FATTO. Con ricorso del 24 giugno 2016 il ricorrente lamentava che l’intermediario non avesse dato seguito ad un accordo di rinegoziazione, nonostante l’esistenza di tutte le condizioni e chiedeva all’Arbitro di riconoscere valido ed efficace detto accordo. Xxxxxxx, infatti, il ricorrente di essere contitolare, insieme al coniuge, di un finanziamento contratto con l’intermediario per l’acquisto della prima casa e di aver presentato, in data 9.10.2015, richiesta per la rinegoziazione del mutuo. Narrava ancora il ricorrente che tale richiesta veniva accolta dalla banca, che invitava i clienti a sottoscrivere l’accordo, effettivamente sottoscritto in data 6.11.2015 e inviato all’intermediario. Il ricorrente riferiva, tuttavia, che successivamente veniva contattato dall’intermediario al fine di sottoscrivere una nuova richiesta di rinegoziazione, non essendo la prima andata a buon fine per incompletezza della documentazione, benché i ricorrenti avessero provveduto ad inviare la documentazione mancante; A seguito della nuova richiesta, l’intermediario rifiutava di dar corso alla rinegoziazione, con la seguente motivazione: “manca la scelta di rinegoziazione”. Lamentava, dunque il ricorrente che il comportamento dell’intermediario si è dimostrato in contrasto con il dovere di correttezza e buona fede. L’intermediario resiste alla domanda, sostenendo che la richiesta di rinegoziazione del 9.10.2015 veniva presa in carico dalla banca, che faceva avere ai richiedenti l’istanza che avrebbero dovuto sottoscrivere ed inviare alla banca, secondo le modalità ivi precisate; i clienti, tuttavia, non procedevano all’invio secondo le modalità impartite: in particolare, nel plico inviato mancavano i documenti d’identità e i codici fiscali, con l’apposizione di “visto l’originale” e timbro da parte dell’ufficio postale, benché nell’accettazione della proposta di rinegoziazione che i clienti avrebbero dovuto restituire sottoscritta era chiaramente indicato che essi avrebbero dovuto “firmare…su ogni foglio presso l’Ufficio/Sportello che gestisce l’operazione di mutuo”; L’intermediario era pertanto costretto a rigettare la richiesta di rinegoziazione. Successivamente, in data 4 febbraio 2016, i ricorrenti presentavano una nuova richiesta, in cui tuttavia non era selezionata alcuna opzione in merito al tipo di rinegoziazione. Conseguentemente, detta richiesta era rigettata. In data 17 febbraio 2016 perveniva, infine, un’ulteriore richiesta, finalmente completa, ma anche tale domanda, all...
FATTO. Con ricorso presentato in data 4 novembre 2015, il ricorrente, assistito da un legale di fiducia, espone di essere titolare di un mutuo ipotecario, stipulato il 13 luglio 2010, per un importo pari a 205.200,01 euro, da rimborsare in 300 rate mensili (a scadenza posticipata) da 915,41 euro, oltre alla prima rata da 1.177,10 euro. L’operazione, precisa il ricorrente, è stata inserita, ai fini fiscali, in quelle che godono dei benefici “prima casa” in quanto, a norma dell’art. 1 del contratto di mutuo in oggetto, il mutuo è stato erogato per l’acquisto di un immobile da adibire ad abitazione principale. I pagamenti mensili “sono stati piuttosto regolari dalla data di stipula sino ai primi mesi del 2015”, periodo in cui il ricorrente ha attraversato difficoltà economiche-finanziarie, a causa della perdita del lavoro; di conseguenza, in data 11 maggio 2015, per evitare che maturassero interessi sulle quote insolute, chiedeva la “moratoria ai sensi dell’art. 1, comma 246, legge di stabilità 2015”. In tal modo, attraverso l’accesso alla sospensione del piano di ammortamento, il ricorrente avrebbe potuto tentare di risanare le proprie difficoltà economiche. A seguito di tale istanza, nelle more di istruttoria così avviata, l’intermediario invitava il ricorrente ad accedere ad una propria misura interna in tali casi prevista, il cd. “Piano Arca”. In tale piano era prevista la rateazione di n. 3 di rate in 8 mesi, con contestuale sospensione del piano di ammortamento, permettendo così di mantenere fermi i presupposti di regolare ammortamento del mutuo durante tutta la fase istruttoria, evitando la classificazione del mutuo a morosità. Tale “Piano Arca” è stato perfezionato in data 19 maggio 2015, con scadenza individuata per il 28 dicembre 2015. Il ricorrente, in data 22 luglio 2015, inviava all’intermediario la modulistica per l’accesso alla sospensione del mutuo (ex art. 1, comma 246, l. 190/2014. Con nota del 7 agosto 2015, l’intermediario comunicava “la non procedibilità della richiesta poiché la legge in questione risulta di fatto applicabile ai titolari di rapporto di lavoro subordinato”. Tuttavia, il ricorrente in data 31 agosto 2015 reiterava la richiesta di accesso alla sospensione del mutuo, rilevando che la ratio della disciplina di cui alla legge 190/2014, art. 1, comma 246, “era finalizzata alle famiglie in difficoltà, senza distinzioni di sorta”. Più in particolare, il ricorrente, riportando integralmente il menzionato art. 1, evidenzia che la misura d...
