e nuova disciplina dell’interposizione, Relazione al Convegno nazionale sul tema "L’impresa fra esternalizzazione e processi di materializzazione: le ricadute sul rapporto di lavoro”, Verona, 31 Gennaio - 1 Febbraio 2003, in Rivista Italiana di Diritto del Lavoro, n. I, 2003, p. 171;
64 L’intera osservazione appartiene a X. XXXXXXXXX, Vecchi e nuovi confini dei fenomeni interpositori, in Bollettino n. 18 del 24 marzo 2006, disponibile su xxx.xxx.xxxxx.xx;
65 Alcuni hanno parlato allora di un processo di “disintegrazione verticale”, X. XXXXXXX, “Contractual integration” e rapporti di lavoro. Uno studio sulle tecniche di tutela del lavoratore, op. cit., p. 3;
66 Si veda X. XX XXXX XXXXXX, Diritto del lavoro e decentramento produttivo in una prospettiva comparata: scenari e strumenti, op. cit., p. 4, in cui l’autore afferma: “In effetti la struttura e il funzionamento dell’impresa manageriale classica disegnavano una sorta di tecnostruttura concentrata, che assicurava l’integralità del processo di produzione in un unico edificio (…). Verso la fine del XX secolo si assiste, viceversa, ad una straordinaria metamorfosi dei processi produttivi, questa volta giocata non sulla novità degli strumenti di produzione, come accaduto durante la rivoluzione industriale o durante la più recente rivoluzione informatica, bensì sul piano dell’evoluzione organizzativa dell’impresa. Quest’ultima da tecnostruttura integrata tende a divenire una rete estesa di unità semiautonome o autonome con forme elastiche di coordinamento”. Nella stessa prospettiva si veda X. XXXXXXX, Diritto del lavoro e decentramento produttivo in una prospettiva comparata: problemi e prospettive, in Rivista Italiana di Diritto del Lavoro, n. I, p. 30, 2007;
00 X. XX XXXX XXXXXX , Xxxxxx;
Gli imprenditori si specializzano sulle proprie “core competences68”, che presentano un maggiore potenziale di crescita e di profitto, mentre le attività collaterali divengono oggetto di contrattazione con aziende terziste.
Il modello produttivo distintivo della mutata fisionomia dell’impresa, generalmente denominato post-fordista, rappresenta una rottura rispetto al precedente, verticalmente integrato.
Espressioni quali decentramento produttivo, esternalizzazione, outsourcing, sono tutti termini che designano il superamento del modello di produzione di massa69.
L’organizzazione aziendale, tuttavia, non si limita a ricorrere al mercato per l’esecuzione di frazioni del proprio processo produttivo. Le fasi produttive sono riacquisite in un secondo momento dalla stessa impresa che esternalizza per mezzo di contratto di natura commerciale (dalla vendita, all’appalto, alla sub-fornitura etc.).
L’impresa si rifornisce sul mercato, in misura sempre più ampia, di quei prodotti e servizi collaterali alla produzione, ma necessari allo svolgimento della propria attività70. Dai semilavorati, ai servizi di consulenza, ai servizi informatici, di pulizia, di gestione del personale etc.71.
L’insourcing rappresenta, quindi, il naturale prosieguo del fenomeno dell’outsourcing72. L’evoluzione organizzativa dell’impresa implica collaborazione, cooperazione e coordinamento tra entità con una propria autonomia organizzativa. Le relazioni commerciali tra le imprese, più o meno stabili, divengono fondamentali per assicurare la sopravvivenza sul mercato.
Il decentramento produttivo permette di sostituire l’incerta relazione con i lavoratori, data la natura incompleta del contratto di lavoro, con relazioni tra imprenditori.
68 X. XX XXXX XXXXXX, Diritto del lavoro e decentramento produttivo in una prospettiva comparata: scenari e strumenti, op. cit, p. 5;
69 Ibidem. Per una sintesi dei dati sulla diffusione dell’Outsourcing di servizi si rimanda a X. XXXXX, SHANG- JIN WIE, Sull’outsourcing timori infondati, in xxx.xxxxxx.xxxx. Per una stima sul fenomeno dell’outsourcing in Xxxxxx Xxxxxxx, si veda l’interessante analisi di X. XXXXX, X. XXXXXXX, Rapporto sui processi di “outsourcing”e condizioni di lavoro in Xxxxxx Xxxxxxx, in Rapporto Ires, Bologna, 2002;
70 Il rinvio è a X. XX XXXX XXXXXX, Metamorfosi dell’impresa e nuova disciplina dell’interposizione, op. cit.,
p. 170 e al contributo di X. XXXXXXXXX, Vecchi e nuovi confini dei fenomeni interpositori, op. cit., p. 2. È da notare come processi di internalizzazione di forza lavoro, possono in senso lato, essere inseriti nei processi di decentralizzazione. In queste ipotesi, si pensi al lavoro somministrato, l’attività che viene esternalizzata è la funzione di reclutamento del personale e la titolarità dei rapporti di lavoro. In questo senso R. DE XXXX XXXXXX, Diritto del lavoro e decentramento produttivo in una prospettiva comparata: scenari e strumenti, op. cit., p. 7;
71 Anche la Corte di Cassazione si è espressa recentemente sulla definizione di outsourcing. Si rimanda a Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, sentenza del 7 gennaio 2009, n. 49;
72 In questa prospettiva X. XXXXX, (continuato da) X. XXXXXXXXXX, Istituzioni di diritto del lavoro, op. cit., p. 470;
Il decentramento non comporta necessariamente un allontanamento anche spaziale delle attività affidate ad aziende terziste. A ben vedere, numerosi sono gli episodi di decentramento in cui nulla sembra mutato se non il modo di acquisizione dei beni e servizi (solo giuridicamente esternalizzati). Si pensi all’appalto di un segmento dell’attività la cui produzione continua negli edifici dell’impresa committente.
Questo fenomeno è stato definito come “esternalizzazione intra moenia, ossimoro che coniuga le tendenze al decentramento funzionale con l’opposta esigenza di contiguità spaziale73”. Le attività permangono nei locali dell’impresa committente ma della loro gestione se ne occupa una struttura imprenditoriale differente.
La letteratura sull’analisi delle ragioni economiche che giustificano il decentramento produttivo è piuttosto ampia74. Non è questa la sede per entrare nel merito della questione. Ai fini di questo studio è sufficiente tratteggiare le principali motivazione sottese alle pratiche di esternalizzazione, allo scopo di chiarire gli effetti del decentramento produttivo sul rapporto di lavoro75.
A livello microeconomico la questione attiene alla scelta, da parte del singolo operatore economico, tra make or buy - per usare una fortunata espressione di derivazione anglosassone -. Secondo un’opinione condivisa l’esternalizzazione consente la diminuzione dei costi transattivi e un ampliamento dell’efficienza produttiva riguardo alle competenze distintive dell’impresa, permettendo, inoltre, di trasferire il rischio della produzione su soggetti terzi. Le ridotte dimensioni incidono sulla flessibilità dell’impresa, che ora è in grado di adattarsi più velocemente alle richieste del mercato e all’adozione di nuove tecnologie76. Le imprese terziste si specializzano in una fase dell’attività - con effetti positivi in termini di produttività del lavoro - e hanno un migliore know-how77.
00 X. XX XXXX XXXXXX, Xxxxxxxxxxx dell’impresa e nuova disciplina dell’interposizione, op. cit., p. 170;
74 Si può leggere un’attenta analisi economica del diritto delle cause del decentramento produttivo in X. XXXXXX, La disciplina della segmentazione del processo produttivo e dei suoi effetti sul rapporto di lavoro, op. cit., p. 6. Si rimanda inoltre a X. XXXXXXX, “Contractual integration” e rapporti di lavoro. Uno studio sulle tecniche di tutela del lavoratore, op. cit., p. 65 ss e al contributo di X. XXXXXXXX, Le “esternalizzazioni” dei processi produttivi dopo il d. lgs. 276 del 2003: proposte di riforma, in Working Paper Adapt n. 17/2006,
p. 4 -7. Per un’attenta lettura del fenomeno dell’esternalizzazione, soprattutto in riferimento alle novità introdotte con la legge Biagi, si veda X. XXXXX GRANDI, I fenomeni di esternalizzazione e decentramento produttivo dopo la riforma del mercato del lavoro, in Lavoro e diritto, Il Mulino, n. 2-3, 2006;
75 Per una disamina delle ripercussioni dell’esternalizzazione sulle relazioni sindacali e sul rapporto con i lavoratori, interni ed esterni, si veda per tutti X. XXXXXX, Il contratto di lavoro, op. cit., p. 379 ss.;
76 Si rimanda per tutti a X. XXXXX, L’Outsourcing una strategia priva di rischi?, op. cit., p. 274. Alle motivazioni delineate, sottese alle strategie di esternalizzazione, spesso si affiancano ragioni meno “apprezzabili”, quali il mero risparmio sul costo del lavoro; contenere la dimensione aziendale in modo da escludere la tutela sindacale etc.;
77 L’esternalizzazione di attività che non rappresentano “la vocazione industriale” dell’impresa permette di ridurre rischi, minimizzare i costi e di guadagnare in termini di flessibilità, in R. DE XXXX XXXXXX, Diritto
La metamorfosi del sistema di produzione non è l’unico fenomeno che ha inciso sul cambiamento dell’organizzazione aziendale.
Parallelamente alla ridefinizione degli assetti produttivi, le imprese hanno registrato un progressivo processo di dematerializzazione78.
I moderni processi produttivi sono sempre più caratterizzati dall’impiego di beni immateriali, cui consegue necessariamente un ridimensionamento di quei beni strumentali, tradizionalmente ritenuti necessari per identificare un’azienda, quali ad esempio le attrezzature, gli impianti etc.79.
L’economia della conoscenza ha soppiantato progressivamente l’economia manifatturiera80.
Il nuovo modo di concepire l’attività d’impresa rivoluziona anche i modi di concepire i rapporti di lavoro81. Come argomentato da autorevole dottrina “è evidente che questi processi di riorganizzazione dell’attività economica impongono al giurista l’elaborazione di nuovi schemi cognitivi e interpretativi per adeguare i dati normativi ai mutati contesti fattuali82”. Non è più necessaria quella coincidenza, tanto acclamata nel passato, tra titolare formale del rapporto di lavoro e titolare del potere di direzione e controllo dei lavoratori83. Nella pratica, tuttavia, la consistenza strumentale delle imprese, il principio della necessaria unitarietà del ciclo produttivo, il rapporto di lavoro subordinato quale unico schema utilizzabile per legare un lavoratore all’impresa, costituivano i capisaldi di numerosi istituti del diritto del lavoro.
del lavoro e decentramento produttivo in una prospettiva comparata: scenari e strumenti, op. cit., p. 6. In questo senso anche X. XXXXXX, Il contratto di lavoro, op. cit., p. 379, che vede nei processi di esternalizzazione la possibilità di raggiungere una maggiore efficienza complessiva del sistema economico;
78 Sono di quest’avviso, tra gli altri, X. XX XXXX XXXXXX, Metamorfosi dell’impresa e nuova disciplina dell’interposizione, op. cit., p. 169; X. XXXXXXXXX, Vecchi e nuovi confini dei fenomeni interpositori, op. cit., p. 2;
79 Sull’evoluzione dei modelli organizzativi dell’azienda si veda R. DE XXXX XXXXXX, Diritto del lavoro e decentramento produttivo in una prospettiva comparata: scenari e strumenti, op. cit. e X. XXXXXXX, “Contractual integration” e rapporti di lavoro. Uno studio sulle tecniche di tutela del lavoratore, op. cit., p. 65;
80 X. XXXXX, Competitività e risorse umane: modernizzare la regolazione dei rapporti di lavoro, in Rivista Italiana di Diritto del Lavoro, I, 2001, ora anche in Montruschi L., Xxxxxxxxxx M., Xxxx X. (a cura di), Xxxxx Xxxxx. Un giurista progettuale. Scritti scelti, Xxxxxxx, Milano, 2003, p. 151;
81 “Le evoluzioni organizzative in parola alterano visibilmente il quadro di riferimento della normativa e delle elaborazioni del diritto del lavoro. In particolare, (…) la normativa dettata dalla legge 1369/60 (…). Normative in qualche misura spiazzate dalle modificazioni dei rispettivi, storici referenti organizzativi e dallo scolorirsi delle stesse finalità cui esse erano in origine preordinate”, così X. XX XXXX XXXXXX, Metamorfosi dell’impresa e nuova disciplina dell’interposizione, op. cit., p. 172;
82 X. XXXXXXX, Diritto del lavoro e decentramento produttivo in una prospettiva comparata: problemi e prospettive, op. cit., p. 30;
83 Il principio d’imputazione giuridica del rapporto di lavoro, che la dottrina ravvisa nell’art. 2094 c.c., è stato messo in discussione dalla mutata fisionomia organizzativa imprenditoriale. Di questo avviso X. XX XXXX XXXXXX, Metamorfosi dell’impresa e nuova disciplina dell’interposizione, op. cit., p. 172;
Principi che hanno contribuito alla delimitazione dell’area di liceità di diverse forme di esternalizzazione. Si pensi alla prima normativa in materia di trasferimento d’azienda e di appalto.
Le pratiche di outsourcing sono state lette per lungo tempo esclusivamente in “termini patologici84", poiché ritenute finalizzate alla sola “elusione delle discipline garantistiche, di natura individuale e collettiva, [poste] a tutela del lavoratore85”. Del resto, il diritto del lavoro, che trova la sua genesi proprio intorno all’impresa di produzione di massa, “non poteva non reagire con sospetto alle strategie del decentramento86”.
I potenziali intenti fraudolenti, spesso sottesi alle pratiche di esternalizzazione, hanno costruito le fondamenta giustificatrici di un impianto normativo vincolistico e rigoroso, seppur incapace di qualificare con chiarezza i vari fenomeni di decentramento in termini d’interposizione vietata o di appalto xxxxxxx00.
Piuttosto che vietare esclusivamente le ipotesi in cui l’interposizione configuri un’attività socialmente pericolosa (si pensi al caporalato), che si traduce nella riduzione delle garanzie poste a salvaguardia dei diritti dei lavoratori, il legislatore ha preferito optare per la definizione di un generico divieto d’intermediazione e interposizione nei rapporti di lavoro. Effettivamente il rischio di pregiudizio rispetto ai diritti dei lavoratori è esistente, giacché le scelte imprenditoriali non sempre si collocano nell’ambito di apprezzabili e genuine decisioni organizzative rivolte alla specializzazione produttiva. Di frequente si perseguono fini non meritevoli, né giuridicamente né moralmente. Accanto a fattispecie irreprensibili si possono collocare ipotesi irregolari, fittizie - al limite con il sommerso - a scapito dei diritti dei lavoratori.
Non di rado l’obiettivo perseguito dagli imprenditori è un mero risparmio finanziario. Il ricorso al contratto di appalto, in questi casi, è in funzione di un mero contenimento del costo del lavoro, realizzato mediante la riduzione degli standard di trattamento economico- normativo spettanti al lavoratore.
84 “In un sistema in cui le fasi del processo produttivo facevano capo ad un unico soggetto e in cui l’impresa/datore di lavoro costituiva il fulcro dello sviluppo del capitalismo industriale le prassi del decentramento produttivo si configuravano prevalentemente in termini patologici”, X. XXXXXXX, “Contractual integration” e rapporti di lavoro. Uno studio sulle tecniche di tutela del lavoratore, op. cit., p. 7, 2004;
00 X. XXXXXXXX, Appalti e trasferimento d’azienda, op. cit., p. 3;
86 In questo senso X. XX XXXX XXXXXX, Diritto del lavoro e decentramento produttivo in una prospettiva comparata: scenari e strumenti, op. cit., p. 10;
87 X. XXXXXXXXXX, Le sabbie mobili del divieto di interposizione, in Giustizia Civile, fasc. 12, pt. 1, p. 3228, 1998;
L’intento di rimuovere la pericolosità potenziale delle forme d’interposizione nei rapporti di lavoro ha portato alla nascita di una disciplina non compatibile con le tendenze di cambiamento del tessuto produttivo. Disciplina distorsiva dell’efficiente funzionamento del mercato del lavoro, che condanna a priori le scelte imprenditoriali, etichettandole come pregiudizievoli.
La normativa in materia di rapporti interpositori, oltremodo rigida e incapace di discriminare tra fenomeni lesivi dei diritti dei lavoratori e forme genuine di esternalizzazione, ha mostrato per lungo tempo carenza d’effettività.
Non di rado le regole sul funzionamento del mercato del lavoro, causando alti costi economici e sociali, danneggiano la competizione internazionale, generano inefficienze e contribuiscono alla fuga dal diritto statico verso il sommerso. Ed è proprio l’esigenza di migliorare il tasso di effettività della disciplina del lavoro regolare, al fine di ridurre il divario tra norma giuridico-statuale e realtà economico-sociale, che sta alla base delle modifiche legislative dei rapporti interpositori compiute a partire dalla legge delega 30 del 2003.
Espressione dell’evoluzione che negli ultimi decenni si sta osservando in tema di flessibilità dei rapporti di lavoro.
La tendenza a comprimere l’autonomia negoziale privata nella formazione ed esecuzione di contratti differenti rispetto al lavoro subordinato ha contribuito in maniera incisiva alla deregolamentazione dei rapporti di lavoro e alla nascita dell’economia informale. L’economia non ufficiale non è necessariamente sinonimo di patologia e pericolosità sociale. Spesso i fenomeni atipici – che per sopravvivere sono relegati nel sommerso – sono solo espressione di prassi organizzative del lavoro che non trovano cittadinanza nell’ordinamento giuridico, per motivazioni legate a pregiudizi ideologici, più che da istanze di tutela dei lavoratori88.
L’obiettivo di tutelare il lavoratore quale contraente debole del rapporto – e di difendere il suo interesse alla continuità e alla stabilità del posto di lavoro, anche in ragione delle disposizioni Costituzionali - non deve spingersi sino al punto di ostacolare le attività economiche, di vitale importanza per la sopravvivenza del Paese.
88 X. XXXXXXXXXX, Lavoro temporaneo e somministrazione di manodopera. Contributo allo studio della fattispecie lavoro intermittente tramite agenzia, Torino, Xxxxxxxxxxxx, 1999, p. 22 ss., afferma che “In tutti i Paesi del mondo e in tutti i settori dell’economia si affermano prassi informali di organizzazione dei processi produttivi e di circolazione di ricchezza, più o meno illegali e più o meno tollerate dai diversi ordinamenti, ma che comunque concorrono non poco a mettere in crisi il monopolio statuale del diritto se non addirittura la stessa sovranità dello Stato”;
È necessario contemperare due interessi entrambi meritevoli di tutela, l’iniziativa economica privata e il diritto al lavoro, senza che nessuno prevarichi ingiustamente l’altro89. Da un lato bisogna tutelare l’interesse del lavoratore a vedere soddisfatta la propria posizione creditoria e dall’altro lato è necessario tutelare l’interesse dell’impresa “a mutare la propria struttura organizzativa secondo valutazioni meramente organizzative ed economiche90”.
L’apparato normativo in tema d’interposizione dovrebbe essere in grado di distinguere con certezza tra “interposizione fraudolenta, capace di oscurare il datore di lavoro reale e di finalizzare l’outsourcing a scopi di mera deresponsabilizzazione di quest’ultimo, dall’appalto genuino di opere e servizi (…), strumento lecito delle esternalizzazioni, giustificato da obiettive quanto ineludibili esigenze di politica industriale91”.
L’interesse a ridurre la distanza tra norme e mercato ha contribuito ad alimentare un costante processo di modificazione e rimodulazione della disciplina sull’interposizione, a opera – in un primo momento – dell’evoluzione delle interpretazioni dottrinali e giurisprudenziali in materia e, in seguito, mediante un adeguamento della legislazione alla trasformazione del tessuto economico92.
La storica diffidenza nei confronti di qualsiasi forma di segmentazione dei processi produttivi è stata progressivamente erosa, “allorquando è emerso il profilo funzionale e
89 Giudica la Legge Biagi sbilanciata verso la soddisfazione degli interessi delle imprese X. XXXX, Xxxxxxx dei punti critici del decreto legislativo 276/2003: Spunti di riflessione, in Working Papers C.S.D.L.E. “Xxxxxxx X’Xxxxxx”, IT – 20/2004, disponibile su xxx.xxx.xxxxx.xx. Il suddetto autore afferma “(…) sembra essere tornati alla stagione iniziale, a quella del diritto del lavoro “da una parte sola”, solo che ora la parte avvantaggiata non è più quella dei lavoratori; per molti profili, è diventata l’altra, quella delle imprese, poiché sembra essere assunto come principio ispiratore che, ciò che va bene per le imprese, va bene e andrà bene, in via indiretta o diretta, anche per i lavoratori e per il Paese”;
90 X. XXXXXXX, La disciplina delle responsabilità solidali negli appalti e nei subappalti: lo stato dell’arte in continuo movimento, op. cit., p. 3;
91 L’intera espressione è di X. XX XXXX XXXXXX, Metamorfosi dell’impresa e nuova disciplina dell’interposizione, op. cit., p. 173;
92 La dottrina prevalente auspicava da anni un aggiornamento della disciplina del decentramento produttivo, ritenuta – a ragione – inadeguata rispetto i nuovi assetti organizzativi delle imprese. “Il flusso di realtà portato dalle mutazioni del processo produttivo è in grado di scompigliare le pur strutturate pagine dei Codici e dei manuali e di insinuarsi negli orientamenti consolidati della giurisprudenza, nelle cui pieghe, a ben vedere, è sempre frequente il riferimento a termini e vicende proprie dell’organizzazione di impresa. Il referente materiale che dovrebbe essere solo oggetto della regolamentazione imperativa (…), talvolta si ribella, reagendo con prorompente vitalità su norme e categorie giuridiche o semplicemente reclamando con urgenza aggiornamenti normativi. Massimamente esposto a questa feconda contaminazione è il diritto del lavoro che trova financo origine e ragion d’essere nelle trasformazioni del modo di produrre (rivoluzione industriale) e che nel suo corso evolutivo appare costantemente influenzato da variabili organizzative e socio- economiche”, così X. XX XXXX XXXXXX, Metamorfosi dell’impresa e nuova disciplina dell’interposizione, op. cit., p. 168;
non frodatorio del ricorso alle esternalizzazioni93”, anche se ancor oggi non manca chi auspica a un ritorno al passato94.
Uno sguardo oltre i confini nazionali ci dimostra come l’approccio adottato in altri ordinamenti giuridici è stato meno ostile nei confronti dell’outsourcing. Basti pensare a economie avanzate come quella statunitense in cui è stato adottato un approccio promotivo del decentramento genuino, regolare, in una logica di responsabilizzazione delle parti coinvolte e di protezione effettiva del lavoratore95. In altri ordinamenti non si riscontra la stessa diffidenza che si ha nel sistema italiano neanche nei confronti dell’acquisizione di prestazioni lavorative di manodopera dipendente da agenzie specializzate96.
5. RATIO DELLA DISCIPLINA LAVORISTICA DELL’APPALTO: L’EVOLUZIONE DELL’ORDINAMENTO ITALIANO
La legge 1369 del 1960 ha avuto il compito, per circa un quarantennio, di discernere tra ipotesi legittime e genuine di appalto di opere e servizi, giustificate da obiettive ragioni economiche dell’impresa e fenomeni – illegittimi - di mera interposizione nei rapporti di lavoro, sia nel settore pubblico, sia nel settore privato.
Normativa introduttiva nel nostro ordinamento giuridico del generale divieto di interposizione nella fornitura di prestazioni di lavoro.
Prima della legge del 1960, l’unico riferimento normativo connesso al fenomeno dell’interposizione era contenuto nell’art. 2127 del codice civile, dedicato alla regolazione
93 X. XX XXXX XXXXXX, Diritto del lavoro e decentramento produttivo in una prospettiva comparata: scenari e strumenti, op. cit., p. 10;
94 X. XXXXXXX, L’utilizzazione indiretta dei lavoratori, Milano, Xxxxxx Xxxxxx, Collana di diritto del Lavoro, 2001;
95 Questa è la strada su cui si è incamminato il legislatore italiano con la legge delega 30 nel 2003. L’appalto è una fattispecie considerata lecita in quasi tutti gli ordinamenti, nel rispetto dei vincoli legali. Le tutele che gli stati approntano nei confronti dei lavoratori impiegati nell’appalto sono di differente intensità. Si va da una protezione minima, che consiste nel sanzionare gli appalti fittizi mediante il riconoscimento della relazione di lavoro subordinato con il committente, a sistemi di tutela che prevedono una condivisione delle responsabilità (sino ad arrivare a una vera e propria co-datorialità) tra committente e appaltatore. Per un approfondimento in prospettiva comparata dell’appalto e dei diversi modelli garantistici utilizzati nei diversi ordinamenti giuridici, si veda R. DE XXXX XXXXXX, Diritto del lavoro e decentramento produttivo in una prospettiva comparata: scenari e strumenti, op. cit., p. 12. Del medesimo autore si veda anche Metamorfosi dell’impresa e nuova disciplina dell’interposizione, op. cit., p. 173;
96 X. XXXXX, L’outsourcing: una strategia priva di rischi?, op. cit., p. 276;
dell’interposizione nel lavoro a cottimo97. La norma vietava all’imprenditore di affidare ai propri dipendenti lavori a cottimo da realizzare mediante l’utilizzo di manodopera direttamente assunta e retribuita dal cottimista e sanzionava la violazione di tale divieto facendo ricadere in capo all’imprenditore la responsabilità contrattuale nei confronti di questi lavoratori. Il divieto di interposizione nel lavoro a cottimo non impediva, di fatto, l’utilizzo di altre forme interpositorie, in cui la prestazione lavorativa era retribuita in forma differente dal cottimo, per cui non è possibile asserire che ancor prima della legge del ‘60 vigeva nell’ordinamento italiano un generale divieto d’interposizione.
