ILTRATTAMENTO NORMATIVO DEL LAVORO A PROGETTO
ILTRATTAMENTO NORMATIVO DEL LAVORO A PROGETTO
CAPITOLO I
DALLE COLLABORAZIONI COORDINATE E CONTINUATIVE
AL LAVORO A PROGETTO
1.1. Le collaborazioni coordinate e continuative pag. 7
1.2. La nuova fattispecie lavoro a progetto 15
1.3. La forma scritta del contratto di lavoro a progetto 36
1.3.1. Gli elementi che il contratto deve 41
contenere
1.3.2. Le conseguenze dei vizi di forma 47
1.4. La conversione del contratto di lavoro 50
a progetto
CAPITOLO II
2.1. Il compenso proporzionale alla quantità e 60
qualità del lavoro eseguito
2.1.2. La portata del principio di proporzionalità 65
2.2. L’omesso riferimento al criterio della 76
sufficienza previsto dall’art 36 Cost.
2.3. La scadenza del termine senza il 81
raggiungimento del risultato
CAPITOLO III
OBBLIGO DI RISERVATEZZA (ART. 64)
3.1. La possibilità per il collaboratore di 84
svolgere la sua attività a favore di più committenti
3.2. Il richiamo dell’art. 64 D.Lgs. 276/2003 88
alla disciplina dell’art. 2105 c.c.
CAPITOLO IV INVENZIONI E ALTRI DIRITTI DEL
COLLABORATORE A PROGETTO
4.1. L’applicabilità al lavoro a progetto 98
della disciplina delle invenzioni nel lavoro subordinato
4.1.2. Il diritto patrimoniale d’autore nel lavoro 102
a progetto
4.2. La sospensione del rapporto contrattuale 112
senza erogazione del corrispettivo
4.2.1. Le altre normative applicabili al lavoratore 122
a progetto
CAPITOLO V
ESTINZIONE DEL CONTRATTO E PREAVVISO
(ART.67)
5.1. L’estinzione per la realizzazione del progetto 127
o programma o fase di esso
5.2. Il recesso per giusta causa 130
5.3. Il recesso ad nutum : libertà dei contraenti 134
di includere il preavviso
5.4. L’applicabilità o meno dell’art. 2227 c.c. 138
al lavoro a progetto
5.5. Le altre vicende contrattuali non previste 142
dal D.Lgs. 276/2003
CAPITOLO VI
RINUNZIE E TRANSAZIONI (ART.68)
6.1. Premessa: l’autonomia dell’art. 68 rispetto 147
all’art. 82
6.2. La tesi della “derogabilità assistita” 148
6.2.1. Il rigetto della tesi della “derogabilità 152
assistita”
6.3. La modifica operata dal D.Lgs. 251/2004 158
all’art. 68
Bibliografia 163
CAPITOLO I
DALLE COLLABORAZIONI COORDINATE E CONTINUATIVE AL LAVORO A PROGETTO
1.1. Le collaborazioni coordinate e continuative
L’art. 409, n. 3, c.p.c. introdotto dalla l. n. 533/1973 e rubricato col titolo “Controversie individuali di lavoro” ha esteso la disciplina del rito differenziato del lavoro (con tutte le conseguenze che ne derivano: tentativo obbligatorio di conciliazione e procedure arbitrali) anche ai rapporti di agenzia, di rappresentanza commerciale ed altri rapporti di collaborazione che si concretino in una prestazione d’opera continuativa e coordinata, prevalentemente personale, anche se non a carattere subordinato.
La riforma con l’introduzione di “…altri rapporti…” ha dato così vita nel 1973, ad una nuova tipologia di lavoro personale continuativo, la quale andava a comporre la cosiddetta “zona grigia” delle co.co.co1.
Le prime tracce delle collaborazioni coordinate e continuative risalgono però al 1959, e precisamente si trovano menzionate nell’art. 2 della l. n. 741, il quale indicava come meritevoli di tutela in materia di trattamenti minimi economici dei lavoratori, anche “i rapporti di collaborazione che si concretino in una prestazione d’opera coordinata e continuativa”.
Come si evince dall’art. 409, n. 3, c.p.c., i tratti rilevanti di questi rapporti di collaborazione sono: la continuità, la coordinazione, il carattere prevalentemente personale della prestazione lavorativa.
Nella norma processuale il termine “opera” è accompagnato dal requisito della continuità, cosa che distingue la disposizione in questione da quella dell’art. 2222 c.c.. Su tale requisito la giurisprudenza ha affermato che esso ricorre quando la prestazione resa dal lavoratore perduri nel tempo, anche se non in forza di un vincolo contrattuale2.
Lo stesso legislatore, dunque, disciplina questa tipologia di rapporti prevedendo un soddisfacimento duraturo da parte del committente3, cosa che non vale per il contratto d’opera ex art. 2222 c.c.4.
2 Cass., 8 agosto 1998, n. 7799, in Giust. Civ. mass., 1998, pag. 1678.
3 X. Xxxxxxx-Xxxxxxxxxx, Il lavoro parasubordinato, Milano, 1979, pag. 60-61.
4 In tema di contratto d’opera si vedano X. Xxxxxxx-Xxxxxxxxxx, voce Opera (contratto di), in Nov. dig. it., 1965, vol. XI, pag. 985; X. Xxxxxxxx, Il lavoro autonomo. Contratto d’opera, in Il Codice Civile. Commentario, diretto da X. Xxxxxxxxxxx, Xxxxxxx, 1995, pag. 6; X. Xxxxxxx-Xxxxxxxxxx, Diritto dei lavori, Torino, 2002, pag. 279 e ss.
La Suprema Corte5 ha precisato che l’elemento della continuità ricorre quando la prestazione d’opera sia non meramente occasionale e istantanea e, quindi, quando sia destinata a protrarsi in un arco di tempo indeterminato o comunque apprezzabilmente lungo, implicante una reiterazione delle prestazioni6.
Di conseguenza nei rapporti di cui all’art. 409, n. 3, c.p.c. l’adempimento non è istantaneo ma prolungato nel tempo, devono essere quindi considerati contratti di durata in senso tecnico, poiché la continuità è un elemento essenziale del contratto, preordinato alla soddisfazione di un interesse durevole del creditore7.
Questa affermazione non è pacifica però nella dottrina. Parte di essa8 ricomprende nelle xx.xx.xx. i rapporti, la cui attività si protrae nel tempo, e che però non possono essere considerati tecnicamente di durata9. La continuità per questi giuristi costituisce “un mero dato empirico”10.
Ovviamente la individuazione di un rapporto nel novero dei contratti di durata ha conseguenze anche sul tipo di obbligazione
5 Cass. 23 novembre 1988, n.6298, in Foro It. Rep. 1988, voce Lavoro e previdenza (controversie), n. 72, pag. 1535; Cass. 9 luglio 1988, n. 4546, in Foro It. Rep. 1988, voce Lavoro e previdenza (controversie), n. 88, pag. 1535.
6 Cass. 9 luglio 1988, n. 4546, op. cit.; Cass. 5 dicembre 1987, n. 9092, in Foro It. Rep., 1997, voce Lavoro e previdenza (controversie), n. 74, pag. 1690; X. Xxxxxxx- Xxxxxxxxxx, Il lavoro parasubordinato, Milano, 1979, pag. 64.
7 È d’accordo con questa ricostruzione anche X. Xxxxxxxxx, La fattispecie “lavoro a progetto”, WP C.S.D.L.E. “Xxxxxxx X’Xxxxxx”, 2004, n. 47, pag. 13.
9 Sui contratti di durata si veda X. Xxxx, I contratti di durata, in Riv. dir. comm., 1943, I, pag. 143 e ss.
00 X. Xxxxx, Xx collaborazioni coordinate e continuative e il lavoro a progetto, in P. Xxxxxx (a cura di), Lavoro e diritti dopo il D.Lgs.. 276/2003,pag. 10.
che il prestatore è tenuto ad eseguire, e di riflesso, sulla causa del contratto. Un rapporto che si caratterizzi per un adempimento duraturo può infatti più facilmente rientrare in un’obbligazione di mezzi, uno che si individui come contratto ad esecuzione istantanea è più idoneo invece a collocarsi nel novero delle obbligazioni di risultato.
La norma processuale dispone che la prestazione d’opera deve essere altresì coordinata. Il requisito della “coordinazione” indica “il collegamento funzionale tra l’attività del prestatore d’opera e quella del committente”11, richiamando in un certo senso alcuni caratteri propri del lavoro subordinato che sono assenti nel contratto d’opera come disciplinato dal codice civile.
Essa rappresenta quasi “un momento o uno strumento del processo produttivo”12.
Mentre però le caratteristiche della coordinazione nel lavoro subordinato si concretano nel potere del datore di lavoro di determinare unilateralmente le modalità di esecuzione della prestazione lavorativa e nel potere dello stesso di conformazione della prestazione dovuta, nelle xx.xx.xx. questo collegamento organizzativo si esprime solo attraverso il potere di conformazione esercitato dal committente13.
11 Cass. 20 agosto 1997, n. 7785, in Foro It. Rep. , 1997, voce Lavoro e previdenza (controversie), n. 49, pag. 1280.
12 Cass. 29 luglio 1986, n. 4882, in Foro It. Rep. , 1986, voce Lavoro e previdenza (controversie), n. 90, pag. 1619; Cass., sez. un., 7 luglio 1986 n. 4434, Foro It. Rep. , 1986, voce Lavoro e previdenza (controversie), n. 94, pag. 1690.
13 X. Xxxxxxx-Xxxxxxxxxx, La nuova figura del lavoro a progetto, in ADL, 2005, pag.
97. Esiste secondo l’A. tra le due forme di coordinazione una differenza sia di ordine
Questi è legittimato pertanto ad ingerire nell’attività del prestatore, senza però esercitare i poteri tipici del lavoro subordinato14.
Quanto infine al “principio di prevalenza” del lavoro personale da parte del collaboratore, occorre dire che questo criterio caratterizza in generale il lavoratore autonomo, tanto da essere segno distintivo tra piccola e grande impresa. La giurisprudenza ha ricondotto tale elemento ad una “preminenza dell’apporto lavorativo del collaboratore che si avvalga di terzi”15.
Il legislatore con l’art. 409, n. 3, c.p.c. non voleva dunque assorbire tali rapporti nel lavoro subordinato, né tanto meno assegnare una funzione antifraudolenta a tale norma16, ma estendere la tutela processuale del lavoro anche a rapporti che non erano riconducibili al tipo “lavoro subordinato” ex art. 2094. Quindi “l’espressione lavoro parasubordinato o coordinato non è indicativa di una fattispecie tipica, ma indica le modalità di svolgimento della prestazione di lavoro in una serie di rapporti che hanno natura e origine diversa”17.
È stato affermato che “il concetto di parasubordinazione non solo introduce nuova linfa al dibattito sull’art. 409, n. 3, c.p.c. anche
“qualitativo”, sia di ordine “quantitativo” “sicchè diventa difficile per il giudice individuare con nettezza la linea di confine tra il lavoro coordinato e subordinato”.
14 Cass. 9 marzo 2001, n. 3485, in Foro It. Rep., 2001, voce Lavoro e previdenza (controversie), n. 88, pag. 1221; Cass. 21 ottobre 1987, n. 7785, in Foro It. Rep., 1987, voce Lavoro e previdenza (controversie), n. 402, pag. 1715.
15 Cass. 14 aprile 1982, n. 2251, in Foro It. Rep., 1982, voce Lavoro e previdenza (controversie), n. 65, pag. 1535.
16 X. Xxxxxxx-Xxxxxxxxxx, Dal contratto d’opera al lavoro autonomo economicamente dipendente, attraverso il lavoro a progetto, in RIDL, 2004, I, pag. 551.
17 X. Xxxxxxx-Xxxxxxxxxx, Dal contratto d’opera…, op. cit., pag. 551.
a seguito del collegamento di questa disposizione con l’art. 2113
C.c. e l’art. 429, co. 3, c.p.c., ma segna una trasformazione dell’oggetto della materia del diritto del lavoro, il quale si interessa così non soltanto al lavoro subordinato, ma ora ricomprende in parte quello autonomo”18.
Occorre qui precisare che il ricorso sempre più frequente alle xx.xx.xx. ha caratterizzato profondamente la società degli ultimi anni. Ciò è stato favorito innanzitutto da “una situazione di illegalità diffusa e di massa, di difficile quantificazione, che ha creato nei fatti una fattispecie sostanziale intesa come generatrice di un rapporto funzionalmente equivalente al lavoro subordinato, ma senza costi e senza diritti”19. In secondo luogo hanno favorito il proliferarsi di questi rapporti “la più ridotta contribuzione previdenziale” (molto conveniente per il datore di lavoro) e “la non applicabilità della disciplina sui licenziamenti”20.
19 M. Napoli, Relazione per le giornate di studio di Padova, 21-22 maggio 2004, organizzate dall’AIDLASS, sul tema “ Autonomia individuale ed autonomia collettiva alla luce delle più recenti riforme”, pag. 21 del dattiloscritto, in xxx.xxxxxxx.xxx.
20 X. Xxxxxxxxx, op. cit., pag. 2.
La dottrina per più di trent’anni si è soffermata su questa tipologia di rapporti giungendo anche ad elaborare una proposta de iure condendo che collocava il lavoro coordinato come tertium genus21 tra lavoro subordinato e lavoro autonomo. La formula “lavoro coordinato” è stata però definita una “formula insincera”22, poiché volta fondamentalmente al soddisfacimento degli interessi delle imprese attraverso l’elusione della normativa sui licenziamenti.
Dalle osservazioni che precedono risulta con chiarezza che la dottrina e la politica legislativa23 hanno cercato di colmare la lacuna normativa esistente nel codice civile che non regola il lavoro autonomo continuativo.
In questo contesto si collocano l’art. 4 lett. c) della legge- delega 14 febbraio 2003, n. 30 e gli artt. 61-69 del D.Lgs. di attuazione 10 settembre 2003, n. 276 che regolano la nuova fattispecie del lavoro a progetto e che contraddicono, in un certo senso, il Libro Bianco. Questo auspicava un superamento della
21 V. R. De Xxxx Xxxxxx, Per una revisione delle categorie qualificatorie del diritto del lavoro: l’emersione del lavoro coordinato, in Arg. Dir. Lav., 1997, n. 5, pag. 41 ss; Persiani, Autonomia, subordinazione e coordinazione nei recenti modelli di collaborazione lavorativa, in Contratto e lavoro subordinato, Padova, 2002, pag. 105 ss. Sulla distinzione tra “lavoro parasubordinato” e “lavoro coordinato” si veda
X. Xxxxxxx-Xxxxxxxxxx, Dal contratto d’opera…, op. cit., pag. 554.
22 X. Xxxxxxx-Xxxxxxxxxx, Diritto dei lavori, Torino, 2003, pag. 290; e ancora X. Xxxxxxx-Xxxxxxxxxx, Flessibilità e rapporti di lavoro, in Arg. Dir. Lav., 1997, pag. 82. L’A. giustifica tale posizione asserendo “…la coordinazione pur distinguendosi sul piano concettuale dalla subordinazione, non sempre appare efficiente criterio di identificazione della relativa fattispecie (cioè utile ad evitare controversie sulla natura subordinata o coordinata del rapporto) nel concreto svolgimento del rapporto in ragione della sua innegabile contiguità con la subordinazione, soprattutto se deve essere utilizzato per togliere e non aggiungere tutele”.
23 V. d.d.l Xxxxxxxxx e x.x.x Xxxxx-Xxxx.
legislazione per tipi legali24, si proponeva infatti di rinunciare ad ogni ulteriore intento definitorio e classificatorio di una realtà in continuo e rapido mutamento25.
Il legislatore ha voluto così introdurre nel nostro ordinamento la fattispecie lavoro a progetto con il dichiarato intento di eliminare gli abusi che caratterizzavano l’adozione delle collaborazioni coordinate e continuative esistenti. Questa nuova forma di lavoro autonomo è un sottotipo del contratto d’opera, che tuttavia “si converte” in lavoro subordinato quando, ex art. 69 D.Lgs. 276/2003, i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa di cui all’art. 409, n. 3, c.p.c. siano stati instaurati “senza l’individuazione di uno specifico progetto, programma di lavoro o fase di esso ai sensi dell’art. 61, comma 1.”.
I motivi della riforma si rilevano nella relazione d’accompagnamento al D.Lgs. 276/2003 in cui viene denunciato che le xx.xx.xx “hanno rappresentato un modo con cui la realtà ha individuato nelle pieghe della legge le strade per superare rigidità e insufficienze delle regole del lavoro”, e in cui si dice, proprio a superamento della “farisaica accettazione di questa pratica elusiva”, di voler ricondurre siffatti rapporti alla diversa figura del lavoro a progetto.
Rispetto ai motivi che ispirarono il legislatore del 1973, in questo caso la finalità della riforma è antifraudolenta26. Il legislatore
24 In tal senso si veda anche X. Xxxxxxx, Il lavoro a progetto…ritorno al futuro?, in
C.S.D.L.E. “Xxxxxxx X’Xxxxxx”, 2005, n. 79, pag. 20.
però ha delineato “una fattispecie dai contorni non molto nitidi”27 che poggia le sue basi sulle collaborazioni coordinate e continuative ex art. 409, n. 3, c.p.c., ma che in parte se ne discosta, dando così adito ad una intensa opera interpretativa da parte della dottrina che si è divisa su posizioni concettuali divergenti.
Va pertanto precisato che la seguente ricostruzione potrebbe essere decisamente smentita da una giurisprudenza consolidata .
1.2. La nuova fattispecie lavoro a progetto.
“La legge 14 febbraio 2003, n. 30, ha delegato il Governo ad emanare uno o più decreti legislativi diretti a portare a compimento il disegno riformatore del mercato del lavoro in Italia (c.d. Riforma Biagi). Un disegno nitidamente anticipato, come noto, nel Libro Bianco dell’ottobre 2001 su Il mercato del lavoro in Italia”28.
L’art. 4 di tale legge in particolare autorizza il governo ad adottare uno o più decreti legislativi, recanti “disposizioni volte alla disciplina o alla razionalizzazione” di alcune tipologie di lavoro, tra le quali il lavoro coordinato e continuativo29.
26 X. Xx Xxxxxxx, La morte apparente delle collaborazioni coordinate e continuative, in X. Xxxxxxx (a cura di), Diritto del lavoro on line, xxx.xxxxx.xx/xxxxxx/XXXXXXXXXXXXXXXXXX.xxx, pag. 2 del datt.
27 X. Xxxxxxx-Xxxxxxxxxx, Dal contratto d’opera…, op. cit., pag. 557.
28 V. Relazione di accompagnamento al decreto di attuazione della Riforma Biagi.
29 V. M. Xxxxxxxxxx, op. cit., prendendo le mosse da tale art. l’A. individua un “doppio binario”: da un lato la nuova fattispecie lavoro a progetto (art. 62 D.Lgs.. 276/2003), dall’altro le vecchie xx.xx.xx , le quali devono essere ricondotte ad un
L’art. 61, comma 1, del D.Lgs. 276/200330 individua la fattispecie “lavoro a progetto”, strutturandola secondo un modello “a sommatoria” di requisiti31.
Nella nuova figura troviamo infatti la presenza di tutte le caratteristiche proprie delle collaborazioni coordinate e continuative con l’aggiunta di elementi ulteriori: la riconducibilità dell’attività ad uno o più progetti specifici o programmi di lavoro o fasi di esso, la determinazione degli stessi da parte del committente, la gestione autonoma del collaboratore in funzione del risultato, l’irrilevanza del tempo impiegato per l’esecuzione dell’attività lavorativa32.
Questo innesto ha messo però in evidenza alcune incongruenze tra i vari requisiti richiesti dall’art. 61.
progetto (art. 61 D.Lgs.. 276/2003), la mancanza del quale comporta per esse ( e solo per esse) la sanzione di cui all’art 69 del medesimo decreto. Quest’ultime pertanto non diventano contratti di lavoro a progetto.
Di conseguenza l’A. chiama: rapporti di lavoro coordinato e continuativo (semplice) le zone escluse dalla riforma (definite da lui stesso “l’altra metà del cielo”), rapporti di lavoro coordinato e continuativo o a progetto quelli individuati dall’art. 61, ed infine contratto di lavoro a progetto la figura delineata dall’art 62.
