LA CAUSA NEI CONTRATTI DERIVATI
Università degli Studi di Cagliari
DOTTORATO DI RICERCA
DIRITTO DEI CONTRATTI
Ciclo XXVIII
TITOLO TESI
LA CAUSA NEI CONTRATTI DERIVATI
Settori scientifico disciplinari di afferenza IUS/01 - IUS/04
(settore ulteriormente interessato IUS/18)
Presentata da: Xxxxxxxx Xxxxx Coordinatore Dottorato Prof.ssa Xxxxxxx Xxxxxxx Tutor Xxxx. Xxxxxxxxx Xxxxxx
Esame finale anno accademico 2014 – 2015
Abstract.
In recent years there have been intense and fast changes in the economy and on the markets. In this context an economic model strongly marked by liberalism which has been the beginning of the phenomenon known as globalization has been implemented. A market free from state intervention (including rules) encourages the access of some people such as individuals and unskilled operators in general in particularly insidious market sectors. At the same time the contracts practice has been enriched by different and diverse models of contracts that have raised and continues to raise several legal problems. Among these figures are “derivatives” which are financial instruments whose circulation is still «one of the main factors of amplification of the crisis» of a market which is already deregulated and globalized. A crisis which in turn is the effect of various systemic risks that the various institutions (political and economic) are struggling to govern.
This thesis is structured in three chapters. In the first chapter social and economics problems posed by derivatives are discussed. The most relevant sources of law are listed and the different approaches adopted by the doctrine has been examinated to try to define a model which introduces a novelty in the law of contracts. The second chapter speaks about the presence of a “multi-level” regulation which is still being formed and in which the
«customer interest» and the «integrity of markets» are not opportunely reconciled. Inevitably this has an impact on the individual dealing with derivatives (especially derivatives “over the counter” trading) with respect to which the particular situation of conflict between the interests of the intermediary and the customer assumes very often pathological character. In the third chapter the strictly civil issues that are raised by derivative contracts have been elaborated. These are issues that come into tension with the whole system of contract law and still are not definitively overcome. For this reason it was decided to set the examination of various issues in a systematic and historical perspective. In particular the main themes that have been discussed in this chapter are: the notion of
«alea» and the category of «aleatory contracts», the consideration («causa») of contracts in general, and of the derivative contracts in particular and lastly the object («oggetto») of derivative contracts.
LA CAUSA NEI CONTRATTI DERIVATI
Abstract
Capitolo I
I DERIVATI FINANZIARI: GENERALITÀ
1. L’emersione dei derivati finanziari nel contesto economico contemporaneo 5
1.2. Le origini storiche dei derivati finanziari 8
2. La nozione di derivazione 12
2.1. Il dato normativo 14
2.2. «Contratti derivati»: categoria unitaria o espressione che indica fenomeni eterogenei? 18
2.2.1. «Contratti derivati» come categoria unitaria 19
2.2.2. «Contratti derivati» come espressione che indica fenomeni eterogenei 23
2.2.3. «Contratti derivati» come locuzione funzionale 23
3. Archetipi di contratti derivati 30
3.1. Futures 30
3.2. Options 33
3.3. Swaps 37
4. Contratti derivati e fattispecie affini 41
Capitolo II
CONTRATTI DERIVATI E AUTONOMIA NEGOZIALE
1. Premessa 49
2. Derivati standardizzati 50
3. Derivati over the counter (otc) 56
3.1. (Segue) La normativa macroeconomica dei derivati otc 58
4. La normativa microeconomica dei derivati 64
5. Profili di criticità delle normative sui derivati. In particolare, il conflitto di interessi 67
5.1. Il conflitto di interessi tra regole di comportamento e regole di validità 71
5.2. L’interferenza tra le regole di comportamento e le regole di validità nella prospettiva xxxxx
xxxxx in concreto 76
Capitolo III
ALEATORIETÀ, RAZIONALITÀ E ASTRATTEZZA DEI DERIVATI FINANZIARI
1. Introduzione 85
2. I derivati come «contratti aleatori» 86
2.1. Il «contratto aleatorio» e la nozione di «alea» 90
2.1.1. I «contratti aleatori» come «categoria contrattuale» 98
2.1.2. La negoziabilità dell’alea naturale 108
2.1.3. I contratti «aleatori per natura» (o «essenzialmente aleatori») 121
2.1.4. I contratti «aleatori per volontà delle parti» 126
2.1.4.1. (Segue) La vendita di cosa futura e la cosiddetta «emptio spei» nel diritto
xxxxxx; la futurità come «assenza» della res 130
2.1.4.2. (Segue) La vendita di cosa futura nel codice civile; la futurità come
«inesistenza» della cosa 154
2.1.5. La disciplina civilistica sugli effetti dei contratti aleatori 197
2.2. La distinzione tra «alea unilaterale» e «alea bilaterale»: irrilevanza giuridica 210
3. L’alea tra oggetto e causa del contratto; la causa e l’oggetto dei contratti derivati 228
4. Causa del contratto e causa dei derivati: premessa 231
4.1. Le funzioni dei contratti derivati e il problema della qualificazione 250
4.1.1. La tesi soggettiva: il derivato come contratto «naturalmente» di copertura suscettibile
di essere alterato in senso speculativo 255
4.1.2. La tesi oggettiva: i derivati come contratti sinallagmatici. L’irrilevanza della funzione 259
4.1.3. La tesi semi-oggettiva: la connessione tra il rapporto sottostante e il contratto
derivato nella prospettiva xxxxx xxxxx concreta 265
4.1.4. (Segue) La qualificazione dei contratti derivati nella prospettiva xxxxx xxxxx in
concreto «può rivelarsi sfuggente» 270
4.2. La disciplina civilistica del giuoco e della scommessa: cenni introduttivi 282
4.2.1. La regola generale della «denegatio actionis»: fondamento e ambito di applicazione 286
4.2.2. I controversi rapporti tra i contratti derivati e la scommessa 307
4.2.3. I contratti derivati come «scommesse legalmente autorizzate» ex artt. 1 e 23, comma
5, tuf 350
5. L’xxxx xxxxxxxxx 368
6. L’oggetto dei contratti derivati 379
II
6.1. (Segue) Considerazioni a margine dell’oggetto del contratto; il problema dei cosiddetti
«costi impliciti» 390
7. Il «nesso di derivazione» tra «finanziarietà» e «astrattezza pura» 396
Bibliografia 407
Capitolo I
I DERIVATI FINANZIARI: GENERALITÀ
SOMMARIO: 1. L’emersione dei derivati finanziari nel contesto economico contemporaneo. – 1.2. Le origini storiche dei derivati finanziari. – 2. La nozione di derivazione. – 2.1. Il dato normativo. – 2.2.
«Contratti derivati»: categoria unitaria o espressione che indica fenomeni eterogenei? – 2.2.1. «Contratti derivati» come categoria unitaria. – 2.2.2. «Contratti derivati» come espressione che indica fenomeni eterogenei. – 2.2.3. «Contratti derivati» come locuzione funzionale. – 3. Archetipi di contratti derivati – 3.1. Futures – 3.2. Options – 3.3. Swaps – 4. Contratti derivati e fattispecie affini.
1. L’emersione dei derivati finanziari nel contesto economico contemporaneo.
Negli ultimi anni si è assistito ad una vivace e rapida evoluzione dell’economia e dei mercati.
Tra i fattori di sviluppo è sicuramente da annoverare l’emersione delle nuove tecnologie1, sia xxx xxxxx delle telecomunicazioni2 – circostanza che ha agevolato l’incontro tra gli operatori del mercato finanziario –, sia nel settore dei mezzi di pagamento in generale: si pensi, ad esempio, al ricorso sempre più frequente xxxx xxxxxx elettronica xxxx’ambito del cosiddetto e-commerce3.
1 X. XXXXXXXXXX, La disciplina del mercato mobiliare4, Torino, 2008, p. 1; S. BO – X. XXXXXXX, Il rischio giuridico dei prodotti derivati, Milano, 1997, p. 7; X. XXXX, Principi, in Trattato di diritto commerciale, a cura di X. Xxxxxxxxx, Torino, 2001, pp. 31 ss.
2 «I progressi delle tecnologie della comunicazione e dell’informazione sono stati le condizioni decisive per la crescita dei mercati finanziari globali, per la strutturabilità dei gruppi transazionali e per il decollo delle “tigri asiatiche”, le quali producono gran parte della componentistica dei computer. Internet, che solo dalla metà degli anni Novanta è uno spazio virtuale puramente privato “senza censura” e accessibile a tutti, è più una metafora che una causa della connessione in rete tramite l’elaborazione di dati e i media elettronici. Xx xxxxx in rete elettronica del mondo non si è comunque diffusa “capillarmente”, ma ha fatto sorgere un nuovo “dislivello digitale” tra coloro che sono connessi alla rete e coloro che non lo sono». X. XXXXXXXXXXX – X. X. XXXXXXXXX, Storia della globalizzazione. Dimensioni, processi, epoche, Bologna, 2005, p. 121.
3 Quando si parla di sviluppo tecnologico, ci si vuol riferire non solo al progresso tecnico in campo informatico, ma anche all’elaborazione di nuove tecniche giuridiche. Al riguardo, X. X. XXXXXXXXX, Le istituzioni della globalizzazione: diritto e diritti nella società transnazionale, Bologna, 2002, p. 107.
A xxxx xxxxxxx va aggiunta l’affermazione di un modello economico fortemente improntato al liberismo, il xxxxx xx costituito l’avvio4 del più ampio fenomeno meglio xxxx come globalizzazione5.
Un mercato libero dall’intervento dello Stato, e quindi dalle regole, incoraggia l’accesso di alcuni soggetti – singoli individui e operatori non qualificati in generale – a settori del mercato particolarmente insidiosi6.
Xxxx xxxxxxx, insieme, hanno portato da un lato all’abbattimento dei costi legati alle transazioni7; dall’altro hanno condotto la ricchezza a circolare fuori dai suoi confini statali; dall’altro ancora hanno reso particolarmente instabili i mercati finanziari.
In tale contesto, la prassi degli operatori del settore si è arricchita di varie ed eterogenee fattispecie contrattuali xxx xxxxx sollevato, e tuttora sollevano, diversi problemi giuridici.
Tra queste figure rientrano i contratti derivati, strumenti finanziari la cui circolazione ancora oggi costituisce «uno dei principali fattori di amplificazione xxxxx xxxxx»8 di un mercato, appunto, ormai deregolamentato e globalizzato; crisi che, a sua volta, altro non è
4 «In un’economia chiusa gli investimenti totali sono pari al risparmio interno. Per le economie aperte, invece, i mercati finanziari mondiali sono un’altra fonte di fondi di investimento e un altro sbocco per il risparmio interno». P. A. XXXXXXXXX – X. XXXXXXXX, Economia17, Milano, 2002, p. 628.
5 «L’integrazione dei mercati finanziari è dovuta principalmente all’abolizione delle restrizioni ai flussi di capitali da un Paese all’altro, alla riduzione dei costi e alle innovazioni nei mercati finanziari, in particolare per quanto riguarda l’uso di nuovi tipi di strumenti finanziari». P. A. XXXXXXXXX – X. XXXXXXXX, Economia, cit., p. 32. È appena il caso di rilevare che alcuni studiosi del settore distinguono l’internazionalizzazione, concetto con cui si identifica l’apertura dell’economia di un Paese all’interazione con l’estero, dalla globalizzazione, intesa come quel generale fenomeno dell’integrazione tra gli apparati produttivi dei paesi avanzati e tra paesi avanzati e meno sviluppati. X. XXXXXXXX, Le politiche di internazionalizzazione, in Finanziamento e internazionalizzazione di impresa, a cura di X. Xxxxxxxxxx, Torino, 2006, pp. 415 ss. Sul tema della globalizzazione, in generale, v. X. X. XXXXXXXXX, Le istituzioni della globalizzazione, cit., e, sempre dello stesso Autore, Il diritto al presente: globalizzazione e tempo delle istituzioni, Bologna, 2002.
6 «In un sistema di mercato i cittadini agiscono volontariamente e principalmente per il vantaggio economico e la soddisfazione personale. Le imprese acquistano i fattori e realizzano i prodotti, scegliendo gli uni e gli altri in modo da massimizzare i profitti; i consumatori forniscono fattori di produzione e acquistano beni di consumo per massimizzare la propria soddisfazione. Gli accordi sulla produzione e sul consumo vengono effettuati volontariamente e con l’impiego xx xxxxxx, a prezzi determinati in mercati liberi e sulla base di accordi tra venditori e acquirenti. Benché i singoli cittadini differiscano notevolmente tra loro in termini xx xxxxxx economico, i rapporti tra i singoli individui e le imprese sono orizzontali per natura, essenzialmente volontari e non gerarchici». P. A. XXXXXXXXX – X. XXXXXXXX, Economia, cit., p.
587. V. anche X. XX XXXXXXX, Teoria e critica della globalizzazione finanziaria. Dinamiche del potere finanziario e crisi sistemiche, Padova, 2012.
7 S. BO – X. XXXXXXX, Il rischio giuridico dei prodotti derivati, cit., p. 7.
8 Così il punto 97 dello «schema di regolamentazione internazionale per il rafforzamento delle banche e dei sistemi bancari» (d’ora innanzi «Basilea III»), per l’esame del xxxxx si rinvia a quanto si dirà infra.
che l’effetto dei vari rischi sistemici9 che le diverse istituzioni (politiche ed economiche) xxxxxxxx a governare10.
Invero, i derivati finanziari non sono ontologicamente tossici11: diventano tali in relazione alla funzione concreta che vengono chiamati ad assolvere12.
Più esattamente, tale qualifica sarebbe da riservare ad alcuni strumenti finanziari derivati speculativi, posto che quelli aventi finalità di copertura non solleverebbero particolari problemi13.
Cionondimeno, il suddetto xxxxxxx x xxxxxx solo in linea teorica, posto che gli strumenti derivati, quand’anche non possano ritenersi aprioristicamente “tossici”, presentano elevati profili di ambiguità.
In questo senso, a xxxxxx xxxxx cosiddetta cartolarizzazione del rischio di credito14, risulta particolarmente complesso comprendere e distinguere dove finisca la funzione protettiva e inizi quella speculativa.
Infine, deve essere altresì osservato che le criticità sollevate dal gioco15 in cui sono implicati i derivati finanziari vengono ulteriormente acuite e amplificate dalla peculiare
9 Sul concetto di «rischio sistemico», v. infra.
10 «Nel nuovo contesto del mercato dei derivati sono apparsi rischi sistemici generati dalla deregolamentazione ed integrazione delle attività finanziarie». X. XX XXXXXXX, Diritto dell’economia e dinamiche istituzionali, Padova, 2002.
11 La tossicità dei titoli dipende dal fatto che i titoli stessi «costituiscono un costo incalcolabile: non si sa per quanto tempo si dovrà tenerli x x xxxxx prezzo xxxx possibile rivenderli». M XXXXX – X. XXXXXXXX, Fine xxxxx finanza, Roma, 2009, p. 99.
12 «Sarebbe sbagliato, tuttavia, imputare la virulenza xxxxx xxxxx unicamente al proliferare di strumenti finanziari innovativi, la cui tossicità si sarebbe nascosta sotto acronimi spesso indecifrabili perfino per i dirigenti di banche xxx xx trattavano»: così, X. XXXXX – X. XXXXXXXX, Fine xxxxx finanza, cit., p. 102.
13 Significativo, al riguardo, quanto affermato dall’ex Xxxxxxxxxxx xxxxx Banca d’Italia Xxxxx Xxxxxx (attualmente Presidente della Banca Centrale Europea) xxx xxxxx dell’assemblea ordinaria dell’ABI dell’11 luglio 2007: «le banche forniscono un servizio importante alle imprese se le assistono xxxxx xxxxxx degli strumenti adatti alle loro caratteristiche. La finalità deve essere la copertura del rischio, non altra. Spingere i clienti ad assumere rischi finanziari anziché a coprirli accresce il rischio di controparte, con possibili perdite cospicue; fa emergere rischi legali e di reputazione, xxx xxxxxx le prospettive di sviluppo dell’intermediario, possono giungere a metterne in discussione la stabilità». Il testo integrale dell’intervento è reperibile all’indirizzo internet xxxxxxxxxxxx.xx/xxxxxxxxxxxxx/xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx/xxxxxxx0000/xxx_00_00
.pdf.
14 «Il sistema bancario […] scopre il vantaggio di mettersi in sicurezza con il nuovo metodo dell’esternalizzazione del rischio di credito, tramite la cartolarizzazione. I diritti di credito nascenti da sottostanti contratti sono cartolarizzati e sono distribuiti come prodotti derivati nel mercato finanziario OTC. L’idea di trasferire il rischio, guadagnandoci, è geniale e al contempo semplice, inoltre è apparentemente xxxxx di controindicazioni, perlomeno per le banche». X. XX XXXXXXX, Teoria e critica, cit.,
p. XXIII. Sul punto, v. anche X. XXXXXX, Per un divieto di cartolarizzazione del rischio di credito, in Banca, borsa, tit. cred., 2009, 3, pp. 253 ss.
fisionomia che connota il contesto economico contemporaneo16, sempre più evanescente17
e distante dall’economia reale18.
1.2. Le origini storiche dei derivati finanziari.
Tra le figure che vengono tradizionalmente ricomprese nella fattispecie del derivato finanziario, quella denominata future è sicuramente la più elementare19: per questa ragione, un’indagine storica del fenomeno non può che partire da essa.
15 Il riferimento è alla cosiddetta «teoria dei giochi», sviluppata nel 1944 da X. xxx Xxxxxxx e X. Xxxxxxxxxxx xxxxx xxxxxxx pubblicazione Theory of Games and Economic Behavior. Al riguardo, v. P. A. XXXXXXXXX – X. XXXXXXXX, Economia, cit., p. 192 e pp. 213-221: «il mondo degli affari è ricco di interazioni strategiche tra i concorrenti, e per analizzarne i risultati gli economisti si basano su un’affascinante area della teoria economica, nota come teoria dei giochi, che consiste xxxx’analisi di situazioni riguardante due o più “giocatori” xxx xxxxxx prendere decisioni e hanno obbiettivi contrastanti». Invero, alcuni studiosi del fenomeno osservano che «i giochi di economia e politica raramente sono giochi con informazione completa. Persino con xx xxxxxxxx analisi preliminari, è impossibile individuare in maniera capillare tutte le possibilità delle tecnologie e dei processi decisionali degli avversari – talvolta sono dissimulati persino i loro valori. Non abbiamo quindi nulla su cui basarci quando prepariamo la tabella del gioco»: così, X. XXXX, Calcoli morali. Teoria dei giochi, logica e fragilità xxxxx, Xxxx, 2000, p. 131. Sempre sul punto, appare significativa l’equiparazione dell’attuale sistema capitalistico ad un casinò, avente cioè le caratteristiche proprie di un «gioco nervoso e veloce, teso prevalentemente ai risultati nel breve termine». X. X. XXXXXXXXX, Le istituzioni della globalizzazione, cit., p. 37.
16 Una critica al complessivo sistema socio-economico contemporaneo proviene dall’ex Ministro delle Finanze xxxxx Xxxxxx, Stato che – com’è xxxx – sta attualmente attraversando una profonda crisi economico- finanziaria: «la verità è che le nostre società non sono semplicemente ingiuste: sono spaventosamente inefficaci xxxxx xxxxxx in cui disperdono le nostre potenzialità di produrre xxxx xxxxxxxxx». Y. XXXXXXXXXX, È l’economia che cambia il mondo: quando la disuguaglianza mette a rischio il nostro futuro, Milano, 2015.
17 «È, infatti, xxxxxx xxxxxxx un’economia caratterizzata dall’“incontro ravvicinato” tra tecnica della finanza e tecnica giuridica, il cui esito è la “creazione” quasi alchemica di prodotti finanziari, xx xxxxxxxxx dematerializzata circolante». X. XXXXXXXXX, Il xxxxxxxxx di opzione. Vol. I – Struttura e funzioni, Milano, 2007, p. XXIII. V. anche X. X. XXXXXXXXX, Il diritto al presente, cit.; X. XXXXXXXXX, I confini giuridici nel tempo presente: il caso del diritto fiscale, Milano, 2003; X. XXXXX, L’alchimia della finanza, Firenze, 1998;
X. XXXXX e X. XXXXX, Dalla ricchezza assente xxxx xxxxxxxxx inesistente. Divagazioni del giurista sul mercato finanziario, in Banca, borsa, tit. cred., 2010, 4, pp. 401 ss. e in xxxxxxxxxxx.xx.
18 «La storia delle dinamiche della globalizzazione e delle xxx xxxxx sistemiche coincide con xxxxxx xxxxx progressiva, crescente emancipazione della speculazione finanziaria xxx xxxxxxx dell’economia xxxxx e dalle xxx xxxxxx di stabilità economica […]. La borsa, pensata in effetti per far incontrare il risparmio con gli investimenti dell’economia xxxxx xxxx xxxxxxx xxxxxx poco xxxxxx xxxx finanza speculativa. Ma, soprattutto, risente di un limite strutturale per cui la crescita delle azioni è intrinsecamente condizionata dal riferimento ad asset di imprese dell’economia xxxxx […]. La speculazione xx xxxxxxx di titoli diversi dalle azioni e di un mercato più congeniale, ove possa espandersi senza le anguste paratie e recidendo i legami del mercato azionario con l’economia xxxxx». X. XX XXXXXXX, Teoria e critica, cit., pp. IX-XXIII.
19 «Il future rappresenta l’archetipo primigenio, la forma più elementare xx xxxxxxxxx derivato. Esso esprime, in una certa misura, la meccanica fondamentale di ogni altro strumento derivato. Nessun derivato, pur nelle innumerevoli varianti e nella peculiarità del suo essere, prescinde dagli elementi minimi del future». X. XXXXXX, I contratti derivati, Milano, 2010, p. 55.
Non è certamente possibile sapere a quando risalgano le prime vendite a xxxxxxx00, ma, per quanto interessa in questa sede, la loro presenza è sicura nella vigenza del diritto xxxxxx, posto che già in tale sistema giuridico si faceva ricorso a quell’elemento negoziale accessorio oggi chiamato termine (dies)21.
Il termine, allora come ora, consiste in una clausola, che le parti possono inserire in un contratto, contenente l’indicazione del momento – una data o un evento futuro, ma comunque certo – xxx xxxxx si produrranno gli effetti del contratto22. Pertanto, la produzione dell’effetto rimane incerta in ordine al quando, ma non anche all’an: «[il termine] crea un’incertezza limitata, che investe non il “se” degli effetti (che sicuramente si produrranno o cesseranno), ma solo il “quando” xxxxx xxxx produzione o cessazione»23. È quindi sicuro xxx x xxxxxx avessero già consapevolezza delle potenzialità derivanti dalla modulazione negoziale del xxxxxxx tempo, posto che si avvalevano di esso xxxx’ambito
delle loro contrattazioni.
Ciò appare confermato, altresì, dal ricorso, xxxx’ambito della vendita di cosa futura (emptio rei speratae)24, alla cosiddetta emptio spei25.
20 X. XXXXXX, I contratti derivati, cit., p. 31.
21 X. XXXXXXXX, (con la collaborazione di X. XXXXXX e X. XXXXX), Istituzioni di diritto xxxxxx. Sintesi2, Torino, 1998, p. 94.
22 Xxxxx specifico, con l’apposizione di un termine iniziale, indicante cioè il momento a partire xxx xxxxx gli effetti verranno a prodursi, le parti vogliono «differire l’operatività del contratto»: così X. XXXXX, Il contratto2, in Trattato di diritto privato, diretto da X. Xxxxxx e X. Xxxxx, Milano, 2011, pp. 601-602. Si badi, inoltre, che le parti sono in ogni caso vincolate alla «forza xx xxxxx» del contratto anche prima dello spirare del termine. Deve poi essere ulteriormente precisato che il termine del contratto è un concetto che va tenuto distinto da quello di termine dell’obbligazione. Apporre un termine xx xxxxxxxxx, infatti, significa subordinare la produzione degli effetti contrattuali (ad esempio, la nascita di un’obbligazione) alla sua scadenza. Diverso è invece il termine dell’obbligazione: in questo caso, l’obbligazione (effetto di altre fattispecie, v. art. 1173 c.c.) è già sorta e il termine, pertanto, agisce sul tempo dell’adempimento (cosiddetta esigibilità). Oltre ad avere una certa importanza concettuale, tale rilievo ha anche notevoli risvolti pratici: ad esempio, un credito sottoposto a termine xxx xxxxx essere oggetto di cessione, ex. artt. 1260 s.s. c.c., in quanto xxx xxxxxx ad esistenza, posto che il termine concerne soltanto il summenzionato profilo relativo al tempo dell’adempimento. X. XXXXXX, Diritto civile (Lezioni)4, Napoli, 2004, p. 113; X. XXXXXX, L’aspettativa e le tutele. Contributo allo studio degli effetti preliminari nelle situazioni di pendenza, Milano, 2006, p. 125.
23 X. XXXXX, Il xxxxxxxxx, cit., p. 603.
24 Con tale espressione ci si riferisce genericamente alla vendita di cosa futura, oggi disciplinata dal nostro codice civile all’art. 1472. In questo xxxx, xxx come allora, l’obbligazione xx xxxxxx il prezzo in capo al compratore (e, nel diritto xxxxxx, anche l’obbligazione di trasferire il diritto in capo al venditore, essendo la compravendita romanistica ad effetti obbligatori, laddove xxxx’attuale compravendita – ad effetti reali – il trasferimento del diritto avverrà invece recta via con la venuta ad esistenza della cosa) sorgerà nel momento in cui la cosa verrà ad esistenza. Cfr. X. XXXXXXXX, Istituzioni, cit., p. 430; X. XXXXXXXX, La compravendita5, Torino, 2008, pp. 60 ss.
Al di là degli aspetti strettamente connessi alla compravendita, qui rileva che le parti ricollegano l’esistenza e, soprattutto, il contenuto xxxxx xxxx obbligazione – e quindi di un credito e di un correlativo debito – non già xxxx xxxx volontà, bensì al verificarsi di eventi naturali o casuali26.
In particolare, nel caso dell’emptio spei il compratore xxxxx xxxxxx in ogni caso una cifra certa a fronte di una controprestazione dal contenuto xxxxxxx.
Per fare un esempio, l’acquirente può obbligarsi a xxxxxx 100 a fronte di uno stock di beni dal contenuto xxxxxxx: ciò significa che il debitore xxxxx xxxxxx xxxxxx xxxxx sia che lo stock contenga 20 beni, sia che ne contenga 150, sia che non ne contenga affatto. Pertanto, quel xxx xxxx acquista è xx xxxxxxxx di acquistare uno stock contenente il maggior numero di beni possibile, posto che in ogni caso xxxxx xxxxxx 100.
Una diversa consapevolezza, e quindi un diverso utilizzo, della suddetta situazione di lucro sperato si xx xxxx solo nel XVII secolo: è infatti a tale periodo che risalgono le prime operazioni paragonabili a quelli che oggi chiamiamo future27.
In alcune zone del Giappone iniziarono a circolare, alla stregua di una moneta, delle ricevute (rice tickets) vendute xxx xxxxxxxx xx xxxx al fine di ottenere liquidità, relative ad una certa quantità xx xxxx immagazzinato all’inizio dell’anno28: quel che circola non è quindi il bene in sé (in questo caso il riso), bensì l’aspettativa di ottenere una certa quantità xx xxxx in un momento successivo.
In Europa, l’emersione dei future viene ricollegata a quella che viene definita la prima bolla speculativa29 della storia: ci si riferisce alla cosiddetta febbre dei tulipani.
25 Letteralmente si traduce come «vendita xx xxxxxxxx». «L’esempio riportato dai giuristi classici è quello dell’emptio in blocco di quanto si riuscirà a pescare, di tutti gli uccelli che si riusciranno a catturare […]. In questo caso i giuristi ammettono che sorga l’obbligazione xx xxxxxx il prezzo indipendentemente dall’esistenza concreta della cosa, in quanto oggetto della compravendita sarebbe non la res sperata, ma l’alea, xx xxxxxxxx xxxx di ottenere un vantaggio”. X. XXXXXXXX, Istituzioni, cit., p. 430. Più o meno altrettanto accade anche ai giorni nostri, in riferimento alla vendita di cosa futura con carattere aleatorio e in cui l’alea copre il deterioramento o il perimento della cosa per caso fortuito (posto che, essendo la vendita di cosa futura una vendita cosiddetta obbligatoria, il trasferimento del diritto e del rischio in capo al compratore non è ancora avvenuto). In sostanza, si tratta di una deroga al principio di cui all’art. 1465 c.c. (res perit domino), per xx xxxxx il compratore si obbliga a xxxxxx incondizionatamente, accollandosi il rischio del perimento per caso fortuito. V. A. LUMINOSO, La compravendita, cit., pp. 66-67. Cfr. però quanto xxxx specificato infra, nel capitolo III, § 2.1.4.
26 X. XXXXXXXX, Istituzioni, cit., p. 430.
27 X. XXXXXX, Covered warrant e certificates. Una guida pratica ai securitised derivatives, Milano, 2006, p. 14.
28 X. XXXXXX, Covered warrant e certificates, cit., p. 14.
29 «Quando l’eccitazione assale il mercato può determinare bolle speculative e crolli. Le prime si verificano quando i prezzi aumentano perché i cittadini pensano che in futuro i titoli saliranno […]. Una
Xxxx’Olanda del 1600 ci fu un’enorme richiesta di bulbi xx xxxxxxxx: la compravendita di xxxx xxxxx passò dall’essere pattuita per numero di piante e soltanto d’estate, all’essere contrattata sulla base del peso dei suoi bulbi e durante tutto l’anno, e quindi anche quando il xxxxx non era ancora xxxxxx ad esistenza. Xx xxxxxxx di questa seconda modalità di contrattazione della compravendita veniva rilasciata una promissory note, ossia un documento attestante la xxxxx xxx l’acquirente si impegnava a xxxxxx, il peso e la data di estrazione del bulbo.