FATTO. La società ricorrente, insieme ad un socio intervenuto nel procedimento, rappresenta di aver stipulato, in data 6 giugno 2017, con la Banca resistente un contratto di mutuo con garanzia ipotecaria per la somma complessiva di euro 195.000,00, per cui veniva accesa una ipoteca di primo grado sull’immobile pari ad euro 390.000,00. Ad ulteriore garanzia dell'esatto adempimento delle obbligazioni assunte, veniva richiesto dalla Banca che il rappresentante legale ed un socio si obbligassero in solido con il debitore principale fino all’importo massimo di euro 390.000,00. Sempre su richiesta della Banca resistente venivano, altresì, acquistati dalla società ricorrente strumenti finanziari (quote di fondi comuni) che venivano costituiti in pegno (per l’importo di euro 46.000,00 circa), a garanzia della restituzione del capitale mutuato. La ricorrente, considerata l’entità delle garanzie prestate, successivamente avanzava alla Banca resistente richieste di svincolo del pegno e delle fideiussioni, che tuttavia venivano disattese. La ricorrente sottolinea che la giurisprudenza dell’ABF, chiamata a pronunciarsi su situazioni analoghe, ha espresso il principio secondo cui la sproporzione genetica tra garanzie e credito garantito determina l’illegittimità della condotta della banca finalizzata ad ottenere all’atto della sottoscrizione del contratto, il rilascio di garanzie ultronee e non necessarie (cfr. ABF Collegio di Roma, decisione n. 2359/2011; decisione n. 7532/2015). Ciò premesso, la ricorrente assume che l’atto di costituzione del pegno e le fideiussioni richieste, dovrebbero ritenersi nulle. La ricorrente, quindi, atteso che le richieste di svincolo del pegno e delle fideiussioni sono state disattese dalla Banca resistente, chiede che sia dichiarata la nullità dell’atto di costituzione del pegno e delle fideiussioni per mancanza di causa e/o difetto di meritevolezza, in quanto la funzione di garanzia appare già integralmente assolta dall’ipoteca di primo grado sull’immobile, a maggior ragione considerati i pagamenti medio tempore effettuati, che hanno ridotto di circa un terzo il debito residuo sulla somma mutuata. - La Banca resistente, costituitasi, conferma che il mutuo è stato accordato in data 25/5/2017 per euro 195.000,00 (con durata 15 anni) per l’acquisto di un’unità immobiliare, stimata alla data di concessione euro 250.000,00 e che a garanzia del mutuo è stata acquisita, oltre che ipoteca sull’immobile oggetto di acquisto, la fideiussione del legale r...
