S T U D I O L E G A L E
S T U D I O L E G A L E
Osservatorio della giurisprudenza in materia di factoring
N. 3 /2017
INDICE:
1. Corte di Cassazione, sez. I civ., 27 giugno 2017, n. 15943 2
Cessione dei crediti mediante factoring e pagamenti anomali
2. Corte di Cassazione, sez. III civ., 3 agosto 2017, n. 19341 9
Contratto di factoring e cessione di crediti futuri
Contratto di factoring e opponibilità dell’eccezione di compensazione in caso di notifica della cessione
Tribunale di Roma, sez. VIII civ., 27 maggio 2017, n. 10734… 13
Contratto di factoring e cessione di crediti futuri
Contratto di factoring e inopponibilità dell’eccezione di compensazione in caso di accettazione pura e semplice della cessione
3. Tribunale di Bologna, sez. II civ., 10 maggio 2017, n. 825… 20
Cessione dei crediti e società in house providing in qualità di debitore ceduto
4. Corte di Cassazione, sez. III civ., 6 luglio 2017, n. 16659 27
Danno non patrimoniale derivante da errata segnalazione in Centrale Rischi
Osservatorio della giurisprudenza in materia di factoring N. 3 / 2017
1.
Corte di Cassazione, sez. I civ., 27 giugno 2017, n. 15943
Fallimento – Azione revocatoria fallimentare – Atti a titolo oneroso – Cessione di crediti di impresa mediante factoring – Cessione strumentale alla estinzione di un credito preesistente – Pagamento anomalo – Sussistenza – Presupposti.
(L. Fall., art. 67, comma 1, n. 2)
In tema di revocatoria fallimentare, relativa ad atti estintivi di debiti pecuniari non effettuati con denaro o con altri mezzi normali di pagamento, qualora il rapporto di factoring e le relative cessioni di credito si rivelino strumentali a consentire il rientro del fornitore da una esposizione nei confronti di una banca collegata alla società di factoring, è deve rilevarsi una sostanziale unilateralità e trilateralità del rapporto, con conseguente revocabilità delle rimesse effettuate dalla società di factoring sul conto corrente intestato al fornitore presso la banca.
* * *
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Xxxx. XXXXXXXX Xxxxxxxx - Presidente -
Xxxx. XXXXXXXXXXX Xxxxxx - Xxxxxxxxxxx -
Dott. XXXXXXX Xxxxxxxx - rel. Consigliere -
Dott. DE XXXXXX Xxxxx - Xxxxxxxxxxx -
Xxxx. XXXXXXXXX Xxxxxxx - Consigliere -
ha pronunciato la seguente: ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
[Banca], incorporante [Factor], elett.te dom.ta in [omissis], presso l’avv. [omissis], rappr.ta e difesa dall’avv. [omissis], per delega a margine del ricorso.
[omissis];
- ricorrente -
nei confronti di:
Fallimento [del Fornitore], elett.te xxx.xx in [omissis], presso l’avv. [omissis] che lo rappresenta e difende, in seguito al provvedimento del G.D. del 29 ottobre 2012 e in virtù di delega a margine del controricorso;
- controricorrente - avverso la sentenza n. 3467/11 della Corte d’appello di Roma emessa in data 19 gennaio 2011 e depositata il 5 settembre 2011, R.G. n. 6806/03;
sentito il Pubblico Ministero in persona del sostituto procuratore generale dott. [omissis], che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Fatto
RILEVATO
che:
1. La controversia ha per oggetto la cessione a [Factor] dei crediti vantati da [Fornitore] in bonis, nei confronti del Ministero della Difesa. La curatela del Fallimento (omissis) s.p.a. ha agito nei confronti di [Banca], di [Factor] e del Ministero della Difesa per la revoca delle cessioni e, in subordine, per la revoca delle rimesse
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effettuate dal [Factor] sul conto corrente n. (omissis), intrattenuto da [Fornitore] presso l’agenzia n. (omissis) della [Banca] allo scopo di estinguere o ridurre gli scoperti ivi esistenti.
2. Il Tribunale di Roma, con sentenza n. 25715/2002, ha respinto le domande proposte dalla curatela sul rilievo che le cessioni dei crediti e le rimesse sul conto non avevano avuto una funzione solutoria, diretta all’estinzione di un pregresso debito nei confronti del factor, ma la funzione di garanzia tipica del contratto di factoring.
3. La Corte di appello di Roma, con sentenza n. 3467/2011, ha accolto l’impugnazione della curatela fallimentare e ha dichiarato l’inefficacia, nei confronti della massa dei creditori del fallimento, delle rimesse effettuate da [Factor] sul c/c n. (omissis), intestato a (omissis) presso l’agenzia n. (omissis) del [Banca], per un complessivo importo di 862.119,69 Euro. Ha condannato la [Banca-Factor] alla restituzione della predetta somma in favore del fallimento con interessi legali dalla domanda.
4. Ricorre per cassazione [Banca] affidandosi a cinque motivi di impugnazione.
5. Si difende con controricorso il Fallimento (omissis) s.p.a.
6. Le parti depositano memorie difensive.
Diritto
RITENUTO
che:
7. Con il primo motivo di ricorso si deduce omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio con particolare riferimento alla disposta inefficacia delle rimesse solutorie effettuate da [Factor] sul conto corrente [Banca] n. (omissis) intestato a [Fornitore] (omissis)
s.p.a. La banca ricorrente contesta la correttezza della ricostruzione del rapporto contrattuale fra [Fornitore] (omissis) s.p.a. e [Factor] che si è incentrata sul carattere solutorio delle rimesse e, specificamente, contesta la sovrapposizione a tale rapporto di factoring di quello autonomo e indipendente intercorso fra [Fornitore] (omissis) e [Banca].
8. Il motivo non coglie la ratio decidendi della decisione impugnata che non si basa su una ricostruzione in termini di solutorietà e/o anomalia del contratto di factoring, consistente nel pagamento delle anticipazioni alla società cedente solo dopo l’avvenuta realizzazione dei crediti ceduti, ma piuttosto sul carattere trilaterale del rapporto, nonostante il dato formale della distinzione del contratto di factoring rispetto al rapporto credito-debitorio della società [Fornitore] (omissis) con la [Banca]. Si tratta di una ricostruzione che, sotto il profilo motivazionale, ha una base logica e coerente nello svolgimento complessivo della vicenda negoziale che ha interessato le parti in causa e che è stata ricostruita attraverso l’acquisizione dei dati, consentita dall’espletamento della c.t.u., che rappresentano il flusso del finanziamento garantito dalle cessione dei crediti ma destinato ab origine a garantire la banca sul rientro della società cedente dalla sua esposizione debitoria.
9. Con il secondo motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione di norme di diritto (art. 360 c.p.c., n. 3) in relazione alla L. Fall., art. 67, comma 1, n. 2. La ricorrente censura la dichiarazione di inefficacia delle rimesse pronunciata senza che sia stata dichiarata l’inefficacia delle cessioni.
10. Il motivo è infondato. Per un verso, se è vero che il dispositivo della sentenza impugnata consiste nella dichiarazione di inefficacia delle rimesse solutorie effettuate da [Factor] sul conto corrente [Banca] intestato a [Fornitore] (omissis) s.p.a., tuttavia la motivazione della sentenza chiarisce inequivocamente che tale dichiarazione di inefficacia si fonda sulla strumentalità del rapporto di factoring, e delle relative cessioni dei crediti di [Fornitore] (omissis) verso il Ministero della Difesa, per consentire alla cedente il rientro dalla presistente posizione debitoria nei confronti della banca. Per altro verso, se è vero, nella ricostruzione della Corte di appello, che le cessioni hanno avuto, secondo la previsione del contratto di factoring, la funzione di garanzia atipica, consistente nel consentire il recupero delle anticipazioni da parte del factor, tuttavia la destinazione delle rimesse da parte del factor e della società cedente è stata, come si è detto, quella del conferimento di tali somme al rapporto credito-debitorio esistente fra [Fornitore] (omissis) e la banca. La Corte di appello ha riscontrato, attraverso la C.T.U. e la contabilizzazione delle rimesse nei rapporti con la banca, tale finalizzazione e destinazione delle rimesse e ciò ha consentito ai giudici dell’appello di rilevare una sostanziale unitarietà e trilateralità del rapporto. Tale ricostruzione è stata ritenuta idonea a far configurare l’anormalità dei pagamenti effettuati, in definitiva, da [Fornitore] (omissis)
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alla banca, attraverso lo strumento delle cessioni dei crediti a un soggetto terzo, ma collegato alla banca, [omissis] che ha effettuato le rimesse alla società cedente sul suo conto corrente presso la banca [omissis], consentendo a quest’ultima di monitorare il flusso delle rimesse derivanti dalle cessioni e di ottenere l’eliminazione della esposizione della cliente nei suoi confronti.
11. Con il terzo motivo di ricorso, in relazione alla mancata individuazione delle rimesse solutorie, si deduce violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione all’art. 112 c.p.c. (art. 360 c.p.c., n.
3) e omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., n. 5). La ricorrente rileva che la controparte ha esteso la domanda proposta in primo grado e limitata alla revocatoria L. Fall., ex art. 67, comma 1, n. 2 anche alla diversa ipotesi di cui all’art. 67, comma
2. Secondo la ricorrente inoltre la Corte di appello ha seguito acriticamente la consulenza ma senza indicare chiaramente il percorso logico e aritmetico con il quale è pervenuta alla determinazione delle rimesse a contenuto solutorio e confondendo in definitiva le cessioni con le rimesse.
12. Il motivo deve considerarsi infondato sotto entrambi gli aspetti. L’ampia articolazione delle conclusioni effettuata in primo grado dalla società controricorrente e il riferimento complessivo alla L. Fall., art. 67 smentiscono l’affermazione di parte ricorrente che non trova, del resto, un riscontro logico nella prospettazione dell’intera vicenda negoziale effettuata dalla società [Fornitore] (omissis). Quanto alla pretesa indeterminatezza della metodologia seguita dal consulente e recepita dalla Corte di appello, per individuare le rimesse solutorie e per pervenire concretamente alla loro quantificazione in 862.119,69 Euro, deve rilevarsi che le censure della ricorrente, oltre che non specifiche, sono da ritenersi infondate dato che l’oggetto della domanda era chiaramente riferito alle cessioni dei crediti nei confronti del Ministero della Difesa, e alle relative rimesse, e che da tale complessivo ammontare, rilevato dal C.T.U., la Corte di appello ha dedotto quanto ha costituito oggetto di separata domanda decisa dalla sentenza n. 15403/2013 di questa Corte.
13. Con il quarto motivo di ricorso si deduce violazione o falsa applicazione di norma di diritto in relazione alla L. Fall., art. 67, comma 1, n. 2 e comma 2 (art. 360 c.p.c., n. 3). La ricorrente contesta la motivazione della Corte di appello laddove ha applicato anche alle rimesse di denaro la disposizione di cui alla L. Fall., art. 67, comma 1 considerandole tutte collegate alle cessioni e ritenendole operazioni anomale. Secondo la ricorrente le rimesse non possono che essere rapportate, ai fini della dichiarazione di inefficacia, all’art. 67, comma 2 ed essere esclusi dall’azione revocatoria.
14. Il motivo deve considerarsi infondato per le ragioni già esposte relativamente ai precedenti motivi. Difatti, per un verso, la domanda proposta dalla società [Fornitore] in primo grado era più ampia di quella che la ricorrente ritiene essere stata proposta, con esclusivo riferimento alla L. Fall., art. 67, comma 1, n. 2, in quanto investiva, sulla base della complessiva prospettazione del rapporto che ha coinvolto le parti in causa, sia le cessioni che le rimesse. L’anomalia e revocabilità di queste ultime è stata ritenuta dalla Corte di appello in relazione alla strumentalità del contratto di factoring e alla sostanziale trilateralità del rapporto.
15. Con il quinto motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione di legge in relazione alla L. Fall., art. 67, comma (art. 360 c.p.c., n. 3); omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., n. 5). Secondo la ricorrente è incomprensibile il procedimento logico-giuridico con cui la Corte di appello perviene alla qualificazione e quantificazione della somma di Euro 1.101.358,03 come ammontare complessivo delle rimesse solutorie. Il motivo di ricorso censura, in particolare, la mancata considerazione dell’esistenza o meno di un affidamento bancario, nonché dei criteri normalmente utilizzati per identificare le operazioni revocabili, e contesta l’adozione del criterio del saldo contabile, invece che del saldo disponibile, nonché la mancata compensazione con le operazioni bilanciate rinvenibili nel caso di specie.
16. Il motivo è inammissibile in quanto è costituito da censure e da deduzioni nuove e formulate in modo astratto. La questione relativa all’esistenza di un affidamento bancario in favore di [Fornitore] (omissis), oltre ad essere stata sollevata tardivamente, appare irrilevante per la preesistenza di una esposizione debitoria nei confronti della [Banca] e della ripetuta formazione, rilevata dal c.t.u., di scoperti sul conto corrente in questione. La censura relativa alla metodologia seguita dal C.T.U. per identificare e quantificare le rimesse solutorie è del tutto generica e astratta e non tiene conto della loro individuazione sulla base di quanto ha
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costituito l’oggetto della domanda di revocatoria fallimentare proposta da [Fornitore] che si è riferita esclusivamente alle cessioni dei crediti nei confronti del Ministero della Difesa e alle conseguenti rimesse.
17. In generale, e con riferimento a tutti i motivi del ricorso, deve rilevarsi pertanto che la Corte di appello
- con motivazione logica e coerente - ha accertato l’aderenza della situazione rilevata dal C.T.U. alle prospettazioni portate a sostegno della domanda di [Fornitore], a fronte delle quali i giudici dell’appello non hanno riscontrato alcuna specifica contestazione, da parte della ricorrente, che pure è stata destinataria di una informativa analitica sulle cessioni e le rimesse.
18. Il ricorso va pertanto respinto con condanna della ricorrente alle spese del giudizio di cassazione.
PQM
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione liquidate in complessivi Euro 9.200 di cui 200 per spese, oltre accessori di legge e spese forfettarie.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 18 gennaio 2017. Depositato in Cancelleria il 27 giugno 2017
* * *
IL CASO
Il Fornitore, una società di capitali, cede in favore del Factor i crediti pecuniari vantati nei confronti del Ministero della Difesa. Successivamente il Factor rimette le somme dovute al Fornitore in forza del rapporto di factoring
– non è chiaro se sulla scorta di una pattuizione coeva al contratto di factoring o in seguito a successive indicazioni del Fornitore; né se i versamenti siano effettuati a titolo di saldo del corrispettivo della cessione o a titolo di anticipazione – su di un conto corrente intestato al Fornitore presso una Banca appartenente allo stesso Gruppo del Factor.
A seguito del fallimento del Fornitore, il Curatore esercita azione revocatoria nei confronti del Factor e della Banca, chiedendo in via principale l’inefficacia delle cessioni di credito e, in subordine, la revoca delle rimesse effettuate dal Factor sul conto corrente.
In primo grado, il Tribunale di Roma, con sentenza emessa nel 2002, ha respinto la domanda della Curatela, rilevando che le cessioni dei crediti e le rimesse sul conto corrente non avevano avuto funzione solutoria, diretta all’estinzione di un pregresso debito nei confronti del Factor, ma la funzione di garanzia tipica del contratto di factoring. Questa decisione è tuttavia ribaltata dalla Corte d’Appello capitolina che, con sentenza del 2011, ha accolto l’impugnazione del Curatore, dichiarando l’inefficacia nei confronti della massa delle rimesse effettuate dal Factor sul conto corrente del Fornitore presso la Banca, per un complessivo importo di Euro 862.119,69, condannando per l’effetto la Banca alla restituzione della predetta somma.
La Banca – nella quale era stata incorporata anche la società Factor – ricorre in Cassazione fondando le proprie censure, a quanto è dato evincere dalla sintetica descrizione contenuta nella motivazione, sulla ritenuta indebita sovrapposizione del rapporto di factoring con quello tra il fornitore e la Banca, sovrapposizione che si sarebbe tradotta sia in profili di insufficienza motivazionale sia in una indebita sovrapposizione tra azione revocatoria fondata sulla anormalità del mezzo di pagamento (art. 67, comma 1, n. 2, L.F.) e azione revocatoria relativa a pagamenti non anomali (art. 67, comma 2, L.F.)
La Corte di Cassazione ritiene di converso che il Giudice di secondo grado abbia esattamente ricostruito la fattispecie proprio valorizzando l’unitarietà della fattispecie e la natura trilaterale del rapporto tra Banca, Factor e Fornitore. Ne è conseguito il rigetto dell’impugnazione e la conferma dell’obbligo della Banca alla restituzione dell’importo delle rimesse ricevute.
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COMMENTO
La sentenza in esame si inserisce in un ricco formante giurisprudenziale relativo alla eventuale revocabilità delle cessioni di crediti di impresa che si inseriscono nel contratto di factoring, con i conseguenti portati problematici in tema di profili causali caratterizzanti tali cessioni.
La decisione pare in un certo senso prendere le mosse laddove si era arrestata la precedente sentenza n. 14260 del 20151 – peraltro emessa tra le stesse parti – anch’essa relativa a una fattispecie in cui il versamento del corrispettivo delle cessioni era avvenuto su un conto corrente scoperto intestato dal fornitore presso la Banca del Gruppo del Factor.
