Motivi della decisione. Da un’attenta analisi del caso di specie, emerge che la richiesta di parte istante merita un parziale accoglimento, considerato che non sono riscontrabili elementi di scorrettezza nella condotta del sig. Xxxxx, il quale ha fatto del servizio telefonico un utilizzo conforme al regolamento contrattuale. Di contro, diversi sono i profili di illegittimità ravvisabili nella condotta tenuta dall’operatore nel corso dell’esecuzione del rapporto contrattuale. Nel dettaglio, la valutazione della fattispecie che ci occupa è incentrata sulla problematica riguardante la legittimità dell’iniziativa della “messa in scadenza” del credito da autoricarica maturato entro il 31.12.2006. Su tale questione l’operatore H3G ha evidenziato che, in sostanza, la maturazione di somme notevolmente ingenti da parte dell’utente sembra derivare da un utilizzo improprio dell’utenza telefonica, in contrasto con il divieto contrattuale di uso dei servizi a scopo lucro prescritto dall’art. 12 delle Condizioni generali di abbonamento. Con riferimento alle argomentazioni addotte dal gestore a supporto della propria posizione, rileva in questa sede evidenziare che, al tempo della costituzione del rapporto contrattuale, nessuna clausola indicava limitazioni circa l’utilizzazione del credito residuo accumulato, né lo differenziava in alcun modo rispetto a quello frutto di versamento diretto di somme di denaro a favore del gestore. A ciò si aggiunga che la disciplina contrattuale, prevedendo apposite forme di autotutela, avrebbe consentito all’operatore di disporre rimedi quali la sospensione dei servizi ovvero la risoluzione del contratto per usi anomali o a scopo di lucro, conformemente a quanto disposto dall’art. 18 e dall’art. 20 delle Condizioni Generali di contratto. Non può trascurarsi, pertanto, la circostanza che la società H3G S.p.A., pur potendo, non ha attivato quelle clausole che le avrebbero permesso di tutelarsi per tempo senza far sorgere equivoci né aspettative di sorta rispetto ad un comportamento del cliente indubbiamente anomalo, che però era già oggettivamente riscontrabile da tempo. Sotto altro profilo interpretativo, poi, si deve aggiungere che l’assenza originaria, nel piano Super Tua Più, di qualsivoglia tetto massimo o limite per l’autoricarica e la recente previsione di tetti di autoricarica che ancora permettono l’accumulo di somme rilevanti, rappresentano un indice della volontà originaria del gestore di consentire accumuli anche ingenti di credito da autoricarica. Tali caratteristiche hanno reso tali piani tariffari particolarmente “appetibili” per una parte di clientela, consentendo al gestore di realizzare una campagna di acquisto clienti evidentemente vantaggiosa. Si deve, quindi, ritenere che il comportamento tenuto dal gestore, che avrebbe dovuto essere improntato a diligenza e perizia qualificate per evitare il verificarsi di situazioni quali quella in esame, è stato per contro lungamente connotato da inerzia, per poi manifestarsi con una soluzione che appare ingiustificata e sproporzionata, qual è quella del netto rifiuto di restituire l’intero ammontare del credito generato da meccanismi di autoricarica. Da ciò deriva che l’eccezione del gestore relativa all’uso anomalo rilevato non può trovare integrale accoglimento, poiché la società H3G S.p.A., dopo aver comunque tratto tutto il possibile vantaggio dallo svolgimento del rapporto, beneficiando del traffico generato dal cliente e lucrando, ovviamente, sotto il profilo dei prezzi di terminazione, con il disconoscimento del credito da autoricarica ha mirato a riservare a sé tutti i vantaggi del contratto e a liberarsi di tutti i correlativi oneri. Fermo quanto sopra, elemento dirimente ai fini della soluzione del caso che ci occupa è la valutazione della condotta del sig. Xxxxx al fine di stabilire se lo stesso abbia fatto un utilizzo del servizio telefonico pienamente conforme al regolamento contrattuale ed alla causa del contratto di abbonamento telefonico, che dovrebbe identificarsi in uno scambio tra un servizio di comunicazione interpersonale ed un corrispettivo. Se è vero, infatti, che le decisioni del gestore relative alle soglie di autoricarica, o ad altre offerte che invoglino al consumo, possono essere sindacate per valutare eventuali carenze di trasparenza nelle collegate condizioni sull’utilizzo tecnico/economico dei servizi, non può seriamente ritenersi che la mancanza di un tetto massimo di autoricarica mensile nella prima formula del piano tariffario Super Tua Più equivalesse a legittimare qualsiasi forma di uso (o abuso) dell’utenza telefonica, a prescindere dalla naturale funzione economico- sociale del contratto, che consiste nello scambio tra un servizio di comunicazione interpersonale ed un corrispettivo, e non nell’autoricarica. Una simile affermazione, infatti, negherebbe in radice le regole basilari della società civile, in pratica presupponendo che l’assenza di un idoneo controllo legittimi qualsiasi comportamento. Da ciò deriva anche l’ulteriore, evidente, considerazione che, in ogni caso, anche la previsione di un tetto in ipotesi elevato, per sua stessa definizione e natura, non implica affatto la necessità del suo costante raggiungimento da parte degli utenti in violazione delle più elementari regole di buona fede nella esecuzione del contratto, in ossequio a quanto prescritto dal combinato disposto degli artt. 1337, 1175 e 1375 del c.c.. L’obbligo di attenersi al rispetto della buona fede, fondato sul dovere di solidarietà di cui all’art. 2 del Costituzione, impone a ciascuna delle parti di agire in modo da preservare gli interessi dell’altra, anche a prescindere dagli specifici obblighi contrattuali e dal dovere extracontrattuale del neminem laedere. In via generale, secondo un orientamento giurisprudenziale consolidato, “la buona fede nell’esecuzione del contratto si sostanzia in un generale obbligo di solidarietà che impone a ciascuna delle parti di agire in modo da preservare gli interessi dell’altra a prescindere tanto da specifici obblighi contrattuali, quanto dal dovere extracontrattuale del neminem laedere, trovando tale impegno solidaristico il suo limite precipuo unicamente nell’interesse proprio del soggetto, tenuto, pertanto, al compimento di tutti gli atti giuridici e/o materiali che si rendano necessari alla salvaguardia dell’interesse della controparte nella misura in cui essi non comportino un apprezzabile sacrificio a suo carico” (ex pluribus, Xxxx., 15.02.2007 e Cass., 11.01.2006, n. 264). Nel caso in esame, tra l’altro, l’utente Xxxxx aveva anche aderito ad obblighi contrattuali che ponevano limiti espressi: l’art. 12, comma 3, delle Condizioni Generali applicabili, infatti, stabiliva che “Il cliente si impegna a non utilizzare o far utilizzare, direttamente o indirettamente, i servizi per scopo di lucro, anche indiretto”, mentre i successivi articoli 18 e 20 implicavano un divieto più generico di “ogni altro caso di uso improprio o illegittimo del servizio”, prevedendo la facoltà del gestore di sospendere o risolvere il contratto. Pure il messaggio pubblicitario originariamente diffuso, tra l’altro, implicava chiaramente un uso bidirezionale dell’utenza, naturalmente anche solo potenziale. La locuzione “parlare praticamente gratis” utilizzata dal gestore, infatti, presupponeva con tutta evidenza un’attività di traffico in uscita, tant’è che la promessa di gratuità fu giudicata ingannevole dall’Autorità garante per la concorrenza e il mercato (provvedimento n. 16010 del 27 settembre 2006) anche perché vi erano una serie di oneri che riducevano “notevolmente la possibilità per il cliente di riuscire a compensare il costo del traffico in uscita con quello in entrata” (per esempio lo scatto alla risposta). Non vi è dunque alcuno spazio per ritenere che il piano tariffario, per quanto contraddistinto da un’accattivante logica di autoricarica, potesse essere usato come strumento di accumulo di denaro tramite la sola ricezione ininterrotta di traffico voce o dati. Alla luce di tali affermazioni, pertanto, ed in applicazione delle norme contrattuali citate, è necessario valutare se nel periodo di riferimento vi siano stati episodi di utilizzo del servizio da parte dell’utente non conforme alla causa dell’accordo sottoscritto, vale a dire alla sua funzione economico-sociale, secondo un’interpretazione di buona fede dell’offerta commerciale nel suo complesso, così come pubblicizzata dal gestore. Da ciò deriva che l’istante può avere diritto esclusivamente al riconoscimento di un importo di credito che sia compatibile con il regolamento pattizio e con l’economia del relativo contratto, improntati ad un canone di “uso normale” e ragionevole del servizi. Nella definizione concreta di questo canone, l’Autorità è tenuta peraltro a valutare i peculiari equilibri economici propri dello specifico rapporto in tutta la complessità dei loro risvolti, non circoscrivendoli ai soli elementi formali e tecnici della fattispecie secondo un parametro di giustizia sostanziale del caso concreto. Rileva, allora, al di là delle abitudini nell’uso dei servizi descritte dall’utente, sopra riassunte, il contegno dell’operatore successivo alla stipula, che – come già illustrato – non ha per lungo tempo azionato le clausole pattizie che gli avrebbero permesso di tutelarsi, lasciando che l’istante accumulasse credito anche ingente (ed anzi prevedendo nei successivi Piani Tariffari limiti di autoricarica mensile decisamente elevati, con ciò evidentemente permettendo l’insorgenza di un’aspettativa per l’utente). Sotto quest’ultimo profilo, inoltre, importa, inoltre, ricordare il canone del Codice civile di cui all’art. 1370, che impone di risolvere a carico del contraente che predispone le Condizioni Generali di Contratto le ambiguità del loro testo, ivi compresa, nel caso specifico, quella connessa al richiamo del solo generico divieto di perseguire uno scopo di lucro, privo di qualsivoglia riferimento a soglie massime di utilizzazione e a scadenze predeterminate. Nella specifica vicenda, pertanto, il parametro da applicare ai fini di una concreta ed equa determinazione dell’ammontare del credito da autoricarica da corrispondere all’utente risiede nella valutazione del contratto alla stregua del suo uso normale del servizio da parte del cliente medio residenziale del servizio telefonico, avuto riguardo alla naturale destinazione di quest’ultimo, consistente nella comunicazione interpersonale e non nell’autoricarica. Si tratta di un criterio che, oltre ad essere usualmente adoperato per valutare la consistenza delle condotte di abuso del diritto (ex multiis, Cass., sez. III, 15.04.2004, N. 7169; 18.6.1991, N. 6896), è suggerito dalle stesse condizioni generali di contratto, le quali, in diverse disposizioni lo considerano quale parametro al quale si ancorano alcune conseguenze contrattuali. Come già anticipato, inoltre, l’art. 12.3 delle condizioni generali di contratto vieta al cliente di utilizzare il servizio per scopo di lucro, anche indiretto. Non può che ridursi, di conseguenza, l’importo che può essergli riconosciuto, nella misura in cui esso è stato il frutto di una condotta eccedente le soglie compatibili con il regolamento pattizio e con l’economia del relativo contratto. Nella fattispecie in oggetto, deve rilevarsi che, sulla base di un’attenta valutazione e disamina delle informazioni rese dalle parti, deve escludersi il denunciato utilizzo del servizio “in modalità non adeguata ad un uso normale dell’utenza telefonica”, che avrebbe giustificato, anche nei confronti del sig. Xxxxx, secondo la ricostruzione della Società, l’operazione di “messa in scadenza” del credito autoricaricato. Gli importi di autoricarica accumulati dall’istante, infatti, sono stati maturati in un periodo abbastanza lungo e risultano decisamente non significativi ai fini del preteso uso anomalo dell’utenza, se rapportati alle logiche di autoricarica applicate (0,04 euro per ogni sms ricevuto off net e 0,010 euro per ogni minuto di traffico ricevuto off net), nel senso che gli stessi equivalgono alla ricezione di una quantità di traffico o dati compatibile con un uso normale e ragionevole dell’utenza. A supporto dell’assunto che si sta sostenendo, si consideri che, nel caso di specie, il criterio dell’uso normale del diritto, conformemente ai parametri già utilizzati da questa Autorità nella Delibera n. 11/09/CIR, può essere individuato, per l’utenza interessata dall’operazione di messa in scadenza del credito, in 6 ore giornaliere di traffico in sola ricezione, pari ad euro 1.080,00 di autoricarica mensile. Tanto, in considerazione: - delle caratteristiche specifiche dell’offerta, contraddistinta da una logica di autoricarica molto accattivante per gli utenti che certamente invogliava alla ricezione, pur senza prevedere limiti mensili; - del fatto che l’utenza in ricezione era una; - del fatto che, in ogni caso, qualsiasi utente, durante la vita quotidiana, compie attività molteplici ed ulteriori rispetto all’utilizzo dei servizi di comunicazione interpersonale; della ragionevolezza della presunzione di più pause giornaliere nell’uso dei servizi, di cui una notturna di perlomeno 7 ore. Applicando la soglia di 1.080,00 euro mensili, emerge con palmare evidenza che, nel periodo in contestazione, tale soglia non è mai stata superata dal sig. Xxxxx. Non si ravvisa dunque la prova del lamentato scopo di lucro nell’utilizzo del servizio da parte dell’utente. Alla luce di tali affermazioni, pertanto, ed in applicazione delle norme contrattuali citate, si ritiene che, nel periodo in contestazione, l’utilizzo del servizio sia stato conforme alla causa dell’accordo sottoscritto, vale a dire alla sua funzione economico-sociale, secondo un’interpretazione di buona fede dell’offerta commerciale nel suo complesso, così come pubblicizzata dal gestore. Da ciò deriva che la domanda di restituzione del credito da autoricarica formulata dall’utente deve trovare pieno accoglimento. Per quanto concerne, da ultimo, la richiesta dell’istante per la mancata risposta al reclamo ricevuto dall’operatore in data 30 ottobre 2007, deve evidenziarsi che la nota in parola risulta essere una mera reiterazione delle doglianze precedentemente manifestate dall’utente a cui la società H3G S.p.A. ha fornito tutte le dovute risposte tramite lo scambio di e-mail prodotto dallo stesso sig. Xxxxx e presente agli atti. Pertanto la domanda relativa alla corresponsione di un indennizzo per la mancata risposta al reclamo non può trovare accoglimento.