FATTO. Il ricorrente, anche attraverso la documentazione allegata, riferisce quanto segue: − il 5/10/2019 stipulava con una clinica dentale due contratti relativi a prestazioni di servizi odontoiatrici di importi pari rispettivamente a € 4.950,00 ed € 1.000,00: il primo contratto finanziato con un prestito finalizzato di pari importo concesso dall’odierna convenuta, il secondo invece con una dilazione di pagamento sempre tramite l’odierna convenuta; − in corso di cure, apprendeva che la clinica era chiusa a tempo indeterminato e che era stata depositata istanza prefallimentare; − il 3/7/2020 inviava al professionista una lettera di diffida ad adempiere, con l’avvertenza che, in caso contrario, il contratto si sarebbe risolto di diritto ai sensi dell’art. 1454 c.c.; − presentava infruttuosamente reclamo nei confronti dell’intermediario il 24.7.2020, in quanto, ai sensi dell’art. 125 quinques TUB, la risoluzione dei contratti con il centro odontoiatrico comporta la risoluzione dei contratti di finanziamento/dilazione di pagamento, poiché ricorrono le condizioni dell’art. 1455 c.c.; − dalla risoluzione deriva l’obbligo di rimborso delle rate già pagate. L’intermediario controdeduce in merito al contratto di finanziamento di € 4.950,00 e rappresenta quanto segue: − di aver comunicato alla controparte di essersi resa disponibile a provvedere alla chiusura del contratto di finanziamento ed al relativo rimborso “solo della quota dei servizi non usufruiti, con rinuncia al rimborso delle € 20,00 relative alla presentazione del ricorso”; − di aver verificato con la società fornitrice che il ricorrente aveva ricevuto l’11% delle cure acquistate e finanziate, pari ad un totale di € 566,22; − essendo l’importo già pagato dal ricorrente pari a € 937,44, di aver pertanto rimborsato, mediante bonifico effettuato il 27.10.2020 (all. 2 ctd), l’importo di € 371,22. Il ricorrente replica quanto segue: - l’inadempimento è grave, non configurabile quale adempimento parziale e, “trattandosi di prestazione sanitaria finalizzata alla risoluzione di un problema di salute, non può ritenersi adempiuta l’obbligazione contrattuale se il problema permane”; - l’intermediario non ha provato che non ricorrono le condizioni di applicabilità dell’art. 125- quinquies del TUB. L’intermediario, nelle controrepliche, riepiloga i fatti e ribadisce di essere disponibile ad accettare la richiesta di risoluzione del contratto di finanziamento finalizzato all’acquisto di cure odontoiatriche sottoscritto dal...
FATTO. La Corte d'appello di Milano, con sentenza in data 16.6.2017 n. 2682, ha rigettato l'appello principale proposto da M.L., titolare della ditta individuale MDA Stampi ed ha parzialmente accolto l'appello incidentale proposto da Mediocredito Italiano s.p.a., confermando la pronuncia di prime cure che aveva dichiarato infondata la domanda principale del M. volta ad ottenere la risoluzione del contratto per inadempimento della locatrice e la condanna alla restituzione di tutti i canoni nonchè al risarcimento del danno, ed aveva invece accolto la domanda subordinata di svincolo del pegno costituito dal M. a favore della concedente. La Corte distrettuale ha rilevato che: a seguito del mancato pagamento dei canoni di leasing immobiliare da parte della ditta individuale utilizzatrice, le parti avevano sottoscritto, in data 14.4.2009, un accordo inteso a disciplinare la prosecuzione del rapporto, con svincolo parziale del pegno costituito a favore della concedente a copertura dei canoni insoluti maturati fino al 31.3.2009 il contratto era stato risolto consensualmente a maggio 2010, avendo l'utilizzatrice, con l'assenso della concedente, restituito il bene immobile e cessato il pagamento dei canoni non poteva trovare applicazione al contratto di risoluzione per mutuo consenso l'art. 1526 c.c. difettando il presupposto di un "indebito vantaggio" conseguito dalla società locatrice la quale oltre alla restituzione del bene aveva trattenuto i canoni versati a titolo di "indennizzo" cure, con conseguente condanna del M. al rimborso dell'ulteriore metà a favore della società di leasing. La sentenza di appello, non notificata, è stata ritualmente impugnata da M.L. n.q. di titolare della ditta individuale MDA Stampi, con ricorso per cassazione affidato a cinque motivi, illustrato da memoria ex art. 380 bis.1 c.p.c.. per il godimento del bene esercitato "medio tempore" dalla ditta individuale, corrispondendo tale importo al valore locativo dell'immobile, come emerso dalla c.t.u. svolta in primo grado la prevalente soccombenza del M. sulla domanda principale legittimava la compensazione delle spese di lite, nella diversa misura del 50%, in riforma del relativo capo della sentenza di prime Resiste con controricorso la intimata Mediocredito Italiano s.p.a., e con lo stesso atto ha spiegato intervento volontario INTESA San Xxxxx XXXXXX s.p.a., assistita dai medesimi difensori, allegando che nelle more risulta trasferito all'interveniente il rapporto oggetto di controversia, in ...