Occorre precisare che tale posizione, seppur suggestiva e autorevole, fa parte di una dottrina minoritaria e non verrà accolta nella trattazione che segue.
30 Per comodità si riporta il testo della norma “Ferma restando la disciplina per gli agenti e i rappresentanti di commercio, i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, prevalentemente personale e senza vincolo di subordinazione, di cui all’art. 409, n. 3, del codice di procedura civile devono essere riconducibili a uno o più progetti specifici o programmi di lavoro o fasi di esso determinati dal committente e gestiti autonomamente dal collaboratore in funzione del risultato, nel rispetto del coordinamento con l’organizzazione del committente e indipendentemente dal tempo impiegato per l’esecuzione della prestazione lavorativa”.
31 X. Xx Xxxx Xxxxxx, Dal lavoro parasubordinato al lavoro a progetto, WP
C.S.D.L.E. “Xxxxxxx X’Xxxxxx”, 2003, n. 25, pag. 13.
32 Si veda X. Xxxxx, Sul lavoro a progetto, RIDL, 2005, I, pag. 201. L’A. ritiene che “il legislatore ha fatto ricorso alla tecnica del contenuto contrattuale vincolato”.
Come conciliare, infatti, un contratto come quello delineato dall’art. 409, n. 3, c.p.c. (vedi par. precedente), che secondo alcuni autori può essere considerato di durata in senso tecnico, con un nuovo contratto (quello di lavoro a progetto), che prende forma dalla stessa norma processuale, ma rispetto al quale il tempo impiegato per l’esecuzione dell’attività lavorativa sembra essere irrilevante?
L’enunciato normativo non delinea nitidamente la fattispecie e non definisce cosa si intenda per “progetto” e “programma”.
In dottrina si sono delineati, così, due indirizzi interpretativi33.
Una parte di essa ritiene infatti che la nuova fattispecie abbia una valenza inclusiva34, che possegga cioè le stesse caratteristiche delle vecchie xx.xx.xx. ex art. 409, n. 3, c.p.c. con l’aggiunta del solo progetto, il quale indica le mere modalità di esecuzione della prestazione lavorativa.
Per un altro orientamento la fattispecie è invece esclusiva35, si distingue cioè dalle xx.xx.xx. sia per il progetto, il quale non può essere aziendale ma deve essere “dedotto in contratto”36, sia per la
33 X. Xxxxxxx-Xxxxxxxxxx, Prime chiose alla disciplina del lavoro a progetto, in Arg. Dir. Lav., 2004, pag. 28.
34 X. Xxxxxxxx, Xxxxxx a progetto e lavoro occasionale, in X. Xxxxxxx (coordinato da), Commentario al D.Lgs.. 10 settembre 2003, n. 276, Milano, 2004, vol. IV, Tipologie contrattuali a progetto e occasionali, pag. 38.
35 X. Xxxxxxx-Xxxxxxxxxx, Prime chiose..., op. cit, pag. 29; X. Xxxxx, op. cit., pag. 665;
X. Xxxxxxx, Tipologie di lavoro flessibile, Torino, 2004, pag. 248; Pizzoferrato, Il lavoro a progetto tra finalità antielusive ed esigenze di rimodulazione delle tutele, in Illej n. 1, 2004, http//:xxx.xxxxxxxxxxxxxx.xx, pag. 5 e ss.
36In tal senso vedi la distinzione con la nozione di programma delineata nei progetti di legge descritti nella nota 39. Secondo quei testi infatti il programma aziendale non entra nel contenuto del contratto ma si colloca all’esterno dello stesso, perché la sua realizzazione eccede l’esecuzione del singolo contratto. Nella logica di quei progetti
natura dell’obbligazione che è esclusivamente di risultato. Per questa dottrina quindi non ha senso affermare che per ricondurre tutto il lavoro parasubordinato nell’ambito della nuova fattispecie basterà “sfoggiare la verbosa estrosità necessaria e sufficiente”37 per etichettare come progetto o programma il vecchio lavoro coordinato, poiché il progetto non può essere una sorta di “orpello agganciabile a tutte le collaborazioni coordinate e continuative”.38
Visto il rigore dell’art. 69 secondo il quale “I rapporti di collaborazione coordinata e continuativa instaurati (dopo l’entrata in vigore del decreto) senza uno specifico progetto, programma di lavoro o fase di esso ai sensi dell’art. 61, comma 1, sono considerati rapporti di lavoro subordinato a tempo indeterminato sin dalla data di costituzione del singolo rapporto”.
Preso atto inoltre che l’art 86, comma 1, stabilisce che “le collaborazioni coordinate e continuative (esistenti) non riconducibili ad un progetto o a una fase di esso, mantengono efficacia fino alla loro scadenza e, in ogni caso, non oltre un anno dalla data di entrata in vigore del presente provvedimento” salvo il prolungamento del termine eventualmente indicato dalla contrattazione collettiva.
Si rende necessario in primis un chiarimento sulla nozione di progetto, programma di lavoro, fase di esso.
infatti il collaboratore si impegnava ad adempiere un’obbligazione di mezzi e non necessariamente di risultato.
37 L’espressione è di X. Xxxxxxxxx, Radiografia di una riforma, in Lav. Dir., 2004, pag. 32.
38 L’espressione è di X. Xxxxxxx-Xxxxxxxxxx, Prime chiose…, op. cit., pag. 30.
Ereditato da precedenti progetti di legge39, seppur a nostro avviso con una diversa accezione40, il connotato del “progetto o programma di lavoro” riduce notevolmente la variegata tipologia delle xx.xx.xx., poiché molte di esse difficilmente possono essere riconducibili ad un progetto o programma.41
Nel linguaggio comune, i termini “progetto” e “programma” possono essere interpretati in almeno due sensi.
A riguardo si individuano, infatti, due diversi orientamenti dottrinari, che fanno leva sulle definizioni presenti in autorevoli dizionari42.
L’“appello al linguaggio comune”43 contenuto nei dizionari però non ci permette di risolvere il problema, perché la dottrina ricorrendo ad esso, accoglie sia interpretazioni volte a distinguere
39 V. il Progetto De xxxx Xxxxxx, Xxxxxxx, Persiani, cit.: prestatore di lavoro coordinato “è colui che si obbliga, mediante corrispettivo, a compiere prestazioni periodiche o continuative di opere o servizi per la realizzazione di un programma aziendale a favore di un’impresa, determinando individualmente le modalità di esecuzione del programma…”; definizione sostanzialmente recepita nel progetto di legge n. 3972 Lombardi e Xxxxxxx presentato alla Camera dei Deputati il 9 luglio 1997.
40 In quei disegni di legge il progetto era inteso come programma aziendale, a nostro avviso invece il progetto di cui all’art. 61 deve considerarsi interno al contratto. In tal senso si veda X. Xxxxxxx-Xxxxxxxxxx, Prime chiose..., op. cit, pag. 29. In senso contrario, sia pure con riferimento alla legge delega, vedi X. Xxxxxxxxx, Il lavoro coordinato e continuativo, in La Legge delega in materia di occupazione e mercato del lavoro, a cura di M.T. Carinci, Milano, 2003, pag. 201 e ss..
41 X. Xx Xxxx Xxxxxx, Dal lavoro parasubordinato, op. cit., pag. 14.
decisamente il progetto dal programma44, sia interpretazioni che invece li considerano sinonimi45.
Ci si è così chiesti se i termini in questione potessero essere interpretati in senso tecnico46, ma anche il ricorso a tale linguaggio non è comunque soddisfacente, perché “i termini “progetto” e “programma” non sembrano assumere un significato tecnico- giuridico autonomo e generalmente utilizzabile”47 .
Ai sensi dell’art. 12 , comma 1, disp. prel. del C.c. “ Nell’applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, e dall’intenzione del legislatore”.
La disposizione, di estrema importanza per chi si vuole accingere ad interpretare un qualsiasi dato normativo, dovrà essere rammentata per tutto il corso della trattazione. Essa può essere scissa in due proposizioni, come testimonia l’utilizzo di un segno d’interpunzione seguito dalla congiunzione “e”.
44 Cfr. X. Xxxxxxxx, Il collaboratore a progetto, in Lav. giur., 2003, pag. 818. L’A. differenzia il progetto dal programma sulla base della definizione fornita dal dizionario della lingua italiana DEVOTO-OLI. Di tal che il progetto si caratterizza per un contenuto ideativo non riscontrabile nel programma, mera enunciazione di ciò che si vuole fare. Nello stesso senso X. Xxxxx, Le collaborazioni (coordinate e continuative) a progetto, in Xxx. xxxx. xxx. , 0000, pag. 94.
45 X. Xxxxx, Lavoro a progetto e modelli contrattuali di lavoro, in Arg. Dir. Lav., 2003, pag. 667. Per l’A., che cita il Vocabolario della lingua italiana di X. XXXXXXXXXX e il Dizionario fraseologico delle parole equivalenti, analoghe e contrarie di X. XXXXXXX, i due termini sono stati utilizzati come una sorta di endiadi. V. anche X. Xxxxxxx, La nuova disciplina delle collaborazioni coordinate e continuative: profili generali, in Guida al lavoro, 2004, n. 4, allegato, pag. 9.
46 X. Xxxxxxxxx, op. cit., pag. 4.
Nella prima parte viene introdotto il criterio della connessione, o dell’unità semantica, il quale designa l’uso di ciò che nell’interpretazione del contratto è conosciuto come contesto verbale (art. 1363 C.c.), e che nell’interpretazione della legge riguarda tutte le norme di un dato ordinamento.
Ai fini di una corretta interpretazione del dato normativo è opportuno dunque valorizzare in primo luogo le altre specificazioni del legislatore che, essendo altamente significanti se lette con il rigore delle categorie civilistiche, possono attribuire una capacità “euristica”48 alle espressioni “progetto” e “programma”.
Tra queste è da segnalare l’art. 67 comma 1, del D.Lgs. 276/2003, il quale afferma testualmente che il progetto costituisce l’oggetto del contratto49, e che il contratto si risolve (rectius si estingue) nel momento della realizzazione del progetto, programma o fase di esso.
Il ricorso al “linguaggio tecnico-giuridico” deve dunque essere accompagnato da una lettura conforme al complesso normativo tenendo conto degli altri elementi che esso ci fornisce50.
A volte però tale sforzo ermeneutico può non essere sufficiente, poiché ciascun fonema è connotato da una pluralità di sensi o significati. In questi casi interviene la seconda parte della
48 X. Xxxxxxx, op. cit., pag. 24.
49 Contra X. Xxxxxxx, Tipologie contrattuali a progetto e occasionali, in X. Xxxxxxxx-
X. Xxxxxxx (a cura di), La riforma del mercato del lavoro e i nuovi modelli contrattuali, commentario al D.Lgs.. 10 settembre 2003, n. 276, pag. 720. Per l’A. oggetto dell’obbligazione è la prestazione d’opera.
50 X. Xxxxxxx-Xxxxxxxxxx, Prime chiose…, op. cit., pag. 27; X. Xxxxxxxx, op. cit., pag. 813; X. Xxxxx, op. cit., pag. 670; X. Xxxxxxx, op. cit, pag. 1; X. Xxxxxxxxx, op. cit, pag. 6.
xxxxx; l’intenzione del legislatore è dunque chiamata a sciogliere i casi di polisemia, ossia l’ambiguità delle parole. Attraverso la mens legis (lavori preparatori e sviluppo storico e politico di una società quale risulta anche dall’analisi di proposizioni normative che vigevano in tempi passati) è desumibile lo scopo perseguito da una norma; essa ha quindi una funzione selettiva tra i diversi significati possibili che una norma può possedere51.
Dai dibattiti che si sono sviluppati per anni in tema di xx.xx.xx. e dalla relazione di accompagnamento al decreto di attuazione della Riforma Xxxxx, si evince come la nuova disciplina sia stata introdotta allo scopo di impedire ulteriori simulazioni ed elusioni, visto che gran parte delle collaborazioni in questione in passato nascondevano veri e propri rapporti di lavoro subordinato52. “Tra le diverse ipotesi ermeneutiche prospettabili, l’interprete dovrebbe, dunque, propendere per quella più coerente con la finalità antifraudolenta della nuova disciplina”53.
Molti autori ritengono dunque che l’art. 61 individui una nuova fattispecie contrattuale54 nella quale il progetto diviene l’oggetto del
51 X. Xxxx, Xxxxx e contesto, una lettura dell’art. 1362 codice civile, Padova, 1996, pag. 148 e ss..
52 X. Xxxxxxxxx, op. cit, pag. 6; X. Xxxxxxxx, op. cit., pag . 813; X. Xxxxx, op. cit., pag. 670; X. Xxxxxxx-Xxxxxxxxxx, Prime chiose…, op. cit., pag. 27; X. Xxxxxxx, op. cit, pag. 1.
53 X. Xxxxxxxxx, op. cit., pag. 6.
54 X. Xxxxxxx-Xxxxxxxxxx, Prime chiose..., op. cit, pag. 27; X. Xxxxxxxx, Il collaboratore a progetto, in Lav. giur., 2003, pag. 814; X. Xx Xxxx Xxxxxx, Dal lavoro parasubordinato al lavoro a progetto, WP C.S.D.L.E. “Xxxxxxx X’Xxxxxx”, 2003, n. 25, pag. 2; X. Xxxxxxx – X. Xxxxxxx, Il lavoro a progetto, WP C.S.D.L.E. “Xxxxxxx X’Xxxxxx”, 2004, n. 27, pag. 3. Contra X. Xxxxxxxxxx, op. cit., pag. 723, secondo l ‘A. “l’art. 61 non giuridifica una nuova fattispecie contrattuale…vi è un giudizio di continuità con la formula dell’art. 409, n. 3, c.p.c.”.
contratto (art. 67, comma 1). Ciò vuol dire che il progetto deve essere dedotto in contratto e quindi deve essere approvato dalle parti con una clausola apposita (art. 62, comma 1, lettera b). Esso quindi è parte integrante del contratto o, al limite può essere allegato al documento contrattuale.
Non può essere infatti accolta la posizione di quella dottrina che, muovendo dal presupposto che il progetto sia determinato dal committente, ritiene che lo stesso non sia oggetto di contrattazione tra le parti e, di conseguenza, che il progetto resti al di fuori del regolamento contrattuale55. Ciò non solo non trova riscontro nella disciplina dei contratti56, ma è in palese disaccordo con la relazione di accompagnamento allo schema iniziale del D.Lgs. 6 giugno 2003. Non considerare il progetto come oggetto del contratto di lavoro di cui all’art. 61, comporta infatti per parte della dottrina che esso coincida col più generico progetto o programma aziendale. Una tale lettura non farebbe altro che frustrare lo spirito antifraudolento della riforma.
55 In tal senso X. Xxxxx, Le collaborazioni coordinate e continuative e il lavoro a progetto, in P. Xxxxxx (a cura di), Lavoro e diritti dopo il D.Lgs.. 276/2003, pag. 332.; X. Xxxxxxx, op. cit., pag. 720; X. Xxxxxxx, op. cit., pag. 9.
56 I contratti per previsione del legislatore (artt. 1362-1371) possono essere conclusi anche laddove una delle due parti non proferisca parola e non abbia alcuno spazio di scelta e quindi anche laddove l’intero contenuto del contratto sia stabilito unilateralmente da un solo contraente. Per una trattazione più completa si veda X. Xxxx, op. cit. Contra X. Xxxxx, Le collaborazioni coordinate e continuative e il lavoro a progetto, in P. Xxxxxx (a cura di), Lavoro e diritti dopo il decreto legislativo 276/2003, Bari 2004, in xxxx://xxx.xxxxx.xx/xxxxxx/XXXXXX_XX.xxx, pag. 19, secondo il quale “se progetto e programma costituissero l’oggetto del contratto di lavoro a progetto, l’art. 69, comma 1, costituirebbe un’ipotesi di conversione di un contratto nullo”.
Il progetto pertanto non è esterno e non può essere quindi considerato un “contenitore della prestazione”57 ma, semmai, esso indica il contenuto della stessa e più precisamente “le caratteristiche dell’opus o del servizio che il lavoratore stipulando il contratto si impegna a compiere”58.
Il progetto inoltre non ha la funzione di descrivere ex ante le modalità e le condizioni di esecuzione della prestazione lavorativa59, perché queste vengono inserite nell’apposita clausola di cui all’art. 62, lettera d. Lo stesso pertanto non può avere come oggetto la mera attività di lavoro del collaboratore, ma la realizzazione di uno specifico risultato60, come avviene normalmente nel contratto d’opera.
Determinato in generale quale sia la funzione del progetto e del programma di lavoro, occorre però domandarsi se vi sia una differenza tra i due termini ed inoltre come si inserisca la fase all’interno di questo meccanismo61.
Come si è detto qualche autore ha ritenuto che i due termini siano sinonimi e si colorino a vicenda62. Altri hanno replicato però che “in un enunciato normativo non dovrebbero esservi sinonimi o
57 L’espressione è di X. Xxxxxxx, op. cit., pag. 9.
58 X. Xxxxxxx-Xxxxxxxxxx, Prime chiose…, op. cit., pag. 30.
59 X. Xxxxx, op. cit., pag. 668.
60 Si veda X. Xxxxxxxxx, op. cit., pag. 19, per il quale “ il progetto e il programma individuano preventivamente le modalità di esecuzione della prestazione lavorativa ma, soprattutto, il risultato che il collaboratore si impegna a realizzare”.
61 Cfr. X. Xxxxxxxxx, op. cit., pag. 19. Per l’A. “una ulteriore distinzione tra progetto, programma e fase sarebbe giuridicamente irrilevante, in quanto non muterebbe la fattispecie già delineata.”
62 X. Xxxxx, op. cit., pag. 667; X. Xxxxx, op. cit., pag. 20.
endiadi”63, seppur occorre riconoscere che non è agevole individuare una differenza funzionale tra il progetto e il programma64.
Data l’insufficienza e l’esiguità dei dati normativi in questo caso l’uso del condizionale è d’obbligo. Vi è dall’altro lato infatti chi ritiene che l’art. 61, comma 1, utilizzi un climax discendente, che muove dal concetto di progetto specifico, per scalare su quello di programma di lavoro e dissolversi nelle diverse fasi di lavoro o programma65.
Dal dettato dell’art. 61, comma 1, comunque si comprende che il progetto deve essere specifico66, mentre questo attributo non è riferito al programma. Alcuni autori ritengono che il progetto sia una “ideazione” che si differenzia dal programma per la sua
63 X. Xxxxxxx-Xxxxxxxxxx, La nuova figura…, op. cit., pag. 103.
65 X. Xxxxxxxx, op. cit., pag. 23.
66 Si veda però X. Xxxxx, op. cit., pag. 669. Coerentemente all’interpretazione proposta l’A. riferisce l’attributo specifico anche al requisito del programma. Sulla specificità del progetto insiste però il Trib. Torino 5 aprile 2004 in xxx.xxxxxxxxxxxxxx.xxxxxxxx.xx, pag. 10 della sentenza, ed ora anche in Guida al lavoro, 2005, n. 22, il giudice precisa “anche a non intendere la specificità quale individuazione del progetto sul singolo collaboratore non si può accettare l’estremo opposto, verificatosi nel caso di specie, di una standardizzazione di centinaia di contratti a progetto in tutto e per tutto identici tra loro, ed identici altresì all’oggetto sociale”.
Recentemente anche il Tribunale di Modena con l’ordinanza del 21 febbraio 2006, in Il lavoro nella giurisprudenza, 2006, n. 5, pag. 478, si è espresso sull’argomento. Questo giudice ritiene che il risultato di cui all’art. 61 non può essere “quello cui tende l’organizzazione del committente, inteso cioè quale interesse finale dell’impresa…bensì il risultato dotato di una sua compiutezza e autonomia ontologica realizzato dal collaboratore con la propria prestazione e reso all’impresa quale adempimento della propria obbligazione”.
eccezionalità67, secondo altri invece il progetto si caratterizza per la singolarità dell’opus o del servizio. Conseguentemente potrebbe riguardare un singolo opus che non rientra nel normale ciclo aziendale. Sarebbe ad ogni modo coerente con la ratio legis distinguere il progetto dal programma, “per l’originalità e non ripetività del primo rispetto al secondo”68, anche se tale importante indicazione meriterebbe un’espressa previsione legislativa.