Anche qui, come nel caso xxx xxxx ticket, la promissory note iniziò a circolare, divenendo essa stessa – e non già il xxxxx – oggetto di successive alienazioni.
In questo contesto si sviluppò anche un imponente meccanismo speculativo: chi acquistava la promissory note sperava che il valore dei fiori al momento della raccolta fosse maggiore rispetto al prezzo dei bulbi riportato nella nota stessa; xxxxxxxx fondata sul presupposto che la domanda xx xxxxxxxx in quel momento risultasse essere assai alta. Il sistema operò per qualche anno, ossia finché il prezzo dei tulipani non crollò, dando luogo ad un evento diametralmente opposto rispetto a quello auspicato dagli acquirenti delle promissory note: a causa dell’improvviso xxxx xxxxx domanda, il prezzo del xxxxx risultò notevolmente inferiore rispetto a quello dei bulbi, cosicché la nota xxxxxx xxxxx integralmente privata del suo valore30.
Xxx xxxxx dei secoli a seguire si assistette ad un progressivo incremento del ricorso ai derivati finanziari, il xxxxx si accompagnò allo sviluppo dell’economia e dei mercati. La loro diffusione raggiunse dimensioni via via sempre più ragguardevoli, finché a metà dell’800 fu creata la prima borsa dedicata appositamente ai derivati, ossia il Chicago Board of Trade (C.B.O.T.)31.
Va inoltre rilevato che xx xxxx a quel momento alla base di tali operazioni vi era sempre stato il valore delle merci (commodities), è solo dalla prima metà del secolo appena
bolla speculativa mantiene le promesse: se i cittadini comprano perché ritengono che le azioni saliranno, l’atto di acquisto xxxx xxxxxx i prezzi inducendo gli investitori a comprare ancora di più e innescando così una spirale vertiginosa. Ma a differenza di chi gioca a carte o a dadi, apparentemente nessuno perde quello xxx xxxxxxxxxx i vincitori. Naturalmente i prezzi sono tutti sulla carta e perderebbero qualsiasi consistenza se tutti cercassero di incassarli […]. Le bolle speculative provocano sempre xxxxxx x x volte scatenano il xxxxxx»; «gli economisti x x xxxxxxxxxx di finanza studiano da tempo i prezzi dei mercati speculativi come quelli delle azioni e di merci quali il xxxxx […]. Le moderne teorie economiche sulle quotazioni azionarie sono riunite sotto il nome di teoria dei mercati efficienti; il loro principio fondamentale può essere riassunto come segue: non si può superare in astuzia il mercato». P. A. XXXXXXXXX – X. XXXXXXXX, Economia, cit., pp. 525 e 527.
30 X. XXXXXX, Covered warrant e certificates, cit., p. 15.
31 X. XXXXXX, I contratti derivati, cit., p. 34.
trascorso che comparvero nel mercato finanziario anche i derivati relativi ad entità finanziarie, come ad esempio un titolo azionario o valori mobiliari in genere, valute, tassi di interesse, indici finanziari o misure finanziarie, e così via32.
Per completezza, xxxxxx infine di essere segnalata una suggestiva ricostruzione dottrinale xxxxxxx xx xxxxx il fenomeno dei contratti derivati contemporanei costituirebbe una assoluta novità dell’attuale contesto giuridico-economico, xxxxx di qualsiasi antecedente storico specifico33.
2. La nozione di derivazione.
Occorre ora comprendere cosa debba intendersi esattamente con la locuzione
contratto derivato.
Il termine derivato – che, a partire dagli anni ottanta, ha iniziato ad accompagnare, nella prassi degli operatori finanziari34, il sostantivo contratto – costituisce la traduzione letterale dell’aggettivo inglese derivative35.
Preliminarmente, occorre sgomberare il campo da qualsiasi equivoco che potrebbe sorgere sul piano semantico.
Una parte della dottrina, infatti, rileva che la locuzione contratto derivato non sarebbe completamente sconosciuta ai nostri giuristi36: l’aggettivo derivato è stato invero utilizzato per indicare quelle ipotesi in cui un contratto, per volontà delle parti, assume rilevanza in relazione ad un altro contratto.
32 X. XXXXXX, I contratti derivati, cit., p. 14.
33 «Del resto, se la storia è sempre fondamentale per l’interpretazione dei fenomeni del diritto – perché il diritto è storia – la nostra storia non inizia con la Bibbia, con gli Ittiti, né con olandesi e tulipani. […] Ha invece inizio quando sul terreno dei rapporti con funzione finanziaria, ovvero nel mercato xxxxx xxxxxxxxx assente, si fa strada l’idea che caratteristica di tali rapporti non è la funzione, appunto, di finanziamento – esplicativa del rapporto tra ricchezza presente e ricchezza assente ovvero nesso imprescindibile di collegamento tra economia finanziaria ed economia xxxxx – ed è invece unicamente il xxxxxx xxxxx prestazione esclusiva, iniziale e finale. […] Quando si completa il capovolgimento dei rapporti di forza tra economia xxxxx xx economia finanziaria e quest’ultima, xx xxxx strumento, diviene elemento dominante». X. XX XXXXX, Dopo xx xxxxx, come prima e più di prima (il derivato finanziario come oggetto e come operazione economica), in Swap tra banche e clienti. I contratti e le condotte, a cura di X. Xxxxxxx, Milano, 2014, pp. 43-44. Sui xxxxxxxx xx xxxxxxxxx assente e xx xxxxxxxxx inesistente, cfr. X. XXXXX, Introduzione al diritto dei titoli di credito, Torino, 1994, e X. XXXXX e X. XXXXX, Dalla ricchezza assente xxxx xxxxxxxxx inesistente, cit.
34 X. XXXXXX XXXXXXXX, Profili civilistici dei contratti “derivati” finanziari, Milano, 1997, p. 2.
35 X. XXXXXX, I contratti derivati, cit., p. 9.
36 X. XXXXXX XXXXXXXX, Profili civilistici, cit., p. 3.
Emerge, quindi, una certa affinità rispetto alle fattispecie del collegamento negoziale e del contratto accessorio37.
Tuttavia, se il collegamento negoziale e l’accessorietà danno luogo ad una interferenza38 costante tra i due rapporti, ciò che invece caratterizza i contratti derivati è proprio la loro autosufficienza rispetto al parametro da cui derivano.
Non solo. Mentre l’accessorietà presuppone, di regola, il collegamento ad un precedente contratto (ad esempio, un sub-appalto è collegato ad un appalto; una sub- locazione è collegata ad una locazione; etc.), per quanto invece riguarda la derivazione ciò costituisce solo una possibile eventualità: come si è infatti già sopraccennato, i derivati possono essere riferiti anche xx xxxxxx di merci (commodities derivatives)39 o ad entità finanziarie (financial derivatives), come ad esempio un titolo azionario o valori mobiliari in genere, valute, tassi di interesse, indici finanziari o misure finanziarie, etc.
In base a quanto finora si è detto, si può, per il momento, affermare che si definiscono contratti derivati quei contratti atipici con i quali le parti, xxxx’ambito xxxxx xxxx autonomia privata, conferiscono autosufficienza giuridica40 ad un valore differenziale, il xxxxx deriva, appunto, dal raffronto del prezzo di un’entità di riferimento considerata in due momenti diversi41.
37 X. XXXXXXXX, Il xxxxxxxxx x x xxxxx, in I contratti in generale, tomo II, a cura di X. Xxxxxxxxx, nel
Trattato dei contratti2, diretto da X. Xxxxxxxx, Torino, 2006, p. 1242.
38 X. XXXXXXXX, Il xxxxxxxxx x x xxxxx, cit., p. 1242.
39 «I derivati su merci e variabili meteorologiche cominciano ad interessare la dottrina. Non si rinvengono, invece, precedenti giurisprudenziali». X. XXXXXXX, L’ufficio di diritto privato dell’intermediario e il contratto derivato over the counter come scommessa razionale, in Swap tra banche e clienti. I contratti e le condotte, a cura di X. Xxxxxxx, Milano, 2014, p. 15.
40 Nei contratti derivati sono infatti le parti ad eleggere il differenziale ad oggetto, autosufficiente e autonomo rispetto all’entità da cui deriva. Ciò significa che una volta che il valore differenziale è stato individuato xx xxxxxxx dalle parti stesse, questo diventa giuridicamente indipendente ed è destinato a circolare con xxxxxx xxx proprie; l’unico legame che il differenziale mantiene con l’entità da cui origina è di tipo economico, in quanto xx xxxxxx del valore del primo è indissolubilmente xxxxxx xxxx sorte (economica) della seconda. Sul punto, cfr. X. XXXXXX, I contratti derivati, cit., p. 13.
41 La definizione, volutamente rielaborata in termini più ampi, trae spunto dalle varie proposte avanzate dalla dottrina xxx xxxxx dell’ultimo ventennio. Ex multis: «la categoria dei derivati ricomprende tutti quei contratti di natura finanziaria consistenti nella negoziazione a termine di un’entità economica e nella relativa valorizzazione autonoma del differenziale emergente dal raffronto fra il “prezzo” dell’entità al momento della stipulazione e il suo xxxxxx xxxx scadenza pattuita per l’esecuzione», X. XXXXXX, I contratti derivati, cit., pp. 8-9; «si definiscono “contratti derivati” quei contratti il xxx xxxxxx deriva dal prezzo di un’attività finanziaria sottostante, ovvero xxx xxxxxx di un parametro finanziario di riferimento (indice xx xxxxx, xxxxx di interesse, cambio)», X. XXXXXX NASSETTI, Profili civilistici, cit., p. 2; «I contratti “derivati” sono così chiamati perché “derivano” da un’attività sottostante (sia essa finanziaria x xxxxx)», S. BO – X. XXXXXXX, Il rischio giuridico dei prodotti derivati, cit., p. 7.
2.1. Il dato normativo.
Invero, quel che pone maggiori difficoltà all’interprete è la questione relativa alla identificabilità dei caratteri ontologici che contraddistinguono l’essenza del fenomeno della derivazione42.
Cronologicamente, il xxxxx xxxx a venire in rilievo in tal senso proviene dalla Banca d’Italia, xx xxxxx rileva che i derivati finanziari sono «i contratti che insistono su elementi di altri schemi negoziali, quali titoli, valute, tassi di interesse, xxxxx xx xxxxxx e indici di borsa. Il loro valore deriva da quello degli elementi sottostanti»43.
La Banca d’Italia, pertanto, in primo luogo afferma espressamente che i derivati finanziari sono «contratti».
In secondo luogo, deve essere osservato che la nostra banca centrale tende più ad individuare i caratteri salienti dei derivati finanziari, anziché darne una definizione44. Pertanto, attribuire a quest’enunciazione il valore di una definizione potrebbe essere fuorviante: infatti, se è vero che viene esaltata la dimensione economica dei derivati finanziari, è altrettanto vero che non vi è alcuna indicazione sulla loro natura e struttura giuridica, limitandosi il suddetto enunciato a fare riferimento all’incidenza «su elementi di altri elementi negoziali»45.
Sempre cronologicamente, il secondo dato a venire in rilievo proviene dal legislatore, il xxxxx all’art. 1, comma 3, del d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58 («Testo Unico della Finanza», d’ora in poi «tuf») – come modificato dal d.lgs. n. 164 del 17 settembre 200746,
42 X. XXXXXXXXXXX, I prodotti “derivati”: strumenti per la copertura dei rischi o per nuove forme di speculazione finanziaria?, in Banca, borsa, tit. cred., 1995, I, p. 361.
43 Art. 3, aggiornamento n. 112 del 23 giugno 1994 alla Circolare Banca d’Italia n. 4 del 29 marzo 1988. Sito internet: xxxx://xxx.xxxxxxxxxxxx.xx.
44 Tale definizione appare coerente con quanto già è stato affermato in materia dalla dottrina anglosassone, puntualmente ripresa xx xxxxxx italiana, xxxxxxx xx xxxxx la peculiarità di queste fattispecie risiederebbe proprio nella determinazione contrattuale di un flusso xx xxxxx basato su un sottostante bene (asset). In questi prospettiva, pertanto, il termine derivative non si dovrebbe tradurre in senso letterale – ossia “derivato” –, bensì sarebbe più opportuno attribuirgli il significato tecnico di dipendenza: i contratti in questione si caratterizzerebbero, cioè, per la dipendenza del loro valore da un’attività sottostante. In sostanza, si dovrebbe parlare di contratti che “insistono su” un’entità sottostante, e non che “derivano da” essa. X. XXXXXXXXXXX, I prodotti “derivati”, cit., p. 361; X. XXXXXX, I contratti derivati, cit., pp. 8 ss.
45 X. XXXXXX, I contratti derivati, cit., p. 9.
46 Attuazione della direttiva 2004/39/CE relativa ai mercati degli strumenti finanziari, che modifica le direttive 85/611/CEE, 93/6/CEE e 2000/12/CE e abroga la direttiva 93/22/CEE.
il xxxxx recepisce la Dir. 2004/39/CE (nota come «direttiva MiFID»)47 – dispone che «per “strumenti finanziari derivati” si intendono gli strumenti finanziari previsti dal comma 2, lettere d), e), f), g), h), i) x x), nonché gli strumenti finanziari previsti dal comma 1-bis, lettera d)»48.
A differenza di quanto è stato enunciato nella menzionata Circolare della Banca d’Italia, per il legislatore sembrano essere derivati non i contratti, bensì gli strumenti finanziari: sarebbe quindi lo strumento che deriva dal contratto49.
Tuttavia, se si considerano le lettere richiamate dallo stesso comma 3 dell’art. 1 citato, queste fanno tutte riferimento a contratti derivati: la xxxxx andrebbe quindi xxxxx come se dicesse che i contratti derivati sono a loro volta strumenti finanziari50 derivati.
Diversamente da quanto sostiene una parte della dottrina51, si dovrebbe pertanto ritenere che è ben possibile riferire l’aggettivo derivato anche xx xxxxxxxxx, e che tale aggettivo venga ripetuto xxxxx xxxxx accanto al sostantivo strumento solamente per evidenziarne l’origine.
In altri termini, da un contratto derivato discenderebbe uno strumento derivato.
Inoltre, ciò non significherebbe che si sarebbe innanzi a due entità diverse – ossia il contratto e lo strumento52 –, bensì darebbe a intendere che l’entità è sempre una: il contratto.
Tale affermazione appare corroborata da due argomentazioni.
In primo luogo, quello che deriva da un contratto di riferimento è il valore differenziale, il xxxxx a sua volta diventa autonomo oggetto di distinte e successive contrattazioni: sarebbero quindi derivati quei contratti che programmano un differenziale.
47 La direttiva 2004/39/CE (cosiddetta. “MiFID”, ossia Markets in Financial Instruments Directive) riguarda i mercati degli strumenti finanziari e si inserisce nel più ampio Piano di Azione per i Servizi Finanziari, operante su scala comunitaria. Al riguardo, X. XXXXX, Il mercato mobiliare, Torino, 2008, p. 120.
48 Al riguardo, x. X. XXXXX, Il mercato mobiliare, cit., p. 120.
49 X. XXXXXX, I contratti derivati, cit., p. 10.
50 V. art. 1, comma 2, d.lgs. 24 febbraio 1992, n. 58.
51 «Il secondo e più pregnante significato del termine “derivato” starebbe dunque ad indicare il processo genetico grazie xx xxxxx dalla base negoziale origina (appunto “deriva”) lo strumento finanziario corrispondente. In definitiva, dunque, l’espressione derivati mal s’accompagna a xxxxxx xx xxxxxxxxx. Derivato è piuttosto lo strumento finanziario “che deriva” xxx xxxxxxxxx. La conciliazione dei due termini potrebbe aver luogo utilizzando una più ampia perifrasi xxxxx: xxxxxxxxx xx xxxxx deriva uno strumento finanziario»: X. XXXXXX, I contratti derivati, cit., p. 10. Per una più puntuale ricostruzione della questione, x.
X. XXXXX – X. XXXXX, Il ricorso agli strumenti finanziari derivati da parte degli enti pubblici locali, Dolianova, 2012, pp. 106-111.
52 X. XXXXXXXXXXX, Gli swaps come valori mobiliari, in Banca, borsa, tit. cred., 1991, I., 795.
In secondo luogo, come xxxxx xxxxxx xxxxxxxx in seguito, i derivati finanziari originano dalla prassi: sono i soggetti privati xxx xxxxx scelto spontaneamente, xxxx’esercizio xxxxx xxxx autonomia privata, di contrattare su una nuova entità economica – il differenziale appunto – attraverso l’utilizzo del contratto, limitandosi il legislatore a recepire (tra l’altro con ampio ritardo) il fenomeno.
Pertanto, si ritiene che il termine derivato possa e debba continuare ad adoperarsi accanto al sostantivo contratto, in quanto è indicativo del meccanismo giuridico che sta xxxxx sfondo di tali operazioni – ossia, l’elezione ad oggetto del contratto, ad opera delle parti, di un valore differenziale53 –.
Infine, per mera completezza, è opportuno menzionare la definizione di strumento finanziario derivato contenuto nei principi contabili internazionali IAS54.
Xxxxxx, il paragrafo 9 del principio contabile IAS 39 definisce il derivato come
«strumento finanziario o altro xxxxxxxxx xxx rientra xxxx’ambito di applicazione del presente Principio con le tre seguenti caratteristiche: a) il suo valore cambia in relazione al cambiamento in un tasso di interesse, prezzo di uno strumento finanziario, prezzo di una merce, xxxxx xx xxxxxx in valuta xxxxxx, indice di prezzi o xx xxxxx, xxxxxx di credito (rating) o indici di credito o altra variabile, a condizione che, nel caso di una variabile non finanziaria, questa non sia specifica di una delle parti contrattuali; b) non richiede un investimento netto iniziale o richiede un investimento netto iniziale che sia minore di quanto sarebbe richiesto per altri tipi di contratti da cui ci si aspetterebbe una risposta simile a cambiamenti xx xxxxxxx di mercato; c) è regolato a data futura».
Ciò detto, giova preliminarmente chiarire la natura dei «principi» appena citati.
In generale, essi costituiscono un sistema di regole contabili per la redazione dei bilanci societari, applicate appunto a livello internazionale55.
Nella prospettiva comunitaria, al fine di assicurare un maggior livello di trasparenza e di omogeneità informativa delle società quotate nei mercati regolamentati dell’Unione
53 La problematica fin qui esaminata riveste un’importanza centrale rispetto a tutta la materia dei contratti derivati, soprattutto per quanto riguarda il profilo causale.
54 Gli IAS (International Accounting Standards), e le relative interpretazioni, le Standing Interpretations Boards, sono stati adottati dall’International Accounting Standards Board (IASB). Sul punto,
x. X. XXXXXXXXXX, Il xxxxxxxxx derivato finanziario tra bilancio e fisco, in Swap tra banche e clienti. I contratti e le condotte, a cura di X. Xxxxxxx, 2014, Milano, pp. 313 ss.
55 X. XXXXXXXXXX, Il xxxxxxxxx derivato finanziario tra bilancio e fisco, cit., 315.
Europea, è stata emanata dapprima la Dir. 2001/65/CE del 27 settembre 200156 (cosiddetta
«direttiva sul fair value57»), poi il Reg. XX x. 1606/2002, con il xxxxx sono stati disciplinati l’adozione e l’utilizzo dei sopraccitati principi contabili internazionali.
L’ordinamento italiano si è poi adeguato al processo di armonizzazione contabile comunitario in più fasi.
In particolare, il legislatore nazionale:
− per il recepimento della Dir. 2001/65/CE, xx xxxxxxx il d.lgs. 30 dicembre 2003, n. 39458 e introdotto nel codice civile gli artt. 2427-bis (rubricato «informazioni relative xx xxxxxx equo fair value degli strumenti finanziari») e l’art. 2428, comma 3, n. 6- bis59;
− in attuazione dell’art. 25 xxxxx X. 31 ottobre 2003, n. 306 (Xxxxx Comunitaria 2003), xx xxxxxxx il d.lgs. 28 febbraio 2005, n. 3860;
− con il d.l. 29 dicembre 2010, n. 225 (cosiddetto “decreto Milleproroghe”), convertito con modificazioni in xxxxx 26 febbraio 2011, n. 10, ha integrato la disciplina contenuta nel d.lgs. 28 febbraio 2005, n. 38, prevedendosi un nuovo meccanismo di recepimento dei principi contabili internazionali che saranno adottati successivamente al 31 dicembre 201061.
56 «Direttiva 2001/65/CE del Parlamento europeo e del Xxxxxxxxx del 27 settembre 2001 che modifica le direttive 78/660/CEE, 83/349/CEE e 86/635/CEE per quanto riguarda le regole di valutazione per i xxxxx annuali e consolidati di taluni tipi di società nonché di banche e di altre istituzioni finanziarie».
57 Il paragrafo 9 del principio contabile internazionale IAS 39 definisce il fair value come «il corrispettivo xx xxxxx un’attività potrebbe essere scambiata, o una passività estinta, in una libera transazione fra parti consapevoli e indipendenti».
58 «Attuazione della direttiva 2001/65/CE che modifica le direttive CEE 78/660, 83/349 e 86/635, per quanto riguarda le regole di valutazione per i xxxxx annuali e consolidati di taluni tipi di società, nonché di banche e di altre istituzioni finanziarie».
59 La nuova disposizione prevede che dalla relazione sulla gestione che deve corredare il bilancio deve in ogni caso risultare: «in relazione all'uso da parte della società di strumenti finanziari e se rilevanti per la valutazione della situazione patrimoniale e finanziaria e del risultato economico dell'esercizio: a) gli obiettivi e le politiche della società in materia di gestione del rischio finanziario, compresa la politica di copertura per ciascuna principale categoria di operazioni previste; b) l'esposizione della società al rischio di prezzo, al rischio di credito, al rischio di liquidità e al rischio di variazione dei flussi finanziari».
60 «Esercizio delle opzioni previste dall'articolo 5 del regolamento (CE) n. 1606/2002 in materia xx xxxxxxxx contabili internazionali».
61 In estrema sintesi, le modifiche normative da ultimo menzionate hanno determinato il passaggio da un modello di recepimento dei principi IAS tendenzialmente xxxxxxxxx e automatico (self executing) – per l’esame del xxxxx si rinvia a X. XXXXXXXXX, Diritto delle banche4, Milano, 2009, pp. 240-242 – ad un sistema in cui si prevede la possibilità per il ministro xxxxx Xxxxxxxxx, di concerto con il Ministro dell’Economia e delle Finanze, acquisito il parere dell’Organismo Italiano di Contabilità (OIC) e sentiti la Banca d’Italia, la Consob e l’Ivass (l’ex Isvap), di emanare un decreto attuativo finalizzato a coordinare i principi internazioni e la disciplina del bilancio contenuta nel codice civile (cfr. Decreto Ministro
Xxxxxx, deve ora essere rilevato che il principio contabile IAS 39 sopraccitato, nonostante la perentorietà della rubrica del paragrafo 9 («definizione di un derivato»), non contiene affatto una definizione della fattispecie qui esaminata, limitandosi invero ad indicare le caratteristiche che qualificano uno strumento finanziario derivato62.
Anche a fini contabili, pertanto, dovrà farsi riferimento alla definizione normativa «di tipo casistico»63 di cui al citato art. 1, comma 3, tuf, nonostante la stessa sconti alcune lacune destinate a ripercuotersi sul piano operativo64: ciò a ulteriore conferma della
«scarsa qualità definitoria del legislatore (comunitario e nazionale)»65.
2.2. «Contratti derivati»: categoria unitaria o espressione che indica fenomeni eterogenei?
Nonostante il dato normativo debba ritenersi inidoneo, per i motivi appena richiamati, ad identificare una fattispecie astratta66, l’espressione contratti derivati xx xxxxxxx diffusione al punto che in dottrina si è formata l’opinione xxxxxxx xx xxxxx i contratti derivati costituirebbero una nuova categoria giuridica67 (rectius: giuridicamente rilevante).
dell’Economia e delle Finanze 8 giugno 2011). X. XXXXXXXXXX, Il xxxxxxxxx derivato finanziario tra bilancio e fisco, cit., 317.
62 X. XXXXXXXX, IAS 39: strumenti finanziari derivati, in Xxxxx xxxx contabilità e bilancio, 2007, 10, p.
61.
63 Così X. XXXXXXXXXX, Il xxxxxxxxx derivato finanziario tra bilancio e fisco, cit., p. 330.
64 «Tale definizione risulterebbe difficilmente applicabile alla disciplina delle rilevazioni in
bilancio/contabili in quanto non comprenderebbe i crediti, debiti e contratti derivati su crediti che invece rientrano nei principi contabili internazionali e che la normativa domestica richiama (art. 2427-bis c.c.); inoltre, è stato osservato che la definizione del T.u.f. non ha portata generale in quanto non include i titoli di pagamento ed inoltre che tale articolo dà per scontata l’esistenza di più ampie definizioni di strumenti finanziari e strumenti finanziari derivati». X. XXXXXXXXXX, Il xxxxxxxxx derivato finanziario tra bilancio e fisco, cit., pp. 331-332; sul punto, v. anche S. BATTASTINI, Gli strumenti finanziari derivati nel diritto positivo italiano: analisi dei principali lineamenti giuridici e delle maggiori problematiche di tassazione, in Il fisco, 2004, XIV, pp. 2085 ss.; X. XXXXXXXXXXX, L’introduzione del “fair value” xxxxx XX e VII direttiva comunitaria: una prima valutazione, in Riv. Le Società, 2002, pp. 1342 ss.; X. XXXXXXXXXX e X. XXXXXXX, Gli oneri informativi ex art. 2427-bis, in Obbligazioni. Xxxxxxxx, a cura di X. Xxxxxx e X. X. Xxxxxxx, Milano, 2006, pp. 573 ss.
65 In questi termini, X. XXXXXXXXXX, Strumenti finanziari derivati: significato normativo di una
«definizione», in Banca, borsa, tit. cred., 2012, V, pp. 541 ss., e in xxxxxxxxxxx.xx.
66 X. XXXXXXXXXX, Strumenti finanziari derivati, cit.
67 Nel linguaggio comune, con il termine categoria si intende la partizione xxxxx xxxxx si comprendono individui o cose di una medesima natura o di un medesimo genere. Così, nel linguaggio giuridico con la locuzione categoria giuridica ci si vuol riferire, in generale, a quel xxxxxxxx x xxxxxxx giuridico atto a definire un determinato ambito di applicazione normativa, soggettivamente e oggettivamente delineato: in questi termini, X. XXXXXX, Fatti, categorie e diritti nella definizione del lavoratore dipendente tra common law e civil law, Torino, 2013, p. 186, in nota; sul punto, v. anche A. FALZEA, Il diritto europeo dei contratti
È opportuno, pertanto, verificare se tale affermazione sia corretta e se la locuzione citata sia effettivamente in grado di descrivere una categoria unitaria, idonea a ricomprendere una serie di fenomeni negoziali sviluppatisi nella pratica68, o se invero si debbano seguire altre impostazioni tassonomiche.
2.2.1. «Contratti derivati» come categoria unitaria.
Come si è già avuto modo di rilevare, l’art. 1, comma 3, tuf dispone che la locuzione
«strumenti finanziari derivati» debba essere riferita, in generale, ai contratti di opzione, ai futures (chiamati «contratti finanziari a termine standardizzati»), agli swaps e agli accordi per scambi futuri xx xxxxx di interesse, nonché agli altri contratti derivati, i quali possono essere riferiti alle entità più varie (valori mobiliari, valute, tassi di interesse o rendimenti, o ad altri strumenti derivati, indici finanziari o misure finanziarie; merci; variabili climatiche, tariffe di trasporto, quote di emissione, tassi di inflazione o altre statistiche economiche ufficiali); a questi vanno poi aggiunti gli strumenti derivati per il trasferimento del rischio di credito (lett. h), i contratti finanziari differenziali (lett. i) e, infine, «qualsiasi altro titolo che comporta un regolamento in contanti determinato con riferimento ai valori mobiliari […], a valute, a tassi di interesse, a rendimenti, a merci, a indici o a misure» (comma 1-bis lett. d).
d’impresa, in Riv. Dir. Civ., 2005, I, p. 7; X. XXXXXXXXX, Contrattazione d’impresa e nuove categorie contrattuali, Milano, 2000, pp. 183 ss. e, ID., Le categorie contrattuali alla xxxx xxxxx disciplina comunitaria, in Diritto privato europeo e categorie civilistiche, Napoli, 1988, p. 133, dove la specifica nozione di categoria contrattuale viene definita come «un modo di essere della realtà, cui è legata una funzione logica e ontologica, e non una struttura del nostro intelletto strumentale alla conoscenza della realtà».