I moderni processi di esternalizzazione, descritti nel paragrafo precedente, sono stati preceduti da forme grossolane di rapporti interpositori, che sfuggivano a un preciso inquadramento normativo e che furono spesso causa della riduzione degli standard di trattamento dei lavoratori coinvolti. Basti pensare alla figura del capo-cottimista nel settore edilizio e alla figura del caporale nell’agricoltura98. Tutti fenomeni che avevano creato non pochi problemi di sottotutela dei lavoratori.
Si tratta di forme d’interposizione nate spontaneamente in un sistema in cui la fornitura di manodopera non aveva ancora trovato regolazione.
Il legislatore del ’60 ritenne opportuno affrontare l’ormai ineluttabile esigenza di protezione dei lavoratori mediante l’imposizione di un generico divieto di fornitura di mere prestazioni di lavoro, affidate in appalto o in qualsiasi altra forma. Quest’approccio era coerente con quella che era la struttura imprenditoriale dell’epoca, vale a dire, l’industria manifatturiera di stampo fordista, in cui l’intero ciclo produttivo era eseguito all’interno della stessa organizzazione aziendale.
Il divieto di appalto di manodopera e la normativa lavoristica in materia di appalti leciti trovano pertanto la loro ratio proprio nell’intento del legislatore di impedire i fenomeni di sfruttamento parassitario del lavoratore (gli pseudo-appalti e altre figure d’interposizione). Soggetti terzi che s’insinuavano nel rapporto tra datore e lavoratore e lucravano sulla differenza tra il salario erogato al prestatore di lavoro e il compenso corrisposto dall’interponente99.
97 Si tratta del c.d. cottimo collettivo autonomo. “È vietato all'imprenditore di affidare a propri dipendenti lavori a cottimo da eseguirsi da prestatori di lavoro assunti e retribuiti direttamente dai dipendenti medesimi. In caso di violazione di tale divieto, l'imprenditore risponde direttamente, nei confronti dei prestatori di lavoro assunti dal proprio dipendente, degli obblighi derivanti dai contratti di lavoro da essi stipulati”.
98 Per un’analisi sulla figura del capo-cottimista nelle imprese artigianali e sulla figura del caporale si rimanda a X. XXXXXXXX, Rapporti interpositori e contratto di lavoro, Xxxxxxx, Milano, 1979, p. 7;
99 Si veda R. DE XXXX XXXXXX, Metamorfosi dell’impresa e nuova disciplina dell’interposizione, op. cit., p. 173;
Il legislatore non ha inteso, tuttavia, vietare l’appalto in sé, quale contratto commerciale. Ha inteso solo precluderne l’uso improprio, vale a dire impedire gli appalti fittizi, in cui l’appaltatore è uno pseudo-appaltatore (ovvero interposto) e il committente è uno pseudo- committente (ovvero interponente). Situazioni in cui la dissociazione tra titolare formale del rapporto ed effettivo beneficiario della prestazione lavorativa, si risolve in un ostacolo al diritto del lavoratore di pretendere il più vantaggioso trattamento che gli sarebbe spettato se assunto direttamente dall’appaltante100.
La lotta a questi fenomeni speculativi prese inizio dall’indagine promossa nel 1959 dalla Commissione Parlamentare d’inchiesta sulle condizioni dei lavoratori101, che ben presto sfociò nell’emanazione della legge 1369/60102. Dai risultati dell’inchiesta si evinse che ai lavoratori occupati in appalti aventi ad oggetto attività che s’inseriscono all’interno del ciclo produttivo dell’impresa committente era applicato un trattamento economico- normativo nettamente inferiore rispetto a quello erogato ai lavoratori direttamente assunti dall’appaltante.
L’approccio del legislatore nei confronti dei rapporti interpositori è chiaro: l’inserimento di un terzo soggetto tra utilizzatore e prestatore di lavoro non può in nessun caso perseguire interessi meritevoli di tutela, in quanto sempre pregiudizievole dei diritti dei lavoratori103. Ciò su cui pecca la legge è “l’eccesso di assolutezza”, che va ben al di là degli intenti perseguiti e delle istanze sindacali104.
Un ragionamento storico può essere utile a comprendere che la motivazione sottesa all’intervento del legislatore in materia di rapporti interpositori - e di collocamento - non è individuabile esclusivamente nell’esigenza di tutelare i diritti dei lavoratori coinvolti, bensì persegue l’interesse di garantire l’ordine e la pace sociale.
Come ha rilevato De Xxxxxx, “non bisogna dimenticare (…) che negli anni cinquanta non esisteva una compiuta normativa di tutela dei lavoratori che i datori di lavoro avessero interesse a eludere: al di fuori di pochi casi di vere elusioni di normative lavoristiche (…),
100 Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, Sentenza del 4 marzo 2005, n. 4736;
101 Camera dei Deputati e Senato della Repubblica, Relazione della Commissione Parlamentare di inchiesta sulle condizioni dei lavoratori in Italia. VIII. Rapporti Particolari di Lavoro, 1959;
102 L’azione normativa era stata preceduta da un tentativo di intervento promosso sul fronte sindacale. Le Confederazioni maggiormente rappresentative avevano presentato due progetti di legge in materia, rispettivamente nel 1955 e nel 1956, che non avevano trovato accoglimento. Sulle proposte di legge presentate ante l’emanazione della L. 1369/60 si rimanda a X. XXXXXX, Il contratto di lavoro, op. cit., p. 408; 103 M. T. CARINCI, La somministrazione di lavoro altrui, in M. T. Carinci – X. Xxxxxx (a cura di), coordinato da X. Xxxxxxx, Somministrazione, comando, appalto, trasferimento d’azienda, Tomo II, del Commentario al d. lgs. 10 settembre del 2003, n. 276, Ipsoa, Milano, p. 198, 2004, p. 6. Dello stesso avviso X. XXXXXX, La disciplina della segmentazione (…), op. cit., p. 11;
104 Sempre X. XXXXXX, Il contratto di lavoro, op. cit., p. 408;
si trattava, per lo più, di fattispecie che urtavano la “coscienza sociale”, ma non precise disposizioni di leggi105”. Si pensi alla disciplina limitativa del licenziamento che è stata introdotta nel nostro ordinamento giuridico solo nel 1966, ben sei anni dopo l’introduzione del divieto d’interposizione. La libera recedibilità dei rapporti di lavoro, non può quindi indurci a pensare che il ricorso all’interposizione fosse uno strumento utilizzato dagli imprenditori per aggirare la disciplina limitativa dei licenziamenti.
Certo è che nella legge 1369/60 e ancor prima nell’art. 2127 del c.c. si deduce “la preferenza accordata dall’ordinamento al contratto di lavoro subordinato quale forma tipica di utilizzazione delle prestazioni lavorative nell’organizzazione d’impresa106”.
Il legislatore con il divieto di interposizione ha imposto un modello organizzativo d’impresa e guarda con circospezione e diffidenza le forme organizzative differenti107, sia che concernano l’acquisizione sul mercato di forza lavoro dipendente da un soggetto terzo, sia che si tratti dell’acquisto di un’opera o di un servizio offerto da un soggetto che opera sul mercato con autonomia e gestione a proprio rischio108.
“Le pratiche di esternalizzazione del lavoro si scontrano nel caso italiano con normative non pensate per favorirle, o anche solo governarle, al fine di assicurare correttezza di competizione fra le imprese. In tale quadro l’impresa può essere indotta ad adottare comportamenti a rischio109”.
105 X. XX XXXXXX, Titolarità dei rapporti di lavoro e regole di trasparenza. Interposizione, imprese di gruppo, lavoro interinale, op. cit., p. 33. Della stessa opinione X. XXXXXXXX, “nel 1960 si poteva parlare ben poco di norme a garanzia dei diritti dei lavoratori”, in Rapporti interpositori e contratto di lavoro, op. cit., p. 33;
106 X. XX XXXXXX, Titolarità dei rapporti di lavoro e regole di trasparenza. Interposizione, imprese di gruppo, lavoro interinale, op. cit., 1995;
107 Modello organizzativo di impresa al servizio delle esigenze della produzione taylorista-fordista. La nascente società industriale aveva bisogno di forza lavoro stabile, al servizio dell’imprenditore. Lo schema della subordinazione a tempo indeterminato nasce proprio per sostenere la produzione di massa. Agli inizi del ‘900, in un’ottica liberista, l’approccio del legislatore Italiano nei confronti della regolamentazione del mercato del lavoro era totalmente differente. La piena libertà contrattuale legittimava la sottomissione del lavoratore nei confronti del datore. Il contratto a tempo determinato rappresentava lo schema contrattuale privilegiato. Era impensabile immaginare vincoli contrattuali perpetui, poiché ritenuti mascheramento di legami feudali e di schiavitù. Il sistema di produzione capitalista favorisce quindi la nascita del diritto del lavoro. Diritto immaginato e costruito proprio intorno alla figura dell’operaio occupato nell’industria moderna. Questo dato permette di spiegare la preferenza che il legislatore ha manifestato – e manifesta tuttora – nei confronti dello schema del rapporto di lavoro subordinato (a tempo indeterminato). Da questo punto di vista, le prestazioni temporanee e i rapporti interpositori sono lette come una falsificazione del modello normativo di base. Un approfondimento di questo tema è contenuto in X. XXXXXXXXXX, Lavoro temporaneo e somministrazione di manodopera. Contributo allo studio della fattispecie lavoro intermittente tramite agenzia, op. cit., p. 86 ss.;
108 Per altre riflessioni si rimanda a X. XXXXXX, Il contratto di lavoro, op. cit., p. 410; X. XXXXXXXX, Il mondo al di là dello specchio: la delega sul lavoro e gli incerti confini della liceità nei rapporti interpositori, op. cit,
p. 10; X. XXXXX, (continuato da) X. XXXXXXXXXX, Istituzioni di diritto del lavoro, op. cit., p. 212; X. XXXXXXXXX, Vecchi e nuovi confini dei fenomeni interpositori, op. cit., p. 3;
109 X. XXXXX, L’outsourcing: una strategia priva di rischi?, op. cit., p. 272;
Non si arriva a vietare la segmentazione del ciclo produttivo o più in generale qualsiasi pratica di esternalizzazione, bensì si predispongono – in vista della potenziale pericolosità delle pratiche di outsourcing - delle garanzie contro l’elusione della disciplina giuslavoristica110, in un contesto normativo in cui l’esternalizzazione è sicuramente sfavorita.
Alla resistenza manifestata dal legislatore nei confronti delle pratiche di decentramento produttivo si aggiunge l’influenza esercitata sulla normativa nazionale dalle fonti internazionali. Nella Dichiarazione di Filadelfia del 1944 sugli scopi e gli obiettivi dell’OIL si annuncia un principio che ha notevolmente condizionato la disciplina sull’intermediazione e sull’appalto di manodopera: “Il lavoro non è una merce”.
Da questo postulato discende che il servizio dato ai lavoratori nella ricerca di un’occupazione non può formare oggetto di una transazione commerciale. Pertanto, il collocamento privato doveva essere vietato, escludendo l’opportunità di aprire il mercato ad agenzie private del lavoro. Il collocamento era concepito come funzione pubblica svolta in regime di monopolio. Ciò configura lo Stato quale unico soggetto in grado di governare il mercato del lavoro111. Soggetto tenuto a garantire le stesse opportunità a chi è in cerca di un’occupazione, al fine di evitare discriminazioni.
L’appalto di servizi, quale forma mediata di utilizzo della manodopera, era letto in termini interpositori.
Come argomentato da autorevole dottrina, la ragione del divieto posto alla mediazione privata, in un sistema liberale - quale l’Italia degli inizi del ‘900 -, non può essere ricondotto a esigenze di tutela e di promozione del lavoro ma a un più ampio progetto di stabilizzazione dei nascenti Stati nazionali112. L’industrializzazione stava facendo emergere tensioni che potevano essere gestite solo mediante l’accentramento del governo del mercato del lavoro nelle mani dello Stato.
Quanto detto sinora non ha lo scopo di negare che, in seguito alla predisposizione del sistema protettivo del rapporto di lavoro, l’interposizione non sia stata diffusamente utilizzata nella pratica come forma di abuso e di lesione dei diritti dei prestatori di lavoro. Oggi è presumibilmente vero che alcuni imprenditori ricorrano a forme di
110 In questo senso X. XXXXXX, Il contratto di lavoro, op. cit., p. 503; X. XX XXXXXX, Titolarità dei rapporti di lavoro e regole di trasparenza. Interposizione, imprese di gruppo, lavoro interinale, op. cit., p. 173;
111 Il monopolio pubblico del collocamento è stato introdotto nel nostro ordinamento giuridico con la legge n. 264 del 29 aprile 1949;
112 X. XXXXXXXXXX, Lavoro temporaneo e somministrazione di manodopera. Contributo allo studio della fattispecie lavoro intermittente tramite agenzia, op. cit., p. 140 ss.;
esternalizzazione per evitare di far gravare sull’impresa i costi del rapporto di lavoro subordinato. Si vuole solo evidenziare come gli intenti originari perseguiti dal legislatore non fossero solo una mera protezione delle garanzie accordate ai lavoratori - c.d. legislazione anti-fraudolenta - ma piuttosto un generale atteggiamento d’imposizione di modelli organizzativi d’impresa, espressione della volontà di monopolizzare e monitorare di continuo il governo del mercato del lavoro113.
6. IL SISTEMA REGOLATORIO DELLA LEGGE 1369 DEL 1960: DISCIPLINA E EFFETTIVITÀ
“La legge del '60 (…) tocca l'organizzazione complessiva del lavoro - il "far da sé" e il "far fare da altri" - e assume che l'acquisizione diretta da parte dell’impresa di energie lavorative non è realizzabile attraverso uno schema giuridico diverso dal contratto di lavoro114”.
Sebbene gli intenti perseguiti con la legge 1369/60 fossero differenti, la scelta che concretamente prevalse fu quella di stabilire un divieto incondizionato in materia di rapporti interpositori.
Il pregiudizio manifestato nei confronti dell’interposizione raggiunse un livello così elevato da permettere al potenziale profilo patologico insito nelle varie fattispecie interpositorie di riuscire di oscurare quello fisiologico di specializzazione produttiva.
Il sospetto fu tale da travolgere anche i contratti di appalto. Era comunque impensabile che il legislatore tacciasse d’illegalità questo schema negoziale e incidesse sulla disciplina codicistica dell’appalto ma, dato il profilo di criticità che pur era connaturato a tale contratto - e la difficoltà per l’azione collettiva di predisporre tutele dei lavoratori a seguito delle crescente tendenza all’esternalizzazione115 - era necessario predisporre una regolamentazione specifica che ne governasse i profili lavoristici116.
113 Per un’attenta analisi della tendenza dello Stato a governare il mercato del lavoro, con specifico riferimento alla disciplina del collocamento, si rimanda a X. XXXXXXXX, Il governo del mercato del lavoro tra controllo pubblico e neo-contrattualismo. Analisi storico-comparata dei sistemi di regolazione e governo attivo del mercato, Milano, Xxxxxxx Editore, Collana Adapt – Fondazione “Xxxxx Xxxxx”, n. 16, 2007;
114 X. XXXXXXXX, Il mondo al di là dello specchio: la delega sul lavoro e gli incerti confini della liceità nei rapporti interpositori, op. cit., p. 9;
115 Nei lavori preparatori alla legge del 1960 si pone più volte l’accento sull’ostacolo alla crescita del sindacato rappresentato dal massiccio utilizzo dei contratti di appalto. Sul punto si rimanda a A. SALENTO,
La fattispecie sanzionata dalla legge 1369 è la fornitura di manodopera, simulata sotto le vesti (formali e non sostanziali) di contratti di appalto, di cui all’art. 1655 c.c..
La dicitura normativa utilizzata, fonte di numerose critiche a partire già dai primi commentatori, parla impropriamente di “appalto di mere prestazioni di lavoro”. L’espressione utilizzata nel testo normativo è alquanto infelice. Se l’attività svolta dall’interposto è definibile come fornitura di prestazioni di lavoro ne consegue necessariamente che non si può propriamente parlare di appalto.
La fattispecie vietata dall’art. 1 era il mero appalto di manodopera, inteso come qualsiasi prestazione di lavoro (manuale e non) fornita all’interponente dal soggetto interposto.
Era preclusa all’imprenditore la possibilità di avvalersi di un intermediario per acquisire prestazioni lavorative rese da manodopera direttamente assunta e retribuita dall’appaltatore.
Il generale e tassativo divieto posto nell’art. 1, copre tutti i casi in cui l’imprenditore non appalta (oppure affida in qualsiasi altra forma) la realizzazione di un’opera o di un servizio, bensì l’esecuzione di mere prestazioni di lavoro117. Il legislatore, nell’individuare gli strumenti utilizzati per realizzare la fornitura di prestazioni lavorative, non ha adottato una precisa formulazione giuridica, ricorrendo invece all’elencazione dei contratti tipici più frequentemente usati per mascherare l'interposizione118.
L’imprescindibile necessità di porre una linea di demarcazione tra appalto - quale lecito contratto commerciale - e fornitura di prestazioni lavorative – quale attività vietata -, ha condotto dottrina e giurisprudenza verso una fervida attività interpretativa volta all’individuazione di una serie di indici tipici della genuinità dell’appalto, tali da garantire una maggiore certezza del diritto e in grado di evitare che l’incerto quadro normativo potesse porre un freno allo sviluppo delle attività economiche.
Somministrazione, appalto, organizzazione: politiche del diritto, interpretazioni, teorie organizzative, in Gior. Dir. Lav. Rel. Ind., n. 111, p. 444, 2006;
116 “L’intervento legislativo non si sarebbe presentato come un correttivo orientato a introdurre elementi di equità sostanziale, ma avrebbe dovuto solo chiarire i termini della regolamentazione tradizione, «chiamare le cose con il proprio nome» ed escludere che si potesse chiamare appalto ciò che lo stesso Xxxxxx Civile non avrebbe consentito di qualificare così”, X. XXXXXXX, Ivi, p. 443;
117 Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, sentenza del 19 novembre 2003, n. 17574;
000 Xxxxx xx Xxxxxxxxxx, Sezione lavoro civile, sentenza del 19 Luglio 2005, n. 15166, disponibile su xxx.xxx.xxxxxxx.xx, indice A-Z, voce Appalto e Subappalto. Ne consegue che per eludere il testo legale non è sufficiente ricorrere a contratti differenti rispetto a quelli elencati nell’art. 1, perché il riferimento all’appalto e al subappalto è solo esemplificativo di tutte le forme che permettono di realizzare una situazione interpositoria. Sulla Stessa linea Xxxxx xx Xxxxxxxxxx, Xxxxxxx Xxxxxx, 00 settembre 2000, n. 12249, da cui è tratta l’espressione utilizzata nel testo;
Le conseguenze civilistiche dell’inosservanza del divieto erano pesanti. A una sanzione penale, che consisteva nell’applicazione di un’ammenda a carico dell’interponente e del soggetto interposto - commisurata al numero di giornate lavorative e dei lavoratori impiegati in violazione del divieto -, si affiancava una sanzione civile: l’accertamento ex lege di un rapporto di lavoro subordinato nei confronti del soggetto che abbia effettivamente utilizzato la prestazione.
I dipendenti impiegati in violazione del divieto erano considerati – ex tunc e a tutti gli effetti - dipendenti del committente, ritenuto il vero e il solo datore nel rapporto di lavoro, che rende concreto, con il suo comportamento, il vincolo di subordinazione.
Il giudice in questi casi si limitava a rilevare la nullità del contratto simulato e l’esistenza di fatto di un rapporto di lavoro subordinato – a tempo indeterminato - in capo al soggetto interponente, con i soggetti “solo formalmente” dipendenti dell’interposto119.
Lo strumento giuridico utilizzato per ammettere la traslazione del rapporto in capo al soggetto committente è lo schema civilistico della surrogazione soggettiva legale120. Il contratto che lega il lavoratore all’appaltatore è considerato, in sede di accertamento giudiziale, il presupposto necessario per la surrogazione legale dell’appaltante al datore di lavoro intermediario.
Nessun riferimento, invece, riguardo la responsabilità dell’appaltatore interposto – conseguente alla dichiarazione di nullità del contratto simulato - in merito agli obblighi nascenti dal rapporto di lavoro.
Il silenzio del legislatore sul punto è apparentemente privo di coerenza con l’impianto sanzionatorio previsto per la trasgressione del divieto di interposizione. Se in sede penale il legislatore sanziona il comportamento del soggetto interponente e del soggetto interposto, allora ne discende che anche in sede civile ambedue le parti debbano ripartirsi oneri e responsabilità.
È stata l’interpretazione giurisprudenziale, non sempre priva di contraddizioni, a riempire il suddetto vuoto normativo.
Secondo un indirizzo della Suprema Corte, l’interpretazione ermeneutica della disciplina sull’intermediazione implica che “la nullità del rapporto di intermediazione o di
119 Sono di tale avviso per tutti X. XXXXXXXX, Rapporti interpositori e contratto di lavoro, op. cit., p. 265; XXXXXX P., Le nuove esternalizzazioni tra fornitura di prestazioni lavorative (somministrazione e distacco) e appalti labour intensive, op. cit., p. 175. In particolare la nullità è ravvisabile nell’oggetto e nella causa del contratto;
120 R. DEL PUNTA, Problemi attuali e prospettive in tema di interposizione di manodopera, in Arg. Dir. Lav., 2002;
interposizione nelle prestazioni lavorative non comporta la liberazione dell'appaltatore o dell'interposto dagli obblighi nati dal rapporto di lavoro perché la responsabilità di tali soggetti, che sono pur sempre i titolari del rapporto di lavoro, permane e concorre in via autonoma con quella dell'imprenditore che ha effettivamente utilizzato dette prestazioni121”.
L’orientamento giurisprudenziale opposto, da considerarsi prevalente, rimanendo fermo sull’interpretazione letterale della norma, reputa, invece, il soggetto interposto esente da responsabilità in sede civile122.
7. LE POSSIBILI ARTICOLAZIONI DEL DIVIETO DI INTERPOSIZIONE: RILEVANZA DELLA FRODE VS. OGGETTIVITÀ E ASSOLUTEZZA DEL DIVIETO
I comportamenti vietati, da esegesi letterale della legge del ’60, erano esclusivamente quelli in cui era ravvisabile un proposito elusivo di norme imperative di legge. Il divieto era letto in termini di “fraudem legis”.
Secondo questa impostazione - prevalente nel primo decennio di applicazione della legge -, erano perseguibili come illecite solo quelle attività di intermediazione finalizzate alla soddisfazione di interessi non meritevoli di tutela123.
Qualora non fosse dimostrato l’intento elusivo della normativa lavoristica, l’attività trilaterale non poteva essere tacciata di irregolarità.
L’accertamento del rapporto interpositorio fraudolento era seguito dalla dichiarazione di nullità del negozio intercorrente tra appaltatore e appaltante e dalla costituzione di un
121 “Evidenziandosi nell'ambito di tale indirizzo: che si configura tra il committente ed il datore di lavoro interposto una obbligazione solidale per il pagamento delle retribuzioni”, così Cassazione Civile, Sezioni Unite, sentenza del 26 ottobre 2006, n. 22910 e ivi per ulteriori riferimenti giurisprudenziali;
122 In tal senso la già citata sentenza Cassazione Civile, Sezioni Unite, del 26 ottobre 2006, n. 22910: “Hanno osservato sul punto i giudici di legittimità che la "struttura del rapporto di lavoro subordinato, quale risulta dalla normativa sostanziale (art. 2094 c.c.) è bilaterale e non plurilaterale" ed hanno poi sottolineato che "il lavoratore che, agendo in giudizio, afferma l'esistenza di un rapporto con un certo datore di lavoro e ne nega uno diverso con altra persona, non deduce in giudizio alcun rapporto plurisoggettivo né alcuna situazione di contitolarità ma tende ad una utilità (il petitum) ottenibile rivolgendosi ad una sola persona, ossia al datore vero" mentre "l'accertamento negativo del rapporto fittizio con il datore di lavoro interposto - rapporto che per lo più è frutto di accordo simulatorio con il datore di lavoro interposto - costituisce oggetto di questione pregiudiziale, conosciuta dal giudice in via soltanto incidentale, ovvero senza vincolare il terzo attraverso la cosa giudicata, ovvero, ancora, senza alcuna lesione del suo diritto di difesa”;
123 Si veda X. XXXXXX, Il contratto di lavoro, op. cit., p. 403 ss.;
rapporto di lavoro subordinato diretto tra l’imprenditore ed i lavoratori da questi effettivamente utilizzati.
La dottrina maggioritaria tuttavia adottò in poco tempo un approccio differente nell’individuazione delle fattispecie illecite. Ben presto si superò la rilevanza dell’intento fraudolento o dell’accordo simulato ai fini dell’integrazione della fattispecie vietata124.
Ciò rileva come gli interessi perseguiti da tale norma si spingevano al di là della mera tutela dei diritti del lavoratore, addentrandosi verso la tutela di interessi generali dell’ordinamento, tra cui l’interesse all’affermazione dell’associazionismo sindacale, minacciato dai processi di frammentazione del sistema produttivo.