In questo precedente la Corte di Cassazione - condivisibilmente discostandosi dagli orientamenti tendenti a ridimensionare la portata della l. 52/1991 attraverso il riferimento alla persistente atipicità del contratto di factoring e alla possibile prevalenza, nei contratti socialmente tipici, della causa mandati2 - aveva confermato la sentenza della Corte di Appello di Roma la quale, pur non negando la necessità di scrutinare il concreto assetto causale degli intessi delle parti, aveva riscontrato l’effettività cessione dei crediti in favore del factor - a scopo di garanzia della restituzione delle anticipazioni corrisposte3 - secondo lo schema causale previsto dalla legge sulla cessione dei crediti di impresa4. L’inserimento della cessione del credito nello schema causale del rapporto di factoring portava necessariamente all’applicazione del principio, ormai consolidatosi nella giurisprudenza di legittimità, per cui la cessione del credito, quale negozio a causa variabile, da ricercarsi in concreto attraverso l’individuazione della reale finalità perseguita dalle parti, è assoggettabile a revocatoria quale mezzo anormale di pagamento ex art. 67, comma 1, n. 2, L.F. soltanto se compiuta in funzione solutoria, cioè per estinguere un debito scaduto ed esigibile, mentre se ne sottrae quando sia stata stipulata a scopo di garanzia per un credito creato contestualmente, dovendo peraltro intendersi la contestualità in senso non già cronologico, ma eminentemente sostanziale e causale5
1 Cass. civ., 8 luglio 2015, n. 14260, in Fall., 2016, 164 (con nota di XXXXXXX, L’inefficacia nei confronti del fallimento del cedente della cessione dei crediti d’impresa).
2 Per la prevalenza del profilo della causa mandati nel contratto di factoring così come riscontrabile nei suoi aspetti socialmente tipici v. in dottrina PICCININI, Qualificazione giuridica delle operazioni di factoring, funzione della cessione dei crediti e revocabilità dei pagamenti effettuati dai debitori ceduti al factor in caso di fallimento dell’impresa cedente, in Banca borsa tit. cred., 2008, II, 614 e, prima della
l. 52/1991, ALPA, Qualificazione dei contratti di leasing e di factoring e suoi effetti nei confronti della procedura fallimentare, in Dir. fall., 1989, I, 190; XXXXXXXX, Il factoring, in Riv. dir. comm., 1981, I, 317. In giurisprudenza, ex multis, App. Milano, 24 aprile 2007, in Banca borsa tit. cred., 2008, II, 610; App. Lecce, 17 settembre 2001, in Arch. Civ., 2002, 581; Trib. Genova, 10 agosto 2000, in Fall., 2001, 517; Trib. Vicenza, 10 settembre 1998, in Dir. fall., 1999, II, 237; Trib. Genova, 17 ottobre 1994, in Fall. 1995, 315; Trib. Genova, 17 luglio 1991, in Giur. comm., 1992, II, 279.
3 È infatti principio giurisprudenziale ormai acquisito che lo scopo di garanzia perseguito dalle parti non determina il venir meno degli effetti reali della cessione del credito: Cass. civ., 3 dicembre 2002, n. 17162, in Giust. civ. Mass., 2002, 2109; Cass. civ., 16 aprile 1999, n. 3797, in Giust. civ. Mass., 1999, 868; Cass. civ., 19 gennaio 1995, n. 575, in Fall., 1995, 838; Cass. civ., 5
novembre 1980, n. 5943, in Giust. civ. Mass., 1980, 11.
4 Nella prospettiva della l. 52/1991 non vi è dubbio che l’operazione di factoring si incentra sulla cessione dei crediti verso corrispettivo (XXXXXXX, Contratti moderni. Factoring, franchising e leasing, in Tratt. Dir. civ., diretto da XXXXX, Torino, 2004, 829), e ciò anche ritenendo la cessione in funzione di mera garanzia, e quindi la causa vendendi recessiva e strumentale rispetto a quella di finanziamento (CLARIZIA, Contratti di factoring, in I contratti del mercato finanziario (a cura di XXXXXXXXX-XXXXX), II, Torino, 1674). Per la valorizzazione della causa di scambio dell’operazione v. anche ALBANESE-ZEROLI, Leasing e factoring, Milano, 2011, 230 e già prima della introduzione della l. 52/1991, DE NOVA, Factoring, in Digesto disc. Priv. (Sez. comm.), V, Torino, 1990, 352 e ID., La nuova disciplina della cessione dei crediti (factoring), in Sviluppi e nuove prospettive della disciplina del leasing e del factoring, a cura di XXXXXX, Milano, 1988, 83.
Per il riconoscimento della effettività della cessione, orientamento che pare definitivamente consolidandosi anche rispetto al factoring diffuso nella prassi italiana, v. da ultimo anche Cass. civ., 2 ottobre 2015, n. 19176, in questo Osservatorio, n. 1/2017, 18 ss. e già Cass. civ., 15 febbraio 2013, n. 3829, in Giust. civ. Mass., 2013; Cass. civ., 28 febbraio 2008, n. 5302, in Foro pad.,
2008, 303; Cass. civ., 11 maggio 2007, n. 10833, in Foro it., 2008, I, 1220.
5 Cass. civ., 10 giugno 2011, n. 12736, in Giust. civ. Mass., 2011, 993; Cass civ., 29 luglio 2009, n. 17683, in Giust. civ. Mass.,
2009, 1244; Cass. civ., 22 gennaio 2009, n. 1617, in Giust. civ. Mass., 2009, 1, 100; Cass. civ., 19 ottobre 2007, n. 22014, in Giust.
civ. Mass., 2007, 10; Cass. civ., 6 dicembre 2006, n. 26154, in Giust. civ. Mass., 2006, 12; Cass. civ., 31 agosto 2005, n. 17590, in
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Ciò aveva dunque condotto la Corte a escludere che nel contratto di factoring così come venutosi a delineare nella sua tipicità sociale e secondo lo schema causale cui fa riferimento la l. 52/1991, la cessione dei crediti potesse essere soggetta a revocatoria in quanto pagamento anomalo, anche se effettuata nel periodo sospetto di cui all’art. 67, comma 1, n. 2, L.F.6
E’ proprio questo il principio quindi evocato dalla Banca ricorrente nella fattispecie in esame, laddove ha lamentato l’assenza di carattere solutorio delle cessioni di credito previste in favore del factor e, più in generale, l’indebita sovrapposizione, anche nella prospettiva della violazione del principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato di cui all’art. 112 c.p.c., tra la cessione dei crediti e le successive rimesse effettuate dal Factor alla banca.
Tuttavia, già nel predetto precedente n. 14260 del 2015, la Corte aveva specificato che sarebbe stato in astratto possibile contestare l’efficacia nei confronti della massa delle cessioni dimostrando come tutta l’operazione fosse stata architettata con lo scopo di far perseguire alla Banca il pagamento dei propri preesistenti crediti scaduti relativi allo scoperto di conto corrente, circostanza tuttavia, in quel caso, non dimostrata né dimostrabile, poiché il Curatore non aveva formulato espressa domanda, né aveva evocato la Banca in giudizio.
Ciò è invece avvenuto nella fattispecie di cui alla decisione oggetto di commento7, laddove il Curatore aveva sin da subito evocato in giudizio anche la Banca e aveva formulato (almeno a quanto ritiene la Corte nel rigettare le censure sul punto della ricorrente) le proprie richieste sia ai sensi del primo comma, sia ai sensi del secondo comma dell’art. 67, L.F.8
Pertanto, lungi dal ritenere un profilo di censurabilità della decisione di merito, la Corte di Cassazione ha a tutti gli effetti condiviso la natura trilaterale e unitaria del rapporto, nell’ambito del quale la causa in concreto della cessione non viene più associata alla garanzia della restituzione del finanziamento concesso con il factoring, ma bensì alla estinzione – quindi in funzione solutoria – del precedente scoperto di conto corrente.
La decisione, sotto questo profilo, appare coerente con l’orientamento della Corte di Cassazione, sia nella misura in cui va, come visto, a integrarsi con la vicenda già oggetto di un precedente di legittimità intervenuto tra le medesime parti, sia in quanto coerente con l’ormai costante valorizzazione dei profili causali emergenti dalla funzione economico-sociale individuale della fattispecie, secondo l’insegnamento costante tanto generale9 quanto riferito alla qualificazione dei rapporti di factoring10.
La lettura della motivazione può cionondimeno lasciare qualche possibile insoddisfazione, poiché la sua sinteticità non consente di apprezzare alcuni aspetti della fattispecie concreta che potrebbero avere un loro rilievo, anche in relazione alla applicabilità del principio espresso dalla Cassazione a ulteriori fattispecie concrete.
In particolare, non è chiaro – come sopra preannunciato – se la rimessa delle somme versate dal debitore ceduto sul conto corrente presso la Banca sia avvenuta sulla base di un patto documentalmente o almeno cronologicamente contestuale alla cessione dei credito ovvero sulla base di indicazioni successive da parte del fornitore, né se le rimesse effettuate dal factor fossero anticipazioni finanziarie ovvero siano state effettuate solo dopo il pagamento del debitore ceduto.
Fall., 2006, 538; Cass. civ., 23 aprile 2002, n. 5917, in Giust. civ., 2003, I, 461; Cass. civ., 5 luglio 1997, n. 6047, in Fall., 1997,
1220.
6 Cass. civ., 8 luglio 2015, n. 14260, cit.; Cass. civ., 11 novembre 2013, n. 25284, in Guida al dir., 2013, 48, 67 (obiter dictum); App. Napoli, 4 gennaio 2017, in questo Osservatorio, n. 2/2017, 22 ss.
7 Trattandosi di controversia tra le stesse parti (pur se relativa a un diverso debitore ceduto), è da presumersi che le differenze tra i due procedimenti dipendano essenzialmente da diverse strategie processuali.
8 Ai sensi dell’art. 67, comma 1, L.F., “Sono revocati, salvo che l’altra parte provi che non conosceva lo stato di insolvenza del debitore: […]
2) gli atti estintivi di debiti pecuniari scaduti ed esigibili non effettuati con denaro o con altri mezzi normali di pagamento, se compiuti nell’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento” (termine di due anni per le fattispecie regolate dalla normativa previgente rispetto al D.l. 35/2005); ai sensi dell’art. 67, comma 2, L.F., “Sono altresì revocati, se il curatore prova che l’altra parte conosceva lo stato di insolvenza del debitore, i pagamenti di debiti liquidi ed esigibili […] se compiuti entro sei mesi anteriori alla dichiarazione di fallimento” (termine di un anno per le fattispecie regolate dalla normativa previgente rispetto al D.l. 35/2005).
9 Cfr. ex multis, Cass. civ., 28 marzo 2017, n. 7927, in Giust. civ. Mass., 2017; Cass. civ., 17 gennaio 2017, n. 921, in Guida al dir., 2017, 12, 90; Cass. Civ., 2 dicembre 2014, in Diritto&Giustizia, 2014.
10 Cfr. ex plurimis Cass. civ., 15 febbraio 2013, n. 3829, in Giust. civ. Mass., 2013; Cass. civ., 7 marzo 2008, n. 6192, in Giust. civ.
Mass., 2008, 377; Cass. civ., 27 agosto 2004, n. 17116, in Giust. civ. Mass., 2004.
Osservatorio della giurisprudenza in materia di factoring N. 3 / 2017
Potrebbe infatti ritenersi che, qualora il versamento delle anticipazioni (o dei corrispettivi) fosse avvenuto contestualmente alla cessione dei crediti, a sua volta ravvicinata alla stessa instaurazione del rapporto di factoring
- e su un conto corrente non affidato sulla base di indicazioni contestuali alla cessione - sarebbe condivisibile ravvisare una declinazione concreta anomala sotto il profilo causale del contratto di factoring, in quanto sostanzialmente volto a estinguere un precedente debito del fornitore nei confronti di una società dello stesso Gruppo del Factor, con conseguente revocabilità della cessione ai sensi dell’art. 67, comma 1, n. 2, L.F. Qualora tuttavia la cessione si fosse inserita in un rapporto di factoring consolidatosi nel corso del tempo e l’accreditamento delle anticipazioni sul conto corrente fosse dipeso da una indicazione successiva del Fornitore, la funzione della cessione avrebbe potuto verosimilmente collegarsi all’assetto causale del contratto di factoring e alla funzione di garanzia della restituzione dell’anticipazione (in ipotesi autonomamente utilizzata dal fornitore per ridurre l’esposizione creditoria presso gli Istituti di credito). In quest’ultimo caso l’azione revocatoria dovrebbe invece ritenersi ammissibile solo se indirizzata nei confronti della banca destinataria della rimessa, ed essere esercitata nei limiti dei tempi e dei presupposti oggi previsti dall’art. 67, comma, 2, L.F.11
Avv. Xxxxxxx Xx Xxxx
xxxxxxx.xxxxxx@xxxxxxxxxxxx.xx
11 Il periodo sospetto è quindi di sei mesi dalla dichiarazione del fallimento, fermo restando che ai sensi del terzo comma del medesimo art. 67 L.F., “non sono soggetti all’azione revocatoria: […] b) le rimesse effettuate su un conto corrente bancario purché non abbiano ridotto in maniera consistente e durevole l’esposizione debitoria del fallito nei confronti della banca”.
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2.
Corte di Cassazione, sez. III civ., 3 agosto 2017, n. 19341
Contratto di factoring – Cessione di crediti futuri – Effetto traslativo differito.
(Codice Civile, art. 1264; L. 21 febbraio 1991, n. 52, art. 3)
Nella cessione di credito futuro l’effetto traslativo si verifica soltanto nel momento in cui il credito viene ad esistenza, e non anteriormente (quando cioè il cedente e il cessionario stipulano il contratto di factoring).
Contratto di factoring – Cessione di crediti futuri – Notifica della cessione – Eccezioni opponibili al cessionario – Compensazione – Opponibilità al cessionario.
(Codice Civile, artt. 1264 e 1248; L. 21 febbraio 1991, n. 52)
L’art. 1248, comma 2, c.c. mira soltanto ad impedire la opponibilità della compensazione con i crediti sorti (a favore del debitore ceduto e nei confronti del cedente) posteriormente alla notificazione della cessione non accettata.
* * *
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Xxxx. XXXXXXXX Xxxxx Xxxxxxxxxx - Presidente -
Xxxx. XXXXXXX Xxxxxx - Consigliere -
Dott. DE XXXXXXX Xxxxxx - Consigliere -
Xxxx. XXXXXXXX Xxxxxx - rel. Consigliere -
Xxxx. XXXXXXXXX Xxxx - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 27733-2015 proposto da:
[Factor] in persona del Consigliere Delegato Dott. [omissis], elettivamente domiciliata in [omissis], presso lo studio dell’avvocato [omissis], che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati [omissis] giusta procura speciale in calce al ricorso;
- ricorrente -
contro
[Xxxxxxxx ceduto], in persona del legale rappresentante pro tempore [omissis], elettivamente domiciliata in [omissis], presso lo studio dell’avvocato [omissis], che la rappresenta e difende giusta procura speciale in calce al controricorso;
- controricorrente - avverso la sentenza n. 1907/2015 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 04/05/2015; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 27/04/2017 dal Consigliere Dott. [omissis]; udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. [omissis], che ha concluso per il rigetto; udito l’Avvocato [omissis];
udito l’Avvocato [omissis] per delega.
Fatto
1. Con atto di citazione notificato il 2 dicembre 2004 [Xxxxxxxx ceduto] conveniva davanti al Tribunale di Milano [Factor] per la domanda di accertamento negativo di un suo asserito debito verso di essa, consistente in un credito di [Cedente] di cui alla fattura n. 206 del 1 giugno 2004 emessa nei confronti di
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[Xxxxxxxx ceduto] e che [Xxxxxxx], nell’ambito di un suo rapporto di factoring ai sensi della L. 21 febbraio 991,
n. 52 con [Factor], aveva ceduto a quest’ultima; la comunicazione della cessione era stata ricevuta dall’attrice l’8 giugno 2004. Nel suddetto rapporto di factoring [Xxxxxxx] aveva ceduto alla [Factor] i propri crediti futuri nei confronti di [Xxxxxxxx ceduto] che sarebbero sorti nei ventiquattro mesi successivi alla stipulazione del factoring; tale cessione di crediti futuri era stata notificata a [Xxxxxxxx ceduto] in data 2 gennaio 2004. Dopo avere ricevuto l’8 giugno 2004 la comunicazione dell’emissione della fattura n. 206 del 1 giugno 2004, [Xxxxxxxx ceduto] aveva opposto in compensazione alla cessionaria [Factor] un proprio credito nei confronti della cedente [Xxxxxxx], insorto nel marzo-aprile 2004. In riferimento a questa vicenda aveva quindi proposto la sua domanda di accertamento negativo.
Si costituiva [Factor] chiedendo, in via riconvenzionale, la condanna dell’attrice a pagarle l’importo della fattura in questione, cioè Euro 46.342,33, oltre agli interessi.
Con sentenza del 4 maggio 2010 il Tribunale accoglieva la domanda attorea, dichiarando estinto per compensazione e quindi inesistente il credito de quo, e in motivazione osservando che nella cessione di crediti futuri l’effetto traslativo si verifica quando il credito viene ad esistere e non invece anteriormente, quando cioè il cedente e il cessionario stipulano il contratto di factoring.
Avendo proposto appello principale [Factor] e appello incidentale [Xxxxxxxx ceduto], la Corte d’appello di Milano, con sentenza del 18 marzo-4 maggio 2015 ha rigettato entrambi i gravami.