68 Sul punto, giova menzionare le riflessioni svolte da FALZEA sulla nozione di contratti di impresa, posto che anche quest’ultima pone problemi definitori non dissimili da quelli esaminati in questa sede. In particolare, l’Autore afferma che la locuzione contratti d’impresa costituirebbe «una figura categoriale empirica e convenzionale, ma di una convenzione costruita dalla prassi giuridica e fissata dal diritto positivo con la sua ricostruzione e la sua regolamentazione. […] Ogni categoria è fondata su un nucleo centrale di valori;[…] a supporto del valore centrale possono costituirsi situazioni xx xxxxxx aggiunto xxx xxxxx, rispetto xx xxxxxx centrale, sia un ruolo integrativo – e quindi rafforzativo – sia un ruolo specificativo
– e quindi aggregativo –. […] Come il semplice riferimento all’attività, e non anche, agli interessi ad essa sottostanti – non valeva a configurare gli atti di commercio xxxxx categoria negoziale, non appare sufficiente alla configurazione di un tipo contrattuale il riferimento alla qualità imprenditoriale di uno o di entrambi i contraenti. È necessario, al fine di costruire una categoria dogmatica dei contratti di impresa, spiegare e dimostrare come l’interesse della parte imprenditrice si traduce in una componente xxxxx xxxxx del contratto di impresa, così come sarebbe necessario, per configurare una categoria dei contratti dei consumatori, verificare come l’interesse di questi soggetti valga a integrare una specifica componente xxxxx xxxxx xxxxx relativa fattispecie negoziale». X. XXXXXX, Ricerche di teoria generale del diritto e di dogmatica giuridica, Vol. III – Scritti d’occasione, Milano, 2010, pp. 489-490.
Secondo l’impostazione unitaria69 – seguita, almeno sino a pochi anni fa, dalla dottrina prevalente –, con l’elenco appena richiamato il legislatore, anziché fornire una definizione di «contratto derivato», si sarebbe limitato a conglobare diverse fattispecie contrattuali già note alla prassi70, rispondendo in tal modo anche ad esigenze di razionalizzazione71.
Tuttavia, proprio in quanto originano dalla prassi – e quindi risentono necessariamente dell’influenza degli interessi perseguiti dalle parti –, i contratti derivati non hanno un modello astratto72 di riferimento con cui confrontarsi73.
L’assenza, a livello normativo, di un derivato finanziario «allo stato puro»74, pone quindi notevoli difficoltà all’interprete che voglia individuare, in primo luogo, i caratteri minimi e comuni a qualsiasi contratto derivato75 e, in secondo luogo, il criterio-guida per procedere alla specificazione delle varie sottocategorie76.
69 Parla di orientamento unitario, contrapposto a quello antiunitario (sul xxxxx v. infra), X. XXXXXXXXXX, Strumenti finanziari derivati, cit.
70 «Il nostro legislatore (sulla scorta del legislatore comunitario) ha optato per la tecnica della mera elencazione di molteplici figure, lasciando all’interprete il xxxxxxx xxxxx eventuale reductio ad unum. E si dice “eventuale”, giacché non è neanche xxxxx xxx una simile reductio ad unum sia realmente possibile». X. XXXXXXXXXX, Contratti derivati puramente speculativi: fra tramonto xxxxx xxxxx e tramonto del mercato, in Swap tra banche e clienti. I contratti e le condotte, a cura di X. Xxxxxxx, Milano, 2014, pp. 109-110. V. anche X. XXXXXXX, Options e contratti derivati, in Contr. impr., 1999, II, 1269; X. XXXXXXXXXXX, Le operazioni di swap e la struttura contrattuale sottostante, in Banca, borsa, tit. cred., 1997, I, p. 113.
71 «Il dilemma del legislatore stava, pertanto, nel dover scegliere se optare per una tipizzazione puntuale e particolareggiata delle singole fattispecie, col connesso pericolo di non riuscire ad offrire una definizione in grado di abbracciare tutte le varianti sviluppate dagli operatori; oppure, viceversa, se fornire definizioni più sfumate le quali, pur scongiurando il rischio derivante dalla prima alternativa, avrebbero potuto prestare il fianco ad un’altra critica, altrettanto fondata: quella incentrata sull’indeterminatezza di un dettato normativo vago, con ovvi riflessi sotto il profilo della certezza del diritto»: così, X. XXXXX – X. XXXXX, Il ricorso agli strumenti finanziari derivati, cit., p. 60. Sul punto, v. anche X. XXXXXXX, Options e contratti derivati, cit., p. 1271.
72 «Il legislatore attuale che, occorre precisarlo, è un legislatore comunitario, prima ancora che nazionale, ha perso integralmente, e parrebbe averlo fatto scienter, ogni aspirazione a quella che (si insegnava un tempo) costituiva il quid della attività normativa soprattutto al di qua del xxxxxx xxxxx Xxxxxx: l’astrazione. E cioè la capacità di enucleare, o se si vuole, distillare, gli elementi essenziali idonei a definire una fattispecie». X. XXXXXXXXXX, Strumenti finanziari derivati, cit.
73 X. XXXXXXXXXXX, Le operazioni di swap, cit., p. 113. Xxxx’ambito degli orientamenti unitari, giova segnalare l’opinione di chi – muovendo da premesse metodologiche diametralmente opposte a quelle osservate in questa sede – ritiene «accettabile» l’impostazione adottata dal legislatore alla xxxx xxxxx
«intenzione di includere le novità che emergono nella prassi a rendere preferibile l’adozione di formule prive di rigide definizioni»: X. XXXXX – X. XXXXX, Il ricorso agli strumenti finanziari derivati, cit., p. 66.
74 In questi termini, con specifico riferimento agli swaps, X. XXXXXXXXXXX, Le operazioni di swap, cit., p. 113.
75 X. XXXXXX, I contratti derivati, cit., p. 52.
76 X. XXXXXXXXXXX, Le operazioni di swap, cit., p. 113.
Così, la dottrina che si è preoccupata di individuare un criterio unificante si è xxxxx in diverse direzioni.
In primo luogo, viene in rilievo quella parte della dottrina che ha puntualizzato gli elementi xxxxxxxx xxx xxx xxxxx degli ultimi decenni sono emersi dallo studio di queste fattispecie77.
In particolare, sotto il profilo strutturale si segnalano la bilateralità e la sinallagmaticità delle prestazioni78, nonché la loro esecuzione necessariamente differita (contratti a termine)79.
Questi elementi strutturali minimi accomunerebbero i tre modelli generali, ossia, i
futures, le options e gli swaps.
Xxxxxxxxx, va ribadito che anche questi modelli generali non hanno alcun referente normativo e sono pur sempre il risultato di un’elaborazione dottrinale. Quest’ultima, a sua volta, individua in ciascuna specie xx xxxxxxxxx derivato vari gruppi e sottogruppi, identificabili secondo un criterio-guida normalmente di tipo oggettivo80. Gli swaps, ad esempio, si contraddistinguono per essere la categoria di derivati finanziari più articolata (interest rate swap; interest rate and currency swap; debt to equity swap; amortizing swap; diff swap; escalating swap; etc.81; tuttavia, viene osservato che le variazioni sono talmente marginali da non alterare la struttura di base82, cioè xxxxxx xx xxxxxxxxx bilaterale aleatorio ad esecuzione differita83.
Un secondo approccio, invece, si basa sulla specificazione della caratteristica predominante delle operazioni qui esaminate, trattandosi cioè di scegliere xx xxxxxx un rilievo prevalente l’aleatorietà oppure il loro carattere differenziale84.
Nella prima prospettiva si colloca quella parte della dottrina che tiene in debita considerazione la funzione astratta dei contratti differenziali, configurandoli come modelli aleatori85 attraverso i quali le banche e le imprese gestiscono i propri rischi finanziari86.
77 X. XXXXXX, I contratti derivati, cit., p. 52; X. XXXXX, La rinegoziazione dei contratti derivati: brevi note sulle problematiche civilistiche e fallimentari, in Dir. fall., 2005, I, p. 354.
78 X. XXXXX, La rinegoziazione dei contratti derivati, cit., p. 354.
79 X. XXXXXX, I contratti derivati, cit., p. 52; X. XXXXX, La rinegoziazione dei contratti derivati, cit., p.
354.
80 X. XXXXXXXXXXX, Le operazioni di swap, cit., p. 113.
81 X. XXXXXX XXXXXXXX, Profili civilistici, cit., passim; X. XXXXXX, I contratti derivati, cit., p. 111.
82 X. XXXXXX, I contratti derivati, cit., p. 112; X. XXXXXXXXXXX, Le operazioni di swap, cit., p. 113.
83 X. XXXXXX, I contratti derivati, cit., p. 53; X. XXXXX, Contratti derivati: principali problematiche al
xxxxxx xxxxx giurisprudenza, in Resp. civ. prev., 2008, 11, p. 2220.
84 X. XXXXXXXXXXX, I prodotti “derivati”, cit., p. 360.
Nella seconda, invece, si situa quella corrente dottrinale che individua il quid proprium dei derivati finanziari nel differenziale, ossia il risultato del raffronto del valore di un bene in tempi diversi, il xxxxx assumerebbe una rilevanza autonoma in seguito all’interevento dell’autonomia privata (art. 1322 c.c.): in altri termini, con i derivati finanziari le parti starebbero creando un valore, autonomo dai beni di riferimento e distintamente circolabile87.
Infine, un ulteriore approccio è quello di chi ritiene di poter esaminare la questione alla xxxx xxxxx distinzione tra profilo economico e profilo giuridico.
La dottrina che ritiene solo il profilo economico un possibile indice unificante, escludendo quindi per il medesimo fine quello giuridico, oltre a riscontrare che la terminologia adoperata a proposito di questi contratti sia mutuata prevalentemente dal settore economico-finanziario88, rileva che le singole fattispecie costituiscono operazioni finanziarie89.
In tal senso non può non ravvisarsi una certa contiguità rispetto alla sopraccitata dottrina che privilegia il profilo funzionale astratto dei derivati finanziari: non è infatti un caso che anche questa impostazione venga confutata – argomentando, essenzialmente, sul profilo attinente all’accordo (art. 1321 c.c.) – da parte di chi sostiene che un approccio meramente economico al fenomeno in esame sarebbe inidoneo a cogliere l’essenza giuridica dei derivati finanziari90.
85 X. XXXXXXX, Garanzia xxxx x xxxxxxxxx di rischio, Milano, 2006, p. 277, e, sempre dello stesso Autore, I contratti derivati finanziari nel sistema dei contratti aleatori, in Swap tra banche e clienti. I contratti e le condotte, a cura di X. Xxxxxxx, Milano, 2014, pp.174 ss.
86 X. XXXXXXX XXXXXX, Le operazioni su rischio di cambio, in I contratti del commercio, dell’industria e del mercato finanziario, diretto xx Xxxxxxx, Torino, 1995, p. 2396.
87 X. XXXXXX, I contratti derivati, cit., p. 17.
88 «Options, futures, swaps, per citare i più conosciuti e diffusi – presentano un aspetto unitario che giustifica la costruzione di una categoria; ma altrettanto non può dirsi sotto il profilo giuridico». X. XXXXXXX, Options e contratti derivati, cit., p. 1278. V. anche X. XXXXX, Contratti derivati, cit., p. 2219 e X. XXXXXX, I contratti derivati, cit., p. 10.
89 X. XXXXXXX, Options e contratti derivati, cit., p. 1278. «Si definiscono operazioni finanziarie gli scambi di flussi monetari contro flussi monetari che si protraggono in successivi istanti di tempo. Esse si distinguono in: operazioni finanziarie certe, in cui i flussi e le epoche sono assegnati; operazioni finanziarie aleatorie, in cui lo scambio di importi monetari si protrae in successivi istanti di tempo essendo gli importi e/o gli istanti aleatori». X. XXXXXX, Sostenibilità e adeguatezza: il trade-off del sistema previdenziale italiano, Torino, 2012, p. 139.
90 X. XXXXXX, I contratti derivati, cit., p. 10.
2.2.2. «Contratti derivati» come espressione che indica fenomeni eterogenei.
Xxxxxx, xxxx’ambito di quelle impostazioni dottrinali che ritengono di dover privilegiare il profilo economico della fattispecie in esame, giova xxx xxxxx dell’impostazione xxxxxxx xx xxxxx la locuzione «contratti derivati» sarebbe inidonea ad identificare una fattispecie unitaria e, tantomeno, una nuova categoria giuridica91.
Tale orientamento – rimasto sostanzialmente isolato in dottrina – muove dal presupposto che i termini tecnici del settore finanziario, con i quali vengono identificate le relative operazioni (ad es., “swap”), non xxxxx idonei ad identificare fattispecie giuridiche omogenee92.
Ciò significa che l’espressione «contratti derivati» avrebbe «soltanto una xxxxxxx finanziaria» mentre, sul piano giuridico, identificherebbe «una categoria di negozi giuridici diversi non accomunati in un genus giuridico»93.
A ben vedere, l’impostazione anti-unitaria non nega che i derivati possano costituire una categoria94: afferma, molto più semplicemente, che gli elementi che connotano i contratti derivati non possano essere ricondotti ad unità sul piano giuridico.
2.2.3. «Contratti derivati» come locuzione funzionale.
La dottrina più recente ha preso atto dei limiti delle impostazioni sin qui descritte95, osservando che «il problema interpretativo, per il giurista, non è xxx xxxxxx puramente “definitorio” (= identificazione della “essenza in sé” dello strumento finanziario
91 «Prima di cedere alla tentazione di risolvere sommariamente il problema, avallando l’opinione che considera i contratti derivati una categoria giuridica ben definita, è necessario procedere con cautela»; così,
X. XXXXXX XXXXXXXX, Profili civilistici, cit., p. 2.
92 X. XXXXXX XXXXXXXX, Profili civilistici, cit., p. 10.
93 X. XXXXXX XXXXXXXX, Profili civilistici, cit., p. 3.
94 Invero, sembrerebbe che l’Autore da ultimo citato utilizzi il concetto di «categoria» in senso atecnico; al riguardo, v., supra, note nn. 55 e 56.
95 «In realtà, il limite comune ad entrambe le posizioni, è, a nostro sommesso avviso, esattamente lo stesso a dispetto della diversità delle conclusioni concretamente raggiunte: quello di muovere da una concezione non del tutto appropriata del conoscere giuridico. L’una e l’altra dottrina muovono, invero, dall’analoga premessa secondo cui conoscere il “derivato” equivarrebbe a scoprirne l’essenza in sé (potremmo dire: un’essenza in sé pre-giuridica). È, infatti, su questa premessa comune, che la prima ritiene possibile pervenire a questa conoscenza (il derivato è il contratto teso all’acquisizione del differenziale), mentre l’altra lo ritiene impossibile (il derivato non è predicabile di un’essenza unitaria)». X. XXXXXXXXXX, Strumenti finanziari derivati, cit.
derivato), bensì quello “funzionale” (= identificazione della logica che ha indotto il legislatore ad assoggettare una certa fattispecie ad una certa disciplina)»96.
Pertanto, al di là degli aspetti strutturali e sistematici, ciò che accomunerebbe le varie tipologie xx xxxxxxxxx derivato sarebbe – come si avrà modo di chiarire ampiamente nel prosieguo – la funzione che questo viene chiamato a svolgere, e per comprendere appieno xxxxx xxxx sia, in termini astratti, è necessario muovere da alcune premesse logico- economiche fondamentali.
Quando un soggetto (creditore) finanzia un altro soggetto (debitore), si espone al cosiddetto rischio di credito97: ad esempio, si pensi all’ipotesi di un contratto di mutuo98, tipico contratto di credito, in cui ad una banca (mutuante), dopo che questa ha consegnato ad un altro soggetto (mutuatario) una determinata xxxxx xx xxxxxx, non venga restituita quella xxxxxx xxxxx.
Orbene, qualora il soggetto mutuatario non adempia la sua obbligazione di restituire il tantundem, se è vero che il contraente xxxxxx – ossia, la banca mutuante – viene tutelato in sede giurisdizionale (ex artt. 1218 e 2740 c.c.), è altrettanto vero che dal punto di vista economico rimane comunque xxxxxxx ad una diminuzione patrimoniale99, ancorché momentanea.
Ciò è ancor più verosimile qualora le parti ricorrano a contratti a termine, posto che la parte xxxxxx xxxxx sopportare, oltre al rischio dell’inadempimento, anche i rischi connessi al modificarsi delle condizioni – sia personali della controparte, sia del mercato – rispetto al momento in cui i contraenti decisero di concludere il contratto100.
Il rischio di credito, così com’è appena stato descritto, è sempre stato fonte di preoccupazione per gli operatori economici e per il legislatore; il nostro codice civile, ad esempio, contempla diversi istituti che consentono di regolare e disciplinare le
96 X. XXXXXXXXXX, Contratti derivati puramente speculativi, cit., p. 111. Nel caso di specie, l’Autore riassume il problema nel seguente quesito: «quali sono i “caratteri comuni” degli strumenti finanziari derivati xxx xxxxx indotto il legislatore a richiamare, per renderla inapplicabile a tale fattispecie, la disciplina di “gioco e scommessa”?».
97 X. XXXXXXX, Gli accordi di close-out netting, in Banca, borsa, tit. cred., 1998, I, p. 51.
98 X. XXXX, Il mutuo, in Trattato di diritto privato2, diretto da X. Xxxxxxxx, Vol. XII, Tomo IV, Torino, 2007, pp. 589 ss.
99 X. XXXXXXX, Gli accordi di close-out netting, cit., p. 51.
100 X. XXXXXXXX, Swap (contratto di), in Contr. impr., 1988, p. 597.
conseguenze di tali rischi (si pensi, ad esempio, alla risoluzione del contratto per eccessiva onerosità)101.
Sotto questa prospettiva, si comprende xxxxx xxx la funzione primordiale – e astratta – dei derivati finanziari, xxxxx xxxxxx protettiva102 o «di copertura» (hedging), da intendersi come controllo, gestione o neutralizzazione dei rischi legati alle fluttuazioni del mercato finanziario o valutario103.
Ad esempio, si pensi ad una piccola impresa che, al fine di salvaguardare il proprio debito da un innalzamento del tasso d’interesse – e quindi per evitare, tra l’altro, un’oscillazione in peius dell’ammontare delle rate per il rimborso del finanziamento, salvaguardando così anche il cosiddetto flusso di cassa104 –, decida di sottoscrivere un contratto di swap105. Orbene, in tal modo le perdite derivanti dal suddetto innalzamento dei
101 X. XXXXXXXX, Swap (contratto di), cit., p. 597. Tra gli strumenti generali per la limitazione del rischio potrebbe essere ricompreso anche l’istituto della condizione, nella forma della cosiddetta condizione di adempimento: l’adempimento di una delle parti viene sospensivamente condizionato all’adempimento dell’altra. Autorevole dottrina ritiene che quest’atto dispositivo degli effetti contrattuali xxx xxxx’altro ammissibile, sul presupposto che ciascuna parte è arbitra dei propri vincoli, portandosi quindi al di fuori della logica delle condizioni meramente potestative (nulle): cfr. X. XXXXX, Il xxxxxxxxx, cit., pp. 581 ss. Tuttavia, xxxx xxx questa costruzione possa funzionare, in linea di principio, solo nei contratti sinallagmatici, in cui le due prestazioni sono tra loro interdipendenti: si pensi ad una vendita in cui l’efficacia traslativa venga condizionata al pagamento del prezzo. Non appare invece suscettibile di essere adoperata in contratti bilaterali ma non sinallagmatici, come appunto il mutuo: le obbligazioni sono due, e rispettivamente xxxxxx x xxxxxx del mutuante (consegna del xxxxxx, xxx xxxxx anche da momento perfezionativo del contratto) e xxxxxx x xxxxxx del mutuatario (restituzione del tantundem), ma non sono tra loro in un rapporto di corrispettività. Ciò significa che: a) essendo il mutuo un contratto xxxxx, prima della consegna xxxxx xxxxx non vi xxxx alcun effetto da condizionare; b) in capo al mutuante, l’obbligo di restituire il tantundem xxxxx xxx momento stesso in cui riceve xx xxxxx (che è , appunto, il momento in cui il contratto produce i suoi effetti, e quindi anche l’obbligo stesso). In questi termini, è del tutto evidente che condizionare gli effetti di un contratto xxxxx all’adempimento dell’obbligo di restituzione costituisce un’assurdità logica e giuridica.
102 X. XXXXXX, I contratti derivati, cit., pp. 24 ss.
103 X. XXXXX, Contratti derivati, cit., p. 2225; X. XXXXXXXXXXX, Le operazioni di swap, cit., p. 114; X. XXXXXXX XXXXXX, Le operazioni su rischio di cambio, cit., p. 2396; X. XXXXXXX, Garanzia xxxx x xxxxxxxxx di rischio, cit., p. 277.
104 Il flusso xx xxxxx (cash flow) indica la capacità operativa e di crescita di un’impresa nel lungo periodo: più è alto il flusso xx xxxxx e maggiori saranno le possibilità per un’impresa di ottenere xx xxxxxxx, e quindi i finanziamenti, da parte di azionisti e investitori, necessari per lo svolgimento dell’attività. Al riguardo, X. XXXXXXXX, Metodi di valutazione: il modello dei flussi xx xxxxx, in Analisi finanziaria e valutazione aziendale: la logica applicativa con i nuovi principi contabili internazionali, a cura di X. Xxxxxxxx, Milano, 2006, p. 91.
105 X. XXXXXXX, Gli strumenti derivati e i rapporti tra gli operatori finanziari e i clienti, in Derivati e
swap. Responsabilità civile e penale, a cura di X. Xxxxxxx Xxxxxxxx, Rimini, 2009, p. 22.
tassi di interesse verrebbero riequilibrate, tramite una sorta di compensazione106
economica, dal lucro (ossia, il differenziale) scaturente xxx xxxxxxxxx derivato citato107.
È appena il caso di rilevare che, alla xxxx xxxxx finalità di copertura fin qui illustrata, secondo una parte della dottrina108 e della giurisprudenza109 i derivati finanziari corrisponderebbero, sotto il profilo funzionale, al modello assicurativo.
Invero, i contratti derivati, pur essendo nati come mezzi di copertura, sono progressivamente xxxxxxxx strumenti aventi finalità speculativa in senso tecnico e di arbitraggio110.
Occorre innanzitutto precisare che i due termini non sono sinonimi, in quanto mentre la speculazione in senso tecnico si basa sul profitto ricavabile attraverso l’utilizzo del xxxxxxx tempo, quello realizzato mediante l’arbitraggio poggia invece sul xxxxxxx spazio.
In particolare, la speculazione consiste nel profitto ricavato da una serie di compravendite a termine: lo speculatore, in sostanza, xxxxx stesso momento in xxx xxxxxxxx xxxxx xxx x xxxxx potrà essere il momento più opportuno per rivendere. L’arbitraggio, invece, consiste xxx xxxxxxxx ricavabile dalla differenza di prezzo di uno stesso bene presente in mercati diversi: ad esempio, se un bene costa 100 a Roma e 150 a Milano, e considerato che il trasporto da un luogo all’altro costa 10, l’arbitraggista comprerà il bene a Roma (pagandolo 100) per trasportarlo a Milano (pagando 10 per il trasporto), lucrando così una differenza pari a 40, data dal raffronto del costo complessivo dell’operazione
(110) con il costo di quello stesso bene a Milano (150)111.
Tuttavia, quando si parla di funzione speculativa (trading)112 si fa riferimento, in generale, ad entrambe le finalità (speculazione in senso tecnico e arbitraggio).
106 La compensazione, in questo caso solo economica, è da intendersi in senso atecnico, non avendo niente a che fare con quella disciplinata dal c.c. agli artt. 1241 ss. X. XXXXXXXX, Swap (contratto di), cit., p. 602.
107 In particolare, quello considerato xxxx’esempio è un Interest Rate Swap. V. anche X. XXXXXXXX, Swap (contratto di), cit., 602; X. XXXXXXX, Garanzia xxxx x xxxxxxxxx di rischio, cit., p. 277 e X. XXXXX, Contratti derivati, cit., p. 2225, i quali svolgono considerazioni analoghe sul currency swap.
108 X. XXXXXX, I contratti derivati, cit., pp. 25 ss.; X. XXXXXXXX, Swap (contratto di), cit., p. 617.
109 La giurisprudenza di merito, in relazione ad una fattispecie inquadrabile xxx xxxxxxxxx di swap (e, in particolare, di un interest rate swap), ha affermato che tale figura configurerebbe una «forma di assicurazione, che il cliente stipula, per coprirsi dal rischio che un eccessivo rialzo dei tassi incida troppo sul mutuo esistente, costringendolo a xxxxxx interessi troppo elevati e xx xxx non sopportabili». Trib. Lanciano, 6 dicembre 2005, in Giur. comm., 2007, 1, p. 131, con nota di X. XXXXXXX.
110 X. XXXXXXX, Profili civilistici dei nuovi strumenti finanziari, in Riv. dir. comm., 1992, p. 629.
111 P. A. XXXXXXXXX – X. XXXXXXXX, , Economia, cit., p. 206.
112 X. XXXXXXXXXXX, Le operazioni di swap, cit., p. 114.
Protezione (hedging) e speculazione (trading) possono coesistere all’interno della medesima operazione, così come può sussistere anche soltanto una di queste funzioni113: la scelta è rimessa all’autonomia privata e, pertanto, non sempre risulta agevole distinguere nitidamente le due funzioni114.
Come si è sopraccennato, infatti, il fenomeno in esame nasce dalla prassi115, per cui è muovendo dall’osservazione di questa che occorre proseguire e sviluppare l’indagine, costituendo essa la prospettiva privilegiata dalla xxxxx il giurista contemporaneo è chiamato ad osservare i nuovi strumenti del mercato116.
L’interprete deve allora rivolgere la propria attenzione alla cosiddetta lex mercatoria, ossia all’insieme delle regole (scritte e non scritte) proprie della società mercantile117 – o, secondo una terminologia più in linea con i tempi, della business community118 –, xxxx’ambito xxxxx xxxxx si possono individuare quelli che una parte della dottrina chiama
«principi degli atti commerciali»119.
Da questa prospettiva, emergono in modo xxxxxx le divergenze metodologiche tra le precedenti impostazioni (teoria unitaria e anti-unitaria) e quella attuale, xxx xxxx appunto privilegiare l’analisi della prassi.
113 X. XXXXXX, I contratti derivati, cit., pp. 26 ss.
114 X. XXXXXX, I contratti derivati, cit., p. 27; X. XXXXX, La rinegoziazione dei contratti derivati, cit., p.
355.
115 X. XXXX, voce Prassi, in Digesto, disc. Priv., sez. civ., Torino, 1996, pp. 138 ss.
116 S. BO – X. XXXXXXX, Il rischio giuridico dei prodotti derivati, cit., p. 27. Autorevole dottrina
afferma che «la ricerca non va fatta solo sulla xxxxx scritta. Se con l’autonomia normativa del diritto commerciale sono caduti i principi relativi alle xxxxx, non si è certo esaurita la funzione dell’uso, fonte regolatrice diversa dalla xxxxx ma legittimata dalla xxxxx […]. L’operatività dell’uso si realizza soprattutto nella materia dei rapporti economici, configurando allora usi speciali». X. XXXX, Principi, cit., pp. 29 ss. Cfr. anche X. XXXX, voce Prassi, cit., p. 142, il xxxxx menziona la distinzione tra prassi, uso e consuetudine operata da X. Xxxxxxx nella sua relazione di sintesi al congresso internazionale sul Xxxxx xxxxx pratica nella formazione del diritto, tenutosi nel 1983 a Losanna per l’Associazione X. Xxxxxxxx: «la prassi è un “modo di agire”, l’uso è un modo di agire antico, costante, notorio e generale, la consuetudine implica la vincolatività dell’osservanza».
117 In generale, il termine lex mercatoria può essere inteso in due sensi: 1) come concetto che «si caratterizza unicamente per la specificità della materia cui inerisce e per il dato esteriore di una certa uniformità a livello internazionale»; 2) come insieme xx xxxxxxxx e xxxxxx xxx «costituirebbero niente meno che un sistema o ordinamento giuridico sopranazionale a xx xxxxxx, distinto ed indipendente sia rispetto agli ordinamenti statali sia rispetto a quello internazionale pubblico […], grazie xx xxxxx gli operatori economici impegnati negli scambi commerciali internazionali riuscirebbero, volendo, a disciplinare i loro rapporti d’affari indipendentemente dai diritti nazionali». X. X. XXXXXX, voce Lex mercatoria, in Digesto, disc. Priv., sez. comm., Torino, 1996, p. 11.
118 X. XXXXX, Il xxxxxxxxx del duemila2, Torino, 2005, p. 6.
119 X. XXXX, Principi, cit., pp. 25 ss.
Più esattamente, mentre le prime sono accomunate dal fatto di essere teoriche – e, in quanto tali, sono funzionali all’astrazione –, la seconda privilegia l’analisi della fattispecie concreta120, ossia del singolo affare121.
In questo senso, sul presupposto che «il contratto si fa prassi; la prassi genera l’uso; e l’uso crea la xxxxx», Autorevole dottrina parla di norme create «a colpi di schemi contrattuali sempre pronti a essere modificati, in un processo di adeguamento xxxxxxx e veloce, secondo le mutevoli esigenze delle imprese predisponenti»122.
Orbene, in primo luogo, se i derivati finanziari affondano le loro radici nella prassi commerciale, non si dovrebbe allora negare che anche per questi valgano le stesse considerazioni di ordine sistematico che la dottrina ha xxx xxxxxx relativamente ai cosiddetti contratti nuovi (leasing, franchising, factoring, forfaiting, engineering, etc.), socialmente tipici ma non ancora completamente tipizzati in ambito normativo123.
Questa peculiare forma di tipizzazione costituisce invero un ostacolo foriero di non xxxxx difficoltà per chi voglia procedere ad un incasellamento sistematico dei contratti derivati; difficoltà che scaturiscono dal dover preliminarmente vagliare la compatibilità di modelli sviluppatisi in sistemi di common law con un ordinamento “di diritto scritto” xxxxx quello italiano124.