Se l’intento fraudolento non si manifestava come elemento costitutivo della fattispecie vietata, ne conseguiva che “il divieto operava su un piano oggettivo, quale che fosse stata la reale intenzione delle parti e anche a prescindere da una concreta elusione delle tutele del diritto del lavoro125”.
Poiché l’interposizione non può mai perseguire fini apprezzabili, allora la ratio del sistema sanzionatorio concepito dalla legge 1369/60 non può essere individuato nel proposito fraudolento del committente126 e pertanto il rapporto interpositorio è un “negozio illecito di per se stesso127”.
Questa interpretazione apre la strada alla lettura dell’interposizione come schema negoziale “contra legem” e all’inizio dello sfavore nei confronti di tutti i processi di decentramento produttivo, indipendentemente dallo strumento utilizzato per il loro compimento.
124 X. XXXXX, (continuato da) X. XXXXXXXXXX, Istituzioni di diritto del lavoro, op. cit., p. 437;
125 Ibidem. In Giurisprudenza si veda Corte di Cassazione, Sezioni Unite, 21 marzo 1997, n. 2517: “Il divieto d'intermediazione ed interposizione nelle prestazioni di lavoro (art. 1 l. 23 ottobre 1960, n. 1369), il quale è volto ad evitare che la dissociazione fra l'autore dell'assunzione e l'effettivo beneficiario delle prestazioni lavorative si risolva in un ostacolo al diritto del lavoratore di pretendere il più vantaggioso trattamento che gli sarebbe spettato se assunto direttamente da tale beneficiario, opera oggettivamente, prescindendo da un intento fraudolento o simulatorio delle parti e senza che l'incidenza del divieto stesso sia limitata al momento genetico del rapporto, ossia all'ipotesi in cui l'assunzione dei lavoratori da parte del datore di lavoro interposto coincida con l'inizio dell'esecuzione delle prestazioni lavorative a favore dell'effettivo beneficiario delle medesime. Pertanto, il divieto suddetto opera anche in un momento successivo alla costituzione del rapporto, ove il lavoratore distaccato presso altra impresa non renda più le proprie prestazioni al datore di lavoro distaccante, ma si ponga al servizio esclusivo dell'imprenditore di destinazione, pur continuando ad apparire alle dipendenze del primo, che assume così la figura dell'interposto ex art. 11. n. 1369 del 1960, cit.”;
126 L’irrilevanza dell’intento fraudolento, rilevato da XXXXXX nell’opera appena citata, è ribadito da numerosi autori. Vedi soprattutto X. XXXXXXXX, Rapporti interpositori e contratto di lavoro, op. cit., p. 134 ss; X. XX XXXXXX, Titolarità dei rapporti di lavoro e regole di trasparenza. Interposizione, imprese di gruppo, lavoro interinale, op. cit., p. 34. Tale irrilevanza è stata affermata dalla Suprema Corte, “il divieto predetto opera oggettivamente, indipendentemente dall'accertamento dell'esistenza di un accordo fraudolento tra il datore di lavoro intermediante e quello intermediato”, Xxxxx xx Xxxxxxxxxx, Xxxxxxx Xxxxxx, 00 Ottobre 1985, n. 5301, disponibile su xxx.xxx.xxxxxxx.xx, Indice A-Z, voce Appalto e Subappalto;
127 Ancora X. XXXXXXX, Somministrazione, appalto, organizzazione: politiche del diritto, interpretazioni, teorie organizzative, op. cit., p. 445;
Il testo della norma non cambia. Sono le interpretazioni dottrinali e giurisprudenziali a instradare il divieto di interposizione verso una totale ed incondizionata inibizione dell’uso dell’esternalizzazione128. “Non è essenziale, ai fini dell’applicazione del divieto, che l’interponente (…) abbia inteso eludere obblighi retributivi o contributivi, e neppure che il trattamento riservato ai lavoratori interessati sia obbiettivamente inferiore rispetto a quello a cui essi avrebbero avuto diritto se assunti direttamente alle dipendenze dello stesso utilizzatore129”. Il reato si configura indipendentemente da una effettiva lesione degli interessi dei lavoratori130.
8. DIVIETO DI INTERPOSIZIONE E APPALTO DI SERVIZI: I CRITERI ELABORATI DA DOTTRINA E GIURISPRUDENZA
All’indomani dell’entrata in vigore della legge 1369/60, dapprima la dottrina (e gli attori della contrattazione collettiva) e in seguito la giurisprudenza, si incaricarono di rendere compatibili i vincoli legali emergenti dal testo normativo e il tessuto produttivo di riferimento, svuotando progressivamente dall’interno il divieto di interposizione131. L’obsolescenza del testo normativo fu la ragione che spinse a elaborare una lettura contestualizzata delle norme in tema di interposizione, in modo da consentire la riduzione del divario creatosi tra diritto vivente e diritto statuale132. Era necessario ripensare la
128 Ibidem;
129 X. XXXXX, (continuato da) X. XXXXXXXXXX, Istituzioni di diritto del lavoro, op. cit., p. 437;
130 Cassazione Civile, Sezioni Unite, Sentenza del 26 ottobre 2006, n. 22910;
131 “Sulla scorta di un atteggiamento pragmatico, infatti, la giurisprudenza ha dimostrato che il modello interpretativo della legge n. 1369 del 1960 non fosse così rigido, lasciando spazi a prospettive applicative nuove ed equilibrate, di volta in volta supportate da un «buon senso pratico» nel discernere i casi di reale pericolo per le esigenze di tutela dei lavoratori, dai casi di moderna – e tutto sommato inevitabile – organizzazione dei processi produttivi”, X. XXXXXXX, Verso un nuovo assetto dei rapporti interpositori. Prime riflessioni sulla «tipizzazione» del contratto di somministrazione di lavoro, in Working Papers CSDLE, IT- 28/2004, disponibile su xxx.xxx.xxxxx.xx;
132 Com’è stato rilevato, l’obsolescenza dei testi normativi possono trasformare le opportunità strategiche in rischi e quindi in vincoli all’esercizio delle attività produttive. Si rimanda X. XXXXX, L’outsourcing: una strategia priva di rischi?, op. cit., p. 271. Per un’interessante analisi sulla necessità di rimodernare quegli istituti del diritto del lavoro “accusati di manifestare segni di invecchiamento” a causa “della modernizzazione del lavoro nella fabbrica industriale”, si rimanda a X. XXXXXXXXX, Organizzazione del lavoro e professionalità: una riflessione su contratto di lavoro e post-taylorismo, in Working Papers
C.S.D.L.E. "Xxxxxxx X'Xxxxxx", IT - 5/2003, disponibile su xxx.xxx.xxxxx.xx, ora anche in Giornale di diritto del lavoro e di relazioni industriali, 2004, fasc. 101, p. 1 - 99;
disciplina del rapporto di lavoro subordinato, tale da renderla coerente con i mutati assetti produttivi133.
Le rilevazioni rivenienti dal complesso dibattito sviluppatosi intorno alla legge 1369/1960 forniscono un ottimo punto di partenza per la lettura evolutiva della distinzione tra appalto e rapporti interpositori (e quindi anche con la somministrazione), in vista dell’analisi degli elementi di continuità e di rottura con la disciplina introdotta nel 2003.
La giurisprudenza, nell’intento di individuare i criteri da cui si potesse desumere la genuinità dell’appalto, prese inizialmente come punto di riferimento gli elementi tipici di tale contratto, come da disciplina civilistica.
I requisiti legali essenziali per il perfezionamento del contratto di appalto, scaturenti dal combinato disposto dell’art. 2082 c.c. e dell’art. 1655 c. c., sono stati da subito elevati a elementi sintomatici della legittimità dell’appalto.
L’autonoma organizzazione dei mezzi, dei capitali e delle persone, l’assunzione del rischio di impresa e la professionalità nell’esercizio dell’attività sono prontamente qualificati come indici rivelatori del carattere imprenditoriale dell’attività economica esercitata dall’appaltatore.
La verifica della genuinità dell’appalto è stata così “affidata all’accertamento del carattere imprenditoriale del presunto appaltatore134”, verifica rimessa alla valutazione del giudice. Ne consegue che se il soggetto interposto è un imprenditore allora è ragionevolmente presumibile la genuinità del collegamento negoziale che lo lega all’impresa committente. La presunzione di illiceità contenuta nel terzo comma dell’art. 1 dava una ulteriore conferma a questa interpretazione. L’utilizzo di strumenti forniti dall’appaltante era considerato indicatore dell’assenza dell’organizzazione di impresa e, quindi, del carattere imprenditoriale dell’attività realizzata dall’appaltatore135. L’appalto era considerato lecito qualora fosse verificata l’esistenza di una autonoma organizzazione dei mezzi e la gestione a proprio rischio dell’attività di impresa.
133 Ibidem;
134 X. XXXXXXX, “Contractual integration” e rapporti di lavoro. Uno studio sulle tecniche di tutela del lavoratore, op. cit., p. 13. È da evidenziare che parte della dottrina perviene alle medesime conclusioni percorrendo una strada differente. L’art. 1 della legge 1369 rileva come caratteristica fondamentale dello pseudo appalto “l’effettiva utilizzazione” dei lavoratori da parte del committente (e quindi l’esercizio del potere direttivo espressione della tipica supremazia gerarchica datoriale) sintomatico del rapporto di subordinazione, il che ci conduce alla stessa conclusione: l’assenza del requisito di imprenditorialità dell’appaltatore. Sul punto si rimanda X. XXXXXXXXXX, Le sabbie mobili del divieto di interposizione, op. cit., p. 3228;
135 Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, sentenza del 25 giugno 2001, n. 8643 “quando in un appalto un'impresa non conferisce i mezzi necessari per la produzione o per l'opera, né conferisce alcun capitale, è evidente che l'investimento è stato solo di mera mano d'opera, non essendovi capitale impiegato”;
In conclusione, in tutte le ipotesi in cui non era apprezzabile il carattere imprenditoriale dell’attività posta in essere dall’appaltatore, si poteva ragionevolmente dedurre l’illegittimità del rapporto negoziale.
Quest’interpretazione escludeva la possibilità che attività a bassa intensità organizzativa e ad alta intensità di lavoro potessero legittimamente (ad eccezione delle ipotesi fatte salve nell’art. 5) formare oggetto di appalti di servizi.
La Suprema Corte lo nega espressamente, poiché in queste ipotesi manca il requisito dell’imprenditorialità: “non si può allora ravvisare organizzazione (…) qualora l'apporto dell'appaltatore si esaurisca nella gestione del personale, finalizzata alla sua messa a disposizione in favore del committente, giacché manca un autonomo risultato produttivo136”.
La pratica, tuttavia, fece trasparire l’inadeguatezza di questi criteri, incapaci concretamente di operare un netto distinguo tra appalti leciti e mera interposizione, con ripercussioni negative in termini di certezza del diritto137.
L’elemento della gestione a proprio rischio risultò subito di difficile accertamento, data la difficoltà concreta di dimostrare il soggetto su cui ricade il rischio di gestione138. Pertanto l’attenzione è stata progressivamente orientata sull’esistenza o meno dell’organizzazione dei mezzi, persone e capitali.
Quest’ultimo connotato, quale elemento qualificatorio della fattispecie appalto genuino, è stato per lungo tempo legato alla consistenza strumentale dell’organizzazione aziendale dell’appaltatore.
La giurisprudenza, richiamando l’art. 1 della legge del 1960, escluse la possibilità che si potesse parlare di organizzazione autonoma dei mezzi, qualora gli strumenti necessari all’adempimento dell’obbligazione contrattuale fossero forniti dall’impresa committente, anche nel caso in cui detto utilizzo sia accordato a titolo oneroso139.
La presenza in capo all’appaltatore del complesso di beni con cui si identifica l’organizzazione era ritenuto sintomatico dell’esistenza di un’autonoma organizzazione
136 Cassazione Civile, Sezione Lavoro, sentenza del 22 agosto 2003, n. 12363;
137 “L’esperienza pratica mette in luce come, sovente, il terreno su cui attecchisce il divieto di interposizione sia costituito da vere e proprie sabbie mobili non distinguibili dalla zona degli appalti leciti e quindi capaci di afferrare chi lì si avventuri senza le opportune precauzioni”, X. XXXXXXXXXX, Le sabbie mobili del divieto di interposizione, op. cit., p. 3228;
138 Elemento di difficile accertamento soprattutto riguardo agli appalti c.d. labour intensive, in cui il rischio è strettamente legato al comportamento dei lavoratori (negligenza, assenze etc.), X. XXXXXX, Somministrazione di lavoro, appalto di servizi, distacco, in Pedrazzoli (coordinatore), Il nuovo mercato del lavoro, Zanichelli, Bologna, 2004, p. 265;
139 Si veda Cassazione civile, sezione lavoro, del 13 agosto 2008, n. 21573;
aziendale e della sua capacità produttiva140, aspetti reputati consoni alla qualificazione del rapporto come lecito141. Indipendentemente dal fatto che l’appaltatore esercitasse il potere datoriale sui propri dipendenti.
Il diritto vivente giurisprudenziale, così come definito da Xxxxxxxx000, dedusse dal terzo comma dell’art. 1 della legge in esame una presunzione assoluta di mancanza di genuinità nell’appalto per carenza del requisito dell’imprenditorialità in capo all’appaltatore, senza possibilità di poter dimostrare il contrario143.
In sintesi, la locazione – reale o fittizia – di impianti e di macchine necessari all’esercizio dell’appalto non avrebbe altro scopo se non quello di mascherare una interposizione nel lavoro. Trattasi di una presunzione di illiceità dell’appalto ancorata all’immagine organizzativa della grande impresa industriale, dotata di una organizzazione strumentale consistente e tangibile. Nell’impresa fordista la solidità economica era direttamente proporzionale alla dotazione strumentale organizzata e gestita direttamente dall’imprenditore.
Questa labile distinzione non convince però tutta la dottrina. “La distinzione fra segmentazione del processo produttivo socialmente pericolosa ed esternalizzazione fisiologica di funzioni imprenditoriali non passa di lì 144”. Non si può fare riferimento ai
140 X. XXXXXXX, “Contractual integration” e rapporti di lavoro. Uno studio sulle tecniche di tutela del lavoratore, op. cit., p. 30;
000 X. XX XXXX XXXXXX, Xxxxxxxxxxx dell’impresa e nuova disciplina dell’interposizione, op. cit., p. 176. Il mancato possesso dei mezzi di produzione necessari per l’esecuzione dell’obbligo contrattuale rende l’interprete titubante della presenza di autonomia organizzativa e gestionale dell’attività esercitata dall’appaltatore; X. XXXXXXXXXX, Le sabbie mobili del divieto di interposizione, op. cit., p. 3229;
142 X. XXXXXXXX, Il mondo al di là dello specchio: la delega sul lavoro e gli incerti confini della liceità nei rapporti interpositori, op. cit., p. 9;
143 Si tratta di una presunzione che non ammette prova contraria (come più volte ha riconosciuto la giurisprudenza della Suprema Corte, che può oramai ritenersi consolidata sul punto). Essa costituisce una valutazione legale tipicamente predeterminata: ogni volta che si accerti la fornitura dei mezzi di organizzazione e di produzione (anche di uno solo di quelli elencati nella legge) scatta la presunzione di appalto illecito, vietato dall'art. 1. Si rimanda a Corte di Cassazione, Sezione lavoro, sentenza del 19 Luglio 2005, n. 15166, disponibile su xxx.xxx.xxxxxxx.xx, indice A-Z, voce Appalto e Subappalto. Ancora Cassazione Civile, Sezione Lavoro, 11 Settembre 2000, n. 11957;
144 X. XXXXXX, nella relazione Sulla nuova disciplina dell’interposizione nel disegno di legge-delega in materia di lavoro, presentata durante la Giornata di Studio dell’Università degli Studi di Milano sul tema “Quale futuro per il diritto del lavoro” – 12 aprile 2002, afferma efficacemente che “non riesco molto a commuovermi all’idea che una “chiave di volta” del sistema di protezione dei lavoratori possa consistere in un sottilissimo, quasi impalpabile “distinguo” puramente concettuale, qual è quello fra interposizione e appalto di servizi. Mi spiego. Quando verso sera le belle aule di questa Università vengono invase da un esercito di lavoratori inviati dall’impresa appaltatrice del servizio di pulizia, questo può avvenire legittimamente perché quell’impresa formalmente si è obbligata a un opus determinato: i nostri pavimenti puliti (oppure, se si preferisce, a un determinato servizio: la pulizia dei nostri pavimenti). Ma la posizione sostanziale di quei lavoratori sarebbe esattamente la stessa, il “rapporto materiale di produzione” - per usare una ormai desueta terminologia marxiana - sarebbe esattamente lo stesso se nel contratto fra Università e impresa fosse scritto che oggetto dell’obbligazione è la mera fornitura del lavoro. Il “distinguo” è puramente
mezzi di produzione per chiarire la distinzione concettuale tra fornitura di lavoro e appalto di servizi. Non è la proprietà dei beni di produzione che può modificare la qualificazione dello stesso rapporto e incidere sulla liceità della relazione.
La progressiva smaterializzazione dell’impresa - cresciuta esponenzialmente con l’affermarsi del settore dei servizi e del settore informatico -, evidenziò l’inadeguatezza dell’apparato strumentale quale criterio discriminante tra appalto lecito e interposizione illecita145.
Si pensi agli appalti a bassa intensità organizzativa, anche definiti labour intensive146, nei quali il requisito organizzativo si confonde con l’organizzazione del lavoro oppure ai settori ad alta intensità tecnologica dove l’apporto di beni immateriali supera di gran lunga l’apporto di beni materiali147.
Il distinguo tra area di liceità e illiceità, così come strutturato dall’interpretazione giurisprudenziale, aveva perso le fondamenta su cui era edificato. Era doveroso un cambiamento di rotta - o quantomeno una relativizzazione della presunzione di illiceità -,
formale e astratto: la posizione, i rischi, il bisogno di tutela di quei lavoratori sono, nei due casi, esattamente gli stessi. Non è certo l’uso di uno spazzolone e di uno straccio di proprietà dell’impresa di pulizia a mutare la qualità economico-sociale del rapporto. La stessa identica cosa potremmo dire di una infinità di rapporti di “esternalizzazione” che abbiamo quotidianamente sotto gli occhi: quello dei vigilantes forniti dai c.d. “istituti di vigilanza” alle banche, quello degli addetti ai vagoni-cuccette delle Ferrovie, forniti dalla Compagnia Vagoni Letto, quello dei manutentori operanti in permanenza presso imprese industriali medie o grandi ma dipendenti da imprese appaltatrici del servizio di manutenzione, quello degli impiantisti che vengo-no inviati dal subappaltatore nei cantieri edili a eseguire la posa di tubature o impianti elettrici nelle case in costruzione, e così via. Tutti casi, questi, in cui la condizione del lavoratore e l’esigenza di una sua protezione sarebbero assolutamente identiche se nel contratto con il committente fosse indi-cata come oggetto della prestazione dell’appaltatore, invece che l’opera (vigilanza, manutenzione, posa dell’impianto, ecc.), la mera fornitura della manodopera necessaria per l’esecuzione dell’opera.” La trascrizione della citata relazione è disponibile sul sito internet xxx.xxxx.xxxxx.xx/xxx00XX00.xxx;
145 In questa prospettiva X. XX XXXXXX, Titolarità dei rapporti di lavoro e regole di trasparenza. Interposizione, imprese di gruppo, lavoro interinale, op. cit., p. 60; R. DE XXXX XXXXXX, Metamorfosi dell’impresa e nuova disciplina dell’interposizione, op. cit., p. 175;
146 Per gli appalti labour intensive, l’attività amministrativa di gestione dei rapporti di lavoro (retribuzioni, permessi, ferie etc.) non è di per sé sufficiente a distinguere gli appalti dalla mera somministrazione, X. XXXXX, La distinzione fra interposizione e appalto e le prospettive della certificazione, in Tiraboschi M., Reggiani Gelmini P. (a cura di), “Le esternalizzazioni dopo la riforma Biagi. Somministrazione, appalto, distacco e trasferimento d’azienda”, Milano, Xxxxxxx Editore, Collana Adapt n. 12, 2006, p. 290;
147 I. XXXXXX, Il confine fra appalto e interposizione nel d. lgs 10 settembre 2003, n. 276, op. cit., p. 1042. Negli appalti ad alto contenuto tecnologico il know how posseduto dall’organizzazione è stato elevato dalla Cassazione a requisito discriminante per la valutazione della liceità dell’appalto. Sentenza Cassazione 19 ottobre 1990, n. 10183, disponibile su xxx.xxx.xxxxxxx.xx, indice A-Z, voce Appalto e Subappalto. Sul punto si rimanda anche a DE XXXX XXXXXX X., PATERNÒ F., Art. 29 – Appalto, in De Xxxx Xxxxxx R., Xxxxxxx Xxxxxxxxxx G. (a cura di) Il nuovo mercato del lavoro. Commentario al d. lgs 10 settembre 2003 n.
276 («Riforma Biagi»), Xxxxx, Padova, 2007, p. 428, che rileva come “escludere a priori tali realtà imprenditoriali smaterializzate dall’ambito degli appalti, sarebbe stato palesemente iniquo e frutto di un mancato aggiornamento interpretativo dell’art. 1, peraltro non precluso dalla lettera e dallo spirito della norma”;
ragionevolmente plasmabile alle peculiarità del singolo caso da giudicare (e all’entità dell’apporto strumentale del committente rispetto a quello dell’appaltatore)148.
L’attività organizzativa dell’appaltatore può esprimersi anche nel coordinamento dei fattori produttivi utilizzati e nell’esercizio del potere direttivo ed organizzativo nei confronti dei lavoratori impiegati149.
Le conoscenze e l’esperienza dell’impresa appaltatrice, c.d. dato immateriale, possono essere un valido elemento su cui valutare la genuinità dell’appalto, anche nel caso in cui gli strumenti materiali siano forniti dal committente, purché il know how risulti prevalente150. L’attenzione si sposta sul dato “dell’effettiva utilizzazione” della prestazione lavorativa. Criterio questo, che lega il lavoratore a chi effettivamente esercita i poteri datoriali di direzione e controllo nella gestione del rapporto di lavoro151.
In questa seconda lettura del divieto di interposizione, il canone lavoristico dei contratti di appalto (in altre parole l’accertamento dell’esistenza di un rapporto di lavoro diretto tra prestatore e pseudo-committente) prevalse sul canone commercialistico (vale a dire la verifica dell’imprenditorialità dell’appaltatore).
Il quinto comma dell’art. 1, disciplinante le conseguenze sanzionatorie della violazione del divieto di interposizione, è assunto come base per l’individuazione degli elementi costitutivi della fattispecie vietata. Tale tesi si afferma nel periodo in cui l’interposizione è
148 “Secondo quanto precisato da questa Corte, l'utilizzazione di fattori produttivi messi a disposizione dal committente non comporta le conseguenze legali tipiche di cui a detta presunzione, qualora risulti il ruolo prevalente dei fattori produttivi o organizzativi apportati dall'appaltatore”, Cassazione Civile, Sezione Lavoro, 30 Ottobre 2002, n. 15337. Si veda inoltre sentenza Corte di Cassazione, Sezione lavoro, sentenza del 19 Luglio 2005, n. 15166, entrambe disponibili su xxx.xxx.xxxxxxx.xx, indice A-Z, voce Appalto e Subappalto. Ancora in questo senso si vedano le più recente Cassazione civile, Sezione lavoro, del 26 novembre 2008, n. 28273; Cassazione civile, sezione lavoro, del 14 novembre 2008, n. 27164;
149 X. XXXXXXX, “Contractual integration” e rapporti di lavoro. Uno studio sulle tecniche di tutela del lavoratore, op. cit., p. 53. Negli appalti a forte intensità di lavoro, la genuinità dell’appalto può essere valutata ricorrendo ai consolidati requisiti di qualificazione del rapporto di lavoro subordinato, per stabilire concretamente il soggetto cui deve essere imputato il rapporto di lavoro, M. T. CARINCI, L’unicità del datore di lavoro – quale parte del contratto di lavoro, creditore della prestazione e titolare di tutte le posizioni di diritto, potere, obbligo ad esse connesse – è regola generale dell’ordinamento giuslavoristico, op. cit., p. 1032. Sul punto si rimanda anche a Cassazione civile, sezione lavoro, del 13 agosto 2008, n. 21578;
150 Vedi sentenza Corte di Cassazione, Sezioni Unite, sentenza del 19 ottobre 1990, n. 10183, in Foro Italiano, 1992, p. 524. Sulla scorta di questo nuovo orientamento c’è stato chi ha sostenuto che il know how dell’impresa può essere utilizzato come un valido indice di stima del livello di professionalità dell’appaltatore. Le conoscenze tecniche, scientifiche che caratterizzano il patrimonio “tecnico-intellettuale” di una organizzazione necessitano comunque di una organizzazione di tipo imprenditoriale, X. XXXXXX, La disciplina della segmentazione del processo produttivo e dei suoi effetti sul rapporto di lavoro, op. cit.; X. XXXXXXX, “Contractual integration” e rapporti di lavoro. Uno studio sulle tecniche di tutela del lavoratore, op. cit., p. 32. In giurisprudenza anche Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, sentenza del 11 maggio 1994, n. 4585;
151 In questo senso, tra gli altri, X. XXXXXXX, Tra vecchia e nuova disciplina: cos’è cambiato in tema di appalto di manodopera?, in Giurisprudenza Piemontese, Unione Industriale Torino, n. 2, 2007;
letta come fattispecie “contra legem”. Se all’appalto di manodopera consegue l’accertamento dell’esistenza di un rapporto di lavoro diretto con il committente allora, si ravvisa interposizione ogni qual volta questi eserciti i tipici poteri datoriali nei confronti del lavoratore formalmente dipendente dall’appaltatore152.