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Samples: Delibera
Motivi della decisione. Da un’attenta analisi del caso Con il primo motivo, i ricorrenti deducono la violazione dei limiti esterni di giu- risdizione, in carenza di alcun rapporto di servizio tra l’ex società Stoppani – e a fortiori, i ricorrenti Pirondini e Bruzzone, che ne erano dipendenti – e la Regione Liguria: vertendosi, nella specie, emerge in tema di contratto di appalto per la bonifica di un’area demaniale. Contestano altresì il criterio di collegamento del finanziamento pubblico comunitario, concesso, in realtà, alla Regione Liguria, e non alla società Stoppani. Le censure sono infondate. La sentenza impugnata valorizza, essenzialmente, la natura pubblica del finanziamento, utilizzato per rea- lizzare finalità proprie dell’amministrazione: e tale criterio appare esatto, dal momento che la richiesta è jus receptum che sussiste il rapporto di parte istante merita servizio, allorché un parziale accoglimentoente privato esterno all’amministrazione venga incaricato di svolge- re, considerato nell’interesse di quest’ultima e con risorse pubbliche, un’attività o un servizio pubblico in sua vece (Cass., S.U., 21 maggio 2014, n. 11229; 27 aprile 2010, n. 9963). In questo quadro di riferimento, non assume rilievo, ai fini della giurisdizione, che non sono riscontrabili elementi il finanziamento comuni- tario sia stato formalmente erogato, nel caso in esame, in favore della Regione Liguria, stante il rilievo decisivo che esso è stato poi utilizzato per l’attività di scorrettezza bonifica dell’area demaniale concessa alla società Stoppani; né appare esimente il filtro formale del contratto di appalto, inserito in un progetto di riqualificazione complessiva di una zona (inquinata da cromo per effetto di attività produttiva della società Stoppani), rientrante nella condotta del sigfun- zione pubblica dell’ente territoriale. Xxxxx, il quale ha fatto del servizio telefonico un utilizzo conforme al regolamento contrattuale. Di contro, diversi sono i profili di illegittimità ravvisabili nella condotta tenuta dall’operatore nel corso dell’esecuzione Concorre con tale qualificazione oggettiva del rapporto contrattuale. Nel dettagliol’utilizzazione di denaro pubblico, la valutazione della fattispecie che ci occupa è incentrata sulla problematica riguardante la legittimità dell’iniziativa della “messa in scadenza” del credito da autoricarica maturato entro il 31.12.2006. Su tale questione l’operatore H3G ha evidenziato cherisultata non corretta e dispersiva – con accertamento di merito, in sostanza, la maturazione di somme notevolmente ingenti da parte dell’utente sembra derivare da un utilizzo improprio dell’utenza telefonica, in contrasto con il divieto contrattuale di uso dei servizi a scopo lucro prescritto dall’art. 12 delle Condizioni generali di abbonamento. Con riferimento alle argomentazioni addotte dal gestore a supporto della propria posizione, rileva insindacabile in questa sede evidenziare che– in quanto non tradottasi nella realizzazione a regola d’arte della bonifica. Dall’affermazione della giurisdizione nei confronti della società discende quella verso i suoi dirigenti che hanno preso parte attiva – secondo l’accertamento del giudice contabile, al tempo egualmente sottratto a riesame – alla condotta causativa del danno erariale: il sig. Xxxxxxx Xxxxxxxxx, dirigente della costituzione Xxxxx Xxxxxxxx s.p.a., per aver sottoscritto atti di collaudo e omesso di tenere una contabilità separata, come previsto in convenzione, e il sig. Xxxxxxxx Xxxxxxxx, pure dirigente e inoltre direttore dei lavori, per aver firmato i verbali di collaudo parziali e finali (cfr. sent. 21 novembre 2013, n. 1001, p. 19). Con il secondo motivo si censura il difetto di giurisdizione sotto il diverso profilo del rapporto contrattualepetitum sostanziale, nessuna clausola indicava limitazioni circa l’utilizzazione prospettato nell’atto di citazione come accertamento dell’inadempimento, totale o parziale, dell’obbligazione assunta con la convenzione – con la conseguente richiesta di condanna alla restituzione del credito residuo accumulatofinanziamento comunitario indebitamente percepito – senza allegazione di una responsabilità amministrativa degli attuali ricorrenti. Assumono questi ultimi che l’oggetto della domanda, né lo differenziava in alcun modo rispetto a quello frutto di versamento diretto di somme di denaro a favore del gestore. A ciò si aggiunga che la disciplina contrattualecosì formulata, prevedendo apposite forme di autotutela, avrebbe consentito all’operatore di disporre rimedi quali la sospensione dei servizi ovvero la risoluzione del contratto per usi anomali o a scopo di lucro, conformemente a quanto disposto dall’art. 18 e dall’art. 20 delle Condizioni Generali di contratto. Non può trascurarsi, pertanto, la circostanza che la società H3G S.p.A., pur potendo, non ha attivato quelle clausole che le avrebbero permesso di tutelarsi per tempo senza far sorgere equivoci né aspettative di sorta rispetto ad un comportamento del cliente indubbiamente anomalo, che però era già oggettivamente riscontrabile da tempo. Sotto altro profilo interpretativo, poi, si deve aggiungere che l’assenza originaria, nel piano Super Tua Più, di qualsivoglia tetto massimo o limite per l’autoricarica e la recente previsione di tetti di autoricarica che ancora permettono l’accumulo di somme rilevanti, rappresentano un indice della volontà originaria del gestore di consentire accumuli anche ingenti di credito da autoricarica. Tali caratteristiche hanno reso tali piani tariffari particolarmente “appetibili” per una parte di clientela, consentendo al gestore di realizzare una campagna di acquisto clienti evidentemente vantaggiosa. Si deverientrerebbe, quindi, ritenere nella giurisdizione ordinaria, vertendosi in materia civile contrattuale. Il motivo è inammissibile. Premesso che nella narratio dei fatti di causa esposta in sentenza si enuclea il comportamento tenuto dal gestorepetitum come condanna al ri- sarcimento dei danni arrecati alla Regione Liguria in relazione al programma di bonifica della zona costiera alla foce del torrente Lerone – enunciazione, che avrebbe dovuto essere improntato a diligenza e perizia qualificate per evitare il verificarsi di situazioni quali quella quindi, in esame, è stato per contro lungamente connotato da inerzia, per poi manifestarsi astratto compatibile con una soluzione domanda di accertamento della responsabilità contabile – si osserva come la stessa Corte, nella parte motiva, non faccia cenno alcuno ad un motivo di gravame volto a contestare la natura meramente contrattuale dell’eventuale obbligazione risarcitoria. Vi si legge infatti, sul punto: “Contestano le parti interessate che appare ingiustificata e sproporzionata, qual nel caso di specie non è quella del netto rifiuto configurabile alcun rapporto di restituire l’intero ammontare del credito generato da meccanismi di autoricarica. Da ciò deriva che l’eccezione del gestore relativa all’uso anomalo rilevato non può trovare integrale accoglimentoservizio, poiché la società H3G S.pnon era concessionaria di opere pubbliche, ma era appaltatrice, non è stata inserita nell’organizzazione pubblica, non è stata investita di funzioni pubbliche ovvero dell’esercizio di poteri autoritativi, né ha avuto la gestione di denaro pubblico” (cfr. sent.A., dopo aver comunque tratto tutto il possibile vantaggio dallo svolgimento del rapporto, beneficiando del traffico generato dal cliente e lucrando, ovviamente, sotto p. 8). La censura in questi termini riportata (l’unica dell’atto d’appello che investisse il profilo dei prezzi di terminazionedella giurisdizio- ne) corrisponde, con il disconoscimento del credito da autoricarica ha mirato a riservare a sé tutti i vantaggi del contratto e a liberarsi di tutti i correlativi oneri. Fermo quanto sopra, elemento dirimente ai fini della soluzione del caso che ci occupa è la valutazione della condotta del sig. Xxxxx al fine di stabilire se lo stesso abbia fatto un utilizzo del servizio telefonico pienamente conforme al regolamento contrattuale ed pressoché alla causa del contratto di abbonamento telefonico, che dovrebbe identificarsi in uno scambio tra un servizio di comunicazione interpersonale ed un corrispettivo. Se è vero, infatti, che le decisioni del gestore relative alle soglie di autoricarica, o ad altre offerte che invoglino al consumo, possono essere sindacate per valutare eventuali carenze di trasparenza nelle collegate condizioni sull’utilizzo tecnico/economico dei servizi, non può seriamente ritenersi che la mancanza di un tetto massimo di autoricarica mensile nella prima formula del piano tariffario Super Tua Più equivalesse a legittimare qualsiasi forma di uso (o abuso) dell’utenza telefonica, a prescindere dalla naturale funzione economico- sociale del contratto, che consiste nello scambio tra un servizio di comunicazione interpersonale ed un corrispettivo, e non nell’autoricarica. Una simile affermazione, infatti, negherebbe in radice le regole basilari della società civile, in pratica presupponendo che l’assenza di un idoneo controllo legittimi qualsiasi comportamento. Da ciò deriva anche l’ulteriore, evidente, considerazione che, in ogni caso, anche la previsione di un tetto in ipotesi elevato, per sua stessa definizione e natura, non implica affatto la necessità del suo costante raggiungimento da parte degli utenti in violazione delle più elementari regole di buona fede nella esecuzione del contratto, in ossequio a quanto prescritto dal combinato disposto degli artt. 1337, 1175 e 1375 del c.c.. L’obbligo di attenersi al rispetto della buona fede, fondato sul dovere di solidarietà di cui all’art. 2 del Costituzione, impone a ciascuna delle parti di agire in modo da preservare gli interessi dell’altra, anche a prescindere dagli specifici obblighi contrattuali e dal dovere extracontrattuale del neminem laedere. In via generale, secondo un orientamento