In secondo luogo, deve essere rilevato che i tentativi di definizione della fattispecie più sopra esaminati «si limitano esclusivamente a fornire le ragioni e l’origine della
120«Nel linguaggio comune l’espressione “prassi” è sinonimo di “pratica” e significa, riassuntivamente, complesso di pratiche osservate da operatori; è contrapposta a “teoria”, che invece significa complesso di elaborazioni concettuali e astratte; sicché la prassi, oltre che comportamento osservato, significa anche tecnica impiegata da operatori, cioè da chi applica le teorie nella vita concreta (per l’appunto il “xxxxxxx”)». X. XXXX, voce Prassi, cit., p. 139.
121 «Un affare è certamente un insieme di atti collegati da un nesso funzionale». X. XXXXXXX,
L’associazione in partecipazione, in Il codice civile – commentario, diretto da X. X. Xxxxxxxx, Milano, 2008,
p. 65; v. anche, ex multis, Xxxx. civ., Sez. III, 20 ottobre 2004, n. 20549, xx xxxxx, in materia di mediazione (artt. 1754 ss c.c.) ha precisato tra le altre cose che «il diritto alla provvigione consegue alla conclusione dell’affare, inteso come qualsiasi operazione di natura economica generatrice di un rapporto obbligatorio tra le parti».
122 X. XXXXX, Il xxxxxxxxx del duemila, cit., p. 6.
123 «Sono esempi di prassi negoziali introdotte per colmare le lacune del diritto interno le operazioni economiche tratte da esperienze straniere: sono i cosiddetti “nuovi contratti”, che si individuano, spesso, con espressioni in lingua straniera; invalsi xxxx’uso, i nuovi tipi contrattuali ricevono poi correzioni, adattamenti, variazioni che ne sottolineano o conformano il contenuto assecondando le esigenze del mercato nazionale […]. Rispondono alla medesima esigenza i nuovi “prodotti finanziari”, come futures, collars, swaps, ecc.». X. XXXX, voce Prassi, cit., p. 143. Dello stesso Autore, v. anche I nuovi contratti, in Istituzioni di diritto privato12, a cura di X. Xxxxxxx, Torino, 2005, p. 861.
124 Cfr. X. XX XXXX, Il contratto alieno, Torino, 2010, pp. 47 ss.
denominazione dello strumento in esame, senza con ciò nulla chiarire a proposito delle dinamiche contrattuali»125: tale rilievo, si badi, vale sia nei confronti delle definizioni legislative (art. 1, comma 3, tuf), sia rispetto a quelle tecnico-specialistiche afferenti al settore bancario (art. 3, Circ. Banca d’Italia 29 marzo 1988, n. 4 e s.m.i.) e contabile (principio contabile IAS 39, par. 9).
La dottrina più recente ha quindi preso atto che un approccio costruttivo al complesso tema dei derivati finanziari non può che prescindere da una impostazione fondata sulla mera analisi etimologica del nomen contrattuale126; ciò è tanto più vero se si considera che all’interno di tale nozione, come si è sopra rilevato, vengono ricomprese figure contrattuali che, in concreto, svolgono funzioni assai diverse tra loro.
Appurata quindi la scarsa utilità127 di un approccio sistematico incentrato sulle analisi delle varie definizioni (e, in particolare, delle definizioni legislative) della fattispecie, occorre quindi attribuire un peculiare rilievo alla funzione che i derivati sono chiamati ad assolvere in concreto128.
Inquadrata in questi termini la questione, deve poi essere ulteriormente ribadito che il contratto derivato, sempre in termini concreti, può anche svolgere soltanto una delle funzioni sopradescritte in astratto (ossia, quella di copertura e quella speculativa).
Tale assunto risulta xx xxxxxxx rilevanza.
Infatti, se una finalità esclusivamente protettiva non solleva, in linea di massima, alcun dubbio sulla liceità o sulla meritevolezza xx xxxxxx dell’operazione129, altrettanto non può invece dirsi per il contratto derivato che persegua finalità meramente speculative130.
125 X. XXXXXXXXXX, In xxxx xxxx recente giurisprudenza in materia di contratti derivati: il concetto di “xxxx xxxxxxxxx” xxxxx criterio di valutazione della validità xxxxx xxxxx, in Riv. dir. banc., 3, 2014, p. 3.
126 Sempre rispetto ai cosiddetti contratti nuovi, è stato osservato che «la traduzione del nomen in lingua italiana spesso dà luogo a semplificazioni riduttive o a sovrapposizioni di antiche tradizioni ai nuovi fenomeni». X. XXXX, voce Prassi, cit., p. 143. V. anche X. XX XXXXXXX, Teoria e critica, cit., p. 163: «xxxxx sfondo, una neolingua si impone ai media xx x xxxxx stessi assimilata e promossa con i suoi neologismi semplificanti».
127 X. XXXXX, Contratti derivati, cit., p. 2225.
128 Lo stesso problema si è presentato rispetto xx xxxxxxxxx di leasing. In particolare, «il leasing è stato tradotto con “locazione finanziaria”, ma questa traduzione mette in rilievo un sotto-tipo di leasing, quello appunto che ha funzione (o causa) di finanziamento, mentre tiene in ombra il leasing diretto alla acquisizione di un prodotto (c.d. leasing operativo)».X. XXXX, voce Prassi, cit., p. 143.
129 L’affermazione si xxxxx xxxxx considerazione che le parti, attraverso uno schema atipico, starebbero perseguendo una causa tipica – e quindi già reputata lecita e meritevole xx xxxxxx da parte del legislatore –, xxxxx xxxxxx assicurativa di cui agli artt. 1882 ss. c.c. Al riguardo, X. XXXXXXXX, Swap (contratto di), cit., 620;
X. XXXXXXX, Xxxxxxxxx differenziale, in Contr. impr., 1992, p. 489.
130 In particolare, XXXXXXXXXXX, riferendosi ai titoli sintetici, afferma che «colui che tratta le note sintetiche per xxxxxx x xxxxx dalla volontà di speculare ed utilizza detti strumenti per assumere rischi, spesso
In generale, la finalità speculativa solleva sia problemi di liceità, in relazione alla pericolosità di tali operazioni131, sia questioni attinenti alla meritevolezza xx xxxxxx: ciò impone di confrontare la fattispecie dei derivati finanziari esclusivamente speculativi con quella tipica del giuoco e della scommessa (artt. 1933-1935 c.c.)132.
In questa prospettiva, ha suscitato particolare interesse in dottrina la pronuncia xxxxx Xxxxx x’Xxxxxxx di Milano del 18 settembre 2013, n. 3459, secondo cui «nel derivato [...], l’oggetto del contratto è costituito da uno scambio di differenziali a determinate scadenze, mentre la sua causa risiede in una scommessa che entrambe le parti assumono e xxxxx xxxxxxx di rischi conseguente».
Tali questioni saranno ampiamente esaminate nei capitoli successivi.
3. Archetipi di contratti derivati.
Come si è già avuto modo di rilevare, nel diritto positivo è attualmente assente una normativa specifica in materia di contratti derivati; in particolare, l’art. 1, comma 3, tuf, nulla dice sulla effettiva fisionomia giuridica della fattispecie qui esaminata, limitandosi detto articolo a richiamare figure negoziali eterogenee nate e sviluppatesi nella prassi.
Cionondimeno, la dottrina ha cercato di individuare i caratteri essenziali minimi dei principali archetipi133 xx xxxxxxxxx derivato, ossia il future, l’option e lo swap; giova quindi dare xxx xxxxx delle peculiarità che contraddistinguerebbero la struttura e i meccanismi negoziali di ciascuna delle figure xx xxxxxxxxx derivato appena citate.
3.1. Futures.
Si è già avuto modo di chiarire che il future sarebbe xx xxxxxx xx xxxxxxxxx derivato più risalente nel tempo134; e ciò, verosimilmente, anche in ragione della sua semplicità strutturale135.
preclusi da disposizioni di diritto interno o da circoscritte deleghe di poteri». X. XXXXXXXXXXX, I prodotti “derivati”, cit., p. 365.
131 X. XXXXX, Contratti derivati, cit., p. 2225.
132 Ex multis, X. XXXXXXX, Garanzia xxxx x xxxxxxxxx di rischio, cit., p. 282.
133 Cfr. X. XXXXXXX, Contratti derivati e tutela dell’acquirente, Torino, 2013, p. 79: «xxxx’universo delle varie tipologie di derivati e delle numerose combinazioni che in questi ultimi anni sono state create dagli analisti finanziari attraverso tecniche di ingegneria finanziaria, è comunque possibile individuare alcuni modelli, dei cosiddetti archetipi di contratti derivati, i quali costituiscono la base di ogni successiva elaborazione».
134 V., supra, in questo Cap., § 1.2.
Secondo l’opinione più accreditata, il future consiste in un contratto a termine con il xxxxx le parti si obbligano, rispettivamente, a comprare e a vendere un certo quantitativo di beni ad una scadenza determinata e ad un prezzo predefinito136.
Per comprendere appieno la struttura del future e i relativi meccanismi negoziali giova muovere da un esempio137.
Si consideri la seguente ipotesi: A vuole comprare il titolo x, che attualmente vale 100, sulla personale convinzione che, trascorso un termine di tre mesi, il titolo xxxxx 120; al contrario, B, possessore di un titolo x del valore attuale pari a 100, vuole venderlo, in quanto teme che fra tre mesi quello stesso titolo xxxxx 90. I due soggetti si incontrato e convengono di stipulare una compravendita a termine, in cui A assume la posizione di acquirente x X xxxxxx di venditore, avente ad oggetto il titolo x e fissando convenzionalmente un prezzo pari a 105138.
Orbene, alla scadenza del termine di tre mesi, possono verificarsi tre eventualità:
1) se il titolo vale, ad esempio, 120 e B si è obbligato a vendere il titolo ad A per 105, mentre il venditore B perde 15, il compratore A, al contrario, lucra sulla differenza tra prezzo effettivo (120) e prezzo pattuito (105), guadagnando appunto 15;
2) al contrario, se il titolo vale 95 e A si è obbligato ad acquistare il titolo da B per 105, il lucro pari a 10 (dato dalla differenza tra il prezzo pattuito, 105, e il prezzo attuale, 95) in tal xxxx xxxxx a vantaggio del venditore B e a discapito del compratore A;
3) se il titolo vale 105, nessuna delle parti xxxxxxxx o subisce perdite, in quanto il prezzo fissato xxx xxxxxxxxx corrisponde a quello effettivo.
È appena il caso di notare che l’esempio è stato costruito su un future avente ad oggetto un titolo; nondimeno, occorre precisare che la dottrina139 individua e specifica due species xxxx’ambito del più ampio genus del future, distinguendo tra quello avente ad oggetto commodities (materie prime, prodotti agricoli o altri beni fungibili) e quello avente
135 X. XXXXXX XXXXXXXX, Profili civilistici, cit., p. 175.
136 X. XXXXX, Contratti futures, in Contr. impr., 1996, p. 308; X. XXXXXX, I contratti derivati, cit., p. 54.
137 L’esempio riprende quello proposto da X. XXXXXX in I contratti derivati, cit., pp. 54-55.
138 Tale importo costituisce un punto x’xxxxxxxx tra le previsioni delle parti, influenzato dalla forza contrattuale di ciascun contraente. Si badi che le aspettative antitetiche delle parti vengono cristallizzate nella determinazione convenzionale del prezzo.
139 X. XXXXXX XXXXXXXX, Profili civilistici, cit., p. 175; X. XXXXX, Contratti futures, cit., p. 316; X. XXXXXXXXX, I futures, in Amm. e finanza-oro, 1998, 4-bis, p. 14; X. XXXXXXX, Profili civilistici dei nuovi strumenti finanziari, cit., p. 629.
ad oggetto uno strumento finanziario (cosiddetto financial future)140; a sua volta, il financial future vede variare la sua denominazione a seconda dello strumento finanziario cui si riferisce, il xxxxx può consistere in titoli a tasso fisso (interest rate futures), valute (currency futures) o indici azionari (stock index futures)141.
A tale diversità oggettiva, tuttavia, non corrisponde una divergenza funzionale: infatti il future, sia esso commodity o financial, viene utilizzato – come si è potuto constatare dall’esempio supra – per fissare anticipatamente il prezzo142 del bene oggetto della compravendita a termine143.
La possibilità di predeterminare il prezzo dell’attività sottostante consente quindi alle parti di soddisfare le loro esigenze o di copertura (hedging) o meramente speculative (trading).
Più esattamente, per quanto riguarda la funzione naturale144 del future, xxxxx xxxxxx protettiva, tale contratto consentirebbe agli operatori di preservarsi dall’andamento sfavorevole del mercato, in relazione ad investimenti già effettuati o ancora da svolgere145. Xxxx’ambito di tale prospettiva, la dottrina146 suole distinguere tra diverse tipologie di copertura realizzabili attraverso il future: ad esempio, si pensi a chi possiede un bene nel mercato “a pronti” e lo vende nel mercato future per cautelarsi rispetto ad una diminuzione futura dei prezzi (short hedge)147; oppure, a chi, al contrario, acquista nel mercato future per evitare che un successivo acquisto “a pronti” risulti troppo oneroso (long hedge)148. Va
140 X. XXXXXX XXXXXXXX, Profili civilistici, cit., p. 176.
141 Ex multis, X. XXXXXXX, Profili civilistici dei nuovi strumenti finanziari, cit., p. 629; X. XXXXX,
Contratti futures, cit., p. 320.
142 Per quanto riguarda i xxxxxxxx xxx presidiano la determinazione del prezzo del future, X. XXXXXXXXX, I futures, cit., p. 8. In particolare, secondo l’Autore «il principio di “non arbitraggio” è l’ipotesi base su cui si xxxxx la derivazione del prezzo di un generico futures. Tale principio afferma che, in equilibrio, il profitto generato da un’operazione finanziaria xxxxx di rischio deve essere nullo. In base a questo criterio il prezzo del futures è determinato correttamente, se non è possibile ricavare un profitto da operazioni sul mercato a pronti su quello a termine».
143 X. XXXXXX XXXXXXXX, Profili civilistici, cit., p. 178.
144 X. XXXXX, Domestic curency swap e disciplina applicabile ai contratti su strumenti finanziari. Brevi note sul collegamento negoziale, nota a App. Milano, 29 giugno 2004, in Banca borsa tit. cred., 2006, 2, II, p. 168, xx xxxxx, trattando di un contratto swap, definisce appunto “naturale” la funzione di hedging.
145 X. XXXXX, Contratti futures, cit., p. 314.
146 X. XXXXX, Contratti futures, cit., p. 314.
147 Xxxx’esempio supra, versa in tale situazione B.
148 X. XXXXX, Contratti futures, cit., p. 314. Sempre rinviando all’esempio di cui sopra, ciò corrisponde alla posizione di A.
inoltre segnalato che la copertura perfetta (perfect hedge)149, xxxxx xxxxxx che importa l’eliminazione completa del rischio, costituisce una rarità150.
Diversamente, qualora l’operatore non sia titolare di alcuna posizione da proteggere – e cionondimeno decida di accedere comunque al mercato dei futures – il suo intento xxxx verosimilmente di tipo speculativo (trading)151.
In tale secondo caso, lo speculatore acquista un contratto future xxxxx soltanto da una stima previsionale, del tutto personale, xxxxx xxxxxxxx che la propria valutazione si xxxxxx xxxxxxxx, consentendogli perciò di lucrare la differenza tra i prezzi del mercato “a pronti” e “a termine”152.
A prescindere dall’intento delle parti, da quanto si è sin qui ricostruito è possibile cogliere la peculiarità che connota l’oggetto dei contratti derivati, ossia la cosiddetta
«astrazione del valore fondamentale»153: alla scadenza del termine, in favore della parte la cui previsione si sia poi in concreto rivelata corretta, verrà infatti liquidato soltanto il valore del differenziale, senza che vi sia anche la materiale consegna del titolo154.
3.2. Options.
L’option è il contratto mediante il xxxxx una parte acquista il diritto, dietro il pagamento di un premio, di comprare (call) o vendere (put) un determinato quantitativo di beni ad una scadenza determinata e ad un prezzo predefinito (cosiddetto “prezzo di esercizio” o strike price)155.
Anche in questo caso, per comprendere le dinamiche proprie del contratto di option, può essere utile muovere da un esempio concreto156.
A e B vogliono compravendere un titolo x “a pronti”; tuttavia, sono mossi da interessi contrapposti e antitetici. Infatti, mentre l’intenzione di A è quella di lucrare la differenza
149 Tale ipotesi coincide con la terza eventualità vista sopra, xxxxx xxxxxx in cui il prezzo pattuito nel
future coincide con il prezzo xxxxx.
150 L. XXXXXXXXX, I futures, cit., pp. 10-11; X. XXXXXXX, Profili civilistici dei nuovi strumenti finanziari, cit., pp. 630-631.
151 X. XXXXX, Contratti futures, cit., p. 315.
152 X. XXXXXXX, Profili civilistici dei nuovi strumenti finanziari, cit., p. 631.
153 E. XXXXXX, I contratti derivati, (ed. 2001), cit., p. 48.
154 R. COSTI, Il mercato mobiliare, cit., p. 149.
155 E. XXXXXX, I contratti derivati, cit., pp. 55 ss.; X. XXXXXXX, Profili civilistici dei nuovi strumenti finanziari, cit., p. 632; S. BO – X. XXXXXXX, Il rischio giuridico dei prodotti derivati, cit., p. 8; X. XXXXXXX –
X. XXXXXXXX, Le opzioni, in Amm. e finanza-oro, 1998, 4-bis, p. 24.
156 E. XXXXXX, I contratti derivati, cit., p. 56.
tra prezzo “a pronti” e prezzo futuro, sul presupposto che allo spirare di un termine il titolo xx xxx comperato avrà un xxxxxx xxxxxxxx rispetto a quello del momento d’acquisto, B, all’opposto, teme di perdere quello stesso valore differenziale, in quanto paventa che in un momento successivo il prezzo del titolo xx xxx posseduto diminuirà.
In questo caso, i due soggetti convengono di stipulare una compravendita a termine – come nel caso del future –, con la particolarità che ad una delle parti viene attribuito dall’altra solo il diritto, e non anche l’obbligo, di acquistare o vendere il titolo x ad una scadenza prefissata.
La differenza tra la fattispecie del future e quella dell’option qui esaminata risiede perciò sul piano degli effetti: infatti, mentre il future obbliga direttamente a vendere e a comprare, con l’option l’acquisto o la vendita del bene ad una scadenza prestabilita (expiration date) divengono facoltativi157.
In sostanza, se il future attribuisce alle parti un diritto soggettivo pieno, cui corrisponde un correlativo obbligo, l’option attribuisce un mero diritto potestativo158 – collegato alla contrapposta situazione di soggezione –, il xxxxx non conferisce di per sé un risultato finale, ma vincola le parti al contenuto di un eventuale contratto finale159.
Pertanto, allo spirare del termine fissato xxx xxxxxxxxx di opzione, la parte in capo xxxx xxxxx xxxxx il diritto avrà la facoltà di concludere la compravendita oppure di rinunciarvi160.
La possibilità di lucrare o di perdere il differenziale tra prezzo “a pronti” e prezzo futuro, in questo caso, viene poi parametrato non solo ad un prezzo prestabilito – come nel future –, bensì anche al costo del diritto di opzione (cosiddetto premio): in altri termini, il premio costituisce il prezzo dell’opzione, ossia il corrispettivo del diritto di acquistare o vendere ad un determinata data un certo quantitativo di beni161.
Ciò premesso, una prima considerazione deve essere ora svolta in relazione alle evidenti similitudini che intercorrono tra il contratto di option e l’opzione come modalità
157 E. XXXXXX, I contratti derivati, cit., p. 56; X. XXXXXXX, Profili civilistici dei nuovi strumenti finanziari, cit., p. 632.
158 X. XXXXXXXXX, Opzione, in Enc. Giur Treccani, XXI, Roma, 1990, p. 5.
159 X. XXXXXXXXX, Opzione, cit., p. 3.
160 E. XXXXXX, I contratti derivati, cit., p. 56. In merito all’esercizio del diritto di opzione, la dottrina distingue tra options europee, nel caso in cui l’opzione possa essere esercitata solo alla scadenza del termine, e options americane, qualora la facoltà di acquisto o di rinuncia possa essere esercitata in qualsiasi momento.
X. XXXXXXX, Profili civilistici dei nuovi strumenti finanziari, cit., p. 632; X. XXXXXXX – X. XXXXXXXX, Le opzioni, cit., p. 24.
161 E. XXXXXX, I contratti derivati, cit., p. 61.
di conclusione del contratto, disciplinata dall’art. 1331 c.c.162 (tant’è che una parte della dottrina reputa l’opzione codicistica come l’antecedente storico del contratto di option)163.
Orbene, com’è xxxx i tratti essenziali dell’opzione prevista e disciplinata dal nostro codice civile sono i seguenti: quest’ultima, come si è appena accennato, consiste in una tecnica di formazione del xxxxxxxxx xxx si xxxxxx ad essere adoperata in qualsiasi regolamento negoziale, sia esso traslativo o obbligatorio, definitivo o preparatorio164; può poi assumere la dimensione di una clausola aggiunta ad un regolamento contrattuale oppure di negozio autonomo165; tra il soggetto attivo (opzionario) e passivo (oblato) si instaura un rapporto tra situazioni giuridiche soggettive riconducibili, rispettivamente, a quella del diritto potestativo e della soggezione166.
Invero, quelle appena menzionate sono caratteristiche presenti anche xxxx’option– derivato finanziario; non sarebbe quindi irragionevole affermare che quest’ultima figura sia un xxxxxxxxx xxx presenta notevoli punti di contatto con l’opzione ex art. 1331 c.c., senza tuttavia coincidere mai completamente con essa.
Tale ultima affermazione appare corroborata dal fatto che entrambe le fattispecie sembrerebbero accomunate dalla medesima ratio, xxxxx xxxxxx di prestarsi come uno strumento che si adegua alle sempre più complesse pratiche commerciali167; tuttavia, mentre l’opzione costituisce uno strumento di carattere generale, utilizzabile cioè in qualsiasi contrattazione, l’option si distinguerebbe dalla prima in ragione della sua funzione specificamente finanziaria168.
162 E. XXXXXX, I contratti derivati, cit., p. 56.
163 X. XXXXXXX, Options e contratti derivati, cit., pp. 1274. Tale opinione muove dalla considerazione che l’opzione, assente nel codice di commercio del 1882, appare per la prima volta nel codice del ’42, al fine di «disciplinare tecniche di formazione del contratto adeguate alla diffusione e allo sviluppo nelle relazioni commerciali e in generale economiche». Al xiguardo, v. anche X. XXXXXXXXX, Opzione, cit., p. 1.
164 X. XXXXXX, Opzione xxx xxxxxxxxx, in Enc. Dir., XXX, Milano, 1980, p. 564.
165 X. XXXXXXXXX, Opzione, cit., p. 2-3.
166 X. XXXXXXXXX, Opzione, cit., p. 4-5.
167 X. XXXXXXX, Options e contratti derivati, cit., pp. 1274; A. DI MAJO, Vincoli, unilaterali e bilaterali, nella formazione del contratto, in Istituzioni di diritto privato12, a cura di X. Xxxxxxx, Torino, 2005, p. 541.
168 E. XXXXXX, I contratti derivati, cit., p. 62. Giova tuttavia tener xxxxx xxx quanto appena segnalato costituisce un dato assai controverso in dottrina. Va tra l’altro rilevato che alcuni Autori, anziché limitarsi ad escludere o ammettere completamente l’assimilazione dell’option con l’opzione di cui all’art. 1331, preferiscono operare delle distinzioni. In particolare, XXXXXX XXXXXXXX xitiene che non sia opportuno distinguere tra l’opzione civilistica e l’opzione finanziaria in esame, qualora quest’ultima abbia ad oggetto un future xx Xxxxx decennali del Tesoro: in xxx xxxx, infatti, il contratto di option si pone come preparatorio rispetto ad un xxxxxxx xxxxxxxxx, il xxxxx produrrà gli effetti definitivi, così come avviene nella fattispecie descritta dall’art. 1331 c.c. (contratto attributivo di un diritto potestativo). Al contrario, l’assimilazione tra le
Occorre poi rilevare come xxx xxxxxxxxx option, e ciò a differenza del future, la distribuzione del rischio di mercato tra le parti sarebbe connotato da una spiccata asimmetria169: infatti, mentre il beneficiario dell’option ha un completo controllo del mercato170 e una perfetta conoscenza della possibile perdita171 – corrispondente al prezzo dell’opzione, nel caso in cui risulti più conveniente rinunciare piuttosto che stipulare la compravendita –, il concedente del diritto di opzione resta invece xxxxxxx xxxx facoltà dell’opzionario di concludere l’affare o di rinunciare all’operazione, a xxxxxx xxxxx certezza di un profitto minimo (il premio)172.
A questo punto si può ben comprendere la centralità del contratto option nella gestione strategica del rischio di mercato da parte delle banche e delle imprese173, sia per soddisfare esigenze di copertura, sia per realizzare vantaggi meramente speculativi174.
due fattispecie è da escludersi nel caso in cui l’option abbia ad oggetto tassi di interesse, in quanto in tale ipotesi il contratto è di per xx xxxxxxxx e non si pone come atto prodromico rispetto a un successivo contratto produttivo di effetti finali: in sostanza, qui le parti si promettono «xx xxxxxx una o più somme al verificarsi di certe variazioni del tasso di interessi». X. XXXXXX XXXXXXXX, Profili civilistici, cit., pp. 257 e 258; v. anche X. XXXXXXX, Options e contratti derivati, cit., pp. 1274; X. XXXXX, Contratti derivati, cit., p. 2218.
169 X. XXXXXXX, Profili civilistici dei nuovi strumenti finanziari, cit., p. 633; S. BO – X. XXXXXXX, Il rischio giuridico dei prodotti derivati, cit., p. 8.
170 X. XXXXXXX, Profili civilistici dei nuovi strumenti finanziari, cit., p. 633.
171 E. XXXXXX, I contratti derivati, cit., p. 61.
172 Si supponga che il titolo x, al momento della stipula del contratto di opzione, valga 100 e che questo sia anche il prezzo fissato xxx xxxxxxxxx; l’opzione, inoltre, viene prevista a favore del potenziale acquirente A, il xxxxx xx pagato a tal fine un premio pari a 10:
a) se alla scadenza del termine fissato xxx xxxxxxxxx di options il titolo vale, ad esempio, 120, ad A converrà concludere la compravendita con B. Xxxxxxx, l’opzionario A potrà acquistare per 110 – prezzo ottenuto dalla xxxxx tra quello convenuto xxx xxxxxxxxx (100) e il premio (10) – un titolo x che sul mercato vale 120, lucrando così la differenza tra prezzo del contratto e prezzo di mercato (differenza pari a 10), xx xxxxx, al contrario, per il venditore B costituirà una perdita. Si badi che qualora l’aumento xx xxxxxx di mercato del titolo sia xxxx xx xxxxxx dell’operazione complessiva (ossia, 110), A non avrà un lucro, e ciononostante xxxx per xxx preferibile concludere la compravendita del titolo, essendo comunque obbligato a xxxxxx il premio (pari a 10);
b) al contrario, se il titolo vale 95, per A xxxx più conveniente rinunciare a stipulare la compravendita con B. Xxxxxxx, quxxxxx xecidesse di acquistare il titolo, subirebbe una perdita pari a 15, in quanto pagherebbe 110 (dato dalla xxxxx tra il prezzo fissato xxx xxxxxxxxx con il prezzo di opzione) un titolo che sul mercato vale 95. Al contrario, B avrebbe in tale circostanza un lucro pari a 5: difatti, è vero che il titolo xx xxx posseduto ha subito un deprezzamento (in quanto il valore è passato da 100 a 95), ma a questo va aggiunto il prezzo dell’opzione (10), il xxxxx si xxxxx a sommare xx xxxxxx di mercato del titolo (95);
c) infine, qualora la xxxxxxx xx xxxxxx di mercato sia invece tale da non poter essere recuperata nemmeno attraverso il prezzo di opzione, ad esempio 80, tale svalutazione xxxxx a discapito di entrambi: A molto probabilmente rinuncerà alla conclusione della compravendita, nonostante sia comunque tenuto al pagamento del premio (10), mentre B in ogni caso non riuscirà a recuperare la perdita del valore del titolo xx xxx detenuto, in quanto possiede un titolo xxx xxxxxx comunque più basso (90) rispetto al momento della stipula dell’opzione (100).
173 X. XXXXXXX – X. XXXXXXXX, Le opzioni, cit., p. 24.
Sotto la prima prospettiva, xxxxx xxxxxx di hedging, le options consentono di limitare il rischio delle perdite determinate dai ribassi del mercato, alla stregua di un’assicurazione175; per quanto invece riguarda le dinamiche speculative, o di trading, l’investitore può trarre dei vantaggi dalla mera movimentazione dei prezzi combinata con il valore del premio, senza dovere anche acquistare o vendere necessariamente l’attività sottostante176.
Ciò detto, deve ora essere precisato che anche xxxx’ambito delle options si possono operare diverse distinzioni in sottocategorie, la più rilevante delle quali sembra essere quella fondata sulla natura dell’attività sottostante: xxxx’ambito del più generico modello option, è infatti possibile individuare le commodities options, qualora la compravendita su cui insiste l’opzione abbia ad oggetto materie prime, prodotti agricoli o altri beni fungibili, e le financial options, assai più frequenti, le quali possono avere ad oggetto valute, tassi di interesse177, obbligazioni, azioni o indici azionari178.