Il programma invece potrebbe avere come oggetto una pluralità di opera o la reiterazione di un medesimo opus per un determinato tempo, potendo pertanto rientrare anche nelle tipologie di prestazioni svolte dai lavoratori dipendenti dell’impresa.69
Va segnalato comunque che, contrariamente a quanto si è affermato poco sopra, diversi autori ritengono possano essere legittimamente dedotte in un contratto di lavoro a progetto le attività direttamente afferenti ad un ciclo produttivo e che non sono per nulla straordinarie ed occasionali, nel senso che soddisfano esigenze che ciclicamente si ripropongono all’interno della stessa attività economica ordinaria, ed anche ad intervalli ravvicinati70.
67 V. in tal senso X. Xxxxxxxx, op. cit., pag. 818. Dello stesso avviso X. Xxxxx, Le collaborazioni (coordinate e continuative) a progetto, in Rivista giuridica del lavoro e della previdenza sociale, n. 1, 2004, pag. 94.
68 X. Xxxxxxx-Xxxxxxxxxx, Prime chiose…, op. cit., pag. 34.
69 Cfr. X. Xxxxxxxxx, op. cit., pag. 20. L’A. sostiene che “ se si sceglie di attribuire ai termini progetto e programma significati diversi, il progetto presuppone un’ideazione finalizzata all’esecuzione di un lavoro, mentre il programma consiste nell’esposizione ordinata e particolareggiata di ciò che si vuole o si deve fare”. Si veda anche X. Xxxxxxxx, op. cit., pag. 25, in cui l’A. sostiene che il progetto valga quale criterio di oggettivazione preventiva dell’ambito della prestazione lavorativa, che esclude in radice l’esercizio del potere di conformazione.
70 In senso contrario però si veda Trib. Torino sent. 5 aprile 2004 in op. cit., pag. 12 e Trib. Modena ordinanza del 21 febbraio 2006, op. cit., pag. 477 e ss..
Non sembra invece poter essere accolta l’affermazione secondo cui il programma “include ogni tipo di risultato anche non autosufficiente” e quindi “un risultato solo parziale destinato ad essere integrato, in vista di un risultato finale, da altre lavorazioni e risultati parziali”71. Queste affermazioni potrebbero essere invece la definizione più appropriata di “fase”, la quale va riferita al lavoro72 e non al progetto o programma73 e indica pertanto una parte ben determinata di un processo di lavorazione.
Anche qui però il condizionale è d’obbligo visto che il termine fase, se riferito sicuramente a “lavoro” nell’art. 61, comma 1, in altre disposizioni può essere connesso anche a “programma di lavoro” (si vedano: art. 62, lett. b, art. 69, commi 1 e 2), o addirittura a “programma” (art. 67, comma 1) e a “progetto” (art. 86, comma 1).
Peraltro dovrebbe escludersi la rinnovazione del contratto di lavoro a progetto per la specificità del medesimo74, mentre dovrebbe ammettersi per il contratto a programma.
72 Si veda l’art. 61, comma 1, D.Lgs.. 276/2003, laddove si utilizza il plurale “programmi di lavoro”, “fasi di esso” non può che riferirsi a lavoro.
73 Contra V. D. Xxxxxxxxx, op. cit., pag. 22. L’A. sostiene che il termine fase si riferisca a programma e non a lavoro; X. Xxxxx, op. cit., pag.20; X. Xxxxx, op. cit., pag. 667; X. Xxxxx, op. cit., pag. 203, nota 18, per L’A. non sembra rilevante distinguere tra fase di programma o fase di lavoro.
74 In senso contrario X. Xxxxxxxxxx, op. cit., pag. 710. Laddove l’A. coerentemente con la teoria del “doppio binario” da lui stesso realizzata, sostiene che per la fattispecie di cui all’61 la durata è indeterminata, mentre per quella di cui all’art. 62 la durata è determinata.
L’art. 61, comma 1, stabilisce inoltre che il progetto, il programma, o la fase sono “gestiti autonomamente dal collaboratore in funzione del risultato”. Questa espressione oltre ad essere coerente con la nozione che si è data di progetto come realizzazione di un opus o di opera, inserisce, secondo alcuni autori, il contratto di lavoro a progetto nel novero delle obbligazioni di risultato75.
È importante precisare da subito che la conduzione autonoma del progetto da parte del collaboratore76, non consente di affermare che questi concorra nella gestione dello stesso, quindi la determinazione del progetto da parte del committente non può risolversi “in un’asettica e preventiva descrizione del lavoro alla stregua di un mansionario, ciò comporterebbe infatti la previsione di un’obbligazione di mezzi del collaboratore a progetto”77.
Con riferimento al “risultato” occorre poi aggiungere che tra gli autori vi è un’antica discussione riguardante la genuinità della distinzione tra obbligazioni di mezzi e di risultato.
Per alcuni di essi esiste infatti soltanto una differenza dell’oggetto della prestazione, e non dell’obbligazione78.
75 Si veda anche X. Xxxxx, op. cit, pag. 18, l’A. interpreta il termine “risultato” di cui all’art. 61, comma 1, come “risultato materiale” e non come “risultato giuridico”.
76 Si veda X. Xxxxxxxxxx, op. cit., pag. 701, secondo l’A. “il requisito della determinazione del progetto ad opera del committente non è indefettibile, ma solo eventuale e statisticamente consistente”, esso infatti può essere determinato anche dal collaboratore.
77 X. Xxxxxxx-Xxxxxxxxxx, Prime chiose…, op. cit., pag. 31.
78 In tal senso si veda X. Xxxxxxx, Il lavoro autonomo, in Trattato di diritto civile e commerciale già diretto da X. Xxxx e X. Xxxxxxxx, continuato da X. Xxxxxxx, Vol. XXVII, t. 1, Milano 1996, pag. 177 e ss., e più recentemente in Lavoro a progetto tra problema e sistema, in Lav. Dir., 2004, pag. 95, laddove l’A. sottolinea “l’insostenibile leggerezza” della bipartizione in questione che avrebbe “irretito” parte della dottrina.
La ripartizione in questione non deve comunque essere enfatizzata79.
Il codice civile non diversifica infatti, sul piano della responsabilità, le due tipologie di obbligazioni, poiché le norme in tema di diligenza dell’adempimento e responsabilità per inadempimento, si rivolgono a tutte le obbligazioni indistintamente80.
Una differenza può essere rilevata solo “da un punto di vista materiale”81.
Nelle obbligazioni di risultato infatti “il risultato dovuto consiste in una realizzazione finale in cui si risolve con piena soddisfazione il fine economico del creditore, l’interesse che ha determinato il sorgere del vincolo; invece, oggetto delle c.d. obbligazioni di mezzi, è soltanto un comportamento qualificato da un certo grado di convenienza ed utilità in ordine a quel fine, la cui realizzazione non è di per sé compresa nell’orbita del rapporto obbligatorio”82.
Questa bipartizione è utile comunque nel nostro caso per meglio qualificare la prestazione del lavoratore a progetto.
79 X. Xxxxxxxxx, La fattispecie…, op. cit., pag. 10.
81 X. Xxxxxxxxx, La fattispecie…, op. cit., pag. 10.
Siamo infatti in presenza di una collaborazione autonoma introdotta nel nostro ordinamento per una finalità fondamentalmente antifraudolenta.
Ne deriva che una collaborazione in cui il lavoratore sia a disposizione del datore senza essere vincolato alla realizzazione di un opus, è più facilmente inquadrabile in un rapporto di lavoro subordinato83.
La collocazione della prestazione del collaboratore a progetto all’interno delle obbligazioni di mezzi, vanificherebbe dunque la ratio legis.
Ritengo pertanto sia più calzante qualificare la prestazione di questo lavoratore come obbligazione di risultato.
La prima giurisprudenza non ha però condiviso l’opinione espressa in questa sede.
Si è ritenuta infatti contradditoria l’interpretazione della prestazione a progetto quale obbligazione di risultato, poiché essa contrasterebbe con l’art. 63 (compenso proporzionale alla quantità e qualità del lavoro eseguito) e con l’art. 67, comma 2, (recesso per giusta causa o per altri causali prima della scadenza del termine o della realizzazione del progetto).
Entrambe le norme, a detto di questo giudice, contraddirebbero “la necessità di raggiungere un risultato”84 e permetterebbero la qualificazione della prestazione quale obbligazione di mezzi.
La giurisprudenza più xxxxxxx00, però, rilevando l’inequivocabile presenza in un contratto a progetto di una
83 X. Xxxxxxxxx, La fattispecie…, op. cit., pag. 12.
prestazione di mezzi “senza alcuna individuazione di un
«risultato»”, pone, tale constatazione assieme ad altre, a fondamento della decisione di convertire, ex art. 69, il contratto in rapporto di lavoro subordinato.
Si afferma infatti in tale pronuncia che “la prestazione priva di qualsivoglia riferimento al risultato, ancorché parziale, finisce per tradursi in mera messa a disposizione delle energie lavorative con onere di diligenza così come è caratteristico del lavoro subordinato”.
Secondo l’art. 61, comma 1, inoltre, il progetto, il programma, o la fase vengono gestiti autonomamente dal collaboratore in funzione del risultato e “ indipendentemente dal tempo impiegato per l’esecuzione dell’attività lavorativa”. Tale elemento, unito a quello della “continuità” della prestazione che caratterizza, oltre le xx.xx.xx., anche il lavoro a progetto, rende necessario un ulteriore approfondimento. Occorre porsi un interrogativo: il lavoro a progetto è o non è un contratto di durata in senso tecnico?
Come è già stato evidenziato, non tutti i contratti che prevedono una prestazione prolungata da parte del debitore sono contratti di durata in senso tecnico. Ciò che rileva infatti ai fini della collocazione nel novero dei contratti di durata è il soddisfacimento continuativo di un bisogno durevole del creditore, come avviene ad
84 Tribunale di Torino, 5 aprile 2004, op. cit., pag. 13.
85 Tribunale di Torino 10 maggio 2006, n. 198, in xxx.xxxx.xxxxx.xx. Sul punto si veda X. Xxxxxxxxxx, Lavoro a progetto: un’altra sentenza del Tribunale di Torino, Commento a Tribunale Torino, 10 maggio 2006, in xxx.xxxx.xxxxx.xx.
esempio nel lavoro subordinato e nelle vecchie xx.xx.xx. (vedi par. 1.1.).
La norma in questione dunque, pur fondando il lavoro a progetto sui requisiti propri delle xx.xx.xx. (tra i quali la continuità), aggiunge un dato normativo “indipendentemente…” che evidenzia come il tempo sia subito dalle parti86. Sembra cioè che l’adempimento dell’obbligazione in questo caso si esaurisca uno actu e che pertanto non sia evocata la durata in senso tecnico87, ma l’esecuzione prolungata dell’obbligazione del collaboratore a progetto.
Tale precisazione tra l’altro risulta conciliabile anche con la gestione in funzione del risultato da parte del collaboratore. Se il lavoro a progetto fa parte delle obbligazioni di risultato sembrano infatti del tutto coerenti le affermazioni che precedono, posto che il contratto si perfeziona con la realizzazione dell’opus perfectum. Il termine indicato nel contratto ( v. art. 62 lett. a), in questo caso, assume rilevanza come in un comune contratto d’opera, stabilisce quindi il termine entro il quale deve avvenire l’adempimento (istantaneo) dell’obbligazione, salvo il caso in cui il prestatore riesca ad adempiere prima della scadenza88.
86 Con riferimento ai contratti di durata si veda X. Xxxx, I contratti di durata, in Riv. dir. comm., 1943, I, pag. 145.
87 In senso contrario si veda X. Xxxxx, op. cit., pag. 204. L’A. sostiene che il contratto di lavoro a progetto sia “un’obbligazione di durata e, allo stesso tempo, di risultato”; ed ancora X. Xxxxx, op. cit, pag. 18.
88 X. Xxxxxxx-Xxxxxxxxxx, Prime chiose.., op. cit., pag. 37, tale interpretazione è in linea con il contenuto dell’art. 67, comma 1, secondo il quale il contratto si risolve con la realizzazione del progetto, del programma o della fase. X. Xxxxxxxx, op. cit., pag. 35, per l’A. addirittura “il termine ha una duplice valenza: da un lato esso opera a favore del prestatore, perché consente l’innesto di alcuni tratti della disciplina del
Anche il contratto d’opera però può essere considerato un contratto di durata in senso tecnico, laddove preveda l’esecuzione di più opera o servizi tra loro collegati da un nesso di continuità89.
La qualificazione di rapporti di durata pertanto può essere appropriata anche per il contratto di lavoro a progetto, se il rapporto sia riconducibile a più progetti collegati da un nesso di continuità, oppure, nel caso di un unico progetto, laddove questo preveda il compimento di più opera o servizi che comportino la realizzazione di un interesse durevole del committente90.
Nonostante “l’irrilevanza del tempo” sembri incompatibile con un rapporto di durata, tale riferimento “attiene alla qualificazione dell’obbligazione del collaboratore a progetto in termini di risultato e riguarda l’esecuzione del singolo opus”91 all’interno di un’obbligazione che preveda più opera92. È nell’ambito del programma negoziale che quei stessi risultati distinti l’uno dall’altro, trovano una connessione temporale soddisfando un interesse durevole del committente93.
Un contratto di durata può quindi prevedere sia un’obbligazione di risultato, sia un termine finale94. Per questo profilo il lavoro a progetto è stato assimilato da alcuni autori al
lavoro subordinato…, dall’altro, ed in fase di controbilanciamento, esso opera a favore dell’impresa consentendole comunque di intrattenere un rapporto leggero, nel quale la risoluzione è possibile non solo per realizzazione del risultato, ma anche per decorso del termine”.
89 X. Xxxxxxx-Xxxxxxxxxx, Diritto dei lavori, Torino, 2002, pag. 280.
90 X. Xxxxxxx-Xxxxxxxxxx, Il lavoro parasubordinato, op. cit., pag, 62.
91 X. Xxxxxxxxx, op. cit., pag. 15.
92 Cfr. X. Xxxxxx, voce Appalto privato, in Nov. Dig. It., pag. 693.
93 Cfr. X. Xxxxxxx, Manuale di diritto privato, Napoli, 2001, pag. 1104.
00 X. X. Xxxxxxxx, xxxx Obbligazioni, in Enc. Dir., pag. 27.
contratto di appalto, perché, come esso, può configurarsi sia come contratto di durata, che come contratto ad esecuzione prolungata95.
Secondo quanto si è detto sembra in conclusione conciliabile qualificare contratti ad esecuzione prolungata, quelli riconducibili ad un progetto e quindi alla realizzazione di un opus. Mentre risulta essere altrettanto appropriato qualificare rapporti di durata, quelli che, ex art. 61, comma 1, siano riconducibili ad un programma, inteso come ripetizione periodica di un opus o collegamento temporale tra opera diversi.
Quanto invece al “rispetto del coordinamento con la organizzazione del committente” si rinvia a quanto detto in riferimento all’art. 409, n. 3, c.p.c. (par. 1.1). Vale la pena precisare che tale inciso va letto assieme a quello presente nell’art. 62 lett. d del decreto, il quale verrà approfondito successivamente laddove si commenterà tale norma.
A conclusione dell’analisi sulla fattispecie lavoro a progetto si deve far cenno ad una prassi, non solo dottrinale, volta a limitare la portata innovativa del dettato normativo.
Questa tendenza è stata sicuramente favorita dalla circolare del Ministero del Lavoro n. 1 dell’8 gennaio 2004, la quale tenta di svalutare l’importanza del riferimento normativo alla “finalizzazione ad un risultato” della prestazione lavorativa del collaboratore a progetto, avvalorando la tesi di chi sostiene che tale indicazione si riferisca al risultato finale del ciclo produttivo.
95 X. Xxxxxxx-Xxxxxxxxxx, Prime chiose.., op. cit., pag. 38; X. Xxxxxxxxx, op. cit., pag. 20.
La circolare afferma che “il progetto consiste in un’attività ben identificabile e funzionalmente collegata ad un determinato risultato finale cui il collaboratore partecipa direttamente con la sua prestazione” e che “il programma di lavoro consiste in un tipo di attività cui non è direttamente riconducibile un risultato finale; il programma di lavoro o la fase di esso si caratterizzano, infatti, per la produzione di un risultato solo parziale destinato ad essere integrato, in vista di un risultato finale, da altre lavorazioni e risultati parziali”.
Tra l’altro la stessa circolare risulta contraddittoria laddove in riferimento al corrispettivo si legge “la quantificazione del compenso deve avvenire in considerazione della natura e durata del progetto o del programma di lavoro, e cioè, in funzione del risultato che il collaboratore deve produrre”. Lascia infatti intendere che un risultato individuale è riscontrabile nel lavoro a progetto.
Se dovesse prevalere, come sembra, una interpretazione del progetto come nella prima parte della circolare, e se quindi questo venisse inteso come progetto meramente aziendale, la portata della riforma non potrebbe realmente considerarsi significativa, visto che la sanzione prevista dall’art. 69 sarebbe notevolmente limitata.
In questo senso si è visto come parte della giurisprudenza ci venga parzialmente in soccorso.
In una prima pronuncia96 essa condanna qualsiasi uso “standardizzato” del contratto di lavoro a progetto, ma,
96 Trib. Torino 5 aprile 2004, op. cit., pag. 13.
contraddittoriamente, ritiene conciliabile questo contratto con una prestazione di mezzi.
In altra97 ritiene inaccettabile la previsione del progetto come programma aziendale e reputa che “la costruzione del contratto a progetto come obbligazione di risultato sia quella più fondatamente legata al dato normativo…ed alla ratio legis”, ma giudica inconciliabile con tale contratto una obbligazione “che si assumesse di durata” visto il riferimento all’indifferenza del tempo impiegato nell’attività lavorativa.
Come si è visto, infine, una recentissima giurisprudenza98 ha considerato indispensabile la presenza di un risultato, ancorché parziale, per il contratto di lavoro a progetto.
1.3. La forma scritta del contratto di lavoro a progetto
L’art. 62 del D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276 rubricato col titolo “Forma”, recita “Il contratto di lavoro a progetto è stipulato in forma scritta e deve contenere, ai fini della prova, i seguenti elementi…”.
Tralasciando per ora quali sono gli elementi che devono essere previsti nel contratto in questione, occorre soffermarsi dapprima sulla forma del contratto richiesta da tale disposizione.
97 Tribunale di Modena, ordinanza del 21 febbraio 2006, op. cit., pag. 478.
98 Tribunale di Torino 10 maggio 2006, n. 198, in xxx.xxxx.xxxxx.xx.
Non risulta chiaro infatti se la forma scritta del contratto sia necessaria solo ai fini probatori (come per gli elementi contenutistici) o se sia da intendersi come requisito di forma contenutistica, ad substantiam actus (valido per l’esistenza del contratto)99.
La distinzione è di estrema importanza poiché laddove la forma scritta è richiesta per la validità del contratto (e tale può esserlo solamente se specialmente indicata dalla legge ex art. 1350,
n. 13 C.c., oppure se prevista convenzionalmente dalle parti ex art. 1352 C.c.), essa diventa “elemento essenziale” del contratto ex art. 1325, n. 4, C.c. e la sua mancanza comporta la nullità dello stesso, con la sola possibilità di azionare i rimedi civilistici generali quali l’azione per ingiustificato arricchimento ex art. 2041 C.c.
Se invece la forma scritta di un contratto è richiesta ad probationem tantum, l’atto compiuto senza l’osservanza della forma stabilita dalla legge non è nullo e l’unica conseguenza dell’inosservanza della forma è la limitazione della prova testimoniale100. Il contratto pertanto resta valido ma manca il documento dal quale risultino la sua esistenza e il suo contenuto. In tali casi sono notevolmente ridotti i mezzi di prova a disposizione: pur essendo ammesso il giuramento decisorio e la confessione, è precluso il ricorso alle prove più consuete, quali appunto quella testimoniale e per presunzione, a meno che “il contraente non abbia senza sua colpa perduto il documento che ne forniva la prova” (ex
99 X. Xxxxxxx, op. cit., pag. 739.
100 X. Xxxxxxxx e X. Xxxxxxxxxxx, Manuale di diritto privato, tredicesima edizione, pag. 291-292.
art. 2724, n.3, C.c.). Se la prova dell’esistenza e del contenuto non viene attinta con i più limitati mezzi ammessi, sarà possibile accertare che è venuto ad esistenza un diverso contratto, se ne sussistono gli elementi101.