FATTO. Il Giudice del lavoro; sciogliendo la riserva formulata all'udienza del 12.2.2004; letti gli atti e uditi i procuratori delle parti; rileva in fatto e diritto quanto segue. Con ricorso ex art. 28 L.n. 300/70 la O.S. ……. , in persona del suo Segretario, ha adito questo Giudice per sentir dichiarare antisindacale il comportamento tenuto dal Dirigente ……. relativamente al mancato avvio della contrattazione integrativa ….. con riferimento agli anni 1998-1999 sino a quello in corso 2003-2004 ed alla mancata convocazione per le relative trattative, nonchè per la mancata formulazione, nei suoi confronti, della conseguente proposta contrattuale. (Omissis) ….. in violazione degli artt. 6 e 7 del CCNL del comparto Scuola valido, per la parte normativa, dall'1.1.2002 al 31.1.22005. Si è costituito il resistente che ha insistito per sentir rigettare il ricorso. In via preliminare ha eccepito la inammissibilità del ricorso in ragione della inapplicabilità del CCNL richiamato in data anteriore all'1.1.2002 e per la mancata ascrivibilità di eventuali comportamenti sindacali in capo ai dirigenti scolastici in data anteriore a quella in cui (1.9.2000) la legge attuativa dell'autonomia scolastica ha affidato ad essi la rappresentanza della parte pubblica nella contrattazione a livello di istituzione scolastica; nonché per la assenza, in data anteriore al dicembre 2000, della costituzione di RSU all'interno della scuola . Ha poi dedotto la mancanza del requisito dell'attualità della condotta, ritenendo non utilizzabili, ai fini della procedura ex art. 28 S.L., fatti risalenti nel tempo, quali i comportamenti relativi ai pregressi anni scolastici. (Omissis) Alla luce di tali circostanze di fatto, ha quindi sostenuto l'infondatezza del ricorso.
FATTO. Con il ricorso in epigrafe, notificato il 25 marzo 2005 e depositato l’otto aprile 2005, la **** s.p.a. ha impugnato il verbale di gara del tre febbraio 2005, relativo all’appalto di fornitura di autocarri con permuta necessari per l’esecuzione dei lavori affidati alla **** indetto dal Comune di Palermo, con importo a base d’asta di Euro 367.000.000, nella parte in cui il seggio di gara ha disposto l’esclusione dalla gara della ricorrente “poichè la polizza assicurativa non riporta la clausola “a semplice” richiesta scritta della stazione applatante così come previsto dall’art. 30 comma 2_is della L. 10994 e successive modifiche e integrazioni ed espressamente richiesto dal bando di gara”, nonchè il successivo verbale di gara del 15 febbraio 2005 di aggiudicazione definitiva dell’incanto in favore dell’impresa controinteressata **** s.r.l. La ricorrente, premesso che il suo interesse all’impugnazione sussiste in relazione al fatto che, se essa non fosse stata esclusa, il ribasso offerto (21,50%) le sarebbe valso l’aggiudicazione del contratto, perchè migliore di quello della controinteressata (20,10%), affida il ricorso ai seguenti tre motivi:
FATTO. Il ricorrente riferisce quanto segue: − in data 25/03/2013, unitamente al coniuge che ha aderito al presente ricorso e su sollecitazione di un promotore di una società ha acquistato un non meglio precisato “diritto di vacanza” al prezzo complessivo di € 14.800,00; − il contratto subordinava il diritto delle prestazioni dedotte nel contratto alla consegna di un certificato d’iscrizione; − gli acquirenti firmavano due cambiali del rispettivo importo di € 700,00 mentre, per far fronte al finanziamento del residuo importo, si rivolgevano, su indicazione ed invito della società venditrice, a parte resistente, effettuando una domanda di prestito al consumo dell’importo di € 13.700,00; − in data 7 maggio 2013, ambedue i ricorrenti sottoscrivevano il formulario contrattuale, corredato soltanto dal documento di sintesi e dalle condizioni generali, nel quale veniva previsto il finanziamento, in sorte capitale, dell’importo di € 14.872,72 con l’obbligo di restituire 84 rate dell’importo di Euro 280,77 per un totale di € 23.584,68; − alcuni mesi dopo la stipula, la società venditrice inoltrava ai ricorrenti il certificato di iscrizione ad un club e, in questa circostanza, i coniugi apprendevano di non avere acquistato alcun diritto vacanza ma di essersi sobbarcati le spese annuali di gestione di uno degli alloggi residenziali affiliati al club; − adivano dunque il Tribunale di Bologna che, con ordinanza del 1 dicembre 2019, all’esito di un ricorso ex art. 702-bis c.p.c., dichiarava la nullità del contratto di associazione; − la declaratoria di nullità del contratto di associazione (circostanza coperta da giudicato sostanziale) comporta la nullità anche del contratto di finanziamento, in virtù del collegamento negoziale tra quest’ultimo e quello di credito al consumo, − il collegamento negoziale è da rinvenirsi implicitamente nell’indicazione, contenuta nel contratto a monte, secondo cui il pagamento del prezzo concordato sarebbe potuto avvenire tramite un prestito concesso da un “società finanziaria”; − detta previsione trovava riscontro nel contratto di finanziamento, in base al quale l’erogazione poteva avvenire con modalità alternative all’accredito sul conto corrente del mutuatario; − la stipula dei due contratti è avvenuta inoltre in maniera contestuale, essendoci stata tra i due una “contiguità temporale” (il 25 marzo 2013 il primo, il 7 maggio 2013 il secondo); − ad ogni modo, il contratto di finanziamento, è “di per sé” nullo per violazione di norma imperativa...