Va infine segnalato che xxx xxxxx degli ultimi anni, xxxx’ambito del mercato dei prodotti derivati, le options – e, come si vedrà subito infra, anche gli swaps – sono quelli che, al fine di soddisfare le svariate esigenze degli operatori, hanno raggiunto notevoli livelli di complessità: il riferimento, in particolare, è alle cosiddette “opzioni esotiche”179, per la comprensione delle quali è il più delle volte necessaria una preparazione tecnica che va ben oltre i normali standards richiesti ad un operatore di media esperienza.
3.3. Swaps.
Il termine swap (letteralmente «scambio») designa un insieme di operazioni finanziarie tra loro molto diverse180, accomunate dal fine di governare gli effetti negativi delle fluttuazioni del mercato finanziario181.
174 X. XXXXXXX, Profili civilistici dei nuovi strumenti finanziari, cit., p. 633.
175 X. XXXXXXX – X. XXXXXXXX, Le opzioni, cit., pp. 36-37.
176 X. XXXXXXX – X. XXXXXXXX, Le opzioni, cit., p. 37
177 X. XXXXXX XXXXXXXX, Profili civilistici, cit., pp. 193 ss.
178 X. XXXXXXX – X. XXXXXXXX, Le opzioni, cit., pp. 31; v. anche E. XXXXXX, I contratti derivati, cit., pp.
76 ss.
179 X. XXXXXXX – X. XXXXXXXX, Le opzioni, cit., p. 36.
180 X. XXXXXX XXXXXXXX, Profili civilistici, cit., p. 10; X. XXXXXXX XXXXXX, Le operazioni su rischio di cambio, cit., p. 2403.
181 X. XXXXXXXX, Swap (contratto di), cit., p. 597; X. XXXXXXX XXXXXX, Le operazioni su rischio di cambio, cit., p. 2397.
In generale, con tale vocabolo ci si riferisce a quei contratti sinallagmatici, ad effetti obbligatori e sottoposti a termine, con cui le parti neutralizzano o limitano gli effetti delle variazioni dei xxxxx xx xxxxxx o di interesse182.
In questo caso, a differenza del future e dell’option, il tratto saliente del contratto è individuabile non xxx xxxx’obbligo (future) o nel diritto (option) di vendere o acquistare, xxxxx xxxxx scambio delle rispettive situazioni giuridiche soggettive allo scadere di un termine avente rilevanza finanziaria, come sono appunto le modificazioni delle valute e dei tassi di interesse183.
Orbene, come si è accennato, gli swaps si contraddistinguono per essere la categoria di derivati finanziari più articolata: interest rate swap, interest rate and currency swap, debt to equity swap, amortizing swap, diff swap, escalating swap, solo per citarne alcuni184. Tuttavia, la dottrina maggioritaria185 individua le operazioni più importanti di swap in quelle aventi ad oggetto tassi di interesse (interest rate swap, xxxx anche con l’acronimo “IRS”) o valute (currency swap).
In particolare, xxxxx swap di interessi le parti si obbligano a scambiarsi i rispettivi tassi d’interesse, relativi xxxx xxxx posizione debitoria derivante da un contratto finanziamento186.
Ad esempio187, A e B sono entrambi indebitati per 100; al debito di A è applicato un tasso fisso del 14%, mentre al debito di B è applicato un tasso variabile, che al momento del contratto si aggira intorno al 12%. Osservando l’andamento del mercato dei tassi di
182 X. XXXXXXX, Garanzia xxxx x xxxxxxxxx di rischio, cit., p. 277; X. XXXXXXXX, Swap (contratto di), cit.,
p. 603; X. XXXXXXXXXXX, Gli swaps come valori mobiliari, cit., p. 792; X. X. XXXXXXXXXXX, Rischio finanziario e contratti di swap: la Hammersmith rule (in margine ad un caso recente), in Dir. ed ec. dell’ass., 1992, 471; X. XXXXXXX, Profili civilistici dei nuovi strumenti finanziari, cit., p. 634.
183 X. XXXXXXX, Garanzia xxxx x xxxxxxxxx di rischio, cit., p. 277.
184 X. XXXXXX XXXXXXXX, Profili civilistici, cit., passim; E. GIRINO, I contratti derivati, cit., (ed. 2001), p. 108 e 121.
185 F. CAPUTO NASSETTI, Profili civilistici, cit., p. 11; R. CAVALLO BORGIA, Le operazioni su rischio di cambio, cit., p. 2404; E. FERRERO, Profili civilistici dei nuovi strumenti finanziari, cit., p. 636; B. INZITARI, Swap (contratto di), cit., p. 601 e 609. Inoltre, alcuni Autori affiancano allo swap di interessi e di valute anche quello su merci (commodities), ossia l’operazione negoziale con cui le parti si scambiano le differenze di prezzo sulle merci. Tuttavia, il commodities swap viene pur sempre accostato all’interest rate swap, in virtù dell’analogia strutturale delle operazioni citate. Al riguardo, v. R. AGOSTINELLI, Le operazioni di swap, cit., p. 118.
186 E. GIRINO, I contratti derivati, cit., (ed. 2001), p. 121; E. FERRERO, Profili civilistici dei nuovi strumenti finanziari, cit., p. 636; R. AGOSTINELLI, Le operazioni di swap, cit., p. 114; M. BOLDRIN, Gli swap, cit., p. 41; M. C. MALANDRUCCO, Rischio finanziario e contratti di swap, cit., p. 473.
187 E. GIRINO, I contratti derivati, cit., p. 110.
interesse, le parti pervengono a due opposte conclusioni: A prevede che fra 6 mesi i tassi di interesse scenderanno al 12%, mentre B teme che saliranno al 16%.
Orbene, concludendo un contratto di swap, A e B si scambiano le rispettive condizioni debitorie, obbligandosi a versare l’uno a favore all’altro la differenza tra il tasso scambiato e il tasso d’interesse presente in quel momento.
Pertanto:
a) se alla scadenza del termine fissato nel contratto di swap i tassi d’interesse sono scesi al 12%, lo scambio andrà a favore di A, prima indebitato al 14%, e a svantaggio di B, il quale, in virtù dello scambio, risulta ora indebitato ad un tasso fisso pari a 14%. Per concretizzare questo vantaggio, B dovrà corrispondere ad A il valore monetario equivalente al differenziale tra i due tassi d’interesse (ossia, il 2%), dato dalla differenza tra il tasso fisso del 14% e il tasso attuale del 12%;
b) al contrario, se i tassi d’interesse aumentano del 16%, lo scambio andrà in tal caso a favore di B: infatti, mentre A (originariamente indebitato a tasso fisso) si trova ora esposto ad un tasso variabile proprio in ragione dello swap, B ha la certezza di non trovarsi indebitato per un tasso d’interesse superiore al 14%. In questo caso sarà A, quindi, a dover versare la l’equivalente monetario pari alla differenza tra i tassi d’interesse (il 2%) a favore di B.
Va segnalato che il mutuante – e, più in generale, il finanziatore – resta totalmente estraneo al contratto di swap: infatti, lo scambio interviene solo tra le parti che concludono il derivato in esame – che possono anche coincidere con le parti del contratto di finanziamento, ma il discorso non muta – e ha ad oggetto solo il pagamento del differenziale in favore della parte che ha correttamente previsto l’andamento dei tassi d’interesse; in altri termini, lo scambio dei tassi di interesse non produce alcun effetto diretto sul contratto di finanziamento che sta a monte dello swap, posto che quest’ultimo troverà appunto attuazione attraverso il mero pagamento, previa liquidazione, del differenziale tra i tassi d’interesse scambiati188.
188 Sul punto, v. infra, cap. III, § 3.1. V. anche M. C. MALANDRUCCO, Rischio finanziario e contratti di swap, cit., p. 474; E. FERRERO, Profili civilistici dei nuovi strumenti finanziari, cit., p. 636. V. anche E. GIRINO, I contratti derivati, cit., pp. 55 e 109, il quale tra le altre cose osserva che la versione primigenia dello swap coinciderebbe con quella dell’accollo interno. Com’è noto, l’accollo – contratto che intercorre tra un terzo accollante e il debitore accollato con il quale il primo si assume il debito che il secondo ha nei confronti del creditore accollatario, ex art. 1273 c.c. – è interno qualora il creditore (terzo rispetto al contratto di accollo) non aderisce alla stipulazione tra il terzo accollante e il debitore. In tale circostanza, non si verifica l’effetto che la legge ricollega specificamente all’adesione del creditore accollatario (ossia, l’irrevocabilità dell’accollo nei suoi confronti) e il contratto di accollo resterà efficace solo tra le parti,
Pare opportuno ribadire la finalità specifica dell’interest rate swap, ossia quella di evitare o, quantomeno, limitare gli effetti negativi derivanti dalle fluttuazioni dei tassi di interesse (e ciò a prescindere dall’internazionalità degli scambi)189.
Per quanto invece riguarda lo swap di valute, il meccanismo è sostanzialmente coincidente con quello appena esaminato190: anche nel currency swap, pertanto, si avrà uno scambio di due misure omogenee realizzato attraverso la liquidazione del differenziale191.
Tuttavia, le peculiarità di tale seconda ipotesi sono individuabili nella specificità dell’oggetto dello scambio e nella finalità perseguita.
Sotto il primo profilo, l’oggetto di questa tipologia di swap consiste anche in questo caso nello scambio ad una scadenza prestabilita di un differenziale, ma quest’ultimo – a differenza dello swap su tassi di interesse – viene ottenuto dalla messa in relazione di capitali di eguale ammontare espressi in valute diverse192.
In altri termini, il regolamento contrattuale programma il trasferimento di una somma di denaro di ammontare pari al differenziale determinato dalle fluttuazioni delle valute contemplate nel contratto di swap193.
In questa prospettiva, inoltre, si può comprendere anche quale sia la finalità specifica del currency swap rispetto a quella dell’interest rate swap, ossia il controllo, la gestione e l’azzeramento del cosiddetto rischio di cambio194.
obbligando così il terzo accollante soltanto ad assumersi il debito dell’accollato. A ben vedere, l’assonanza tra lo swap e l’accollo sussiste proprio sul contenuto dell’obbligo di assunzione di un debito altrui; obbligo che si concretizza nel tenere indenne un soggetto (il debitore accollato nel contratto di accollo; il contraente favorito dallo scambio nello swap) dal peso economico del debito, fornendogli, ad esempio, i mezzi il pagamento. Per quanto riguarda l’accollo, v. P. PERLINGIERI, Soggetti e situazioni soggettive2, Napoli, 2000,
p. 272, e B. INZITARI, Le obbligazioni, in Istituzioni di diritto privato12, a cura di M. Bessone, Torino, 2005, p. 482.
189 B. INZITARI, Swap (contratto di), cit., p. 609. Come si vedrà subito infra, ciò costituisce un elemento distintivo rispetto al currency swap.
190 R. AGOSTINELLI, Le operazioni di swap, cit., p. 105; M. C. MALANDRUCCO, Rischio finanziario e contratti di swap, cit., p. 474; E. FERRERO, Profili civilistici dei nuovi strumenti finanziari, cit., p. 636; R. CAVALLO BORGIA, Le operazioni su rischio di cambio, cit., p. 2403; E. GIRINO, I contratti derivati, cit., p. 109; M. BOLDRIN, Gli swap, cit., p. 42. Invero, la dottrina non è unanime sul punto: v., ad esempio, F. CAPUTO NASSETTI, Profili civilistici, cit., p. 14, il quale – in relazione al domestic swap e agli IRS – sostiene che «trattasi a ben vedere di due contratti assai diversi non solo nelle origini storiche e per i fini pratici che soddisfano, ma anche per la struttura operativa e legale».
191 E. GIRINO, I contratti derivati, cit., p. 66; M. C. MALANDRUCCO, Rischio finanziario e contratti di swap, cit., p. 474.
192 E. FERRERO, Profili civilistici dei nuovi strumenti finanziari, cit., p. 636.
193 R. CAVALLO BORGIA, Le operazioni su rischio di cambio, cit., p. 2406.
Deve infine osservarsi che lo swap, in generale, è il contratto derivato che ha avuto maggior successo e diffusione, proprio in quanto si presta a soddisfare molteplici esigenze e finalità195. In particolare, consente di coprire varie tipologie di rischi, specialmente – come si è potuto constatare – quelli relativi alle fluttuazioni dei cambi (currency) e degli interessi (interest rate); può accompagnarsi a diverse forme di finanziamento; permette di conseguire una riduzione dell’esposizione debitoria; si presta, infine, per realizzare attività di trading196. È appena il caso di rilevare, inoltre, che le problematiche relative ai derivati finanziari che sono state recentemente affrontate dalla dottrina e dalla giurisprudenza riguardano prevalentemente proprio il contratto swap.
4. Contratti derivati e fattispecie affini.
Infine, è opportuno procedere all’individuazione dei confini che separano i contratti derivati da altre fattispecie che presentano profili di somiglianza.
Una delle prime fattispecie esaminate a tal proposito dalla dottrina197 è quella dei cosiddetti titoli sintetici198.
In generale, i contratti derivati vengono accostati ai titoli sintetici in quanto ambedue sarebbero caratterizzati da un collegamento ad altre operazioni sottostanti199. In particolare, in entrambe le figure il valore dello strumento dipende da un parametro o indice esterno200; tuttavia, la dottrina201 osserva che mentre nei titoli sintetici le parti si
194 «Il rischio di cambio è il rischio sostenuto da ogni operatore che sia parte di una transazione commerciale internazionale ed è determinato dalle variazioni intervenute nel rapporto tra valuta nazionale e valuta straniera in pendenza del rapporto contrattuale». R. CAVALLO BORGIA, Le operazioni su rischio di cambio, cit., p. 2397.
195 F. CAPUTO NASSETTI, Profili civilistici, cit., pp. 7-9; R. CAVALLO BORGIA, Le operazioni su rischio di cambio, cit., p. 2403; E. GIRINO, I contratti derivati, cit., p. 55.
196 R. CAVALLO BORGIA, Le operazioni su rischio di cambio, cit., p. 2403; v. anche M. BOLDRIN, Gli swap, in Amm. e finanza-oro, 1998, 4-bis, pp. 40-41.
197 E. GIRINO, I contratti derivati, cit., p. 11; F. CAPRIGLIONE, I prodotti “derivati”, cit., p. 365.
198 Con tale termine ci si riferisce a quelle «attività finanziarie che, attraverso l’abbinamento di due o più strumenti finanziari (di cui solitamente almeno uno derivato), consentono di ottenere un’altra tipologia di strumenti finanziari. Ad esempio, un titolo di debito a tasso fisso abbinato ad uno swap […] consente di riprodurre per sintesi un titolo di debito a tasso variabile». P. BIFFIS, Il settore bancario2, Venezia, 2008, p. 344; v. anche F. M. GIULIANI, I “titoli sintetici” tra operazioni differenziali e realità del riporto, in Diritto e pratica tributaria, I, 1992, pp. 878 e 879.
199 F. CAPRIGLIONE, I prodotti “derivati”, cit., p. 366. Si segnalano, inoltre, alcune voci in dottrina e in giurisprudenza che a tal proposito distinguono tra contratto collegato e contratto complesso, anche se i due termini non sembrano avere una nitida indipendenza concettuale. Al riguardo, v. F. M. GIULIANI, I “titoli sintetici”, cit., pp. 880 e 881.
200 F. CAPRIGLIONE, I prodotti “derivati”, cit., p. 366.
limitano a compendiare in un unico atto effetti già prodotti da altri strumenti esistenti, con i contratti derivati, al contrario, i contraenti generano un nuovo strumento finanziario202.
Sempre in ambito finanziario, e in particolare in quello dei contratti di borsa, la dottrina203 ha accostato i derivati finanziari anche al contratto di riporto (artt. 1548 ss. c.c.)204.
Sotto il profilo strutturale, in particolare, anche il riporto si configura come un contratto unitario nell’ambito del quale sono individuabili due operazioni (nello specifico, un momento traslativo e uno obbligatorio)205; inoltre, tra le sue funzioni rientrerebbe anche206 quella di finanziamento. In particolare, ciò si verifica quando, sotto il profilo giuridico, il soggetto bisognoso di un finanziamento (il riportato) possiede dei titoli e non vuole né disfarsene, vendendoli definitivamente, né costituirli in pegno, a garanzia del finanziamento207; al contempo, dal punto di vista economico, il prezzo pagato dal
201 E. GIRINO, I contratti derivati, cit., pp. 11 e 12.
202 A tal proposito, GIRINO afferma significativamente che «il contratto derivato si pone dunque come ponte fra lo strumento negoziale e lo strumento finanziario. […] La stessa stipulazione di un contratto derivato costituisce ad un tempo atto negoziale e mezzo di generazione dello strumento». E. GIRINO, I contratti derivati, cit., p. 12; v. anche F. CAPRIGLIONE, I prodotti “derivati”, cit., p. 365.
203 E. GIRINO, I contratti derivati, cit., pp. 182 ss.; M. C. MALANDRUCCO, Rischio finanziario e contratti di swap, cit., p. 475; R. CAVALLO BORGIA, Le operazioni su rischio di cambio, cit., p. 2404; F. M. GIULIANI, I “titoli sintetici”, cit., passim.
204 Con il contratto di riporto, il riportato trasferisce, dietro il pagamento di un prezzo predefinito, la proprietà di una determinata specie di titoli di credito al riportatore, il quale, a sua volta, si obbliga a trasferire al riportato, entro un termine altrettanto determinato, la proprietà di una stessa quantità di titoli della medesima specie, dietro il pagamento del rimborso di un prezzo che può essere maggiore o minore rispetto al prezzo convenuto dalle parti. Si tratta di un contratto reale ad efficacia reale: l’art. 1549 – rubricato «perfezionamento del contratto» - dispone infatti che il contratto si perfeziona con la consegna dei titoli. La fattispecie contrattuale in esame trova applicazione principalmente in borsa; tuttavia, il riporto potrebbe essere posto in essere anche al di fuori di essa. G. F. CAMPOBASSO, Manuale di diritto commerciale, III ed., Torino, 2004, p. 477; V. BUONOCORE, L’intermediazione finanziaria, in Istituzioni di diritto privato, a cura di M. Bessone, XII ed., Torino, 2005, p. 1075.
205 G. F. CAMPOBASSO, Manuale di diritto commerciale, cit., p. 477; v. anche F. M. GIULIANI, I “titoli sintetici”, cit., pp. 913 ss., il quale esamina nello specifico le varie correnti dottrinali che affrontano i rapporti intercorrenti tra riporto e doppia compravendita.
206 Tra le funzioni del riporto, oltre a quella di finanziamento a favore del riportato, rientra anche quella di procurare al riportatore, per un limitato periodo di tempo, determinati titoli di credito. Si pensi all’ipotesi in cui il riportatore sia socio di una s.p.a. e abbia necessità di rafforzare la propria posizione in assemblea e, anziché acquistare definitivamente le azioni, le prende a riporto. In questo caso, l’operazione prende il nome di deporto, proprio a sottolineare che il compenso (differenza tra prezzo “a pronti”, pagato dal riportato, e prezzo “a termine”, dovuto dal riportatore), in tal caso, è dovuto dal riportatore al riportato. G. F. CAMPOBASSO, Manuale di diritto commerciale, cit., p. 478; V. BUONOCORE, L’intermediazione finanziaria, cit., p. 1076.
207 V. BUONOCORE, L’intermediazione finanziaria, cit., p. 1076.
riportatore (comprensivo degli interessi nel frattempo maturati) equivale a quello pagato dal riportato nella fase iniziale della fattispecie208.
Ciò detto, occorre ulteriormente precisare che la dottrina209 ravvisa una certa vicinanza tra il contratto in parola e i derivati – in particolare, gli swaps – proprio in relazione al profilo strutturale, in quanto in entrambe le fattispecie si programmerebbe uno scambio attraverso la combinazione di due momenti traslativi: infatti, nel riporto si avrebbe, in sostanza, un momento traslativo “a pronti”, ad opera del riportato, e uno “a termine”, a cui si è obbligato il riportatore.
Da tale circostanza, alcuni voci in dottrina ammettono l’applicabilità della disciplina codicistica del riporto al contratto di swap210.
Nondimeno, altri Autori211 ritengono che i contratti derivati non possano essere accostati al riporto. Tra le varie argomentazioni addotte da tale impostazione contraria emergono, in primo luogo, quella secondo cui nel riporto, e a differenza di quanto accade nel caso dei derivati finanziari, il rischio delle parti è predeterminato212 e, in secondo luogo, quella secondo la quale le due operazioni poggerebbero su due distinti profili causali (nella specie: controllo e gestione del rischio nei derivati; eventuale finanziamento nel riporto213).
Il riporto è una sottospecie della vendita a termine di titoli di credito214, e proprio nell’ambito della più generale vendita a termine la dottrina215 ha talvolta riscontrato similarità rispetto ai contratti derivati.
Ad esempio, il future, come si è già accennato, è definibile come il contratto a termine con il quale una parte si obbliga a comprare e/o a vendere un certo quantitativo di beni ad una scadenza determinata e ad un prezzo predefinito.
208 F. M. GIULIANI, I “titoli sintetici”, cit., p. 912.
209 M. C. MALANDRUCCO, Rischio finanziario e contratti di swap, cit., p. 476. 210 M. C. MALANDRUCCO, Rischio finanziario e contratti di swap, cit., p. 476. 211 E. GIRINO, I contratti derivati, cit., p. 183.
212 Nel contratto di riporto, infatti, il rischio delle parti è predeterminato, in quanto l’effetto finale dell’operazione sarà il conseguimento di un differenziale certo, tale in quanto dipende da un accordo delle parti, e non già incerto perché soggetto alle fluttuazioni del mercato – come nei contratti derivati – E. GIRINO, I contratti derivati, cit., p. 183-184.
213 E. GIRINO, I contratti derivati, cit., pp. 184.
214 E. GIRINO, I contratti derivati, cit., p. 183.
215 E. GIRINO, I contratti derivati, cit., pp. 178 ss.; R. CAVALLO BORGIA, Le operazioni su rischio di cambio, cit., p. 2422; D. PREITE, Recenti sviluppi in tema di contratti differenziali semplici (in particolare caps, floors, swap, index future), in Il dir. del comm. internaz., 1992, P. 184; L. VALLE, Contratti futures, cit., p. 344; M. C. MALANDRUCCO, Rischio finanziario e contratti di swap, cit., p. 473; F. M. GIULIANI, I “titoli sintetici”, cit., p. 915.
Innanzitutto, dal punto di vista funzionale, va osservato che la finalità fisiologica del future non è il trasferimento della ricchezza, bensì – come meglio verrà chiarito nei capitoli successivi – è quella di costituire uno strumento deputato ad assolvere funzioni di copertura (hedging) e speculazione (trading).
In altri termini, il future e, in generale, i derivati finanziari, a differenza della compravendita, non sarebbero, almeno direttamente216, strumenti per lo scambio e la circolazione di beni217.
Oltre a ciò, sempre sotto il profilo strutturale, pare opportuno muovere da una riflessione sul ruolo svolto dall’autonomia privata nelle fattispecie qui esaminate. Occorre premettere che sia nella compravendita a termine che nel future, è presente un differenziale (ossia, la differenza tra il prezzo pattuito al tempo del contratto e il valore del bene alla scadenza del termine); tuttavia, è proprio l’atteggiarsi della volontà delle rispetto a tale elemento che distingue le due fattispecie.
In particolare, se nella compravendita a termine il differenziale è un effetto indiretto programmato dalle parti per avere un lucro immediato alla scadenza pattuita, destinato quindi a rilevare, primariamente, sul piano economico, nel future il differenziale costituisce direttamente l’oggetto del contratto218.
Inoltre, va osservato che non solo il future, ma anche lo swap e l’option sono stati accostati da alcuni Autori alla compravendita, sul presupposto che la moneta, oltre ad essere una unità di misura per calcolare il valore delle merci, possa altresì essere considerata una merce219.
Nondimeno, anche per queste due figure deve essere esclusa l’assimilazione alla struttura e alla funzione della compravendita: infatti, come si è appena affermato, l’oggetto del derivato non è lo scambio di denaro contro prezzo, bensì è il pagamento di un
216 Si pensi, ad esempio, all’ipotesi di derivato in cui alla scadenza del termine viene liquidato soltanto il valore del differenziale, senza che ci sia anche la materiale consegna del titolo (cosiddetta «astrazione del valore fondamentale»). E. GIRINO, I contratti derivati, (ed. 2001), cit., p. 48; R. COSTI, Il mercato mobiliare, cit., p. 149.
217 L. VALLE, Contratti futures, cit., p. 344; D. PREITE, Recenti sviluppi in tema di contratti differenziali semplici, cit., p. 186.
218 «Il differenziale, infatti, mentre nel contratto a termine costituisce un effetto dell’accordo, nel derivato ne costituisce invece l’oggetto». E. GIRINO, I contratti derivati, cit., p. 17; in senso contrario, cfr. M.
C. MALANDRUCCO, Rischio finanziario e contratti di swap, cit., p. 474, secondo la quale nei derivati (nel caso di specie, uno swap di valute) così come nei contratti di acquisto e vendita a termine (nel caso specifico, di valuta), «l’oggetto del contratto è piuttosto il pagamento di un differenziale tra tassi di cambio e tassi di interesse».V. anche infra, cap. III, § 2.
differenziale220; inoltre – come meglio verrà appurato nei prossimi capitoli – sembrerebbe da escludere che la precipua funzione dei contratti derivati sia quella di far circolare la ricchezza221.
Per gli stessi motivi fin qui illustrati, inerenti alla funzione propria dei derivati finanziari, questi ultimi vanno tenuti distinti anche da altri contratti sinallagmatici tipici, come ad esempio la somministrazione222 e la permuta223.
219 D. PREITE, Recenti sviluppi in tema di contratti differenziali semplici, cit., p. 184; M. C. MALANDRUCCO, Rischio finanziario e contratti di swap, cit., p. 473.
220 M. C. MALANDRUCCO, Rischio finanziario e contratti di swap, cit., p. 474. Va osservato che non tutta la dottrina chiude totalmente all’eventualità di ricondurre i contratti derivati alla compravendita; ad esempio, CAVALLO BORGIA, in tema di domestic swap, afferma che «la possibilità che l’operazione finanziaria venga liquidata per saldi e senza lo scambio degli importi totali non trasferisce la fattispecie negoziale al di fuori della sfera generale di un contratto di compravendita di valuta». R. CAVALLO BORGIA, Le operazioni su rischio di cambio, cit., p. 2423. Un’altra figura alla quale sono stati accostati i derivati è quella del contratto differenziale. Si tratta di una fattispecie disciplinata nel codice civile tedesco (BGB), consistente in una compravendita in cui le parti non si obbligano né a vendere, né a consegnare il bene, né a pagare il prezzo, bensì a pagare una parte all’altra la sola differenza di prezzo tra quello originariamente convenuto e quello vigente al tempo della consegna. Pertanto, la parte che avrà avuto «il merito o la fortuna» (così INZITARI) di aver previsto il prezzo più conveniente rispetto a quello presente sul mercato al tempo della consegna, beneficerà del guadagno su tale differenza. Tuttavia, l’esistenza e la validità dei contratti differenziali nell’ordinamento italiano è vivamente discussa. B. INZITARI, Swap (contratto di), cit., pp. 621 e 622; E. FERRERO, Contratto differenziale, cit., p. 489.
221 L. VALLE, Contratti futures, cit., p. 344; D. PREITE, Recenti sviluppi in tema di contratti differenziali semplici, cit., p. 186.
222 La somministrazione (artt. 1559 ss. c.c.) è il contratto di scambio con il quale una parte, dietro il pagamento di un prezzo, si obbliga ad eseguire a favore dell’altro prestazioni periodiche o continuative di cose. In relazione al contratto di somministrazione, PREITE afferma quanto segue: «credo si possa condividere la tesi del Chiomenti, per cui i contratti cap, floor e collar (siano essi relativi a tassi di interesse che a tassi di cambio) debbono assimilarsi a compravendite di denaro e, in quanto assumano la veste di contratti di durata, a contratti di somministrazione». D. PREITE, Recenti sviluppi in tema di contratti differenziali semplici, cit., p. 184. Orbene, mentre per quanto riguarda la prima parte di tale affermazione si rinvia a quanto detto supra circa la riconducibilità o meno dei derivati (in questo caso, si tratta di particolari tipi di opzione) nell’alveo della compravendita, quel che suscita perplessità è il secondo inciso della frase («[…] debbono assimilarsi a compravendite di denaro e, in quanto assumano la veste di contratti di durata, a contratti di somministrazione»). Infatti, l’Autore sembrerebbe dare per scontato che qualora una compravendita sia “di durata” – e già tale affermazione pare di per sé quantomeno equivoca – si debba necessariamente parlare di somministrazione, e non già, eventualmente, di vendita a consegne ripartite. In realtà, secondo un’altra parte della dottrina non sarebbe opportuno accostare la somministrazione alla compravendita, e ciò in base essenzialmente a due argomentazioni. Anzitutto, nella vendita la prestazione del venditore (trasferimento del diritto), anche se può essere suscettibile di essere divisa (come nella menzionata vendita a consegne ripartite), è sempre unica e istantanea; al contrario, nella somministrazione, almeno quando sia di consumo – quando cioè si ha il passaggio di proprietà delle cose – si avrebbero una pluralità di prestazioni, tra loro autonome. In secondo luogo, mentre la vendita presuppone un interesse istantaneo e unitario del compratore, la somministrazione postula, al contrario, un bisogno periodico del somministrato.