Detto questo è da ritenere che la forma scritta per il contratto di lavoro a progetto sia richiesta ad probationem102. Ciò perché la richiesta del vincolo formale in questione sembra inquadrarsi nella “tendenza al neo-formalismo contrattuale tipica della nuova legislazione speciale”103, in cui il requisito di forma è posto sia a tutela dei soggetti contrattualmente più deboli, sia a garantire la certezza e la trasparenza delle relazioni giuridiche104. La forma scritta del contratto in questione, visti gli elementi che lo stesso deve contenere, sembra infatti essere volta a determinare una certezza in ordine al contenuto del contratto, limitando, da un lato la libertà del collaboratore, dall’altro quella del committente, stabilendo delle garanzie minime in favore del primo.
Occorre però precisare che non tutta la dottrina condivide questa interpretazione.
101 X. Xxxxxxxxxx, op. cit, pag. 757.
102 In tal senso X. Xxxxxxx-Xxxxxxxxxx, Prime chiose..., op. cit, pag. 42; X. Xxxxxxxxxx, op. cit., pag. 739 e ss.; X. Xxxxx, Le collaborazioni (coordinate e continuative) a progetto, in Riv. giur. lav. , 2004, pag.101; X. Xxxxxxx, op. cit., pag. 769 .In senso contrario X. Xx Xxxxxxx, La morte apparente delle collaborazioni coordinate e continuative, in X. Xxxxxxx (a cura di), Diritto del lavoro on line, xxx.xxxxx.xx/xxxxxx/XXXXXXXXXXXXXXXXXX.xxx, pag. 4; X. Xxxxx, op. cit, pag. 208.
103 X. Xxxxxxx, op. cit., pag. 741. Contra X. Xxxxx, op. cit.
104 X. Xxxxxxx, op. cit., pag. 741.
Vi è infatti chi ritiene la forma scritta di cui all’art. 62, essere richiesta ad substantiam105.
Secondo tale impostazione, l’opinione prevalente che ritiene il requisito formale prescritto solo per la prova, non è convincente poiché “in contrasto con la lettera della legge”, e per “una ragione sistematica, essendo la forma costitutiva la regola per la quasi totalità dei contratti c.d. atipici di lavoro”106. Inoltre, si osserva, nel decreto delegato non mancano casi (art. 35: contratto di lavoro intermittente, art. 42: contratto di lavoro ripartito) in cui la forma scritta ai soli fini della prova è stabilita con chiarezza. Tale dottrina pur riconoscendo la norma “infelicemente formulata” trae forza dalla circolare ministeriale che, volendo rimediare a tale confusione, finisce secondo tale impostazione per “contraddire la dizione letterale della norma”107. Essa nel punto III precisa che “è opportuno sottolineare che seppur la forma scritta sia richiesta solo ai fini della prova, quest’ultima sembra assumere rilievo decisivo rispetto all’individuazione del progetto, del programma o della fase di esso in quanto in assenza di forma scritta non sarà agevole per le parti contrattuali dimostrare la riconducibilità della prestazione lavorativa appunto ad un progetto, programma di lavoro o fase di esso”.
Viene qui da chiedersi: se è vero che la circolare contraddice la legge, allora come può l’interpretazione qui accolta contrastare con la medesima?
105 In tal senso X. Xxxxx, op. cit, pag. 208.
106 X. Xxxxx, op. cit, pag. 208.
107 Ancora X. Xxxxx, op. cit, pag. 209. Si noti che tale affermazione dell’A. però non risulta coerente con le affermazioni precedenti dello stesso riportate nel testo.
Va infatti precisato che il punto III della circolare ministeriale esordisce affermando che “Il contratto è stipulato in forma scritta. È una forma richiesta ad probationem e non ad substantiam”. Da tale dato testuale non sembra che la circolare si discosti così tanto dall’art. 62 e dalla nostra opinione, essa precisa solamente che tale forma assume un significato decisivo rispetto all’individuazione del progetto, programma o fase.
Inoltre l’interpretazione qui accolta non contrasta con l’obiettivo antifraudolento che ispira la riforma, visto che un contratto nullo per mancanza di forma scritta pone il contraente più debole ( in questo caso il collaboratore), di fronte a possibili abusi da parte del soggetto contrattualmente più forte.
Da ultimo va segnalato che l’opinione di chi scrive è stata accolta dal Tribunale di Ravenna, laddove nella sentenza del 24 novembre 2005, n. 14 si afferma che “Com’è reso evidente dalla stessa lettera adoperata la norma (art. 62) detta un requisito di forma ad probationem (“ai fini della prova”), in difetto del quale il contratto di lavoro a progetto rimane comunque valido sul piano sostanziale, e non si verifica quindi alcuna nullità (né tanto meno conversione in altro tipo di contratto); derivandone da ciò che si potrebbe lavorare a progetto anche prima della redazione del contratto per iscritto o senza mai redigere alcuno scritto; senza altre conseguenze diverse dalle limitazioni dettate in materia probatoria
in mancanza dello scritto e rilevanti unicamente sul terreno processuale”108.
1.3.1. Gli elementi che il contratto deve contenere
L’elencazione degli elementi del contratto è richiesta dall’art. 62 espressamente ai fini della prova, la disposizione in questa parte non ha suscitato grandi dibattiti.
Gli elementi che il contratto deve contenere sono:
A) Indicazione della durata, determinata o determinabile della prestazione di lavoro.
Come si è detto, la presenza della durata non è di per sé sufficiente ad annoverare il contratto di lavoro a progetto tra i contratti di durata. Sembra infatti che l’indicazione di tale durata ha il significato di un termine massimo di scadenza posto a favore del prestatore109 .
Il termine della collaborazione potrà essere dunque rappresentato dall’indicazione di una data (termine certus an certus
108 Tribunale di Ravenna sentenza del 24 novembre 2005, n. 14, in xxx.xxxxxxxxxxx.xxxxxx00xxx.xxx, ora anche in Il lavoro nella giurisprudenza, 2006, n.3, pagg. 273-279. Nel senso che la forma sia richiesta ad probationem si veda anche Trib. Torino 5 aprile 2004, op. cit., pag. 9.
109 X. Xxxxxxxx, op. cit., pag. 34. L’A. afferma “…a supporto di questa conclusione si può richiamare la stessa disciplina comune dei contratti, laddove specifica che, se vi è l’indicazione del termine, questo si presume a favore del debitore, nel senso che il creditore non può esigere la prestazione fino al momento della scadenza (art. 1183 C.c.)
quando) ovvero dal verificarsi di un determinato evento (termine
certus an incertus quando).
Non del tutto convincente è l’opinione di alcuni autori, i quali, individuando la novità di tale disposizione nel fatto che in un contratto di lavoro autonomo viene richiesta un’indicazione preventiva della durata della prestazione di lavoro, questa può essere determinata solo sulla base dell’orario di lavoro in cui si svolge o della sommatoria del tempo impiegato a svolgerla110.
Tra l’altro questo giudizio è condiviso da una recente giurisprudenza amministrativa111, la quale precisa discutibilmente che “affermare che l’orario di lavoro è irrilevante (ovviamente non in senso assoluto, né in vista della determinazione della retribuzione in fine spettante) non significa affatto che alle parti di un «contratto a progetto» sia recisamente precluso di accordarsi su una prestabilita misura temporale della prestazione, ritenuta necessaria ai fini dello specifico obiettivo contrattualmente individuato”.
B) Indicazione del progetto o programma di lavoro, o fasi di esso, individuata nel suo contenuto caratterizzante, che viene dedotto in contratto.
La lett. b dell’art. 62 avvalora l’opinione che si è sostenuta quando si è definito il progetto non come progetto aziendale, ma
110 V. M. Pedrazzoli, op. cit., pag. 762; in termini simili X. Xxxxxxxx, op. cit., pag. 31.
111 Consiglio di Stato 3 aprile 2006, n. 17 43, in xxx.xxxx.xxxxx.xx. Sul punto si veda X. Xxxxxxxxxx, Accordi liberi per l’orario, nota a Consiglio di Stato, 3aprile 2006, n. 1743.
come progetto individuale. Il fatto che il progetto venga dedotto nel contratto comporta che esso si riferisca al singolo collaboratore, posto che non avrebbe senso inserire un progetto attinente al ciclo produttivo dell’azienda all’interno di un contratto di lavoro. Secondo tale indicazione dovranno pertanto specificarsi i tratti essenziali dell’attività dedotta in contratto.
C) Il corrispettivo e i criteri per la determinazione, nonché i tempi e le modalità di pagamento e la disciplina dei rimborsi spese.
La norma in questione lascia quindi alle parti la concreta individuazione dei criteri per la determinazione del compenso.
Da questo punto di vista, qualche autore ha notato come “non ci sia nulla di nuovo rispetto al principio di libertà sancito dalle norme generali sul lavoro autonomo ove si prevede che il corrispettivo possa essere determinato dalle parti al momento della stipulazione del contratto d’opera o determinabile sulla base di criteri che le parti stesse hanno posto sulla quantificazione del quantum debeatur, in seguito computato e liquidato”112.
La stessa opinione ha notato infatti che in questa circostanza, come nella determinazione del corrispettivo nella locatio operis, “le parti possono esplicitamente richiamarsi alle tariffe o agli usi , locali o nazionali, che costituiscono il principale parametro per la determinazione in senso oggettivo del corrispettivo stesso”.
112 X. Xxxxxxx, op. cit., pag. 744.
La pattuizione del prezzo quindi, secondo alcuni autori, può anche mancare essendo prevista solo ai fini della prova, ma, a norma dell’art. 2225 C.c., il corrispettivo andrà determinato secondo le tariffe professionali o gli usi, ovvero in mancanza, direttamente dal giudice113.
Si noti però che in questa circostanza non dovrebbero essere richiamate le tariffe delle professioni intellettuali che richiedono l’iscrizione in appositi albi, poiché tali attività sono escluse dal campo di applicazione del decreto ex art. 61, comma 3.
Come in materia di locatio operis inoltre il compenso dovrebbe essere corrisposto dopo l’esecuzione della prestazione, ma in tal caso sono ammessi patti contrari volti alla previsione di anticipi o pagamenti rateali.
Infine è stato affermato114 che il richiamo alla disciplina dei rimborsi spese, per di più senza precisare che essi sono “eventuali” (come avviene nella lett. e dell’art. 62), sembra evocare una situazione in cui il collaboratore anticipa di suo il pagamento delle spese e dei costi per la realizzazione del progetto, e successivamente viene rimborsato in base ai giustificativi che presenta al committente.
D)Le forme di coordinamento del collaboratore a progetto al committente sulla esecuzione, anche temporale, della prestazione lavorativa, che in ogni caso non possono essere tali
113 X. Xxxxxxx, op. cit., pag. 744.
114 X. Xxxxxxxxxx, op. cit., pag. 766.
da pregiudicarne l’autonomia nella esecuzione dell’obbligazione lavorativa.
La lett. d dell’art. 62 stabilisce che il lavoratore a progetto deve coordinarsi con il committente nell’esecuzione della prestazione lavorativa. Le forme di coordinamento anche temporali della prestazione lavorativa, vengono pattuite dalle parti al momento della conclusione del contratto.
Esse non riguardano l’oggetto dell’obbligazione, perché come si è detto esso è rappresentato dal progetto o dal programma o dalla fase, ma riguardano le modalità di esecuzione della prestazione lavorativa diretta alla realizzazione del progetto115.
Secondo questa ricostruzione, le forme di coordinamento possono dunque essere modificate soltanto con il consenso di entrambe le parti durante l’esecuzione del rapporto, salvo che le stesse abbiano stabilito di concordare, durante lo svolgimento del rapporto, di volta in volta le modalità di esecuzione della prestazione lavorativa, per meglio garantire il coordinamento con l’organizzazione del committente.
L’obbligo di individuazione per iscritto ai fini della prova di tali forme va ricollegato sempre alla finalità antifraudolenta della riforma, è cioè diretto a porre dei limiti al potere di coordinamento del committente, in modo che questo non possa concretarsi nel potere direttivo proprio del lavoro subordinato116.
115 X. Xxxxxxx-Xxxxxxxxxx, Prime chiose..., op. cit, pag. 35-36.
116 X. Xxxxx, op. cit, pag. 668.
In questo senso, ricollegandoci alla lett. a, sembra non doversi ammettere la definizione di un vero e proprio vincolo di orario117 per il collaboratore, contrastando tale imposizione con la gestione autonoma del progetto, ma potrebbe ammettersi “la delimitazione di una fascia oraria nell’ambito della quale il collaboratore possa determinare il momento di esecuzione della propria prestazione lavorativa”118.
Se nel lavoro a progetto l’imposizione di un vincolo d’orario deve essere rigettata, va comunque segnalata in questo ambito l’ambiguità della formula legislativa.
Se è vero che il collegamento spazio-temporale non è di per sé idoneo a qualificare un particolare tipo contrattuale, è evidente che esso trova la sua tipica manifestazione proprio nel lavoro subordinato119. Questa parte della norma quindi in un certo senso stona con l’affermazione dell’autonomia del committente, essendo già di per sé difficile trovare nel concreto una distinzione tra coordinazione ed eterodirezione120.
E) Le eventuali misure per la tutela della salute e sicurezza del collaboratore a progetto, fermo restando quanto disposto dall’art. 66, comma 4.
117 Contra x. Xxxxxxxxx di Stato 3 aprile 2006, n. 17 43, op. cit..
118 X. Xxxxxxxxx, La fattispecie…, op. cit., pag. 17, Così anche X. Xxxxxxx- Xxxxxxxxxx, Prime chiose..., op. cit, pag. 43.
119 X. Xxxxxxx, op. cit., pag. 749.
120 Cfr. X. Xxxxxxx, op. cit., pag. 749. In termini simili X. Xxxxxxxxx, op. cit., pag. 17; X. Xxxxxxxxxx, op. cit., pag. 767.
L’“eventualità” delle misure ricomprese nella lett. e dell’art. 62 non sembra molto incoraggiante a detta di alcuni autori. Essa segnala “una certa disattenzione del nostro legislatore rispetto alla raccomandazione comunitaria121 che afferma il diritto di tutti i lavoratori autonomi di proteggere la loro salute e sicurezza…, suggerendo agli Stati membri l’alternativa tra l’inclusione dei lavoratori autonomi nel campo di applicazione delle normative sulla salute e sicurezza e/o l’adozione di misure specifiche nei loro confronti”122.
Ovviamente la mancanza delle eventuali tutele ulteriori non incide su quelle previste da norme inderogabili di legge, in tal senso si approfondirà l’argomento laddove si commenterà l’art. 66 del D.Lgs. 276/2003.
1.3.2. Le conseguenze dei vizi di forma
Come si è visto nel par. 1.3, non vi è nell’art. 62 del D.Lgs. 276/2003 la volontà di configurare la fattispecie lavoro a progetto in modo duplice sotto il profilo formale (forma scritta ad substantiam per il contratto – forma ad probationem per gli elementi del contratto).
121 Com (2002) 166 def..
122 X. Xxxxxxx, op. cit., pag. 749.
Abbiamo anche riferito riguardo le sole limitazioni in materia probatoria rilevanti sul terreno processuale che la mancanza della forma scritta ad probationem comporta.
Possono però nascere dei problemi relativamente al collegamento tra l’art. 62 e l’art. 69, laddove in quest’ultima disposizione si stabilisce la conversione del contratto di lavoro a progetto in assenza di un progetto specifico, programma di lavoro o fase di esso.
È stato sostenuto che l’assenza di formalizzazione per iscritto del progetto nel contratto renda difficoltosa l’individuazione di un progetto, facendo scattare la sanzione di cui all’art. 69.
Sicuramente “l’assenza di forma scritta del contratto tout court e dell’indicazione del progetto nel contratto, si presenta pericolosamente vicina all’ipotesi di assenza di progetto”123 , ma in tal caso il giudice non può fondare la conversione sul dato meramente formale dell’assenza dell’indicazione per iscritto del progetto124.
A meno che non si voglia propendere per l’interpretazione che vede il requisito della forma scritta del contratto richiesta a pena di nullità, l’assenza della forma scritta accompagnata dalla mancanza
123 X. Xxxxxxxx, op. cit., pag. 51.
124 Si veda Tribunale di Milano, sentenza del 23 marzo 2006, n. 822, in xxx.xxxx.xxxxx.xx, laddove tale giudice ritiene necessario, per valutare l’assenza del progetto, non solo la mancanza formale di esso, ma anche la sua assenza in concreto. Per un maggior approfondimento si veda anche X. Xxxxxxx, Il lavoro a progetto nelle prime pronunce della magistratura di Milano, commento a Tribunale di Milano 23 marzo 2006, n. 822, in xxx.xxxx.xxxxx.xx.
formale del progetto125, può solamente essere un fattore indicativo dell’inesistenza del progetto. Questo può cioè comunque esservi nel concreto svolgimento della prestazione lavorativa.
Anche il Tribunale di Ravenna ritiene infatti che la sanzione della trasformazione prevista dall’art. 69, comma 1, sia collegata dalla norma alla sola mancanza sostanziale del progetto (“senza l’individuazione di uno specifico progetto”). Il progetto quindi può esistere anche se non formalizzato126. Il Tribunale infatti afferma “…in altri termini perché si verifichi la conseguenza voluta dalla legge occorre accertare che mancava non solo il requisito formale del progetto ma anche i requisiti sostanziali del progetto” altrimenti la normativa a detta di tale giudice sarebbe irrazionale poiché “…nell’art. 62 prevede espressamente un requisito di forma ad probationem e nell’art. 69, comma 1, accorderebbe alla sua violazione una sanzione che nel rapporto di lavoro (a carattere subordinato) è tipica della mancanza di un requisito di forma ad substantiam (comminando cioè nella conversione del contratto)”127.
Qualche xxxxxx000, ritiene che alcuni elementi previsti dall’art. 62 (progetto e durata), siano essentialia negotii, nel senso che essi non possono mai mancare.
125 Si veda X. Xxxxx, op. cit, pag. 210. L’A. sostiene vi siano due forme di progetto: il progetto come elemento essenziale (art. 61, comma1) la cui determinazione in forma scritta all’atto della stipulazione non può mancare a pena di nullità, il progetto come elemento testuale (art. 62 lett. b) valido solo ai fini probatori.
126 X. Xxxxxxx, in Guida al Lavoro (n. 6 del 3.2.2006), pag. 26.
127 Tribunale di Ravenna sentenza del 24 novembre 2005, n. 14, in op. cit., pag. 275.
128 X. Xxxxxxxxxx, op. cit., pag. 761 e ss.
Ci si è chiesti se a questo punto l’assenza della forma scritta per tali elementi indispensabili, possa comportare la nullità del contratto.
Concordo con quanti affermano129, a riguardo, che l’assenza della forma scritta vale sul piano probatorio per tutti gli elementi dell’art. 62, non potendo causare nei cosiddetti elementi “essenziali” (progetto e durata) conseguenze che vanno al di là del piano probatorio.
A variare, al limite, sarà la maggior difficoltà che l’assenza della forma scritta di quegli elementi comporta dal punto di vista probatorio, visto che nel caso in cui non si riesca a dimostrare l’esistenza del progetto, scatta la sanzione prevista dall’art. 69, comma 1.
1.4. La conversione del contratto di lavoro a progetto
La rubrica dell’art. 69 del D.Lgs. 276/2003 reca il titolo “Divieto di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa atipici e conversione del contratto”. La disposizione contiene tre commi, soprattutto il primo pone un delicato problema ermeneutico130.
Esso dispone che “I rapporti di collaborazione coordinata e continuativa instaurati senza l’individuazione di uno specifico
129 X. Xxxxxxxx, op. cit., pag. 52.
progetto, programma di lavoro o fase di esso ai sensi dell’art. 61, comma 1, sono considerati rapporti di lavoro subordinato a tempo indeterminato sin dalla data di costituzione del rapporto”.
Tale norma prevede una sanzione molto penetrante nei confronti di coloro che instaurino collaborazioni prive di uno specifico progetto, programma di lavoro o fase di esso. Xxxxxxxx coerente con la finalità antielusiva della nuova disciplina.
Come dimostra il testo, l’art. 69, comma 1, è strettamente legato però alla disposizione di cui all’art. 61, comma 1131, pertanto la maggiore o minore incisività di tale mezzo sanzionatorio non potrà non dipendere dal ruolo che si attribuisce al progetto, al programma, alla fase. Laddove infatti dovesse prevalere nella giurisprudenza la nozione di progetto come programma aziendale, la reale portata della riforma verrebbe notevolmente sminuita.