giurisprudenziale consolidato, “la buona fede nell’esecuzione del contratto si sostanzia in un generale obbligo di solidarietà che impone a ciascuna delle parti di agire in modo da preservare gli interessi dell’altra a prescindere tanto da specifici obblighi contrattuali, quanto dal dovere extracontrattuale del neminem laedere, trovando tale impegno solidaristico il suo limite precipuo unicamente nell’interesse proprio del soggetto, tenuto, pertantolettera, al compimento di tutti gli atti giuridici e/o materiali che si rendano necessari alla salvaguardia dell’interesse della controparte primo motivo del successivo ricorso per cassazione testé esaminato; laddove il secondo motivo, qui in esame – modulato, piuttosto, sul dato letterale del petitum – nella misura in cui essi non comportino sia da intendere meramente ripetitivo, appare nuovo e quindi inammissibile, involgendo un apprezzabile sacrificio a suo carico” (ex pluribusdiverso profilo di estraneità della fattispecie alla giurisdizione contabile. Se poi la Corte dei conti avesse omesso di esaminare e riportare in sentenza la specifica doglianza qui scru- tinata, Xxxx.il ricorso peccherebbe di autosufficienza, 15.02.2007 e Cass.non indicando il passo dell’atto d’appello ove essa fosse stata, 11.01.2006in effetti, n. 264)puntualmente addotta. Nel caso in esame, tra l’altro, l’utente Xxxxx aveva anche aderito ad obblighi contrattuali che ponevano limiti espressi: l’art. 12, comma 3, delle Condizioni Generali applicabili, infatti, stabiliva che “Il cliente si impegna a non utilizzare o far utilizzare, direttamente o indirettamente, i servizi per scopo di lucro, anche indiretto”, mentre i successivi articoli 18 e 20 implicavano un divieto più generico di “ogni altro caso di uso improprio o illegittimo del servizio”, prevedendo la facoltà del gestore di sospendere o risolvere il contratto. Pure il messaggio pubblicitario originariamente diffuso, tra l’altro, implicava chiaramente un uso bidirezionale dell’utenza, naturalmente anche solo potenziale. La locuzione “parlare praticamente gratis” utilizzata dal gestore, infatti, presupponeva con tutta evidenza un’attività di traffico in uscita, tant’è che la promessa di gratuità fu giudicata ingannevole dall’Autorità garante per la concorrenza e il mercato (provvedimento n. 16010 del 27 settembre 2006) anche perché vi erano una serie di oneri che riducevano “notevolmente la possibilità per il cliente di riuscire a compensare il costo del traffico in uscita con quello in entrata” (per esempio lo scatto alla risposta). Non vi ricorso è dunque alcuno spazio per ritenere che il piano tariffarioinfondato e va respinto; con la conseguente condanna alla rifusione delle spese di giudizio, per quanto contraddistinto da un’accattivante logica di autoricarica, potesse essere usato liquidate come strumento di accumulo di denaro tramite la sola ricezione ininterrotta di traffico voce o dati. Alla luce di tali affermazioni, pertanto, ed in applicazione delle norme contrattuali citate, è necessario valutare se nel periodo di riferimento vi siano stati episodi di utilizzo del servizio da parte dell’utente non conforme alla causa dell’accordo sottoscritto, vale a dire alla sua funzione economico-sociale, secondo un’interpretazione di buona fede dell’offerta commerciale nel suo complesso, così come pubblicizzata dal gestore. Da ciò deriva che l’istante può avere diritto esclusivamente al riconoscimento di un importo di credito che sia compatibile con il regolamento pattizio e con l’economia del relativo contratto, improntati ad un canone di “uso normale” e ragionevole del servizi. Nella definizione concreta di questo canone, l’Autorità è tenuta peraltro a valutare i peculiari equilibri economici propri dello specifico rapporto in tutta la complessità dei loro risvolti, non circoscrivendoli ai soli elementi formali e tecnici della fattispecie secondo un parametro di giustizia sostanziale del caso concreto. Rileva, allora, al di là delle abitudini nell’uso dei servizi descritte dall’utente, sopra riassunte, il contegno dell’operatore successivo alla stipula, che – come già illustrato – non ha per lungo tempo azionato le clausole pattizie che gli avrebbero permesso di tutelarsi, lasciando che l’istante accumulasse credito anche ingente (ed anzi prevedendo nei successivi Piani Tariffari limiti di autoricarica mensile decisamente elevati, con ciò evidentemente permettendo l’insorgenza di un’aspettativa per l’utente). Sotto quest’ultimo profilo, inoltre, importa, inoltre, ricordare il canone del Codice civile di cui all’art. 1370, che impone di risolvere a carico del contraente che predispone le Condizioni Generali di Contratto le ambiguità del loro testo, ivi compresa, nel caso specifico, quella connessa al richiamo del solo generico divieto di perseguire uno scopo di lucro, privo di qualsivoglia riferimento a soglie massime di utilizzazione e a scadenze predeterminate. Nella specifica vicenda, pertanto, il parametro da applicare ai fini di una concreta ed equa determinazione dell’ammontare del credito da autoricarica da corrispondere all’utente risiede nella valutazione del contratto alla stregua del suo uso normale del servizio da parte del cliente medio residenziale del servizio telefonico, avuto riguardo alla naturale destinazione di quest’ultimo, consistente nella comunicazione interpersonale e non nell’autoricarica. Si tratta di un criterio che, oltre ad essere usualmente adoperato per valutare la consistenza delle condotte di abuso del diritto (ex multiis, Cass., sez. III, 15.04.2004, N. 7169; 18.6.1991, N. 6896), è suggerito dalle stesse condizioni generali di contratto, le quali, in diverse disposizioni lo considerano quale parametro al quale si ancorano alcune conseguenze contrattuali. Come già anticipato, inoltre, l’art. 12.3 delle condizioni generali di contratto vieta al cliente di utilizzare il servizio per scopo di lucro, anche indiretto. Non può che ridursi, di conseguenza, l’importo che può essergli riconosciuto, nella misura in cui esso è stato il frutto di una condotta eccedente le soglie compatibili con il regolamento pattizio e con l’economia del relativo contratto. Nella fattispecie in oggetto, deve rilevarsi chedispositivo, sulla base del valore della causa e del numero e complessità delle questioni trattate. - si dà atto della sussistenza dei presupposti di un’attenta valutazione cui xx x.x.x. 00 xxxxxx 0000, x. 000 (x.x. delle disposizioni legislative e disamina delle informazioni rese dalle parti, deve escludersi il denunciato utilizzo del servizio “regolamentari in modalità non adeguata ad un uso normale dell’utenza telefonica”, che avrebbe giustificato, anche nei confronti del sigmateria di spese di giustizia-t.u. Xxxxx, secondo la ricostruzione della Società, l’operazione spese di “messa in scadenza” del credito autoricaricato. Gli importi di autoricarica accumulati dall’istante, infatti, sono stati maturati in un periodo abbastanza lungo e risultano decisamente non significativi ai fini del preteso uso anomalo dell’utenza, se rapportati alle logiche di autoricarica applicate (0,04 euro per ogni sms ricevuto off net e 0,010 euro per ogni minuto di traffico ricevuto off netgiustizia), nel senso che gli stessi equivalgono alla ricezione art. 13 (Importi), c. 1-quater, introdotto dall’art. 1, c. 17, l. 24 dicembre 2012, n. 228 (legge di una quantità stabilità 2013). 12325 – Corte di traffico o dati compatibile con un uso normale cassazione, Sezioni unite civili; ordinanza 15 giugno 2016; Pres. Canzio, Est. D’Ascola, P.M. De Xxxxxxxxxx (concl. diff.); Xxxxxxxx c. Proc. reg. Corte dei conti per il Lazio e ragionevole dell’utenza. A supporto dell’assunto che si sta sostenendo, si consideri che, nel caso di specie, il criterio dell’uso normale del diritto, conformemente ai parametri già utilizzati da questa Autorità nella Delibera n. 11/09/CIR, può essere individuato, per l’utenza interessata dall’operazione di messa in scadenza del credito, in 6 ore giornaliere di traffico in sola ricezione, pari ad euro 1.080,00 di autoricarica mensile. Tanto, in considerazione: - delle caratteristiche specifiche dell’offerta, contraddistinta da una logica di autoricarica molto accattivante per gli utenti che certamente invogliava alla ricezione, pur senza prevedere limiti mensili; - del fatto che l’utenza in ricezione era una; - del fatto che, in ogni caso, qualsiasi utente, durante la vita quotidiana, compie attività molteplici ed ulteriori rispetto all’utilizzo dei servizi di comunicazione interpersonale; della ragionevolezza della presunzione di più pause giornaliere nell’uso dei servizi, di cui una notturna di perlomeno 7 ore. Applicando la soglia di 1.080,00 euro mensili, emerge con palmare evidenza che, nel periodo in contestazione, tale soglia non è mai stata superata dal sig. Xxxxx. Non si ravvisa dunque la prova del lamentato scopo di lucro nell’utilizzo del servizio da parte dell’utente. Alla luce di tali affermazioni, pertanto, ed in applicazione delle norme contrattuali citate, si ritiene che, nel periodo in contestazione, l’utilizzo del servizio sia stato conforme alla causa dell’accordo sottoscritto, vale a dire alla sua funzione economico-sociale, secondo un’interpretazione di buona fede dell’offerta commerciale nel suo complesso, così come pubblicizzata dal gestore. Da ciò deriva che la domanda di restituzione del credito da autoricarica formulata dall’utente deve trovare pieno accoglimento. Per quanto concerne, da ultimo, la richiesta dell’istante per la mancata risposta al reclamo ricevuto dall’operatore in data 30 ottobre 2007, deve evidenziarsi che la nota in parola risulta essere una mera reiterazione delle doglianze precedentemente manifestate dall’utente a cui la società H3G S.paltri.A. ha fornito tutte le dovute risposte tramite lo scambio di e-mail prodotto dallo stesso sig. Xxxxx e presente agli atti. Pertanto la domanda relativa alla corresponsione di un indennizzo per la mancata risposta al reclamo non può trovare accoglimento.