G. BONILINI, I contratti relativi al trasferimento di beni, in Istituzioni di diritto privato12, a cura di M. Bessone, Torino, 2005, p. 749; A. LUMINOSO, La compravendita, cit., p. 133. Ricostruita la questione in
Infine, come si è già segnalato, la dottrina224 e la giurisprudenza225 hanno accostato i derivati finanziari, sotto il profilo funzionale, al contratto di assicurazione.
In particolare, tra le finalità dei contratti derivati rientrerebbe anche quella di copertura o protezione (hedging) – da intendersi come possibilità di esercitare il controllo, la gestione o la neutralizzazione dei rischi legati alle fluttuazioni del mercato finanziario o valutario226 –; da tale circostanza, una parte della dottrina227 desume che i derivati finanziari esprimerebbero una forma avanzata di assicurazione, le cui peculiarità consisterebbero nell’assenza di un premio228 e nella certezza di realizzare guadagni o perdite sempre per l’intero229.
Nell’ambito di tale impostazione, qualche altro autore230 si spinge fino ad osservare che la causa dei contratti derivati consisterebbe, tout court, nel trasferimento del rischio
questi termini, l’affermazione di PREITE potrebbe a questo punto essere intesa nel senso di considerare la somministrazione alla stregua di un contratto-quadro (v. infra) attraverso il quale le parti programmano una serie indefinita di trasferimenti, riproponendosi in tal modo le problematiche specifiche al rapporto tra la compravendita e i derivati.
223 La permuta (artt. 1552 ss. c.c.) è il contratto con cui le parti programmano il reciproco trasferimento della proprietà di cose o si altri diritti. In sostanza, i contraenti programmano uno scambio di diritto contro diritto, differendo in ciò con la compravendita (scambio di diritto contro prezzo). G. BONILINI, I contratti relativi al trasferimento di beni, cit., p. 745. Per quanto riguarda l’accostamento dei contratti derivati alla permuta, pertanto, si rinvia alle osservazioni illustrate supra in tema di compravendita; v. anche S. GILOTTA, In tema di interest rate swap, nota a Trib. Lanciano, 6 dicembre 2005, cit., pp. 141 e 142.
224 B. INZITARI, Swap (contratto di), cit., p. 617; G. GALASSO, Options e contratti derivati, cit., p. 1291;
E. FERRERO, Profili civilistici dei nuovi strumenti finanziari, cit., p. 638; R. CAVALLO BORGIA, Le operazioni su rischio di cambio, cit., p. 2423; E. GIRINO, I contratti derivati, cit., p. 25; S. GILOTTA, In tema di interest rate swap, cit., pp. 140 e 141.
225 Trib. Lanciano, 6 dicembre 2005, cit., p. 132.
226 R. AGOSTINELLI, Le operazioni di swap, cit., p. 114; R. CAVALLO BORGIA, Le operazioni su rischio di cambio, cit., p. 2396; P. CORRIAS, Garanzia pura e contratti di rischio, cit., p. 277; A. PIRAS, Contratti derivati, cit., p. 2225.
227 E. GIRINO, I contratti derivati, cit., p. 25.
228 Il premio è il corrispettivo che l’assicurato versa all’assicuratore in cambio della prestazione dell’attività assicurativa. A. DONATI – G. VOLPE PUTZOLU, Manuale di diritto delle assicurazioni7, Milano, 2002, p. 109.
229 Al riguardo, cfr. E. GIRINO, I contratti derivati, cit., pp. 25 e 55-57.; v. anche G. GALASSO, Options e contratti derivati, cit., pp. 1285 e 1289, il quale, sempre in tema di options, afferma che nella contrattazione standardizzata, e quindi in presenza della Cassa di Compensazione e Garanzia (CC&G), il cosiddetto sistema dei margini – per il quale, v. infra – concretizza le funzioni principali delle options, ossia la sicurezza, in termini di efficienza e solvibilità, del mercato e la realizzazione dell’interesse, oltre a quello eventuale di mera speculazione, di copertura dei rischi.
230 B. INZITARI, Swap (contratto di), cit., p. 617; G. GALASSO, Options e contratti derivati, cit., p. 1291;
E. FERRERO, Profili civilistici dei nuovi strumenti finanziari, cit., p. 638.
finanziario e valutario da un soggetto ad un altro231; la prestazione si caratterizzerebbe per la sua incertezza, sia per quanto riguarda il suo ammontare, sia in relazione al soggetto che sarà tenuto ad eseguirla232; lo svolgimento dell’attività ad opera delle controparti professionali – in particolare, banche e intermediari autorizzati – sarebbe assimilabile, sotto il profilo funzionale, a quella di una impresa assicurativa233.
Tuttavia, la funzione di hedging dei derivati finanziari può essere assimilata a quella assicurativa solamente in senso lato234, soltanto cioè in una prospettiva tecnico- economica235.
Infatti, in primo luogo il rischio contemplato dai derivati finanziari e dal contratto di assicurazione, pur presentando notevoli profili di analogia, viene modulato in modo completamente diverso; in particolare, mentre con il contratto di assicurazione ha luogo una mera deviazione degli effetti del rischio dalla sfera dell’assicurato a quella dell’assicuratore, dietro il pagamento di un premio, con i contratti derivati – e, in particolare, con lo swap – si ha una più complessa e articolata distribuzione del rischio236.
Da ciò discende, inoltre, che non è dato sapere ex ante quale contraente assumerà la posizione dell’assicurato e quale quella dell’assicuratore237.
Per di più, a ciò si aggiunga che, in ambito di contrattazioni uniformi, la prestazione scaturente dal derivato, solo eventualmente238 a carico del cliente, non costituisce un
231 In tema di swap, B. INZITARI, Swap (contratto di), cit., p. 617; P. CORRIAS, Garanzia pura e contratti di rischio, cit., p. 277.
232 E. FERRERO, Profili civilistici dei nuovi strumenti finanziari, cit., p. 638.
233 B. INZITARI, Swap (contratto di), cit., p. 617; R. CAVALLO BORGIA, Le operazioni su rischio di cambio, cit., p. 2423. In particolare, ci si riferisce alla formazione e gestione di una massa di rischi omogenei. Al riguardo, A. DONATI – G. VOLPE PUTZOLU, Manuale di diritto delle assicurazioni, cit., p. 5. GALASSO, inoltre, distingue tra tecniche di protezione contrattuali – in cui il contratto è fonte, contemporaneamente, sia del rischio che degli strumenti di copertura – e tecniche di protezione extracontrattuali – in cui la protezione non è contemplata dallo stesso contratto che origina il rischio, bensì viene offerta ex post dagli intermediari specializzati –, ritenendo queste ultime molto più vicine allo schema assicurativo. G. GALASSO, Options e contratti derivati, cit., pp. 1290 e 1291.
234 S. GILOTTA, In tema di interest rate swap, cit., p. 136.
235 R. CAVALLO BORGIA, Le operazioni su rischio di cambio, cit., p. 2424; B. INZITARI, Swap (contratto di), cit., p. 618.
236 P. CORRIAS, Garanzia pura e contratti di rischio, cit., p. 277.
237 S. GILOTTA, In tema di interest rate swap, cit., p. 140.
238 La previsione dedotta nel contratto, infatti, ben potrebbe andare a vantaggio del cliente.
premio in misura fissa dovuto come corrispettivo della copertura239, bensì rappresenta la liquidazione del differenziale240.
Infine, va rilevato che tale liquidazione costituisce un guadagno dovuto alla parte in favore della quale si verifica la previsione dedotta nel contratto, in palese discordanza rispetto alla prestazione risarcitoria eventualmente discendente dal contratto di assicurazione241.
239 Tra l’altro, ciò che può avere misura fissa sarà semmai la provvigione dovuta dal cliente come corrispettivo non già per la copertura, bensì per la prestazione del servizio di investimento. B. INZITARI, Swap (contratto di), cit., p. 618.
240 B. INZITARI, Swap (contratto di), cit., p. 618; E. FERRERO, Profili civilistici dei nuovi strumenti finanziari, cit., p. 638. Inoltre, non essendo gli intermediari autorizzati paragonabili ad assicuratori in senso tecnico, essi non saranno tenuti a neutralizzare il rischio attraverso la ripartizione con la massa degli assicurati (attraverso il calcolo del premio), ma semmai a rispettare l’obbligo di separazione patrimoniale vigente per tutti i soggetti che prestano servizi di investimento, ex art. 22 TUF. S. GILOTTA, In tema di interest rate swap, cit., pp. 140; A. SIROTTI GAUDENZI, Swap e responsabilità dell’operatore finanziario, in Derivati e swap. Responsabilità civile e penale, a cura di A. Sirotti Gaudenzi, Rimini, 2009, pp. 67 e 68.
241 E. FERRERO, Profili civilistici dei nuovi strumenti finanziari, cit., p. 638.
Capitolo II
CONTRATTI DERIVATI E AUTONOMIA NEGOZIALE
SOMMARIO: 1. Premessa. – 2. Derivati standardizzati. – 3. Derivati over the counter (otc). – 3.1. (Segue) La normativa macroeconomica dei derivati otc. – 4. La normativa microeconomica dei derivati. – 5. Profili di criticità delle normative sui derivati. In particolare, il conflitto di interessi. – 5.1. Il conflitto di interessi tra regole di comportamento e regole di validità. – 5.2. L’interferenza tra le regole di comportamento e le regole di validità nella prospettiva della causa in concreto.
1. Premessa.
Occorre ora esaminare le peculiarità che caratterizzano la contrattazione dei derivati finanziari.
Come si è già osservato, il nostro legislatore definisce esplicitamente i contratti derivati come strumenti finanziari (art. 1, comma 2 e 3, tuf)1: ciò comporta che, dal punto di vista pratico, anche i derivati finanziari – in quanto, appunto, strumenti finanziari – possano essere oggetto di servizi di investimento, con la conseguente applicabilità dei principi e delle regole che presiedono questo settore2.
Considerando, inoltre, che i derivati finanziari sono innanzitutto contratti, va rilevato che l’emissione di tali strumenti finanziari coincide con la stipulazione di un negozio3.
Orbene, la circostanza che i contratti derivati possano essere oggetto dell’attività d’investimento, così come disciplinata dal tuf, non esclude che la negoziazione dei derivati finanziari possa intervenire anche tra soggetti diversi dagli intermediari finanziari4: invero, tale riserva a favore degli intermediari finanziari abilitati opera qualora l’offerta del
1 Giova rilevare che già la l. 2 gennaio 1991 n. 1 (cosiddetta «legge SIM»), all’art. 1 comma 2, operava un’equiparazione tra i valori mobiliari e gli strumenti finanziari derivati, potendosi pertanto applicare a questi ultimi la disciplina prevista dall’art. 23 della l. SIM cit., disciplinante l’organizzazione e le modalità di svolgimento delle negoziazioni dei contratti a termine. A tal proposito, G. GALASSO, Options e contratti derivati, cit., p. 1271.
2 In particolare, ci si riferisce alla riserva dell’attività dei servizi di investimento a imprese aventi particolari requisiti; all’imposizione di regole finalizzate alla stabilità, alla correttezza e alla trasparenza; alla sottoposizione dell’attività alla vigilanza affidata alla Banca d’Italia e alla Consob. R. COSTI, Il mercato mobiliare, cit., pp. 120 e 149.
3 E. GIRINO, I contratti derivati, (ed. 2001), cit., p. 214.
4 Il riferimento è alla stipulazione di un contratto derivato tra privati, per i quali non è prevista alcuna disciplina particolare, ma si applicherà la disciplina generale dei contratti atipici ex art. 1322 c.c. E. GIRINO, I contratti derivati, cit., p. 307. Ovviamente, si tratta di una ipotesi «del tutto residuale», come osserva D. MAFFEIS, voce Contratti derivati, in Digesto, disc. Priv., sez. civ., Agg., Torino, 2010, p. 354.
prodotto derivato sia svolta in maniera professionale e nei confronti del pubblico, a norma dell’art. 18 tuf5.
Ciò premesso, qui di seguito verrà esaminata la distinzione tra contrattazione standardizzata e contrattazione over the counter (letteralmente, “al banco”), le quali sollevano, rispettivamente, problematiche del tutto peculiari.
2. Derivati standardizzati.
I prodotti derivati che vengono trattati nei mercati regolamentati sono prevalentemente i futures e le options6.
La principale caratteristica dei financial derivatives ivi negoziati è costituita dalla
standardizzazione7, la quale rileva su diversi profili di disciplina8.
Nati e sviluppatisi nel mercato otc9, i contratti derivati sono infatti stati oggetto di un processo di creazione di modelli contrattuali uniformi, da parte delle banche e di altri intermediari del settore finanziario10.
Il legislatore, quando all’art. 1, comma 2, tuf parla, tra gli altri, di «contratti finanziari a termine standardizzati» – comprendendoli tra gli strumenti finanziari –, manifesta la volontà di istituzionalizzare le operazioni differenziali all’interno dei mercati organizzati11.
5 «Va detto, innanzitutto, che in linea di massima non esistono particolari restrizioni alla stipula di tali contratti con riguardo all’eventualità in cui entrambi i soggetti contraenti siano estranei all’attività di intermediazione finanziaria. In realtà, si tratta di un caso pressoché di scuola, constatato che difficilmente tali operazioni hanno luogo in assenza di intermediari […]. Qualora ciò avvenisse, si applicheranno le norme apprestate in generale dal codice civile per i contratti; i contraenti non dovrebbero sottostare alle particolari limitazioni previste dal T.u.f. per le ipotesi nelle quali la controparte contrattuale sia costituita da un intermediario finanziario». A. PIRAS – E. PIRAS, Il ricorso agli strumenti finanziari derivati, cit., p. 85.
V. anche R. COSTI, Il mercato mobiliare, cit., pp. 122 e 127.
6 S. BO – C. VECCHIO, Il rischio giuridico dei prodotti derivati, cit., p. 11.
7 «La trasformazione delle operazioni di investimento in contratti standardizzati ha segnato dunque l’avvento della finanza di massa e fatto lievitare la vendita dei prodotti standardizzati, così come a suo tempo la rivoluzione industriale ha generato la produzione di massa […]. Grazie alla standardizzazione dei prodotti, le banche di investimento si trasformano in pseudo fabbriche e supermercati di prodotti finanziari creando un mercato apparentemente in sé conchiuso, svincolato dall’economia reale e per questo motivo incommensurabilmente ampio senza cioè i limiti “fisici” dell’economia reale del vecchio mercato azionario». G. DI GASPARE, Teoria e critica, cit., p. 158; v. anche R. CAVALLO BORGIA, Le operazioni su rischio di cambio, cit., p. 2419. Sulla fenomeno della standardizzazione, in generale, v. V. ROPPO, Il contratto, cit., pp. 42-45.
8 S. BO – C. VECCHIO, Il rischio giuridico dei prodotti derivati, cit., p. 11; E. GIRINO, I contratti derivati, cit., p. 211 (ed. 2001) e 305 ss. (ed. 2011) .
9 G. GALASSO, Options e contratti derivati, cit., pp. 1294.
10 R. AGOSTINELLI, Le operazioni di swap, cit., p. 132.
11 F. CAPRIGLIONE, Gli swaps come valori mobiliari, cit., 796.
Occorre premettere che se tale uniformità, in generale, da un lato costituisce un limite per l’autonomia privata – in quanto i contraenti non hanno la possibilità di partecipare all’elaborazione del programma negoziale, limitandosi bensì a scegliere solo se contrarre12
–, sotto un altro punto di vista costituisce uno dei motivi del successo dei derivati13.
In una prospettiva prettamente economica, la standardizzazione ha difatti accelerato e semplificato le negoziazioni, consentendo così di incrementare la liquidità del mercato (laddove per liquidità deve intendersi la maggiore probabilità di incontrare una controparte14) e di ridurre i costi complessivi dell’operazione15; inoltre, gli scambi si concentrano in un unico luogo, venendo in tal modo garantita la trasparenza della negoziazione16.
Invece, rispetto al profilo giuridico, le questioni più rilevanti in cui è implicata la standardizzazione sono attinenti alla disciplina della contrattazione17.
A tal proposito, deve essere innanzitutto chiarito che ai derivati finanziari, in quanto strumenti finanziari, si applicheranno le regole e i principi relativi alla prestazione dei servizi di investimento18.
12 E. GIRINO, I contratti derivati, cit., p. 146.
13 L. CAPELLINA, I futures, cit., p. 7; L. VALLE, Contratti futures, cit., p. 308; E. GIRINO, I contratti derivati, (ed. 2001), cit., p. 212.
14 L. VALLE, Contratti futures, cit., p. 308, in nota.
15 L. CAPELLINA, I futures, cit., p. 7.
16 L. CAPELLINA, I futures, cit., p. 7.
17 Il fenomeno standardizzazione determina, a sua volta, quello della predisposizione unilaterale e dell’adesione: in particolare, con il primo si vuole intendere che «il testo contrattuale non esce da una trattativa fra impresa e cliente», mentre con il secondo ci si vuole riferire al momento in cui «il cliente “aderisce” al contratto standard, ovvero lo accetta senza discuterlo o comunque senza riuscire a incidere, con la propria volontà, sul suo contenuto»: così V. ROPPO, Il contratto, cit., pp. 42-43. Pur muovendo dall’analisi della standardizzazione, non distingue nitidamente tra predisposizione unilaterale e adesione C.
M. BIANCA, Il contratto2, Diritto civile, III, Milano, 2000, pp. 35 e 346, il quale, in tema di «condizioni generali di contratto», afferma che «l’imprenditore si avvale dello strumento contrattuale per esercitare un potere di fatto nei confronti della generalità dei consumatori che fruiscono dei beni o servizi del’impresa. Nell’esercizio di tale potere l’imprenditore disciplina unilateralmente ed uniformemente i rapporti dell’impresa avvalendosi di un regolamento che assume i caratteri tipici della generalità e dell’astrattezza. L’esistenza di tale potere sostanzialmente normativo non può essere ancora disconosciuta come un dato metagiuridico poiché esso rileva direttamente sul problema giuridico della tutela e dei rimedi dell’aderente».
18 Per servizio di investimento deve intendersi un’attività avente ad oggetto strumenti finanziari e che assume una particolare rilevanza qualora venga esercitata professionalmente nei confronti del pubblico. In questo senso, il legislatore, all’art. 1 comma 5 tuf, indica le attività che assumono sicuramente una rilevanza in ordine al buon funzionamento del mercato finanziario (negoziazione per conto proprio o per conto terzi; esecuzione di ordini per conto dei clienti; sottoscrizione o collocamento di titoli, nuovi o già emessi; gestione di portafogli; consulenza in materia di investimenti; etc.). Il Ministro dell’economia e delle finanze, inoltre, può ampliare tale elenco di attività. R. COSTI, Il mercato mobiliare, cit., p. 121-125.
Come poi verrà ulteriormente precisato infra, deve tenersi presente che le suddette regole e principi valgono sia per i derivati standardizzati che per quelli otc, qualora la negoziazione di questi ultimi avvenga in maniera professionale e nei confronti del pubblico (art. 18 tuf)19.
Orbene, per quanto riguarda i requisiti soggettivi, il servizio di investimento avente ad oggetto derivati finanziari può essere svolto o da imprese di investimento e banche (art. 18, comma 1, tuf), da intermediari finanziari abilitati (art. 18, comma 3, tuf)20 o, più in generale, da intermediari autorizzati (art. 26, lett. b, Regolamento Consob 29 ottobre 2007, n. 16190)21.
La prestazione del servizio, inoltre, deve essere svolta nel rispetto dei cosiddetti
«criteri generali» stabiliti all’art. 21 TUF, previsti nell’ambito del più generale perseguimento di tutela dell’interesse del cliente22.
19 Cfr., supra, nota n. 126.
20 Per poter svolgere l’attività di prestazione di servizi di investimento, l’intermediario finanziario deve essere iscritto nell’elenco speciale di cui all’art. 107 del d.lgs. 385/1993 succ. mod. (Testo Unico Bancario).
R. COSTI, Il mercato mobiliare, cit., p. 127.
21 Secondo tale norma, sono intermediari autorizzati: «le SIM, ivi comprese le società di cui all'art. 60, comma 4, del d.lgs. 415/1996, le banche italiane autorizzate alla prestazione di servizi e di attività di investimento, gli agenti di cambio, gli intermediari finanziari iscritti nell'elenco previsto dall' art. 107 del d.lgs. 385/1993 autorizzati alla prestazione di servizi di investimento, le società di gestione del risparmio e le società di gestione armonizzate nella prestazione del servizio di gestione di portafogli e del servizio di consulenza in materia di investimenti, la società Poste Italiane – Divisione Servizi di Banco Posta autorizzata ai sensi dell’art. 2 del D.P.R. n. 144 del 14 marzo 2001, le imprese di investimento e le banche comunitarie con succursale in Italia, nonché le imprese di investimento e le banche extracomunitarie comunque abilitate alla prestazione di servizi e di attività di investimento in Italia». Questa disposizione sostituisce quella dell’art. 31 del reg. Consob n. 11522/98, il quale definiva operatori qualificati gli intermediari autorizzati; le società di gestione del risparmio; le SICAV; i fondi pensione e le compagnie di assicurazione; i soggetti esteri che svolgono, in forza della normativa in vigore nel proprio Stato d'origine, le attività svolte dai soggetti di cui sopra; le società e gli enti emittenti strumenti finanziari negoziati in mercati regolamentati; le società iscritte negli elenchi di cui agli artt. 106, 107 e 113 del d.lgs. n. 385/1993; i promotori finanziari; le persone fisiche che documentino il possesso dei requisiti di professionalità stabiliti dal Testo Unico per i soggetti che svolgono funzioni di amministrazione, direzione e controllo presso società di intermediazione mobiliare; le fondazioni bancarie; ogni società o persona giuridica in possesso di una specifica competenza ed esperienza in materia di operazioni in strumenti finanziari espressamente dichiarata per iscritto dal legale rappresentante. V. sito internet xxxx://xxx.xxxxxx.xx; per quanto riguarda un sintetico raffronto tra la vecchia e la nuova normativa, v. A. PIRAS, Contratti derivati, cit., p. 2233.
22 La ratio della normativa speciale è proprio quella di proteggere la parte che subisce la cosiddetta
«asimmetria di potere contrattuale», ossia la situazione di “debolezza” di una parte rispetto all’altra: «c’è asimmetria di potere contrattuale fra consumatori e professionisti, ma non solo: anche relazioni non riconducibili a tale coppia – come quelle tra subfornitori e committenti, fra agenti e preponenti, fra banche e clienti, fra intermediari e investitori, fra conduttori e locatori – contrappongo una parte dotata di superiore potere contrattuale a una parte con potere contrattuale inferiore». V. ROPPO, Il contratto del duemila, cit., pp. 53-54.
In particolare, l’art. 21, comma 1, tuf prevede che le imprese di investimento e le banche, nella prestazione dei servizi di investimento, devono «comportarsi con diligenza, correttezza e trasparenza, per servire al meglio l’interesse dei clienti e per l’integrità dei mercati; acquisire le informazioni necessarie dai clienti e operare in modo che essi siano sempre adeguatamente informati; utilizzare comunicazioni pubblicitarie e promozionali corrette, chiare e non fuorvianti; disporre di risorse e procedure, anche di controllo interno, idonee ad assicurare l’efficiente svolgimento dei servizi e delle attività».
Per una definizione più puntuale, tali obblighi vengono poi rimessi alle Autorità di Vigilanza (Consob e Banca d’Italia): l’art. 6, comma 2, tuf, infatti, attribuisce alla Consob23 il potere di disciplinare con regolamento gli obblighi dei soggetti abilitati – ossia, le imprese di investimento e le Banche – in materia di trasparenza24 e correttezza dei comportamenti25, dopo aver sentito la Banca d'Italia e tenuto conto delle differenti esigenze di tutela degli investitori connesse con la qualità e l'esperienza professionale dei medesimi.
23 Alcuni autori hanno definito neutro il ruolo della Consob in ordine alla diffusione delle informazioni. Infatti, essa non procede direttamente alla loro diffusione, ma svolge solo una funzione di impulso, in quanto chiede che siano resi pubblici determinati dati, e controllo, posto che la Commissione ha il potere-dovere di verificare le informazioni pubblicate. La Consob, pertanto, svolge una funzione di “filtro” tra chi è tenuto alle informazioni e i destinatari delle stesse. R. LENER, Pubblicità e informazione nel mercato mobiliare, in Impresa e tecniche di documentazione giuridica, III, Pubblicità legale dell'impresa, Milano, 1990, pp. 152 e 153.
24 Tra gli obblighi di trasparenza (art. 6, comma 2, lett. a, tuf) sono inclusi « gli obblighi informativi nella prestazione dei servizi e delle attività di investimento, nonché della gestione collettiva del risparmio, con particolare riferimento al grado di rischiosità di ciascun tipo specifico di prodotto finanziario e delle gestioni di portafogli offerti, all’impresa e ai servizi prestati, alla salvaguardia degli strumenti finanziari o delle disponibilità liquide detenuti dall’impresa, ai costi, agli incentivi e alle strategie di esecuzione degli ordini; le modalità e i criteri da adottare nella diffusione di comunicazioni pubblicitarie e promozionali e di ricerche in materia di investimenti; gli obblighi di comunicazione ai clienti relativi all’esecuzione degli ordini, alla gestione di portafogli, alle operazioni con passività potenziali e ai rendiconti di strumenti finanziari o delle disponibilità liquide dei clienti detenuti dall’impresa», nonché, a seguito delle modifiche introdotte dall’art. 2 del d.lgs. n. 44/2014 (Attuazione della direttiva 2011/61/UE, sui gestori di fondi di investimento alternativi, che modifica le direttive 2003/41/CE e 2009/65/CE e i regolamenti CE n. 1060/2009 e UE n. 1095/2010), «gli obblighi informativi nei confronti degli investitori dei FIA italiani, dei FIA UE e dei FIA non UE».
25 Sono obblighi di correttezza (art. 6, comma 2, lett. b, tuf) «gli obblighi acquisizione di informazioni dai clienti o dai potenziali clienti ai fini della valutazione di adeguatezza o di appropriatezza delle operazioni o dei servizi forniti; le misure per eseguire gli ordini alle condizioni più favorevoli per i clienti; gli obblighi in materia di gestione degli ordini; l’obbligo di assicurare che la gestione di portafogli si svolga con modalità aderenti alle specifiche esigenze dei singoli investitori e che quella su base collettiva avvenga nel rispetto degli obiettivi di investimento dell'Oicr», nonché, a seguito delle modifiche introdotte dal d.lgs.
n. 44/2014 citato, «le condizioni alle quali possono essere corrisposti o percepiti incentivi».
Il regolamento a cui fare riferimento è il n. 16190/2007, il quale, nel Capo I del Titolo I della Parte III, dedicata appunto alla «trasparenza e correttezza nella prestazione dei servizi e delle attività di investimento e dei servizi accessori», specifica appunto il contenuto dei «criteri generali» previsti dal tuf.
In particolare, l’art. 27, comma 1, Reg. Consob n. 16190/200726 contiene una norma che funge da clausola generale27, disponendo che «tutte le informazioni, comprese le comunicazioni pubblicitarie e promozionali, indirizzate dagli intermediari a clienti o potenziali clienti devono essere corrette, chiare e non fuorvianti»28. Il regolamento prosegue dettando una serie di norme dettagliate sempre in tema di informativa al cliente (artt. 28-36 Reg. cit.).
In ambito organizzativo, merita inoltre di essere menzionato anche l’art. 22 tuf, norma che sancisce la separazione del patrimonio del singolo cliente da quello dell’intermediario e degli altri clienti29.
Il tuf, inoltre, all’art. 23 prevede alcune disposizioni specifiche in materia di contratti, incentrate prevalentemente sulla forma: viene infatti prescritto che i contratti relativi alla prestazione dei servizi di investimento, e quindi anche i derivati finanziari, debbano rivestire la forma scritta, a pena di nullità.
L’altro profilo coinvolto dalla standardizzazione riguarda la fase dinamica delle trattative dei prodotti derivati, le quali si svolgono in mercati appositamente creati (ad esempio, i futures markets).
All’interno del mercato viene istituita la Cassa di compensazione e garanzia (clearing house)30, di fondamentale importanza nelle negoziazioni in esame.
26 Il suddetto Regolamento è stato più volte modificato con delibere n. 16736 del 18 dicembre 2008, n. 17581 del 3 dicembre 2010, n. 18210 del 9 maggio 2012 e, dal ultimo, con la delibera n. 19094 dell’8
gennaio 2015.
27 Le clausole generali «indicano un criterio di giustizia ma non dettano regola alcuna delegando all’interprete la funzione di elaborarla, osservando i c.d. standards valutativi esistenti nella realtà sociale, cui si sommano quelli logici di una determinata società, latamente assimilabili alla massima di esperienza e agli aforismi». F. GAZZONI, Manuale di diritto privato15, Napoli, 2011, p. 49.
28 A. SIROTTI GAUDENZI, Swap e responsabilità dell’operatore finanziario, cit., p. 70.
29 Con la separazione patrimoniale, le masse patrimoniali dei rispettivi soggetti citati restano insensibili rispetto alle vicende (v. art. 2740 c.c.) proprie di ciascuno di essi. R. COSTI, Il mercato mobiliare, cit., p. 138- 139 e 152.