2. Ha presentato ricorso [Factor] sulla base di unico motivo, chiedendo anche decisione nel merito e depositando pure memoria ex art. 378 c.p.c. Si difende con controricorso [Xxxxxxxx ceduto].
Diritto
RAGIONI DELLA DECISIONE
3. Il ricorso è infondato.
3.1 L’unico motivo denuncia violazione o falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, dell’art. 1248 c.c., anche in relazione alla L. n. 52 del 1991, adducendo che i giudici di merito avrebbero errato nel ritenere non applicabile al caso di specie l’art. 1248 c.c., comma 2. Questa norma, ad avviso della ricorrente, “esprime un principio di carattere generale, di salvaguardia dei diritti del cessionario rispetto ad atti che il debitore ceduto compia dopo aver avuto piena conoscenza dell’avvenuta cessione e quindi nella consapevolezza del quadro giuridico, inclusa la non compensabilità di eventuali controcrediti nei confronti del cedente sorti dopo detta conoscenza”. Ciò sarebbe confermato dalla giurisprudenza di questa Suprema Corte, la quale ammetterebbe che nel contratto di factoring la cessione possa riguardare crediti futuri, ritenendo peraltro che dal momento in cui la cessione è notificata al debitore l’art. 1248 c.c., comma 2, realizzerebbe una sorta di effetto di blocco, impedendo la compensazione con i crediti sorti posteriormente. D’altronde il criterio ispiratore consisterebbe nell’evitare che eventuali accordi tra cedente e ceduto avvengano in danno del cessionario, rendendo il factoring un negozio aleatorio. E dunque dovrebbe ritenersi che il ceduto può opporre al cessionario sia le eccezioni attinenti alla validità del titolo costitutivo, sia le eccezioni relative ai fatti modificativi ed estintivi, purché anteriori all’accettazione della cessione o alla sua notifica o alla sua conoscenza del fatto. Ergo, “ciò che conta è esclusivamente il momento in cui il ceduto ha avuto conoscenza dell’avvenuta cessione del credito, sia pure avente efficacia obbligatoria (come nel caso di crediti futuri oggetto di un contratto di factoring): dopo tale momento, la compensazione con controcrediti del debitore ceduto non potrà più avere luogo” (ricorso, pagina 13). Nei due commi dell’art. 1248 c.c. sarebbero previste “due fattispecie alternative, nelle quali sorge l’esigenza di protezione del cessionario e la conseguente inopponibilità della compensazione”: la prima riguarda l’accettazione della cessione senza riserve da parte del ceduto, quale ipotesi di sostanziale rinuncia ad opporre compensazione se ne sussistono i presupposti, e ciò indistintamente per i controcrediti preesistenti e per quelli successivi; la seconda riguarda l’avvenuta notificazione al debitore ceduto – cui viene equiparata la sua conoscenza aliunde acquisita - del trasferimento della titolarità dell’obbligazione, il che “esclude la compensazione solo per i controcrediti sorti successivamente a detta conoscenza”. Non rileverebbe, invece, come erroneamente ritenuto dai giudici di merito, l’“elemento temporale dell’insorgenza dei crediti”, perché la norma ha “la funzione di definire una regola a tutela del cessionario”.
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3.2 Il ricorso impernia quindi la propria interpretazione dell’art. 1248 c.c. nel senso di ritenerlo una norma, per così dire, “asservita” esclusivamente all’interesse del cessionario. L’accordo tra cedente e cessionario, nell’ottica del ricorrente, vincola un soggetto terzo all’accordo, cioè il ceduto, in palese contrasto con il principio fondamentale, ontologicamente giustificativo dell’esercizio dell’autonomia negoziale, dell’art. 1372 c.c., per cui il contratto ha forza di legge (solo) tra le parti. Invece, nell’ottica della ricorrente, la stipulazione di un negozio bilaterale al quale un futuro debitore non partecipa è sufficiente per privarlo del mezzo compensativo per estinguere il suo futuro debito che derivi dai propri rapporti con il suo futuro creditore: e quindi, anche se quest’ultimo nel tempo intercorrente prima della maturazione del proprio credito nei confronti del soggetto estraneo al contratto de quo si indebita con lui, la compensazione è ostracizzata in modo assoluto.
Peraltro, il dettato dell’art. 1248 c.c., che regola i confini della compensazione, non avvalora l’impostazione della ricorrente. Il primo comma concerne effettivamente una rinuncia alla compensazione da parte del debitore ceduto, in forza peraltro non del fatto stesso della cessione, bensì del riversamento in questa anche della sua volontà, mediante una “accettazione”. Atto, quindi, dispositivo, riconducibile in modo del tutto coerente all’autonomia negoziale. Ma, nel caso di specie, l’accettazione non c’è stata, e ciò è pacifico.
Vale allora il comma 2, che è norma concisa e chiara: “La cessione non accettata dal debitore, ma a questo notificata, impedisce la compensazione dei crediti sorti posteriormente alla notificazione”. La “cessione” è - si noti bene - quella indicata nel primo comma, ovvero “la cessione che il creditore ha fatta delle sue ragioni a un terzo”. L’articolo, quindi, si riferisce a un “creditore” e non a un “futuro creditore”. È questa la correzione aggiuntiva che la ricorrente adduce e che la norma non contiene. E non si vede alcun fondamento in una simile, più che estensiva, appunto correttiva lettura, giacché non solo, come sopra si è già rilevato, contrasta con il principio che delimita gli effetti di un contratto vincolando a tali effetti un terzo, ma confligge altresì con l’istituto della compensazione nella sua complessiva natura. La compensazione infatti, quale istituto ontologicamente paritario, opera in una situazione attuale e giunta a perfezione, nulla avendo a che fare con aspettative di crediti: è prevista dal legislatore come uno dei modi di estinzione diversi dall’adempimento di obbligazioni già esistenti. Una incidenza di quel che ancora non è in essere non è sintonica con una siffatta configurazione di realtà giuridica piena ed attuale. La sua introduzione, invero, significherebbe alterare l’equilibrio del governo dei contrapposti interessi che il legislatore ha disegnato, in quanto, mentre il cedente potrà comunque, se ritiene, avvalersi della compensazione opponendo propri crediti - ulteriori ovviamente rispetto a quelli che ha prognosticamente ceduto al cessionario - a quelli del ceduto, quest’ultimo non potrà più avvalersi in nessun modo della compensazione fino a che non ha estinto il credito ceduto, neppure - come avverrebbe nel caso di specie
- mediante controcrediti ben anteriori all’insorgenza del credito ceduto stesso. Non si ravvisa, dunque, alcun motivo per “integrare” l’art. 1248 c.c. laddove fa riferimento al “creditore”, rendendo sufficiente una posizione ancora prognostica e incompleta, di creditore futuro, non potendosi ritenere una simile correzione della lettera come estrazione della ratio effettiva della norma. Gli argomenti al riguardo dispiegati dalla ricorrente sono, in ultima analisi, manifestazione del proprio interesse piuttosto che esplicazione di una corretta analisi ermeneutica.
3.3 Xxx ha compreso il thema decidendum il giudice d’appello, affermando che l’art. 1248 x.x., xxxxx 0 xxxx soltanto ad “impedire la opponibilità della compensazione con i crediti sorti (a favore del debitore ceduto e nei confronti del cedente) posteriormente alla notificazione della cessione non accettata”, condividendo con il giudice di prime cure che l’effetto traslativo nella cessione dei crediti futuri si compie nel momento in cui vengono ad esistenza e non anteriormente.
Peraltro, come osservano i giudici di merito, l’insegnamento nomofilattico è consolidato nel senso di collocare l’effetto traslativo del credito futuro ceduto solo al momento in cui questo insorge: e ciò è stato dapprima affermato per il generale istituto della cessione del credito di cui agli artt. 1260 c.c. e ss. (v. x.xx. Cass. sez. 1, 17 marzo 1995 n. 3099, Cass. sez. 3, 19 giugno 2001 n. 8333 e Cass. sez. 3, 28 gennaio 2002
n. 979), per poi estenderlo al contratto di factoring, nel quale è stata ravvisata, anche dopo l’entrata in vigore della L. 21 febbraio 1991, n. 52, una convenzione atipica la cui disciplina integrativa dell’autonomia negoziale permane negli artt. 1260 c.c. e ss. (in tal senso Cass. sez. 3, 2 febbraio 2001 n. 1510; Cass. sez. 3, 8 febbraio 2007 n. 2746; Cass. sez. 3, 11 maggio 2007 n. 10833; Cass. sez. 1, 7 marzo 2008 n. 6192;
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Cass. sez. 3, 6 luglio 2009 n. 15797; Cass. sez. 3, 31 ottobre 2014 n. 23175): orientamento, questo, che non vi è alcuna ragione per non condividere.
In conclusione, il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna della ricorrente alla rifusione a controparte delle spese processuali, liquidate come da dispositivo. Sussistono D.P.R. 30 maggio 2002,
n. 115, ex art. 13, comma 1 quater i presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
PQM
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a rifondere a controparte le spese processuali, liquidate in un totale di Euro 10.000, oltre a Euro 200 per esborsi e agli accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente principale, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, il 27 aprile 2017. Depositato in Cancelleria il 3 agosto 2017
* * *
IL CASO
Nel quadro di un rapporto di factoring, il Cedente cede al Factor i crediti futuri che sarebbero sorti nei successivi 24 mesi. In data 2 gennaio 2004, tale cessione viene notificata al Debitore, senza che però quest’ultimo accetti la cessione stessa. Quindi, l’8 giugno 2004 viene comunicata al Debitore l’emissione di una fattura datata 1 giugno 2004.
Il Debitore, tuttavia, oppone in compensazione al Factor un proprio credito nei confronti del Xxxxxxx, sorto nel marzo- aprile 2004, dunque successivamente alla avvenuta notifica della cessione.
Il Debitore quindi adisce il Tribunale di Milano chiedendo l’accertamento negativo del suo asserito debito nei confronti del Factor per intercorsa compensazione. Il giudice di primo grado accoglie la domanda, dichiarando estinto il debito per compensazione e dunque inesistente il credito oggetto di trasferimento, osservando come nella cessione di crediti futuri l’effetto traslativo si verifichi quando il credito viene ad esistere e non anteriormente, quando cioè il cedente ed il cessionario stipulano il contratto di factor.
La Corte d’Appello di Milano conferma la sentenza di primo grado.
Il Factor promuove quindi ricorso in cassazione per la riforma della sentenza di secondo grado. Anche la Suprema Corte conferma la decisione del tribunale: dal momento che il debitore ceduto non ha accettato la cessione, troverà applicazione il comma 2 dell’art. 1248 c.c., a norma del quale “La cessione non accettata dal debitore, ma a questo notificata, impedisce la compensazione dei crediti sorti posteriormente alla notificazione”.
La norma – nota la Corte – si riferisce alla cessione posta in essere da un “creditore” e non, come invece vorrebbe sostenere il ricorrente, un “futuro creditore”. Affinché operi l’art. 1248 c.c., in altri termini, i giudici ritengono sia necessaria la presenza di una situazione attuale e giunta a perfezione, non essendo invece sufficiente la mera aspettativa di crediti che caratterizza la cessione di crediti futuri. In caso contrario, il debitore ceduto si vedrebbe preclusa la possibilità di portare in compensazione controcrediti ben anteriori all’insorgenza del credito ceduto che – in linea con il consolidato orientamento giurisprudenziale – segna il perfezionarsi dell’effetto traslativo del credito stesso.
Nel rigettare il ricorso, la Suprema Corte conclude osservando che l’art. 1248, comma 2, c.c. mira soltanto ad impedire la opponibilità della compensazione con i crediti sorti posteriormente alla notificazione della cessione non accettata, senza che possa avere rilievo in tale quadro la posizione ancora prognostica e incompleta che caratterizza la posizione del creditore futuro.
Osservatorio della giurisprudenza in materia di factoring N. 3 / 2017
Tribunale di Roma, sez. VIII civ., 27 maggio 2017, n. 10734
Contratto di factoring – Cessione di crediti futuri – Effetto traslativo differito – Notificazione o accettazione del cessionario – Opponibilità al cessionario.
(Codice Civile, art. 1264; L. 21 febbraio 1991, n. 52, art. 3)
Nella cessione di credito futuro l’effetto traslativo si verifica soltanto nel momento in cui il credito viene ad esistenza; tuttavia, data la natura consensuale del contratto di cessione di credito, questo si perfeziona per effetto del solo consenso dei contraenti, cedente e cessionario, ed è opponibile al ceduto nel momento in cui la cessione gli viene notificata o è da questi accettata.
Contratto di factoring – Eccezioni opponibili al cessionario – Compensazione – Accettazione pura e semplice – Inopponibilità al cessionario.
(Codice Civile, artt. 1264 e 1248; L. 21 febbraio 1991, n. 52)
A seguito della cessione del credito, il cessionario diviene nuovo titolare del credito ed il ceduto sarà obbligato nei confronti del cessionario così come era obbligato nei confronti del cedente e dunque potrà opporre al cessionario tutte le eccezioni che avrebbe potuto opporre al cedente, ed in particolare: le eccezioni relative a fatti modificativi o estintivi del credito anteriori al trasferimento di quest’ultimo ovvero anche successivi a detto trasferimento, ma comunque anteriori alla notificazione, all’accettazione o alla conoscenza dell’avvenuta cessione. Ne deriva che gli unici crediti verso il cedente che risultano essere inopponibili al cessionario sono quelli anteriori all’accettazione pura e semplice, e quelli posteriori alla notificazione della cessione, mentre risultano opponibili quelli successivi alla cessione (non accettata), ma anteriori alla notificazione della cessione.
* * * REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI ROMA OTTAVA SEZIONE CIVILE
Il Tribunale, nella persona del Giudice Dott.ssa Xxxxxxxxx Xx Xxxxxx ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 60858/2011 promossa da:
[Debitore ceduto], con il patrocinio dell’avv. [omissis], elettivamente domiciliato in [omissis]
contro
[Factor], con il patrocinio dell’Avv. [omissis], elettivamente domiciliato in [omissis]
- ATTORE -
- CONVENUTO -
Concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione
Con atto di citazione ritualmente notificato [Xxxxxxxx ceduto] si opponeva al decreto ingiuntivo notificatole da [Factor], cessionaria del credito vantato dal fornitore [Creditore], deducendo che il medesimo non era esigibile, in quanto il contratto sottoscritto con quest’ultima, subordinava i pagamenti delle forniture, alla dimostrazione del “regolare pagamento dei contributi e degli oneri previdenziali di tutto il personale dipendente”.
L’opponete, inoltre, eccepiva in compensazione alla somma ingiunta una serie di crediti maturati nei confronti del cedente.
Osservatorio della giurisprudenza in materia di factoring N. 3 / 2017
La convenuta si costituiva e chiedeva il rigetto della domanda.
Il g.i. all’esito della scadenza dei termini per il deposito delle memorie istruttorie, fissava per la precisazione delle conclusioni l’udienza del 21.2.2017, dove la causa veniva riservata in decisione.
L’opposizione deve essere rigettata.
Essenziale ai fini del decidere è accertare se il documento depositato dalla parte convenuta datato 10.1.2008, - data certa in ragione del timbro postale 10.1.2008 apposto sul retro -, con il quale si comunicava a “[Xxxxxxxx ceduto]” la cessione dei crediti del fornitore “[Creditore]” “… rappresentati la fattura
n. 309/07 del 30.9.2007 di euro 106.074, 76 e seguenti “sottoscritto dall’opponente che dichiarava ” … vi confermiamo di accettarla”, costituisca accettazione anche della cessione dei crediti oggetto dell’ingiunzione per cui è causa , maturati successivamente alla citata fattura.
Xxxxxx, giova premettere che ex art. 1264 cc, l’accettazione della cessione da parte del debitore ceduto - cui fa espresso riferimento la disposizione in commento - non incidono sul profilo del trasferimento del diritto di credito, ma solo ed esclusivamente sul diverso piano dell’efficacia della cessione nei confronti del debitore, rilevante ai fini del decidere in merito all’eccezione di compensazione sollevata dalla parte convenuta.
Il tenore letterale del documento dimostra incontrovertibilmente che l’opponente, con la sottoscrizione del medesimo, ha accettato la cessione da parte del proprio fornitore “[Creditore]”, dei crediti futuri, ossia quelli maturati nei suoi confronti successivamente alla fattura n. 309/07 del 30.9.2007.
Peraltro, l’accettazione della cessione del credito agli effetti dell’art. 1264 cc, è un atto a forma libera che può risolversi anche in un comportamento concludente ed univoco, dovendosi escludere che l’art.1248, primo comma, in tema di inopponibilità della compensazione al cessionario, richieda una “accettazione espressa”(Cass.10335/14); l’effettiva accettazione da parte dell’opponente in data 10.1.2008 della cessione di tutti i crediti maturati successivamente al 30.9.2007 nei confronti dei [Creditore], trova ulteriore conferma dalla stessa prospettazione difensiva di xxxxxx, che davanti al Tribunale di Tivoli, nell’opporre il decreto ingiuntivo emesso a favore del Fallimento [Creditore] per le medesime fatture ingiunte con il decreto opposto in questo giudizio, eccepiva l’intervenuta cessione del credito (tanto che il Tribunale di Tivoli revocava l’ingiunzione, vedi sentenza in atti), precisando: “…all’epoca del deposito del ricorso per ingiunzione (21.7.2009, doc.- 15 ) il credito era stato già da tempo ceduto … in favore di [Factor]….cessione …formalmente notificata dalla [Factor] ad [Xxxxxxxx ceduto] 20 luglio 2009”.