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Samples: Contratti Pubblici
Motivi della decisione. Da un’attenta analisi La domanda è fondata, per le ragioni e nei limiti che si vanno ad esporre. Va preliminarmente rilevata l’ininfluenza sul presente giudizio della norma introdotta dall’art. 21, comma 1 bis, del D.L. 25 giugno 2008, conv. in L. 6 agosto 2008, n. 133 che testualmente recita: (Omissis). Tale norma processuale transitoria, con efficacia solo re- troattiva, che mutua il meccanismo ed i criteri dell’art. 8 della L. n. 604/66, espressamente richiamato, è applica- bile, ad eccezione delle sentenze passate in giudicato, soltanto ai giudizi in corso al momento della pubblica- zione della legge di conversione del D.L. n. 112/08, cioè fino al 21 agosto 2008, ed è stata oggetto di numerose ordinanze di rimessione alla Corte Costituzionale da parte della Magistratura del lavoro per profili diversi, e tutti condivisibili, d’illegittimità costituzionale. Tuttavia, se è vero che l’art. 4-bis prevede che «nei casi di violazione degli artt. 1, 2 e 4, D.Lgs. n. 368/2001» sia corrisposto un indennizzo pari ad un numero di mensilità variabile da 2,5 a 6, è pur vero che occorre soffermarsi su quali possano essere le ipotesi di violazione dell’art. 2. La violazione dell’art. 2, comma 1-bis, infatti, è ravvisa- bile allorquando le organizzazioni sindacali provinciali di categoria non ricevono le richieste di assunzione da parte delle aziende indicate nel comma, come può ri- scontrarsi anche nella memoria di parte resistente, nel- la quale si evidenzia che il contratto azionato è stato sti- pulato nel pieno rispetto di quanto dettato dall’art. 2, anche previa comunicazione alle organizzazioni sinda- cali, evidenziandone, quindi, la legittimità. Altra ipotesi di possibile violazione dell’art. 2 può aversi nelle ipotesi, sicuramente estranea alla fattispecie de- dotta in giudizio, in cui di detta speciale clausola si av- valga l’impresa che non presenta i requisiti soggettivi fissati da detta norma (aziende di trasporto aereo etc. o, nel nostro caso, imprese concessionarie di servizi nei settori delle poste). Va anche rilevato, poi, che la circostanza che l’art. 4-bis riguardi solo la violazione degli articoli innanzi enun- ciati è confermato da una recentissima sentenza della S.C. (cfr. Xxxx. n. 26935/2008), nella quale è chiara- mente affermato che «tale norma è espressamente riferi- ta soltanto alle ipotesi di “violazione delle disposizioni di cui al cit. D.Lgs. artt. 1, 2 e 4”, nel quale è inserita, e, per la sua evidente natura eccezionale, non può essere inter- pretata estensivamente né può essere applicata al di fuori dei casi contemplati. La norma stessa non trova, pertanto applicazione, alle controversie che …non abbiano ad og- getto il sistema sanzionatorio per la violazione delle dette disposizioni…». Pertanto, nel caso di specie i contratti a termine inter- corsi tra le parti sono stati stipulati ai sensi, e non in violazione, dell’art. 2, comma 1-bis, cioè in base a quan- to previsto da questa norma di legge. Ne discende che, per questo giudice, ai fini della deci- sione del presente giudizio, non si pone, nella fattispe- cie in esame, una questione di legittimità costituzionale dell’art. 4-bis del D.Lgs. n. 368/01. In ogni caso, se anche si volesse aderire ad una diversa impostazione, alla luce delle pronunzie della Giurispru- denza della Corte di Giustizia (le sentenze “Xxxxxxx”, “Xxxxxxxx”, “Del Cerro Xxxxxx”, “Impact”, nonché l’ordinanza “Vassilakis” del 12 giugno 2008 nella causa C-364/07, senza trascurare le importanti indicazioni che provengono dalle conclusioni dell’Avvocato gene- rale Xxxxxxx Xxxxxx presentate il 4 dicembre 2008 alla Corte di Giustizia), della Corte Costituzionale (senten- za n. 44/2008) e della Corte di legittimità (la fonda- mentale sentenza n. 12985/2008), il quadro interpreta- tivo va attentamente rivisto nel solco del rapporto tra il diritto comunitario e il diritto nazionale. Infatti, in presenza di una normativa interna di recepi- mento (anche se successivamente modificata e integra- ta) della direttiva comunitaria, il problema interpretati- vo e applicativo della norma interna va risolto priorita- riamente (cfr. Corte Costituzionale, sentenza n. 284/07) alla luce del rapporto tra il diritto comunitario e il diritto nazionale. La stessa Corte Costituzionale (v. da ultimo la sentenza n. 348/07; in precedenza v. le sentenze nn. 389/1989 e 113/1985, ma anche le ordinanze nn. 62/2003, 125/2004, 241/2005 e 252/2006) e la Cassazione (v. la recente ordinanza n. 22260/08) hanno in più occasioni e concordemente ribadito che, nel caso in cui la norma interna violi il diritto comunitario, il giudice ordinario può sollevare la questione di pregiudizialità comunitaria ai sensi dell’art. 234, comma 3, Trattato CE o confron- tarsi direttamente con la norma “illegittima”, quando sulle questioni controverse siano già intervenute una o più decisioni della Corte di Giustizia (come nel caso di specie), emerge che per risolvere la richiesta di parte istante merita un parziale accoglimentoquestione utilizzando tutti gli strumenti interpretativi idonei a superare il contrasto con il diritto comunitario. In particolare, considerato che secondo la ri- costruzione dell’Avvocato generale Xxxxxx al punto 122 delle conclusioni nelle cause riunite 378-379- 380/07, (Omissis). Questo giudicante, peraltro, ha già fatto in passato ap- plicazione dello strumento interpretativo della non sono riscontrabili elementi di scorrettezza nella condotta del sig. Xxxxx, il quale ha fatto del servizio telefonico un utilizzo conforme al regolamento contrattuale. Di contro, diversi sono i profili di illegittimità ravvisabili nella condotta tenuta dall’operatore nel corso dell’esecuzione del rapporto contrattuale. Nel dettaglio, la valutazione ap- plicazione della fattispecie che ci occupa è incentrata sulla problematica riguardante la legittimità dell’iniziativa della “messa in scadenza” del credito da autoricarica maturato entro il 31.12.2006. Su tale questione l’operatore H3G ha evidenziato che, in sostanza, la maturazione di somme notevolmente ingenti da parte dell’utente sembra derivare da un utilizzo improprio dell’utenza telefonica, norma interna in contrasto con il divieto contrattuale dirit- to comunitario, proprio in giudizi in cui Poste aveva ap- plicato al contratto a termine l’art. 2, comma 1-bis, del D.Lgs. n. 368, disapplicandola. Sul punto della possibile non applicazione dell’art. 4-bis, D.Lgs. n. 368/01 vi è il precedente del Tribunale di uso dei servizi Trani del 22 settembre 2008. Rispetto a scopo lucro prescritto dall’art. 12 delle Condizioni generali di abbonamento. Con riferimento alle argomentazioni addotte dal gestore a supporto della propria posizione, rileva in questa sede evidenziare posizione che, al tempo della costituzione del rapporto contrattualeseppure minori- taria nella giurisprudenza di merito, nessuna clausola indicava limitazioni circa l’utilizzazione del credito residuo accumulatogià questo giudi- cante ha condiviso, né lo differenziava in alcun modo rispetto a quello frutto di versamento diretto di somme di denaro a favore del gestoreva fatta una ulteriore riflessione alla luce proprio delle complesse considerazioni fatte dal- l’Avvocato generale Xxxxxx nelle cause nn. A ciò si aggiunga che la disciplina contrattuale, prevedendo apposite forme di autotutela, avrebbe consentito all’operatore di disporre rimedi quali la sospensione dei servizi ovvero la risoluzione del contratto per usi anomali o a scopo di lucro, conformemente a quanto disposto dall’art. 18 e dall’art. 20 delle Condizioni Generali di contratto. Non può trascurarsi, pertanto, la circostanza che la società H3G S.p.A., pur potendo, non ha attivato quelle clausole che le avrebbero permesso di tutelarsi per tempo senza far sorgere equivoci né aspettative di sorta rispetto ad un comportamento del cliente indubbiamente anomalo378-379- 380/07, che però era già oggettivamente riscontrabile sono di particolare rilievo sia per la rico- struzione dei principi di diritto comunitario e dell’inter- pretazione della Corte di Giustizia in materia di con- tratto a tempo determinato sia per i riflessi che l’appli- cazione di quei principi e di quell’interpretazione han- no (o possono avere) sull’ordinamento interno italiano come jus superveniens (cfr. ordinanza n. 252/2006 della Corte Costituzionale), al punto da tempopoter vanificare l’ef- fetto delle ordinanze di rimessione alla Consulta sia in ordine alla norma transitoria sia per quanto attiene le altre pregevoli questioni di legittimità costituzionale che hanno messo in discussione la parte più importante del D.Lgs. Sotto altro profilo interpretativon. 368, poisull’art. 1 e sull’art. 2, si deve aggiungere che l’assenza originariacomma 1-bis. Cinque le conclusioni della Kokott, nel piano Super Tua Più, di qualsivoglia tetto massimo o limite per l’autoricarica e la recente previsione di tetti di autoricarica che ancora permettono l’accumulo di somme rilevanti, rappresentano un indice della volontà originaria del gestore di consentire accumuli anche ingenti di credito da autoricarica. Tali caratteristiche hanno reso tali piani tariffari particolarmente “appetibili” per una parte di clientela, consentendo al gestore di realizzare una campagna di acquisto clienti evidentemente vantaggiosa. Si deve, quindi, ritenere che il comportamento tenuto dal gestore, che avrebbe dovuto essere improntato a diligenza e perizia qualificate per evitare il verificarsi di situazioni quali quella in esame, è stato per contro lungamente connotato da inerzia, per poi manifestarsi con una soluzione che appare ingiustificata e sproporzionata, qual è quella del netto rifiuto di restituire l’intero ammontare del credito generato da meccanismi di autoricarica. Da ciò deriva che l’eccezione del gestore relativa all’uso anomalo rilevato non può trovare integrale accoglimento, poiché la società H3G S.p.A., dopo aver comunque tratto tutto il possibile vantaggio dallo svolgimento del rapporto, beneficiando del traffico generato dal cliente e lucrando, ovviamente, sotto il profilo dei prezzi di terminazione, con il disconoscimento del credito da autoricarica ha mirato a riservare a sé tutti i vantaggi del contratto e a liberarsi di tutti i correlativi oneri. Fermo quanto sopra, elemento dirimente utili ai fini della soluzione del caso che ci occupa è la valutazione decisione della condotta del sig. Xxxxx al fine di stabilire se lo stesso abbia fatto un utilizzo del servizio telefonico pienamente conforme al regolamento contrattuale ed alla causa del contratto di abbonamento telefonico, che dovrebbe identificarsi in uno scambio tra un servizio di comunicazione interpersonale ed un corrispettivo. Se è vero, infatti, che le decisioni del gestore relative alle soglie di autoricarica, o ad altre offerte che invoglino al consumo, possono essere sindacate per valutare eventuali carenze di trasparenza nelle collegate condizioni sull’utilizzo tecnico/economico dei servizi, non può seriamente ritenersi che la mancanza di un tetto massimo di autoricarica mensile nella prima formula del piano tariffario Super Tua Più equivalesse a legittimare qualsiasi forma di uso (o abuso) dell’utenza telefonica, a prescindere dalla naturale funzione economico- sociale del contratto, che consiste nello scambio tra un servizio di comunicazione interpersonale ed un corrispettivo, e non nell’autoricarica. Una