30 La Cassa di Compensazione e Garanzia (CC&G) è una società per azioni, costituita nel 1992, avente come finalità generale la garanzia dell'integrità dei mercati. Attualmente appartiene al gruppo London Stock Exchange, è controllata da Borsa Italiana S.p.a. ed è assoggettata all’attività di direzione e coordinamento da parte di London Stock Exchange Group Holding Italia S.p.a. Siti internet: xxxx://xxx.xxxxxxxxxxxxx.xx e xxxx://xxx.xxx.xx; v. anche G. GALASSO, Options e contratti derivati, cit., pp. 1282.
In particolare, i singoli contratti non vengono stipulati tra i singoli contraenti, bensì tra ciascun contraente e la clearing house, la quale assume la posizione di parte contrattuale rispetto a ciascun contraente che voglia concludere un contratto derivato31.
In altri termini, A e B non concluderanno, ad esempio, un future direttamente tra di loro, bensì ciascuno di essi concluderà il contratto con la CC&G, seguendo uno schema di tipo “triangolare”.
Tale sistema comporta notevoli vantaggi.
Innanzitutto, le parti possono regolare la propria posizione direttamente e unicamente con la clearing house, così permettendo loro di disinteressarsi completamente della rispettiva controparte e della sua solvibilità32.
Ciò è possibile in quanto il presupposto per poter accedere alla contrattazione dei derivati nei mercati regolamentati è costituito dalla necessaria adesione alla CC&G, la quale avviene mediante il deposito di una somma su un conto ad hoc, istituito presso la Cassa stessa33.
Il conto del singolo aderente è poi suscettibile di continue variazioni, in quanto i guadagni o le perdite verranno accreditate o addebitate sul conto stesso (cosiddetto principio di marking to market)34.
Oltre alla rapidità e alla sicurezza delle operazioni, il vantaggio principale di questo sistema è l’azzeramento del rischio dell’inadempimento: infatti, qualora il conto del singolo aderente, costantemente monitorato dalla clearing house, scenda al di sotto di una certa soglia (cosiddetto mantenimento), la Cassa provvederà a richiederne il reintegro35.
31 L. VALLE, Contratti futures, cit., p. 309; S. BO – C. VECCHIO, Il rischio giuridico dei prodotti derivati, cit., p. 11.
32 E. FERRERO, Profili civilistici dei nuovi strumenti finanziari, cit., p. 630.
33 L. CAPELLINA, I futures, cit., p. 9.
34 L. CAPELLINA, I futures, cit., p. 9. Più esattamente, il glossario presente sul sito internet xxxxxxxxxxxxx.xx chiarisce che «la procedura del marking to market consiste in un calcolo giornaliero dei profitti e delle perdite associati alle posizioni su strumenti derivati aperte dagli operatori. Sulla base di tale procedura la CC&G effettua una compensazione tra profitti e perdite relativi al conto di ogni partecipante, con corrispondente versamento dei margini. La controparte che ha subìto una perdita si vede addebitare tale perdita sul conto aperto presso la CC&G. Questa somma è automaticamente accreditata alla controparte, che ha registrato un profitto. Qualora, nel caso di perdite, l’ammontare scenda al di sotto del margine di mantenimento, la CC&G richiede il reintegro di tale margine. A meno che l’operatore non chiuda la propria posizione, profitti e perdite sono potenziali, soggetti alle variazioni delle quotazioni e sono liquidati solo alla scadenza del contratto».
35 L. CAPELLINA, I futures, cit., p. 9.
3. Derivati over the counter (otc).
I contratti derivati negoziati fuori dai mercati regolamentati (cosiddetti over the counter)36 si distinguono da quelli uniformi o standardizzati in quanto sono il risultato della mera autonomia pattizia (art. 1322 c.c.), non vincolata all’osservanza di alcuno schema predefinito37.
Da tale ultima circostanza discende che i profili più rilevanti delle contrattazioni aventi ad oggetto i derivati finanziari – in particolare, l’ammontare delle prestazioni, i termini e i meccanismi negoziali –, sono rimessi alla libertà contrattuale dei singoli contraenti38.
Ciò consente alle parti di costruire in modo più aderente alle rispettive esigenze il contenuto del contratto39; tuttavia, sotto un altro punto di vista, risulterà assai problematico individuare nel mercato individui portatori di interessi, omogenei ma diametralmente opposti, che consentano di addivenire alla conclusione di un contratto derivato40.
Orbene, deve innanzitutto essere osservato che il mercato dei derivati otc non si sostituisce, né si situa in subordine rispetto a quello dei derivati uniformi, bensì si pone con quest’ultimo in un rapporto di complementarietà41: gli operatori, pertanto, potranno scegliere se concludere un contratto all’interno del mercato regolamentato, con tutte le garanzie in questo contemplate (in primis, l’accesso al sistema della Cassa di compensazione e garanzia), oppure al suo esterno, aspirando sicuramente a profitti maggiori ma esponendosi al contempo a rischi più elevati42.
36 La maggior parte dei derivati presenti sui mercati internazionali appartengono a questa categoria, assumendo un ruolo di primo piano nella maggior parte delle economie occidentali. S. BO – C. VECCHIO, Il rischio giuridico dei prodotti derivati, cit., p. 12.
37 E. GIRINO, I contratti derivati, cit., pp. 305 ss.
38 S. BO – C. VECCHIO, Il rischio giuridico dei prodotti derivati, cit., p. 12.
39 S. BO – C. VECCHIO, Il rischio giuridico dei prodotti derivati, cit., p. 12; E. GIRINO, I contratti derivati, (ed. 2001), cit., p. 215.
40 Si tratta, in sostanza, del problema della liquidità del mercato di cui si è fatto supra, correlato al concetto di standardizzazione. V., tra gli altri, L. VALLE, Contratti futures, cit., p. 308.
41 G. GALASSO, Options e contratti derivati, cit., pp. 1294. «I derivati OTC rappresentano circa il 90 per cento del mercato globale dei derivati e sono, allo stato attuale, per lo più non regolati»: L. SASSO, L’impatto sul mercato dei derivati OTC, in Giur. Comm., 2012, VI, pp. 899 ss, e xxxxxxxxxxx.xx. Giova inoltre segnalare che secondo i dati forniti dalla Bank for International Settlements (BIS), il mercato dei derivati OTC ha subito una contrazione nella prima metà del 2014; in particolare, si è passati da un volume complessivo pari a 19.000 miliardi di dollari a fine del 2013 ad uno pari a 17.000 miliardi dollari a fine giugno 2014. xxxx://xxx.xxx.xxx/xxxx/xxx_xx0000.xxx
42 E. GIRINO, I contratti derivati, cit., pp. 441 ss. In particolare, l’autore individua varie tipologie di rischio, tra i quali, oltre a quello di insolvenza, meritano di essere menzionati quello “di liquidità” (temporanea indisponibilità delle somme) e “di mercato”, “sistemico” (pericolo che inadempimenti di massa comportino altri inadempimenti “a catena”) e “sovrano” (o “del fortuito”).
Invero, è proprio la maggior appetibilità economica dei derivati otc a costituire il principale motivo del loro successo43; e ciò nonostante il soprarichiamato difetto di standardizzazione.
Le conseguenze legate alla assenza standardizzazione non sono tuttavia pacifiche.
Non lo sono, in primo luogo, sul piano dell’analisi economica del diritto, posto che non è pacifico se questa, in ultima istanza, influisca sul mercato in termini negativi – nella misura in cui, per un verso, ne diminuisce la liquidità44 e, per altro verso, ne aumenta la rischiosità45 – o positivi – nella misura in cui consente di aspirare a profitti molto elevati46
–.
Per altro verso, sul piano più strettamente giuridico, sembrerebbe che sia proprio l’assenza di standardizzazione – o meglio, l’assenza di un modello di riferimento – a rappresentare la causa della crisi dei meccanismi di tutela con cui il giurista è abituato a confrontarsi.
Per comprendere appieno detto assunto, occorre muovere dall’esame dei vari interventi che si sono avvicendati negli ultimi anni, finalizzati a disciplinare il fenomeno qui in esame.
Detti interventi possono essere ricondotti in due macro-aree47.
43 «I derivati OTC rappresentano circa il 90 per cento del mercato globale dei derivati». L. SASSO, L’impatto sul mercato, cit.
44 L. VALLE, Contratti futures, cit., p. 308.
45 In particolare, il cosiddetto rischio operativo, ossia quello che «interessa le eventuali perdite derivanti dall'inadeguatezza o dalla disfunzione di procedure, risorse umane e sistemi interni, oppure da eventi esogeni, ivi incluse le perdite derivanti da frodi, errori umani, interruzioni dell'operatività, indisponibilità dei sistemi, inadempienze contrattuali, catastrofi naturali», nel quale «è compreso il rischio legale ovvero il “prezzo” che gli investitori pagano per avere un elevato grado di flessibilità sui mercati OTC, mentre sono esclusi i rischi strategici e di reputazione», «è inversamente proporzionale al livello di standardizzazione esistente sul mercato, maggiore è la standardizzazione dei contratti, minore il rischio operativo». L. SASSO, L’impatto sul mercato, cit..
46 S. BO – C. VECCHIO, Il rischio giuridico dei prodotti derivati, cit., p. 12; E. GIRINO, I contratti derivati, (ed. 2001), cit., p. 215.
47 «La risposta alla crisi si gioca sul duplice piano che potremmo definire microeconomico e macroeconomico. Nell'ottica microeconomica, l'esame è rivolto alla relazione negoziale tra intermediario ed investitore e ai presidi normativi, e sempre più spesso giudiziari, funzionali «per servire al meglio l'interesse del cliente e per l'integrità dei mercati », di cui all'art. 21 comma 1º, lett. a), d.lgs. 58/1998. Nella prospettiva macroeconomica, si ha riguardo all'organizzazione del mercato globale dei derivati OTC, e in particolare alle strutture di post-trading, nel tentativo di correggerne le deviazioni, in termini di efficienza, dovute ai rischi di controparte e sistemici che connotano le compensazioni bilaterali». P. LUCANTONI, L'organizzazione della funzione di post-negoziazione nella regolamentazione EMIR sugli strumenti finanziari derivati OTC, in Banca, borsa, tit. cred., 2014, V, pp. 642 ss., e in xxxxxxxxxxx.xx.
Nella prima macro-area vanno collocati gli interventi di tipo macroeconomico, aventi ad oggetto l’adozione di procedure e normative finalizzate ad uno corretto controllo e gestione del rischio48.
Nella seconda macro-area, di tipo microeconomico, nella quale rientrano anche i più volte richiamati «criteri generali» di cui all’art. 21 tuf, possono essere ricomprese le regole poste a protezione della parte che patisce la cosiddetta asimmetria informativa49.
3.1. (Segue) La normativa macroeconomica dei derivati otc.
Tra le misure di tipo macroeconomico devono essere segnalati, su tutti, due importanti interventi sovranazionali.
In primo luogo, vengono in rilievo gli «Accordi di Basilea»50.
Deve preliminarmente essere precisato che tali accordi non costituiscono una fonte normativa stricto sensu, consistendo piuttosto nella predisposizione concordata (rectius: condivisa) di regole destinate ad operare fra gli ordinamenti bancari dei diversi Paesi51. Si tratta, pertanto, di disposizioni non giuridicamente vincolanti (cosiddetto soft law)52.
Chiarito ciò, deve ora essere rilevato che il Comitato di Basilea «non era concepito in una logica statica ed immutevole, bensì in una prospettiva evolutiva», proprio per consentire l’adeguamento delle suddette regole ai continui mutamenti del mercato.
48 T. PADOA SCHIOPPA, I prodotti derivati: profili di pubblico interesse, in Bollet. econ. Banca d’Italia, 1996, n. 26, p. 62.
49 V. infra.
50 «Con l'espressione “Accordi di Basilea”, spesso troncata nel più immediato “Basilea” (I, II o III), si suole far riferimento alle proposte in materia di vigilanza prudenziale sulle banche, avanzate dal Comitato di Basilea per la vigilanza bancaria (d'ora in avanti Comitato di Basilea). Si tratta, come noto, di un'organizzazione istituita dal “Gruppo dei 10” (c.d. G10) nel 1975, presso la Banca dei regolamenti internazionali (Bank for International Settlements) avente sede a Basilea, ed oggi composta dai rappresentanti delle Autorità di vigilanza di ventisette Paesi del mondo». F. ACCETTELLA, L’accordo di Basilea III: contenuti e processo di recepimento all’interno del diritto dell’UE, in Banca, borsa, tit. cred., 2013, IV, pp. 462 ss., e in xxxxxxxxxxx.xx
51 F. ACCETTELLA, L’accordo di Basilea III, cit.
52 «Con il termine soft law, usato dalla dottrina anglo-americana, si identificano le disposizioni non giuridicamente rilevanti […]. Il soft law può contribuire in vario modo alla creazione di diritto. In primo luogo […] può contribuire alla creazione di consuetudini internazionali, sempre che sussistano i requisiti per la nascita di una consuetudine internazionale […]. In secondo luogo, il soft law può costituire la fonte materiale di diritti ed obblighi giuridici […]. In terzo luogo, il soft law limita il dominio riservato agli Stati, nel senso che il richiamo agli “obblighi politici” stabiliti negli atti di soft law non costituisce “intervento negli affari interni di un altro Stato” […]». N. RONZITTI, Introduzione al diritto internazionale3, Torino, 2009, pp. 178-179; v. anche R. COSTI, L'ordinamento bancario5, Bologna, 2012, p. 581, il quale definisce il Comitato di Basilea «un classico esempio di organismo che elabora regole di soft law».
Così, al primo accordo, stipulato in data 11 luglio 1988 e denominato «convergenza internazionale della misurazione del capitale e dei coefficienti patrimoniali minimi» (cosiddetto «Basilea I»), ne è seguito un secondo («convergenza internazionale della misurazione del capitale e dei coefficienti patrimoniali minimi», adottato il 26 giugno 2004 e noto come «Basilea II»)53.
A fronte della recente crisi economico-finanziaria, le cui cause vengono individuate genericamente nelle carenze della regolamentazione e nei fallimenti della vigilanza54, il Comitato ha ritenuto di dover rimeditare il sistema di regole contenute nell’accordo
«Basilea II»55; nel dicembre 2010 sono quindi stati presentati due documenti, denominati rispettivamente «schema di regolamentazione internazionale per il rafforzamento delle banche e dei sistemi bancari» e «schema internazionale per la misurazione, la regolamentazione e il monitoraggio del rischio di liquidità», anche noti come «Basilea III»56.
Non essendo certamente questa la sede per esaminare nello specifico le regole contenute nei sopraccitati accordi, è qui sufficiente rilevare che quelle contenute in
«Basilea III» sono, in generale, finalizzate al consolidamento del sistema bancario
53 F. ACCETTELLA, L’accordo di Basilea III, cit.; v. anche A. ANTONUCCI, Diritto delle banche5, Milano, 2012, pp. 258 ss.
54 Cfr., al riguardo, F. ACCETTELLA, L’accordo di Basilea III, cit.; G. DI GASPARE, Teoria e critica, cit., passim; F. FRACCHIA, Giudice amministrativo, crisi finanziaria globale e mercati, in Riv. it. dir. pubbl. comunit., 2010, II, pp. 451 ss. e in xxxxxxxxxxx.xx; E. BARCELLONA, Note sui derivati creditizi: market failure o regulation failure?, 2010, in Xxxxxx.xx, secondo il quale «chiunque abbia seguito, se non su riviste specializzate, quanto meno nella stampa quotidiana, le analisi della grande crisi dei nostri giorni avrà sentito ricorrere espressioni quali (i) “separazione fra «finanza» e «realtà»” o “eccesso di finanziarizzazione”, (ii) “espansione irrazionale del credito o “economia fondata sul debito”, (iii) deregulation selvaggia ovvero fallimento delle regole (regulation failure) prima ancora che fallimento del mercato (market failure)».
55 Secondo G. DI GASPARE, Teoria e critica, cit., pp. 188-190, proprio il cambiamento delle regole prudenziali, avvenuto in forza di Basilea II, «è stato un tassello decisivo per mettere a punto il sistema dei flussi monetari verso il mercato dei derivati».
56 «La revisione dell'Accordo di Basilea II, dunque, non risponde solo all'esigenza di superare le inefficienze del sistema bancario emerse durante la crisi, ma anche all'obiettivo di affinare le soluzioni già previste ed affiancarvi ulteriori regole a garanzia di una maggiore solidità delle istituzioni creditizie». F. ACCETTELLA, L’accordo di Basilea III, cit. Critico, invece, G. DI GASPARE, Teoria e critica, cit., p. 343, secondo il quale «l’incombente accordo globale sui mercati finanziari atteso con Basilea 3 assume le sembianze di un continuo rinvio, ad altra data certa ed ad altri atti. Contenuti anticipati in circolo, ma tuttora incerti. Poco o nulla codificato. Gli accordi di Basilea, infatti, nonostante la loro influenza, il rilievo mediato e la loro continua citazione, sono – in quanto tali – privi di effettiva vigenza. Spetta alle singole autorità statali o sovrastatali di vigilanza bancaria e dei mercati finanziari il compito di dare loro attuazione. Tempi e modalità del recepimento dei contenuti dell’accordo una volta raggiunto sono quindi alquanto discrezionali».
internazionale57: obbiettivo, quest’ultimo, perseguito in primo luogo attraverso il perfezionamento e lo sviluppo delle misure contenute negli Accordi precedenti58; in secondo luogo, introducendo il cosiddetto «indice di leva finanziaria» (leverage ratio)59; infine, prevedendo la costituzione di adeguate riserve di liquidità (capital conservation buffer)60.
Per quanto poi riguarda la specifica contrattazione in strumenti derivati otc, Basilea III introduce un ulteriore requisito patrimoniale aggiuntivo, funzionale alla copertura del rischio di perdite dovute all’impatto della variazione dei prezzi di mercato sul rischio di controparte atteso dei derivati otc: è il cosiddetto credit value adjustment (CVA)61.
Tuttavia, non tutti i derivati otc devono soddisfare il suddetto requisito; in particolare, vengono espressamente escluse le negoziazioni su derivati otc realizzate su mercati regolamentati (salvo che, rispetto alle medesime, le competenti autorità di vigilanza non
57 Al punto 1 dell’introduzione di Basilea III viene espressamente affermato che «the objective of the reforms is to improve the banking sector’s ability to absorb shocks arising from financial and economic stress, whatever the source, thus reducing the risk of spillover from the financial sector to the real economy».
58 «The Basel Committee is raising the resilience of the banking sector by strengthening the regulatory capital framework, building on the three pillars of the Basel II framework. The reforms raise both the quality and quantity of the regulatory capital base and enhance the risk coverage of the capital framework»: Basilea III, p. 3.
59 «One of the underlying features of the crisis was the build up of excessive on- and off-balance sheet leverage in the banking system. The build up of leverage also has been a feature of previous financial crises, for example leading up to September 1998. During the most severe part of the crisis, the banking sector was forced by the market to reduce its leverage in a manner that amplified downward pressure on asset prices, further exacerbating the positive feedback loop between losses, declines in bank capital, and the contraction in credit availability». Basilea III, p. 4.
60 «One of the main reasons the economic and financial crisis, which began in 2007, became so severe was that the banking sectors of many countries had built up excessive on and off-balance sheet leverage. This was accompanied by a gradual erosion of the level and quality of the capital base. At the same time, many banks were holding insufficient liquidity buffers. The banking system therefore was not able to absorb the resulting systemic trading and credit losses nor could it cope with the reintermediation of large off- balance sheet exposures that had built up in the shadow banking system […]». Basilea III, p. 1.
61 «In addition to the default risk capital requirements for counterparty credit risk determined based on the standardised or internal ratings-based (IRB) approaches for credit risk, a bank must add a capital charge to cover the risk of mark-to-market losses on the expected counterparty risk (such losses being known as credit value adjustments, CVA) to OTC derivatives. The CVA capital charge will be calculated in the manner set forth below depending on the bank’s approved method of calculating capital charges for counterparty credit risk and specific interest rate risk […]». Basilea III, p. 31. Sostanzialmente, il credit value adjustment (letteralmente: rettifiche di valore della componente creditizia) consiste in un procedimento tramite il quale è possibile valutare, prezzare e gestire il rischio di controparte.
stabiliscano che le esposizioni della banca siano rilevanti) e quelle effettuate con controparti centrali62.
Di tali ultime tipologie di contrattazioni si occupa specificamente il secondo intervento sovranazionale rilevante in tale sede, ossia il recente Regolamento UE n. 648/2012 del 4 luglio 2012 sugli strumenti derivati otc, le controparti centrali e i repertori di dati sulle negoziazioni (cosiddetto «Regolamento EMIR»)63.
In particolare, il quarto considerando del Regolamento citato esplicita chiaramente le ragioni che hanno determinato il legislatore comunitario ad intervenire in questo specifico settore: «i derivati negoziati fuori borsa («contratti derivati OTC») mancano di trasparenza, dato che si tratta di contratti negoziati privatamente e le relative informazioni sono di norma accessibili soltanto alle parti contraenti. Tali contratti creano una complessa rete di interdipendenze che può rendere difficile determinare la natura e il livello dei rischi incorsi. La crisi finanziaria ha dimostrato che queste caratteristiche aumentano l’incertezza nei periodi di tensione sui mercati, creando pertanto rischi per la stabilità finanziaria. Il presente regolamento fissa le condizioni per attenuare tali rischi e migliorare la trasparenza dei contratti derivati».
A tal fine, tra le varie misure previste dal legislatore comunitario nel Regolamento in esame, merita di essere segnalata quella avente ad oggetto la predisposizione di una disciplina del mercato dei derivati otc ispirata a quella dei derivati uniformi.
In particolare, il sistema previsto dal Regolamento EMIR transita attraverso due direttrici: la standardizzazione e la previsione di una camera di compensazione.
Sotto il primo profilo, il regolamento ripropone, anche in ambito di derivati otc, la distinzione tra contratti standardizzati e non standardizzati, ricorrendo a tal fine alla nozione di categoria; più esattamente, il punto 6 dell’art. 2 del Reg. UE n. 648/2012 definisce la nozione di «categoria di derivati» come «un sottoinsieme di derivati aventi caratteristiche essenziali comuni che includono almeno la relazione con il sottostante, il tipo di sottostante e la valuta di denominazione del valore nozionale. I derivati che appartengono alla stessa categoria possono avere scadenze diverse».
62 «A bank is not required to include in this capital charge (i) transactions with a central counterparty (CCP); and (ii) securities financing transactions (SFT), unless their supervisor determines that the bank’s CVA loss exposures arising from SFT transactions are material». Basilea III, p. 31. Cfr. F. ACCETTELLA, L’accordo di Basilea III, cit.
63 EMIR è l’acronimo di European Market Infrastructure Regulation (letteralmente: regolamento sulle infrastrutture del mercato europeo).
La standardizzazione, a sua volta, è il presupposto per l’operatività del sistema di
«compensazione, segnalazione e attenuazione dei rischi dei derivati O.T.C.», come disciplinata al Titolo III del Reg. UE n. 648/2012, laddove, in difetto della medesima, troverà invece applicazione la diversa disciplina contenuta nell’art. 11 Reg. cit.64.
Giova al riguardo soffermarsi ulteriormente sulla procedura di standardizzazione
disciplinata dal Reg. UE n. 648/201265.
Il nucleo della disciplina è costituito dall’art. 5 del Reg. UE n. 648/2012, il quale affida la gestione della procedura in esame all'ESMA (European Securities and Markets Authority)66, la quale ha il compito di elaborare, al fine di presentarle alla Commissione europea per la relativa approvazione, «progetti di norme tecniche di regolamentazione» funzionali alla identificazione delle categorie di derivati da assoggettare all'obbligo di compensazione.
Il successivo art. 6 del Reg. UE n. 648/2012 affida sempre all'ESMA il compito di istituire ed aggiornare un registro pubblico «per individuare correttamente e inequivocabilmente le categorie di derivati OTC soggette all'obbligo di compensazione».
64 In particolare, «si prevede, ai sensi degli artt. 4 e 9, l'obbligo per le «controparti finanziarie» di compensare i derivati OTC «standardizzati» mediante una controparte centrale (CCP) e quello di segnalare tutti i contratti derivati OTC ad un repertorio di dati sulle negoziazioni (c.d. trade repository). L'obbligo di compensazione mediante controparte centrale dovrebbe contenere i rischi (specie quello creditizio di controparte) delle attività in esame, in virtù delle condizioni richieste per l'autorizzazione delle CCP e dei relativi requisiti prudenziali (rispettivamente titolo III, capo 1 e titolo IV, capo 3 del regolamento). Si pensi, soprattutto, agli onerosi vincoli patrimoniali richiesti per le controparti centrali (art. 16) — che sembrano scontare la medesima logica degli Accordi di Basilea di una dotazione patrimoniale minima commisurata ai rischi dell'attività – e agli obblighi delle stesse controparti di raccogliere adeguati margini iniziali (art. 41) e di disporre di un fondo di garanzia (art. 42). Di converso, i contratti derivati OTC non standardizzati e, quindi, inidonei ad essere compensati mediante controparti centrali presentano un livello di rischio creditizio di controparte (ma anche operativo) elevato. In ragione di ciò, l'art. 11 del regolamento prevede per la negoziazione di tali contratti derivati delle apposite tecniche di attenuazione dei rischi, tra cui la necessità che le controparti finanziarie detengano «un importo di capitale adeguato e proporzionato per gestire il rischio non coperto da un adeguato scambio di garanzie» (4º par.). Alla luce della segnalata differenza, va interpretato il diverso trattamento dei derivati OTC non compensati attraverso una controparte centrale, ai fini dei requisiti patrimoniali previsti dall'Accordo di Basilea III». F. ACCETTELLA, L’accordo di Basilea III, cit.
65 «La tecnica legislativa adottata per definire le categorie di derivati oggetto di compensazione è complessa e la normativa di rango primario fissa i criteri generali. Sulla base di Technical standards predisposti dall'ESMA, la Commissione decide se una categoria di contratti derivati OTC debba essere assoggettata all'obbligo di compensazione e a decorrere da quando, compresa l'eventuale applicazione graduale e la durata residua minima dei contratti stipulati o novati prima della data di decorrenza dell'obbligo di compensazione». P. LUCANTONI, L'organizzazione della funzione di post-negoziazione, cit..
66 Nel Reg. UE n. 648/2012, l’ESMA viene menzionato con l’acronimo AESFEM, corrispondente alla traduzione italiana di European Securities and Markets Authority, ossia «Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati». Detto organismo è stato istituito con Reg. UE. 1095/2010 del 24 novembre 2010.
La disciplina comunitaria appena richiamata, pertanto, affida la gestione e – soprattutto
– l’iniziativa della procedura di standardizzazione all’ESMA, ossia ad una Autorità che sta
«a stretto contatto con i partecipanti ai mercati finanziari» e «che ne conosce meglio il funzionamento quotidiano» (cfr. considerando n. 23 del Reg. 1095/2010, istitutivo dell’ESMA)67.
Orbene, deve ora essere osservato che i suddetti interventi sono tutti finalizzati principalmente a delimitare gli effetti del cosiddetto rischio sistemico, ossia «il pericolo che l'incapacità di un partecipante al sistema di adempiere alle sue obbligazioni alla loro scadenza provochi l'incapacità di altri soggetti a provvedere all'adempimento delle proprie, producendo così una reazione a catena, che in ragione del cosiddetto “effetto domino” è potenzialmente destinata a non interrompersi mai»68.
Si tratta, evidentemente, di un fenomeno strettamente collegato e dipendente da un’altra categoria di rischio, ossia quello di controparte, definibile come «il rischio che una controparte risulti inadempiente prima della data prevista per il regolamento ossia per l'esecuzione del contratto»69.
Quello sin qui descritto rappresenta uno scenario che sicuramente deve essere conosciuto dal giurista; tuttavia, non fornisce alcuna soluzione soddisfacente rispetto alle specifiche criticità giuridiche poste dalle singole contrattazioni in derivati.
Più esattamente, sia gli Accordi di Basilea che il Regolamento EMIR privilegiano l’esigenza di contenere i rischi di tipo macroeconomico70 che influiscono negativamente
67 Inoltre, nel considerando n. 22 del medesimo Reg. 1095/2010 viene affermato che «è efficace e opportuno che l’Autorità, in quanto organismo dotato di competenze tecniche altamente specialistiche, sia incaricata dell’elaborazione, in settori definiti dal diritto dell’Unione, di progetti di norme tecniche di regolamentazione che non comportino scelte politiche».
68 E. GABRIELLI, Garanzie del credito e mercato: il modello comunitario e l’Antitrust, in Giust. civ., 2011, IV, pp. 167 ss. e in xxxxxxxxxxx.xx.
69 L. SASSO, L’impatto sul mercato, cit. Lo stesso Autore, inoltre, precisa che «questo rischio si differenzia da quello di credito, pur essendone una sua sottospecie, poiché a differenza di quest'ultimo che nasce da un contratto a prestazioni corrispettive, il primo nasce da un finanziamento. Inoltre, mentre nel rischio di credito la probabilità di perdita è unilaterale, perché incombe solo sulla banca finanziatrice, nel rischio di controparte è bilaterale, potendo il valore di mercato della transazione finanziaria essere positivo o negativo per entrambe le parti».