FATTO. Il ….. l’Associazione Sindacale …..-….., per il tramite del segretario territoriale, presentava formale richiesta di accesso al Dirigente Scolastico dell’Istituto resistente alla seguente documentazione «informativa Successiva a.s. 2019-2020 recante i nominativi del personale che ha ricevuto i compensi attinti dal FIS, gli incarichi conferiti e la quota del Fondo erogata a ciascun dipendente per lo svolgimento degli incarichi stessi e copia dell'Informativa sull'assegnazione fondi ex c.126 art. I L 13 luglio 2015 n. 107 - valorizzazione del merito del personale docente a.s. 2019/2020 recante i nominativi dei docenti che hanno ricevuto il "bonus premiale" e la quota erogata a ciascuno». A fondamento veniva dedotta la circostanza che le informazioni richieste erano necessarie a consentire all’organizzazione sindacale la verifica dell'attuazione della contrattazione collettiva integrativa d'istituto sull’utilizzo delle risorse. Il Dirigente Scolastico negava l’accesso in quanto “i compensi percepiti dal personale costituiscono dati personali e il personale ha un indubbio diritto alla riservatezza di tali dati e, dunque, l'interesse giuridicamente tutelato a non veder compromesso il diritto alla riservatezza dall'altrui esercizio dell'accesso. Peraltro l'art. 16, comma 3, L. 15/2005 -"non sono ammissibili istanze di accesso preordinate a un controllo generalizzato dell'operato delle Pubbliche Amministrazioni". Avverso tale provvedimento ….., in qualità di rappresentante sindacale della ….. di ….. proponeva ricorso alla Commissione. Perveniva memoria dell’Amministrazione, che avanzava dubbi circa l’interesse posto a fondamento dell’istanza di accesso, ossia che “tali informazioni fossero necessarie a consentire all’organizzazione sindacale ….. di ….. la verifica dell’attuazione della contrattazione collettiva integrativa d’istituto sull’utilizzo delle risorse”. La Commissione, nella seduta del ….. riteneva necessario che la parte ricorrente fornisse chiarimenti in ordine all’interesse sotteso con peculiare riferimento “alla verifica dell'attuazione della contrattazione collettiva integrativa d'istituto sull’utilizzo delle risorse da parte della ….. di …..”, interrompendo nelle more i termini di legge. La ricorrente forniva i chiarimenti richiesti e segnatamente ha rappresentato che l’interesse di ….. è l’accesso integrale dei dati di distribuzione del FIS per ogni singolo beneficiario (prospetto analitico degli importi erogati a ciascun beneficiario e per quale...
FATTO. Il ….., nella qualità di legale rappresentante della ….. Srl, proponeva alle Amministrazioni resistenti domanda di accesso civico generalizzato (ex art. 5, comma 2, del d.lgs. n. 33 del 2013) alla «nota di avvio del procedimento amministrativo ai sensi della Legge 241/90 della segnalazione mancato rispetto della Direttiva 2006/123/CE Art.12 PAR. 1 E 2 E ART.117 COST. – proroga automatica delle concessioni demaniali marittime nel Comune di ….. – invocazione dei poteri sostitutivi della Regione …..”, trasmessa con propria pec del ….., nonché indicazione/i nominativo/i e riferimento/i del/i responsabile/i del procedimento/i». Avverso la condotta inerte delle amministrazioni resistenti, integrante la fattispecie del silenzio diniego, il ricorrente ha adito nei termini la Commissione, ai sensi e per gli effetti dell’art. 25 della legge n. 241 del 1990. E’ pervenuta memoria dell’Agenzia del Demanio che ha dedotto che non ha prodotto, né detiene la documentazione di cui il ricorrente ha chiesto ostensione, non essendo deputata al rilascio o al rinnovo delle concessioni demaniali marittime.