Tale disposizione deve essere letta assieme all’art. 86, comma
1 del medesimo decreto, il quale afferma che le collaborazioni coordinate e continuative esistenti prima dell’entrata in vigore del D.Lgs. 276/2003 che non possono essere ricondotte ad un progetto o ad una fase di esso, mantengono efficacia fino alla loro scadenza e, in ogni caso, non oltre 24 mesi dalla data di entrata in vigore del provvedimento in questione, salvo il prolungamento del termine eventualmente indicato dalla contrattazione collettiva.
130 X. Xxxxxxx, op. cit., pag. 786.
131 Cfr. X. Xxxxxxxxxx, op. cit., pag. 743. L’A. sostiene che l’intercomunicazione diretta tra i due articoli soddisfa lo scopo di dotare le xx.xx.xx. di una disciplina e razionalizzazione come previsto nella legge delega.
Si delinea quindi una vera e propria volontà del legislatore di espungere dall’ordinamento quelle collaborazioni coordinate e continuative che non presentino i requisiti indicati dall’art. 61, comma 1, poiché esse vengono considerate “socialmente pericolose”132, in quanto idonee a simulare veri e propri rapporti di subordinazione eludendo la disciplina del lavoro subordinato. Tali rapporti si convertiranno pertanto in rapporti di lavoro subordinato a tempo indeterminato133.
L’art. 69, comma 1, sembra pertanto attribuire una presunzione assoluta (iuris et de iure) di fraudolenza134 ai rapporti instaurati contra legem, presunzione pertanto non vincibile in giudizio da prova contraria135.
La circolare n. 1/2004 del Ministero del lavoro afferma però che la formula di cui al comma primo dell’art. 69 prevede “una presunzione che può essere superata qualora il committente fornisca in giudizio prova dell’esistenza di un rapporto di lavoro effettivamente autonomo”. Tale indicazione oltre a sembrare in
132 X. Xxxxxxxxx, op. cit., pag. 24.
133 Problematicamente X. Xxxxxxxx, op. cit., pag. 821. “Non si capisce come possa essere convertito in lavoro subordinato un lavoro che era senza orario, senza indicazione di categoria, qualifica e mansioni”. Cfr. con X. Xxxx, op. cit., pag. 27, nota 41, secondo il quale il lavoratore dopo la conversione conserverebbe le disposizioni a suo vantaggio.
134 Va segnalata l’opinione di X. Xxxxxxxxxx, op. cit., pag. 743, secondo l’A. l’art. 69, comma 1, ha un “notevole significato sistematico nel fondare la prospettazione più volte fatta di un doppio binario”.
135 In tal senso X. Xxxxxxx-Xxxxxxxxxx, La nuova figura…, op. cit., pag. 108-109; X. Xxxxxxx – X. Xxxxxxx, op. cit., pag. 6 e 7; X. Xxxxxxxxx, op. cit., pag. 24 e ss.; X. Xxxxxxxxxxxx, Il lavoro a progetto tra finalità antielusive ed esigenze di rimodulazione delle tutele, in Illej n. 1, 2004, http//:xxx.xxxxxxxxxxxxxxxx.xx., pag. 8 e ss.; X. Xx Xxxx Xxxxxx, Dal lavoro parasubordinato, op. cit., pag. 19 e ss., X. Xxxxxxxxxx, op. cit., pag. 743.
evidente conflitto con la lettera della disposizione, riduce il progetto ad un elemento, la cui mancanza non esclude la sussistenza di alcuni rapporti di collaborazione coordinata e continuativa senza progetto. Se questo dovesse essere il criterio direttivo l’intera riforma risulterebbe del tutto superflua, non incidendo realmente sulle pratiche elusive che caratterizzavano le co.co.co136.
Qualche autore137, ha sollevato dubbi di costituzionalità sulla norma in questione: essa comporterebbe una violazione del principio di indisponibilità del tipo legale da parte del legislatore, e contrasterebbe con gli artt. 35 e 41 della Costituzione.
La prima questione prende le mosse da quanto espresso dalla Corte costituzionale138 con riferimento ad alcuni rapporti di lavoro, sostanzialmente subordinati, che erano stati invece qualificati dal legislatore come autonomi. In tal senso quindi l’art. 69, comma 1, sarebbe incostituzionale perché assoggetterebbe alla disciplina del lavoro subordinato rapporti che non presentano i requisiti propri di tale fattispecie. Il legislatore quindi “non può qualificare subordinato un rapporto in effetti autonomo seppur a tempo indeterminato e sganciato da un progetto o un programma”139 .
A tale opinione si può controbattere che la disposizione del tipo legale da parte del legislatore è stata giudicata illegittima dal
136 Nonostante i paventati dubbi di costituzionalità non condivide la formulazione della circolare nemmeno X. Xxxxxxxxx, La riforma dei lavori, Padova, 2004, pag. 23 e ss..
137 X. Xxxxxxxxx, op. cit., Padova, 2004, pag. 21. Si veda anche X. Xxxxxxxx, op. cit., pag. 821, l’A. trova “imbarazzante” la soluzione della conversione come sanzione.
138 Cfr. Corte cost. 25-29 marzo 1993 n. 121, in foro it., 1993, I, c. 2432 e Corte cost. 23-31 marzo 1994 n. 115, in foro it., 1994, I, c. 2656.
giudice delle leggi, con riguardo alle ipotesi di impostazione del regime del lavoro autonomo a rapporti che presentavano, invece, i connotati tipici della subordinazione. Nel caso di specie, invece, la situazione è invertita perché si vorrebbe estendere anche a dei lavoratori autonomi, la copertura offerta dal lavoro subordinato. La ragione di fondo quindi è del tutto diversa da quella che ha mosso i giudici della Corte costituzionale a contestare la legittimità di alcune leggi o accordi140.
La seconda questione è stata posta per la palese irragionevolezza e compressione della libertà e autonomia contrattuale con violazione degli artt. 35 e 41 Cost., che la conversione in questione comporterebbe141.
Anche tale censura non sembra insuperabile. Nel nostro ordinamento infatti la libertà di ricorrere ai contratti atipici è condizionata ex art. 1322, comma 2, alla realizzazione di interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico. Il legislatore può ben considerare contra legem le collaborazioni coordinate e continuative instaurate senza l’individuazione di uno specifico progetto142. La drastica conversione stabilita dall’art. 69, comma 1,
139 X. Xxxxxxxxx, op.cit., pag. 21
140 Né vale sostenere come fatto da alcuni autori, che il lavoratore si vedrebbe costretto alla subordinazione pur non avendola voluta. Si veda X. Xxxx, Xxxxxxx dei punti critici del decreto legislativo 276/2003: spunti di riflessione, in WP C.S.D.L.E. “Xxxxxxx X’Xxxxxx”, pag. 27, nota 41. L’A. sostiene che questa tesi è “viziata dalla mancata considerazione che la formula utilizzata dal legislatore dovrebbe essere idonea a conformare il programma negoziale per gli aspetti di quest’ultimo che possono andare a svantaggio del lavoratore e non, invece, per quelli che possono comunque essere considerati più vantaggiosi”.
000 X. X. Xxxxxxx. op. cit., pag. 11; X. Xxxxxxxxx, op.cit., pag. 21.
142 X. Xxxxxxx-Xxxxxxxxxx, La nuova figura…, op. cit., pag. 109.
sarebbe quindi l’effetto finale del mancato adempimento di un vincolo legale imposto per finalità antielusive.
“Quindi più che una compressione della libertà contrattuale delle parti, la disposizione mirerebbe a garantire che tale libertà possa esprimersi in modo trasparente e xxxxxxx, cercando di eliminare le “pieghe della legge” che consentono di ricorrere allo schermo della collaborazione coordinata e continuativa per occultare un rapporto di lavoro subordinato”143 .
Su tale questione è intervenuto anche il Tribunale di Torino144, a parere del quale la presunzione di cui all’art. 69, comma 1, sarebbe relativa (iuris tantum). Secondo tale giudice l’interpretazione della norma nel senso di una presunzione assoluta comporterebbe “un grave vulnus al principio di uguaglianza di cui all’art. 3 della Costituzione, potendo arrivare ad imporre le specifiche e forti tutele del lavoro subordinato ad attività che in nessun modo abbiano concretamente presentato le caratteristiche che tali garanzie giustificano”.
Si è replicato che il Giudice costituzionale nelle pronunce riportate, “non ha affermato l’immodificabilità dei tipi contrattuali da parte del legislatore ordinario, né la “costituzionalizzazione” del lavoro subordinato esclusivamente nelle forme sancite dall’art. 2094 c.c.. La Corte ha invece affermato che una volta che il legislatore abbia disciplinato il tipo contrattuale del lavoro subordinato, cui la Carta costituzionale destina particolare tutela, non può ab imperio stabilire che una categoria di rapporti contraddistinti soltanto per i
143 X. Xxxxxxx, op. cit., pag. 789.
soggetti che li hanno stipulati, ma in tutto corrispondenti agli elementi caratterizzanti quello stesso tipo contrattuale, sia sottratta dall’ambito di applicazione del regime giuridico (di rango costituzionale e ordinario) corrispondente qualificandola nominalisticamente in altro modo. Dunque il legislatore ben può ridisegnare in sintonia con le nuove esigenze di protezione del lavoro che si registrano nella realtà sociale le fattispecie tanto più se, come nel caso in esame, si è operato un ampliamento dell’ambito di applicazione del regime del lavoro subordinato e non certo una riduzione”145.
Non si ha nemmeno una violazione dell’art. 3 Cost. per “la irragionevole disparità di trattamento”146 fra settore privato e pubblico che l’art. 69, comma 1 determinerebbe, perché “manca nel pubblico impiego la ragione fondante dell’intervento normativo riformatore”147.
Pertanto non può essere condivisa l’opinione di chi, in conseguenza dei dubbi di costituzionalità che hanno pervaso parte della dottrina, ha proposto una lettura della norma come se essa introducesse una presunzione relativa. Secondo tale dottrina, come si è visto, sarebbe possibile al committente provare l’insussistenza della subordinazione presunta. Tale impostazione, non solo contrasta con la lettera della legge e con lo scopo che essa si propone di realizzare, ma presuppone una inversione logica dei
144 Trib. Torino 5 aprile 2004, op. cit. pag. 15.
145 X. Xxxxxxx, op. cit., pag. 45-46.
146 X. Xxxxxxxxx, op.cit., pag. 21 e ss..
147 A. Pizzoferrato, op. cit., pag. 9.
primi due commi dell’art. 69, che finirebbe “per privare di qualsiasi significato l’art. 69, comma 1, schiacciandolo sotto la portata normativa del comma 2”148. I committenti, infatti, sarebbero indotti a chiedere al giudice, per dimostrare la presenza del progetto, un’indagine sulle concrete modalità di svolgimento del rapporto, dovrebbero cioè prima provare l’assenza di subordinazione per fav qualificare il contratto come lavoro a progetto.
Inoltre laddove il rapporto non si configuri come subordinato nel concreto, l’assenza del progetto causerebbe comunque la sanzione di cui all’art. 69, comma 1 e quindi la conversione del contratto. Un interpretazione difforme comporterebbe infatti il riconoscimento della nullità del contratto, privando il lavoratore di qualsiasi tutela.
Addirittura, a contrariis è stato sostenuto che una interpretazione dell’art. 69, comma 1, come presunzione vincibile da prova contraria, “evidenzierebbe una manifesta violazione dell’art. 76 Cost.”149 per violazione dei principi direttivi della legge delega, poiché in essa compare la “previsione di un adeguato sistema sanzionatorio nei casi di inosservanza delle disposizioni di legge”150. Sarebbe discutibile secondo tale indirizzo qualificare come sanzionatorio, un meccanismo vincibile da prova contraria151.
148 X. Xx Xxxx Xxxxxx, Dal lavoro parasubordinato, op. cit., pag. 21. X. Xxxxxxx –
X. Xxxxxxx, op. cit., pag. 7.
149 X. Xxxxxxxxxxxx, op. cit., pag. 9.
150 A. Pizzoferrato, op. cit., pag. 9.
151 Si veda X. Xx Xxxx Xxxxxx, Dal lavoro parasubordinato, op. cit., pag. 20. Secondo l’A. l’art. 69, comma 1, prevede un “effetto punitivo per il committente”. La norma in commento prevede dunque una sanzione eccessiva nel caso in cui il rapporto non si concretizzi in lavoro subordinato.
Quanto poi al secondo comma dell’art. 69, esso stabilisce che “Qualora venga accertato dal giudice che il rapporto instaurato ai sensi dell’art. 61 comma 1 sia venuto a configurare un rapporto di lavoro subordinato, esso si trasforma in un rapporto subordinato corrispondente alla tipologia negoziale di fatto realizzatasi tra le parti”.
Si comprende subito la differenza con il comma precedente.
In questa ipotesi il progetto è individuato, ma nella concreta attuazione del rapporto, le modalità del suo svolgimento hanno configurato un rapporto di lavoro subordinato152.
Quindi tale comma testimonia come la presenza di un progetto, non è di per sé sufficiente a poter assicurare che un rapporto non sia di lavoro subordinato, anche con la presenza di tale elemento il giudice potrebbe infatti “approdare ad una qualificazione del relativo rapporto nel senso della subordinazione, perché risulta simulato il contratto oggetto di controllo”153.
In questa ipotesi poi la trasformazione potrà avvenire anche da lavoro a progetto in lavoro a termine o part-time, quindi non necessariamente in lavoro subordinato a tempo pieno e indeterminato (art. 69, comma 2, ultima parte).
152 Sul punto si veda Tribunale di Milano, sez. lav., sentenza del 10 novembre 2005, in xxx.xxxx.xxxxx.xx. Si veda altresì X. Xxxxxxx, Ancora un intervento giurisprudenziale in tema di conversione del contratto di collaborazione, nota a Tribunale di Milano 10 nobembre 2005, in xxx.xxxx.xxxxx.xx, tratta da Diritto delle Relazioni Industriali, n. 2, 2006, in corso di pubblicazione.
153 X. Xxxxxxxxxx, op. cit., pag. 748. In realtà non si tratta di simulazione ma di un rapporto che si è semplicemente tramutato in altro.
Infine, per quanto riguarda il giudizio di cui al comma 2154, il controllo giudiziale “non può essere esteso fino al punto di sindacare nel merito valutazioni e scelte tecniche, organizzative o produttive che spettano al committente” ma è limitato solamente all’accertamento dell’esistenza del progetto, programma di lavoro o fase di esso.( art. 69, comma 3)155.
154 Ma per parte della dottrina riferibile anche al giudizio di cui al comma 1. V. A. Xxxxxxx, op. cit., pag. 791; X. Xxxxxxxxxx, op. cit.,pag. 749.
155 Si veda X. Xxxxxxxxxx, op. cit., pag. 749. L’A. critica la limitazione del controllo giudiziale alla sola esistenza cosale del progetto prevista dal comma 3.
CAPITOLO II
IL CORRISPETTIVO (ART 63)
2.1. Il compenso proporzionale alla quantità e qualità del
lavoro eseguito
Nel capitolo precedente abbiamo individuato la fattispecie lavoro a progetto come un nuovo tipo contrattuale distinto dalle vecchie xx.xx.xx. e caratterizzato da un adempimento che, a seconda dei casi, può essere istantaneo o durevole156. Una tale definizione non può non avere risvolti sulla disciplina del lavoratore a progetto, contenuta negli artt. da 63 a 68 del D.Lgs. 276/2003.
L’art. 63 reca la rubrica “Corrispettivo” e prevede che “il compenso corrisposto ai collaboratori a progetto deve essere proporzionato alla quantità e qualità del lavoro eseguito, e deve tenere conto dei compensi normalmente corrisposti per analoghe prestazioni di lavoro autonomo nel luogo di esecuzione del rapporto”. Come si riscontra nella norma, essa parla di compenso e non di retribuzione, nozione quest’ultima tipica del lavoro
156 V. D. Xxxxxxxxx, Xxxxxxx ed obblighi del collaboratore a progetto, in Il lavoro nella giurisprudenza, n. 1, 2006, pag. 29 e ss., l’A. parla in tal caso di una “doppia anima” della fattispecie lavoro a progetto.
subordinato157. Questa indicazione segnala un primo discostamento dai criteri previsti dall’art. 36 Cost., come vedremo esso non è il solo, né il fondamentale.
Una novità rispetto all’art. 47, lett. c-bis del Tuir, norma fiscale che disciplinava precedentemente il compenso delle co.co.co.158, è costituita dal fatto che esso, ora, è diventato proporzionato alla quantità e qualità del lavoro eseguito dal collaboratore159. Si ripropone così il principio di proporzionalità in modo simile a quanto ventilato nel d.d.l. Smuraglia, dove però si richiedeva, in aggiunta, che il compenso fosse comunque non inferiore ai minimi contrattuali previsti per prestazioni analoghe a favore dei dipendenti160.
Questa previsione è apparsa positiva e necessaria per evitare abusi e per rendere il corrispettivo del prestatore di lavoro a progetto più adeguato, di quanto si verificasse in passato, nelle xx.xx.xx..
La legge delega n. 30/2003 all’art. 4 lett. c, n. 1, segnala tra i principi e criteri direttivi che il Governo deve rispettare con riferimento alle collaborazioni coordinate e continuative “… l’indicazione di un corrispettivo, che deve essere proporzionato alla
157 Nel lavoro subordinato la funzione o causa del contratto è lo scambio tra attività svolta alle dipendenze e sotto la direzione del datore di lavoro per un certo tempo, e la retribuzione. X. X. Xxxxx, Xxxxxxx xxx xxxxxx, Xxxxxxx, 0000, pag. 65.
158 Secondo tale norma il compenso doveva essere “predeterminato e periodico”.
159 V. A. Xxxxxxx, op. cit., pag. 750. L’A. mette in risalto una distinzione tra il lavoro a progetto e il contratto d’opera. Mentre nel secondo il corrispettivo consiste nel quantum debeatur fissato in relazione all’equilibrio contrattuale creatosi, nel lavoro a progetto il legislatore “fissa i termini dello scambio a parametri oggettivi (proporzionalità)”.
160 V. art. 1, comma 1, lett. b del d.d.l. Smuraglia.
quantità e qualità del lavoro”. Il decreto di attuazione parla invece di proporzionalità alla quantità e qualità del lavoro “eseguito”161, mettendo in luce un secondo connotato di diversità tra la disposizione in questione e l’art. 36 Cost..
Probabilmente questa precisazione contenuta nell’art. 63 è conseguenza di una corrente giurisprudenziale diffusa, che tende a negare l’applicazione dell’art. 36 ai rapporti di lavoro diversi da quello subordinato, come quelli di natura associativa od autonoma162. Non è casuale infatti il riferimento della Costituzione “ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo (del lavoratore) lavoro”. Se infatti nel lavoro subordinato la funzione economico-sociale del rapporto è rappresentata oltre che dal corrispettivo, dall’attività del lavoratore, e quindi da una prestazione non finalizzata alla realizzazione di un singolo risultato (opus), sembra calzante il riferimento generico al “suo lavoro” rispetto al lavoratore subordinato, poiché la sua prestazione è volta ad un soddisfacimento continuo del datore di lavoro in un arco temporale molto ampio.
Nel lavoro a progetto, invece, l’attività del prestatore di lavoro è diretta, come per il contratto d’opera, alla realizzazione di un opus o più opera, il “lavoro eseguito” quindi è qui più facilmente individuabile, poiché soltanto in base al raggiungimento del risultato il lavoratore a progetto può essere considerato adempiente.
161 Mette in evidenza tale riferimento X. Xxxxxxxxx, Diritti ed obblighi…, op. cit., pag. 30.
In questo caso dunque “l’eseguito”, è importante anche per la determinazione del compenso, che deve rispettare il principio di proporzionalità alla quantità e qualità del lavoro.
