FATTI DI CAUSA. Con sentenza n. 1030/2019 del 19 marzo 2019 la Corte di appello di Venezia, in riforma della sentenza di primo grado ed in conseguente accoglimento della domanda avanzata da B.T. contro S.E. – avendo rite- nuto cessato, alla prevista scadenza del 1 ottobre 2014, il contratto di comodato di immobile stipulato sei mesi prima tra B.T. ed il figlio X., coniuge della S. – ha con- dannato quest’ultima (che lo deteneva quale casa fami- liare assegnatale nel successivo giudizio di separazione e poi in quello di divorzio) al rilascio del bene in favore di B.T., oltre che al pagamento, in favore dello stesso, della somma di Euro 300 al mese dalla domanda al ri- lascio, oltre interessi legali dalla sentenza al saldo. “Superati i primi due motivi di gravame, relativi al con- testato abuso del diritto, espressione utilizzata dal tri- bunale nei confronti della condotta di B.T.” (questo te- stualmente l’incipit della parte motiva della sentenza), la corte lagunare ha ritenuto costituire “ragione più li- quida” per l’accoglimento del gravame quella proposta con il terzo motivo con il quale il B. si doleva della vio- lazione dell’art. 1809 c.c. e della costante giurispruden- za di legittimità in materia di assegnazione della casa familiare di proprietà di terzi e vincolata da comodato a termine non correlato alle esigenze familiari. “Xxxx è, infatti, – si osserva in sentenza – che S.E. era assegnataria della ex casa coniugale di (Xxxxxxx), in quanto i figli minori, affidati congiuntamente ai genito- ri, avevano abitazione prevalente presso la madre, ma su detto immobile, ... incontestatamente di proprietà di B.T., gravava un comodato a titolo gratuito della durata di mesi 6, sottoscritto dal padre X. in favore del figlio G. – ex marito della S. davanti al notaio in data 1/4/2014”. “Il comodato, dunque, veniva a scadere il 1 ottobre ed era stato concesso a B.G. espressamente ‘affinché il comodatario possa servirsi del bene ed utilizzarlo a suo piacimento, salva la natura, la sostanza della cosa stessa e la sua naturale destinazione’: altrimenti det- to, il comodato, costituito prima della presentazione, da parte di G., della domanda di separazione giudizia- le in data (Omissis), non menzionava le esigenze fa- miliari, né le considerava in alcun modo, essendo esso finalizzato esclusivamente, come precisato nell’atto, alle necessità di B.G.”.
FATTI DI CAUSA. La Corte d'appello di Torino con sentenza del 26 marzo 2013 ha confermato la decisione di primo grado, che aveva respinto tutte le domande proposte da R.C.C., R.S.A. e T.M., in proprio e quali eredi di R.M.R.P., volte all'accertamento della nullità, o, in subordine, all'annullamento o alla risoluzione per inadempimento, nonchè alla condanna alle restituzioni sia del capitale inizialmente versato di Euro 2.652.186,81, sia del saldo negativo del rapporto di gestione patrimoniale di Euro 494.691,61 oltre accessori, con riguardo ai contratti di gestione patrimoniale, investimento e finanziamento conclusi con Banca Sella s.p.a. sin dal 1997. La corte territoriale, per quanto ancora rileva, ha ritenuto che: a) pur essendo stato il contratto- quadro di gestione, consulenza ed amministrazione di portafogli in data 20 aprile 1998 sottoscritto solo dai clienti, e non anche da un funzionario della banca, nondimeno non sussiste nullità per difetto di forma scritta: osservando, da un lato, che il contratto reca la dichiarazione espressa degli investitori circa la consegna di un esemplare del contratto "sottoscritto per accettazione dai soggetti abilitati a rappresentarvi", ossia la banca, onde risulta che ogni parte abbia consegnato all'altra copia da essa sottoscritta; e, dall'altro lato, che nè le fonti comunitarie, nè il precedente storico di cui alla L. 2 gennaio 1991, n. 1, art. 6 postulano il requisito della forma scritta contrattuale, ma piuttosto il requisito sostanziale della idonea informazione, e che il requisito previsto dal X.Xxx. 24 febbraio 1998, n. 58, art. 23 è soddisfatto dalla firma dell'investitore, quale precetto di protezione del medesimo, volto essenzialmente a superare le asimmetrie informative; b) sebbene il predetto contratto-quadro sia intervenuto alcuni mesi dopo l'inizio del rapporto di gestione patrimoniale, le precedenti operazioni non sono state mai contestate dai clienti, nè sono state individuate specificamente le operazioni anteriori al 20 aprile 1998, di cui si voglia far valere la nullità; c) detto contratto contiene tutti gli elementi prescritti dal legislatore, nè i clienti hanno precisato di quali elementi essenziali difetterebbe; d) non sono nulli i singoli ordini di investimento, perchè la loro materiale esecuzione rientrava nella gestione discrezionale della banca non presupponente una veste contrattuale formale, mentre le parti ebbero a pattuire non la forma scritta degli ordini, ma quella telefonica; e) nessuna operazione es...