L’esercizio del potere direttivo - e l’inserimento del lavoratore nell’organizzazione dell’impresa committente - evidenziano l’illegittimità dell’interposizione e l’esistenza di un classico rapporto di lavoro subordinato con il soggetto che concretamente utilizza la prestazione lavorativa.
Il processo di aggiornamento della normativa giuslavoristica degli appalti era dunque inevitabile.
La fuga dal diritto del lavoro e il venir meno dell’unitarietà delle posizioni datoriali ha reso ancor più evidente lo scollamento del diritto statuale e tessuto economico produttivo che si vuole governare. Dottrina e Giurisprudenza, nel costante intento di inseguire la mutevole realtà economica, cercano sempre in maniera più raffinata dei correttivi in grado di non includere nel divieto le forme di esternalizzazione che sono espressione di moderne tecniche di organizzazione imprenditoriale153. Xxxxxxxxxx che hanno indotto alcuni autori a parlare di “chiusura d’occhio selettiva154” nell’applicazione delle norme.
Secondo autorevole dottrina, l’inserimento dell’attività svolta dall’appaltatore nella struttura dell’impresa committente155, il concetto di utilizzazione effettiva della prestazione lavorativa (e l’esercizio del potere direttivo), il carattere imprenditoriale dell’attività svolta dall’appaltatore - espresso in termini di consistenza strumentale dell’organizzazione aziendale -, sono tutti criteri inidonei a realizzare un netto distinguo tra appalti leciti ed interposizione illecita e a predisporre una tutela effettiva delle posizioni lavorative.
Bisognerebbe piuttosto guardare al rapporto intercorrente tra committente e interposto, riproponendo pertanto il profilo commercialistico del divieto. È in relazione a tale legame che si può valutare la imprenditorialità dell’attività realizzata dall’appaltatore.
152 Secondo questa interpretazione non è vietato all’imprenditore “porre in essere intese fraudolente, quanto acquisire attraverso schemi giuridici diversi dal contratto di lavoro la utilizzazione della forza lavoro”, X. XXXXXXXX, Il mondo al di là dello specchio: la delega sul lavoro e gli incerti confini della liceità nei rapporti interpositori, op. cit., p. 311;
153 X. XXXXXXX, Somministrazione, appalto, organizzazione: politiche del diritto, interpretazioni, teorie organizzative, op. cit., p. 465;
154P. XXXXXX, Il lavoro interinale e gli altri varchi nel “muro” del divieto di interposizione, in Giornale del Diritto del Lavoro e relazioni industriali, Studi in onore di Xxxxxxxx Xxxxxxx, n. 75, 1997;
155 Secondo la Suprema Corte “per la sussistenza dell'illecito penale, non è sufficiente che l'appaltatore svolga il medesimo servizio compiuto dall'impresa appaltante, essendo necessario accertare se i lavoratori siano diretti effettivamente dallo stesso appaltatore e se questi abbia assunto il rischio di impresa”, Corte di Cassazione, Sezione III Penale, del 27 febbraio 2008, n. 16136;
Imprenditorialità che ove esistente permette di qualificare un appalto come genuino e ove assente consente di qualificare la relazione come interposizione illecita156.
Dalla breve analisi condotta sulla valutazione evolutiva del soggetto interposto, si desume come il confine tra appalto, specie se di servizi, e quella che oggi è definita somministrazione di manodopera è apparso concretamente labile157. Alcuni hanno parlato di una linea d’ombra158 che divide queste due fattispecie strutturalmente differenti, che assolvono funzioni diverse, ma che tuttavia presentano dei confini sfumati.
9. MODELLI DI TUTELA DEI LAVORATORI IN APPALTO: PARITÀ DI TRATTAMENTO E VINCOLO SOLIDALE
Il divieto generale posto dall’art. 1 avrebbe potenzialmente travolto forme di appalto aventi ad oggetto la fornitura di alcuni specifici servizi. Ipotesi di appalto che senza una esplicita menzione sarebbero stati qualificati come appalti di manodopera e pertanto vietati.
La necessità di scongiurare questo rischio porta alla previsione di cui agli artt. 3 e 5 della legge 1369/60, che individuano un elenco tassativo di attività quali oggetto di appalti legittimi, sottoposti ad una specifica tutela dei rapporti di lavoro.
Come osservato dalla Giurisprudenza, “la tipologia degli appalti, vietati oppure consentiti, dalla legge 23 ottobre 1960, n. 1369 si desume non solo dall'art. 1, commi 1 e 3, che pone il principio generale del divieto di appalti di mera manodopera, ma anche dagli artt. 3 e 5, i quali, nel dettare la disciplina degli appalti leciti, forniscono utili criteri tipologici interpretativi di quelli illeciti159.
156 Di quest’avviso X. XXXXXX, Il lavoro interinale e gli altri varchi nel “muro” del divieto di interposizione, op. cit., p. 515;
157 La fornitura di manodopera è chiamata somministrazione in virtù della sua durata, “che è proprio di qualsiasi prestazione lavorativa subordinata”, X. XXXXXX, Il contratto di lavoro, op. cit., p. 384;
158 X. XXXXXX, Le nuove esternalizzazioni tra fornitura di prestazioni lavorative (somministrazione e distacco) e appalti labour intensive, op. cit., p. 197;
159 Ancora in Giurisprudenza: “Risulta palese la differenza fra l'ipotesi formulata all'art. 1 e quella disciplinata al primo comma dell'art. 3 della legge n. 1369 del 1960: l'una, come risulta espressamente dal terzo comma, esclude un'organizzazione ed una gestione propria dell'appaltatore, l'altra concerne un vero contratto d'appalto, avente ad oggetto opere o servizi da eseguire nell'interno dell'azienda dell'appaltante (…). Il contenuto normativo dell'art. 3 L. n. 1369 del 1960 precisa quindi gli elementi per interpretare l'effettiva portata dell'art. 1 e fornisce indicazioni ai fini dell'indagine diretta ad accertare se, nel caso concreto, i dipendenti dell'appaltatore siano stati effettivamente organizzati e gestiti dal committente. Da esso si ricava che, in astratto, l'imprenditore può affidare in appalto (lecito) tutte le attività in grado di fornire un autonomo
L'art. 3, lungi da essere una norma derogatoria del principio generale xxxxxxx nell'art. 1, nel momento in cui rafforza la tutela dei dipendenti dell'appaltatore negli appalti leciti, indirettamente delimita il perimetro di quelli illeciti”160.
La prescrizione contenuta nell’art. 3 salvaguarda la parità di trattamento tra i lavoratori dipendenti del committente ed i lavoratori impiegati in appalti (leciti), da eseguirsi all’interno dell’impresa161. I lavori di facchinaggio, di pulizia e di manutenzione ordinaria degli impianti, attività di esazione, installazione e lettura contatori, manutenzione di reti di distribuzione e di trasporto, allacciamenti, costruzione di colonne montanti etc. sono esempi delle attività di appalto considerate, per espressa previsione normativa, lecite – sempre se eseguite con organizzazione e gestione propria dell’appaltatore162 -.
Si tratta in prevalenza di attività ad esecuzione manuale - appalti ad alta intensità di lavoro e a bassa intensità organizzativa 163-, rientranti in linea di principio nel divieto di cui all’art. 1, poiché potrebbero essere qualificati come appalti di mera manodopera.
Sono tutte fattispecie che sono fatte salve dal generico divieto di interposizione ma che configurano appalti genuini a forte rischio di sottotutela. Da ciò discende la specifica tutela riconosciuta ai lavoratori impiegati negli appalti intra-aziendali164, che consiste nel legare il committente e l’appaltatore mediante il vincolo di solidarietà e nell’applicazione della parità di trattamento.
L’intento perseguito dal legislatore era rendere omogeneo il trattamento economico normativo applicato ai dipendenti del committente e dell’appaltatore, al fine di
risultato produttivo, senza che sia consentito escludere l'ipotesi in cui l'organizzazione del committente sarebbe in grado di eseguire direttamente la lavorazione, sfuggendo al sindacato giurisdizionale l'esistenza di valide ragioni per il ricorso alla convenzione di appalto”, Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, sentenza del 12 dicembre 2001, n. 15665;
160 Cassazione Civile, Sezione Lavoro, sentenza del 29 agosto 2003, n. 12664;
161 X. XXXXXX, Il contratto di lavoro, op. cit., p. 504;
163 X. XXXXXXX, La disciplina delle responsabilità solidali negli appalti e nei subappalti: lo stato dell’arte in continuo movimento, op. cit., p. 9;
164 Sugli appalti intra-aziendali si veda X. XXXXXXXX, X. XXXXXXXX, Il contratto di appalto nel diritto civile e pubblico, op. cit., p. 37;
condizionare il prezzo dell’appalto, scoraggiando le forme di speculazione sul lavoro altrui. A parità di lavoro c’è parità di trattamento, allora il prezzo dell’appalto non può essere il risultato del disconoscimento dei diritti dei dipendenti dell’appaltatore. Questa disposizione avrebbe potuto porre un limite al contenimento del prezzo dell’appalto realizzato mediante una corsa al ribasso del costo del lavoro165.
Il trattamento normativo e retributivo minimo inderogabile applicabile ai lavoratori impiegati dall’appaltatore non può essere, pertanto, inferiore rispetto a quello riconosciuto al dipendente del committente.
I trattamenti sono comparabili se si svolgono mansioni simili. Allo scopo di determinare quale sia il trattamento applicabile al lavoratore impiegato nell’appalto, si guarda al contenuto della prestazione lavorativa di entrambi. A parità di posizione lavorativa corrisponde un determinato trattamento economico normativo.
L’applicazione del suddetto vincolo avrebbe disincentivato quelle forme di esternalizzazione elusive delle garanzie riconosciute ai lavoratori e avrebbe - al contrario - guidato i committenti sulla via delle segmentazioni puramente fisiologiche, dettate dalla convenienza organizzativa166.
L’innalzamento delle tutele predisposte per i lavoratori impiegati negli appalti intra- aziendali è rafforzato dalla previsione dell’obbligo di responsabilità solidale tra appaltante ed appaltatore riguardante i diritti di natura contributiva e retributiva dei lavoratori coinvolti.
Il vincolo della co-obbligazione solidale non ha una durata illimitata. Tali diritti possono essere esercitati dai dipendenti dell’appaltatore durante l’esecuzione del contratto di appalto e sino ad un anno dalla cessazione dello stesso167. Decorso questo termine i diritti dei prestatori di lavoro riconosciuti dall’art. 3 si intendono decaduti e nei loro confronti è applicabile la sola tutela codicistica.
165 L’ottica era quella di “impedire che l’appalto costituisca un disconoscimento di quei diritti dei lavoratori dell’appaltatore, dei quali essi diventerebbero titolari se dipendessero dal committente”, X. XXXXXXX, Contractual integration e rapporti di lavoro. Uno studio sulle tecniche di tutela del lavoratore, op. cit., p.
157. Sul punto si veda anche Cassazione 22 aprile 2000 n. 5296, con nota di X. XXXXXXXXX, La corrispondenza di mansioni come presupposto del diritto alla parità di trattamento nell'appalto introaziendale, in Rivista Italiana di Diritto del Lavoro, n. 1, vol. 20, p. 33-35, 2001;
166 Sul punto si rimanda a X. XXXXXX, Il contratto di lavoro, op. cit., p. 505. È doveroso ricordare che la devoluzione di attività o servizi in appalto non comporta necessariamente o esclusivamente vantaggi economici ma anche organizzativi. Si pensi a titolo di esempio alla riduzione della struttura dell’impresa, alla certezza dei costi che gravano sull’impresa, alla maggiore flessibilità nell’uso della forza lavoro ecc.;
167 Art. 4, legge 1369/1960. In Giurisprudenza, si veda Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, sentenza del 17 gennaio 2007, n. 996;
La norma in esame supera il limite insito nell’art. 1676 c.c.. Il vincolo solidale gravante sul committente non è circoscritto al solo debito che questi ha nei confronti dell’appaltatore al tempo in cui i dipendenti propongono domanda, ma racchiude tutti i diritti economici del lavoratore, indipendentemente, quindi, dal fatto che il committente abbia versato o meno il corrispettivo per l’esecuzione dell’appalto.
La disciplina della responsabilità solidale e il vincolo della parità di trattamento negli appalti non si applicano, tuttavia, alle ipotesi di appalto elencate nell’articolo 5.
Si tratta di appalti di servizi endo-aziendali in cui può essere esclusa a priori la possibilità che il committente si prefigga fini non meritevoli di tutela, quali il risparmio economico conseguente alla mera frammentazione del processo produttivo. Rientrano in questa categoria:
- gli appalti per costruzioni edilizie da eseguirsi all’interno degli stabilimenti;
- gli appalti per il trasporto da e per lo stabilimento;
- gli appalti per l’installazione e montaggio di macchinari e impianti;
- gli appalti per l’esecuzione dei lavori di facchinaggio, pulizia e manutenzione ordinaria degli impianti conclusi con aziende appaltatrici che operano in regime di pluricommittenza (in altri termini impiegano il proprio personale a favore di più imprese committenti contemporaneamente);
- gli appalti per prestazioni saltuarie e occasionali, di breve durata, non ricorrenti normalmente nel ciclo produttivo dell’impresa;
- gli appalti che si riferiscono a particolari attività produttive, le quali richiedano, nelle varie fasi, l’impiego di manodopera che abbia una professionalità diversa rispetto a quella normalmente impiegata nell’impresa. È necessario in tal caso che l’impiego non abbia carattere continuativo;
- gli appalti per lavori di manutenzione straordinaria;
- gli appalti per la gestione dei posti telefonici pubblici.
Il rafforzamento della tutela dei lavoratori è limitato, come abbiamo visto, ai soli appalti da eseguirsi all’interno delle aziende. La dottrina si è dovuta presto confrontare con il problema della delimitazione della nozione di appalto interno, al fine di individuare l’ambito di applicazione del principio solidaristico e paritario.
Negli anni ‘60 la delimitazione dell’ambito di applicazione delle tutele era agevole: erano reputati interni tutti gli appalti topograficamente eseguiti all’interno dei confini aziendali. I lavoratori impiegati nella stessa struttura, che lavorano “fianco a fianco”, dovevano essere destinatari del medesimo trattamento.
Lo spazio fisico di lavoro costituiva il distinguo tra quello che era interno all’azienda e quello che non lo era. Criterio topografico costruito su misura per l’impresa di stampo fordista, caratterizzata da grandi stabilimenti in cui si realizzava interamente il ciclo produttivo.
L’evoluzione tecnologica e l’uso massiccio di tecnologie informatiche nei processi produttivi hanno influenzato il superamento della nozione di appalto interno secondo il criterio topografico. Le innovazioni tecnologiche – con il conseguente accorciamento delle distanze spazio/temporali - hanno reso estremamente evanescenti i confini (fisici) aziendali.
Il criterio topografico venne ben presto sostituito dal criterio funzionale, ancor oggi prevalente168. Un appalto può essere considerato interno all’impresa nel momento in cui l’attività dedotta in contratto afferisce al ciclo produttivo dell’impresa committente. Se ne deduce che l’impresa ha una “struttura tipica” riguardo al suo prodotto finale169.
In linea con l’interpretazione consolidata per appalti esterni, invece, si devono intendere tutte quelle forme di appalto non collegate funzionalmente al normale ciclo produttivo dell’impresa appaltante, e pertanto destinatarie della limitata tutela contenuta negli articoli 1676 ss. c.c..
I risultati prodotti dal criterio funzionale, tuttavia, si sono rivelati insoddisfacenti. La specializzazione produttiva e ancora una volta il progresso tecnologico rendono difficile stabilire quale sia la struttura tipica dell’impresa. Stante la difficoltà di accertare nella pratica quali sono gli appalti interni destinatari di una tutela rafforzata e quali gli appalti esterni esclusi da tali garanzie, era necessario superare questo distinguo puramente concettuale.
La costruzione dottrinale che poggia dietro la nozione di appalto interno non può non tenere conto del profilo di criticità derivante dall’applicazione di una tutela così pregnante ai soli lavoratori impiegati in appalti intra-aziendali. Non si comprendono appieno la
168 “Alla luce della giurisprudenza di questa Corte di Cassazione la quale ha interpretato la dizione "all'interno" non in riferimento ad una collocazione fisica interna alla struttura aziendale del committente (pulizia degli uffici, mensa, manutenzione degli impianti) ma in riferimento al "ciclo produttivo" del committente. (…). Nell'interpretazione della L. n. 1369 del 1960, art. 3, l'espressione "nell'interno delle aziende" non va intesa come mero riferimento topografico, nel senso che l'attività dell'appaltatore debba necessariamente svolgersi nell'interno dello stabilimento o degli stabilimenti dove ha sede l'attività produttiva dell'appaltante, bensì nel senso che debba riguardare un settore dell'organizzazione tecnica propria dell'impresa concedente l'appalto, ossia del suo ciclo produttivo (Cass. 5.4.2000 n. 4237)”, così Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, massima del 19 marzo 2008, n. 7384; Nello stesso senso Corte di Cassazione, sezione lavoro, sentenza del 23 agosto 2000, n. 1104 e Corte di Cassazione, sezione lavoro, sentenza del 9 giugno 2000, n. 7917;
169 X. XXXXXX, Il contratto di lavoro, op. cit., p. 510;
ragioni in virtù delle quali hanno diritto a ottenere una protezione più intensa i lavoratori che si trovino a svolgere l’attività lavorativa a stretto contatto con i dipendenti del committente e non anche la manodopera impiegata in appalti esterni ma che sono comunque a rischio di sotto tutela.
I lavoratori hanno interesse a vedere tutelata la propria posizione economica indipendentemente dal fatto che l’appalto sia considerato interno o meno all’impresa committente.
Secondo autorevole dottrina, la tutela dei lavoratori negli appalti deve prescindere da criteri legati al collegamento con il ciclo produttivo dell’impresa. L’appalto meritevole di una tutela più pregnante è quello reso in monocommittenza. La dipendenza economica dell’appaltatore incide sulla posizione nel mercato delle imprese appaltatrici e sul loro grado di autonomia170. Una impresa che lavora in regime di pluricommittenza ha un grado di autonomia maggiore e una posizione sul mercato solida. I dipendenti delle imprese che operano, invece, in mono-committenza sono maggiormente esposti al rischio di sottotutela, poiché le imprese appaltatrici sono legate da una forte dipendenza economica al committente171. L’asimmetria nella distribuzione del potere contrattuale tra le parti coinvolte nel contratto di appalto potrebbe pregiudicare i dipendenti dell’appaltatore. È nei confronti di questi ultime che si dovrebbe predisporre una tutela più pregnante, mediante l’estensione degli standard di trattamento applicati ai dipendenti dell’impresa committente e attraverso la valorizzazione della regola solidale.
Nonostante la rigorosità del precetto, la norma sulla parità di trattamento e sulla responsabilità solidale è stata scarsamente applicata nella pratica. Sia per la difficoltà - come appurato - di delimitare con sufficiente certezza gli appalti interni, sia per la difficoltà di individuare il trattamento economico normativo da applicare ai dipendenti dell’appaltatore.
170 Ibidem;
171 “La monocommittenza può rivelarsi un terreno fertile di innesto di aree di lavoro sotto tutelato”, X. XXXXXXX, Contractual Integration e rapporti di lavoro. Uno studio sulle tecniche di tutela del lavoratore, op. cit., p. 158; Nella stessa prospettiva si veda X. XXXXXX, Il contratto di lavoro, op. cit., p. 516. Secondo Xxxxxx, gli indici di dipendenza economica vanno estrapolati proprio dagli art. 3 e 5 della legge 1369/60 (ad esempio escludono la dipendenza la pluricommittenza, la professionalità specialistica dell’appaltatore rispetto all’attività appaltata, etc.). Contra X. XXXXXXXXXX, Somministrazione di lavoro, appalto di servizi, distacco, in Tiraboschi M. (a cura di), La riforma Biagi del mercato del lavoro. Prime interpretazioni e proposte di lettura del d. lgs. 10 settembre 2003, n. 276. Il diritto transitorio e i tempi della riforma, Milano, Xxxxxxx Editore, Collana Adapt – Fondazione “Xxxxx Xxxxx” n. 2, 2004, p. 227, che ritiene una siffatta regola eccessivamente “rigida e non adatta al mercato del lavoro italiano”, con il “rischio di aumentare le pratiche abusive”;
Tuttavia, nonostante le difficoltà applicative - e i dubbi di ragionevolezza - questa norma aveva una indiscussa valenza simbolica: impedire forme di decentramento giustificate essenzialmente da un mero risparmio del costo del lavoro172, “soprattutto in un contesto economico caratterizzato dalla concorrenza di altri paesi che fanno del bassissimo costo del lavoro e delle ridotte tutele normative il più importante vantaggio competitivo173”.
In conclusione, volendo esprimere un giudizio sull’impianto normativo che per un quarantennio ha governato i rapporti interpositori, possiamo senza dubbio affermare che il divieto di interposizione, così come strutturato, non è riuscito a sradicare il fenomeno della fornitura di mere prestazioni lavorative, che si è presentato frequentemente nella pratica “sotto le mentite spoglie dell’appalto di servizi174”.
La legge del ’60 è stata “una legge (…) decisamente non in sintonia con le dinamiche organizzative più evolute, che nel decentramento non vedono necessariamente lo strumento per agire in frode dei lavoratori175”.
Una legislazione tanto rigida quanto ineffettiva, che ha “alimentato fenomeni sui generis e selvaggi di esternalizzazione, attraverso un massiccio, quanto spesso abusivo, ricorso ad appalti di servizi ma anche a contratti di lavoro non dipendente (…) che hanno finito con il rappresentare una forma individualizzata ed estrema di outsourcing con grave danno per la dotazione di capitale umano del nostro Paese176”.
172 X. XXXXXXX, Contractual Integration e rapporti di lavoro. Uno studio sulle tecniche di tutela del lavoratore, op. cit., p. 164;
000 X. XXXXXXXX, Appalti e trasferimento d’azienda, op. cit., p. 6;
174 X. XXXXXX, Il contratto di lavoro, op. cit., p. 397;
175 X. XXXX, Xxxxxxx dei punti critici del decreto legislativo 276/2003: Spunti di riflessione, op. cit., p. 26;
176 X. XXXXXXXXXX, Esternalizzazione del lavoro e valorizzazione del capitale umano: due modelli inconciliabili?, in Tiraboschi M., Reggiani Xxxxxxx X. (a cura di), “Le esternalizzazioni dopo la riforma Biagi. Somministrazione, appalto, distacco e trasferimento d’azienda”, Milano, Xxxxxxx Editore, Collana Adapt – Fondazione “Xxxxx Xxxxx” n. 12, 2006, p. 26;
Capitolo II
NUOVI MODELLI DI REGOLAZIONE. VALORIZZAZIONE DELLO STRUMENTO DELLA SOLIDARIETA’
1. IL PROCESSO DI RIFORMA DELLA DISCIPLINA DELLE ESTERNALIZZAZIONI PRODUTTIVE: L’INTRODUZIONE DEL LAVORO INTERINALE NEL PACCHETTO TREU
Le regole predisposte con la legge 1369/60 hanno suscitato in dottrina, sin da subito, un “diffuso atteggiamento d’insofferenza177”, eccezion fatta per chi difende ancora oggi il divieto d’interposizione e intermediazione nei rapporti di lavoro178.
Era ormai indispensabile rendere la disciplina sulle esternalizzazioni meno vincolante e maggiormente effettiva. Le regole devono essere concepite come uno strumento a servizio delle imprese nella gestione delle risorse umane e non solo delle mere costrizioni.
La disciplina del ‘60, relegando nell’area dell’illegalità fattispecie non “strumentali all’aggiramento delle tutele di legge e di contratto collettivo179”, ha - di fatto - penalizzato le aziende italiane nel contesto competitivo globale180, mortificando l’iniziativa economica privata di quegli operatori motivati da reali esigenze organizzative.
Il mercato del lavoro è in grado di raggiungere un maggior livello di efficienza mediante la rimozione di alcuni ostacoli, ravvisabili dalla dottrina nel monopolio pubblico del collocamento e nel divieto d’interposizione181.