Accorta dottrina ha infatti precisato come il riferimento al compimento della prestazione lavorativa, sembri “più idoneo ad evocare l’esecuzione dell’opera di cui all’art. 2224 c.c., piuttosto che la generica prestazione di una attività lavorativa”163 come invece è individuata dall’art. 36 Cost. Secondo tale impostazione, una interpretazione in senso contrario potrebbe essere giustificata solamente ove si ritenga “che la prestazione del collaboratore a progetto possa consistere anche nella sola messa a disposizione delle proprie energie lavorative”, e quindi non necessariamente volta alla realizzazione di un opus o più opera all’interno del progetto. In tal caso ovviamente la prestazione non differirebbe molto da quella di un lavoratore subordinato, pertanto il generico riferimento al “suo lavoro” di cui all’art. 36 Cost. sarebbe compatibile col lavoro a progetto.
Con questa conclusione, però, non solo verrebbe sminuita la precisa scelta del legislatore, ma, come si è visto nel capitolo precedente, una interpretazione volta ad intendere la prestazione di lavoro a progetto come obbligazione di mezzi164 svincolata da un risultato, renderebbe la riforma delle xx.xx.xx. del tutto inutile, data la finalità antifraudolenta della disciplina165.
163 X. Xxxxxxxxx, Diritti ed obblighi…, op. cit., pag. 30.
164 In tal senso si veda il Trib. Torino 5 aprile 2004 in Trib. Torino 5 aprile 2004 in
Guida al lavoro, 2005, n. 22.
165 X. Xxxxxxxxx, Diritti ed obblighi…, op. cit., pag. 30.
Xxxxxxxx concludere quindi che, nonostante il richiamo dell’art. 63 al principio di proporzionalità del compenso alla qualità e quantità del lavoro (eseguito) rievochi il principio di cui all’art. 36 Cost., il compenso del collaboratore a progetto si distingue da quello del lavoratore subordinato. L’assenza del riferimento al criterio della sufficienza (v. infra) e le caratteristiche proprie della collaborazione a progetto ci spingono ad individuare tale principio come “mero parametro di valutazione economica resa dal collaboratore”166 alla stegua di quelli indicati negli artt. 2225 e 2233, comma 2, C.c.167.
Come si è visto, infine, l’art. 62 lett. c, prevede che un ulteriore contenuto del contratto, sempre necessario in forma scritta solo ai fini della prova, sia quello relativo al corrispettivo e ai criteri per la sua determinazione. Tale parametro inserito nel contratto deve essere considerato una garanzia per il prestatore di lavoro, anche in riferimento alla più facile individuazione in sede giudiziale degli elementi costitutivi della fattispecie, e quindi della riconducibilità della prestazione ad un progetto o programma168. Inoltre tale elemento rende più semplice per il giudice l’individuazione di una clausola palesemente in contrasto con il principio di proporzionalità come richiesto dall’art. 63.
166 X. Xxxxx, op. cit., pag. 103.
167 In tal senso X. Xxxxxxxx, op. cit., pag. 23. Di “scollamento” rispetto ai criteri di cui all’art. 2225 parla però X. Xxxxxxx – X. Xxxxxxx, op. cit., pag. 10; in termini simili si veda anche X. Xxxxx, op. cit, pag. 213.
168 In tal senso X. Xxxxxxxxxxx, Il lavoro a progetto: finalità e disciplina, in X. Xxxxxxxxxx (a cura di), La riforma Biagi del mercato del lavoro, Milano, 2004, Xxxxxxx, pag. 160.
2.1.2. La portata del principio di proporzionalità
Nel paragrafo precedente abbiamo ricondotto la portata del principio di proporzionalità di cui all’art. 63 ai criteri generali che il codice civile prevede per il contratto d’opera e il contratto d’opera intellettuale. A queste due tipologie contrattuali sono dedicati due disposti in tema di corrispettivo.
L’art. 2225 impone come primo criterio per la quantificazione del corrispettivo l’accordo delle parti, laddove però queste non abbiano pattuito nulla a riguardo, esso dovrà essere determinato in base alle tariffe professionali e agli usi; se anche tali riferimenti sono assenti, il giudice dovrà stabilire il compenso “in relazione al risultato ottenuto e al lavoro normalmente necessario per ottenerlo”. In questo caso la discrezionalità del giudice varia a seconda del criterio utilizzato, sarà ovviamente maggiore nell’ultimo caso in assenza di un riferimento preciso.
Anche nell’art. 2233 esiste un criterio gerarchico. Qui però l’assenza di un accordo o di tariffe professionali o di usi è sopperitaa dal giudice ricorrendo al parere delle associazioni professionali ed in ogni caso stabilendo una misura del compenso “adeguata all’importanza dell’opera e al decoro della professione”.
La dottrina, in tema di lavoro a progetto, ha ricollegato il principio dell’art. 63 soprattutto a quello dell’art. 2225. Probabilmente la giustificata attenzione nei confronti dell’espressione “lavoro eseguito”, ha portato alcuni autori a
stabilire un nesso con quel “risultato ottenuto” che nel contratto d’opera è importante per la determinazione del corrispettivo169.
Pur rimanendo dell’idea che l’art. 63 rappresenti un criterio per la valutazione del corrispettivo di un lavoratore autonomo come lo possono essere gli artt. 2225 e 2233, comma 2, c.c., sembra comunque individuabile nell’art. 63 un tenore diverso170.
In tema di contratto d’opera semplice ed intellettuale il criterio del risultato ottenuto e del lavoro necessario ad ottenerlo171, e quello dell’importanza dell’opera e del decoro della professione172, sono infatti applicati dal giudice “in xxx xxxxxxxxxx x xxxxxxxxxxx”000. L’art. 63 pone invece “una regola di giudizio”174 generale per il compenso del lavoratore a progetto, valida cioè non solo in assenza di espressa pattuizione dei contraenti, ma anche e soprattutto quando gli stessi abbiano stabilito convenzionalmente un corrispettivo inadeguato, perché non “proporzionato alla quantità e qualità del lavoro eseguito” ex art. 63 D.Lgs. 276/2003175.
Il compenso oltre a soddisfare il principio di proporzionalità come riferito, deve altresì tenere conto “dei compensi normalmente
169 Si veda X. Xxxxxxxxxx , op. cit., pag. 778.
170 X. Xxxxxxxxx, Diritti ed obblighi…, op. cit., pag. 32.
171 X. Xxxxxxxxxx, op. cit., pag. 778. L’A. correla tali criteri a quello della quantità di cui all’art. 63.
172 X. Xxxxxxxxxx, op. cit., pag. 778. L’A. in questo caso paragona tali criteri a quello della qualità previsto dall’art. 63.
173 X. Xxxxxxxx, Il Codice Civile. Commentario, diretto da X. Xxxxxxxxxxx, Xxxxxxx, pag. 156.
174 In tal senso X. Xxxxx, xx. xxx, xxx. 00; X. Xxxxxxxxx, Diritti ed obblighi…, op. cit., pag. 32.
000 X. X. Xxxxxxxx, op. cit., pag. 59, l’A. ritiene che la portata innovativa dell’art. 63 sta nel fatto che il principio di proporzionalità non è solamente applicabile dal
corrisposti per analoghe prestazioni di lavoro autonomo nel luogo di esecuzione del rapporto”176. Netta è la distinzione con quanto veniva previsto nel d.d.l. Smuraglia. Nell’art. 63 infatti, sembra esservi un distacco totale dal riferimento alle retribuzioni corrisposte per prestazioni simili a favore di lavoratori subordinati177.
Nonostante ciò, parte della dottrina178, ha sostenuto l’utilità che l’indicazione dei minimi contrattuali di lavoro subordinato può avere, in assenza di un riferimento preciso a prestazioni di lavoro autonomo analoghe. Se cioè si ha la disponibilità delle sole prestazioni analoghe di lavoro dipendente “bisognerà rassegnarsi e, invece di rincorrere ciò che non esiste, fare un certo conto di quelle informazioni”179. Questa interpretazione non tende a svalutare la novità del dato normativo, si auspica invece che per il futuro siano realmente individuabili “analoghe prestazioni di lavoro autonomo”,
giudice in sede d’integrazione del contratto, “ma diventa ora applicabile direttamente
ex lege”.
176 V. R. De Xxxx Xxxxxx, Dal lavoro parasubordinato, op. cit., pag. 23, l’A. ritiene che l’art. 63 nella seconda parte introduca “un discutibile elemento d’incertezza”. V. anche X. Xxxxxxx – X. Xxxxxxx, op. cit., pag. 10 secondo i quali “il parametro non appare particolarmente costrittivo”.
Contra X. Xxxxxxxx, op. cit., pag. 59, secondo la quale il legislatore apporta in questo caso “un contributo di chiarezza”.
177 X. Xxxxxxx, op. cit., pag. 754; X. Xxxxx, op. cit, pag. 23; X. Xxxxxxxxxxx, La definizione del lavoro a progetto, in Diritto del lavoro i nuovi problemi, CEDAM, 2003, pag. 1312. Si veda anche X. Xxxxxxxx, Un (lavoro a) progetto mal riuscito, in Questione giustizia, n. 4, pag. 727, secondo il quale il riferimento ai compensi di cui all’art 63 “non è tranquillizzante…sarebbe stato preferibile limitare il rinvio ad analoghe prestazioni con esclusione del riferimento al lavoro autonomo” come previsto dal d.d.l. Amato-Treu che faceva riferimento a prestazioni analoghe e comparabili. Esclude l’applicabilità del riferimento al lavoro subordinato anche X. Xxxxxxxx, op. cit., pag. 58.
178 X. Xxxxx, op. cit., pag. 104.
179 X. Xxxxxxxxxx, op. cit., pag. 780.
fino ad allora però, in assenza di una facile individuazione di questi, il parametro del lavoro subordinato può essere comunque proficuo180. Altri autori, nelle stesso senso, ritengono che comunque il corrispettivo del lavoratore a progetto non possa essere inferiore a quello stabilito nel CCNL di categoria per il lavoratore subordinato di quella qualifica181, pur restando la possibilità per il lavoratore dipendente di percepire una retribuzione superiore.
Se però, durante la trattazione che precede, abbiamo voluto affidare un ampio valore ai termini precisi utilizzati dal legislatore, non possiamo in questo contesto sottrarci da un analisi rispettosa del dato normativo. La proprietà di significato, non può in questo caso essere scavalcata da interpretazioni in contrasto con la lettera della legge, poiché essa “irrigidisce il testo”182.
La posizione di chi ritiene utilizzabili come analoghe prestazioni di lavoro, anche quelle dei lavoratori subordinati, seppur suggestiva e vantaggiosa allo stato delle cose, sembra essere comunque in contrasto con la dizione dell’art. 63 che fa espresso riferimento ad “analoghe prestazioni di lavoro autonomo”. Questo sembra essere anche il parere della circolare del Ministero del
180 Cfr. X. Xxxxxxxx, op. cit., pag. 727. Secondo l’A. “in assenza di specifici accordi collettivi e della conoscenza dei compensi di mercato il giudice potrebbe tener conto anche dei minimi contrattuali previsti per i lavoratori subordinati che svolgono prestazioni analoghe, poiché normalmente la natura autonoma o subordinata del rapporto non condiziona la quantità e qualità del lavoro svolto”.
181 X. Xxxxxxxx, I nuovi rapporti di lavoro secondo la “Riforma Biagi”, CEDAM, Padova, 2004, pag. 215.
182 X. Xxxx, Xxxxx e contesto, una lettura dell’art. 1362 codice civile, Padova, 1996, pag. 155. Nemmeno l’intenzione del legislatore può tanto, essa può solamente avere la funzione, nei casi di polisemia, di selezionare il significato corretto tra la pluralità di sensi che una parola può possedere.
lavoro dell’8 Gennaio 2004. In essa si precisa che “stante la lettera della legge (art. 63) non potranno essere in alcun modo utilizzate le disposizioni in materia di retribuzione stabilite nella contrattazione collettiva per i lavoratori subordinati”.
Sicuramente coloro che ritengono applicabili le retribuzioni previste nel CCNL dei lavoratori dipendenti, commettono una leggerezza nel momento in cui considerano il “tener conto” sinonimo di “non può essere inferiore”; creano infatti una palese confusione tra quanto previsto dall’art. 63 del decreto e quanto invece è proprio della l. n. 142/2001 in materia di rapporto del socio lavoratore di cooperativa, e del d.d.l. Smuraglia.
Potrebbe essere ad ogni modo ipotizzabile che al giudice, in assenza di un parametro sul quale valutare prestazioni analoghe, sia permesso comunque di valutare, in caso di controversia, la proporzionalità del compenso alla qualità e quantità del lavoro eseguito, potendo, vista l’ampia discrezionalità a questi affidata, visionare la retribuzione di un lavoratore dipendente che svolga prestazioni simili. Si potrebbe supporre cioè che il giudice, in assenza di un criterio ben preciso, ritenga che un compenso non sia rispettoso del principio di proporzionalità, sulla base anche della visione di contratti collettivi dei lavoratori subordinati183. Si tratta solamente di congetture rese possibili dall’assenza di un principio chiaro e definito.
183 Mette in luce la discrezionalità affidata al giudice in tema di corrispettivo X. Xxxxxxxxx, Diritti ed obblighi…, op. cit., pag. 32. Si veda anche X. Xx Xxxx Xxxxxx, Dal lavoro parasubordinato, op. cit., pag. 23, l’A. sottolinea la pericolosità di tale discrezionalità.
Tra l’altro in questo caso il giudice, normalmente, non potrà determinare per il lavoratore a progetto lo stesso corrispettivo previsto per il lavoratore subordinato, perché i contratti collettivi dei lavoratori dipendenti fungono da riferimento ai giudici per valutare quale sia la retribuzione sufficiente, e non se essa è proporzionata. In altre parole, il giudice potrà prendere visione, fino a quando non avrà altri elementi a disposizione, del CCNL dei lavoratori dipendenti, ma dovrà tenere a mente che per il lavoratore a progetto non vale il principio della sufficienza retributiva184, e che quindi probabilmente il suo corrispettivo dovrà essere inferiore a quello di un lavoratore subordinato di identiche mansioni. Se questo vale come indicazione di principio, nella prassi potrà accadere anche il contrario, visto che il lavoro subordinato richiede oneri previdenziali maggiori e minori possibilità di recesso185.
L’incerto parametro offerto dalla legge in sostanza ha portato la dottrina, anche in questo caso, a dividersi su posizioni diverse188,
184 V. par. 2.2.
000 X. Xxxxxxxx, op. cit., pag. 216.
000 X. Xxxxx, op. cit, pag. 23.
187 X. Xxxxxxxxx, Diritti ed obblighi…, op. cit., pag. 32; X. Xxxxx, op. cit., pag. 104.
188 Si veda anche l’opinione di X. Xxxxxxxxxxx, La definizione del lavoro a progetto, in op. cit., pag. 1313, secondo la quale la prassi certificatoria può rappresentare un ulteriore riferimento per il giudice.
stante l’assenza nel lavoro autonomo di un “referente affidabile come il contratto collettivo nel lavoro subordinato”189.
Sembra comunque potersi sostenere l’opinione di chi intravede in riferimento alla seconda parte dell’art. 63, una prima indicazione volta a garantire un “principio di parità di trattamento tra prestatori a progetto”190, soprattutto se si tiene conto che le analoghe prestazioni di lavoro autonomo di cui si deve tener conto sono quelle rese nel luogo di esecuzione del rapporto che ha dato vita alla controversia.
A proposito del criterio territoriale inserito nell’ultima parte della norma, è stato sottolineato come esso sia impreciso vista l’inesistenza di una definizione del termine luogo191. Secondo parte della dottrina, la specificazione sta ad indicare che si deve tener conto dei compensi normalmente corrisposti per analoghe prestazioni di lavoro dallo stesso committente a condizione che il luogo non sia variato192.
Tale criterio è stato ritenuto da qualche autore addirittura “il tratto più rilevante della norma”193, poiché la determinazione del corrispettivo nel lavoro autonomo storicamente è sempre avvenuta secondo modalità individuali e non collettive194, quindi applicare un connotato tipico del lavoro subordinato al lavoro autonomo e per
189 X. Xxxxxxx – X. Xxxxxxx, op. cit., pag. 10.
190 X. Xxxxxxx, op. cit., pag. 754.
000 X. Xxxxx, op. cit, pag. 23.
192 X. Xxxxxxxx, op. cit., pag. 59.
193 X. Xxxxxxx, Xxxxxx a progetto e occasionale: osservazioni critiche, in X. Xxxxxx (a cura di) Il lavoro tra progresso e mercificazione, commento critico al X.Xxx. 276/2003, Ediesse, Roma, pag. 325.
194 X. Xxxxx, op. cit., pag. 104.
giunta limitare tale dato al solo luogo di esecuzione del rapporto sembra anacronistico oltre che rischioso.
Affinché tali pericoli siano scansati, occorre, stante la lettera della norma, non solo che sia formulato un apposito accordo collettivo per i collaboratori a progetto, ma che esso sia delimitato territorialmente in un luogo195.
Il tutto sarebbe realizzato per affidare al giudice un parametro di valutazione della proporzionalità del compenso, di cui però questi deve solamente “tener conto”, e che pertanto può essere ben disatteso dall’interprete196.
Posto infine che, nel rispetto del tenore letterale della norma, si deve tener conto solo delle analoghe prestazioni di lavoro autonomo, è lecito domandarsi, come è stato fatto dalla dottrina, se il raffronto deve essere effettuato con altri lavoratori a progetto simili, oppure anche con qualsiasi lavoratore autonomo che svolga mansioni identiche197. Nel secondo caso, la diversità delle prestazioni previste potrebbe rappresentare un’ulteriore complicazione nell’applicazione della norma198.
195 A. Xxxxxxx, op. cit., pag. 325.
196 X. Xxxxxxxx, op. cit., pag. 59, ritiene che comunque il giudice “se ne deve discostare il meno possibile”. Si veda anche X. Xxxxxxxx, Un (lavoro a) progetto mal riuscito, in Questione giustizia, n. 4, pag. 727; X. Xxxxxxx – X. Xxxxxxx, op. cit., pag. 10. Evidenzia come tale indicazione sia diversa da quella di cui all’art. 3, comma 1, seconda parte, l. n. 142/2001, X. Xxxxxxxx, I nuovi rapporti di lavoro secondo la “Riforma Biagi”, CEDAM, 2004, pag. 215.
197 X. Xxxxxxx, op. cit., pag. 325.
198 Di “una babele inestricabile di tariffe e di modulazioni diversificate” parla X. Xxxxxxxxxxx, Il lavoro a progetto: finalità e disciplina, in X. Xxxxxxxxxx (a cura di), La riforma Biagi del mercato del lavoro, Milano, 2004, Xxxxxxx, pag. 160-161.
Come ultima annotazione occorre poi dar voce ad un orientamento che ritiene l’art. 63 viziato da un eccesso di delega in riferimento al suddetto criterio territoriale199, visto che l’art. 4, comma 1, lett. c, n. 1, fa riferimento solamente al criterio della proporzionalità. Per alcuni autori ciò comporterebbe una violazione dell’art. 76 Cost.
Rispetto a tale posizione viene da dire subito che, se proprio dovesse palesarsi nel secondo comma una censura di costituzionalità per mancato rispetto dei criteri e principi direttivi, questa dovrebbe riguardare tutta la seconda parte della norma e non il solo “criterio del luogo”, poiché nella legge delega non compare nemmeno il riferimento alle “analoghe prestazioni di lavoro autonomo”.
Comunque tale dubbio di costituzionalità non sembra potersi accogliere, perché in questo caso il Governo non ha fatto altro che indicare un parametro di riferimento di cui il giudice deve solamente tenere conto per valutare la proporzionalità del compenso.
Viene dunque rispettato il principio previsto nella legge delega. Che poi esso sia comunque di difficile determinazione è altro discorso.
Laddove infatti fosse stata riproposta la dizione della legge delega, la valutazione della proporzionalità del compenso non avrebbe potuto fondarsi sull’equiparazione tra quelli del collaboratore a progetto e quelli dei lavoratori dipendenti di
199 X. Xxxxx, op. cit., pag. 104; X. Xxxxx, op. cit, pag. 23.
identiche mansioni. Il compenso previsto nei contratti collettivi dei lavoratori subordinati viene stabilito infatti tenendo conto non solo della proporzionalità alla qualità e quantità del lavoro, ma anche nel rispetto del criterio della sufficienza. Se fosse mancata dunque il secondo periodo dell’art. 63, i dubbi interpretativi sarebbero stati probabilmente identici.