“La cessione …formalmente notificata dalla [Factor] ad [Xxxxxxxx ceduto] il 20 luglio 2009”, invocata dall’attrice come momento di effettiva conoscenza della cessione, costituisce, invece, la formalizzazione della già accettata cessione dei crediti del 10.1.2008, che per essere relativa a crediti futuri, ossia scadenti successivamente al 30.9.2007, non poteva analiticamente indicarli, come preteso dall’opponente che eccepisce “dalla lettura della predetta comunicazione del 10 gennaio 2008… l’asserito diritto di credito futuro non è determinato né tantomeno determinabile”. Se è vero che nella cessione di credito futuro l’effetto traslativo si verifica soltanto nel momento in cui il credito viene ad esistenza, tuttavia, data la natura consensuale del contratto di cessione di credito, questo si perfeziona per effetto del solo consenso dei contraenti, cedente e cessionario, ed è opponibile al ceduto nel momento in cui la cessione gli viene notificata o è da questi accettata. Diversamente opinando, ove si ritenesse che soltanto la notifica delle singole cessioni sia rilevante ai fini della loro opponibilità al debitore ceduto, l’istituto della cessione di credito verrebbe ad essere privato di ogni utilità pratica soprattutto con riguardo ai contratti di factoring, nei quali il numero delle cessioni effettuate - anche per piccoli importi - è di regola molto elevato, ed in relazione all’esigenza di snellezza e speditezza dei relativi rapporti giuridici. Orbene, a seguito della cessione del credito, il cessionario diviene nuovo titolare del credito ed il ceduto sarà obbligato nei confronti del cessionario così come era obbligato nei confronti del cedente e dunque potrà opporre al cessionario tutte le eccezioni che avrebbe potuto opporre al cedente, ed in particolare: le eccezioni relative a fatti modificativi o estintivi del credito anteriori al trasferimento di quest’ultimo ovvero anche successivi a detto trasferimento, ma comunque anteriori alla notificazione, all’accettazione o alla conoscenza dell’avvenuta cessione. In particolare ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 1248 cc l’avvenuta cessione non preclude la possibilità del ceduto di opporre in compensazione al cessionario il credito vantato nei confronti del cedente, sempreché quest’ultimo credito sia anteriore alla notificazione della cessione. In altre parole, gli unici crediti verso il cedente che risultano essere inopponibili al cessionario sono quelli
Osservatorio della giurisprudenza in materia di factoring N. 3 / 2017
anteriori all’accettazione pura e semplice, come quella in esame e quelli posteriori alla notificazione della cessione, mentre risultano opponibili quelli successivi alla cessione (non accettata), ma anteriori alla notificazione di quest’ultima. Nel caso di specie, per quanto detto l’opponente non può opporre in compensazione i crediti vantati nei confronti del cedente maturati successivamente all’10.1.2008, ovvero: quello di 85.990,55 euro, compresa la somma di euro 26.000,00, quale anticipo da parte di [Xxxxxxxx ceduto] ai dipendenti di [Creditore], laddove “[Xxxxxxxx ceduto] ha documentalmente provato come i dipendenti di [Creditore] avanzarono pretese economiche verso l’odierna esponente già dal gennaio/marzo 2009”. Analoga conclusione per i crediti che l’attrice, deduce maturati “… tra giugno e dicembre 2008, a causa di taluni disservizi, mai contestati, [Xxxxxxxx ceduto] ha emesso nei confronti di [Creditore] le fatture n. 610/2008, 796/2008 e 1134/2008, per complessivi Euro 5.360,00 non saldate (cfr. All. n. 9)”. Giova a tale proposito osservare, per costante giurisprudenza che “Il committente, cui il cessionario del credito dell’appaltatore chieda il pagamento dopo che la cessione gli sia stata portata a conoscenza, non può sottrarsi al pagamento, eccependo che, successivamente alla comunicazione della cessione, i dipendenti dell’appaltatore hanno avanzato domanda ex art. 1676 cod. civ.” (Cass.11074/03); neppure possono essere compensati i crediti scaduti “tra ottobre e dicembre 2008, (quando) [Xxxxxxxx ceduto] ha acquistato per conto di [Creditore], ai sensi dell’art. 3.2 del contratto di appalto, materiale e attrezzature necessarie alla esecuzione del servizio, emettendo nei confronti di [Creditore] le fatture n. 882/2008 e 1094/2008, per complessivi Euro 2.481,92, non saldate (cfr. All. n 10)”.
Ed ancora , per i medesimi motivi , non possono essere compensati i crediti maturati,” tra dicembre 2008 e gennaio 2009, (laddove) [Creditore] ebbero ad adottare due note di credito per complessivi Euro 14.330,01 (cfr. paragrafo D atto di citazione, All. n. 11); analoga conclusione per il credito di cui al settembre 2008, quando “ [Xxxxxxxx ceduto] ha effettuato opere edili presso la struttura sanitaria dalla stessa gestita dirette alla predisposizione dei locali all’interno dei quali il personale di [Creditore] avrebbe effettuato le operazioni di sporzionamento degli alimenti ed il cui costo avrebbe dovuto essere sopportato dall’appaltatrice. Per l’esecuzione dei citati lavori [Xxxxxxxx ceduto] ha versato la somma complessiva di Euro 11.400,00, mai restituita dall’appaltatrice (cfr. All. n. 12 atto di citazione). Infine, non può essere compensato neppure il credito maturato dall’opponente in data 1 dicembre 2008, quando “un dipendente di [Creditore], alla guida di un camion, ha urtato una pensilina di cemento all’interno del complesso di proprietà di [Xxxxxxxx ceduto], provocando danni per complessivi Euro 1.440,00 (cfr. All. n. 13 atto di citazione).
Da quanto premesso si evince come sia del tutto irrilevante ai fini del decidere chiamare in giudizio il Fallimento dei [Creditore], tenuto anche conto che il Tribunale di Tivoli ha revocato il decreto ingiuntivo emesso a favore del medesimo e contro l’odierna attrice, per il pagamento delle medesime fatture oggetto di questo giudizio, per essere stato ceduto il credito all’odierna opposta e dunque anche gli interessi di mora devono essere corrisposti, essendo irrilevante a tal fine la pendenza del giudizio dinanzi al Tribunale di Tivoli.
Neppure può essere condivisa l’eccezione dell’opponente circa l’indebita locupletazione dell’opposta, per essere stata ammessa al passivo del Fallimento per le anticipazioni erogate alla cedente, per essere siffatti crediti del tutto diversi da quello azionati, peraltro riferiti ad un rapporto giuridico di cui [Xxxxxxxx ceduto] non è parte, mentre è costei ad essere stata ammessa al passivo del fallimento, per i crediti che eccepisce in compensazione in questo giudizio (vedi documentazione in atti).
Per tali ragioni l’opposizione deve essere rigettata.
Le spese seguono il criterio della soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.
PQM
Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni altra istanza disattesa o assorbita, così dispone:
- rigetta l’opposizione;
- condanna l’opponente a rimborsare all’opposta le spese del giudizio che liquida in 21.387 euro, oltre accessori di legge
Roma, 19 maggio 2017
Il Giudice
Dott.ssa Xxxxxxxxx Xx Xxxxxx
* * *
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IL CASO
La pronuncia in commento ha ad oggetto un’opposizione a decreto ingiuntivo promossa da un debitore nei confronti di un
factor in relazione a una fattispecie di cessione in massa di crediti futuri.
In caso di cessione di crediti futuri, il contratto di cessione si perfeziona tra le parti per effetto del consenso dei contraenti, mentre l’effetto traslativo della cessione si verifica soltanto nel momento in cui il credito viene ad esistenza. Xxxxxxxxx, nei confronti del debitore ceduto la cessione è opponibile nel momento in cui gli viene notificata o è da questi accettata.
Nel caso in oggetto, il debitore, in data 10 gennaio 2008, sottoscrive un documento con il quale dichiara al factor – tra l’altro – di accettare la cessione dei crediti indicati nella fattura n. 309/07 del 30 settembre 2007 “e seguenti”.
Il giudice è preliminarmente chiamato ad accertare se tale documento costituisca accettazione anche della cessione dei crediti maturati successivamente al 30 settembre 2007, risolvendo in modo affermativo il quesito: l’accettazione della cessione del credito si considera un atto a forma libera, che può risolversi anche in un comportamento concludente ed univoco, come nel caso di specie.
Essendo quindi accertato che il debitore ha accettato puramente e semplicemente la cessione dei crediti, il giudice conclude per l’opponibilità della cessione nei confronti del debitore stesso, senza necessità di notificare le singole cessioni a mano a mano che i crediti futuri nascano.
Il debitore, poi, eccepisce in compensazione alla somma ingiunta alcuni crediti maturati nei confronti del cedente. Il Tribunale di Roma si trova così ad affrontare il tema delle eccezioni opponibili da parte del debitore ceduto, e, ponendosi in linea con il consolidato orientamento giurisprudenziale, statuisce che il cessionario diviene nuovo titolare del credito ed il debitore sarà obbligato nei confronti del cessionario così come era obbligato nei confronti del cedente e dunque potrà opporre al cessionario tutte le eccezioni che avrebbe potuto opporre al cedente, ed in particolare: le eccezioni relative a fatti modificativi o estintivi del credito anteriori al trasferimento ovvero anche successivi a detto trasferimento, ma comunque anteriori alla notificazione, all’accettazione o alla conoscenza dell’avvenuta cessione. Ne deriva pertanto che il debitore non può opporre in compensazione al cessionario crediti sorti successivamente all’accettazione della cessione da parte del debitore stesso.
COMMENTO
Le pronunce in commento - Corte di Cassazione, sez. III civ., 3 agosto 2017, n. 19341 e Tribunale di Roma, sez. VIII civ., 27 maggio 2017, n. 10734 - prendono in esame due diverse questioni: 1) la cessione dei crediti futuri e 2) l’individuazione delle eccezioni che il debitore può opporre al factor, in particolare l’eccezione di compensazione.
1. La cessione dei crediti futuri
Con riferimento al primo tema, come noto l’art. 3 della l. 21 febbraio 1991, n. 521, consente la cessione dei crediti anche prima che siano stipulati i contratti dai quali sorgeranno, purché tale contratto sia stipulato entro 24 mesi2.
Allo stesso modo, l’art. 5 della l. 14 luglio 1993, n. 260 di ratifica della Convenzione di Ottawa sul factoring internazionale ammette la cessione dei crediti futuri, stabilendo che: “a) una clausola del contratto di factoring che preveda la cessione di crediti esistenti o futuri non è resa invalida dall’assenza di una loro specifica individuazione, se alla conclusione del contratto o al momento della loro nascita siano riferibili al contratto; e b) una clausola del contratto di factoring in base
1 Art. 3, l. 52/1991: “1. I crediti possono essere ceduti anche prima che siano stipulati i contratti dai quali sorgeranno.
2. I crediti esistenti o futuri possono essere ceduti anche in massa.
3. La cessione in massa dei crediti futuri può avere ad oggetto solo crediti che sorgeranno da contratti da stipulare in un periodo di tempo non superiore a ventiquattro mesi.
4. La cessione dei crediti in massa si considera con oggetto determinato, anche con riferimento a crediti futuri, se è indicato il debitore ceduto, salvo quanto prescritto nel comma 3”.
2 Cfr. in arg. BUSSANI, I singoli contratti. Contratti moderni. Factoring. Franchising. Leasing, Torino, 2004, 112; VIGO, Factoring, in Treccani Enciclopedia - Diritto on line, 2015; ALBANESE - ZEROLI, Leasing e factoring, Milano, 2011, 246; FOSSATI - PORRO, Il factoring. Aspetti economici, finanziari e giuridici, IV ed., 1994, 183. In giurisprudenza si veda la recente Cass. civ., 15 febbraio 2013,
n. 3829, in Giust. civ. Mass., 2013.
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alla quale siano ceduti crediti futuri produce il loro trasferimento al Cessionario al momento della loro nascita, senza che sia necessario un nuovo atto di trasferimento”3.
Entrambe le sentenze fanno applicazione del consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui, nell’ambito di un contratto di factoring, l’effetto traslativo della cessione dei crediti futuri si verifica soltanto nel momento in cui il credito viene ad esistenza. Per giungere a questo risultato, prendono le mosse dalla (pacifica) circostanza per cui, anche dopo l’introduzione della l. 52/1991, il factoring debba essere considerato quale una convenzione atipica la cui disciplina integrativa va ricercata nella disciplina in tema di cessione del credito di cui agli artt. 1260 ss. c.c. 4
Ne deriva che, quanto ai rapporti interni (tra cedente e cessionario), data la natura consensuale del contratto di cessione di credito, questo si perfeziona tra le parti per effetto del consenso dei contraenti; al perfezionamento tuttavia non segue necessariamente l’effetto traslativo, laddove tale effetto è rimandato al momento in cui il credito viene a esistenza, riconoscendosi al contratto prima di allora efficacia puramente obbligatoria5.
Per quanto riguarda i rapporti esterni (vale a dire, gli effetti della cessione di crediti futuri nei confronti del debitore ceduto)
– profilo cui dedica maggiore attenzione la pronuncia del Tribunale di Roma – invece, sarà pienamente operante l’art. 1264 c.c.6, a norma del quale “La cessione ha effetto nei confronti del debitore ceduto quando questi l’ha accettata o quando gli è stata notificata” 7. Mediante la notifica o l’accettazione della cessione di una massa di crediti, esistenti o futuri, si rende la cessione opponibile al ceduto prima ancora che i singoli crediti sorgano8. In questo modo, il credito futuro entra direttamente nella sfera giuridica del cessionario al momento della sua accettazione o della notifica, senza mai transitare per la sfera giuridica del cedente9.
Avendo il Tribunale di Roma ritenuto che il Xxxxxxxx ceduto avesse accettato puramente e semplicemente la cessione dei crediti10, nei confronti del debitore stesso deve considerarsi certamente opponibile la cessione, senza necessità di procedere alla notifica delle singole cessioni a mano a mano che i crediti futuri venissero a esistenza (come invece richiedeva controparte). Altrimenti – nota efficacemente la sentenza – “l’istituto della cessione di credito verrebbe ad essere privato di ogni utilità pratica soprattutto con riguardo ai contratti di factoring, nei quali il numero delle cessioni effettuate – anche per piccoli importi – è di regola molto elevato, ed in relazione all’esigenza di snellezza e speditezza dei relativi rapporti giuridici”11.
3 ALBANESE - ZEROLI, Leasing e factoring, cit., 246-247.
4 Ex multis, Cass. civ., 31 ottobre 2014, n. 23175, in DeJure; Cass. civ., 7 marzo 2008, n. 6192, in Giust. civ. Mass., 2008, 3, 377;
Cass. civ., 11 maggio 2007, n. 10833, in Guida al diritto, 2007, 27, 47; Cass. civ., 8 febbraio 2007, n. 2746, in Giust. civ. Mass.,
2007, 2.
5 X. XXXX, Cessione di crediti futuri, le condizioni per l’opponibilità a creditore pignorante, in Guida al Diritto, Diritto 24, Il Sole 24 ore, 1 aprile 2014, che richiama BIANCA, Diritto Civile, Vol. IV, 1993, Milano, 583; DOLMETTA, Cessione del credito, in Dig. Disc. Priv., Torino, 1988, 322. In giurispr. si veda, tra le molte, Cass. civ., 17 marzo 1995, n. 3099, in Giust. civ. Mass., 1995, 627; Cass. civ., 18 ottobre 1994, n. 8497, in Giust. civ. Mass., 1994, 1241; Cass. civ., 22 novembre 1993, n. 11516, in Foro it., 1994, I, 3126.
6 La norma, al comma 2, precisa che “Tuttavia, anche prima della notificazione, il debitore che paga al cedente non è liberato, se il cessionario prova che il debitore medesimo era a conoscenza dell’avvenuta cessione”.
7 Cass. civ., 7 marzo 2008, n. 6192, cit.; Cass. civ., 11 maggio 2007, n. 10833, cit.; Cass. civ., 27 agosto 2004, n. 17116, in Giust. civ. Mass., 2004, 7-8; Cass. civ., 24 giugno 2003, n. 10004, in Nuova giur. civ. comm., 2004, I, 158 (con nota di XXXXXXX); Cass. civ., 2 febbraio 2001, n. 1510, in Giust. civ., 2001, I, 1856 e in Foro it., 2001, I, 1157; Cass. civ., 18 gennaio 2001, n. 684, in Contratti,
2001, 564 (con nota di VAGLIO); Cass. civ., 14 novembre 0000, x. 0000, xx Xxx. Xxxx., 0000, XX, 000; Cass. civ., 17 marzo 1995,
n. 3099, in Giust. civ. Mass., 1995, 627; Trib. Venezia, 25 maggio 2014, cit. In dottrina x. XXXXXXX, I singoli contratti. Contratti moderni. Factoring. Franchising. Leasing, cit., 130-131; VIGO, Factoring, cit.