177 X. XXXXXXX, Xxx labili confini del divieto di interposizione nelle prestazioni di lavoro, nota a sentenza Pret. Torino, del 17 Gennaio 1994, in Rivista Italiana di Diritto del Lavoro, II fasc., 1995, p. 67;
178 In questa direzione X. XXXXXXX, L’utilizzazione indiretta dei lavoratori, op. cit.. Spesso nei dibattiti politici si usa demagogicamente tacciare il lavoro interinale (e oggi la somministrazione di lavoro) come causa del precariato, piuttosto che strumento di ingresso nel mercato del lavoro, spesso a tempo indeterminato. Per un’analisi approfondita “dell’effetto causale del lavoro interinale sulla probabilità (del lavoratore) di trovare un impiego a tempo indeterminato” si veda X. XXXXXX, X. XXXXXX, X. XXXXXXXXX, Il lavoro interinale in Italia. Trappola del precariato o trampolino verso un impiego stabile?, disponibile su xxx.xxx.xxxxxxx.xx, Indice A-Z, Somministrazione. Gli effetti del lavoro interinale sul mercato sono stati analizzati anche nel Libro Bianco sul mercato del lavoro. Da quest’analisi si evince come l’ampliamento dei margini di flessibilità nell’utilizzo della forza lavoro ha prodotto dei benefici in termini di crescita occupazionale;
179 X. XXXXX, (continuato da) X. XXXXXXXXXX, Istituzioni di diritto del lavoro, op. cit., p. 436;
180 X. XXXXX, L’outsourcing: una strategia priva di rischi?, op. cit., p. 272;
181 X. XX XXXXXX, Titolarità dei rapporti di lavoro e regole di trasparenza. Interposizione, imprese di
gruppo, lavoro interinale, op. cit., p. 33. Secondo alcuni autori, la funzione del diritto del lavoro deve essere
La disciplina lavoristica dell’appalto, quale rilevante strumento di decentramento produttivo, dovrebbe essere in grado di vietare (o quantomeno limitare) esclusivamente quei fenomeni di esternalizzazione nei quali l’appalto è sintomo di disaffezione dalle responsabilità del committente nei confronti della forza lavoro ufficialmente dipendente dall’appaltante. Fenomeni di esternalizzazione solo apparentemente motivati da ragioni di politica industriale ma finalizzati all’elusione della disciplina protettiva dei lavoratori.
La riforma della disciplina delle esternalizzazioni non è stata agevole. La linea di confine tra interposizione illecita e appalto legittimo è di difficile definizione. Si tratta di contemperare interessi contrapposti, entrambi meritevoli di tutela. Da un lato la libertà di organizzazione dell’impresa e dall’altro la legittima acquisizione delle energie lavorative da parte di quest’ultima (detto in altri termini la garanzia di una effettiva tutela dei lavoratori, quali contraenti deboli nel mercato del lavoro)182.
Già da tempo dottrina e giurisprudenza avevano iniziato, come abbiamo avuto modo di evidenziare, un lento ma progressivo processo di disapplicazione del divieto di interposizione, attraverso una lettura contestualizzata delle norme, nell’intento di rendere maggiormente aderente alla realtà economica la normativa sulle esternalizzazioni. Questo contributo, tuttavia, non era sufficiente. Era ormai indifferibile una manovra di riforma del settore.
Il primo tentativo di adeguamento della disciplina sull’outsourcing è stato realizzato con la legge 196/97, frutto di un accordo concertativo. Normativa che, stemperando lo sfavore dell’ordinamento giuridico riguardo i fenomeni interpositori 183”, ha creato - per utilizzare l’enunciato di un noto autore - “un varco nel muro del divieto d’interposizione184”.
La 196/1997 conosciuta anche come Pacchetto Treu, ha solo legittimato l’utilizzo di una particolare forma d’interposizione, il lavoro temporaneo tramite agenzia185, lasciando pertanto inalterato il confine sostanziale tra appalto lecito ed interposizione vietata186.
individuata esclusivamente nell’esigenza di tutelare il lavoratore. “Questo non vuol dire, ovviamente, sostenere la “indifferenza” del diritto del lavoro alle ragioni dell’economia. Si vuole, soltanto, riaffermarne l’autonomia scientifica e valoriale, evitando quei processi di “colonizzazione” e di vera e propria “sudditanza” dei lavoristi rispetto alle acquisizioni delle scienze economiche e organizzative, spesso considerate come “dati oggettivi ed incontestabili”, rispetto ai quali il diritto ha la sola funzione di consentirne la regolazione tecnica”. In questo senso SPEZIALE V., Le “esternalizzazioni” dei processi produttivi dopo il d. lgs. 276 del 2003: proposte di riforma, op. cit., p. 11;
182 X. XXXXXXXX, Il mondo al di là dello specchio: la delega sul lavoro e gli incerti confini della liceità nei rapporti interpositori, op. cit., p. 10;
183 X. XXXXX, (continuato da) X. XXXXXXXXXX, Istituzioni di diritto del lavoro, op. cit., p. 438;
184 X. XXXXXX, Il lavoro interinale e gli altri varchi nel “muro” del divieto di interposizione, op. cit., 1997;
185 Definibile come lavoro intermittente tramite agenzia, X. XXXXX, L’Outsourcing: una strategia priva di rischi?, op. cit., p. 277. Come efficacemente rilevato da X. XXXXX, sarebbe preferibile classificare questo
La legge 1369/60 non fu abrogata, per cui i fenomeni interpositori rimasero di per sé illegittimi.
Il lavoro interinale si pone come una mera eccezione al divieto d’interposizione, giustificata dalla temporaneità delle esigenze che intende soddisfare187. Si legittima una forma di dissociazione datoriale – seppur con forti restrizioni.
La legge autorizza, in determinati casi, imprese private iscritte in appositi albi (c.d. imprese fornitrici) a mettere a disposizione delle imprese utilizzatrici le prestazioni di lavoro temporaneo di lavoratori assunti dalle prime, ai quali era garantito il trattamento retributivo in vigore nelle seconde188.
Al di fuori dei limiti consentiti dalla legge, continuava ad applicarsi il divieto di interposizione. Strutturalmente, il lavoro temporaneo tramite agenzia è una relazione trilaterale che si fonda sul contratto di fornitura e sul contratto di prestazione di lavoro temporaneo.
Il lavoro interinale ha avuto il merito di determinare il superamento di parte dei preconcetti ideologici che avevano per anni permesso di demonizzare i rapporti trilaterali.
2. L’EVOLUZIONE DEL MODELLO DI RIFORMA: LA LEGGE BIAGI
In un quadro normativo così incerto, fatto di interpretazioni evolutive non sempre coerenti tra loro, era necessaria una riforma complessiva che potesse essere in grado di chiarire la linea di demarcazione tra appalto lecito e illecito.
Il legislatore si è dovuto barcamenare su un terreno sdrucciolevole. Come abbiamo potuto appurare più volte in questo lavoro, uno degli aspetti più controversi della disciplina dei rapporti interpositori attiene proprio alla questione dell’individuazione degli elementi tipici che permettono di distinguere agevolmente la somministrazione di lavoro e l’appalto di servizi.
schema negoziale (così come la somministrazione) nella categoria delle pratiche di Insourcing, perché il lavoratore è inserito all’interno dell’organizzazione;
186 I. XXXXXX, Il confine fra appalto e interposizione nel d. lgs 10 settembre 2003, n. 276, op. cit., p. 1047;
187 X. XXXXX, (continuato da) X. XXXXXXXXXX, Istituzioni di diritto del lavoro, op. cit., p. 438;
188 Cassazione Penale, Sezione Terza Penale, sentenza del 26 gennaio 2004, n. 2583, disponibile su xxx.xxx.xxxxxxx.xx, Indice A-Z, voce Appalto e Subappalto;
La legge delega 30 del 14 febbraio del 2003 fissò le linee guida di quella che è divenuta poi la riforma del mercato del lavoro, conosciuta come Legge Biagi189.
La “chiarificazione dei criteri di distinzione tra appalto ed interposizione” era uno dei criteri direttivi che il Governo avrebbe dovuto rispettare nella definizione della disciplina sostitutiva della legge 1369/1960.
L’abrogazione della disciplina previgente, per opera dell’art. 85 del d. lgs. 276 del 2003, ha indotto parte della dottrina ad attestare, nei dibattiti giuridici, l’eliminazione del divieto di interposizione nel nostro ordinamento190.
La stessa parte della dottrina che ha manifestato sin dall’entrata in vigore del d. lgs. 276 del 2003 (rettificato dal d. lgs. 251/2004) un atteggiamento fortemente critico, forse anche troppo precipitoso, soprattutto in riferimento alla sezione dedicata alla disciplina della somministrazione, dell’appalto di servizi e del distacco, a differenza di coloro, che auspicavano da tempo il superamento delle resistenze nei confronti dei fenomeni di decentramento produttivo e la modernizzazione del sistema normativo in materia di interposizione191.
189 La legge Biagi rappresenta la concretizzazione di quegli obiettivi fissati dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali nel Libro Bianco sul mercato del lavoro (ottobre 2001), “Proposte per promuovere una società attiva ed un lavoro di qualità'', redatto da un gruppo di lavoro coordinato da Xxxxxxxx Xxxxxxx e Xxxxx Xxxxx, cui hanno partecipato: Xxxxx Xxxx’Xxxxxx, Xxxxxx Xxxxxxx, Xxxxx Xxxxxxx, Xxxxx Xxxxxxx, disponibile su xxx.xxx.xxxxxxx.xx, indice A-Z, Riforma Biagi. Partendo dall’analisi dei problemi strutturali del mercato del lavoro italiano (alto tasso di disoccupazione di lungo periodo, bassa partecipazione nel mercato del lavoro femminile, difficili processi di transizione dalla scuola al lavoro, rigidità delle normative che non favoriscono l’iniziativa economica privata, l’elevato tasso di lavoro nero etc.) sono state elaborate una serie di proposte di intervento volte a garantire non solo maggiori occasioni di lavoro regolare ma anche (e soprattutto) migliori occasioni di lavoro. Non è sufficiente creare nuovi posti di lavoro ma è necessario puntare sulla qualità dell’occupazione, in coerenza con quelli che sono gli obiettivi comunitari in materia. Il diritto del lavoro italiano è estremamente complesso, frutto di interventi stratificati nel tempo che lo rendono spesso inadeguato a disciplinare fenomeni sociali in continuo movimento. Il sistema regolatorio deve essere necessariamente modernizzato poiché “Regole più semplici e chiare contribuirebbero ad agevolare l’opera di regolarizzazione delle condizioni di lavoro con un effetto assai benefico sul piano della correttezza della concorrenza fra imprese”. Xxxxxx, X. XXXXXXXX, Dopo la flessibilità cosa? Riflessioni sulle politiche del lavoro, in Working Papers C.S.D.L.E. “Xxxxxxx X’Xxxxxx”.IT – 27/2005, che esprime i suoi dubbi circa la possibilità di incrementare l’occupazione mediante politiche volte ad aumentare la flessibilità dell’utilizzo della forza lavoro;
190 L’abrogazione riguarda la legge 1369/60 e gli art. 1-11 della legge 167/1997;
191 Tra coloro che auspicavano da tempo in un intervento legislativo per modernizzare il mercato del lavoro, si veda in particolare, X. XXXXX., Competitività e risorse umane: modernizzare la regolazione dei rapporti di lavoro, op. cit., p. 152; X. XXXXXXXXXX, Esternalizzazione del lavoro e valorizzazione del capitale umano: due modelli inconciliabili?, op. cit., p. 3 ss.; R. DE XXXX XXXXXX, Metamorfosi dell’impresa e nuova disciplina dell’interposizione, op. cit., 2003; X. XXXXXX, La disciplina della segmentazione del processo produttivo e dei suoi effetti sul rapporto di lavoro,op. cit., 2000; I. XXXXXX, Il confine fra appalto e interposizione nel d. lgs 10 settembre 2003, n. 276, op. cit., p. 1037. Giudica la riforma Biagi, con specifico riferimento alla somministrazione e all’appalto, uno degli aspetti meglio riusciti della riforma del mercato del lavoro, X. XXXXXXXXX PARRAVICINI., Appalto e rapporti di lavoro: fattispecie, disciplina e responsabilità solidale alla luce delle novità legislative di cui al decreto 4.7.2006 n. 223 (c.d. Decreto Bersani) e dalla legge 27.12.2006 n. 296 (Legge Finanziaria), op. cit., p. 158. Contro X. XXXX, Analisi dei punti critici del
Piuttosto superficialmente si è parlato di una totale liberalizzazione del mercato del lavoro e di una netta rottura con la disciplina previgente192. Il timore che dall’ampliamento dei margini di flessibilità nell’uso della forza lavoro debba discendere necessariamente un aumento della precarietà non è così scontato come si vorrebbe far credere. Un’analisi del mercato del lavoro a distanza di cinque anni dall’introduzione della legge Xxxxx, potrebbe smentire questo pregiudizio (perché di puro pregiudizio ideologico si tratta)193.
La vera precarietà nel mercato del lavoro è quella legata al lavoro nero, che nega a milioni di lavoratori i propri diritti e le tutele fondamentali. È doveroso, in un ordinamento giuridico moderno, utilizzare degli efficaci strumenti di contrasto dell’economia sommersa, anche attraverso l’uso di una efficiente politica per la crescita dell’occupazione regolare194.
Il d. lgs. 276 del 2003 è un idoneo tentativo di governo di quei fenomeni economici a rischio di sottotutela per i lavoratori. La riforma del mercato del lavoro ha avuto l’indubbio merito di creare nuove fattispecie negoziali rivolte all’emersione di quelle aree da sempre relegate, o comunque al limite con il sommerso195.
Come è stato efficacemente rilevato, molte persone erano costrette a operare nel sommerso proprio perché “non esistevano nell’ordinamento giuridico forme legali per regolarizzare la loro posizione196”. Non bisogna dimenticare che il lavoro temporaneo è pur sempre una valida alternativa regolare al lavoro nero.
La legge Xxxxx non ha rimosso il divieto di interposizione quale principio generale dell’ordinamento giuridico italiano, bensì ha aperto la strada a un sistema concorrenziale
decreto legislativo 276/2003: Spunti di riflessione, op. cit., p. 25, in cui afferma che le nuove norme “mirano ad agevolare sfacciatamente forme di decentramento alimentate non – come sarebbe fisiologico – da esigenze di specializzazione, bensì semplicemente dalla possibilità di un drastico abbattimento dei costi derivante dalla applicazione di trattamenti economici e normativi, di legge o di contratto collettivo, meno onerosi”. Nello stesso senso X. XXXXXXXX, Le “esternalizzazioni” dei processi produttivi dopo il d. lgs. 276 del 2003: proposte di riforma, op. cit., p. 2-3;
192 In questa prospettiva X. XXXXXXXX, Xxxxxx.; X. XXXXXX, Xx nuove esternalizzazioni tra fornitura di prestazioni lavorative (somministrazione e distacco) e appalti labour intensive, op. cit., p. 196-197;
193 X. XXXXXX, X. XXXXXX, X. XXXXXXXXX, Il lavoro interinale in Italia. Trappola del precariato o trampolino verso un impiego stabile?, op. cit.;
194 X. XXXXXXXXXX, Xxxxxxxxxx: «É il lavoro nero il vero precariato», su “Il sole 24 Ore” del 20 ottobre 2007; 195 Per un approfondimento sulle motivazioni sottese alla riforma del mercato del lavoro, operata con il d. lgs. 276 del 2003, e agli effetti della riforma si rimanda alle considerazioni di X. XXXXXXXXXX, The Italian Labour Market after the Biagi Reform, in International Journal of Comparative Labour Law and Industrial Relations,
n. 2, disponibile su xxx.xxx.xxxxxxx.xx, indice A-Z, voce Riforma Biagi;
196A. XXXXXXXXXX, Xxxxxxxxxx: «É il lavoro nero il vero precariato», op. cit.;
fra pubblico e privato nella gestione dell’incontro tra domanda e offerta di lavoro, ampliando l’ambito di operatività della fornitura di manodopera197.
Un’interpretazione sistematica delle nuove disposizioni rende palese - sebbene il legislatore non lo dichiari espressamente - la vigenza del divieto di interposizione, che sopravvive nella forma della somministrazione irregolare198.
La somministrazione è pur sempre una forma di interposizione che è consentita laddove il soggetto interposto presenti determinate caratteristiche stabilite dalla legge199. Il regime autorizzatorio, cui è subordinato l’esercizio dell’attività di somministrazione, è indice dell’illiceità della fornitura di mere prestazioni lavorative compiuta al di fuori dei limiti legali200.
La disciplina giuslavoristica contenuta nel titolo quarto dovrebbe essere interpretata in un’ottica di continuità – e non di rottura - con quello che era il sistema normativo ormai abrogato201. La nuova normativa ha accolto quelli che ormai erano le interpretazioni comuni di dottrina e giurisprudenza in tema di rapporti interpositori e appalto legittimo202. Un’interpretazione evolutiva del diritto più aderente alla mutata realtà economico sociale203.
197 Per una interessante analisi sistematica della riforma del mercato del lavoro del 2003, si rimanda a X. XXXXXXXXXX, Riforma del mercato del lavoro e modello organizzativo tra vincoli costituzionali ed esigenze di unitarietà del sistema, in Working papers, WP C.S.D.L.E. "Xxxxxxx X'Xxxxxx". IT - 21/2004;
198 X. XXXXXXXXX XXXXXXXXXXX, Xxxxxxx e rapporti di lavoro: fattispecie, disciplina e responsabilità solidale alla luce delle novità legislative di cui al decreto 4.7.2006 n. 223 (c.d. Decreto Bersani) e dalla legge 27.12.2006 n. 296 (Legge Finanziaria), op. cit., p. 160. Nella stessa prospettiva X. XXXXX, Sulla distinzione tra somministrazione di lavoro e appalto: aspetti comparatistici, in Il Diritto del Mercato del Lavoro, Edizioni Scientifiche Italiane, n. 3, 2006, p. 475;
199 Un’attenta disamina dei requisiti richiesti per lo svolgimento di attività di somministrazione è contenuta in
X. XXXXXXXX, X. XXXXXXXXXX, Le agenzie per il lavoro: tipologie, requisiti giuridico-finanziari e procedure di autorizzazione, in X. XXXXXXXX, X. XXXXXXXXXX, Il diritto del mercato del lavoro dopo la riforma Biagi, Collana ADAPT – Fondazione “Xxxxx Xxxxx”, n. 5, Xxxxxxx, Milano, p. 127-168;
200 M. T. CARINCI, L’unicità del datore di lavoro – quale parte del contratto di lavoro, creditore della prestazione e titolare di tutte le posizioni di diritto, potere, obbligo ad esse connesse – è regola generale dell’ordinamento giuslavoristico, op. cit., p. 1028;
000 X. XX XXXX XXXXXX, X. XXXXXXX, Art. 29 – Appalto, op. cit., p. 426;
202 Per un attenta analisi del rapporto tra le pratiche di decentramento produttivo e la valorizzazione/crescita del capitale umano impiegato, si rimanda a X. XXXXXXXXXX, Esternalizzazione del lavoro e valorizzazione del capitale umano: due modelli inconciliabili?, op. cit., p. 12 ss. In un’ottica di continuità con la disciplina previgente si veda Corte di Cassazione, Sezione lavoro, Sentenza del 07 maggio 2008, n. 11162: “In relazione agli appalti endoaziendali la giurisprudenza, sulla scorta della normativa della L. n. 1369 del 1960, ha enucleato gli elementi idonei ad individuare gli appalti leciti previsti dalla L. predetta, art. 3, che non ricadono nel generale divieto di appalto di mano d'opera stabilito dalla stessa L., art. 1. Vi è da notare che questi elementi (esistenza di una impresa dotata di una propria organizzazione, esercizio da pare dell'appaltatore dei poteri organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori utilizzati, assunzione del rischio di impresa da parte dell'appaltatore) non sono dissimili da quelli richiesti ora dal D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 29, per l'appalto di opere e di servizi distinto dalla somministrazione di lavoro”;
203 “Numerosi ispettori e giudici hanno da gran tempo imboccato la xxx xxxxx xxxxxxxxx xxx xxxx xxxxxxxx secondo buon senso pratico: dove il rapporto tra lavoratore e appaltatore/interposto è costituito in modo
È l’art. 29 del d. lgs. 276 del 2003 che si occupa della disciplina giuslavoristica dell’appalto lecito, ferma restando quella che è la normativa codicistica in materia.
Come recita l’art. 29, “il contratto di appalto, stipulato e regolamentato ai sensi dell’articolo 1655 codice civile, si distingue dalla somministrazione di lavoro per la organizzazione dei mezzi necessari da parte dell’appaltatore, che può anche risultare, in relazione alle esigenze dell’opera o del servizio dedotti in contratto, dall’esercizio del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori utilizzati nell’appalto, nonché per l’assunzione, da parte del medesimo appaltatore, del rischio di impresa”.
Il legislatore definisce l’appalto per differenza rispetto alla somministrazione, individuando quelli che sono i criteri distintivi tra queste due aree adiacenti. Il nuovo precetto suggerisce, in primo luogo, quelli che sono gli elementi tipici del contratto di appalto – quali indici di regolarità dello stesso, mediante la creazione di un collegamento con l’art. 1655 c.c. 204. L’interposizione illecita è così definita in negativo.
Affinché si perfezioni un appalto legittimo, è necessaria la presenza simultanea di due requisiti: l’organizzazione dei mezzi, anche immateriali, che costituiscono il complesso aziendale e la gestione a proprio rischio dell’attività d’impresa.
L’eliminazione della presunzione d’illiceità dell’appalto prevista dall’ora abrogato art. 1 della legge del ’60, già mitigata in sede giurisprudenziale per gli appalti labour intensive, rappresenta l’elemento di maggior novità della nuova disciplina.
Oggi, l’utilizzo da parte dell’appaltatore di attrezzature fornite dall’appaltante – anche a titolo gratuito - non costituisce più una presunzione assoluta della mancanza di genuinità dell’appalto205. La legittimità dell’appalto è svincolata dalla proprietà dei mezzi di produzione ed è strettamente legata al profilo organizzativo e direttivo dell’attività d’impresa gestita dall’appaltatore. Da tali scelte deriva un forte ampliamento del mercato degli appalti leciti.
formalmente regolare, gli standard retributivi collettivi sono rispettati, i contributi previdenziali sono puntualmente versati, gli oneri amministrativi adempiuti, si accetta la qualificazione del rapporto tra fornitore e committente in termini di appalto senza andare troppo per il sottile”, in X. XXXXXX, Il lavoro interinale e gli altri varchi nel “muro” del divieto di interposizione, op. cit., p. 513;
204 X. XXXXX, La distinzione fra interposizione e appalto e le prospettive della certificazione, op. cit., p. 290. In senso contrario X. XXXXX, La certificazione dei contratti di lavoro, in De Xxxx Xxxxxx, Xxxxxxxx, Xxxxxxx (a cura di), Mercato del lavoro: riforma e vincoli di sistema. Dalla legge 14 febbraio 2003 n.° 30 al D. Lgs. 10 settembre 2003 n.° 276, Napoli, 2004, che vede nella disposizione di cui all’art. 29 una specifica deroga della disciplina civilistica del contratto di appalto;
205 Questo non significa che in sede di accertamento giurisprudenziale il giudice non possa utilizzare questo elemento nella valutazione della liceità o meno del contratto di appalto. Significa solo che questo fatto non può più inficiare la validità dell’appalto in automatico, senza possibilità di prova contraria;
“Ai fini dell’appalto lecito è necessaria e sufficiente l’organizzazione a proprio rischio dei mezzi necessari alla realizzazione dell’opera o del servizio, non la proprietà degli stessi206”. Si avrà pertanto appalto lecito anche qualora l’appaltatore si limiti a organizzare, in piena autonomia e utilizzando i poteri datoriali, i propri dipendenti per l’assolvimento dell’obbligazione dedotta in contratto.
Nessun limite legislativo è previsto rispetto alle attività che possono validamente costituire oggetto di contratto di appalto. Qualsiasi attività di impresa, finanche facenti parte del core business dell’azienda, può divenire oggetto di appalto207.
Il legislatore del 2003, conscio delle difficoltà che il giudice può incontrare nel valutare caso per caso la genuinità dell’appalto, ha demandato al Ministero del lavoro e delle politiche sociali il compito di emanare dei codici di buone pratiche e di indici presuntivi in materia d’interposizione illecita e appalto genuino208, che tengano conto della rigorosa verifica della reale organizzazione dei mezzi e della assunzione effettiva del rischio tipico di impresa da parte dell’appaltatore (art. 84, comma 2)209. Codici di buone pratiche che avrebbero rappresentato un valido supporto nell’attività di verifica della legittimità degli appalti, che a oggi non sono stati ancora emanati.
3. VALORIZZAZIONE DELLO STRUMENTO DELLA SOLIDARIETÀ E SUPERAMENTO DELLA DISTINZIONE TRA APPALTO INTERNO ED ESTERNO
È nel secondo comma dell’art. 29 che il legislatore ha concentrato l’attenzione rispetto alle tutele delle posizioni lavorative degli ausiliari dell’appaltatore.
206 X. XXXXXXXXX PARRAVICINI, Appalto e rapporti di lavoro: fattispecie, disciplina e responsabilità solidale alla luce delle novità legislative di cui al decreto 4.7.2006 n. 223 (c.d. Decreto Bersani) e dalla legge 27.12.2006 n. 296 (Legge Finanziaria), op. cit., p. 167;
207 X. XXXXXXXXX PARRAVICINI, Xxx, p. 174;
208 Per uno studio sui possibili indici, da valutare caso per caso, che potrebbero configurare un appalto
illecito si veda P. RAUSEI, Appalto genuino e interposizione illecita di manodopera: criteri e indici rivelatori per una corretta certificazione dei contratti, in Working Paper Adapt n. 18 del 2006;
209 Art. 84, secondo comma. La norma continua stabilendo che “tali codici e indici presuntivi recepiscono, ove esistano, le indicazioni contenute negli accordi interconfederali o di categoria stipulati da associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale”. X. XXXXXX xxxxxxx nella norma di cui all’art. 84 un mancato coordinamento con l’art. 29, laddove nell’art. 84 si richiamano i requisiti dell’organizzazione dei mezzi e della gestione a proprio rischio mentre non si fa nessun riferimento all’esercizio del potere direttivo (richiamato di contro nell’art. 29). Sul punto si rimanda a X. XXXXXX, Somministrazione di lavoro, appalto di servizi, distacco, op. cit., p. 267;
Nel riformare la normativa giuslavoristica dell’appalto, il legislatore ha mantenuto e ampliato la regola della responsabilità solidale passiva, gravante su committente e appaltatore, per i trattamenti retributivi e contributivi dovuti ai lavoratori impiegati nell’appalto, superando peraltro la sfuggente distinzione tra appalti interni ed esterni. Regola, quella della responsabilità solidale – ormai superata alla luce delle modifiche apportate dalla Finanziaria per il 2007 - inizialmente prevista per i soli appalti di servizi e in seguito estesa dal decreto 251 del 2004 anche agli appalti d’opera.