FATTI DI CAUSA. (omissis) docente di religione cattolica presso la scuola pubblica, ha agito presso il Tribunale di Avezzano nei confronti del Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca (di seguito, MIUR), esponendo, per quanto qui ancora interessa, di aver prestato servizio, in forza di reiterati rapporti a tempo determinato, continuativamente dall'anno scolastico 1993/1994 fino all'epoca di deposito del ricorso in primo grado (anno scolastico 2011/2012) ed insistendo, sul presupposto di essere stato dichiarato idoneo nella graduatoria del concorso del 2004, per la declaratoria del suo diritto all'assunzione a tempo indeterminato e comunque per il risarcimento del danno, anche per abusiva reiterazione dei rapporti a termine. Il Tribunale di Avezzano ha riconosciuto il solo diritto al risarcimento del danno per abusiva reiterazione dei rapporti a termine, che ha liquidato, secondo i parametri di cui all'art. 32, co. 5, L. 183/2010, in misura di 10 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto, rigettando invece la domanda di accertamento del diritto all'assunzione. La sentenza è stata confermata dalla Corte d'Appello di L'Aquila, la quale ha rigettato sia il gravame principale del MIUR, sia quello incidentale del lavoratore, con cui egli aveva insistito per la conversione del rapporto a tempo indeterminato.
FATTI DI CAUSA. C.G., + Altri Omessi ricorrono, sulla base di quattro motivi, per la cassazione della sentenza n. 837/20, del 17 giugno 2020, della Corte d’appello de L’Aquila, che – respingendone il gravame avverso l’ordinanza resa il 4 ottobre 2016 dal Tribunale di Lanciano, all’esito di giudizio dalle stesse radicato ex art. 702-bis c.p.c. – ha confermato il rigetto della domanda di pagamento da costoro indirizzata nei confronti della società B. Ca. S.p.a. (d’ora in poi, “Ca.”).
FATTI DI CAUSA. Come si legge nella sentenza impugnata, con atto di citazione notificato il 18 dicembre 2001, C.S. ed Z.E., premesso che avevano stipulato con N.M.N. e T.G. un contratto preliminare per l’acquisto di un fabbricato in [Omissis] e delle aree scoperte di pertinenza, che, a termini dell’accordo, l’immobile, già ristrutturato, avrebbe dovuto essere consegnato il 30 giugno 2001 al prezzo di lire 300 milioni, che, alla firma del pre- liminare, avevano versato la caparra confirmatoria di lire 100.000.000, che, decorso invano il termine pattuito, avevano integrato, in data 12 luglio 2001, il contratto preliminare, prevedendo l’acquisto di un’ul- teriore porzione di immobile dello stesso compendio per ulteriori lire 300 milioni e il versamento di una caparra confirmatoria di lire 50 milioni e procrasti- nando la data di consegna del bene, che, nelle more, avevano messo in vendita la propria abitazione, pro- mettendo di consegnarla entro il 15 novembre 2001, che, nel settembre 2001, avevano scoperto che non era stata mai rilasciata alcuna concessione edilizia e che l’immobile non era stato frazionato, né era fra- zionabile, che, pertanto, avevano inizialmente chiesto la restituzione della somma di lire 200 milioni fino ad allora versata e successivamente valutato, invece, l’acquisto dell’intero compendio, con versamento di un’ulteriore somma che avrebbe consentito di liberare il bene dall’ipoteca, che, appreso della demanialità di una parte dell’immobile, avevano chiesto di ridiscute- re il prezzo, indicato dai T. in lire 900 milioni, e che, al loro rifiuto, questi ultimi avevano loro comunicato il recesso per inadempimento, convennero in giudizio i promittenti venditori, onde ottenere la risoluzione per inadempimento del preliminare, il versamento del doppio della caparra e il risarcimento del danno. Costituitisi in giudizio, i coniugi T. addebitarono ad essi l’inadempimento, domandando lo scioglimento dei contratti per manifestazione dello ius variandi delle parti e l’accertamento dell’illegittima interruzio- ne delle trattative, con condanna al risarcimento dei danni. Emesso, in corso di causa, il sequestro conserva- tivo dei beni dei convenuti, il Tribunale di Venezia, con sentenza n. 2582/2007 del 7 settembre 2007, dichiarò l’inammissibilità della domanda di accerta- mento della nullità dei contratti preliminari, accertò e dichiarò l’impossibilità di esecuzione degli stessi e condannò i convenuti, in solido, a pagare la somma di Euro 106.937,07, oltre interessi ...