8 BUSSANI, I singoli contratti. Contratti moderni. Factoring. Franchising. Leasing, cit., 110; VIGO, Factoring, cit.
9 ROPPO, Trattato del contratto. Effetti, Vol. III, Milano, 2006, 247. Nello stesso senso, FOSSATI - PORRO, Il factoring. Aspetti economici, finanziari e giuridici, cit., 166-167. In giurispr., x. Xxxx. Xxxxxxx, 00 maggio 2014, in Il Xxxx.xx.
10 Come noto, prassi diffusa delle società di factoring è quella di chiedere al debitore la sottoscrizione di moduli per mezzo dei quali viene accettata la cessione: v. in arg. per tutti BENATTI, Le dichiarazioni del debitore ceduto nel contratto di factoring, in MUNARI (a cura di), Sviluppi e nuove prospettive della disciplina del leasing e del factoring in Italia, Milano, 1988, 103 ss.; DE NOVA, Nuovi contratti, cit., 143.
11 D’altra parte, all’art. 3 della l. 52/1991, il legislatore si è preoccupato di regolare espressamente l’istituto della cessione dei crediti futuri, così anche da prevenire eventuali censure di nullità dovute dalla asserita indeterminatezza dell’oggetto. In arg. si xxxxxx Xxxx. civ., 2 agosto 1977, n. 342: “Nei limiti in cui è consentito all’autonomia negoziale dedurre in contratto la prestazione di cose future (art. 1348 c.c.) è ammissibile la cessione di crediti futuri, sempre che, al momento della conclusione del negozio, sussista già il rapporto giuridico di base, dal quale possano trarre origine i crediti futuri, in modo che questi ultimi siano, fin da quel momento, determinati o determinabili”; e Cass. civ., 5 giugno 1978, n. 2798: “In applicazione dei principi generali sull’oggetto del contratto, di cui agli artt. 1346 e 1348 c.c. deve ritenersi consentito un negozio di cessione di credito futuro, ove questo sia determinabile con riferimento ad uno specifico rapporto, e, quindi, anche un accordo che preveda una cessione futura da perfezionarsi con riferimento ad un credito determinato, quando esso venga ad esistenza”; ALBANESE - ZEROLI, Leasing e factoring, cit., 247.
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2. Le eccezioni opponibili al cessionario
Venendo al tema delle eccezioni che il debitore ceduto può opporre al factor12, a seguito della cessione il cessionario diviene nuovo titolare del credito e il debitore ceduto sarà obbligato nei confronti del cessionario così come era obbligato nei confronti del cedente. Il debitore potrà dunque opporre al cessionario tutte le eccezioni che avrebbe potuto opporre al cedente, ed in particolare: le eccezioni relative a fatti modificativi o estintivi del credito anteriori al trasferimento di quest’ultimo ovvero anche successivi a detto trasferimento, ma comunque anteriori alla notificazione, all’accettazione o alla conoscenza dell’avvenuta cessione.
Quanto alla compensazione – tema delle sentenze in oggetto – troverà altresì applicazione l’art. 1248 c.c.13 per cui, se il debitore ceduto ha accettato puramente e semplicemente la cessione, non potrà opporre al cessionario la compensazione che avrebbe invece potuto opporre al cedente; se invece la cessione non è stata accettata dal debitore ceduto, ma gli è stata notificata, questi non potrà opporre in compensazione i crediti sorti dopo la notifica14.
Nel caso deciso dalla Corte di Cassazione, il Xxxxxxxx ceduto aveva preso conoscenza dell’avvenuta cessione dei crediti per il tramite della notifica del 2 gennaio 2004, senza che invece vi fosse stata alcuna sua esplicita accettazione.
L’accettazione – evidenzia la Corte – rappresenta atto di autonomia negoziale del debitore ceduto, per mezzo del quale quest’ultimo dispone dei propri diritti, manifestando la propria volontà nel quadro di un’operazione di cessione dei crediti comunque perfetta anche senza l’intervento del debitore ceduto. In altri termini, come visto sopra, la cessione dei crediti configura un negozio tra cedente e cessionario che si perfeziona mediante il consenso espresso dagli stessi; nessun rilievo ai fini della validità della cessione ha il debitore ceduto. In ossequio ai principi generali dell’ordinamento, un atto inter partes non può produrre effetti vincolanti nei confronti di un terzo, dal momento che il contratto ha forza di legge solo tra le parti (art. 1372 c.c.)15. Tale effetto potrebbe prodursi solo in caso di accettazione della cessione da parte del debitore ceduto, dal momento che quest’ultimo – attraverso l’accettazione stessa – manifesterebbe liberamente la propria volontà e, così facendo, ai sensi dell’art. 1248, comma 1, c.c., rinuncerebbe alla facoltà di opporre in compensazione i suoi crediti.
Mancando invece – nel caso deciso dalla Cassazione – l’accettazione, andrà fatto riferimento all’art. 1248, comma 2, c.c. in tema di notifica16, secondo cui “La cessione non accettata dal debitore, ma a questo notificata, impedisce la compensazione dei crediti sorti posteriormente alla notificazione”.
12 Sull’arg. si veda questo Osservatorio, n. 2/2017, 2 ss. e 8 ss. (Cass. civ., 2 dicembre 2016, n. 24657 e App. Brescia, 20 gennaio 2017, n. 91).
13 Art. 1248 c.c.: “Il debitore, se ha accettato puramente e semplicemente la cessione che il creditore ha fatta delle sue ragioni a un terzo, non può opporre al cessionario la compensazione che avrebbe potuto opporre al cedente.
La cessione non accettata dal debitore, ma a questo notificata, impedisce la compensazione dei crediti sorti posteriormente alla notificazione”.
14 BUSSANI, I singoli contratti. Contratti moderni. Factoring. Franchising. Leasing, cit., 133-134; FOSSATI - PORRO, Il factoring. Aspetti economici, finanziari e giuridici, cit., 182. In giurispr. si xxxxxx Xxxx. civ., 14 aprile 2010, n. 8961, in Diritto e Giustizia online, 2010; Cass. civ., 21 dicembre 2005, n. 28300, in Giust. civ. Mass., 2005, 12; Cass. civ., 26 ottobre 2002, n. 15141, in Foro it., 2003, I, 498 (con nota di SCODITTI, Opponibilità della cessione di credito futuro: la fine di un pregiudizio) e in Giur. it., 2003, 636 (con nota di XXXXX); Trib. Venezia, 25 maggio 2014, cit.
15 In arg. v. per tutti DE NOVA, Il contratto ha forza di legge, 1993, 8 ss.; XXXXXXXX, Contratto I) In generale, in Enc. Giur. Treccani, VIII, 1998, 28 ss.
16 Come noto, la notifica è quell’atto con il quale il cedente o il cessionario informano il debitore dell’intervenuta cessione e della conseguente modificazione del rapporto.
La giurisprudenza consolidata, sia di merito che di legittimità, ha precisato che, ai fini dell’efficacia della cessione nei confronti del debitore ceduto, non è indispensabile una notifica in senso tecnico-giuridico, poiché risulta sufficiente una comunicazione al debitore ceduto idonea a produrre l’effettiva e diretta conoscenza dell’intervenuta cessione e del conseguente mutamento del soggetto. Cfr, ex multis, Cass. civ., 21 dicembre 2005, n. 28300, in Giust. civ. Mass., 2005, 12; Cass. civ., 18 ottobre 2005, n. 20143, in Giust. civ. Mass., 2005, 10; Cass. civ., 10 maggio 2005, n. 9761, in Giust. civ. Mass., 2005, 5; Cass. civ., 21 gennaio 2005,
n. 1312, in Giust. civ. Mass., 2005, 1; Cass. civ., 10 agosto 2002, n. 12141, in Giust. civ. Mass., 2002; Cass. civ., 29 settembre 1999,
n. 10788, in Foro it., 2000, I, 825 ss.; Cass. civ., 12 maggio 1998, n. 4774, in I Contratti, 1999, 551 ss.; App. Milano, 3 novembre 2004, in Giur. Merito, 2005, I, 1552 ss.; Trib. Genova, 10 marzo 2004, in Banca borsa tit. cred., 2005, 690 ss.
La ratio è fondata sul fatto che, nonostante l’art. 1264 al comma 1 parli di notificazione, lasciando supporre la necessità di un atto formale, nel comma 2 equipara alla notificazione la conoscenza che il debitore abbia comunque avuto della cessione, con la conseguenza che la comunicazione al debitore ceduto può avere qualsiasi forma, purché sia idonea a consentire la conoscenza dell’avvenuta cessione: Cass. civ., 12 maggio 1998, n. 4774, cit.; ALBANESE - ZEROLI, Leasing e factoring, cit., 241. Per la tesi minoritaria, secondo cui la notifica dovrebbe essere effettuata secondo le previsioni del codice di procedura civile, e cioè per il tramite dell’ufficiale giudiziario, si vedano DOLMETTA, Cessione dei crediti, in Dig. it., II, 1988, 303 ss.; XXXXXXXXXXX, Della cessione dei crediti, in Enc. giur., VI, 1988, 12 ss.; XXXXXX, Gli oneri del debitore con riguardo all’accertamento dell’avvenuta cessione del
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Con un’argomentazione invero involuta, la Cassazione sostiene che la disposizione si riferirebbe esclusivamente alla cessione posta in essere da un creditore “attuale”; non potrebbe invece operare a favore di un cessionario di crediti futuri, in quanto la fattispecie di cessione non sarebbe giunta a perfezione, non essendo sufficiente la mera aspettativa di crediti che caratterizza la cessione di crediti futuri. L’art. 1248, comma 2, c.c. mirerebbe soltanto ad impedire la opponibilità della compensazione con i crediti sorti posteriormente alla notificazione della cessione non accettata17, senza che possa avere rilievo in tale quadro la posizione ancora prognostica e incompleta che caratterizza la posizione del creditore futuro. Conseguentemente, l’art. 1248, comma 2, c.c. non troverebbe applicazione nel caso di specie, dal momento che l’effetto traslativo in caso di cessione di crediti futuri si compie solo nel momento in cui i crediti stessi vengono a esistenza.
La decisione non convince: da un lato, pregiudica integralmente gli interessi del cessionario, privando sostanzialmente di senso - economico e giuridico - l’operazione di cessione di crediti futuri: il Factor finisce per acquistare un credito che nasce già compensato.
Dall’altro, la sentenza non dà adeguato rilievo alla circostanza per cui, in ogni caso, la cessione era stata notificata al Debitore ceduto e, conseguentemente, questi era stato notiziato del mutamento del soggetto attivo del rapporto. Dalla narrativa, infatti, emerge chiaramente che il controcredito eccepito in compensazione dal Xxxxxxxx ceduto, infatti, era sorto in data successiva alla notifica della cessione dei crediti futuri (rispettivamente, marzo-aprile 2004 vs. gennaio 2004). Di tale elemento, a nostro avviso, il giudicante avrebbe potuto e dovuto tenere conto, nel quadro della complessiva valutazione degli interessi in gioco.
Appare invece condivisibile la decisione del Tribunale di Roma. In quel caso, il Xxxxxxxx ceduto aveva accettato la cessione dei crediti risultanti da una fattura del 30 settembre 2007 “e seguenti”, con la conseguenza che deve ritenersi integrata a tutti gli effetti un’ipotesi di accettazione di cessione di crediti futuri.
L’accettazione della cessione del credito, ai sensi dell’art. 1264 c.c., non richiede forme particolari, essendo un atto a forma libera che può risolversi anche in un comportamento concludente ed univoco, dovendosi escludere che l’art. 1248, comma 1, in tema di inopponibilità della compensazione al cessionario, richieda “accettazione espressa”18.
In conclusione, le previsioni contenute negli artt. 1248 e 1264 c.c. comportano, nella loro lettura d’insieme, che i soli crediti verso il cedente inopponibili al cessionario sono quelli anteriori all’accettazione pura e semplice, e quelli posteriori alla notificazione della cessione; risultano invece opponibili quelli successivi alla cessione (non accettata), ma anteriori alla notificazione della cessione. In altri termini, a norma dell’art. 1248, comma 0, x.x., xx xxxxxxx opponibilità della compensazione di crediti è espressamente limitata all’ipotesi dell’accettazione pura e semplice da parte del debitore, dovendosi invece escludere che la stessa inopponibilità possa esser fatta valere anche nell’ipotesi in cui al debitore sia stata notificata la cessione e questi non l’abbia accettata, nel qual caso si impedisce l’opponibilità della compensazione con i crediti sorti dopo la notifica della cessione non accettata19.
Avv. Xxxxx Xxxxx
Dott.ssa Xxxxxxxxxx Xxxxxxxxxx
xxxxxxxxxx.xxxxxxxxxx@xxxxxxxxxxxx.xx
credito, in Riv. trim. xxx. xxxx. xxx., 0000, 000 xx. Xx xxxxxxxxxxxxxx xxx. Cass. civ., 27 febbraio 1987, n. 2103, in Giust. civ. Mass., 1987, 2.
17 Cass. civ., 31 gennaio 2007, n. 2096, in Giust. civ. Mass., 2007, 1.
18 Cass. civ., 13 maggio 2014, n. 10335, in Giust. civ. Mass., 2014; Cass. civ., 13 gennaio 1997, n. 259, in Banca borsa tit. cred.,
1998, II, 283 ss.
19 Cass. civ., 22 maggio 1980, n. 3377, in Giust. civ. Mass., 1980, 5.
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3.
Tribunale di Bologna, sez. II civ., 10 maggio 2017, n. 825
Contratto di factoring – Società in house providing – Natura – Applicazione della disciplina della cessione dei crediti vantati nei confronti della pubblica amministrazione
– Esclusione.
La società in house providing costituita nella forma della società per azioni e dunque di società commerciale è in ogni caso un soggetto di diritto privato diverso dagli enti pubblici che l’hanno costituita e che ne sono soci e in via di principio è sottoposta, in particolare quanto ai rapporti coi terzi (il cui affidamento va tutelato), alla disciplina di diritto comune. Ne consegue che a detta società non è applicabile la disciplina della cessione dei crediti vantati nei confronti della pubblica amministrazione.
* * * REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI BOLOGNA SECONDA SEZIONE CIVILE
in composizione monocratica, nella persona del giudice Xxxxxxx Xxxxxxxx, ha pronunciato la seguente SENTENZA
definitiva nella causa civile n. 6832/12 R.G. promossa
da
[Xxxxxxxx ceduto] in house providing ora in concordato preventivo, con sede a Pescara (avv. omissis);
- ATTRICE -
contro
[Creditore], con sede a Bologna, in nome e per conto della [omissis] (già omissis), con sede legale a Parigi e sede secondaria a Milano (avv. omissis);
- CONVENUTA -
CONCLUSIONI
Per [Xxxxxxxx ceduto] in house providing ora in concordato preventivo:
Voglia l’Xxx.xx Giudice adito, dichiarare la cessazione della materia del contendere con compensazione delle spese di lite in quanto il [Creditore] ha implicitamente accettato la propria posizione creditoria nei confronti del [Xxxxxxxx ceduto], non opponendosi a quanto comunicatogli dal Commissario Giudiziale della procedura concordataria n. [omissis] del Tribunale di Pescara, omologata, alla quale lo stesso [Xxxxxxxx ceduto] risulta assoggettata;
Per il [Creditore] in nome e per conto della [omissis] (già omissis):
Voglia l’Xxx.xx Tribunale adito, ogni contraria istanza ed eccezione disattesa e respinta, in via preliminare, in rito,
rigettare l’eccezione di incompetenza territoriale sollevata da parte opponente, per i motivi meglio specificati in atti;
in via principale,
stante l’intervenuto pagamento, nelle more dell’emissione e notifica dell’opposto decreto ed in più tranches, dell’importo di Euro 1.397.751,20 pari alla sorte capitale ingiunta, con esclusione degli interessi al tasso legale tempo per tempo vigente dalle singole scadenze delle fatture alle date dei singoli pagamenti e delle spese legali relative alla fase monitoria, revocare l’opposto decreto e conseguentemente dichiarare tenuta e per l’effetto condannare [Xxxxxxxx ceduto] in house providing, in persona del legale rappresentante pro tempore,
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al pagamento dell’importo di E 20.216,60 (di cui E 15.935,60 a titolo di interessi come sopra specificati ed Euro 4.281,00 per spese così come liquidate nel decreto ingiuntivo opposto), nonché di Euro 74,46 per n. 2 copie autentiche del decreto ed Euro 11,57 per spese di notifica, oltre accessori come per legge; in ogni caso,
con vittoria di spese e compensi di giudizio; in via istruttoria,
dichiarare inammissibili le domande nuove formulate da parte opponente nella prima memoria ex art. 183 comma VI c.p.c. ed i documenti allegati alla successiva seconda memoria, per tutti i motivi in atti esposti, nonché l’inammissibilità ed irritualità della terza memoria avversaria, avendo con essa parte opponente replicato al contenuto della terza memoria ex art. 183 comma VI c.p.c. del [Creditore], in palese violazione del disposto della predetta norma.
Fatto
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Il processo si è volto nelle forme del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo.
2. La causa è stata promossa dal [Xxxxxxxx ceduto] in house providing con citazione notificata il 27 aprile 2012 al [Creditore], il quale aveva chiesto il decreto ingiuntivo in nome e per conto della [omissis] (già omissis).
3. Il decreto opposto, portante ingiunzione di pagare la somma di Euro 1.397.751,20 (oltre interessi e spese legali), era stato emesso in relazione ai crediti derivanti dalla fornitura di energia elettrica eseguita nel 2011 da [omissis] in favore del [Xxxxxxxx ceduto] in house providing.