Con il decreto correttivo il legislatore ha rimediato a un’opinabile disparità di trattamento, che aveva suscitato un acceso contraddittorio in dottrina, stante non solo la difficoltà concreta di distinguere l’appalto d’opera da quello di servizi210, ma anche all’impossibilità di estendere la tutela della solidarietà nei confronti di quei lavoratori impiegati in appalti d’opera, in settori anch’essi a rischio di irregolarità211.
La scelta del legislatore di riservare la tutela ai soli lavoratori che svolgono prestazioni lavorative nell’ambito degli appalti di servizi non era, tuttavia, priva di ragioni. Nel settore degli appalti di servizi si sono registrati la maggior parte di abusi delle garanzie poste a presidio dei diritti dei lavoratori ed irregolarità nella gestione dei rapporti di lavoro. E sono le attività che normalmente formano oggetto degli appalti di servizi le attività in cui è elevato l’utilizzo di forme interpositorie.
Parte della dottrina ravvisa nella corresponsabilità tra appaltatore e appaltante un importante strumento di governo delle scelte imprenditoriali, poiché in grado di indirizzare la scelta del contraente tra gli operatori solidi e affidabili.
L’instaurazione di relazioni con soggetti attendibili esonera il committente dai gravosi oneri cui sarebbe soggetto in caso d’insolvenza dell’impresa appaltatrice212.
Il carattere solidale concerne le sole obbligazioni retributive e contributive e non anche il rispetto dei trattamenti normativi.
210 M. T. CARINCI, La tutela dei lavoratori negli appalti di servizi, in M. T. Carinci – X. Xxxxxx (a cura di), coordinato da X. Xxxxxxx, Somministrazione, comando, appalto, trasferimento d’azienda, Tomo II, del Commentario al d. lgs. 10 settembre del 2003, n. 276, Ipsoa, Milano, p. 198, 2004;
211 C. BIZZARRO, Xxxxxx in appalto e regime della responsabilità solidale, in X. Xxxxxxxxxx (a cura di), La riforma del mercato del lavoro pubblico e privato e il nuovo Welfare. Commentario sistematico delle norme di lavoro e previdenza contenute nelle leggi di conversione dei decreti legge 25 giugno 2008, n. 112, 27 maggio 2008, n. 93 e 3 giugno 2008, n. 97 in coordinamento con la legge 24 dicembre 2007, n. 247, Milano,
Xxxxxxx editore, 2008, p. 120;
212 X. XXXXX, La distinzione fra interposizione e appalto e le prospettive della certificazione, op. cit., p. 298;
Ne discende che si può ritenere esclusa la possibilità per il lavoratore di rivendicare al committente l’adempimento di obblighi che non hanno valore direttamente patrimoniale (ad esempio gli adempimenti in materia di sicurezza sul lavoro).
La responsabilità solidale opera entro un determinato limite temporale, fissato in un anno dalla cessazione dell’appalto.
Il regime di corresponsabilità è applicabile al solo rapporto che lega il committente all’appaltatore, non trovando valenza, pertanto, nell’ipotesi di frazionamento degli appalti. Il committente non sarà quindi responsabile dell’adempimento degli obblighi retributivi nei confronti dei lavoratori impiegati nei subappalti, derivanti dalla stessa filiera produttiva in cui è inserito l’appalto principale.
L’inapplicabilità del vincolo di solidarietà nei confronti di tutti i soggetti coinvolti nella filiera degli appalti rappresenta il più grosso ostacolo alla concreta tutela dei diritti dei lavoratori.
Il vincolo di solidarietà, inderogabile nella previgente disciplina e applicabile ai soli appalti interni, può oggi essere derogato (anche in in pejus) dai contratti collettivi nazionali, stipulati da associazione dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative, che possono addirittura escludere l’operatività del principio solidaristico (c.d. responsabilità controllata213). Le organizzazioni sindacali, in virtù di tale disposizione, possono modellare il vincolo di responsabilità solidale, ampliandone o riducendone l’ambito di applicazione. Non è cambiato, invece, il disposto sulle partite creditorie e debitorie tra appaltante e appaltatore. L’adempimento degli obblighi previdenziali dell’appaltante libera anche l’appaltatore (con diritto di rivalsa sul secondo). In questo modo si evita che il rischio di un’eventuale insolvenza dell’appaltatore possa ricadere sull’ente previdenziale214.
Sono esclusi dall’applicazione del vincolo di responsabilità solidale i committenti persona fisica che non esercitano attività d’impresa o professionale (art. 29 ter).
213 Espressione di X. XXXXXXXXX PARRAVICINI, Appalto e rapporti di lavoro: fattispecie, disciplina e responsabilità solidale alla luce delle novità legislative di cui al decreto 4.7.2006 n. 223 (c.d. Decreto Bersani) e dalla legge 27.12.2006 n. 296 (Legge Finanziaria), op. cit., p. 181;
214 Si veda TRIBUNALE BOLZANO, SEZIONE LAVORO, sentenza del 30 marzo 2007;
4. IL SUPERAMENTO DELLA PARITÀ TRATTAMENTO
Nella nuova disciplina giuslavoristica dei contratti di appalto scompare, invece, ogni riferimento alla regola paritaria a parità di mansioni, tra i lavoratori impiegati dall’appaltatore e i dipendenti del committente.
La mancata riproposizione del principio della parità di trattamento, venuto definitivamente meno in seguito all’abrogazione della legge del ‘60, ha sollevato le critiche di quella parte della dottrina che ravvisava in questa regola l’unico strumento posto a garanzia della legittimità dei fini perseguiti con l’appalto.
La regola paritaria, sebbene fosse applicata sporadicamente stante la difficoltà di individuare nell’impresa committente mansioni comparabili, aveva – come già abbiamo avuto modo di evidenziare - una forte valenza simbolica.
Obbligando l’appaltatore ad applicare ai propri dipendenti lo stesso trattamento che il committente riservava ai propri, consentiva di evitare che il prezzo dell’appalto fosse determinato mediante una corsa al ribasso dei compensi, o più in generale dei trattamenti economico-normativi, corrisposti alla forza lavoro impiegata dall’appaltatore.
Secondo questa impostazione, la riduzione delle pratiche abusive così frequenti nel marcato degli appalti non può essere ottenuta mediante un sistema presidiato dalla sola sanzione civile della responsabilità solidale.
L’innalzamento dell’effettività delle tutele poste a presidio dei diritti dei lavoratori, necessita l’utilizzo di una pluralità di strumenti volti a disincentivare le forme di sfruttamento dei lavoratori. La parità di trattamento non farebbe altro che disincentivare l’utilizzo fittizio dell’appalto.
In realtà la scelta operata dal legislatore non è priva di ragionevolezza. La regola paritaria, oltre a essere di difficile applicazione poiché non sempre è possibile ravvisare nell’impresa committente lavoratori impiegati in mansioni equivalenti, renderebbe l’istituto eccessivamente rigido.
Il superamento della parità di trattamento evidenzia come il legislatore abbia valicato la diffidenza nei confronti delle pratiche di esternalizzazione215. L’appalto viene legittimato
215 In tal proposito, un noto autore afferma “non mi sento, questa volta, di piangere eccessive lacrime per la scomparsa di questa regola, che è comunque poco applicata e che non è coerente con la tendenza alla specializzazione delle diverse attività. Essa sconta, inoltre, una concezione degli appalti come strumento di abbattimento dei costi del lavoro, che è indubbiamente obsoleta”, DEL PUNTA R., Problemi attuali e prospettive in tema di interposizione di manodopera, op. cit., p. 301;
quale strumento che risponde alle esigenze organizzative dell’impresa, superando in tal modo la concezione dell’appalto quale mezzo per ottenere profitti sul minor costo del lavoro216. La regola paritaria è stata mantenuta solo per i lavoratori somministrati, che non solo lavorano in stretto contatto con i dipendenti dell’utilizzatore, ma sono anche assoggettati allo stesso potere direttivo.
In mancanza dell’operatività della regola paritaria, il compenso da corrispondere ai dipendenti dell’appaltatore segue le regole del mercato. L’appaltatore applicherà ai propri dipendenti, il contratto collettivo del settore economico in cui opera l’impresa217 e non quello applicato ai dipendenti del committente che svolgono mansioni equivalenti.
Si potrebbe obiettare che gli strumenti di tutela predisposti dalla riforma Biagi in tema di appalti non siano sufficienti a indirizzare le scelte degli operatori economici verso forme di impiego della manodopera che offrano garanzie sostanziali rispetto ai diritti dei lavoratori. Le pratiche di decentramento possono validamente essere governate dallo staff leasing (ormai abrogato), in luogo all’appalto di servizi, giacché è in grado di fornire concretamente una effettiva protezione dei diritti del lavoratore. Effettivamente, statuire l’operatività del principio della parità di trattamento per la sola somministrazione, rende quest’istituto giuridico eccessivamente oneroso rispetto all’appalto, che continuerà a essere lo strumento principe di governo delle esternalizzazioni nel mercato del lavoro218. La rimozione del vincolo della parità di trattamento sostiene, bizzarramente, l’appalto labour intensive, a scapito dello staff leasing219. Il potenziale minor costo dell’appalto, alletterà le imprese che tentano di accedere al mercato del lavoro senza ricorrere né al rapporto di lavoro subordinato, né alla somministrazione regolare, in vista di una riduzione dei costi sui trattamenti economici e normativi. Non di rado, l’esigenza di contenere i costi, induce le imprese a camuffare con l’appalto (fittizio) mere pratiche interpositorie.
Questa obiezione non è tuttavia sufficiente ad avvalorare la tesi della necessità della parità di trattamento nell’appalto. Il risparmio dei costi, qualora lecitamente realizzato, è un elemento che deve rimanere estraneo a valutazioni di tipo giuridico.
216 In tal senso R. DE XXXX XXXXXX, X. XXXXXXX, Art. 29 – Appalto, op. cit., p. 439. Di opinione contraria X. XXX, Esternalizzazioni e sicurezza: l’appalto, Diritto e pratica del lavoro, vol. 24, fasc. 32, 2007, p. 1191;
217 X. XXXXXXX, Contractual Integration ” e rapporti di lavoro. Uno studio sulle tecniche di tutela del lavoratore, op. cit., p. 166;
218G. XXXXXXXXX XXXXXXXXXXX, Appalto e rapporti di lavoro: fattispecie, disciplina e responsabilità solidale alla luce delle novità legislative di cui al decreto 4.7.2006 n. 223 (c.d. Decreto Bersani) e dalla legge 27.12.2006 n. 296 (Legge Finanziaria), op. cit., p. 181;
219 Contro X. XXXXXXXXXX, Somministrazione di lavoro, appalto di servizi, distacco, op. cit., p. 165;
Se al lavoratore dipendente dell’appaltatore è applicato il trattamento economico normativo spettante sulla base del contratto collettivo e delle disposizioni di legge, a nulla rileva un possibile minor costo del lavoro rispetto al costo che sarebbe gravato sull’impresa appaltante qualora la realizzazione dell’opera fosse stata affidata ai propri dipendenti.
L’innalzamento dell’effettività delle tutele per i lavoratori, può essere validamente raggiunta mediante una ridefinizione della coobbligazione solidale tra i soggetti coinvolti, in grado di tutelare tutti i lavoratori implicati nella filiera produttiva degli appalti.
L’inapplicabilità della tutela su tutta la filiera produttiva è il principale limite ravvisabile nella disciplina giuslavoristica degli appalti tracciata dalla Legge Biagi.
5. IL NUOVO APPARATO SANZIONATORIO
A differenza dell’apparato sanzionatorio predisposto dalla legge del ‘60, nella legge Biagi non troviamo nessuna norma che sanzioni espressamente i rapporti interpositori in quanto tali220. L’impalcatura sanzionatoria predisposta dalla nuova normativa si applica riguardo all’utilizzo delle varie fattispecie al di fuori dei limiti legali, in coerenza con l’esigenza di garantire maggiore effettività alla disciplina legale degli schemi negoziali disciplinati nel titolo III221.
È così ripristinata l’originale ispirazione anti-fraudolenta della legge 1369/60. L’interposizione costituirà una fattispecie vietata solo nel momento in cui è lesiva (ed elusiva) della disciplina legale posta a garanzia dei diritti del lavoratore. Si applicherà la sanzione nell’ipotesi di utilizzo irregolare e fraudolento della somministrazione (art. 27-
220 C. BIZZARRO, Somministrazione irregolare e somministrazione fraudolenta, in Tiraboschi M., Reggiani Xxxxxxx X. (a cura di), “Le esternalizzazioni dopo la riforma Biagi. Somministrazione, appalto, distacco e trasferimento d’azienda”, Milano, Xxxxxxx Editore, Collana Adapt n. 12, 2006. In tema di apparato sanzionatorio si veda inoltre X. XXXXXXXX, Somministrazione irregolare e fraudolenta, in X. Xxxxxxxxx (a cura di), La riforma del mercato del lavoro. Commento al d. lgs. 10 settembre 2003, n. 276 (artt. 1-32), Xxxxxxxxxxxx, Torino, 2004; P. RAUSEI, Il sistema sanzionatorio delle esternalizzazioni, in Working Paper Adapt n. 21 del 2006;
221 Sul tema delle sanzioni civili nel diritto del lavoro si rimanda a X. XXXXX, Le sanzioni civili nella tutela del lavoro subordinato, Relazione al convegno Aidlass, Alba, 1-2 giugno 1978, raccolto in Le sanzioni nella tutela del lavoro subordinato, Xxxxxxx, Milano, 1979;
28), dell’appalto e del distacco. Il divieto opera sia nella fase costitutiva del rapporto, sia nella fase di attuazione del programma negoziale222.
L’appalto illecito non è altro che una forma di somministrazione illecita, in quanto posta in essere da soggetti non autorizzat223i.
Taluni autori ravvisano proprio nel nuovo apparato sanzionatorio il dato posto a conferma della tesi che vede il venire meno, nel nostro ordinamento giuridico, del divieto d’interposizione, soprattutto in seguito all’introduzione nell’art. 29 del comma 3-bis224, che prevede un’autonoma sanzione per lo pseudo-appalto.
Un appalto fittizio configura, di fatto, una somministrazione irregolare, pertanto la disciplina applicabile è proprio quella contenuta nell’articolo 27 del d. lgs. 276/2003. Nella sua formulazione originale l’unico riferimento alle conseguenze della violazione della disciplina legale riguardava proprio un richiamo alla sanzione civile contenuta nell’art. 27. Questo dato rende palese che l’appalto stipulato in difformità dei limiti legali non è altro che una forma d’interposizione vietata, nello specifico somministrazione irregolare che incorre al di fuori dei limiti stabiliti agli articoli 20 e 21 del d. lgs. 276/2003. La somministrazione irregolare opera sul piano oggettivo, senza tener conto dell’intento fraudolento delle parti, che rileva – come aggravante – nella fattispecie delineata dall’art. 28 d. lgs. 276/03.
Il decreto correttivo 251/2004 ha modificato l’art. 29 proprio in riferimento alla disciplina sanzionatoria, prevedendone un’autonoma sanzione. Ne consegue che qualora il contratto di appalto sia stipulato in violazione dei limiti legali, si riconosce direttamente al lavoratore interessato la facoltà di ricorrere in giudizio – ai sensi dell’art. 414 c.p.c.- al fine di
222 X. XXXXXXXXX XXXXXXXXXXX, Appalto e rapporti di lavoro: fattispecie, disciplina e responsabilità solidale alla luce delle novità legislative di cui al decreto 4.7.2006 n. 223 (c.d. Decreto Bersani) e dalla legge 27.12.2006 n. 296 (Legge Finanziaria), op. cit., p. 172;
223 Cassazione Civile, Sezioni Unite, del 26 ottobre 2006, n. 22910, “la indicata disciplina, pur presentandosi come una innovazione - seppure rilevante per le implicazioni di carattere teorico sulla sistemazione dogmatica del rapporto lavorativo - si configura anche nell'attuale assetto normativo come una eccezione, non suscettibile né di applicazione analogica né di interpretazione estensiva, sicché allorquando si fuoriesca dai rigidi schemi voluti del legislatore per la suddetta disarticolazione si finisce per rientrare in forme illecite di somministrazione di lavoro come avviene in ipotesi di "somministrazione irregolare" ex art. 27”;
000 X. XXXXXX, Xx confine fra appalto e interposizione nel d. lgs 10 settembre 2003, n. 276, op. cit., p. 1048- 1049. Il suddetto autore guarda con sospetto l’introduzione del terzo comma nell’art. 29. Laddove non ci fosse un esplicito riferimento alla sanzione da applicare in caso di utilizzo illegittimo del contratto di appalto, ci troveremo di fronte ad una ipotesi di somministrazione irregolare sanzionata di per sé dall’art. 27. Prevedere una sanzione autonoma è come acclarare l’esistenza di due fattispecie differenti: la somministrazione irregolare da una parte e l’appalto non genuino dall’altra. L’art. 29, comma 3 bis, recita: “Quando il contratto di appalto sia stipulato in violazione di quanto disposto dal comma 1, il lavoratore interessato può chiedere, mediante ricorso giudiziale a norma dell'articolo 414 del codice di procedura civile, notificato anche soltanto al soggetto che ne ha utilizzato la prestazione, la costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze di quest'ultimo. In tale ipotesi si applica il disposto dell'articolo 27, comma 2”;
richiedere la costituzione di un rapporto di lavoro – ex tunc - alle dipendenze dell’effettivo utilizzatore della prestazione lavorativa e l’applicazione in capo a quest’ultimo degli effetti del contratto di lavoro. Il contratto di appalto viene dichiarato nullo per illiceità della causa225. Nell’appalto fittizio non si applica, come stabilito nel sistema previgente, la nullità del contratto e l’automatico accertamento dell’esistenza del vincolo di subordinazione in capo al committente, quale effettivo utilizzatore che diviene in seguito all’accertamento giudiziale titolare di tutte le posizioni giuridiche che discendono dal rapporto di lavoro.
Il legislatore si limita a riconoscere al lavoratore la mera facoltà di chiedere in giudizio l’imputazione del rapporto di lavoro in capo all’impresa committente226, lasciando l’automatismo della qualificazione del rapporto di lavoro come rapporto subordinato alle sole ipotesi della somministrazione fraudolenta e alla mancanza della forma scritta del contratto di somministrazione.
La nullità del contratto sopravvive solo in riferimento all’ipotesi in cui il contratto di somministrazione di manodopera non sia stato stipulato in forma scritta, così come espressamente richiesto dall’art. 21 e solo nell’ipotesi in cui il ricorso alla somministrazione sia un tentativo di elusione della disciplina protettiva del lavoratore subordinato.
Il ricorso giudiziale promosso dal lavoratore impiegato in un appalto non genuino può anche essere notificato al solo soggetto utilizzatore, senza nessun coinvolgimento dell’impresa appaltatrice. La legittimazione ad agire per il riconoscimento dell’irregolarità della somministrazione è riconosciuta al solo lavoratore e non a chiunque ne abbia interesse227.
Alla sanzione civile applicabile in caso di violazione dei limiti stabiliti dalla legge per la somministrazione di lavoro o in caso di uso fittizio del contratto di appalto, si affianca una
225 Sulla nullità del contratto di appalto privo dei requisiti stabiliti dalla legge e più in generale sui poteri dei servizi ispettivi nell’accertamento della genuinità dell’appalto, si rinvia a X. XXXXXXX, I servizi ispettivi del lavoro alla ricerca della interposizione illecita perduta, in Working Paper n. 57 del 2008;
226 Nel sistema predisposto dalla legge 1369 del 1960, la violazione del precetto di cui all’art. 1 comportava quale sanzione civile l’imputazione del rapporto di lavoro in capo all’imprenditore committente. Questa sanzione rappresentava in realtà l’applicazione “dei principi generali di qualificazione del rapporto di lavoro”, C. BIZZARRO, Somministrazione irregolare e somministrazione fraudolenta, op. cit., p. 391 ss.;
227 Diversi i soggetti che potrebbero avere interesse a una sentenza declaratoria dell’irregolarità della somministrazione. Si pensi a titolo di esempio ai colleghi del lavoratore somministrato rilevato che l’applicabilità di alcune norme è subordinata alla dimensione dell’azienda o dell’unità produttiva; oppure si pensi all’’ente previdenziale per la riscossione del suo credito ecc.. A questi soggetti non è riconosciuta la legittimazione ad agire di cui all’art. 414 c.p.c. poiché l’art. 27 fa esplicito riferimento alla figura del lavoratore e non parla più genericamente di “chiunque abbia interesse. Su l’azione in giudizio promossa dal lavoratore si rimanda a X. XXXXXX, Somministrazione di lavoro, appalto di servizi, distacco, op. cit., p. 257;
sanzione penale da applicare alle ipotesi più gravi di violazione della disciplina in materia d’interposizione: la somministrazione fraudolenta (ex art. 28, d. lgs. 276/2003). Questa si applicherà in tutte le ipotesi in cui il ricorso alla somministrazione di lavoro sia realizzato con uno specifico intento elusivo delle garanzie lavoristiche riconosciute al lavoratore da norme inderogabili di legge o del contratto collettivo e qualora l’attività di somministrazione sia esercitata da soggetti privi di autorizzazione (art. 18).
Si vuole evitare che il ricorso alla somministrazione non sia giustificato da obiettive e fisiologiche esigenze organizzative ma poggi invece su ragioni di mero risparmio economico dovuto all’abbassamento degli standard di trattamento applicabili al lavoratore.
6. IL FENOMENO DELLA FRAMMENTAZIONE DEGLI APPALTI E LE PROBLEMATICHE DELLA REGOLAZIONE
La disciplina applicabile all’appalto di servizi e alla somministrazione a tempo indeterminato è in grado di fare entrare questi istituti in concorrenza tra loro. Attività quali i servizi di pulizia, di custodia, la gestione di call-center, le funzioni specialistiche di gestione del personale, possono essere validamente gestite sia mediante il ricorso alla somministrazione a tempo indeterminato, sia attraverso il ricorso all’appalto di servizi228.
Indiscutibili ragioni di tutela del lavoratore dovrebbero indurci a preferire la somministrazione229 all’appalto, privo “di garanzie sostanziali per i lavoratori230”.
La creazione di un mercato normativamente ed economicamente più costoso per l’appalto consentirebbe non solo di sbilanciare la concorrenza verso la somministrazione, ma permetterebbe presumibilmente una riduzione del tasso d’irregolarità del lavoro, così elevato in quei settori, quali ad esempio l’edilizia, in cui l’appalto è radicato nei rapporti economici tra le imprese e in cui si è sempre trovato terreno fertile per le pratiche di abuso. La maggiore onerosità dell’appalto amplierebbe la responsabilizzazione delle parti
228 X. XXXXX, Sulla distinzione tra somministrazione di lavoro e appalto: aspetti comparatistici, op. cit., p. 177;
229 Su cui grava sia il vincolo della parità di trattamento, sia la responsabilità solidale. A ciò si aggiunge la trattenuta del 4% sui trattamenti retributivi corrisposti, utilizzata per finanziare progetti di formazione professionale;
230 X. XXXXXXXXXX, Somministrazione di lavoro, appalto di servizi, distacco, op. cit., p. 208;
coinvolte in tutta la filiera e una naturale selezione degli agenti nel mercato del lavoro tale da determinare l’uscita degli agenti che operano nell’irregolarità.
Responsabilizzazione che consente la sopravvivenza sul mercato degli appalti giustificati da reali e genuine esigenze di esternalizzazione di fasi produttive. La struttura della legge
276 del 2003, tuttavia, non consente a tutto tondo l’auspicato condizionamento del mercato. Non solo perché i vincoli posti all’utilizzo della fornitura di manodopera rendono questa forma di utilizzazione della forza lavoro particolarmente onerosa e poco preferibile all’appalto, ma anche perché il regime di responsabilità così come originariamente delineato, non consente di tutelare appieno i lavoratori impiegati in tutta la filiera produttiva.
Il fenomeno della segmentazione degli appalti non comporta solo la frantumazione dell’impresa ma anche (e forse soprattutto) delle responsabilità.
La frammentazione dell’impresa e l’instaurazione tra i vari frammenti di legami commerciali non sempre permette l’agevole individuazione dei soggetti responsabili nei confronti dei lavoratori.
Il vincolo di responsabilità solidale, così come originariamente predisposto per gli appalti, non è tale da rendere questo strumento così costoso, vista anche la limitata durata temporale e la possibilità di deroga da parte della contrattazione collettiva, da indurre le imprese a preferire l’instaurazione di relazioni con agenzie di somministrazione231, o quantomeno limitare le pratiche di abuso nel settore degli appalti. E non è sufficiente a garantire una tutela effettiva nelle ipotesi di frammentazione dell’impresa.