simile affermazione, infatti, negherebbe in radice le regole basilari della società civile, in pratica presupponendo che l’assenza di un idoneo controllo legittimi qualsiasi comportamento. Da ciò deriva anche l’ulteriore, evidente, considerazione che, in ogni caso, anche la previsione di un tetto in ipotesi elevato, per sua stessa definizione e natura, non implica affatto la necessità del suo costante raggiungimento da parte degli utenti in violazione delle più elementari regole di buona fede nella esecuzione del contratto, in ossequio a quanto prescritto dal combinato disposto degli artt. 1337, 1175 e 1375 del c.c.. L’obbligo di attenersi al rispetto della buona fede, fondato sul dovere di solidarietà di cui all’art. 2 del Costituzione, impone a ciascuna delle parti di agire in modo da preservare gli interessi dell’altra, anche a prescindere dagli specifici obblighi contrattuali e dal dovere extracontrattuale del neminem laedere. In via generale, secondo un orientamento giurisprudenziale consolidato, “la buona fede nell’esecuzione del contratto si sostanzia in un generale obbligo di solidarietà che impone a ciascuna delle parti di agire in modo da preservare gli interessi dell’altra a prescindere tanto da specifici obblighi contrattuali, quanto dal dovere extracontrattuale del neminem laedere, trovando tale impegno solidaristico il suo limite precipuo unicamente nell’interesse proprio del soggetto, tenuto, pertanto, al compimento di tutti gli atti giuridici e/o materiali che si rendano necessari alla salvaguardia dell’interesse della controparte nella misura in cui essi non comportino un apprezzabile sacrificio a suo carico” (ex pluribus, Xxxx., 15.02.2007 e Cass., 11.01.2006, n. 264). Nel caso in esame, tra l’altro, l’utente Xxxxx aveva anche aderito ad obblighi contrattuali che ponevano limiti espressi: l’art. 12, comma 3, delle Condizioni Generali applicabili, infatti, stabiliva che “Il cliente si impegna a non utilizzare o far utilizzare, direttamente o indirettamente, i servizi per scopo di lucro, anche indiretto”, mentre i successivi articoli 18 e 20 implicavano un divieto più generico di “ogni altro caso di uso improprio o illegittimo del servizio”, prevedendo la facoltà del gestore di sospendere o risolvere il contratto. Pure il messaggio pubblicitario originariamente diffuso, tra l’altro, implicava chiaramente un uso bidirezionale dell’utenza, naturalmente anche solo potenziale. La locuzione “parlare praticamente gratis” utilizzata dal gestore, infatti, presupponeva con tutta evidenza un’attività di traffico in uscita, tant’è che la promessa di gratuità fu giudicata ingannevole dall’Autorità garante per la concorrenza e il mercato (provvedimento n. 16010 del 27 settembre 2006) anche perché vi erano una serie di oneri che riducevano “notevolmente la possibilità per il cliente di riuscire a compensare il costo del traffico in uscita con quello in entrata” (per esempio lo scatto alla risposta). Non vi è dunque alcuno spazio per ritenere che il piano tariffario, per quanto contraddistinto da un’accattivante logica di autoricarica, potesse essere usato come strumento di accumulo di denaro tramite la sola ricezione ininterrotta di traffico voce o dati. Alla luce di tali affermazioni, pertanto, ed in applicazione delle norme contrattuali citate, è necessario valutare se nel periodo di riferimento vi siano stati episodi di utilizzo del servizio da parte dell’utente non conforme alla causa dell’accordo sottoscritto, vale a dire alla sua funzione economico-sociale, secondo un’interpretazione di buona fede dell’offerta commerciale nel suo complesso, così come pubblicizzata dal gestore. Da ciò deriva che l’istante può avere diritto esclusivamente al riconoscimento di un importo di credito che sia compatibile con il regolamento pattizio e con l’economia del relativo contratto, improntati ad un canone di “uso normale” e ragionevole del servizi. Nella definizione concreta di questo canone, l’Autorità è tenuta peraltro a valutare i peculiari equilibri economici propri dello specifico rapporto in tutta la complessità dei loro risvolti, non circoscrivendoli ai soli elementi formali e tecnici della fattispecie secondo un parametro di giustizia sostanziale del caso concreto. Rileva, allora, al di là delle abitudini nell’uso dei servizi descritte dall’utente, sopra riassunte, il contegno dell’operatore successivo alla stipula, che – come già illustrato – non ha per lungo tempo azionato le clausole pattizie che gli avrebbero permesso di tutelarsi, lasciando che l’istante accumulasse credito anche ingente (ed anzi prevedendo nei successivi Piani Tariffari limiti di autoricarica mensile decisamente elevati, con ciò evidentemente permettendo l’insorgenza di un’aspettativa per l’utente). Sotto quest’ultimo profilo, inoltre, importa, inoltre, ricordare il canone del Codice civile di cui all’art. 1370, che impone di risolvere a carico del contraente che predispone le Condizioni Generali di Contratto le ambiguità del loro testo, ivi compresa, nel caso specifico, quella connessa al richiamo del solo generico divieto di perseguire uno scopo di lucro, privo di qualsivoglia riferimento a soglie massime di utilizzazione e a scadenze predeterminate. Nella specifica vicenda, pertanto, il parametro da applicare ai fini di una concreta ed equa determinazione dell’ammontare del credito da autoricarica da corrispondere all’utente risiede nella valutazione del contratto alla stregua del suo uso normale del servizio da parte del cliente medio residenziale del servizio telefonico, avuto riguardo alla naturale destinazione di quest’ultimo, consistente nella comunicazione interpersonale e non nell’autoricarica. Si tratta di un criterio che, oltre ad essere usualmente adoperato per valutare la consistenza delle condotte di abuso del diritto (ex multiis, Cass., sez. III, 15.04.2004, N. 7169; 18.6.1991, N. 6896), è suggerito dalle stesse condizioni generali di contratto, le quali, in diverse disposizioni lo considerano quale parametro al quale si ancorano alcune conseguenze contrattuali. Come già anticipato, inoltre, l’art. 12.3 delle condizioni generali di contratto vieta al cliente di utilizzare il servizio per scopo di lucro, anche indiretto. Non può che ridursi, di conseguenza, l’importo che può essergli riconosciuto, nella misura in cui esso è stato il frutto di una condotta eccedente le soglie compatibili con il regolamento pattizio e con l’economia del relativo contratto. Nella fattispecie in oggetto, deve rilevarsi che, sulla base di un’attenta valutazione e disamina delle informazioni rese dalle parti, deve escludersi il denunciato utilizzo del servizio “in modalità non adeguata ad un uso normale dell’utenza telefonica”, che avrebbe giustificato, anche nei confronti del sig. Xxxxx, secondo la ricostruzione della Società, l’operazione di “messa in scadenza” del credito autoricaricato. Gli importi di autoricarica accumulati dall’istante, infatti, sono stati maturati in un periodo abbastanza lungo e risultano decisamente non significativi ai fini del preteso uso anomalo dell’utenza, se rapportati alle logiche di autoricarica applicate (0,04 euro per ogni sms ricevuto off net e 0,010 euro per ogni minuto di traffico ricevuto off net), nel senso che gli stessi equivalgono alla ricezione di una quantità di traffico o dati compatibile con un uso normale e ragionevole dell’utenza. A supporto dell’assunto che si sta sostenendo, si consideri che, nel caso di specie, il criterio dell’uso normale del diritto, conformemente ai parametri già utilizzati da questa Autorità nella Delibera n. 11/09/CIR, può essere individuato, per l’utenza interessata dall’operazione di messa in scadenza del credito, in 6 ore giornaliere di traffico in sola ricezione, pari ad euro 1.080,00 di autoricarica mensile. Tanto, in considerazione: - delle caratteristiche specifiche dell’offerta, contraddistinta da una logica di autoricarica molto accattivante per gli utenti che certamente invogliava alla ricezione, pur senza prevedere limiti mensili; - del fatto che l’utenza in ricezione era una; - del fatto che, in ogni caso, qualsiasi utente, durante la vita quotidiana, compie attività molteplici ed ulteriori rispetto all’utilizzo dei servizi di comunicazione interpersonale; della ragionevolezza della presunzione di più pause giornaliere nell’uso dei servizi, di cui una notturna di perlomeno 7 ore. Applicando la soglia di 1.080,00 euro mensili, emerge con palmare evidenza che, nel periodo in contestazione, tale soglia non è mai stata superata dal sig. Xxxxx. Non si ravvisa dunque la prova del lamentato scopo di lucro nell’utilizzo del servizio da parte dell’utente. Alla luce di tali affermazioni, pertanto, ed in applicazione delle norme contrattuali citate, si ritiene che, nel periodo in contestazione, l’utilizzo del servizio sia stato conforme alla causa dell’accordo sottoscritto, vale a dire alla sua funzione economico-sociale, secondo un’interpretazione di buona fede dell’offerta commerciale nel suo complesso, così come pubblicizzata dal gestore. Da ciò deriva che la domanda di restituzione del credito da autoricarica formulata dall’utente deve trovare pieno accoglimento. Per quanto concerne, da ultimo, la richiesta dell’istante per la mancata risposta al reclamo ricevuto dall’operatore in data 30 ottobre 2007, deve evidenziarsi che la nota in parola risulta essere una mera reiterazione delle doglianze precedentemente manifestate dall’utente a cui la società H3G S.p.A. ha fornito tutte le dovute risposte tramite lo scambio di e-mail prodotto dallo stesso sig. Xxxxx e presente agli atti. Pertanto la domanda relativa alla corresponsione di un indennizzo per la mancata risposta al reclamo non può trovare accoglimento.controversia:
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Samples: Contratto a Tempo Determinato