Più precisamente, si tratta dei crediti di cui alle diciassette fatture prodotte col decreto ingiuntivo, emesse tra il 20 luglio 2011 e il 31 agosto 2011, e che erano stati ceduti dal [Creditore] a [omissis] (banca costituita in Francia e avete succursale a Milano) poi divenuta [omissis].
La società ingiungente il [Xxxxxxxx ceduto] aveva infatti agito quale mandataria con rappresentanza della cessionaria [omissis] (v. la procura conferita a [Creditore], indicata come doc. 1 del CD rom prodotto dalla convenuta).
Nessuna questione è sorta in ordine a validità ed efficacia della cessione di crediti (futuri) tra cedente e cessionario stipulata in base alla l. 21 febbraio 1991, n. 52.
Sulla diversa questione riguardante l’opponibilità al [Xxxxxxxx ceduto] in house providing si dirà al par. 11. [omissis]
5. Nel formulare l’opposizione, l’attrice:
- ha eccepito l’incompetenza territoriale del giudice adito, per vessatorietà, ex artt. 33-34, d.lgs. n. 206/2005, della clausola di cui all’art. 16 delle condizioni generali di contratto 22 ottobre 2016 che prevede quale foro esclusivo quello di Bologna;
- ha dedotto la mancata notifica della cessione del credito;
- ha eccepito la carenza di elementi essenziali del contratto, essendo mancanti, nelle condizioni generali di contratto in possesso dell’odierna opponente;
[omissis]
- ha contestato la mancata prova del credito azionato essendo stato prodotto l’estratto autentico dei dati presenti nel registro corrispettivi della cessionaria [omissis] e non quelli della cedente [omissis] ed essendo insufficiente la produzione di fatture;
- ha infine sollevato eccezione di pagamento parziale affermando di aver versato mediante bonifico 18 aprile 2012 la somma di Euro 650.000.
6. Costituitasi alla prima udienza 14 giugno 2012, la convenuta [Creditore] quale rappresentante di [omissis], ha svolto le difese di cui alla comparsa di costituzione, dando fra l’altro atto che con pagamenti eseguiti tra il 14 marzo e l’8 maggio 2012 il [Xxxxxxxx ceduto] aveva corrisposto la somma di Euro 1.397.751,20 pari alla sorte capitale ingiunta, senza però pagare gli interessi al tasso legale come descritti e richiesti nel ricorso-decreto ingiuntivo né le spese del procedimento monitorio.
La convenuta ha precisato che alle date dei versamenti, il credito del [Creditore] era cristallizzato in Euro 1.417,967,80 (per sorte, interessi e spese di procedimento).
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Alle pagine 12-13 della comparsa di risposta la convenuta ha così descritto l’imputazione del pagamento della complessiva somma di Euro 1.397.751,20:
a) euro 15.935,60 quali interessi al tasso legale tempo per tempo vigente dalle singole scadenze delle fatture alle date dei singoli pagamenti;
b) euro 4.281,00 per spese di procedimento, oltre accessori di legge;
c) euro 1.377.534,60 in conto capitale.
Il [Creditore] ha così precisato che il proprio credito residuo era di euro 20.216,60 (euro 1.397.751,20 pari alla sorte capitale ingiunta meno euro 1.377.534,60 versati e imputati in conto capitale) oltre accessori come per legge oltre successive spese e competenze dalla notifica al saldo.
[omissis]
11. Le produzioni e allegazioni di parte convenuta rendono inconsistente il motivo di opposizione riguardante l’asserita mancata notifica della cessione del credito (art. 1264 c.c.), che è atto a forma libera (cfr. fra le altre Cass., sez. III, 2 novembre 2010, n. 22280), può avvenire ad iniziativa sia del cedente che del cessionario (cfr. Cass., sez. VI-2, ord. 13 marzo 2014, n. 5869) e può essere effettuata anche con la citazione in giudizio o la notifica del ricorso per decreto ingiuntivo (cfr. Cass., sez. III, 28 gennaio 2014, n. 1770).
Come pacifico in atti, la cessione del credito per cui è causa, stipulata il 16 ottobre 2009 (poi modificata e integrata il 23 settembre 2009: si rimanda alle non contestate produzioni della fase monitoria) e rientrante tra le ipotesi di cessione di crediti futuri ai sensi della l. 21 febbraio 0000, x. 00 (x. anche la memoria istruttoria n. 1 di parte attrice), era stata comunicata al debitore ceduto, ossia l’odierna opponente, con lettera raccomandata 23 settembre 2011 prot. n. 0147733/11 e ricevuta il 3 ottobre 2011 (doc. 21 del fascicolo monitorio) e dunque in data successiva a quella del sorgere dei crediti poi azionati in via monitoria.
Vi è stata inoltre la notifica del ricorso e del decreto ingiuntivo, avvenuta il 21 marzo 2012 a mezzo posta.
12. Per superare tale dato, pacifico e comunque documentalmente provato, l’attrice, sul presupposto che nel caso di specie il debitore ceduto sia un ente pubblico, con la memoria istruttoria n. 1 ha sviluppato un nuovo argomento ed ha eccepito l’inefficacia nei suoi confronti (dunque, l’inopponibilità) della cessione del credito per carenza dei requisiti formali (cessione risultante da atto pubblico o scrittura privata autenticata da notaio) e mancato rispetto delle modalità di comunicazione (notifica) di cui all’art. 69, r.d. 18 novembre 1923, n. 2440 oltre che per la mancata accettazione da parte del debitore ceduto richiesta dall’art. 70, r.d. n. 2440/1923 il quale richiama l’art. 9, l. 20 marzo 1865, n. 2248, all. E.
Sul punto Cass., sez. V, 6 marzo 2013, n. 5493 ha affermato che in termini generali, due sono le condizioni cui un atto di cessione deve soggiacere per essere efficace nei confronti della (e opponibile alla) amministrazione: (a) che risulti da atto pubblico o da scrittura privata autenticata da notaio; (b) che sia notificato nelle forme di legge. È allora indubbio che la cessione di un credito di un privato verso una pubblica amministrazione, posta in essere in forme diverse da quelle imposte dal X.X. 00 novembre 1923,
n. 2440, art. 69, pur essendo valida nei rapporti tra cedente e cessionario, è inefficace nei confronti della pubblica amministrazione medesima, salva la facoltà di accettazione (per utili riferimenti al riguardo, cfr. Cass. n. 489/2009; n. 844/2002; n. 15153/2000).
12.1. L’applicabilità ad enti pubblici diversi dallo Stato delle disposizioni ora richiamate, e poste a fondamento della eccezione di inopponibilità della cessione, è questione controversa (in senso contrario all’applicazione analogica dell’art. 69, 3° co., r.d. n. 2440/1923, intesa quale norma eccezionale rispetto alla disciplina codicistica, e con riferimento a cessioni di credito avvenute prima dell’entrata in vigore del
d.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554, x. Xxxx., sez. I, 14 ottobre 2015, n. 20739, Cass., sez. III, 12 febbraio 2015, n. 2760, Cass., sez. I, 31 ottobre 2014, n. 23273; ma x. Xxxx., xxx. X, 00 ottobre 2013, n. 23383[omissis]).
Ciò premesso, l’argomento svolto dall’opponente a proposito della natura pubblicistica del debitore ceduto è in radice non condivisibile (per quanto accolto, in altra causa tra le stesse parti, da una sentenza di questo tribunale che ha fatto leva su Cass., sez. un., 25 novembre 2013, n. 26283: ma la decisione delle Sezioni Unite, riguardante il tema della responsabilità degli amministratori di società in house, considerava
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unicamente il rapporto interno tra gli organi di una società in house e l’ente pubblico da cui la società promana e non anche i rapporti tra la società e i terzi e rileva dunque solo ai fini del riparto di giurisdizione).
La società attrice è interamente partecipata dai comuni appartenenti a [omissis] e gestisce il servizio idrico integrato in quel territorio.
Ciò non incide però sulla natura dell’ente (in questi termini, sia pur con stringatissima motivazione ed in relazione al diverso profilo della competenza territoriale, la già richiamata sentenza Trib. Bologna, 27 gennaio 2015, n. 20115, pronunciata ex art. 281 sexies c.p.c. in una causa tra [Xxxxxxxx ceduto] e [Creditore] relativa alla fornitura di energia elettrica risultante da fatture emesse tra il 21 febbraio ed il 31 maggio 2012).
Una cosa è il controllo esercitato dall’ente pubblico sulla società in house providing, un’altra è l’individuazione della disciplina applicabile ai rapporti che tale società intrattiene coi terzi.
L’attrice, quale società per azioni in house providing e dunque società commerciale (a totale capitale pubblico), è in ogni caso un soggetto di diritto privato diverso dagli enti pubblici che l’hanno costituita e che ne sono soci (cfr. Cass., sez. un., 6 maggio 1995, n. 4989; Cass., sez. un., 6 giugno 1997, n. 5085; Cass., sez. un., 26 agosto 1998, n. 8454; Cass., sez. un., 15 aprile 2005, n. 7799) e in via di principio è sottoposta, in particolare quanto ai rapporti coi terzi (il cui affidamento va tutelato), alla disciplina di diritto comune.
Secondo la regola enunciata dall’art. 4, l. 20 marzo 1975, n. 70, nessun nuovo ente pubblico può essere istituito o riconosciuto se non per legge.
Sull’inquadramento privatistico delle società con partecipazione dello Stato o di enti pubblici la cui specifica disciplina sia contenuta esclusivamente o prevalentemente nello statuto sociale, si veda l’art. 4, 13° co., quarto periodo, d.l. 6 luglio 2012, n. 95, convertito in legge, con modificazioni, da l. 7 agosto 2012, n. 135, art. 1, 1° co., la cui rilevanza ai fini interpretativi, quanto all’applicazione a tali società della disciplina del codice civile in materia di società di capitali, è messa in risalto da Cass., sez. un., ord. 1 dicembre 2016 n. 24591.
[omissis]
In conclusione, il [Xxxxxxxx ceduto] in house providing è un soggetto di diritto privato e ciò esclude l’applicazione delle disposizioni in tema di cessione di crediti verso la p.a., o meglio verso lo Stato, richiamate dall’attrice.
[omissis]
- in ogni caso non può discutersi dell’opponibilità della cessione, posto che, come pacifico in atti, dopo aver ricevuto in data 3 ottobre 2011 (doc. 21 contenuto nel cd-rom che raccoglie le produzioni della fase monitoria) la lettera raccomandata 23 settembre 2011 nella quale si dava atto della cessione (e anche in questa ipotesi si tratta di atto a forma libera: a proposito della notifica di una cessione di credito nei confronti di una AUSL eseguita a mezzo di lettera raccomandata A.R., x. Xxxx., sez. III, 25 gennaio 2012,
n. 1012), nessuna contestazione o rifiuto è stato opposto dal [Xxxxxxxx ceduto] (si sarebbe in altri termini realizzato il silenzio - assenso di cui all’art. 117, 3° co., d.lgs. n. 163/2006).
12.3. Ad ogni modo, nel caso di specie, come pacifico in atti, l’attrice ha versato una somma corrispondente al credito per capitale azionato in via monitoria (diversa però è stata l’imputazione fatta dal creditore ex art. 1194 c.c.: si rimanda alla comparsa di risposta), e tale inequivoco comportamento, tanto più alla luce delle conclusioni finali dell’attrice, equivale a piena accettazione della cessione del credito (cfr. Cass., sez. V, 6 marzo 2013, n. 5493).
13. Mentre nessuna specifica e documentata contestazione sulla fondatezza del credito è stata sollevata dall’attrice (né in costanza di rapporto né dopo l’opposizione a decreto ingiuntivo) a fronte della produzione già in fase monitoria delle fatture e dell’estratto conto conforme ai dati presenti nel registro corrispettivi del [Creditore] e del dato, pacifico, della erogazione di energia elettrica da parte del [Creditore] nel periodo risultante dalle fatture azionate (del tutto generiche e astratte sono le indicazioni desumibili
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dalla stringata relazione, di una pagina, datata 5 ottobre 2012 a firma dell’ing. [omissis], di per sé inidonea a integrare specifica contestazione in ordine all’entità dei corrispettivi analiticamente descritti nelle fatture), il pagamento della somma di Euro 1.397.751,20 pari alla sorte capitale ingiunta va nel senso del riconoscimento del debito.
La più recente difesa del [Xxxxxxxx ceduto] mira ad affermare che, pagato in corso di causa l’importo di Euro 1.397.751,20, gli interessi ancora rivendicati dalla convenuta devono ritenersi compresi nella posizione creditoria del [Creditore] nella massa creditoria.
[omissis]
14. Occorre piuttosto revocare il decreto ingiuntivo per effetto del pagamento in più tranches avvenuto in corso di causa e, in considerazione dell’imputazione di pagamento fatta dalla convenuta alle pagine 12- 13 della comparsa di costituzione (nelle quali si precisa che alle date dei versamenti, il credito di [Creditore] era cristallizzato in euro 1.417,967,80 (per sorte, interessi e spese di procedimento), condannare l’attrice al pagamento (non delle spese processuali per diritti, onorari, esborsi e 12,50% di spese generali, già liquidate col decreto ingiuntivo 12 marzo 2012, perché una parte dei versamenti eseguiti, per euro 4.281,00, è già stata imputata dal [Creditore] a quelle voci creditorie, ma) dell’IVA e CPA da calcolarsi sugli importi liquidati con decreto ingiuntivo e del credito residuo per capitale pari ad euro 20.216,60 oltre interessi legali dall’8 maggio 2012 (indicata dalla convenuta come data dell’ultimo pagamento).
15. In forza del principio della soccombenza si pongono a carico dell’attrice le spese processuali del presente giudizio di opposizione che si liquidano, tenuto conto della nota spese depositata dalla convenuta, come da dispositivo.
PQM
Il Tribunale di Bologna, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando, nel contraddittorio delle parti, ogni diversa domanda, istanza ed eccezione respinta:
- revoca il decreto ingiuntivo 12 marzo 2012 n. 2129 per effetto di successivo pagamento parziale;
- dato atto dell’imputazione di pagamento fatta dalla convenuta alle pagine 12-13 della comparsa di costituzione, condanna il [Xxxxxxxx ceduto] in house providing ora in concordato preventivo a pagare al [Creditore], che ha agito in nome e per conto della [omissis] (già [omissis]), l’IVA e la CPA da calcolarsi sugli importi liquidati col decreto ingiuntivo 12 marzo 2012 (euro 1.016,00 per diritti, euro 2.260,00 per onorari, euro 595,50 per esborsi, oltre il 12,50% per spese generali) nonché la somma di euro 20.216,60 oltre interessi legali dall’8 maggio 2012 sino al saldo;
- condanna l’attrice a pagare alla convenuta le spese processuali del presente giudizio di opposizione che liquida in euro 4.835,00 per compenso oltre rimborso spese forfetario 15%, iva e cpa come per legge.
Bologna, 10 maggio 2017
Depositata in Cancelleria il 10/05/2017
* * *
IL CASO
La sentenza del Tribunale di Bologna origina da un caso di cessione di credito e opponibilità della stessa al debitore ceduto società in house.
I crediti, la cui cessione e relativa notifica sono state contestate dal debitore ceduto, scaturiscono da un contratto di somministrazione di energia elettrica concluso il 22 ottobre 2010 tra il debitore ceduto – la società in house – e la società creditrice somministrante l’energia elettrica alla prima. Il 16 ottobre 2009 la società creditrice conclude un contratto di cessione del credito con un istituto di credito il quale, nelle more del pagamento da parte del debitore, conferisce mandato alla società cedente al fine di recuperare il proprio credito. Una volta instaurato il procedimento monitorio, il Tribunale adito emette un decreto ingiuntivo in favore della società cessionaria. Il debitore ceduto instaura in seguito il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo eccependo, inter alia, la mancata notifica della cessione del credito poiché effettuata non in conformità
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con le norme speciali (cfr. X.X. xxx 00 novembre 1923, n. 2440) in tema di notifica della cessione del credito dei confronti delle pubbliche amministrazioni e una eccezione di pagamento parziale del proprio debito.
Il Tribunale di Bologna, in accoglimento delle controdeduzioni di parte convenuta in relazione all’avvenuto pagamento di parte del debito ingiunto, revoca il decreto ingiuntivo condannando l’opponente al versamento del credito residuo e rigettando l’eccezione relativa all’inopponibilità della cessione del credito in ragione della propria natura di società in house di diritto pubblico.
COMMENTO
La sentenza in esame offre spunti di riflessione sull’opponibilità del credito ceduto al debitore ceduto nel caso in cui questo ultimo sia una società in house providing.
Le motivazioni riportate dal Tribunale di Bologna interessano soprattutto il tema a lungo dibattuto della natura privata o pubblica delle suddette società, suggellando l’orientamento ormai consolidato in giurisprudenza e le recenti novità normative introdotte dal legislatore con il D.lgs. 175/2016 (“Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica”) secondo le quali le società in house providing sono soggetti di diritto privato.