Pertanto, le imprese che sono mosse da esigenze di mero risparmio economico, spesso giocato sul mancato rispetto delle norme sulla sicurezza e sul lavoro regolare, continueranno (e potranno farlo) a preferire l’appalto alla somministrazione.
Il fatto che i dipendenti somministrati non entrino nel computo del personale ai fini dell’applicazione della disciplina limitativa dei licenziamenti, così come è stato sostenuto, non è sufficiente a garantire la maggiore convenienza della somministrazione di lavoro, giacché anche i lavoratori impiegati negli appalti sono fuori dal suddetto computo232.
231 In questo senso X. XXXX, Xxxxxxx dei punti critici del decreto legislativo 276/2003: Spunti di riflessione, op. cit., p. 26;
232 Di quest’avviso X. XXXXXX, Le nuove esternalizzazioni tra fornitura di prestazioni lavorative (somministrazione e distacco) e appalti labour intensive, op. cit., p. 107. Xxxxx stesso autore X. XXXXXX, Somministrazione, comando, appalto. Le nuove forme di prestazione di lavoro a favore del terzo, in Working Papers C.S.D.L.E. “Xxxxxxx X’Xxxxxx”, IT – 10/2004, disponibile su xxx.xxx.xxxxx.xx. Contro X. XXXXXXXXXX, Somministrazione di lavoro, appalto di servizi, distacco, op. cit., p. 209;
Un correttivo della normativa volto a estendere e rafforzare il vincolo di responsabilità solidale potrebbe non solo portare degli effetti positivi in termini di ampliamento delle garanzie effettive dei lavoratori e il miglioramento degli standard qualitativi del lavoro ma anche in termini di contrasto indiretto all’irregolarità.
Non è necessaria la riproposizione della regola paritaria. Tale vincolo renderebbe troppo rigido l’utilizzo di detto strumento commerciale e sarebbe di difficile applicazione, stante la frequente difficoltà di individuare nell’impresa committente mansioni lavorative comparabili.
Una rimodulazione della ripartizione delle responsabilità, attraverso l’estensione del vincolo solidale anche nei confronti dei subappaltatori, potrebbe essere sufficiente al raggiungimento degli scopi prefissati.
Necessità tanto maggiore quanto più si considera che con i processi di frammentazione produttiva, nell’attuale regime di responsabilità limitato al solo rapporto tra appaltatore e committente, possono facilmente ripercuotersi negativamente sui diritti dei lavoratori.
La disattenzione del legislatore nei confronti del potenziale pericolo che può derivare dalla frammentazione degli appalti, in un sistema privo di garanzie sostanziali per i lavoratori impiegati nella filiera, doveva necessariamente essere disattesa.
La ripartizione degli obblighi che discendono dal rapporto di lavoro tra committente e appaltatore non poteva essere estesa per analogia anche nei confronti del rapporto tra committente ed eventuali subappaltatori233, pertanto era richiesta una specifica modifica legislativa in materia.
La frammentazione degli appalti rende difficile la tutela delle posizioni creditizie dei lavoratori. Ancor più quando gli estremi della filiera degli appalti sono gestiti da operatori poco solidi e operanti al limite con il sommerso.
È il committente a essere il soggetto più solvibile. Ed è il committente che deve essere coinvolto in prima battuta nel meccanismo della solidarietà, anche nei confronti dei subappaltatori, con cui ha rapporti contrattuali solo indiretti234.
Questa è la strada percorsa dal legislatore, almeno per ciò che concerne il profilo della responsabilità nell’appalto, con la legge Finanziaria per il 2007. Riforma preceduta cronologicamente dal c.d. Decreto Bersani che si inserisce come voce fuori dal coro nella linea di regolazione giuslavoristica degli appalti.
233 In tal senso Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, sentenza dell’11 novembre 2005, 1025;
000 X. XX XXXX XXXXXX, X. XXXXXXX, Art. 29 – Appalto, op. cit., p. 441;
Si tratta di interventi legislativi ravvicinati nel tempo che hanno perseguito, sebbene in maniera differente, l’obiettivo di “responsabilizzazione delle imprese che operano scelte organizzative di frantumazione del ciclo produttivo ovvero di esternalizzazione dei servizi235”.
Un altro profilo che, a questo punto, necessita di una riforma è il caso dei consorzi di imprese. I processi di esternalizzazione non di rado si realizzano mediante l’affidamento in appalto a imprese consortili di attività realizzate in precedenza dall’impresa committente.
Nei confronti dei lavoratori impiegati dalle imprese che appartengono al consorzio, non si applica la tutela prevista per i lavoratori in appalto, nonostante le posizioni di queste categorie di soggetti siano equiparabili.
Sul profilo è recentemente intervenuta una sentenza della Suprema Corte di Cassazione, che ha sancito l’assimilabilità della tutela dei dipendenti degli appaltatori con quella dei dipendenti delle imprese consortili236. L’affidamento dei lavori a una impresa facente parte del consorzio non può essere qualificato, per espressa previsione della giurisprudenza di Cassazione, come subappalto.
Subappalto e affidamento dei lavori sono due tipologie negoziali differenti. Tuttavia i lavoratori coinvolti in questi schemi negoziali si trovano in posizioni equivalenti, pertanto anche nei confronti dei secondi si può applicare l’art. 1676 c.c., approntato alla tutela delle posizioni creditizie dei lavoratori in appalto.
Questa sentenza rappresenta il primo passo della giurisprudenza nell’estensione analogica del regime di responsabilità solidale previsto per l’appalto a schemi giuridici simili, anch’essi esposti al rischio di abusi237.
235 Di nuovo X. XXXXXX, Xxxxxx e responsabilità solidale negli appalti: dalla legge Bersani alla Finanziaria 2007, op. cit., p. 3;
236 Si fa riferimento alla sentenza della Corte di Cassazione, Sezione lavoro, del 7 marzo 2008, n. 6208, disponibile su xxx.xxx.xxxxxxx.xx, Indice A-Z, voce Appalto e Subappalto. Dalla citata sentenza è stata tratta la seguente massima “L'aggiudicazione dell'appalto di un'opera pubblica da parte di un consorzio e l'assegnazione dell'esecuzione dei lavori a una singola impresa consorziata costituiscono un fenomeno di sub derivazione del contratto di appalto, qualificabile nella sostanza come subappalto, a nulla rilevando in proposito la disposizione di cui all'art. 141 comma 4, parte 1, D.P.R. 21 dicembre 1999 n. 554 che riguarda esclusivamente le modalità di conferimento dell'appalto originario. Ne consegue che il consorzio, quale soggetto sub-committente dei lavori e in quanto persona giuridica distinta dai singoli soci consorziati, assume la responsabilità solidale per le retribuzioni dovute ai lavoratori dall'impresa artigiana assegnataria dell'opera in applicazione dell'art. 1676 c.c., che deve ritenersi riferito anche all'ipotesi di subappalto”;
237 Per un interessante riflessione sul tema si rinvia a C. BIZZARRO, Lavoro in appalto e regime della responsabilità solidale, op. cit., p. 126 – 128;
7. (SEGUE) L’AMPLIAMENTO DELL’AMBITO DI TUTELA FINO A RICOMPRENDERE IL CONTROLLO SULLA FILIERA DEGLI APPALTI
Diversi, dunque, sono stati gli interventi normativi – non sempre coerenti tra loro – che negli ultimi anni hanno interessato la disciplina giuslavoristica degli appalti e dei subappalti, anche in rapporto al profilo della sicurezza sul lavoro. Nello specifico si fa riferimento all’art. 35 commi dal 28 al 34 del c.d. Decreto Bersani238 - in gran parte già abrogato dal decreto legge 3 giugno 2008, n. 97 - e al “Testo Unico sulla sicurezza239”.
Le ripetute revisioni della disciplina in esame esprimono appieno l’evoluzione delle valutazioni politiche sottese al fenomeno dell’esternalizzazione e la difficoltà del legislatore nell’individuazione di un mix di tutele dotato di un deciso grado di effettività240. La disciplina in materia di appalti contenuta nel c.d. Decreto Bersani, eccetto alcuni profili, non è mai divenuta operativa.
L’art. 35, sebbene contenga una disciplina che alla luce dei recenti interventi normativi è ormai superata, riveste una particolare importanza dal punto di vista sistematico. Gli interventi in materia di appalto e subappalto sono inseriti all’interno di una più ampia manovra volta al contrasto dell’evasione e dell’elusione fiscale.
La rimodulazione della condivisione delle responsabilità in ordine ai debiti retributivi e contributivi gravanti in capo all’appaltatore principale è diretta alla difesa del credito degli enti previdenziali e delle agenzie fiscali. Si vuole evitare che il rischio di un’eventuale insolvenza dell’appaltatore possa ricadere sull’ente previdenziale e ripercuotesi, pertanto, (solo indirettamente) sul lavoratore. Sono, infatti, l’amministrazione finanziaria e previdenziale a essere legittimate ad agire in giudizio per il recupero dei versamenti omessi241.
239 Decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, “Attuazione dell’articolo 1 della legge 3 agosto 2007, n. 123, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro”, disponibile su xxx.xxx.xxxxxxx.xx, voce Appalto e Subappalto;
240 X. XXXXXXX, Le responsabilità solidali negli appalti: alla ricerca di un’adeguata tutela delle posizioni creditorie dei lavoratori, in Arg. Dir. Lav., n. 2, 2008;
241 Questo è uno degli aspetti più criticabili del decreto Xxxxxxx. Aver esteso la responsabilità solidale anche nei confronti del debito degli appaltatori nei confronti dell’erario “persegue fini (…) non riconducibili né ad una logica di corresponsabilizzazione rispetto all’utilizzo del lavoro altrui”, C. BIZZARRO, Le politiche di contrasto al lavoro «nero» tra nuovo regime degli appalti e procedure di certificazione, in Diritto delle relazioni industriali, 2007, n. 2, p. 521;
La riforma in materia di appalto saggia, ancora una volta, l’effettività della sanzione indiretta, quale strumento di repressione dell’irregolarità nel mercato del lavoro, in alcuni settori – come quello edilizio – in cui l’appalto regna sovrano nei rapporti economici242. Un recente studio Europeo sul profilo della responsabilità degli operatori coinvolti nella catena degli appalti ha dimostrato il forte legame esistente tra frammentazione della filiera produttiva, lavoro nero e tasso di irregolarità negli adempimenti in materia di sicurezza sul lavoro243.
Intervenire nella catena degli appalti, nel senso di una responsabilizzazione di tutti gli operatori della filiera, attraverso un particolare regime di “controllo incrociato244” che lega il committente principale all’appaltatore e a tutti gli eventuali subappaltatori, non può che rafforzare le garanzie sostanziali poste a presidio dei diritti dei lavoratori, con un impatto positivo in termini di certezza del diritto, di leale competizione nel mercato e di contrasto indiretto all’irregolarità245.
242 “…del resto non possiamo non rilevare, sul piano tecnico che, anche nel quadro delle misure di contrasto al lavoro nero adottate nel corso del primo anno di attività di questa legislatura, non si è scelta la strada di potenziare il regime sanzionatorio che presiede alla distinzione tra interposizione e appalto e quindi al sistema di vincoli al lavoro in somministrazione. Infatti, sono state pienamente confermate, sul punto, le scelte compiute con la riforma Biagi del 2003, di intervenire cioè sul quadro delle tutele dei lavoratori in appalto, con la considerazione specifica del fenomeno della segmentazione degli appalti e con un ulteriore ampliamento della responsabilità del committente e appaltatore rispetto ai debiti di lavoro dipendente”, così efficacemente in C. XXXXXXXX, Abolire lo staff leasing per tornare al lavoro nero e agli appalti fittizi…quando anche il Ministero del lavoro finisce nella trappola degli appalti di servizi irregolari, op. cit.,
p. 1;
243 Si rimanda a un interessante studio comparato, HOUWERZIJL M., XXXXXX XXXXXX, Liability in subcontracting processes in the European construction sector, pubblicato da European Foundation for the Improvement of Living and Working Conditions, consultabile sul Bollettino Adapt, 2008, n. 38. Per lo specifico caso italiano si veda l’approfondimento dell’indagine di cui sopra, X. XXXXXXX, X. XXXXXXXX, Liability in subcontracting processes in the European construction sector: Italy, pubblicato da European Foundation for the Improvement of Living and Working Conditions, disponibile su xxx.xxxxxxxxx.xxxxxx.xx. Una breve sintesi dei dati in tema di lavoro sommerso e incidenti sul lavoro nel settore edile, con particolare riferimento al lavoro degli immigrati, si può trovare in ACHGUIGA M., Edilizia, la riforma sana il sommerso, in Sole 24 Ore, Nord Ovest, del 8 novembre 2006, n. 42;
244 C. BIZZARRO, Lavoro in appalto e regime della responsabilità solidale, op. cit., p. 118;
245Art. 35, comma: “ 28. L'appaltatore risponde in solido con il subappaltatore della effettuazione e del versamento delle ritenute fiscali sui redditi di lavoro dipendente e del versamento dei contributi previdenziali e dei contributi assicurativi obbligatori per gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali dei dipendenti a cui è tenuto il subappaltatore.
29. La responsabilità solidale viene meno se l'appaltatore verifica, acquisendo la relativa documentazione prima del pagamento del corrispettivo, che gli adempimenti di cui al comma 28 connessi con le prestazioni di lavoro dipendente concernenti l'opera, la fornitura o il servizio affidati sono stati correttamente eseguiti dal subappaltatore. L'appaltatore può sospendere il pagamento del corrispettivo fino all'esibizione da parte del subappaltatore della predetta documentazione. 30. Gli importi dovuti per la responsabilità solidale di cui al comma 28 non possono eccedere complessivamente l'ammontare del corrispettivo dovuto dall'appaltatore al subappaltatore.
31. Gli atti che devono essere notificati entro un termine di decadenza al subappaltatore sono notificati entro lo stesso termine anche al responsabile in solido. La competenza degli uffici degli enti impositori e previdenziali è comunque determinata in rapporto alla sede del subappaltatore.
Il Decreto Bersani disegna un complicato meccanismo definito da autorevole dottrina “di accertamento preventivo di regolarità fiscale e contributiva246”.
Meccanismo che non si pone in linea di continuità con la logica insita nel d. lgs. 276 del 2003, riaffermata e rafforzata nella Finanziaria per il 2007, di incoraggiare il naturale meccanismo di selezione degli operatori nel mercato, attraverso la valorizzazione del vincolo solidale.
Si tratta di un vero e proprio “controllo a catena247” tra i soggetti coinvolti nell’appalto. Attività di controllo sulla regolarità dei rapporti di lavoro che spetterebbe alle amministrazioni pubbliche e che è così ripartita con soggetti privati.
Quest’attività di controllo, adempiuta mediante l’acquisizione di una specifica documentazione definita a posteriori con decreto ministeriale, è un controllo sostanzialmente formalistico e di dubbia effettività, che si traduce in un onere elevato per le imprese.
Il versamento del corrispettivo dovuto dall’appaltatore è subordinato alla verifica del rispetto degli obblighi previdenziali, contributivi e fiscali, cui è tenuto il subappaltatore nei confronti dei propri dipendenti248.
32. Il committente provvede al pagamento del corrispettivo dovuto all'appaltatore previa esibizione da parte di quest'ultimo della documentazione attestante che gli adempimenti di cui al comma 28 connessi con le prestazioni di lavoro dipendente concernenti l'opera, la fornitura o il servizio affidati sono stati correttamente eseguiti dall'appaltatore.
33. L'inosservanza delle modalità di pagamento previste al comma 32 è punita con la sanzione amministrativa da euro 5.000 a euro 200.000 se gli adempimenti di cui al comma 28 connessi con le prestazioni di lavoro dipendente concernenti l'opera, la fornitura o il servizio affidati non sono stati correttamente eseguiti dall'appaltatore e dagli eventuali subappaltatori. Ai fini della presente sanzione si applicano le disposizioni previste per la violazione commessa dall'appaltatore. La competenza dell'ufficio che irroga la presente sanzione è comunque determinata in rapporto alla sede dell'appaltatore.
34. Le disposizioni di cui ai commi da 28 a 33 si applicano, successivamente all'adozione di un decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro del lavoro e della previdenza sociale, da emanare entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, che stabilisca la documentazione attestante l'assolvimento degli adempimenti di cui al comma 28, in relazione ai contratti di appalto e subappalto di opere, forniture e servizi conclusi da soggetti che stipulano i predetti contratti nell'ambito di attività rilevanti ai fini dell'imposta sul valore aggiunto di cui al decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, con esclusione dei committenti non esercenti attività commerciale, e, in ogni caso, dai soggetti di cui agli articoli 73 e 74 del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917. Resta fermo quanto previsto dall'art. 29, comma 2, del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, e successive modificazioni, che deve intendersi esteso anche per la responsabilità solidale per l'effettuazione ed il versamento delle ritenute fiscali sui redditi di lavoro dipendente”.
246 X. XXXXXX, Lavoro e responsabilità solidale negli appalti: dalla legge Bersani alla Finanziaria 2007, op. cit., p. 3; Dello stesso autore “La legge n. 248 del 2006 (…) colloca il proprio baricentro su di un sistema preventivo che condiziona il pagamento dei corrispettivi alla esibizione di documentazione attestante la regolare esecuzione degli adempimenti fiscali e contributivi”, p. 6;
247 X. XXXXXXX, Nuova disciplina lavoristica degli appalti, in Diritto e Pratica del lavoro, vol. 24, fasc. 24,
2007;
Solo la mancata verifica da parte dell’appaltatore del rispetto dei vincoli imposti dalla legge al subappaltatore fa scattare il meccanismo della responsabilità solidale, in un terreno differente rispetto a quello stabilito dalla legge Biagi, che continua a rimanere l’unica disciplina operativa per la casistica non rientrante nel sistema Bersani.
L’appaltatore avrebbe avuto la facoltà di sospendere ogni pagamento sino all’esibizione da parte del subappaltatore della predetta documentazione (comma 29, art. 35).
Da ciò deriva che “gli importi dovuti a titolo di responsabilità solidale di cui al comma 28 non possono eccedere complessivamente l'ammontare del corrispettivo dovuto dall'appaltatore al subappaltatore249”.
Nello specifico, il comma 28 impone in capo all’appaltatore e al subappaltatore, che si sia reso inadempiente rispetto agli obblighi di accertamento della regolarità fiscale e contributiva dei propri subappaltatori, la corresponsabilità con i propri partner commerciali in tema di effettuazione e versamento delle ritenute fiscali sui redditi di lavoro dipendente, dei contributi previdenziali assicurativi obbligatori per gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali.
Il controllo sul corretto adempimento degli obblighi nei confronti dei dipendenti occupati nella filiera libererà l’appaltatore dal vincolo della responsabilità solidale per il solo versamento delle ritenute fiscali e contributive “connessi con le prestazioni di lavoro dipendente concernenti l’opera o il servizio affidati250”.
L’adempimento dell’obbligo di controllo previsto dalla legge Bersani esonera, quindi, le parti dal vincolo di responsabilità solidale ed evita l’applicazione della sanzione amministrativa.
L’operatività del farraginoso meccanismo predisposto dall’art. 35 era tuttavia subordinata all’emanazione da parte del Ministero dell’Economia e delle Finanze, di concerto con il Ministro del Lavoro e della Previdenza sociale, di un regolamento attuativo, che statuisse la documentazione attestante l’assolvimento degli adempimenti fiscali, contributivi e previdenziali, gravanti in capo al committente, all’appaltatore e agli eventuali
248 In realtà, la responsabilità solidale nei confronti dei debiti retributivi e contributivi era già prevista dall’art. 29 e nulla esclude l’applicabilità della tutela nei confronti dei dipendenti del subappaltatore. Il subappalto, infatti, è un vero e proprio contratto di appalto. Pertanto, la tutela stabilità dalla Legge Xxxxx poteva essere applicata anche ai rapporti intercorrenti tra appaltatore e subappaltatore. La novità principale consiste nell’aver legato le sorti del contratto di appalto a tutte le successive frammentazioni dell’impresa;
249 Di nuovo X. XXXXXXX, Ibidem;
250 Comma 33 art. 35, legge 4 agosto 2006, n. 248. Sul punto si rimanda a S. CANALI DE ROSSI, La responsabilità solidale negli appalti di lavoro, in Diritto e pratica del lavoro, vol. 25, fasc. 15, 2008;
subappaltatori. Tale regolamento, emanato ben oltre il termine di novanta giorni stabilito dal decreto legge, è stato adottato con il decreto del 25 febbraio 2008, n. 74 251.
Si traccia così, in controtendenza con quella che è la linea seguita dalla Legge Biagi - orientata maggiormente verso la semplificazione e alla centralità del meccanismo solidale come strumento di condivisione delle responsabilità -, un sistema vincolistico e cavilloso, di dubbia effettività ed eccessivamente oneroso252.
Il decreto in esame non è collocato nel novero delle norme dirette a tutelare i lavoratori e a condizionare le scelte imprenditoriali in materia di decentramento produttivo ma persegue il più ampio obiettivo di politica del diritto di tutela dell’interesse economico degli enti pubblici.
I potenziali profili di conflitto tra la normativa stabilita dal suddetto decreto – di fatto mai operativa253 - e la sopravvenuta normativa in materia di responsabilità solidale introdotta dalla legge Finanziaria per il 2007, ha spinto il legislatore all’abrogazione dei “commi dal 29 al 34 dell’art. 35 del decreto legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, nonché del decreto del Ministro dell’Economia e delle Finanze del 25 febbraio 2008, n. 74254”.
È il solo comma ventotto dell’art. 35 del Decreto Bersani l’unico reduce dell’abrogazione operata nel 2008. Tale comma sancisce che “l'appaltatore risponde in solido con il subappaltatore del versamento delle ritenute fiscali sui redditi di lavoro dipendente, dei contributi previdenziali assicurativi obbligatori per gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali dei dipendenti cui è tenuto il subappaltatore”.
La portata di tale disposizione non è da sottovalutare. Si prevede che tutti gli operatori coinvolti nella filiera degli appalti sono gravati dal vincolo della responsabilità solidale senza nessuna limitazione soggettiva e senza nessun limite quantitativo-temporale (opera il termine di prescrizione ordinario255).
251 Decreto 25 febbraio 2008, n. 74, Ministero dell'Economia e delle Finanze. Regolamento concernente l'articolo 35, commi da 28 a 34 del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, in GU n. 90 del 16-4-2008;
252 C. BIZZARRO, Lavoro in appalto e regime della responsabilità solidale, op. cit., p. 118;
253 Sarebbe divenuta operativa nel mese di giugno del 2008;
254 Abrogazione disposta dal decreto legge 3 giugno 2008, n. 97, convertito con la Legge 2 agosto 2008, n.
129. L’abrogazione delle norme in esame è stata disposta mediante decreto legge, che produce effetti immediati. “L’urgenza dell’intervento tramite decreto legge, si spiega con la scelta del Governo di escludere anche solo temporaneamente l’operatività delle norme”, C. BIZZARRO, Lavoro in appalto e regime della responsabilità solidale, op. cit., p. 118. Sull’abrogazione della procedura stabilita dal Decreto Bersani si veda inoltre X. XXXXXXX, Le responsabilità solidali negli appalti: alla ricerca di un’adeguata tutela delle posizioni creditorie dei lavoratori, op. cit.;
Indipendentemente dal ruolo assunto nella relazione – quello di appaltatore o di subappaltatore – le parti sono ugualmente responsabili del versamento delle ritenute fiscali, dei trattamenti previdenziali e assicurativi e qualsiasi altro emolumento dovuto in seguito a infortunio sul lavoro o malattia professionale, spettanti ai dipendenti di ciascun appaltatore. Il regime di responsabilità previsto dal Decreto Xxxxxxx non si applica, tuttavia, al committente, che resta pertanto escluso da ogni incombenza in tema di trattenute fiscali e previdenziali dovute ai dipendenti dell’appaltatore e di tutti i subappaltatori della filiera.
Il silenzio della norma sulla responsabilità del committente appare privo di coerenza logica. Appalto e subappalto sono lo stesso tipo contrattuale.
Il subappalto è un “contratto derivato da altro contratto stipulato a monte [l’appalto, appunto], che ne costituisce il presupposto256”.
Ne deriva che, se la loro struttura e causa è la medesima, allora identico deve essere il regime di corresponsabilità che grava sulle parti coinvolte257.
Sebbene a rigor di logica è questa la strada da seguire, l’estraneità del committente dal meccanismo di accertamento, ha creato un sistema in cui coesistono “due regimi di responsabilità solidale parzialmente differenti in caso di appalto e di subappalto258”.
Il contratto di appalto stipulato tra committente e appaltatore sarà sottoposto a una disciplina parzialmente differente rispetto a quella applicabile al contratto di appalto stipulato tra appaltatore e subappaltatore259.
Il committente è coinvolto nel processo solo per ciò che concerne l’attività di verifica dell’adempimento da parte dell’appaltatore degli obblighi di controllo gravanti su di esso (comma 32, anch’esso abrogato), ma non sarà comunque tenuto a rispondere in solido degli omessi versamenti. Sarà sottoposto all’applicazione della sola sanzione amministrativa qualora non subordini il pagamento di quanto dovuto all’appaltatore alla verifica della regolarità degli adempimenti fiscali e contributivi a opera di quest’ultimo e di tutti i subappaltatori della filiera produttiva260.