Piuttosto se una censura di costituzionalità può essere rivolta alla norma, questa si deve riferire alla prima parte della stessa. Non a caso abbiamo precisato che la parola “eseguito” in riferimento al lavoro del collaboratore a progetto è stata inserita nel decreto dal Governo, mentre era del tutto assente nella legge delega.
Simili differenze, a mio avviso, possono comportare un vizio di legittimità, poiché la stessa Corte Costituzionale ha sostenuto che una legge nella quale difettano “anche in parte principi e criteri direttivi della legge delega” è da ritenere incostituzionale200. Come abbiamo visto, tale particolare non è privo di rilievo se si pensa che parte della dottrina, alla quale noi stessi aderiamo, ha valorizzato tale indicazione per scongiurare l’applicabilità dell’art. 36 Cost. al lavoro a progetto.
200 Sent. C. Cost. 26 gennaio 1957, n. 3, in Giur. Cost., 1957, pag. 11. Si veda A. A. Cervati, La delega legislativa, Milano. Xxxxxxx, 1972, pag. 130 e in Enc. del dir., XXIII, 1973, voce Legge di delegazione e legge delegata, pag. 950; cfr. X. Xxxxxxx, La delegazione legislativa, Milano, 1956, pag. 156 e ss., secondo il quale il legislatore esercita una funzione di natura attuativa ed esecutiva. Definisce il decreto legislativo “fonte subprimaria” C. Mortati, Atti con forza di legge e sindacato di costituzionalità, Xxxxxxx, Milano, 1964, pag. 20; e come “fonti atipiche intermedie”
N. Patrono, Decreto legislativo, in Riv. trim. dir. Proc. Civ., 1968, pag. 1048 e ss. Ritiene infine che i principi direttivi della legge delega possano essere più o meno vincolanti X. Xxxxxxx, Art. 76, in Commentario della costituzione, a cura di X. Xxxxxx, Xxxxxxxxxx, 0000, Xxxxxxx, pag. 16 e ss.
Viene a questo punto da chiedersi: se tale riferimento fosse mancato e se quindi fosse stata riproposta la dizione prevista nella legge delega (che come detto non si riferisce ai compensi normalmente corrisposti per prestazioni analoghe di lavoro autonomo), avremmo potuto sostenere ugualmente tale posizione?
Probabilmente la risposta dovrebbe essere comunque affermativa, alla luce del fatto che mancano nella legge delegata altri elementi importanti contenuti nella norma costituzionale. L’opinione di coloro che ritengono scontato il richiamo dell’art. 63 all’art 36 Cost., avrebbe però avuto maggior senso.
Senza poi dimenticare che l’indeterminatezza del criterio della proporzionalità previsto dal decreto (in assenza del richiamo anche a quello della sufficienza), rende davvero imprecisa e priva di un oggetto definito la delega in questione.
Semmai si dovrebbe allora discutere se l’art. 4 della legge n. 30 non sia censurabile in sede costituzionale201 per l’indeterminatezza dei criteri direttivi.
201 L’invalidità delle leggi deleganti nelle quali si riscontri una “mera parvenza di criteri direttivi” è stata sostenuta da X. Xxxxxxxxxx, Sulla delega legislativa, in Riv dir. Int., 1965, pag. 574, nota 6.
Anche X. Xxxxxxx, op. cit., pag. 18 ritiene che leggi deleganti con principi direttivi ambigui e insignificanti, possono comportare un vizio di legittimità. Lo stesso X. però precisa che parte della dottrina ritiene che nei giudizi sulla legittimità delle leggi non sarebbe sindacabile il grado di specificazione dei principi direttivi.
2.2. L’omesso riferimento al criterio della sufficienza previsto dall’art 36 Cost.
Siamo venuti delineando nel corso di questo capitolo una sostanziale incompatibilità tra l’art. 36 Cost. e il compenso dovuto al collaboratore a progetto, nonostante il richiamo dell’art. 63 al criterio della proporzionalità. Abbiamo giustificato tale impostazione con la diversità dei termini che il legislatore del 2003 utilizza per il compenso del lavoratore a progetto (“compenso” e non “retribuzione”, “lavoro eseguito” e non “suo lavoro”).
Abbiamo taciuto parzialmente però sull’aspetto più importante che differenzia l’art 63 dall’art. 36 Cost.: l’assenza nel decreto del riferimento al criterio della sufficienza. Questo aspetto, a nostro avviso, merita una autonoma trattazione.
Per poter comprendere quanto la mancanza di tale richiamo sia rilevante, occorre però soffermarci sul significato di questo criterio.
L’art. 36 Cost. oltre a prevedere che il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro aggiunge infatti che essa deve essere “in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa”202.
I due principi (proporzionalità e sufficienza) sono stati applicati in modo distinto dalla giurisprudenza costituzionale e da quella
202 Sul dibattito riguardante la percettività o meno della norma costituzionale in questione, conseguente all’entrata in vigore della Costituzione anni dopo il C.c., si veda X. Xxxxxxxx, La retribuzione, in Il Codice Civile. Commentari diretto da X. Xxxxxxxxxxx e F.D. Xxxxxxxx, Xxxxxxx, 1990, pag. 16 e ss..
ordinaria. La prima nel valutare il rispetto della Costituzione in una legge203, li ha valutati separatamente204, la seconda invece nell’applicare la norma al concreto rapporto di lavoro ha fatto un uso di essi “sostanzialmente indistinto”205, ha ricondotto cioè entrambi al “principio di adeguatezza della retribuzione”206. Probabilmente proprio in conseguenza di quest’ultimo indirizzo, parte della dottrina ha ritenuto applicabile il criterio della sufficienza anche al lavoro a progetto.
Il principio secondo il quale la retribuzione deve essere in ogni caso “sufficiente ad assicurare…”, esprime secondo alcuni autori “la funzione sociale della retribuzione”207, permette cioè di superare il criterio della proporzionalità tra lavoro e corrispettivo208, garantendo al lavoratore una tutela costituzionale ulteriore, un minimo retributivo che ha come parametro di riferimento, nel lavoro subordinato, il contratto collettivo.
Questo criterio, dovendo consentire al lavoratore un’esistenza libera e dignitosa, è stato inteso in senso “relativo”, poiché tale risultato può variare a seconda del periodo storico209.
Come abbiamo visto la giurisprudenza ha negato in passato l’applicabilità dell’art. 36 ai rapporti che non sono di lavoro
203 Ad esempio Corte Cost. 66/74 per l’art. 1 della legge 4 febbraio 1958, n. 23.
204 X. Xxxxxxxxxxx, Diritti sociali, in Enc. Giur. Vol. XI, pag. 16.
205 X. Xxxxxxx, L’art. 36 della costituzione e l’obbligazione retributiva, in (a cura di)
X. Xxxxxx, X. Xxxx, X. Xxxxxxx, La retribuzione: struttura e regime giuridico, II, pag. 133.
206 X. Xxxxxx, Commentario breve alle leggi sul lavoro, a cura di X. Xxxxxx, X. Xxxx, Padova, CEDAM, 2001, pag. 33.
207 X. Xxxxxx, op. cit., pag. 34.
208 X. Xx Xxxx, in Rivista giuridica del lavoro, 1982, vol. I, pag. 393.
209 X. Xxxxxxxx, op. cit., pag. 19.
subordinato. Occorre precisare però che tale opinione era sostenuta dalla giurisprudenza di legittimità210. Un orientamento della giurisprudenza di merito sosteneva infatti l’applicabilità dei principi di cui all’art. 36 Cost. anche ai rapporti di lavoro parasubordinato211. Questa tesi trovava anche il sostegno di una dottrina minoritaria212, la quale riteneva che in tale rapporto sussistessero tutti i requisiti, dipendenza economica e disparità di forza contrattuale, che giustificavano la garanzia a favore del lavoratore parasubordinato della retribuzione minima di cui all’art. 36 Cost..
Possiamo però affermare che il costante riferimento del dato normativo al lavoro subordinato, e la funzione nomofilattica della Suprema Corte, hanno portato parte della dottrina a scongiurare l’applicazione dell’art. 36 della Cost. alle altre tipologie di lavoratori213, tra i quali i lavoratori parasubordinati.
Il dibattito ha ripreso forma con l’introduzione dell’art. 63 D.Lgs. 276/2003. Alcuni autori, infatti, non solo hanno ritenuto applicabile al lavoratore a progetto l’art. 36 Cost. visto il richiamo dell’art 63 al criterio della proporzionalità214, ma hanno ritenuto addirittura che tale previsione superi definitivamente l’orientamento
210 Cass., sez. lav., 14 luglio 1993 n. 7796, in Foro it. Rep., voce Lavoro (rapporto),
n. 429, pag. 1689; Cass. 7 aprile 1987, n. 3400, in Foro it. Rep., 1987, voce Lavoro autonomo, n. 6, pag, 1645; Cass., sez. lav., 22 agosto 2001, n. 11210, in Foro it. Rep., voce Lavoro e previdenza (controversie), n. 159, pag. 1224.
211 Pret. Napoli, 19-4-1985, in Riv. giur. lav., 1987, vol. II, pag. 462; Pret. Venezia 3-7-1984, in Lav. ’80, n. 84, pag. 1118; Pret. Cagliari 17-4-1982, F. it. 84, I, c. 879.
212 A. M. Xxxxxx, lavoro parasubordinato e diritto del lavoro, Napoli, 1983, pag. 76.
213 X. Xxxx, Onerosità e corrispettività nel rapporto di lavoro, Milano 1968, pag. 64 ss..
214 X. Xxxxxxxx, op. cit., pag. 727; X. Xxxxx, op. cit, pag. 213.
espresso dalla Corte di Cassazione sulla non applicabilità della retribuzione sufficiente ai lavoratori autonomi215. Non è questa la sede per dibattere sull’opportunità che oggi, stante la moltitudine dei lavoratori precari, una estensione del genere comporterebbe. È però necessario precisare che un’asserzione di carattere generale come questa non può essere attribuita all’art. 63, che si riferisce infatti al solo lavoratore a progetto.
Più interessante è l’opinione di chi ritiene che il principio della sufficienza sia “implicito” nell’art. 63, poiché esso costituirebbe attuazione di quanto richiesto nella legge delega216. Essa all’art. 4, lett. c, n. 4, impone come criteri e principi direttivi che il Governo deve rispettare nell’attuare la delega, “la previsione di tutele fondamentali a presidio della dignità” del lavoratore a progetto.
Tale orientamento però presta il fianco ad una critica: se il legislatore delegante avesse avuto intenzione di attribuire al lavoratore a progetto un corrispettivo a salvaguardia di una esistenza libera e dignitosa, per quale motivo non avrebbe inserito il riferimento al criterio della sufficienza nell’art. 4, lett. c, n. 1? Tale indicazione sarebbe stata determinante e niente affatto superflua. Inoltre la previsione di tutele fondamentali a presidio della dignità, riguarda espressamente la maternità, la malattia, l’infortunio e la sicurezza nei luoghi di lavoro come indica lo stesso art. 4, lett. c, n. 4; non viene menzionato invece il corrispettivo.
Né vale sostenere che una interpretazione in senso contrario comporterebbe un eccesso di delega perchè nella legge delega
215 M. G. Xxxxxxxx, op. cit., pag. 373.
sarebbe assente un preciso divieto di applicazione del giusto compenso al collaboratore. Premesso infatti che ci sembra inopportuno richiamare una violazione dell’art. 76 ogni volta che vi sia un dubbio interpretativo, affermare, come è stato fatto da questa dottrina, che ciò che non è espressamente vietato nella l. n. 30 può essere applicato al lavoratore a progetto, mi sembra inesatto. Una tale interpretazione sconvolgerebbe l’intero impianto della riforma.
Bisognerebbe invece comprendere come mai sia assente nell’art. 63 il criterio della sufficienza. A questa domanda abbiamo in parte risposto quando si è affermato che il lavoratore a progetto è un lavoratore autonomo che presta la sua opera in funzione dell’opus perfectum217. In questa sede occorre aggiungere che probabilmente la seconda parte della norma è stata omessa anche perché il collaboratore a progetto può svolgere la sua attività per più committenti218. Secondo alcuni autori219, nel caso di monocommittenza, il corrispettivo dovrà infatti essere aumentato in relazione alla maggior qualità dell’adempimento.
La non invocabilità del principio della sufficienza nel contratto in questione è stata sostenuta anche in ragione della presenza nell’art. 63 del criterio del luogo220. Xxxxxxx autore ritiene infatti
216 X. Xxxxxxxx, op. cit., pag. 727.
217 X. Xxxxxxx, op. cit., pag. 324; X. Xxxxx, op. cit, pag. 24; X. Xxxxxxx, op. cit., pag. 750; X. Xxxxxxxxx, Diritti ed obblighi…, op. cit., pag. 31; X. Xxxxxxx-Xxxxxxxxxx, Prime chiose..., op. cit, pag. 39; X. Xxxxxxx-Xxxxxxxxxx, La nuova figura…, op. cit., pag. 108.
218 X. Xxxxxxxx, op. cit., pag. 215.
219 X. Xxxxxxxxx, Diritti ed obblighi…, op. cit., pag. 31.
220 X. Xxxxx, op. cit., pag. 103.
inapplicabile l’art. 36 ad un contratto che si fondi su un criterio territoriale.
Dall’analisi che è stata tracciata in questo capitolo, possiamo convenire con xxxxxx000 individuano come ulteriore differenza tra lavoro subordinato e lavoro a progetto, la causa del contratto. Se nel primo essa infatti consiste nello scambio tra corrispettivo ed attività, nel secondo essa si fonda invece sullo scambio tra compenso ed un certo risultato o più risultati.
2.3. La scadenza del termine senza il raggiungimento del risultato
La Circolare Ministeriale nel punto V specifica che la quantificazione del compenso deve avvenire in considerazione della natura e durata del progetto o del programma e, quindi, anche del risultato che il collaboratore deve produrre. Questa precisazione pare confermare quanto in precedenza asserito, relativamente alla distinzione che in materia si cela tra il compenso del lavoratore subordinato ed autonomo. Alcuni autori hanno precisato che, in assenza di una determinazione del compenso del collaboratore, o in presenza di un compenso non rispettoso del criterio della
221 X. Xxxxxxx-Xxxxxxxxxx, La nuova figura…, op. cit., pag. 108.
proporzionalità, e in mancanza di altri elementi, debbano trovare applicazione gli art. 2225 e 2233 c.c.222.
La stessa Circ. Min. inoltre prevede che le parti del rapporto potranno inserire nel contratto clausole volte alla esclusione o riduzione del compenso, nel caso in cui “il risultato non sia stato perseguito o la qualità del medesimo sia tale da comprometterne l’utilità”. Secondo alcuni autori tale interpretazione contrasta però con il dato normativo, poiché “la quantità del lavoro svolto non può essere cancellata da una scarsa qualità” 223.
Altri224 hanno sostenuto anche in questo caso l’applicabilità della disciplina sul contratto d’opera, in particolare degli artt. 2224 e 2226 c.c. sull’esecuzione e sui vizi o difformità dell’opera.
Se il progetto non dovesse essere realizzato secondo le condizioni stabilite dal contratto e a regola d’arte, il compenso del collaboratore dovrebbe essere diminuito225, come avviene per il prezzo pattuito nel contratto d’appalto ex art. 1668, comma 1.
Se il collaboratore deve invece compiere più opera, ma realizza solo alcuni di essi, si pone un problema sulla quantificazione del compenso in riferimento agli opera realizzati.
Proprio in questo caso l’indicazione offerta dalla circolare può essere utile, visto che alcuni autori escludono l’applicabilità al lavoro a progetto dell’art. 1373, comma 2, c.c. ai sensi del quale il recesso nei rapporti di durata non ha effetto per le prestazioni già
222 X. Xxxxxxxxxx, op. cit., pag. 782.
223 X. Xxxxxxxx, op. cit., pag. 728.
224 X. Xxxxxxxxx, Diritti ed obblighi…, op. cit., pag. 31.
225 X. Xxxxxxxxx, Diritti ed obblighi…, op. cit., pag. 31.
eseguite o in corso di esecuzione. L’inapplicabilità di tale norma, rende difficile, in assenza di una convenzione delle parti, la valutazione del compenso del lavoro eseguito non completamente.
Riguardando tali aspetti l’esecuzione del contratto e avendo la disciplina del recesso risvolti su di essi, si riprenderà questo tema, approfondendolo, quando si commenterà l’art. 67 D.Lgs. 276/2003.
CAPITOLO III
OBBLIGO DI RISERVATEZZA (ART. 64)
3.1. La possibilità per il collaboratore di svolgere la sua attività a favore di più committenti
Nel X.Xxx. n. 276/2003 sono previsti elementi fisiologici della collaborazione a progetto, quali l’indipendenza dal potere direttivo e il vincolo del risultato, che confermano la natura autonoma di questo rapporto.
Dall’altro lato però, ci sono argomenti che richiamano istituti propri del lavoro dipendente.
L’ obbligo di riservatezza del lavoratore a progetto fa parte di essi, perché l’ art. 64, rievoca nel suo contenuto, la disciplina dell’ obbligo di fedeltà nel lavoro subordinato.
Vi è però una sostanziale differenza tra le due norme: la rubrica dell’art. 2105 c.c. reca il titolo “obbligo di fedeltà”, quella dell’art. 64 invece “obbligo di riservatezza”.
La diversa scelta terminologica della rubrica da parte del legislatore e il conseguente minor grado di costrizione che consegue al titolo dell’art. 64, sembra però in contrasto con il dispositivo della
xxxxx, in un certo senso più incisivo di quello previsto dall’art. 2105 c.c.226.
La coesistenza di elementi propri di fattispecie di lavoro autonomo e di lavoro subordinato ha reso, secondo alcuni autori, “non correttamente calibrate” le tutele del lavoratore a progetto227.
L’art. 64, comma 1, del decreto prevede che il collaboratore a progetto possa svolgere la sua attività a favore di più committenti, salvo diverso accordo tra le parti.
Il patto contrario può essere, in assenza di precise indicazioni, sia contestuale che successivo all’instaurazione del rapporto228.
Come detto, nonostante l’assenza nella legge di una disposizione a riguardo, si ritiene che il prestatore, laddove si obblighi all’esclusiva, dovrà percepire comunque un compenso maggiore229.
Sicuramente non è un merito per il legislatore, non aver disciplinato in maniera specifica l’ipotesi del patto di esclusiva, poiché esso limita fortemente l’indipendenza di un lavoratore autonomo, quale è il collaboratore a progetto.
Questi si vede infatti da un lato, non applicare il principio di giusta retribuzione di cui all’art. 36 Cost. data l’autonomia della sua
226 X. Xxxxxxx, op. cit., pag. 326; X. Xxxxxxxxx, Diritti ed obblighi…, op. cit., pag. 35.
227 G. Z. Grandi, Sub art. 64, in Tipologie contrattuali a progetto e occasionali, in
X. Xxxxxxxx-X. Xxxxxxx (a cura di), La riforma del mercato del lavoro e i nuovi modelli contrattuali, commentario al D.Lgs.. 10 settembre 2003, n. 276, pag. 755, l’A. cita in parte X. Xxxxxxx, Tipologie di lavoro flessibile, Torino, 2004, pag. 249.
000 X. Xxxxx, op. cit., pag. 24.
229 X. Xxxxxxxxx, Diritti ed obblighi…, op. cit., pag. 31; contra X. Xx Xxxx Xxxxxx,
Dal lavoro parasubordinato, op. cit., pag. 24 e A. Xxxxxxx, op. cit., pag. 326.
prestazione230, dall’altro, limitare notevolmente la sua iniziativa individuale tramite l’impossibilità di pluricommittenza. Quest’ultima avrebbe potuto permettere al lavoratore a progetto di percepire comunque un compenso maggiore e quindi di “affrancarsi dalla dipendenza economica”231 del committente.
Secondo qualche autore232, l’assenza di esclusività può lasciare al lavoratore una libertà di manovra che mal si concilia con le caratteristiche dell’impegno assunto.
A mio avviso, invece, questa indipendenza è del tutto conciliabile con l’esecuzione dell’obbligo contrattuale del collaboratore, poiché esso, come si è detto, è un lavoratore autonomo destinato a sostenersi solo col proprio xxxxxx000.
Va però precisato che, stante la lettera della legge, il caso di monocommittenza è pur sempre eccezionale (“salvo diverso accordo”), e che quindi è evidente l’intenzione del legislatore di orientarsi verso un sistema di collaborazione per una pluralità di committenti234.