Il percorso argomentativo seguito dal giudice prende le mosse proprio dalla indagine sulla natura pubblicistica (o non) del debitore e dalla normativa di riferimento, ossia il D.l. n. 95 del 6 luglio 2012 (convertito in l. 135/2012). L’art. 4, comma 13 del D.l. 95/2012 precisa che “Le disposizioni del presente articolo e delle altre disposizioni, anche di carattere speciale, in materia di società a totale o parziale partecipazione pubblica si interpretano nel senso che, per quanto non diversamente stabilito e salvo deroghe espresse, si applica comunque la disciplina dettata dal codice civile in materia di società di capitali”. Tale norma, più volte considerata nei lavori preparatori1 e nella giurisprudenza come norma di interpretazione autentica nonché “norma di chiusura del sistema”2, elimina i dubbi circa l’inquadramento privatistico – e la contestuale applicazione delle norme in tema di società di capitali – alle società con partecipazione dello Stato o di altri enti pubblici. Tali società sono quindi (come anche sottolineato dal Tribunale nella sentenza in esame) soggetti di diritto privato che non perdono la propria natura a causa della partecipazione in esse di uno o più enti pubblici. Il rapporto tra ente pubblico e società è quindi di assoluta autonomia3.
La questione relativa alla natura delle società in house providing richiede ulteriori specifiche implicite nella motivazione del Tribunale di Bologna. Tali società, di matrice europea4, rappresentano un modello di gestione dei servizi pubblici mediante il quale l’amministrazione pubblica procede all’affidamento diretto di appalti o servizi, evitando di ricorrere alle classiche procedure di evidenza pubblica. Un modello gestionale siffatto ha provocato dubbi interpretativi che hanno condotto a una indebita sovrapposizione concettuale tra natura del soggetto e natura dell’attività, posto che detta forma societaria è in deroga ai principi in materia di libera concorrenza e di parità di trattamento degli operatori economici nonché è stata utilizzata - a livello nazionale - in modo strumentale per soddisfare esigenze politiche avulse alle finalità di efficientamento e aziendalizzazione delle pubbliche amministrazioni5. Anche in questo caso sia la dottrina che la giurisprudenza sono intervenute dimostrando come, al pari delle società in house, la presenza di un azionista pubblico non dia vita di per sé ad una distinta categoria societaria, arginando così quella ingiustificata tendenza a mescolare le norme sulla governance societaria con le norme sull’attività. Recentemente è altresì intervenuto il legislatore introducendo il Testo Unico in materia di società a partecipazione pubblica (D.lgs. 19 agosto 2016, n. 175) confermando l’approccio privatistico già emerso in sede
1 Si veda il parere del Comitato per la legislazione del Senato sul disegno di legge n. 5389 e servizio Studi della Camera – Osservatorio legislativo e parlamentare, Elementi di valutazione sulla qualità del testo e su specificità, omogeneità e limiti di contenuto del decreto legge. Definisce tale disposizione “norma di chiusura” che “dovrebbe porre fine a questioni interpretative sul regime speciale od ordinario delle società di cui alla fattispecie” Regione siciliana, circolare 29 agosto 2012, prot. n. 5444, questioni applicative nell’ordinamento regionale dell’art. 4 del d.l. 6 luglio 2012, n. 95 convertito con la l. 7 agosto 2012, n. 135.
2 CODAZZI, La giurisdizione sulle società cd. In house: spunti per una riflessione sul tema tra “anomalia” del modello e (in)compatibilità con il diritto societario, in Giur. comm., 2015, 238; sugli aspetti problematici connessi all’uso della disposizione citata come norma di interpretazione autentica si xxxx XXXXXXX, Società pubbliche. Sussiste la giurisdizione ordinaria sulla revoca degli amministratori di società pubbliche, in Giur. it., 2015, 8-9, 1914 ss.
3 XXXXXXX, Sulla natura privatistica degli atti di nomina e revoca di amministratori e sindaci di società a partecipazione pubblica, in Le Società, 2017, 482.
4 Xxxxx xx Xxxxxxxxx XX, 00 novembre 1999, C-107/98, Teckal, in Riv. it. Dir. Pubb. Com., 2000, 1399 ss.
5 XXXXXXX, Sulla natura privatistica degli atti di nomina e revoca di amministratori e sindaci di società a partecipazione pubblica, cit., 484; XXXXXXX, Le società di gestione dei servizi pubblici locali, in Riv. not., 2009, 897 ss.
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giurisprudenziale (anche in caso di in house providing) e l’applicazione del diritto comune alle società a partecipazione pubblica. Così l’art. 1, comma 3, del T.U. che nel sancire che “per tutto quanto non derogato dalle disposizioni del presente decreto, si applicano alle società a partecipazione pubblica le norma sulle società” tenta di disegnare una vera e propria linea di demarcazione tra diritto privato e diritto pubblico, razionalizzando una materia oggetto di plurimi interventi normativi. Il Tribunale di Bologna riconosce infatti in capo al debitore ceduto - società di in house providing – la natura di soggetto di diritto privato rigettando conseguentemente la pretesa dell’opponente circa l’inopponibilità del credito ceduto in quanto a lui notificato in violazione delle disposizioni in tema di cessione dei crediti verso la p.a.
Le doglianze del debitore ceduto riguardano – inter alia – la pretesa mancata notifica della cessione del credito il quale, essendo un credito vantato nei confronti di un ente asseritamente pubblico, avrebbe dovuto essere effettuata secondo gli specifici requisiti formali previsti dalla legislazione speciale. Nella specie la società di in house providing sosteneva che le modalità di comunicazione della cessione del credito avrebbero dovuto rispettare la forma imposta dall’art. 69 del X.X. 00 novembre 1923, n. 2440 in tema di notificazione della cessione del credito alla pubblica amministrazione. Ebbene, il Tribunale di Bologna, richiamando giurisprudenza consolidata sul punto6, rigetta le contestazioni attoree escludendo l’applicabilità di tale norma al caso di specie in quanto, come già illustrato, il debitore ceduto non può considerarsi un ente pubblico, bensì una società commerciale soggetta alle norme di diritto comune. Inoltre, osserva il Tribunale felsineo, la normativa invocata riguarda comunque esclusivamente l’amministrazione statale e non è suscettibile di trovare applicazione analogica o estensiva con riguardo ad amministrazioni diverse.
Pertanto la cessione del credito è stata correttamente notificata al debitore ceduto ai sensi dell’art. 1264 c.c. giacché tale articolo non impone alcuna formalità della notifica a pena di inefficacia7 e, come correttamente riportato in sentenza, può avvenire sia ad iniziativa del cedente che del cessionario e può essere effettuata anche con la citazione in giudizio o notifica del ricorso del decreto ingiuntivo.
Xxxxxx, la cessione asseritamente inopponibile al debitore del caso di esame - in realtà - era stata notificata al debitore ceduto in più occasioni, ossia: con lettera raccomandata 23 settembre 2011, con notifica del riscorso per decreto ingiuntivo e con la notifica del decreto ingiuntivo stesso. Il Tribunale di Bologna, quindi, rigetta le pretese attoree, condannando il debitore ceduto al pagamento del credito residuo, oltre spese legali.
La decisione in commento, pur senza apportare significative innovazioni nel noto dibattito in tema di natura giuridica delle società in house, contribuisce al consolidamento della lettura secondo cui, salvo deroga espressa, anche a queste società devono applicarsi le norme di diritto comune.
Avv. Xxxxxxxx Xxxxxxxx
xxxxxxxx.xxxxxxxx@xxxxxxxxxxxx.xx
Dott.ssa Xxxxxxxxxx Xxxxxxx
xxxxxxxxxx.xxxxxxx@xxxxxxxxxxxx.xx
6 X. Xxxx. civ., 12 febbraio 2015, n. 2760, in Giust. civ. Mass., 2015; Cass. civ., 14 ottobre 2015, n. 20739, in Giust. civ. Mass.,
2015; Cass. civ., 31 ottobre 2014, n. 23273, in Giust. civ. Mass., 2014; Cass. civ., 26 giugno 2008, n. 17496, in Giust. civ. Mass.,
2008.
7 Ciò in linea di continuità con quanto già affermato sul punto dalla Suprema Corte: “La notificazione della cessione del credito al debitore ceduto, prevista dall’art. 1264 cod. civ. , costituisce atto a forma libera, purché idoneo a porre il debitore nella consapevolezza della mutata titolarità attiva del rapporto obbligatorio, e, pertanto, può essere effettuata sia mediante ricorso per decreto ingiuntivo, sia mediante comunicazione operata nel corso del successivo giudizio di opposizione ex art. 645 cod. proc. civ.” (cfr. Cass. civ., 28 gennaio 2014, n. 1770, in Giust. civ. Mass., 2014).
Osservatorio della giurisprudenza in materia di factoring N. 3 / 2017
4.
Corte di Cassazione, sez. III civ., 6 luglio 2017, n. 16659
Responsabilità e risarcimento – Erronea iscrizione in banca dati – Danno non patrimoniale
– Sussiste – Prova anche per presunzioni.
(Codice Civile, artt. 1226, 2043, 2059 e 2697)
Il danno non patrimoniale, costituendo anch’esso pur sempre un danno-conseguenza, deve essere specificamente allegato e provato ai fini risarcitori, anche mediante presunzioni, in dimostrazione della conseguenza pregiudizievole derivata all’ente collettivo dalla “deminutio” della propria immagine determinata dalla comunicazione della notizia lesiva da individuarsi nella lesione della reputazione personale (che si manifesta nel “foro interno” come sentimento di appartenenza all’organismo collettivo dei titolari degli organismi amministrativi ed assembleari) e nella lesione della reputazione sociale (intesa come immagine di serietà ed affidabilità dell’ente collettivo proiettata all’esterno).
* * *
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. XXXXXXX Xxxxxx - Presidente -
Xxxx. XXXXXXXX Xxxxxxx - xxx. Consigliere -
Xxxx. XXXXXXXX Xxxxxx - Xxxxxxxxxxx -
Xxxx. XXXXXXXXX Xxxxxxx - Xxxxxxxxxxx -
Xxxx. XXXXXXXXX Xxxx - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 13909-2014 proposto da:
[Banca], in persona del Direttore Generale Xxxx. [omissis], elettivamente domiciliato in [omissis], presso lo studio dell’avvocato [omissis], rappresentato e difeso dagli avvocati [omissis] giusta procura speciale a margine del ricorso;
- ricorrente -
contro
[Società] (già omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore signor [xxxxxxx], domiciliata ex lege in [omissis], presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato [omissis] giusta procura speciale in calce al controricorso;
- controricorrente -
avverso la sentenza n. 1834/2013 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 06/06/2017 dal Consigliere Dott. [omissis]; udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Xxxx. [omissis] che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito l’Avvocato [omissis].
Fatti di causa
La Corte d’appello di Firenze con sentenza 25.11.203 n. 1834 in riforma della decisione di prime cura ha accolto l’appello proposto da [Società] (poi trasformatasi in [omissis]) ed ha condannato [Banca] per i servizi finanziari alle imprese s.p.a. a risarcire il danno non patrimoniale per lesione al diritto alla immagine subito dalla società in conseguenza della erronea segnalazione effettuata da [Banca] di insoluti, relativi al pagamento di canoni di contratto di leasing, con conseguente iscrizione della società commerciale tra i debitori inadempienti nel registro della banca dati privata SIC- ASSILEA.
Rilevato che la lesione dei diritti della personalità, riconosciuti dalla Carta costituzionale, ove non dipendente dalla natura fisica della persona umana, era configurabile anche nei confronti delle persone
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giuridiche e degli enti collettivi privi di personalità giuridica, se pur dotati di minore autonomia patrimoniale, e ritenuto che il danno - conseguenza dovesse essere ravvisato nella concreta percepibilità della informazione negativa - suscettibili di pregiudicare l’accesso al credito - da parte dei terzi - operatori finanziari che si avvalevano del servizio della banca - dati privata, ha liquidato in via equitativa pure la somma attualizzata di Euro 15.000,00 a ristoro del danno.
La sentenza di appello è stata ritualmente impugnata per cassazione da [Banca] con un unico motivo, illustrato da memoria ex art. 378 c.p.c.
Resiste con controricorso [Società]. Il Collegio ha raccomandato la redazione di motivazione semplificata.
Ragioni della decisione
Con l’unico motivo la banca censura la sentenza impugnata per violazione degli artt. 2059, 2043, 2697 e 1226 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
Assume la ricorrente che la “ratio decidendi” si palesa equivoca in quanto, da un lato, il Giudice di appello viene a ritenere che la durata (oltre due mesi) della permanenza della errata segnalazione nella banca - dati ha realizzato “una concreta interferenza sulle esigenze di accesso al credito”; dall’altro ha invece individuato il danno-conseguenza nella “effettiva percepibilità che i terzi società e banche- hanno della segnalazione”. In ogni caso la pronuncia incorre nell’errore di diritto in quanto: a) la violazione dei diritti protetti da norme costituzionali non determina ex se l’automatica produzione di un “eventus – damni”, che deve invece pur sempre essere provato dal danneggiato nell’ “an” e nel “quantum”; b) tale danno non può essere identificato nella “percepibilità” della segnalazione inserita nella banca - dati, in quanto tale evento deve ricondursi alla fattispecie illecita violativa del diritto e non al momento successivo della produzione delle conseguenze dannose.
Il motivo, che individua chiaramente le statuizioni impugnate ed assolve ai requisiti di specificità ex art. 366 c.p.c., comma 1 - dovendo conseguentemente rigettarsi la eccezione di inammissibilità proposta dalla parte resistente - è fondato.
La questione di diritto sottoposta alla Corte concerne la risarcibilità del danno non patrimoniale in quanto conseguenza immediata e diretta della lesione di diritti fondamentali della persona, garantiti da copertura costituzionale, con riferimento - al caso di specie - alla violazione del “diritto alla immagine” od alla “reputazione sociale” di una società commerciale (inteso come diritto della personalità, rinveniente fondamento nell’art. 2 Cost., e nell’art. 8, paragr. 1 della Carta dei diritti fondamentali della UE, concernente la identificazione e la rappresentazione della di se stessi, che trova realizzazione attraverso la espressione di determinati requisiti caratterizzanti la individualità della persona fisica, giuridica, od altro ente comunque dotato di parziale autonomia nei rapporti giuridici, e declinabile in senso riflessivo - percezione e considerazione di sé; autostima; reputazione personale- ed in senso ostensivo - percezione e considerazione accreditata presso gli altri; reputazione sociale-). Le questioni prospettate dal motivo di ricorso attengono in particolare:
a) alla individuazione del danno non patrimoniale come danno - evento, o danno “in re ipsa” (coincidente con la condotta violativa del diritto, e cioè con il perfezionamento della fattispecie illecita) ovvero come “danno-conseguenza” (ossia come ulteriore “prodotto”, effetto ontologicamente distinto, e cronologicamente successivo, rispetto alla violazione del diritto, id est al perfezionamento della fattispecie illecita).
b) alla descrizione degli elementi costitutivi della fattispecie dell’illecito consistente nella violazione dell’immagine o della reputazione della società, avuto riguardo alla condotta materiale necessaria ad integrare la violazione del diritto tutelato.
Xxxxxx, quanto al primo aspetto, la giurisprudenza di questa Corte ha da tempo abbandonato la originaria e risalente tesi, prospettata in relazione al danno biologico per la lesione della integrità psicofisica da Corte cost. 14 luglio 1986 n. 184, ed estesa alla lesione di diritti fondamentali - insuscettibili di valutazione economica, secondo cui la condotta lesiva era “ex se” dimostrativa del pregiudizio - di natura non patrimoniale- risarcibile, essendo approdata in seguito ad un complesso e travagliato percorso ermeneutico, attraverso la sussunzione della categoria dell’illecito produttivo del danno non patrimoniale ex art. 2059 c.c., nell’ambito dello schema strutturale della norma generale sull’illecito extracontrattuale ex art. 2043 c.c., alla indifferenziata applicazione del criterio causale, fondato sulla relazione “condotta
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materiale evento-lesivo - conseguenza dannosa” (artt. 1223 e 2056 c.c.), a qualsiasi violazione di un interesse giuridicamente suscettibile di protezione secondo l’ordinamento giuridico, con la conseguenza che del tutto identiche si pongono le esigenze di prova della esistenza e dell’ammontare del danno “patrimoniale” e “non patrimoniale”, non rilevando in contrario, ai fini dell’accertamento delle conseguenze pregiudizievoli, la natura non economica - insuscettibile di espressione equivalente attraverso la misura del valore di scambio – dell’interesse tutelato dall’ordinamento che è stato leso, operando su un diverso piano ontologico la determinazione dell’ “an” e del “quantum” del danno risarcibile.
In particolare questa Corte Cass. Sez. U, Sentenza n. 26972 del 11/11/2008 ha definitivamente chiarito che l’art. 2059 c.c. opera esclusivamente sul piano della limitazione della risarcibilità del danno non patrimoniale “ai soli casi previsti dalla legge” (1- illecito astrattamente configurabile come reato: art. 185 c.p., comma 2; 2 - illecito, non qualificabile come reato, ma che per espressa previsione di legge impone il ristoro di un danno non patrimoniale; 3 - illecito non bagatellare- che abbia leso diritti inviolabili della persona, oggetto di tutela costituzionale), lasciando integri gli elementi della fattispecie costitutiva dell’illecito ex art. 2043 c.c. (la condotta illecita, l’ingiusta lesione di interessi tutelati dall’ordinamento, il nesso causale tra la prima e la seconda, la sussistenza di un concreto pregiudizio patito dal titolare dell’interesse leso).