Motivi della decisione. Da un’attenta analisi Ricorso principale. Con il primo motivo la ricorrente denuncia giurisdizione del caso g.a. sulla domanda di speciedichiarazione d’inefficacia o nullità del contratto. Con il secondo motivo si denuncia giurisdizione esclusiva del g.a. sulle domande di ripetizione dell’indebito, emerge o arricchimento senza causa, conseguenti alla dichiarazione d’inefficacia o nullità del contratto. I due motivi sono trattati congiuntamente, essendo intimamente connessi per le ragioni che seguono. Le Sezioni Unite di questa Corte si sono ormai più volte pronunciate - in materia di giurisdizione - nelle controversie relative a procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici, sugli effetti della direttiva 11 dicembre 2007, n. 2007/66/CE - recante modifica delle direttive 89/665/CEE e 92/13/CEE (S.U. ord. 10.2.2010, n. 2906; S.U. ord. 5.3.2010, n. 5291; v. anche S.U. 24.6.2011, n. 13910). Con tali pronunce, le Sezioni Unite della Corte di cassazione - dando rilievo alle modifiche al sistema derivate dalle direttive anzidette - hanno superato il principio che negava la giurisdizione del giudice amministrativo sulla domanda di invalidità o inefficacia del contratto stipulato all’esito di gara annullata perchè illegittima, in base all’argomento che non può incidere la riconosciuta connessione tra più domande oggetto di distinte giurisdizioni, per spostare questa da uno ad altro giudice. Infatti, sulla base della Direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio dell’11 dicembre 2007 n. 66, relativa al miglioramento dell’efficacia delle procedure di ricorso in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici" - i cui principi dovevano essere trasposti nel nostro ordinamento interno entro il 20 dicembre 2009 - fin dalla data di entrata in vigore di essa, una interpretazione orientata costituzionalmente, e quindi comunitariamente (art. 117 Cost.), delle norme sulla giurisdizione - per le gare bandite dopo tale data - ha reso necessario l’esame congiunto della domanda di invalidità dell’aggiudicazione e di privazione degli effetti del contratto concluso, nonostante l’annullamento della gara, prima o dopo la decisione del giudice adito, in ragione dei principi che la richiesta norma comunitaria impone agli Stati membri di parte istante merita un parziale accoglimentoattuare, considerato che non sono riscontrabili elementi corrispondono a quelli di scorrettezza concentrazione, effettività e ragionevole durata del giusto processo disegnato nella condotta carta costituzionale. Per effetto di tale Xxxxxxxxx, anche prima del sig. Xxxxx, il quale ha fatto del servizio telefonico un utilizzo conforme al regolamento contrattuale. Di contro, diversi sono i profili di illegittimità ravvisabili nella condotta tenuta dall’operatore termine indicato per la sua trasposizione nel corso dell’esecuzione del rapporto contrattuale. Nel dettagliodiritto interno, la valutazione della fattispecie pubblica amministrazione era, infatti, onerata a dichiarare privo di effetti il contratto, se concluso con aggiudicatario diverso da quello dovuto, a meno che ci occupa è incentrata sulla problematica riguardante la legittimità dell’iniziativa della “messa in scadenza” del credito da autoricarica maturato entro il 31.12.2006sussistessero condizioni che consentissero di non farlo. Su tale questione l’operatore H3G ha evidenziato che, in sostanza, la maturazione di somme notevolmente ingenti da parte dell’utente sembra derivare da un utilizzo improprio dell’utenza telefonica, in contrasto con il divieto contrattuale di uso dei servizi a scopo lucro prescritto dall’art. 12 delle Condizioni generali di abbonamento. Con riferimento alle argomentazioni addotte dal gestore a supporto della propria posizione, rileva in questa sede evidenziare che, al tempo della costituzione del rapporto contrattuale, nessuna clausola indicava limitazioni circa l’utilizzazione del credito residuo accumulato, né lo differenziava in alcun modo rispetto a quello frutto di versamento diretto di somme di denaro a favore del gestore. A ciò si aggiunga che la disciplina contrattuale, prevedendo apposite forme di autotutela, avrebbe consentito all’operatore di disporre rimedi quali la sospensione dei servizi ovvero la risoluzione del contratto per usi anomali o a scopo di lucro, conformemente a quanto disposto dall’art. 18 e dall’art. 20 delle Condizioni Generali di contratto. Non può trascurarsi, pertanto, la circostanza che la società H3G S.p.A., pur potendo, non ha attivato quelle clausole che le avrebbero permesso di tutelarsi per tempo senza far sorgere equivoci né aspettative di sorta rispetto ad un comportamento del cliente indubbiamente anomalo, che però era già oggettivamente riscontrabile da tempo. Sotto altro profilo interpretativoLo stesso potere-dovere dell’amministrazione, poi, si deve aggiungere che l’assenza originariaimponeva di attribuire al giudice amministrativo, nel piano Super Tua Piùnelle materie di giurisdizione esclusiva, di qualsivoglia tetto massimo o limite per l’autoricarica e la recente previsione di tetti di autoricarica che ancora permettono l’accumulo di somme rilevanticognizione delle controversie relative anche ai contratti, rappresentano un indice della volontà originaria del gestore di consentire accumuli anche ingenti di credito da autoricarica. Tali caratteristiche hanno reso tali piani tariffari particolarmente “appetibili” per una parte di clientela, consentendo al gestore di realizzare una campagna di acquisto clienti evidentemente vantaggiosa. Si deve, quindi, ritenere che il comportamento tenuto dal gestoreessendo tale giudice l’organo indipendente dalla amministrazione (indicato dalla Direttiva), che avrebbe dovuto essere improntato a diligenza e perizia qualificate per evitare ha, nell’ordinamento interno, il verificarsi potere di situazioni quali quella in esamepronunciare l’annullamento della aggiudicazione. Ora, è stato per contro lungamente connotato da inerzia, per poi manifestarsi con una soluzione che appare ingiustificata e sproporzionata, qual è quella del netto rifiuto di restituire l’intero ammontare del credito generato da meccanismi di autoricarica. Da ciò deriva che l’eccezione del gestore relativa all’uso anomalo rilevato non può trovare integrale accoglimento, poiché la società H3G S.p.A., dopo aver comunque tratto tutto il possibile vantaggio dallo svolgimento del rapporto, beneficiando del traffico generato dal cliente e lucrando, ovviamente, sotto il profilo dei prezzi di terminazione, con il disconoscimento del credito da autoricarica ha mirato a riservare a sé tutti i vantaggi del contratto e a liberarsi di tutti i correlativi oneri. Fermo quanto sopra, elemento dirimente ai fini della soluzione del caso che ci occupa è la valutazione della condotta del sig. Xxxxx al fine si tratta di stabilire se lo stesso abbia fatto un utilizzo del servizio telefonico pienamente conforme al regolamento contrattuale ed alla causa gli stessi principii possano applicarsi anche nell’ipotesi in cui sia stata chiesta la declaratoria di inefficacia o di nullità del contratto di abbonamento telefonicofornitura, che dovrebbe identificarsi quale effetto dell’annullamento in uno scambio tra un servizio di comunicazione interpersonale ed un corrispettivo. Se è vero, infatti, che autotutela delle precedenti deliberazioni con le decisioni del gestore relative alle soglie di autoricarica, o ad altre offerte che invoglino al consumo, possono essere sindacate per valutare eventuali carenze di trasparenza nelle collegate condizioni sull’utilizzo tecnico/economico dei servizi, non può seriamente ritenersi che la mancanza di un tetto massimo di autoricarica mensile nella prima formula del piano tariffario Super Tua Più equivalesse a legittimare qualsiasi forma di uso (o abuso) dell’utenza telefonica, a prescindere dalla naturale funzione economico- sociale del contratto, che consiste nello scambio tra un servizio di comunicazione interpersonale ed un corrispettivo, e non nell’autoricarica. Una simile affermazione, infatti, negherebbe in radice le regole basilari della società civile, in pratica presupponendo che l’assenza di un idoneo controllo legittimi qualsiasi comportamento. Da ciò deriva anche l’ulteriore, evidente, considerazione che, in ogni caso, anche la previsione di un tetto in ipotesi elevato, per sua stessa definizione e natura, non implica affatto la necessità del suo costante raggiungimento da parte degli utenti in violazione delle più elementari regole di buona fede nella esecuzione del contratto, in ossequio a quanto prescritto dal combinato disposto degli artt. 1337, 1175 e 1375 del c.c.. L’obbligo di attenersi al rispetto della buona fede, fondato sul dovere di solidarietà di cui all’art. 2 del Costituzione, impone a ciascuna delle parti di agire in modo da preservare gli interessi dell’altra, anche a prescindere dagli specifici obblighi contrattuali e dal dovere extracontrattuale del neminem laedere. In via generale, secondo un orientamento giurisprudenziale consolidato, “la buona fede nell’esecuzione del contratto si sostanzia in un generale obbligo di solidarietà che impone a ciascuna delle parti di agire in modo da preservare gli interessi dell’altra a prescindere tanto da specifici obblighi contrattuali, quanto dal dovere extracontrattuale del neminem laedere, trovando tale impegno solidaristico il suo limite precipuo unicamente nell’interesse proprio del soggetto, tenuto, pertanto, al compimento di tutti gli atti giuridici e/o materiali che si rendano necessari alla salvaguardia dell’interesse della controparte nella misura in cui essi non comportino un apprezzabile sacrificio a suo carico” (ex pluribus, Xxxx., 15.02.2007 e Cass., 11.01.2006, n. 264). Nel quali - nel caso in esameesame - era stata affidata, tra l’altrosenza gara, l’utente Xxxxx aveva anche aderito ad obblighi contrattuali che ponevano limiti espressi: l’art. 12, comma 3, delle Condizioni Generali applicabili, infatti, stabiliva che “Il cliente si impegna a non utilizzare o far utilizzare, direttamente o indirettamente, i servizi per scopo all’odierna resistente la fornitura del sistema robotico "Da Vinci"; con le conseguenti domande di lucro, anche indiretto”, mentre i successivi articoli 18 ripetizione di indebito e 20 implicavano un divieto più generico di “ogni altro caso di uso improprio o illegittimo del servizio”, prevedendo la facoltà del gestore di sospendere o risolvere il contratto. Pure il messaggio pubblicitario originariamente diffuso, tra l’altro, implicava chiaramente un uso bidirezionale dell’utenza, naturalmente anche solo potenziale. La locuzione “parlare praticamente gratis” utilizzata dal gestore, infatti, presupponeva con tutta evidenza un’attività di traffico in uscita, tant’è che la promessa di gratuità fu giudicata ingannevole dall’Autorità garante per la concorrenza e il mercato (provvedimento n. 16010 del 27 settembre 2006) anche perché vi erano una serie di oneri che riducevano “notevolmente la possibilità per il cliente di riuscire a compensare il costo del traffico in uscita con quello in entrata” (per esempio lo scatto alla risposta). Non vi è dunque alcuno spazio per ritenere che il piano tariffario, per quanto contraddistinto da un’accattivante logica di autoricarica, potesse essere usato come strumento di accumulo di denaro tramite la sola ricezione ininterrotta di traffico voce o dati. Alla luce di tali affermazioni, pertanto, ed in applicazione delle norme contrattuali citate, è necessario valutare se nel periodo di riferimento vi siano stati episodi di utilizzo del servizio da parte dell’utente non conforme alla arricchimento senza causa dell’accordo sottoscritto, vale a dire alla sua funzione economico-sociale, secondo un’interpretazione di buona fede dell’offerta commerciale nel suo complesso, così come pubblicizzata dal gestore. Da ciò deriva che l’istante può avere diritto esclusivamente al riconoscimento di un importo di credito che sia compatibile con il regolamento pattizio formulate dalla stessa azienda ospedaliera; e con l’economia del relativo contratto, improntati ad un canone le domande riconvenzionali di “uso normale” condanna al pagamento delle somme dovute - come precisato in atti - e ragionevole del servizi. Nella definizione concreta di questo canone, l’Autorità è tenuta peraltro a valutare i peculiari equilibri economici propri dello specifico rapporto in tutta la complessità risarcimento dei loro risvolti, non circoscrivendoli ai soli elementi formali e tecnici della fattispecie secondo un parametro di giustizia sostanziale del caso concreto. Rileva, allora, al di là delle abitudini nell’uso dei servizi descritte dall’utente, sopra riassunte, il contegno dell’operatore successivo alla stipula, che – come già illustrato – non ha per lungo tempo azionato le clausole pattizie che gli avrebbero permesso di tutelarsi, lasciando che l’istante accumulasse credito anche ingente (ed anzi prevedendo nei successivi Piani Tariffari limiti di autoricarica mensile decisamente elevati, con ciò evidentemente permettendo l’insorgenza di un’aspettativa