La presenza di più committenti sembra essere quindi l’ipotesi fisiologica per il contratto in questione. Essa però, come vedremo, va coordinata con la previsione del comma 2 dell’art. 64235, secondo
230 X. Xxxxx, op. cit., pag. 671 e ss..
000 X. Xxxxx, op. cit., pag. 24.
232 X. Xxxxxxxxx, Il lavoro a progetto o occasionale, in Diritto del lavoro i nuovi problemi, II, CEDAM, 2003, pag. 1378.
233 X. Xxxxx, op. cit., pag. 105.
234 G. Z. Grandi, op. cit., pag. 757.
235 Di proiezioni autoelidentesi dei due commi parla X. Xxxxxxxxxx, op. cit., pag. 783.
il quale il collaboratore “non deve svolgere attività in concorrenza con i committenti”.
Alcuni giuslavoristi236 sottolineano come nella legge delega non si rinvenga alcuna traccia della disposizione in questione e come l’art. 64 abbia una portata del tutto diversa dall’art. 1743 c.c., che disciplina “il diritto all’esclusiva come naturale negotii del contratto di agenzia”.
La disposizione codicistica infatti delinea una duplice portata dell’esclusiva, essa opera sia a favore del committente, sia a favore dell’agente. Il preponente non si può avvalere contemporaneamente di più agenti nella stessa zona per la stessa attività, l’agente non può assumere, da par suo, l’incarico di trattare nella stessa zona e per lo stesso ramo gli affari di più imprese in concorrenza tra loro.
Nell’art. 64, invece, sembra molto difficile individuare una esclusiva a favore del collaboratore che, come nell’agenzia, comporti un obbligo nei confronti del committente di avvalersi di un solo collaboratore a progetto237.
Considerando infine che il contraente più debole (il collaboratore) può essere costretto ad accettare anche clausole svantaggiose, come l’esclusiva a favore di un solo datore di lavoro, il quadro risulta quasi capovolto rispetto alla lettera della legge.
Il committente dunque, facendo forza sulla sua superiorità contrattuale, potrà imporre accordi di esclusiva al lavoratore senza che questi possa richiedere altrettanto.
236 X. Xxxxxxxxxx, op. cit., pag. 783.
237 X. Xxxxxxxxxx, op. cit., pag. 784; è dello stesso avviso X. Xxxxxxxxx, op. cit., pag. 1378.
Infine sembra che il patto di esclusiva, come i divieti contenuti nel comma 2, abbia una validità limitata alla durata del rapporto di lavoro. Esso non può quindi essere vincolante per il collaboratore dopo che lo stesso si sia concluso238.
3.2. Il richiamo dell’art. 64 D.Lgs. 276/2003 alla disciplina
dell’art. 2105 c.c.
La possibilità del lavoratore di prestare la propria opera per più committenti trova ulteriori limiti nei divieti che gli vengono imposti dal comma 2, dell’art. 64.
Ai sensi di tale disposizione viene vietato al collaboratore a progetto di svolgere attività in concorrenza con i committenti, di diffondere notizie e apprezzamenti attinenti ai programmi e alla organizzazione di essi, di compiere qualsiasi atto che pregiudichi la loro attività.
La maggior parte della dottrina239, ritiene che tale disposizione estenda al lavoratore a progetto il contenuto degli obblighi previsti nell’art. 2105 c.c..
000 X. Xxxxx, op. cit., pag. 24.
239 X. Xxxxxxxxxx, op. cit., pag. 786; X. Xxxxxxxx, op. cit., pag. 59; X. Xxxxxxxx, op. cit., pag. 219; X. Xxxxxxx, op. cit., pag. 326; X. Xxxxxxxxx, op. cit., pag. 1378; X. Xxxxx, op. cit., pag. 105; X. Xxxxxxxxx, Diritti ed obblighi…, op. cit., pag. 35; G. Z. Grandi, op. cit., pag. 755.
La norma codicistica impone infatti tre preclusioni240 al lavoratore subordinato, parzialmente identiche a quelle previste dall’art. 64 del decreto.
L’art. 64 nel suo secondo comma in sostanza richiama il contenuto negativo degli obblighi imposti dall’art. 2105 c.c. al lavoratore subordinato.
Tale norma costituisce cioè “una sorta di parafrasi dell’art. 2105 c.c., con piccole varianti (quelle sub b), prese a prestito dall’art 2598 x.x., xxxxxx xxx xxx x. 0, xx xxxxxxx di concorrenza sleale”241.
Le regole introdotte dal legislatore del 2003 presentano differenze minime rispetto all’art. 2105, anche se esse, per qualche autore, sono “oltremodo gravose per il collaboratore”242.
La prima limitazione nei confronti del collaboratore a progetto è quella di non poter svolgere attività in concorrenza con i committenti. Essa è in linea non solo con l’art. 2105 c.c., ma anche con precetti di portata più generale come l’art. 1175 (comportamento secondo correttezza) e l’art. 1375 (esecuzione di buona fede).
Ovviamente di concorrenza si potrà parlare solamente laddove l’attività del collaboratore sia potenzialmente idonea a contendere la clientela al committente243, e cioè quando abbia un fine di lucro,
240 In riferimento alla triplicità delle obbligazioni nei confronti del collaboratore si veda X. Xxxxxxxxxxx, op. cit., pag. 163.
241 X. Xxxxxxxxxx, op. cit., pag. 785.
242 A. Xxxxxxx, op. cit., pag. 326.
000 X. Xxxxx, op. cit., pag. 25.
xxxxxxxx lo stesso settore produttivo e lo stesso territorio del committente.
La concorrenza del collaboratore nei confronti del committente è illecita come tale, senza che sia necessaria la “slealtà” dello stesso. Si tratta infatti di una “concorrenza c.d. differenziale” rispetto a quella di un qualsiasi altro soggetto, che può arrecare al committente numerosi danni vista la collocazione del prestatore all’interno dell’organizzazione aziendale.
Il divieto di concorrenza non riguarda esclusivamente il caso in cui il collaboratore svolga la sua attività per un committente concorrente ad un altro con cui si sia già impegnato, ma anche l’ipotesi di attività in proprio concorrente con quella di uno dei committenti245. Il contratto infatti obbliga le parti non solo a quanto è espresso nel medesimo, ma anche a tutte le conseguenze che ne derivano secondo la legge, gli usi e l’equità (art. 1374 c.c.).
Come rilevato nel paragrafo precedente, questa disposizione stona con la possibilità del collaboratore di poter svolgere l’attività per più committenti, soprattutto se la sua competenza è specialistica. Per questo motivo v’è chi246 ritiene il divieto in questione, riferibile solamente all’attività del collaboratore e non alle tipologie di attività svolte dai committenti dello stesso. L’opinione però
244 Si Vedano X. Xxxxxx e X. Xxxx, op. cit., pag. 456.
245 X. Xxxxxxxxxx, op. cit., pag. 786.
246 G. Z. Grandi, op. cit., pag. 760.
sembra rifiutata dalla stessa xxxxx che si riferisce ad “attività in concorrenza con i committenti”, utilizzando quindi espressamente la forma plurale.
La dottrina, infine, ritiene possibile un accordo col quale le parti regolino un divieto di concorrenza successivo allo scadere del rapporto lavorativo del prestatore.
Secondo parte di essa247, tale accordo potrà anche ricalcare il patto di non concorrenza previsto per il lavoratore subordinato dall’art. 2125 c.c., ma in questo caso le parti potranno anche derogare allo stesso, poiché tale norma non si applica al lavoratore autonomo.
In assenza di una espressa pattuizione a riguardo, il divieto di concorrenza cessa quindi con l’estinzione del contratto248.
Il secondo divieto riguarda la diffusione di notizie e apprezzamenti attinenti ai programmi ed alla organizzazione di essi.
Come è stato precisato in dottrina249, la norma contiene probabilmente due divieti distinti al suo interno.
Il primo riguarda la semplice divulgazione di notizie riservate, il secondo il diffondere apprezzamenti, ossia giudizi di xxxxxx000. È questa parte della norma che, con il richiamo agli “apprezzamenti”, rievoca il n. 2 dell’art 2598 c.c. in materia di atti di concorrenza sleale.
247 X. Xxxxxxxx, op. cit., pag. 61.
248 X. Xxxxxxxxxx, op. cit., pag. 786; X. Xxxxxxxxx, Diritti ed obblighi…, op. cit., pag. 35.
000 X. Xxxxx, op. cit. , pag. 25.
000 X. Xxxxx, op. cit , pag. 25.
La sola diffusione delle notizie ad un numero ampio di persone, in questo caso, potrebbe comportare una violazione da parte del collaboratore dei doveri imposti dalla disciplina legale, senza che tali giudizi siano necessariamente falsi251 o che vi sia una colpa del collaboratore.
A differenza del patto di non concorrenza e del divieto di atti pregiudizievoli, l’obbligo di riservatezza permane anche dopo la conclusione del contratto, con un conseguente protrarsi della responsabilità risarcitoria del collaboratore252.
In proposito secondo alcuni253 “sarà ben difficile che un collaboratore a progetto si occupi di tali e svariate attività da non scontrarsi mai con precedenti committenti sul piano del medesimo tipo di attività da esso svolte”.
Il testo normativo si riferisce solamente al programma, ma non c’è ragione per non estendere tale disposizione anche al progetto o alla fase di lavoro. Inoltre sembra che il riserbo del collaboratore non debba riguardare l’organizzazione e i metodi di produzione dell’impresa254, poiché essi saranno normalmente a lui sconosciuti. Pare dunque opportuna la limitazione di questo divieto ai
251 In questo caso non è altresì necessario, come invece prevede l’art. 2598 x.x. xxx x. 0, xxx xxxx xxxx xxxxx “idonei a determinare discredito”. In questo senso troviamo un parziale distaccamento dalla norma che disciplina gli atti di concorrenza sleale.
252 X. Xxxxxxx e X. Xxxxxxxx, in Manuale Pratico del Rapporto di Lavoro Subordinato, Padova, 1999, pag. 179. Ed ancora X. Xxxxxxxx, op. cit., pag. 219; X. Xxxxxxxxx, Diritti ed obblighi…, op. cit., pag. 35.
253 G. Z. Grandi, op. cit., pag. 759.
254 Come invece avviene per l’art. 2105 c.c..
programmi da realizzare (e quindi anche ai progetti e alle fasi), e alla sola organizzazione di questi255.
Di riflesso però qualche giuslavorista256 si è espresso contrariamente a qualsiasi “compressione del diritto di pensiero e di espressione costituzionalmente garantito” del collaboratore, nel caso in cui il committente svolga delle attività illecite.
L’ultimo divieto riguarda il “compiere, in qualsiasi modo, atti in pregiudizio della attività” dei committenti. Questa nozione risulta addirittura più ampia di quella prevista dall’art. 2105 c.c.257, poiché non riguarda le sole notizie, ma qualsiasi tipologia di atti pregiuzievoli all’impresa, che non siano compresi negli altri due divieti.
Tra l’altro in questo caso, non c’è bisogno che il danno si sia prodotto, poiché la colpa si presume. Basta il danno potenziale come per l’art. 2600 c.c. in tema di concorrenza sleale tra imprese, e cioè che l’atto sia idoneo a danneggiare l’azienda. Si avrà in tal caso un’inversione dell’onere della prova.
Di conseguenza anche questo tipo di divieto ha efficacia fin quando permane il vincolo contrattuale, non potendo estendersi oltre tale termine.
255 X. Xxxxxxxx, op. cit., pag. 219; X. Xxxxxxxxx, Diritti ed obblighi…, op. cit., pag. 35; contra X. Xxxxxxx, op. cit., pag. 326 secondo questo autore infatti “esprimere insoddisfazioni per l’organizzazione e i ritmi di lavoro potrebbe rappresentare addirittura apprezzamento inviso al committente e non ammesso dalla legge”.
256 G. Z. Grandi, op. cit., pag. 758.
257 X. Xxxxxxxx, op. cit., pag. 219.
Vi è chi258, infatti, ha ritenuto che una interpretazione diversa sia incostituzionale “per un’ingiustificata lesione dei principi di cui agli artt. 3, 4, 41, della Costituzione”, o comunque per “un’illegittima compressione della libertà di iniziativa economica del collaboratore”.
Dall’altro lato altri giuristi259 hanno ritenuto applicabile al divieto in questione il c.d. segreto professionale e quello scientifico e industriale previsto negli artt. 622 e 623 c.p..
A riguardo possiamo estendere all’art. 64, quanto la dottrina260 ha affermato sull’art 2105 c.c., o meglio sulla differenza tra tale norma e quelle penali.
La prima tutelerebbe infatti il solo “segreto aziendale”, che impone a qualsiasi lavoratore di non diffondere ad estranei informazioni “conosciute in occasione della propria prestazione di lavoro nell’impresa”.
Mentre gli artt. 622 e 623 c.p. si rivolgerebbero a particolari soggetti che fanno della segretezza una caratteristica fondamentale della loro professione.
La violazione degli obblighi di cui all’art. 64, può infine comportare il recesso giustificato dal contratto da parte del committente e la richiesta dello stesso di risarcimento del danno.
Eventuali patti aggiuntivi limitativi della concorrenza o della libertà contrattuale del prestatore che riguardino il periodo
000 X. Xxxxx, op. cit., pag. 25.
259 G. Z. Grandi, op. cit., pag. 758; X. Xxxxxxxxxx, op. cit., pag. 786.
260 X. Xxxxxx, Diritto alla riservatezza e diritto al segreto nel rapporto di lavoro, Milano, Xxxxxxx, 1979, pag. 229 e ss.
successivo all’estinzione del rapporto, possono essere conclusi applicando analogicamente, ex art. 12 disp. preliminari c.c., le norme relative al lavoro subordinato261 o al contratto di agenzia262 (artt. 2125 e 1751 bis c.c.). In tal caso ovviamente potrà essere corrisposto un compenso anche successivamente alla conclusione del rapporto lavorativo.
Siamo venuti tratteggiando quindi una disciplina dell’obbligo di riservatezza di cui all’art. 64 del decreto, in tutto simile a quella prevista dall’art. 2105 c.c..
Per questa ragione diversi autori sostengono essere disciplinato nell’art. 64 qualcosa in più di un semplice obbligo di riservatezza, che infatti sarebbe stato soddisfatto dal solo divieto di diffondere notizie e apprezzamenti.
Il contenuto degli altri due divieti, in sostanza, scavalca lo stesso titolo della rubrica, e individua nei confronti del collaboratore a progetto un obbligo di fedeltà263 analogo a quello del lavoratore subordinato.
Viene alla mente a questo punto, l’annosa questione dottrinaria e giurisprudenziale riguardante la configurabilità o meno per il lavoratore subordinato di un obbligo di fedeltà autonomo. Ci si è chiesti in passato se potesse considerarsi esistente nei confronti del lavoratore dipendente, un obbligo che vada oltre i divieti previsti dall’art. 2105 e che abbia un contenuto positivo e non solo negativo,
261 X. Xxxxxxxx, op. cit., pag. 61; X. Xxxxxxx, op. cit., pag. 759; X. Xxxxx, op. cit., pag. 26; X. Xxxxxxxx, op. cit., pag. 220.
262 X. Xxxxxxxxxx, op. cit., pag. 786.
263 Cfr. X. Xxxxx, op. cit., pag. 105.
che implichi cioè il dovere di fare tutto il possibile per soddisfare l’interesse dell’impresa.
Alcuni autori264 avevano risposto affermativamente a tale interrogativo, altri265 invece negavano un’autonoma rilevanza alla rubrica dell’art. 2105 c.c. e ritenevano si dovessero rispettare solamente gli obblighi contenuti nella norma.
La giurisprudenza266 sembra essere concorde con la prima impostazione, ritiene cioè che all’interno degli obblighi di cui all’art. 2105 c.c. s’intraveda un più generico dovere di leale collaborazione con il datore di lavoro, derivante dai principi di buona fede e correttezza di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c..
Una pronuncia267, tenendo conto delle recenti dottrine, proietta l’obbligo di fedeltà di cui all’art 2105 c.c., in una dimensione di solidarietà politica, economica e sociale ex art. 2 Cost., delineando un contenuto dell’obbligo più ampio di quello previsto dalla norma.
Bisogna ora chiedersi se tali argomenti possano valere anche per l’obbligo di fedeltà delineato nell’art. 64 del D.Lgs. 276/2003.
Parte della dottrina ritiene che anche per questo rapporto si debba effettuare una interpretazione di fedeltà molto elastica, tenendo conto cioè dei principi di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c..
In questo caso infatti siamo pur sempre di fronte ad “un contratto di collaborazione in cui il risultato atteso dal committente
264 X. Xxxx Xxxxxxxxxxx, Lavoro autonomo, in Commentario al Codice Civile a cura di X. Xxxxxxxx e X. Xxxxxx, pag. 86; X. Xxxxxxxx, Contratto di lavoro e organizzazione, Padova, 1966, pag. 245 e 257.
265 G.F. Xxxxxxx, La responsabilità contrattuale del prestatore di lavoro, Milano, Xxxxxxx, 1957.
266 Cass., sez. lav., 16 maggio 1998, n. 4952, in Mass. giur. lav., 1998, pag. 663.
entra a far parte del vincolo obbligatorio”268 e che porta un soddisfacimento dell’interesse del committente anche attraverso l’astensione dal compiere “qualsiasi atto idoneo a nuocergli anche potenzialmente” e che non sia compreso nei divieti di cui all’art. 64.
267 Cass. 26 agosto 2003, n. 12489, in Not. Giur. Lav., 2004, pag. 180.
268 X. Xxxxxxxxx, Diritti ed obblighi…, op. cit., pag. 35.
CAPITOLO IV
INVENZIONI E ALTRI DIRITTI DEL COLLABORATORE A
PROGETTO
4.1. L’applicabilità al lavoro a progetto della disciplina delle invenzioni nel lavoro subordinato
Anche l’art. 65 del D.Lgs. 276/2003 dedicato alle “Invenzioni del collaboratore a progetto”, attribuisce a tale prestatore di lavoro tutele in passato riconosciute al solo lavoratore dipendente.
La norma infatti nel suo primo comma riproduce pedissequamente quanto disposto dall’art. 2590, comma 1, c.c., asserendo che “Il lavoratore a progetto ha diritto di essere riconosciuto autore della invenzione fatta nello svolgimento del rapporto”.
Il primo è riconosciuto come diritto dell’inventore di rivendicare nei confronti di chiunque la paternità dell’opera, e di
opporsi a qualsiasi deformazione, modificazione o atto dannoso, pregiudizievole dell’onore e della reputazione dell’autore dell’opera (art. 20 l. n. 633/1941, da ora l. aut.).
Il secondo riguarda invece il diritto di utilizzazione economica esclusiva dell’opera da parte del suo autore in ogni forma e modo, originale o derivato (art. 12 l. aut.).
Per quanto attiene al lavoro subordinato, se è sempre stata riconosciuta al dipendente la titolarità del primo diritto stante il disposto del primo comma dell’art. 2590 x.x., xx xxxxxxx xxx xxxxxxx x xxxxx xxxxxxxx limitata poiché la norma nel suo secondo comma ammette anche una diversa previsione da parte delle leggi speciali (come vedremo nel paragrafo successivo).
Proprio questa precisazione dà lo spunto per porsi un interrogativo, se cioè quella disciplina speciale (cui rimanda anche l’art. 65), sia realmente applicabile ad un lavoratore autonomo come il collaboratore a progetto.
Non v’è dubbio, infatti, che l’applicazione al lavoro autonomo degli artt. da 23 a 26 del r.d. 29 giugno 1939, n. 1127 (legge invenzioni, da ora l.i.) sia stata in passato normalmente esclusa269. Gli art. 23 e 24 l.i. in particolare, sembrano applicazione di un principio generale secondo il quale i frutti dell’attività lavorativa o sono attribuiti al datore di lavoro o comunque possono essere da
269 L. C. Ubertazzi, Profili soggettivi del brevetto, Milano, 1985, pag. 38; M. N. Xxxxxxx, Attività inventiva e rapporto di lavoro, Milano, 1993, pagg. 16 e ss.; a X. Xxxxxxxxx, La tutela delle creazioni intellettuali nel rapporto di lavoro, Xxxxxxxxxxxx, Torino, 1999, pag. 84 e ss.; X. Xxxxxxx, op. cit., pag. 763.