Il principio ha trovato seguito nella giurisprudenza di legittimità, per cui può conclusivamente affermarsi che il “danno non patrimoniale”, costituendo anch’esso pur sempre un danno-conseguenza, deve essere specificamente allegato e provato ai fini risarcitori, anche mediante presunzioni, non potendo mai considerarsi “in re ipsa” (cfr. Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 20987 del 08/10/2007 - con riferimento alla prova del danno esistenziale; id. Sez. 3, Sentenza n. 10527 del 13/05/2011; id. Sez. 3, Sentenza n. 13614 del 21/06/2011; id. Sez. 1, Sentenza n. 7471 del 14/05/2012 - relativa alla prova del danno non patrimoniale derivato dalla lesione della dignità personale-; id. Sez. 6 - 1, Ordinanza n. 21865 del 24/09/2013 concernente la prova del danno non patrimoniale derivato dalla elevazione di protesto illegittimo; id. Sez. 3 -, Sentenza n. 20643 del 13/10/2016 - con riferimento alla prova del danno non patrimoniale per lesione della reputazione sociale di un ente collettivo).
Tanto premesso la censura è infondata.
Il richiamo effettuato dal Giudice di appello al risalente orientamento giurisprudenziale secondo cui “l’effettivo danno morale dovuto alla perdita di immagine determina in questo caso un danno che si ritiene in re ipsa....senza che incomba sul danneggiato l’onere di fornire la prova dell’esistenza di uno specifico pregiudizio...” (sentenza appello in motiv. pag. 6), proposizione estrapolata dall’intero contesto motivazionale sulla quale si incentra la critica della banca, si innesta infatti nella descrizione storica della evoluzione giurisprudenziale di legittimità in tema di danno non patrimoniale, mentre la conclusione argomentativa che viene a trarre, in esito a tale excursus, la Corte territoriale, appare conforme agli indicati principi di diritto laddove coniugando, sia pure con una non felice costruzione sintattica, la “concreta interferenza sulle esigenze di accesso del credito” con la “effettivà percepibilità”, da parte degli utenti della banca-dati, della segnalazione arrecante il discredito sociale, ha inteso accertare gli effetti pregiudizievoli di natura non patrimoniale prodotti dalla condotta illecita della banca consistiti, non nella perdita di occasioni di finanziamento (suscettibile comunque di valutazione patrimoniale anche ove considerata in termini di “chance”), sibbene nella situazione in cui si era venuta a trovare la società nell’ambiente in cui operava (e cioè, come correttamente evidenziato dal Giudice di appello, tra i soggetti autorizzati ad accedere alla banca-dati, e dunque tra “gli operatori economici e commerciali ai quali l’impresa si rivolge abitualmente per l’indispensabile accesso al credito”) che la qualificava come soggetto economico se non impresentabile comunque a ridotta affidabilità rispetto alle società regolarmente adempienti agli obblighi restitutori delle rate di finanziamento o dei canoni di leasing.
La decisione è conforme ai principi enunciati nel precedente di questa Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 12929 del 04/06/2007, anch’esso richiamato nella sentenza di appello, che ha ribadito la distinzione tra evento lesivo e danno-conseguenza, puntualizzando come anche nella lesione della “reputazione personale” (che si manifesta nel “foro interno” come sentimento di appartenenza all’organismo collettivo dei titolari degli organi amministrativi ed assembleari) e della “reputazione sociale” (intesa come immagine di serietà ed affidabilità dell’ente collettivo proiettata all’esterno) della persona giuridica o di
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centri dotati comunque di livelli differenti di soggettività, il danno-conseguenza deve essere provato, rimanendo esclusa la ipotesi del danno “in re ipsa”, ben potendosi pervenire anche attraverso elementi presuntivi alla dimostrazione della conseguenza pregiudizievole derivata - ex art. 1223 c.c., - all’ente collettivo dalla “deminutio” della propria immagine determinata dalla comunicazione della notizia lesiva (nella specie si trattava di comunicazione alla Centrale dei rischi della Banca d’Italia dello “stato di sofferenza” di una impresa), da individuarsi, quanto alla lesione della reputazione personale, nella “incidenza negativa sull’agire delle persone fisiche che ricoprano gli organi della persona giuridica o dell’ente collettivo” che “rappresenta un danno non patrimoniale che non si identifica nella lesione dell’immagine in sé, ma ne rappresenta una conseguenza a detta lesione ricollegata da un nesso causale”, e quanto alla lesione della reputazione sociale nella effettiva diffusione della notizia screditante, nella specie accertata dalla Corte d’appello in relazione alla permanenza della segnalazione negativa nella banca- dati per oltre due mesi.
In conclusione il ricorso deve essere rigettato e la società ricorrente va condannata alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità liquidate in dispositivo.
PQM
rigetta il ricorso principale.
Condanna la ricorrente al pagamento in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 - bis.
Motivazione Semplificata.
Così deciso in Roma, il 6 giugno 2017. Depositato in Cancelleria il 6 luglio 2017
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IL CASO
La pronuncia trae origine dal ricorso in Cassazione proposto dalla Banca contro la sentenza emanata dalla Corte d’Appello di Firenze, la quale in riforma della pronuncia di primo grado ha condannato l’istituto bancario a risarcire il danno non patrimoniale per lesione al diritto alla immagine subito dalla società a causa della erronea segnalazione alla Centrale Rischi effettuata dall’istituto di credito, lamentando canoni insoluti relativi ad un contratto di leasing.
Secondo la Corte territoriale l’inserimento del nominativo della Società nella banca dati della Centrale Rischi ha procurato un danno di immagine all’azienda, qualificandola come soggetto a ridotta affidabilità e rendendole difficile l’ulteriore accesso al credito. La prolungata durata (oltre due mesi) della permanenza della errata segnalazione nella banca dati ha realizzato “una concreta interferenza sulle esigenze di accesso al credito”.
La Corte di Xxxxxxx ha ribadito il principio per cui la lesione dei diritti della personalità, riconosciuti dalla Costituzione, rileva indipendentemente dalla natura di persona giuridica o ente collettivo privo di personalità giuridica e ha ritenuto che, nella fattispecie, il danno-conseguenza sia da ravvisare nel concreto pregiudizio di accesso al credito da parte dei terzi operatori finanziari che si avvalgono del servizio della banca dati. Per l’effetto ha condannato l’istituto bancario a risarcire il danno in via equitativa.
L’unica questione di diritto sottoposta al giudizio della Suprema Corte di Cassazione concerne la risarcibilità del danno non patrimoniale in quanto conseguenza immediata e diretta della lesione di diritti fondamentali della persona, garantiti da copertura costituzionale, con riferimento alla violazione del “diritto alla immagine” od alla “reputazione sociale” di una società commerciale (inteso come diritto della personalità tutelato all’art. 2 Cost. e all’art. 8 par. 1 della Carta dei diritti fondamentali della UE).
La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso confermando quanto già deciso dalla Corte di Appello di Firenze.
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COMMENTO
Le questioni di diritto sottoposte alla Corte attengono i) alla individuazione del danno non patrimoniale come danno in re ipsa (coincidente con la violazione del diritto) o come danno-conseguenza (effetto ontologicamente distinto, e cronologicamente successivo rispetto alla violazione del diritto); ii) alla descrizione degli elementi costitutivi della fattispecie dell’illecito consistente nella violazione alla immagine o alla reputazione della società.
Il danno da illegittima segnalazione può rilevare sia come danno patrimoniale sia come danno non patrimoniale.
A livello di danno patrimoniale, il danno si concretizza soprattutto sotto il profilo della riduzione della possibilità di investimenti e di accesso al credito - se non addirittura l’impossibilità. Infatti la segnalazione alla Centrale Rischi potrebbe indurre gli altri istituti di credito a procedere alla revoca degli affidamenti bancari già concessi o anche ad impedire al soggetto l’apertura di nuovi conti correnti, innescando così un pericoloso “effetto domino”1.
In ordine al danno non patrimoniale, esso è comprensivo di molteplici componenti, ovvero del danno morale e del danno alla reputazione personale e commerciale2 del soggetto ingiustamente segnalato, rientrando entrambi nel novero dei diritti della personalità3 garantiti dall’art. 2 Cost., e fra tali effetti lesivi rientra l’immagine della persona giuridica o ente collettivo.
Dunque, se verificato e provato, il danno non patrimoniale è costituito, nel caso in esame e come affermato dalla Corte, non solo dalla perdita di occasioni di finanziamento (suscettibile comunque di valutazione patrimoniale), ma anche dalla situazione in cui si era venuta a trovare la società nell’ambiente in cui operava (cioè tra i soggetti autorizzati ad accedere alla banca dati e dunque agli operatori economici e commerciali ai quali l’impresa si rivolge abitualmente per l’accesso al credito), nonché la conseguenza derivante dalla qualifica come soggetto economico se non impresentabile comunque a ridotta affidabilità rispetto alle società regolarmente adempienti agli obblighi restitutori delle rate di finanziamento o dei canoni di leasing.
La Corte ha inoltre ribadito la distinzione tra evento lesivo e danno-conseguenza, puntualizzando come anche nella lesione della “reputazione personale” e della “reputazione sociale” della persona giuridica, il danno-conseguenza deve essere provato, rimanendo esclusa la ipotesi del danno in re ipsa, dalla “deminutio” della propria immagine determinata dalla comunicazione della notizia lesiva, da individuarsi, quanto alla lesione della reputazione personale, nella “incidenza negativa sull’agire delle persone fisiche che ricoprano gli organi della persona giuridica o dell’ente collettivo che rappresenta un danno non patrimoniale che non si identifica nella lesione dell’immagine in sé, ma ne rappresenta una conseguenza a detta lesione ricollegata da un nesso causale”; e quanto alla lesione della reputazione sociale nella effettiva diffusione della notizia screditante in relazione alla permanenza della segnalazione negativa nella banca dati per oltre due mesi4.
L’illecito costituito dall’erronea segnalazione di un soggetto alla Centrale Rischi costituisce un fatto illecito, il quale, ai sensi degli artt. 2043 e 2050 c.c., obbliga il segnalante al risarcimento dei danni. Infatti ogni qualvolta emerga che la notizia lesiva risulti compresa nella banca dati della Centrale Rischi per un tempo sufficiente a consentirne la percepibilità da parte
1 XXXXX, Centrale Rischi e Sic: quando una segnalazione è illegittima e quando spetta il risarcimento, in Altalex online, 28 giugno 2017; che richiama la giurisprudenza di Trib. Milano, 31 luglio 2001, in Borsa banca tit. cred., 2003, II, 633 ss.; Trib. Roma, 24 marzo 2000, in Contratto impr., 2000, 811 ss.; Trib. Cagliari, 28 novembre 1995, in Banca borsa tit. cred., 1997, II, 492 ss. (con nota di XXXXX). 2 Si tende a distinguere i concetti di reputazione personale e reputazione commerciale. La reputazione personale costituisce un diritto inviolabile della persona (fisica o giuridica) dalla cui lesione discende un danno non patrimoniale, risarcibile per il solo fatto della lesione e dunque a prescindere da una prova del danno. La reputazione commerciale rappresenta invece soltanto un’espressione più elegante per denominare un aspetto dell’avviamento di un’impresa dalla cui lesione deriva un danno prettamente patrimoniale, che come tale va provato. Sul punto si veda DELLI PRISCOLI, Diritti della personalità, persone giuridiche e società di persone, in Giust. civ., 2008, 1198 ss., che richiama XXXXXX, La tutela della reputazione economica, in L’informazione e i diritti della persona (a cura di XXXX, BESSONE, XXXXXXXX, CHIAZZA), 1983, 93 ss.
3 Secondo l’orientamento ormai consolidato in giurisprudenza e dottrina, il danno non patrimoniale non si esaurisce nel danno morale da sofferenza fisica e psichica, ma abbraccia anche tutti quei pregiudizi arrecati ad interessi non economici e che si possono tradurre in un danno biologico, esistenziale o ai diritti della personalità. Sul punto si veda DELLI PRISCOLI, Diritti della personalità, persone giuridiche e società di persone, cit.; in senso conforme XXXXX, Centrale Rischi e Sic: quando una segnalazione è illegittima e quando spetta il risarcimento, cit.
4 XXXXXXXXX, Segnalazione illegittima, necessaria la prova del danno lamentato, in Diritto&Giustizia, 2017, 15, 49 ss. (commento a Cass. civ., 25 gennaio 2017, n. 1931); GRECO, Illegittima segnalazione alla Centrale dei Rischi e responsabilità dell’intermediario, in Resp. civ. e prev., 2009, 12, 2543 ss.; DELLI PRISCOLI, Diritti della personalità, persone giuridiche e società di persone, cit.; Cass. civ., 1 ottobre 2013, n. 22396, in Giust. civ. Mass., 2013; Cass. civ., 12 dicembre 2008, n. 29185, in Giust. civ. Mass., 2008, 12, 1766 ss.; Cass. civ., 4 giugno 2007, n. 12929, in Giust. civ., 2008, 4, I, 998 ss.
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di coloro che vi hanno accesso, può ritenersi verificata la presunzione di un danno non patrimoniale in capo al segnalato5. La risarcibilità del danno non patrimoniale potrà essere riconosciuta a condizione di dimostrare che il danno non patrimoniale sia conseguenza immediata e diretta della condotta materiale della banca, per la cui determinazione può procedersi in via equitativa tenendo conto di tutte le circostanze del caso concreto6.
La Corte ha dunque ritenuto, confermando quanto statuito dalla Corte di Appello e rimanendo in linea ai principi enunciati dalla giurisprudenza maggioritaria7, che l’istituto di credito è responsabile dell’errata segnalazione alla Centrale Rischi e deve allegare e dimostrare ai fini risarcitori, anche mediante presunzioni semplici, che detto fatto abbia comportato una lesione alla reputazione personale o commerciale del soggetto - questi rientranti nella fattispecie di danno non patrimoniale - non potendo mai considerarsi un danno in re ipsa8, vale a dire automaticamente riconosciuto al soggetto ingiustamente segnalato, in quanto quest’ultimo dovrà comunque dimostrare di aver subito un danno in conseguenza del fatto illecito, poiché la lesione di un diritto inviolabile non determina, di per sé, la sussistenza di un danno risarcibile, essendo comunque necessario che la vittima abbia effettivamente patito un pregiudizio9.
Avv. Xxxxxxxxxx Xxxxxxx
xxxxxxxxxx.xxxxxxx@xxxxxxxxxxxx.xx
Dott.ssa Xxxxxxxxxx Xxxxxxxxxx
xxxxxxxxxx.xxxxxxxxxx@xxxxxxxxxxxx.xx
5 GRECO, Illegittima segnalazione alla Centrale dei Rischi e responsabilità dell’intermediario, cit.; XXXXXXXXX, Segnalazione illegittima, necessaria la prova del danno lamentato, cit.
6 XXXXX, Centrale Rischi e Sic: quando una segnalazione è illegittima e quando spetta il risarcimento, cit.; Cass. civ., 4 giugno 2007, n. 12929, cit.
7 Ex multis Cass. civ., 25 gennaio 2017, n. 1931, in Xxxxxxxxxxxx.xx, 10 febbraio 2017; Diritto&Giustizia, 2017, 26 gennaio (con nota di XXXXXXXXX, Segnalazione illegittima, necessaria la prova del danno lamentato, cit.); Cass. civ., 13 ottobre 2016, n. 20643, in Diritto & Giustizia, 14 ottobre 2016 (con nota di SUMMA); Cass. civ., 24 settembre 2013, n. 21865, in Giust. civ. Mass., 2013; Cass. civ., 14 maggio 2012, n. 7471, in Giust. civ. Mass., 2012, 5, 606 ss.; Cass. civ., 21 giugno 2011, n. 13614, in Giust. civ. Mass., 2011, 7-
8, 997 ss.; Cass. civ., 13 maggio 2011, n. 10527, in Giust. civ. Mass., 2011, 5, 741 e ss.; Cass. civ., 8 ottobre 2007, n. 20987, in Giust. civ. Mass., 2007, 10; Resp. civ. e prev., 2008, 4, 865 ss. (con nota di CHRISTANDL); XXXXX, Centrale Rischi e Sic: quando una segnalazione è illegittima e quando spetta il risarcimento, cit.
8 Cass. civ., 13 ottobre 2016, n. 20643, cit.; Cass. civ. 14 maggio 2012, n. 7471, cit.; Cass. civ., 13 maggio 2011, n. 10527, cit.;
Cass. civ., 8 ottobre 2007, n. 20987, cit.; Trib. Salerno, 7 ottobre 2016, n. 4490, in Redazione Xxxxxxx, 2016.
9 In passato, la prevalente giurisprudenza – confermata da una sentenza della Xxxxx Xxxxxxxxxxxxxx, 00 luglio 1986, n. 184 - era concorde nel ritenere che in caso di segnalazione illegittima, il danno fosse in re ipsa e che, pertanto, a questo titolo, il risarcimento dovesse essere accordato senza che il danneggiato avesse l’onere di fornire la prova dell’esistenza della lesione medesima. Successivamente, la stessa Corte Costituzionale, con sentenza del 27 ottobre 1994, n. 372, ha riformulato quanto espresso in precedenza, affermando che “la prova della lesione è, in re ipsa, prova dell’esistenza del danno […], ma ai fini del risarcimento è sempre necessaria la prova ulteriore […] che la lesione ha prodotto una perdita, costituita dalla diminuzione o privazione di un valore personale (non patrimoniale), alla quale il risarcimento deve essere (equitativamente) commisurato”. Si veda sul punto GRECO, Illegittima segnalazione alla Centrale dei Rischi e responsabilità dell’intermediario, cit.; Cass. civ., 13 maggio 2011, n. 10527, cit.
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