per l’utente). Sotto quest’ultimo profilo, inoltre, importa, inoltre, ricordare il canone del Codice civile di cui all’art. 1370, che impone di risolvere a carico del contraente che predispone le Condizioni Generali di Contratto le ambiguità del loro testo, ivi compresa, nel caso specifico, quella connessa al richiamo del solo generico divieto di perseguire uno scopo di lucro, privo di qualsivoglia riferimento a soglie massime di utilizzazione e a scadenze predeterminate. Nella specifica vicenda, pertanto, il parametro da applicare ai fini di una concreta ed equa determinazione dell’ammontare del credito da autoricarica da corrispondere all’utente risiede nella valutazione del contratto alla stregua del suo uso normale del servizio da parte del cliente medio residenziale del servizio telefonico, avuto riguardo alla naturale destinazione di quest’ultimo, consistente nella comunicazione interpersonale e non nell’autoricarica. Si tratta di un criterio che, oltre ad essere usualmente adoperato per valutare la consistenza delle condotte di abuso del diritto (ex multiis, Cassdanni., sez. III, 15.04.2004, N. 7169; 18.6.1991, N. 6896), è suggerito dalle stesse condizioni generali di contratto, le quali, in diverse disposizioni lo considerano quale parametro al quale si ancorano alcune conseguenze contrattuali. Come già anticipato, inoltre, l’art. 12.3 delle condizioni generali di contratto vieta al cliente di utilizzare il servizio per scopo di lucro, anche indiretto. Non può che ridursi, di conseguenza, l’importo che può essergli riconosciuto, nella misura in cui esso è stato il frutto di una condotta eccedente le soglie compatibili con il regolamento pattizio e con l’economia del relativo contratto. Nella fattispecie in oggetto, deve rilevarsi che, sulla base di un’attenta valutazione e disamina delle informazioni rese dalle parti, deve escludersi il denunciato utilizzo del servizio “in modalità non adeguata ad un uso normale dell’utenza telefonica”, che avrebbe giustificato, anche nei confronti del sig. Xxxxx, secondo la ricostruzione della Società, l’operazione di “messa in scadenza” del credito autoricaricato. Gli importi di autoricarica accumulati dall’istante, infatti, sono stati maturati in un periodo abbastanza lungo e risultano decisamente non significativi ai fini del preteso uso anomalo dell’utenza, se rapportati alle logiche di autoricarica applicate (0,04 euro per ogni sms ricevuto off net e 0,010 euro per ogni minuto di traffico ricevuto off net), nel senso che gli stessi equivalgono alla ricezione di una quantità di traffico o dati compatibile con un uso normale e ragionevole dell’utenza. A supporto dell’assunto che si sta sostenendo, si consideri che, nel caso di specie, il criterio dell’uso normale del diritto, conformemente ai parametri già utilizzati da questa Autorità nella Delibera n. 11/09/CIR, può essere individuato, per l’utenza interessata dall’operazione di messa in scadenza del credito, in 6 ore giornaliere di traffico in sola ricezione, pari ad euro 1.080,00 di autoricarica mensile. Tanto, in considerazione: - delle caratteristiche specifiche dell’offerta, contraddistinta da una logica di autoricarica molto accattivante per gli utenti che certamente invogliava alla ricezione, pur senza prevedere limiti mensili; - del fatto che l’utenza in ricezione era una; - del fatto che, in ogni caso, qualsiasi utente, durante la vita quotidiana, compie attività molteplici ed ulteriori rispetto all’utilizzo dei servizi di comunicazione interpersonale; della ragionevolezza della presunzione di più pause giornaliere nell’uso dei servizi, di cui una notturna di perlomeno 7 ore. Applicando la soglia di 1.080,00 euro mensili, emerge con palmare evidenza che, nel periodo in contestazione, tale soglia non è mai stata superata dal sig. Xxxxx. Non si ravvisa dunque la prova del lamentato scopo di lucro nell’utilizzo del servizio da parte dell’utente. Alla luce di tali affermazioni, pertanto, ed in applicazione delle norme contrattuali citate, si ritiene che, nel periodo in contestazione, l’utilizzo del servizio sia stato conforme alla causa dell’accordo sottoscritto, vale a dire alla sua funzione economico-sociale, secondo un’interpretazione di buona fede dell’offerta commerciale nel suo complesso, così come pubblicizzata dal gestore. Da ciò deriva che la domanda di restituzione del credito da autoricarica formulata dall’utente deve trovare pieno accoglimento. Per quanto concerne, da ultimo, la richiesta dell’istante per la mancata risposta al reclamo ricevuto dall’operatore in data 30 ottobre 2007, deve evidenziarsi che la nota in parola risulta essere una mera reiterazione delle doglianze precedentemente manifestate dall’utente a cui la società H3G S.p.A. ha fornito tutte le dovute risposte tramite lo scambio di e-mail prodotto dallo stesso sig. Xxxxx e presente agli atti. Pertanto la domanda relativa alla corresponsione di un indennizzo per la mancata risposta al reclamo non può trovare accoglimento.
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Motivi della decisione. Da un’attenta analisi La sentenza di primo grado ha fondato la responsabilità erariale dello Scopelliti su due concorrenti rationes decidendi, consistenti, rispettivamente, nell’ingiustificata eccessività del caso prezzo pagato e nella carenza di specie, emerge che la richiesta alcuna proficua utilizzazione dell’immobile acquistato. La sentenza di parte istante merita un parziale accoglimento, considerato che non sono riscontrabili elementi di scorrettezza nella condotta del sig. Xxxxx, il quale appello ha fatto venir meno la prima voce di addebito – ritenuta l’incertezza del servizio telefonico un utilizzo conforme al regolamento contrattuale. Di controreale valore di mercato del complesso immobiliare, diversi sono i profili di illegittimità ravvisabili nella condotta tenuta dall’operatore nel corso dell’esecuzione del rapporto contrattuale. Nel dettaglioalla luce delle diverse stime espresse in più perizie – confermando, invece, la valutazione sussistenza del dan- no erariale per inutilità dell’acquisto immobiliare rispetto all’interesse pubblico: circostanza, confermata dallo stato di abbandono e degrado del complesso immobiliare a distanza di anni. Proprio tale statuizione viene contestata dal ricorrente come invasiva della fattispecie discrezionalità della pubblica amministrazione e quindi lesiva dei limiti esterni della giurisdizione contabile. La censura è infondata. È jus receptum che ci occupa è incentrata sulla problematica riguardante la legittimità dell’iniziativa della “messa in scadenza” del credito l’insindacabilità nel merito delle scelte discrezionali compiute da autoricarica maturato entro il 31.12.2006. Su tale questione l’operatore H3G ha evidenziato chesoggetti sottoposti, in sostanzaastratto, alla giurisdizione della Corte dei conti non ne comporta la maturazione sottrazione ad ogni possibilità di somme notevolmente ingenti da parte dell’utente sembra derivare da un utilizzo improprio dell’utenza telefonica, in contrasto con il divieto contrattuale di uso dei servizi a scopo lucro prescritto controllo. L’insindacabilità nel merito sancita dall’art. 12 delle Condizioni generali 1, c. 1, l. 14 gennaio 1994, n. 20 (Disposizioni in materia di abbonamento. Con riferimento alle argomentazioni addotte dal gestore a supporto giuri- sdizione e controllo della propria posizione, rileva in questa sede evidenziare che, al tempo della costituzione del rapporto contrattuale, nessuna clausola indicava limitazioni circa l’utilizzazione del credito residuo accumulato, né lo differenziava in alcun modo rispetto a quello frutto di versamento diretto di somme di denaro a favore del gestore. A ciò si aggiunga che la disciplina contrattuale, prevedendo apposite forme di autotutela, avrebbe consentito all’operatore di disporre rimedi quali la sospensione Corte dei servizi ovvero la risoluzione del contratto per usi anomali o a scopo di lucro, conformemente a quanto disposto dall’art. 18 e dall’art. 20 delle Condizioni Generali di contratto. Non può trascurarsi, pertanto, la circostanza che la società H3G S.p.A., pur potendo, conti) non ha attivato quelle clausole che le avrebbero permesso di tutelarsi per tempo senza far sorgere equivoci né aspettative di sorta rispetto ad un comportamento del cliente indubbiamente anomalo, che però era già oggettivamente riscontrabile da tempo. Sotto altro profilo interpretativo, poi, si deve aggiungere che l’assenza originaria, nel piano Super Tua Più, di qualsivoglia tetto massimo o limite per l’autoricarica e la recente previsione di tetti di autoricarica che ancora permettono l’accumulo di somme rilevanti, rappresentano un indice della volontà originaria del gestore di consentire accumuli anche ingenti di credito da autoricarica. Tali caratteristiche hanno reso tali piani tariffari particolarmente “appetibili” per una parte di clientela, consentendo al gestore di realizzare una campagna di acquisto clienti evidentemente vantaggiosa. Si deve, quindi, ritenere che il comportamento tenuto dal gestore, che avrebbe dovuto essere improntato a diligenza e perizia qualificate per evitare il verificarsi di situazioni quali quella in esame, è stato per contro lungamente connotato da inerzia, per poi manifestarsi con una soluzione che appare ingiustificata e sproporzionata, qual è quella del netto rifiuto di restituire l’intero ammontare del credito generato da meccanismi di autoricarica. Da ciò deriva che l’eccezione del gestore relativa all’uso anomalo rilevato non può trovare integrale accoglimento, poiché la società H3G S.p.A., dopo aver comunque tratto tutto il possibile vantaggio dallo svolgimento del rapporto, beneficiando del traffico generato dal cliente e lucrando, ovviamente, sotto il profilo dei prezzi di terminazione, con il disconoscimento del credito da autoricarica ha mirato a riservare a sé tutti i vantaggi del contratto e a liberarsi di tutti i correlativi oneri. Fermo quanto sopra, elemento dirimente ai fini della soluzione del caso che ci occupa è la valutazione della condotta del sig. Xxxxx al fine di stabilire se lo stesso abbia fatto un utilizzo del servizio telefonico pienamente conforme al regolamento contrattuale ed alla causa del contratto di abbonamento telefonico, che dovrebbe identificarsi in uno scambio tra un servizio di comunicazione interpersonale ed un corrispettivo. Se è veropriva, infatti, la Corte dei conti della possibilità di accertare la conformità alla legge dell’attività amministrativa, verificandola anche sotto l’aspetto funzionale: in ordine cioè, alla congruità dei singoli atti compiuti rispetto ai fini imposti, in via generale o in modo specifico, dal legislatore. Si deve quindi richiamare, quale limite all’insindacabilità delle scelte discrezionali della pubblica ammini- strazione, l’esigenza di accertare che le decisioni del gestore relative alle soglie l’attività svolta si sia ispirata a criteri di autoricarica, o ad altre offerte che invoglino al consumo, possono essere sindacate per valutare eventuali carenze di trasparenza nelle collegate condizioni sull’utilizzo tecnico/economico dei servizi, non può seriamente ritenersi ragionevole proporzionalità tra costi e benefici. Ne consegue che la mancanza Corte dei conti, nella sua qualità di giudice contabile, può verificare la compatibilità delle scelte amministrative con i fini dell’ente pubblico. Se da un tetto massimo di autoricarica mensile nella prima formula del piano tariffario Super Tua Più equivalesse a legittimare qualsiasi forma di uso (o abuso) dell’utenza telefonica, a prescindere dalla naturale funzione economico- sociale del contratto, che consiste nello scambio tra un servizio di comunicazione interpersonale ed un corrispettivo, e non nell’autoricarica. Una simile affermazionelato, infatti, negherebbe l’esercizio in radice le regole basilari concreto del potere discrezionale dei pubblici amministratori costituisce espressione di una sfera di autonomia che il legislatore ha inteso salvaguardare dal sindacato della società civileCorte dei conti, dall’altro, l’art. 1, c. 1, l. 