256 Cassazione civile, Sezione Lavoro, Sentenza del 07 marzo 2008, n. 6208;
257 XXXXXXX, X. XXXXXXXX, L’avvio della XV Legislatura. Il XXXX 0000-0000 e il “Decreto Bersani”, Il XVIII
congresso mondiale di diritto del lavoro, in Rivista Italiana di Diritto del Lavoro, 2006, III;
258 X. XXXXXXX, La disciplina delle responsabilità solidali negli appalti e nei subappalti: lo stato dell’arte in continuo movimento, op. cit., p. 19;
259 Così efficacemente X. XXXXXXX, La disciplina delle responsabilità solidali negli appalti e nei subappalti: lo stato dell’arte in continuo movimento, op. cit., p. 22;
260 In tal senso anche X. XXXXXXXXX PARRAVICINI, Appalto e rapporti di lavoro: fattispecie, disciplina e responsabilità solidale alla luce delle novità legislative di cui al decreto 4.7.2006 n. 223 (c.d. Decreto Bersani) e dalla legge 27.12.2006 n. 296 (Legge Finanziaria), op. cit., p. 182;
Questa lacuna deve essere inquadrata in un contesto normativo, quello introdotto dalla Finanziaria per il 2007, in cui – di contro – è stabilito un espresso regime di responsabilità che coinvolge tutta la filiera degli appalti, compreso il committente. Per gli appalti non frammentati, la tutela che è applicabile ai dipendenti dell’appaltatore è quella contenuta nell’art. 29 secondo comma, che coinvolge il committente e riguarda espressamente i crediti retributivi, previdenziali e assicurativi spettanti al lavoratore. Resta escluso, invece, il versamento delle ritenute fiscali (comma 28 art. 35), per il quale il committente è esente da responsabilità.
Più articolato è al contrario il sistema di garanzie poste a sostegno dei diritti dei dipendenti del subappaltatore. Nei confronti degli anelli più bassi della filiera produttiva si applica, accanto alla disciplina prevista dall’art. 29 comma 2 del d. lgs. 276/2003, altresì la tutela in materia di ritenute fiscali e contributive. L’interazione dei due meccanismi di garanzia creerà non pochi problemi di certezza del diritto.
Occorreranno ipotesi in cui i dipendenti del subappaltatore potranno agire in giudizio nei confronti di tutte le parti coinvolte nella catena degli appalti per vedere tutelati i propri diritti retributivi, contributivi e previdenziali e ipotesi in cui potranno rivolgersi al solo appaltatore e datore di lavoro (subappaltatore) per vedere soddisfatti i propri diritti.
Ancor prima dell’emanazione del regolamento interministeriale attuativo dell’art. 35 della legge 4 agosto 2006, n. 248, con un altro intervento normativo, il legislatore ha messo nuovamente mano alla disciplina della responsabilità solidale negli appalti, riformulando il secondo comma dell’art. 29 del d. lgs. 276/2003.
Il comma 911, dell’art. 1 della legge 296/2006 - la legge Finanziaria per il 2007 – novella la precedente versione dell’art. 29, sancendo che “in caso di appalto di opere o di servizi il committente imprenditore o datore di lavoro è obbligato in solido con l'appaltatore, nonché con ciascuno degli eventuali ulteriori subappaltatori entro il limite di due anni dalla cessazione dell'appalto, a corrispondere ai lavoratori i trattamenti retributivi e i contributi previdenziali dovuti".
Responsabilità estesa a tutto il credito vantato dai lavoratori e non più limitato al debito residuo che il committente ha verso l’appaltatore (e gli eventuali subappaltatori) al tempo dell’istanza261.
La nuova formulazione dell’art. 29 segna un altro punto a favore dell’effettività della disciplina protettiva dei lavoratori impiegati negli appalti.
In primo luogo il legislatore ha innalzato a due anni il termine di decadenza entro il quale gli aventi diritto possono proporre azione giudiziale per l’ottenimento di quanto loro dovuto.
Secondo alcuni autori, il legislatore ha impropriamente inserito nella dicitura della norma, accanto alla figura del committente imprenditore, anche quella di datore di lavoro. Ciò lascia pensare, che anche il datore di lavoro non imprenditore sia responsabile degli emolumenti dovuti ai lavoratori. In realtà così non è.
L’ultimo comma dell’art. 29, nello stabilire che “le disposizioni di cui al comma 2 non trovano applicazione qualora il committente sia una persona fisica che non esercita attività di impresa o professionale”, esclude la possibilità che il datore di lavoro non imprenditore possa essere considerato responsabile dei debiti retributivi dell’appaltatore nei confronti dei suoi dipendenti262.
Il comma 911 della Legge Finanziaria263 per il 2007 introduce, quale ulteriore elemento di novità nella disciplina sulla responsabilità solidale negli appalti, l’inderogabilità della coobbligazione solidale264.
È abrogata la sezione dell’art. 29 che accordava alla contrattazione collettiva la facoltà di derogare (anche in pejus) il regime previsto, sino ad arrivare a escluderne l’operatività.
L’innovazione di maggior portata, tuttavia, è rappresentata dall’ampliamento dell’ambito di applicazione oggettivo del carattere solidale dell’obbligazione, che va a coprire i trattamenti retribuitivi e previdenziali dovuti ai dipendenti dell’appaltatore e di ciascun subappaltatore della filiera in cui si inserisce l’appalto.
La “moltiplicazione dei centri d’imputazione della responsabilità patrimoniale solidale265”, consente al lavoratore impiegato nell’ultimo anello della filiera produttiva di promuovere un’azione, per la soddisfazione del proprio credito retributivo e previdenziale, nei confronti di tutti gli appaltanti e subappaltatori della catena degli appalti in cui presta la propria opera, fermo restando la possibilità di rivolgersi direttamente al proprio datore di lavoro.
262 In questo senso X. XXXXXX, Xxxxxx e responsabilità solidale negli appalti: dalla legge Bersani alla Finanziaria 2007, in Working Papers C.S.D.L.E. “Xxxxxxx X’Xxxxxx”, IT – 52/2007, p. 3, ora anche edito in Il lavoro nella Giurisprudenza, n. 5 del 2007. In senso contrario X. XXXXXXX L., “Contractual integration” e rapporti di lavoro. Uno studio sulle tecniche di tutela del lavoratore, op. cit., p. 170;
263 Per un’interessante analisi sul rapporto della disciplina giuslavoristica sull’appalto e la normativa fiscale in materia di Iva, applicabile anche alle mere prestazioni di lavoro si rimanda a X. XXXXXXXXX, È ancora illecito l’appalto di manodopera dopo la finanziaria per il 2007?, in Il lavoro nella giurisprudenza, 2007, n. 9;
264 X. XXXXXX, Xxxxxx e responsabilità solidale negli appalti: dalla legge Bersani alla Finanziaria 2007, op. cit., p. 3. In questo senso anche X. XXXXXXX, Nuova disciplina lavoristica degli appalti, op. cit., p. 24;
265 X. XXXXXXX, La disciplina delle responsabilità solidali negli appalti e nei subappalti: lo stato dell’arte in continuo movimento, op. cit., p. 15;
Il coinvolgimento dell’imprenditore capofila nei debiti retributivi e contributivi dei subappaltatori, come è stato efficacemente sostenuto, “consente di aprire le maglie all'azione diretta contro il committente, che normalmente - specie negli appalti del settore edile, terreno elettivo degli infortuni sul lavoro - è di gran lunga il soggetto più solvibile266”.
La norma, riferendosi espressamente ai trattamenti retributivi e previdenziali dovuti, esclude dall’ambito di applicabilità del vincolo di responsabilità solidale passiva eventuali emolumenti spettanti al lavoratore a titolo di risarcimento del danno (ad es. per licenziamento ingiustificato).
La legittimazione ad agire in giudizio spetta ai dipendenti dell’appaltatore - e del subappaltatore – che hanno prestato la loro attività per l’esecuzione dell’opera o per la prestazione del servizio. Sono legittimati ad agire, pertanto, solo i lavoratori legati da un vincolo di subordinazione al datore di lavoro, che abbiano eseguito attività direttamente attinenti all’esecuzione dell’appalto. Restano esclusi dalla tutela gli altri soggetti che a vario titolo hanno collaborato nell’esecuzione dell’appalto (lavoratori autonomi, a progetto, lavoratori con mansioni strumentali alla realizzazione dell’attività appaltata etc.)267.
Per ultimo resta da capire quale criterio utilizzare per identificare gli appalti che rientrano nella filiera produttiva e che pertanto sono soggetti al meccanismo di responsabilità sin qui delineato. L’art. 29 lega l’obbligo di corresponsabilità alla stipulazione di un contratto di appalto di opera o di servizio. Da ciò deriva che, nell’individuazione della casistica soggetta al vincolo di cui all’art. 29, a nulla rileva la destinazione dell’opera o il legame con il ciclo produttivo dell’impresa committente.
L’oggetto del contratto di appalto costituirà il presupposto dell’estensione della responsabilità nei confronti del subappaltatore, cui sarà subappaltata – parzialmente o integralmente – l’esecuzione dell’opera o la prestazione del servizio.
In tema di responsabilità, la disciplina codicistica dettata dall’art. 1676 c.c., ha soltanto una portata residuale. Potrà essere utilizzata da chi non rientra nell’ambito di applicazione dell’art. 29 e decorso il termine di decadenza di due anni stabilito dalla legge Biagi.
266 X. XXXXXXX,, Nuova disciplina lavoristica degli appalti, op. cit.;
267 X. XXXXXX, Xxxxxx e responsabilità solidale negli appalti: dalla legge Bersani alla Finanziaria 2007, op. cit., p. 16;
8. UN QUADRO NORMATIVO INSTABILE
La pluralità di interventi che hanno interessato il mercato degli appalti nell’ultimo quinquennio, evidenzia come sia difficile individuare una soluzione che riesca a contemperare le istanze contrapposte di imprenditori e lavoratori, rispondente all’esigenza di una disciplina che non sia troppo vincolistica e costosa per le imprese e una tutela effettiva delle posizioni lavorative per i prestatori di lavoro.
L’esperienza ha dimostrato che in materia di esternalizzazioni non esiste una ricetta che possa considerarsi universalmente valida ed efficace. È necessario sperimentare sempre nuove soluzioni in grado di avvicinare il diritto del lavoro alle esigenze del mercato.
Il quadro normativo vigente è connotato da un certo grado di incertezza, data l’evidente contraddittorietà emergente in alcuni profili della normativa in esame, segnatamente rispetto ai dubbi interpretativi circa i ruoli dei soggetti coinvolti nella disciplina di corresponsabilità.
Il mancato coordinamento dei diversi interventi succedutisi nel tempo, richiede il riordino dell’intera disciplina giuslavoristica degli appalti, a oggi regolata da stratificazioni normative, non prive di incoerenza.
È necessario perfezionare l’intera disciplina, estendendo il vincolo solidale anche nei confronti di xxxxxx negoziali assimilabili all’appalto, in vista della creazione di maggiori e migliori occasioni di lavoro regolare.
Capitolo III
MODELLI DI REGOLAZIONE DELL’APPALTO E CONTRASTO AL LAVORO NERO
Senza regole non esiste economia irregolare
(G. Roma, 2001)
1. IL RAPPORTO TRA EFFETTIVITÀ DELLE NORME DI DIRITTO DEL LAVORO E ECONOMIA SOMMERSA
L’effettività della disciplina del lavoro regolare, da intendersi come la capacità delle norme giuridiche di raggiungere gli obiettivi di politica del diritto, è strettamente connessa all’attitudine delle stesse norme al contenimento dei frequenti abusi nell’uso della forza lavoro268 - in un’ottica del tutto preventiva - e all’adeguatezza dei rimedi posti dall’ordinamento nell’intento di ripristinare il bene giuridico leso269.
La fuga dal diritto del lavoro, che da anni interessa questo ramo del diritto, rende palese la consueta difficoltà riscontrata dal legislatore nel regolare efficacemente le novità organizzative di un tessuto produttivo in costante mutamento270.
Il fenomeno delle esternalizzazioni - e dell’appalto quale strumento del decentramento produttivo - è solo un esempio di come l’evoluzione dei modelli organizzativi di impresa non è sempre seguita da una rimodulazione degli assetti giuridici effettivamente capace di governare il cambiamento271.
Il sistema regolatorio delle pratiche di decentramento produttivo introdotto con la legge 1369/1960, come abbiamo avuto modo di appurare nei capitoli precedenti, è la massima
268 In questo senso, X. XXXXXXXXX, Attualità della sanzione civile nel diritto del lavoro, in Arg. Dir. Lav., vol. 6, 2007, pag. 1189;
269 In questo senso le tecniche sanzionatorie utilizzate soddisfano “tardivamente il bene leso”, così come osservato da X. XXXXX, Le sanzioni civili nella tutela del lavoro subordinato,op. cit., pag. 13;
270 “La fuga dal diritto del lavoro intensifica le fratture già esistenti all’interno del mercato del lavoro tra aree garantite, semi o quasi garantite e aree irregolari ovvero del tutto sommerse”, A. BELLAVISTA, Le politiche statali di emersione del lavoro nero: strumenti e tecniche, in X. XXXXX (a cura di), Le politiche pubbliche di contrasto al lavoro irregolare, Atti del Convegno tenutosi a Taranto l'11-12 maggio 2007, Bari, Xxxxxxx editore, 2007, pag. 15;
271 “Le attività economiche costituiscono una realtà in continuo movimento, che la scienza giuridica segue con insaziabile curiosità ed inevitabile ritardo”, così efficacemente X. XXXXXXX, “Contractual integration” e rapporti di lavoro. Uno studio sulle tecniche di tutela del lavoratore, op. cit.;
espressione di una normativa inidonea a regolare compiutamente e correttamente un fenomeno organizzativo dell’attività di impresa affermatosi nella prassi applicativa.
Normativa di scarsa effettività, frutto della miopia e delle resistenze del legislatore nei confronti del cambiamento, che ha spinto molte realtà imprenditoriali a rifugiarsi nel sommerso proprio perché non legittimate dal diritto ufficiale.
Con questo non si vuole addebitare la responsabilità dell’incremento dell’economia sommersa esclusivamente a politiche del diritto non pensate per governare i cambiamenti della realtà produttiva, poiché consci che il complesso fenomeno dell’economia sommersa è dovuto a una combinazione di molteplici cause272.
Si vuole solo sostenere che una tempestiva e attenta sensibilità del legislatore nella predisposizione delle regole sul funzionamento del mercato, che non pongano inutili resistenze ai mutamenti organizzativi, potrebbe essere in grado di frenare la delegittimazione del diritto del lavoro e di creare un clima competitivo leale, necessario al fine di garantire una maggiore regolarità nell’uso degli strumenti contrattuali e nell’adempimento degli obblighi sulla sicurezza. Nella consapevolezza che agire solo su questo fronte non è sufficiente, giacché la mancanza di effettività della disciplina del lavoro regolare può essere contrastata solo mediante contromisure capillari, diffuse ad ampio raggio che “rendano competitivo il lavoro regolare e colpiscano e disincentivino l'immersione273”.
La disamina della dimensione lavoristica dell’appalto realizzata nei capitoli precedenti si è posta l’obiettivo di evidenziare i punti di criticità del sistema regolatorio del 1960, ponendo l’accento sui passi avanti compiuti con le recenti riforme in materia, modulate tenendo conto di tre direttive di analisi fondamentali con riferimento al tema in esame: la tutela effettiva del lavoratore coinvolto nelle forme di frammentazione di impresa, la protezione dell’iniziativa economica privata nella scelta degli strumenti di organizzazione delle attività produttive, le opportunità di contrasto al lavoro nero.
Ed è proprio il contrasto al lavoro nero, mediante l’utilizzo di una tecnica sanzionatoria innovativa, a costituire una delle priorità dei recenti interventi normativi cui si fa riferimento.
272 “Il problema per un buon riformista non è quello di negare il progresso ma di governarlo, affinché esprime tutte le sue potenzialità positive”, X. XXXXXXX, P. REBOANTI, X. XXXXXXXXXX, La società attiva. Manifesto per le nuove sicurezze, Venezia, Marsilio, 2004, pag. 134;
273 X. XXXXXXX, Intervento al Convegno “Le politiche pubbliche di contrasto al lavoro irregolare”, tenuto a Taranto il 12 maggio 2007, disponibile su xxx.xxx.xx/xxx_xxxxxxxxxxxx/xxxxxxxxxx-Xxxxxxx.xxx;
La distanza tra dato legale e realtà che si intende disciplinare è una delle principali ragioni dell’ineffettività della disciplina del lavoro regolare e dell’incertezza del diritto.
L’abrogazione della legge 1369/60 e la sua sostituzione con la disciplina sulle esternalizzazioni contenuta nel titolo III del d. lgs. 276/2003 è la dimostrazione della concreta volontà delle istituzioni di governare il mercato dell’outsourcing mediante una normativa che possa essere più aderente ai mutati assetti produttivi e organizzativi della forza xxxxxx000.
Lo scollamento tra la norma giuridico statuale (ovvero tra la disciplina contrattuale collettiva) e la realtà economico-sociale è tanto più evidente in quei settori a elevato tasso di irregolarità275. Esiste una correlazione diretta tra ineffettività delle norme giuslavoristiche e mancato rispetto della disciplina del lavoro regolare e degli obblighi di sicurezza.
La stima del lavoro irregolare in Italia, molto più elevata rispetto ai tassi registrati nelle altre economie europee industrializzate, è indice della mancanza di effettività delle norme del diritto del lavoro276.
Il mercato del lavoro italiano è stato per lungo tempo un mercato rigido, chiuso, in cui le tutele (anche sindacali) sono state riservate solo a chi aveva già una occupazione277. Aumentare la flessibilità nell’utilizzo della forza lavoro è una necessità compatibile sia con le esigenze delle imprese, per garantirne la sopravvivenza in contesti competitivi sempre più difficili, sia con le esigenze dei lavoratori, poiché l’introduzione di forme contrattuali flessibili permette di estendere la tutela giuslavoristica in aree escluse dalle discipline
274 X. XXXXXXXXXX, Le riforme del mercato del lavoro dell’ultimo decennio in Italia: un processo di liberalizzazione?, in Working Paper Adapt n. 38 del 2006, pag. 13. Suddetto autore evidenzia anche come sia necessario “governare il cambiamento” in modo da poter “mantenere e sviluppare il capitale umano di un determinato sistema produttivo”, pag. 13-14;
275 Il secondo ambito in cui si registra un elevato tasso di ineffettività della norma è quello delle amministrazioni pubbliche. Si invita a prendere visione dell’interessante articolo X. XXXXXX, Per rompere il circolo vizioso, del 06 febbraio 2007, su xxx.xxxxxx.xxxx;
276 Per un’analisi delle metodologie di stima dell’economia sommersa si rimanda a X. XXXXX, Metodologie di stima dell’economia sommersa: un'applicazione al caso italiano. Temi di discussione del Servizio studi, disponibile su xxx.xxxxxxxxxxxx.xx, n. 463, 2002;
277 X. XXXXXXX, P. REBOANTI, X. XXXXXXXXXX, La società attiva. Manifesto per le nuove sicurezze, op. cit., pag. 53. Come rilevato da X. XXXXX, op. ult. cit., il diritto al lavoro sancito dall’art. 4 della Costituzione riguarda tutti i lavoratori, occupati e disoccupati. Per lungo tempo la legislazione sul lavoro ha confuso il diritto al lavoro con la pretesa di conservazione del posto, predispondendo un sistema normativo volto a tutelare completamente solo i lavoratori già inseriti in azienda e lasciando aree del mercato prive di presidi e tutele, pag. 49 ss;
garantistiche del diritto del lavoro, in cui l’irregolarità ha da sempre trovato terreno fertile278.
La mancanza di flessibilità è da considerarsi una delle cause che hanno determinato lo sviluppo nel nostro paese della micro-imprenditorialità. L’elevata presenza nella realtà produttiva di piccole e medie imprese è indice di un sistema regolativo del mercato che è stato incapace di dare all’economia il grado di flessibilità richiesto.
Solo le piccole-medio imprese possono godere naturalmente di una maggiore flessibilità del fattore lavoro, dovuta all’applicabilità solo parziale delle regole che nelle grandi realtà produttive rendono rigido l’utilizzo della manodopera279. Ed è proprio nelle realtà medio- piccole che si registrano numerose forme di violazione ed elusione della disciplina del lavoro regolare. Basti pensare agli estremi delle filiere degli appalti, spesso gestite da operatori economici che poggiano il proprio vantaggio competitivo sui risparmi di costi derivanti dall’inadempienza degli obblighi di sicurezza e dall’utilizzo di manodopera irregolare.
Tra le numerose misure che possono essere adottate per rafforzare la regolarità nel mercato, sono da preferire gli strumenti che promuovono il rispetto delle regole nella fase genetica di instaurazione del rapporto di lavoro agli interventi diretti a riparare una situazione già patologica del mercato.
Rafforzare nel mercato il rispetto di precise regole di condotta attraverso tecniche di controllo sociale, può essere un valido strumento di prevenzione di situazioni di irregolarità, da affiancare alle classiche tecniche di protezione usate nell’ordinamento, in altri termini le sanzioni amministrative/penali, che operano come conseguenza della concretizzazione del comportamento indesiderato.
L’effettività delle norme lavoristiche è stata tradizionalmente perseguita attraverso l’utilizzo dello strumento dell’inderogabilità delle disposizioni di legge e di contratto collettivo. Il lavoratore quale contraente debole del mercato non può, tuttavia, essere tutelato esclusivamente dall’inderogabilità della norma e dall’applicazione di pesanti sanzioni in caso di violazione della stessa. L’impiego di sanzioni indirette, che migliorano
278 X. XXXXXXXXXX (a cura di), La riforma Biagi del mercato del lavoro: prime interpretazioni e proposte di lettura del D. lgs. 10 settembre 2003, n. 276, il diritto transitorio e i tempi della riforma, Milano, Xxxxxxx Editore, 2004, pag. 3;
279 Sul punto si rimanda a X. XXXX, Decentramento produttivo e lavoro precario, in Occupazione, lavoro precario, piccola e media impresa. Atti del convegno, Roma, Coines Edizioni, 1974;
il corretto e leale funzionamento del mercato del lavoro, valorizza la qualità del lavoro, garantendo una maggiore effettività delle tutele lavoristiche280.
Il mancato rispetto delle norme poste a presidio della regolarità nel mercato del lavoro, evidenzia come le conseguenze negative della disapplicazione delle regole siano preferibili ai vantaggi che si ottengono dall’elusione dei vincoli giuridici. Eliminare le cause di questo giudizio di convenienza tra le alternative regolarità/irregolarità è il primo passo verso la predisposizione di politiche dell’emersione veramente efficaci.
È necessario modernizzare il diritto del lavoro, eliminare i formalismi giuridici, valutare l’impatto economico delle riforme, che deve essere tale da non disincentivare la libertà di iniziativa economica privata e spingere le imprese nell’irregolarità281.
Le regole devono essere semplici, facilmente comprensibili, stabili nel tempo, rilevato che la stratificazione normativa crea incertezza nel diritto282 e difficoltà nell’individuazione del quadro giuridico di riferimento283.
L’esperienza ha dimostrato che non sempre le regole rispondono a esigenze di tutela dei lavoratori. La tendenza del legislatore a imporre modelli organizzativi delle attività produttive - vietando (o limitando) la possibilità di utilizzare forme contrattuali ritenute aprioristicamente lesive dei diritti dei lavoratori, così come è accaduto alle forme di esternalizzazione - ha, di frequente, penalizzato le imprese nel contesto competitivo globale,.
Il diritto del lavoro deve essere concepito come uno strumento a servizio delle imprese, che garantisca una leale competizione nel mercato. Deve essere letto come un’opportunità e non come un mero vincolo284.
280 X. XXXXXXXXXX, Incentivi alla occupazione, aiuti di stato, diritto comunitario della concorrenza, Torino, Giappichelli, 2002, pag. 7;
281 X. XXXXXXXXXX, Il testo unico della salute e sicurezza sul lavoro: prime interpretazioni, in Diritto delle relazioni industriali, n. 2, 2008, pag. 383. In merito a questa problematica possiamo distinguere due opinioni. I difensori della deregolamentazione ritengono che le norme lavoristiche siano ineffettive proprio perché entrano in conflitto con il naturale funzionamento dei mercati. Gli eccessivi formalismi inducono gli operatori economici a trovare soluzioni alternative che implicano solo formalmente il rispetto delle norme. Dall’altro lato, i fautori del ruolo sociale del diritto del lavoro, ritengono che l’ineffettività del diritto del lavoro sia imputabile esclusivamente a una forma mentis “la cultura dell’inadempimento”, una cultura radicata che spinge all’elusione delle norme. (Pensiero tratto da X. XXXXXXXX, L’effettività nel diritto del lavoro portoghese, in Riv. Ita. Dir. Lavoro, n. 1, 2006);
282 Secondo parte della dottrina, intervenire semplificando il diritto del lavoro non è sufficiente. La fuga dal diritto del lavoro subordinato è strettamente legata all’eccessivo costo del lavoro regolare. In questo senso X. XXXXXXXX, La modernità del diritto del lavoro, in Diritto delle relazioni industriali, n. 4, 2007, pag. 984;
283 Il costante mutare della disciplina inderogabile di legge rende difficoltoso il rispetto delle norme e aumenta il loro tasso di ineffettività, in tal senso X. XXXXXX, Le Nostre leggi sono troppo distanti dal mondo del lavoro, su “Il Giornale” del 5 maggio 2008. Sulla stessa linea X. XXXXXXXXXX, L’insostenibile peso della regolazione, in Bollettino Adapt – Newsletter in edizione speciale n. 33 del 4 dicembre 2007;