FATTI DI CAUSA. Con ricorso depositato il 27 giugno 2008 i signo- ri (OMISSIS) e (OMISSIS), comproprietari di un’unità immobiliare posta al settimo piano dell’edificio del
FATTI DI CAUSA. I lavoratori meglio indicati in epigrafe, docenti di religione cattolica presso la scuola pubblica, hanno agito presso il Tribunale di Viterbo nei confronti del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della ricerca (di seguito, MIUR), esponendo di aver prestato servizio, in forza di rapporti in successione a tempo determinato, fin dal 24 ottobre 2001 ed insistendo per il riconoscimento dell’illegittimità dei termini apposti ai contratti, con conversione a tempo indeterminato e risarcimento del danno. Il Tribunale di Viterbo, ritenuta l’assenza di causale giustificativa e dando atto della continua reiterazione dei rapporti ha riconosciuto il diritto al risarcimento del danno che ha liquidato, secondo i parametri di cui all’art. 32, co. 5, L. 183/2010, in importi variabili, per ciascuno dei ricorrenti, da 6 a 7,5 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto e rigettando invece la domanda di conversione dei rapporti a tempo indeterminato. La sentenza è stata confermata dalla Corte d’AppelloNudmieroRdoi rmaccaol,ta cgehneerale 19044/2022 ha disatteso sia l’appello principale del MIUR, sia quello incidentale dei lavoratori, quest’ultimo finalizzato ad insistere per la conversione a tempo indeterminato dei rapporti di docenza.
FATTI DI CAUSA. La Corte d'Appello di Lecce, respingendo l'appello principale e incidentale proposti avverso la sentenza del Tribunale della stessa citta', ha confermato la sentenza di primo grado, che aveva dichiarato la nullita' dei contratti di lavoro a termine, intercorsi nel periodo tra il 12 dicembre 2002 e il 5 gennaio 2009, tra il Comune di e , aveva rigettato la domanda di conversione a tempo indeterminato di tali rapporti e aveva condannato il Comune al risarcimento del danno in favore del lavoratore, quantificato nella misura corrispondente a quindici mensilita' dell'ultima retribuzione globale di fatto, oltre interessi e rivalutazione monetaria.
FATTI DI CAUSA. La Corte d'appello aveva respinto il reclamo di una lavoratrice avverso la sentenza di primo grado che aveva confermato l'ordinanza di rigetto dell'impugnativa del licenziamento intimato dalla società per superamento del periodo di comporto, per assenze protratte oltre 180 giorni a causa di infortunio. La Corte territoriale argomentava che le assenze per infortunio sul lavoro o malattia professionale rientravano nella disciplina di cui all'art. 2110 c.c. e erano computabili nel periodo di conservazione del posto di lavoro, la cui determinazione è rimessa, dalla citata disposizione, alla legge, alle norme collettive, agli usi o all'equità. Rilevava come il c.c.n.l. fissava, per la disciplina di conservazione del posto in caso di infortunio sul lavoro o malattia professionale, il periodo di comporto in 180 giorni. Escludeva anche che l'infortunio occorso alla lavoratrice avesse avuto origine in fattori di nocività insiti nelle modalità di esercizio delle mansioni o comunque presenti nell'ambiente di lavoro oppure in inadempienze del datore di lavoro agli obblighi imposti dall'art. 2087 c.c..
FATTI DI CAUSA. La Corte d'appello di Genova, con sentenza del 16.12.2016, respingeva il gravame proposto da e da altri litisconsorti - ex dipendenti di s.p.a. con qualifiche e mansioni di