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in pratica presupponendo materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi) stabilisce che l’assenza l’esercizio dell’attività amministrativa deve ispirarsi a criteri di un idoneo controllo legittimi qualsiasi comportamento. Da ciò deriva anche l’ulterioreeconomicità e di efficacia, evidente, considerazione che, in ogni caso, anche la previsione di un tetto in ipotesi elevato, per sua stessa definizione e natura, non implica affatto la necessità co- stituenti specificazioni del suo costante raggiungimento da parte degli utenti in violazione delle più elementari regole di buona fede nella esecuzione del contratto, in ossequio a quanto prescritto dal combinato disposto degli artt. 1337, 1175 e 1375 del c.c.. L’obbligo di attenersi al rispetto della buona fede, fondato sul dovere di solidarietà generale principio costituzionale di cui all’art. 2 del Costituzione97 Cost. e rilevanti non solo sul piano della mera opportunità, impone a ciascuna delle parti di agire in modo da preservare gli interessi dell’altra, ma anche a prescindere dagli specifici obblighi contrattuali e dal dovere extracontrattuale del neminem laedere. In via generale, secondo un orientamento giurisprudenziale consolidato, “la buona fede nell’esecuzione del contratto si sostanzia in un generale obbligo di solidarietà che impone a ciascuna delle parti di agire in modo da preservare gli interessi dell’altra a prescindere tanto da specifici obblighi contrattuali, quanto dal dovere extracontrattuale del neminem laedere, trovando tale impegno solidaristico il suo limite precipuo unicamente nell’interesse proprio del soggetto, tenuto, pertanto, al compimento di tutti gli atti giuridici e/o materiali che si rendano necessari alla salvaguardia dell’interesse della controparte nella misura in cui essi non comportino un apprezzabile sacrificio a suo carico” legittimità dell’azione amministrativa (ex pluribus, Xxxx., 15.02.2007 e Cass., 11.01.2006S.U., 29 settembre 2003, n. 26414488). Nel caso Ciò premesso in esamesede dogmatica, tra l’altro, l’utente Xxxxx aveva anche aderito ad obblighi contrattuali che ponevano limiti espressi: l’art. 12, comma 3, delle Condizioni Generali applicabili, infatti, stabiliva che “Il cliente si impegna a non utilizzare o far utilizzare, direttamente o indirettamente, i servizi per scopo di lucro, anche indiretto”, mentre i successivi articoli 18 e 20 implicavano un divieto più generico di “ogni altro caso di uso improprio o illegittimo del servizio”, prevedendo la facoltà del gestore di sospendere o risolvere il contratto. Pure il messaggio pubblicitario originariamente diffuso, tra l’altro, implicava chiaramente un uso bidirezionale dell’utenza, naturalmente anche solo potenziale. La locuzione “parlare praticamente gratis” utilizzata dal gestore, infatti, presupponeva con tutta evidenza un’attività di traffico in uscita, tant’è osserva che la promessa di gratuità fu giudicata ingannevole dall’Autorità garante per la concorrenza e il mercato (provvedimento n. 16010 del 27 settembre 2006) anche perché vi erano una serie di oneri che riducevano “notevolmente la possibilità per il cliente di riuscire a compensare il costo del traffico in uscita con quello in entrata” (per esempio lo scatto alla risposta). Non vi è dunque alcuno spazio per ritenere che il piano tariffario, per quanto contraddistinto da un’accattivante logica di autoricarica, potesse essere usato come strumento di accumulo di denaro tramite la sola ricezione ininterrotta di traffico voce o dati. Alla luce di tali affermazioni, pertanto, ed in applicazione delle norme contrattuali citate, è necessario valutare se nel periodo di riferimento vi siano stati episodi di utilizzo del servizio da parte dell’utente non conforme alla causa dell’accordo sottoscritto, vale a dire alla sua funzione economico-sociale, secondo un’interpretazione di buona fede dell’offerta commerciale nel suo complesso, così come pubblicizzata dal gestore. Da ciò deriva che l’istante può avere diritto esclusivamente al riconoscimento di un importo di credito che sia compatibile con il regolamento pattizio e con l’economia del relativo contratto, improntati ad un canone di “uso normale” e ragionevole del servizi. Nella definizione concreta di questo canone, l’Autorità è tenuta peraltro a valutare i peculiari equilibri economici propri dello specifico rapporto in tutta la complessità Corte dei loro risvolti, non circoscrivendoli ai soli elementi formali e tecnici della fattispecie secondo un parametro di giustizia sostanziale del caso concreto. Rileva, allora, al di là delle abitudini nell’uso dei servizi descritte dall’utente, sopra riassunte, il contegno dell’operatore successivo alla stipula, che – come già illustrato – non conti ha per lungo tempo azionato le clausole pattizie che gli avrebbero permesso di tutelarsi, lasciando che l’istante accumulasse credito anche ingente (ed anzi prevedendo nei successivi Piani Tariffari limiti di autoricarica mensile decisamente elevati, con ciò evidentemente permettendo l’insorgenza di un’aspettativa per l’utente). Sotto quest’ultimo profilo, inoltre, importa, inoltre, ricordare il canone del Codice civile di cui all’art. 1370, che impone di risolvere a carico del contraente che predispone le Condizioni Generali di Contratto le ambiguità del loro testo, ivi compresa, nel caso specifico, quella connessa al richiamo del solo generico divieto di perseguire uno scopo di lucro, privo di qualsivoglia riferimento a soglie massime di utilizzazione e a scadenze predeterminate. Nella specifica vicenda, pertanto, il parametro da applicare ai fini di una concreta ed equa determinazione dell’ammontare del credito da autoricarica da corrispondere all’utente risiede nella valutazione del contratto alla stregua del suo uso normale del servizio da parte del cliente medio residenziale del servizio telefonico, avuto riguardo alla naturale destinazione di quest’ultimo, consistente nella comunicazione interpersonale e non nell’autoricarica. Si tratta di un criterio che, oltre ad essere usualmente adoperato per valutare la consistenza delle condotte di abuso del diritto (ex multiis, Cass., sez. III, 15.04.2004, N. 7169; 18.6.1991, N. 6896), è suggerito dalle stesse condizioni generali di contratto, le quali, in diverse disposizioni lo considerano quale parametro al quale si ancorano alcune conseguenze contrattuali. Come già anticipato, inoltre, l’art. 12.3 delle condizioni generali di contratto vieta al cliente di utilizzare il servizio per scopo di lucro, anche indiretto. Non può che ridursi, di conseguenza, l’importo che può essergli riconosciuto, nella misura in cui esso è stato il frutto di una condotta eccedente le soglie compatibili con il regolamento pattizio e con l’economia del relativo contratto. Nella fattispecie in oggetto, deve rilevarsi che, sulla base di un’attenta valutazione e disamina delle informazioni rese dalle parti, deve escludersi il denunciato utilizzo del servizio “in modalità non adeguata ad un uso normale dell’utenza telefonica”, che avrebbe giustificato, anche nei confronti del sig. Xxxxx, secondo la ricostruzione della Società, l’operazione di “messa in scadenza” del credito autoricaricato. Gli importi di autoricarica accumulati dall’istante, infatti, sono stati maturati in un periodo abbastanza lungo e risultano decisamente non significativi ai fini del preteso uso anomalo dell’utenza, se rapportati alle logiche di autoricarica applicate (0,04 euro per ogni sms ricevuto off net e 0,010 euro per ogni minuto di traffico ricevuto off net), nel senso che gli stessi equivalgono alla ricezione di una quantità di traffico o dati compatibile con un uso normale e ragionevole dell’utenza. A supporto dell’assunto che si sta sostenendo, si consideri chefondato, nel caso di specie, il criterio dell’uso normale l’accerta- mento del dirittodanno erariale nella sostanziale inutilità della compravendita di un immobile in disuso, conformemente ai parametri già utilizzati da questa Autorità nella Delibera n. 11/09/CIR, può essere individuatorimasto privo di alcuna proficua utilizzazione, per l’utenza interessata dall’operazione un prezzo onerosissimo per le finanze comunali. Tale accertamento rientra certamente nella giurisdizione della Corte dei conti per le ragioni testé esposte; restando, per contro, sottratto a sindacato sotto il profilo di messa eventuali errores in scadenza del creditojudicando. P.q.m., in 6 ore giornaliere di traffico in sola ricezione, pari ad euro 1.080,00 di autoricarica mensile. Tanto, in considerazione: - delle caratteristiche specifiche dell’offerta, contraddistinta da una logica di autoricarica molto accattivante per gli utenti che certamente invogliava alla ricezione, pur senza prevedere limiti mensilirigetta il ricorso; - del fatto che l’utenza in ricezione era una; - del fatto che, in ogni caso, qualsiasi utente, durante la vita quotidiana, compie attività molteplici ed ulteriori rispetto all’utilizzo si dà atto della sussistenza dei servizi di comunicazione interpersonale; della ragionevolezza della presunzione di più pause giornaliere nell’uso dei servizi, presupposti di cui una notturna xx x.x.x. 00 xxxxxx 0000, x. 000 (X.x. delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di perlomeno 7 orespese di giustizia-T.u. Applicando la soglia spese di 1.080,00 euro mensilixxxxxx- xxx), emerge con palmare evidenza cheart. 13 (Importi), nel periodo in contestazionec. 1-quater, tale soglia non è mai stata superata dal sigintrodotto dall’art. Xxxxx. Non si ravvisa dunque la prova del lamentato scopo 1, c. 17, l. 24 dicembre 2012, n. 228 (legge di lucro nell’utilizzo del servizio da parte dell’utente. Alla luce di tali affermazioni, pertanto, ed in applicazione delle norme contrattuali citate, si ritiene che, nel periodo in contestazione, l’utilizzo del servizio sia stato conforme alla causa dell’accordo sottoscritto, vale a dire alla sua funzione economico-sociale, secondo un’interpretazione di buona fede dell’offerta commerciale nel suo complesso, così come pubblicizzata dal gestore. Da ciò deriva che la domanda di restituzione del credito da autoricarica formulata dall’utente deve trovare pieno accoglimento. Per quanto concerne, da ultimo, la richiesta dell’istante per la mancata risposta al reclamo ricevuto dall’operatore in data 30 ottobre 2007, deve evidenziarsi che la nota in parola risulta essere una mera reiterazione delle doglianze precedentemente manifestate dall’utente a cui la società H3G S.pstabilità 2013).A. ha fornito tutte le dovute risposte tramite lo scambio di e-mail prodotto dallo stesso sig. Xxxxx e presente agli atti. Pertanto la domanda relativa alla corresponsione di un indennizzo per la mancata risposta al reclamo non può trovare accoglimento.
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