70 «I rischi macroeconomici sono già stati sintetizzati da altri: 1) il "rischio controparte" legato allo scambio diretto senza il tramite dell'intermediario professionale; 2) il "rischio liquidità": in assenza di un mercato organizzato, lo scambio dei valori può avvenire ad un prezzo molto distante dal valore reale degli underlying assets; 3) il "rischio sistemico": se gli scambi non sono concentrati sui mercati autorizzati nessuno conosce l'esposizione complessiva e l'effetto leva complessivo di uno stesso strumento finanziario;
4) il rischio di abusi per scarsa trasparenza dei valori in bilancio, dato che sovente il valore dei derivati non risulta con chiarezza e precisione dalle scritture contabili e la valutazione del loro valore non dà un
sul sistema bancario e finanziario (tali sono, appunto, il rischio sistemico e il rischio di controparte), senza però al contempo prevedere misure destinate a regolare gli elementi controversi del rapporto che lega le parti di un contratto derivato.
4. La normativa microeconomica dei derivati.
Occorre ora esaminare proprio la disciplina del rapporto che si instaura tra le parti di un contratto derivato (in particolare, di un derivato otc), muovendo come di consueto dall’analisi del dato normativo.
Al riguardo, come si è già accennato, i contratti derivati otc possono essere negoziati o direttamente e liberamente tra le parti – nel qual caso troverà applicazione la generale disciplina dei contratti prevista nel codice civile – o tramite intermediari: in quest’ultimo caso, troverà applicazione il sopradescritto sistema basato sulle regole e sui principi relativi alla prestazione dei servizi di investimento, ispirato ad una ratio di tutela del cliente, a cui le SIM e le banche si devono attenere 71.
È quindi necessario soffermarsi ulteriormente su questa seconda modalità di contrattazione, costituendo la prima un’ipotesi essenzialmente di scuola72.
In primo luogo, occorre precisare che l’applicazione dei sopraccitati «criteri generali» di cui all’art. 21 tuf anche alla negoziazione su derivati non standardizzati sarebbe giustificata dalla professionalità e dalla pubblicità della medesima (art. 18 tuf), sul presupposto, appunto, che la negoziazione su derivati otc svolta professionalmente e nei confronti del pubblico solleverebbe, in concreto, le stesse peculiari criticità poste dallo specifico fenomeno della standardizzazione73.
risultato "attendibile" nell'ottica dell'art. 2427-bis, ult. comma, cioè del fair value». M. COSSU e P. SPADA,
Dalla ricchezza assente alla ricchezza inesistente, cit.
71 A. PIRAS – E. PIRAS, Il ricorso agli strumenti finanziari derivati, cit., p. 85; R. COSTI, Il mercato mobiliare, cit., pp. 122, 127 e 138.
72 A. PIRAS – E. PIRAS, Il ricorso agli strumenti finanziari derivati, cit., p. 85.
73 R. COSTI, Il mercato mobiliare, cit., p. 138. Secondo V. ROPPO, Il contratto, cit., pp. 43-45, la
«disuguaglianza di potere contrattuale delle parti», per il quale «il contraente più forte “detta legge” al contraente più debole», sarebbe un «dato fisiologico del contratto» e che «prescinde dalla standardizzazione: si manifestava anche in epoche che non erano di economia massificata, e oggi si manifesta anche al di fuori della contrattazione standardizzata, in relazione a contratti personalizzati». Ciò determinerebbe la «menomazione del ruolo volitivo di una parte», al quale il legislatore cerca di porre rimedio mediante l’individuazione di particolari «categorie socio-economiche» contrattualmente deboli e la conseguente predisposizione di «speciali discipline dei corrispondenti contratti, mirate a proteggere la parte della categoria debole».
Occorre a questo punto esaminare la posizione dell’intermediario finanziario, il quale gioca un ruolo fondamentale nella fase che precede il contratto
In generale, l’intermediario, in virtù della sua professionalità ed esperienza, partecipa al miglioramento dell’efficienza e della funzione dei mercati finanziari, attraverso l’incremento delle possibilità di incontrare una controparte (cosiddetta liquidità)74.
Tuttavia, al di là dei benefici di carattere generale appena richiamati, occorre dar conto dei profili problematici sollevati proprio dalla presenza dell’intermediario finanziario in siffatte contrattazioni.
È noto, infatti, che il consumatore dei prodotti finanziari75, di fatto, non «possiede l’esperienza, le conoscenze e la competenza necessarie per prendere consapevolmente le proprie decisioni in materia di investimenti e per valutare correttamente i rischi che assume»76.
Più esattamente, il rapporto che viene ad instaurarsi tra singolo cliente ed intermediario è caratterizzato dalla cosiddetta asimmetria informativa, ossia quella situazione di squilibrio di informazioni in cui le parti versano in relazione al settore finanziario77.
Ad esempio, si supponga la seguente situazione: A e B sono entrambi soggetti bisognosi di denaro e si rivolgono a C per ottenere una somma a mutuo.
A è un prudente imprenditore che chiede un finanziamento solo quando è certo di poterlo restituire; al contrario, B è uno speculatore il cui unico scopo è quello di far fruttare al meglio e subito la somma che riesce ad ottenere, ponendo abitualmente in essere operazioni caratterizzate da un elevato rischio di perdita.
Orbene, in una condizione di informazioni perfette e simmetriche, sicuramente C non finanzierebbe B, in quanto in tal modo si esporrebbe ad un probabile rischio di insolvenza.
Tuttavia, C non è un esperto di mercati finanziari, né è in grado di conoscere le situazioni e le intenzioni sia di A che di B (asimmetria informativa): in questo caso, si verifica la cosiddetta selezione avversa (adverse selection), ossia quel fenomeno per il quale coloro che hanno maggior probabilità di divenire insolventi sono anche coloro che si
74 «Gli intermediari finanziari di successo realizzano rendimenti più elevati dai loro investimenti perché sono meglio attrezzati dei singoli individui a distinguere tra impieghi più o meno rischiosi, riducendo quindi le perdite […]; inoltre, perché sviluppano esperienza nel monitoraggio delle controparti […]». F. S. MISHKIN, S. G. EAKINS, Istituzioni e mercati finanziari, ed. italiana a cura di G. Forestieri, Torino, 2007, pp. 31 e 32; L. VALLE, Contratti futures, cit., p. 308, in nota.
75 Così G. DI GASPARE, Teoria e critica, cit., p. 166.
76 Cfr. All. 3 del Reg. Consob 29 ottobre 2007, n. 16190.
77 A. SIROTTI GAUDENZI, Swap e responsabilità dell’operatore finanziario, cit., p. 74.
attivano di più per ottenere un finanziamento, aumentando così le probabilità di ottenerlo78.
A ciò si aggiunge anche un altro fenomeno, ossia quello del cosiddetto azzardo morale (moral hazard), anch’esso originato dalla asimmetria informativa: con tale locuzione ci si riferisce al rischio che il soggetto finanziato ponga in essere operazioni che incrementino la sua possibilità di insolvenza.
Per restare nell’esempio di cui sopra, supponiamo che B chieda 100 a C per acquistare dei macchinari per avviare un’attività imprenditoriale ma, una volta ottenuto il denaro, decida di impiegare quella somma nelle scommesse ippiche. Anche in questo caso, in virtù della situazione di asimmetria informativa, sarà difficile per C sapere quali saranno le reali intenzioni di A79.
Selezione avversa e azzardo morale sono quindi situazioni assai pregiudizievoli per l’economia: entrambe determinano la sfiducia indiscriminata degli investitori e delle banche nei confronti di coloro che chiedono un finanziamento, e quindi anche nei riguardi di imprese disposte ad indebitarsi a basso rischio per un buon investimento80.
Tutto quanto appena descritto comporta notevoli instabilità nel settore monetario e creditizio, con evidenti effetti a catena.
L’asimmetria informativa, pertanto, è un fenomeno che l’ordinamento deve sapere governare81.
78 F. S. MISHKIN, S. G. EAKINS, Istituzioni e mercati finanziari, cit., p. 30.
79 Sostanzialmente, la differenza che intercorre tra selezione avversa e azzardo morale riguarda il momento si manifesta la pregiudizialità dell’asimmetria informativa: la soluzione avversa riguarda il momento precontrattuale, o delle trattative, mentre l’azzardo morale si riferisce al momento in cui il contratto di finanziamento è stato già concluso. Cfr. F. S. MISHKIN, S. G. EAKINS, Istituzioni e mercati finanziari, cit., p. 31.
80 F. S. MISHKIN, S. G. EAKINS, Istituzioni e mercati finanziari, cit., pp. 30 e 31.
81 In questo senso, si ritiene non condivisibile il pensiero di alcuni autori che, all’indomani della recente crisi finanziaria che ha coinvolto l’economia globale, propongono di introdurre tout court un «divieto di cartolarizzazione del rischio di credito, sotto qualsiasi forma», e quindi anche dei derivati (in particolare, degli swaps). F. MERUSI, Per un divieto di cartolarizzazione, cit., p. 257. Infatti, come già affermava Luigi Einaudi, riportato da PADOA SCHIOPPA, già più di un secolo fa «è evidente che di dolorose rovine di capitalisti, di famiglie intere, non sia colpevole il meccanismo dei contratti a termine e che la speculazione si sarebbe rivolta in altre direzioni ove questa vi fosse rimasta preclusa […]. Alla legislazione in siffatte materie incombe il dovere non già di togliere la fonte occasionale del male con una proibizione assoluta, ma di impedire che gli inavveduti e in genere il pubblico non professionale si lasci attirare a cuor leggero nelle speculazioni a termine». T. PADOA SCHIOPPA, I prodotti derivati, cit., p. 61. Il problema, pertanto, non può essere risolto attraverso l’introduzione di un divieto oggettivo, ma semmai attraverso una regolamentazione più aderente alle problematiche specifiche che sollevano i derivati finanziari. Al riguardo, v. anche F. BOCHICCHIO, Gli strumenti derivati: i controlli sulle patologie del capitalismo finanziario, in Contr. impr., 2009, 2, pp. 305 ss.
È proprio in tale prospettiva che deve essere interpretata la disciplina di cui all’art. 21 tuf, avente ad oggetto proprio il comportamento che gli intermediari finanziari sono obbligati a tenere nei confronti dei clienti.
In particolare, come si è già avuto modo di segnalare supra, l’art. 21 tuf prevede: obblighi generali di correttezza, diligenza, professionalità, etc.; obblighi informativi; norme attinenti all’organizzazione interna; regole in materia di conflitto di interessi82.
A ben vedere, questo costituisce il punto in cui si intersecano le due aree di intervento sin qui esaminate (ossia, quella macroeconomica e quella microeconomica); in particolare, detti interventi muovono dal comune presupposto per cui il mercato è il luogo in cui le scelte e le iniziative delle imprese vengono giudicate dal pubblico – composto, tra gli altri, da investitori, depositanti, clienti, creditori e controparti –, e ciò non può che avvenire attraverso lo scambio e la diffusione di informazioni83.
Si badi, al riguardo, che è proprio l’art. 21 tuf ad esplicitare detta connessione, quando alla lettera a), comma 1, funzionalizza il comportamento dell’intermediario all’«interesse dei clienti» e, al contempo, alla «integrità dei mercati».
5. Profili di criticità delle normative sui derivati. In particolare, il conflitto di interessi.
Invero, alla luce delle recenti crisi finanziarie, sembrerebbe che la disciplina sin qui richiamata non conduca a risultati pienamente soddisfacenti, specialmente in relazione ai derivati otc84.
Il problema di fondo è proprio quello di individuare un meccanismo rimediale efficiente che tenga conto della necessità di bilanciare due valori non sempre concordanti, ossia quello dell’«interesse dei clienti» e quello della «integrità dei mercati».
In questa prospettiva, non appaiono pienamente soddisfacenti, in primo luogo, i sopraccitati interventi di tipo macroeconomico.
82 F. ANNUNZIATA, La disciplina del mercato mobiliare, cit., p. 121.
83 T. PADOA SCHIOPPA, I prodotti derivati, cit., p. 62.
84 «Benché a fronte di tipi sociali distinti – quali sono, da un lato, i contratti negoziati su un mercato regolamentato, dall’altro i c.d. derivati over the counter –, il legislatore predisponga un elenco in cui i due tipi sono contemplati indiscriminatamente, l’interprete è tenuto a distinguere, perché i profili di diversità delle fattispecie sono molteplici e rilevanti: sono diverse le caratteristiche del contro-interesse dell’intermediario; ricorre alternativamente l’etero o l’auto regolamentazione del contenuto, sussiste la massima trasparenza imposta dai gestori dei mercati regolamentati ovvero la massima opacità di contenuti predisposti dal solo intermediario; a fronte della liquidità dei derivati negoziati su mercati regolamentati,
Come si è detto, la precipua finalità degli interventi sovranazionali in materia di derivati (Accordi di Basilea e Regolamento EMIR) è proprio quella di limitare gli effetti dei rischi di controparte e della conseguente crisi sistemica.
Orbene, se il fine è proprio quello di limitare il rischio che una controparte risulti inadempiente, significa che dall’apparato rimediale dovrebbero essere logicamente escluse, in linea di principio, tutte quelle misure aventi come effetto finale lo scioglimento del vincolo contrattuale85, posto che anche quest’ultimo, al pari dell’inadempimento, determinerebbe di fatto una perdita economica per la parte forte del rapporto (ossia l’originator del contratto derivato).
Si tratta, evidentemente, di interventi nell’ambito dei quali l’interesse del cliente viene garantito fintanto che si dimostri funzionale alla tutela della integrità dei mercati: non è infatti un caso che le misure appena citate o provengono direttamente dalle istituzioni bancarie e finanziarie (Accordi di Basilea) o, quantomeno, vengono dalle stesse sollecitate e influenzate (Regolamento EMIR, con particolare riferimento alla procedura di standardizzazione dei derivati otc)86.
Nella stessa prospettiva, non porterebbe a risultati adeguati nemmeno la mera applicazione della disciplina di cui all’art. 21 tuf.
sono invece massimamente illiquidi (in verità, del tutto non negoziabili) gli strumenti over the counter; e così via». D. MAFFEIS, L’ufficio di diritto privato dell’intermediario, cit., p. 13.
85 Non mina detto assunto la previsione di cui all’art. 23 tuf, secondo cui «i contratti relativi alla prestazione dei servizi di investimento […] sono redatti per iscritto e una copia è consegnata al cliente […]. Nei casi di inosservanza della forma prescritta il contratto è nullo». Si tratta, come è noto, di una nullità relativa, ossia che «può essere fatta valere solo dal cliente» (art. 23, comma 3, t.u.f. Invero, a prescindere dalla inadeguatezza di siffatta tutela formalistica (come meglio verrà chiarito subito infra), deve essere rilevato che il proliferare di nullità speciali relative, a differenza di quella assoluta prevista in via generale dal codice civile, incrementano le possibilità che il contratto continui a produrre i suoi effetti anche se viziato da una causa di invalidità (in questo caso, la mancanza di forma scritta). Ciò si pone in totale coerenza con la logica di contemperare gli interessi del mercato con quelli del cliente, in quanto il cosiddetto “rischio di impugnativa” viene limitato dall’attribuzione del diritto ad eccepire la nullità al solo cliente, e non già a “chiunque vi ha interesse” (art. 1421 c.c.). Al riguardo, cfr. V. ROPPO, Il contratto del duemila, cit., p. 32.
86 «Come la recente crisi ha dimostrato, i grandi istituti finanziari — considerati troppo importanti per il mercato finanziario e per lo sviluppo economico di uno Stato (o in altre parole “too big to fail”) — sono stati letteralmente “salvati” dalle banche centrali dei rispettivi Stati nel momento di maggior bisogno, esternalizzando così le perdite e generando alti costi per la comunità dei contribuenti. D'altro canto, il fallimento anche solo di una di queste grosse banche — facilitato dalla leva finanziaria che i derivati producono — porterebbe ad un default a catena delle controparti in un mercato che è caratterizzato da un'altissima interconnessione tra gli istituti di credito. Il rischio sistemico è dunque molto alto nei mercati sui derivati ed il recente allargamento degli stessi non ha certo facilitato il monitoraggio del rischio da parte delle autorità». L. SASSO, L’impatto sul mercato, cit.
Come si è anche già accennato, la non corretta comprensione del contratto rappresenta una situazione sicuramente pregiudizievole per il singolo investitore, che può avere anche pesanti ripercussioni nel sistema finanziario considerato nel suo complesso.
Invero, a prescindere dalla specifica questione relativa alla qualifica dell’investitore87, deve essere qui osservato che quando l’intermediazione finanziaria ha ad oggetto contratti derivati, anche il comportamento più corretto, diligente e professionale – da un lato – e il più completo, chiaro e trasparente assolvimento degli obblighi informativi – dall’altro – non determinano, di per sé stessi, il riequilibrio dell’asimmetria informativa88.
Come infatti osserva la più attenta dottrina, «sarebbe un errore di prospettiva pensare che l’asimmetria informativa tra intermediario ed investitore, nei derivati over the counter, sia solo una questione di esperienza e competenza in ambito finanziario», posto che «l’asimmetria dipende anche dai grafemi coi quali sono espresse le formule di matematica finanziaria, che sovente variano da intermediario a intermediario e possono costituire un impedimento alla comprensione del contratto anche per investitori che abbiano già operato in derivati»89.
Il problema viene altresì accentuato dal particolare conflitto di interessi90 in cui versa l’intermediario che offre contratti derivati, dal momento che questi ultimi nascono proprio
87 Al riguardo, si rinvia a M. CAMPOBASSO, Classificazione dell'investitore come cliente professionale e imputazione di conoscenza, in Banca, borsa, tit. cred., 2012, 6, pp. 819 ss.; F. DELFINI, Valutazione di adeguatezza ex art. 40 Reg. Intermed., obbligazioni strutturate e derivati di credito, in Banca, borsa, tit. cred., 2014, 3, pp. 296 ss.; A. PARZIALE, Interest rate swap: il valore della dichiarazione di operatore qualificato e la nullità per difetto di causa al vaglio delle corti pugliesi, in Banca, borsa, tit. cred., 2012, 6, pp. 787 ss.
88 «La vasta asimmetria informativa tra le parti, difficilmente arginabile con semplici obblighi di comunicazione, ha spinto parte della dottrina a dubitare fortemente dei benefici di una maggiore trasparenza . Secondo questa parte della dottrina, ammesso che queste premesse siano corrette, ulteriori regole a favore di una trasparenza avrebbero semplicemente l'onere di aggiungere costi di comunicazione e compliance agli istituti finanziari, con il potenziale risultato di guidare il mercato all'uso di forme di organizzazione meno efficienti. Da un punto di vista legislativo inoltre, un'eccessiva fiducia nelle capacità autocorrettive del mercato dettate da decisioni razionali di investimento degli operatori potrebbe rivelarsi addirittura controproducente e distogliere l'attenzione da altre iniziative meritevoli d'attuazione». L. SASSO, L’impatto sul mercato, cit.
89 D. MAFFEIS, Contratti derivati, in Banca, borsa, tit. cred., 2011, 5, pp. 604 ss. e in xxxxxxxxxxx.xx.
90 È appena il caso di rilevare che nel nostro ordinamento il conflitto di interessi viene specificamente disciplinato agli artt. 1394 e 1395 c.c., nell’ambito dell’istituto della rappresentanza. In generale, «il contratto concluso dal rappresentante in conflitto di interessi col rappresentato può essere annullato su domanda del rappresentato, se il conflitto era conosciuto o riconoscibile dal terzo» (art. 1394 c.c.). In tale contesto, la giurisprudenza ha chiarito che è ravvisabile una situazione di conflitto di interessi allorquando «il rappresentante persegua interessi propri suoi personali o anche di terzi inconciliabili con quelli del rappresentato, in modo che l'utilità conseguita o conseguibile dal rappresentante per sé medesimo o per il terzo, segua, o possa seguire, il danno del rappresentato», mentre lo stesso deve essere escluso sia in caso di
«dalla fantasia creatrice degli intermediari finanziari che dalla loro semplice negoziazione sui mercati regolamentati come dalla loro creazione ed offerta over the counter ritraggono sovente una delle maggiori fonti di reddito»91.
Si tratta di un concetto fatto proprio e ribadito anche da alcune recenti pronunce di merito; ad esempio, secondo Tribunale Milano, 19 aprile 2011, n. 5443, «la contrattazione in derivati over the counter, a differenza di quella in derivati cosiddetti uniformi, porta con sé un naturale stato di conflittualità tra intermediario e cliente che discende dall’assommarsi, nel medesimo soggetto, delle qualità di offerente e di consulente; dalla centralità, in relazione al futuro andamento del rapporto, della disciplina stipulata tra le parti; dal fatto che si tratta di prodotti di secondo livello strutturabili in funzione delle specifiche esigenze delle controparti quanto a scadenza, tipologia del sottostante, liquidazione di profitti e perdite, ecc.; dall'evidente interesse dell'intermediario, controparte contrattuale portatore di un proprio interesse economico, a costruire o proporre un prodotto che possa risultare svantaggioso o inadatto al cliente, in quanto fabbricato o rinegoziato in termini geneticamente o successivamente alterati in sfavore della controparte. In tema di derivati over the counter, il conflitto di interessi tra intermediario e cliente può derivare anche dal fatto che il primo può avere in essere operazioni di segno uguale o contrario con altri soggetti e dalla necessità di piazzare prodotti sul mercato anche solo per esigenze di riposizionamento o di propria copertura»92.
«mera convergenza di interessi tra rappresentante e rappresentato, in nome del quale il primo agisca nell'ambito dei poteri conferitigli», sia in caso di «uso malaccorto o non proficuo che il rappresentante faccia di tali poteri, concludendo negozi di nulla o scarsa utilità per il rappresentato». Cfr. Cass., 18 luglio 2007, n. 15981; Cass., 29 settembre 2005, n. 19045; Cass., 3 luglio 2000, n. 8879; Cass., 10 aprile 2000, n.
4505; Cass., 17 aprile 1996, n. 3630; Cass., 16 febbraio 1994, n. 1498.
91 D. MAFFEIS, L’ufficio di diritto privato dell’intermediario, cit., p. 14.
92 Il testo integrale della sentenza è reperibile all’indirizzo xxxxxx.xx/xxxxxxxxxxxxxx/xxxxxxxx/0000.xxx. Peraltro, deve essere segnalato che l’inadeguata attenzione da parte della dottrina per il conflitto di interessi nella contrattazione in derivati mal si concilia con la copiosità delle pronunce di merito sul punto. Al riguardo, tra le sentenze più recenti che, a prescindere dalle soluzioni in concreto adottate, riconoscono la sussistenza di un conflitto di interessi tra l’intermediario e il cliente, si segnalano: Corte d’Appello Milano, 26 maggio 2011; Trib. Milano 19 aprile 2011; Corte d’Appello Torino, 4 aprile 2011; Trib. Piacenza, 4 aprile 2010; Trib. Torino, 11 novembre 2010; Trib. Torino, 26 maggio 2010; Corte d’Appello Firenze, 20 ottobre 2009; Trib. Torino, 17 marzo 2009; Trib. Milano, 14 febbraio 2009; Trib. Massa, 26 settembre 2008; Trib. Cuneo, 23 luglio 2008; Trib. Milano, 3 giugno 2008; Trib. Venezia, 28 febbraio 2008; Corte d’Appello Torino, 19 ottobre 2007; Trib. Torino, 8 maggio 2007; Trib. Rimini, 21 aprile 2007; Trib. Vercelli, 30 novembre 2006; Trib. Milano, 22 novembre 2006; Trib. Milano, 20 marzo 2006; Trib. Torino, 9 febbraio 2006; Trib. Venezia, 29 settembre 2005; Trib. Venezia, 22 novembre 2004; Trib. Firenze, 30 maggio 2004. Negano, invece, la sussistenza di un conflitto di interessi: Trib. Ravenna, 18 ottobre 2011; Corte d’Appello
Pertanto, l’esistenza di detto conflitto conferma l’inadeguatezza della disciplina microeconomica richiamata, e in particolare quella di cui all’art. 21 tuf: è infatti sufficiente rilevare che le valutazioni dell’investitore circa l’opportunità dell’investimento in derivati si fondano essenzialmente sulle informazioni fornite dall’intermediario, ossia dalla sua controparte93.
5.1. Il conflitto di interessi tra regole di comportamento e regole di validità.
Le suddette considerazioni sembrerebbero essere alla base dei più recenti interventi giurisprudenziali in materia di derivati94.
Al riguardo, sembra opportuno muovere dall’evoluzione giurisprudenziale relativa alle conseguenze civilistiche95 derivanti dall’inosservanza degli obblighi di comportamento da parte degli intermediari finanziari.
Torino, 31 marzo 2009; Trib. Palermo, 25 febbraio 2009; Trib. Parma, 18 marzo 2008; Trib. Roma, 11
ottobre 2007; Trib. Forlì, 19 giugno 2007; Trib. Catania, 23 gennaio 2007; Trib. Roma, 17 novembre 2005;
Trib. Trani, 7 giugno 2005; Trib. Mantova, 5 aprile 2005; Trib. Mantova, 3 febbraio 2005; Trib. Monza, 16
dicembre 2004; Trib. Mantova, 18 marzo 2004.
93 «L’informazione, nel settore dell'intermediazione finanziaria, non è solo votata ad assumere un ruolo funzionale all'esigenza di contribuire a rendere chiaro il contenuto dei rapporti contrattuali, attribuendo loro maggiore certezza, ma è l'unico strumento attraverso cui l'investitore può effettuare la valutazione della rispondenza al proprio interesse dell'investimento effettuato. I dati necessari per una tale valutazione, infatti, sono in possesso dell'intermediario, il quale di fatto è l'unico in grado di amministrare il rapporto, nelle condizioni di decidere se e come far funzionare il regolamento d'interessi ed è il solo in grado di investire tempo e risorse nell'aggiornamento, anche tecnico, necessario a cogliere le pur minime fluttuazioni nel mercato e ad interpretarne gli effetti». F. GRECO, Rileggere le regole dell’informazione nel rapporto tra intermediario e risparmiatore, in Resp. civ. prev., 2014, 3, pp. 931 ss. e in xxxxxxxxxxx.xx. V. anche Trib. Milano, 13 febbraio 2014, secondo cui l’intermediario in conflitto di interessi «ha l’obbligo di illustrare al cliente i rischi relativi allo specifico prodotto», posto che in assenza di dette informazioni «l’investitore non è in grado di formulare un giudizio di convenienza economica del derivato in termini di costo/rischio/beneficio».
94 In particolare, v. Corte d’Appello Milano, 18 settembre 2013, n. 3459.
95 Per quanto riguarda le conseguenze amministrativo-sanzionatorie a carico degli intermediari per l’inosservanza degli obblighi in oggetto, v. Cass. Civ., S.U., 30 settembre 2009, n. 20933, in xxxxxxxxxxx.xx, secondo cui, rispetto ad una fattispecie perfezionatasi prima dell’entrata in vigore del d.lgs. 17 gennaio 2003,
n. 5 (cosiddetto «nuovo processo societario»), «in tema di sanzioni amministrative per violazione delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, i componenti del consiglio di amministrazione di una società, chiamati a rispondere, ai sensi dell'art. 190 d.lg. 24 febbraio 1998 n. 58, per la violazione dei doveri inerenti alla prestazione dei servizi di investimento posti a tutela degli investitori e del buon funzionamento del mercato, non possono sottrarsi alla responsabilità adducendo che le operazioni integranti l'illecito sono state poste in essere, con ampia autonomia, da un altro soggetto che abbia agito per conto della società, gravando a loro carico un dovere di vigilanza sul regolare andamento della società, la cui violazione
Si tratta di un problema che ha impegnato a lungo la dottrina e la giurisprudenza, per la soluzione del quale sono state avanzate diverse proposte.
L’orientamento più remoto, risalente agli anni ’90, muoveva da un dato: quello secondo cui alla violazione di regole di comportamento dovesse necessariamente conseguire un’invalidità del contratto in termini di nullità, sia essa assoluta, in quanto posta a tutela di interessi generali, o relativa, posta cioè a tutela del singolo cliente e per ciò stesso solo da lui eccepibile96.
In particolare, in una delle prime sentenze di merito, emanate nella vigenza della l. 2 gennaio 1991, n. 1 («disciplina dell'attività di intermediazione mobiliare e disposizioni sull'organizzazione dei mercati mobiliari», nota anche come «legge SIM»), le norme relative alle regole di comportamento venivano qualificate imperative, «in quanto non può revocarsi in dubbio che le stesse siano poste a tutela di interessi generali che trascendono quelle del singolo contraente»97.
Pertanto, secondo questa giurisprudenza, gli obblighi di forma scritta, di indicazione della natura dei servizi e dei criteri di calcolo della loro remunerazione, nonché quello di operare informando adeguatamente il cliente sui rischi98, erano posti non già a tutela del singolo contraente, bensì a presidio dello «svolgimento di attività economiche rilevanti»99.
Da tale circostanza, i giudici deducevano che dalla violazione delle norme sugli obblighi di informazione, in quanto imperative, dovesse discendere la «probabile nullità e/o annullabilità del contratto»100.
Si tratta di un’impostazione che viene sostanzialmente confermata anche nelle sentenze di merito immediatamente successive pronunciate in tema di contratti derivati101.
Nondimeno, nel corso degli anni 2000, tale impostazione è stata progressivamente rimeditata da alcune pronunce di merito.
Ad esempio, nel 2005 è stato affermato che la violazione degli obblighi informativi non determinerebbe, di per sé stessa, l’invalidità dell’atto, ricadendo semmai sul piano della responsabilità per inadempimento; tuttavia, qualora tale inadempimento sia «di non
comporta una responsabilità solidale, ai sensi dell'art. 6 l. 24 novembre 1981 n. 689, salvo che non provino di non aver potuto impedire il fatto».
96 R. COSTI, Il mercato mobiliare, cit., p. 150.
97 Trib. Milano, 11 maggio 1995, in Giur. comm., 1996, II, p. 83, con nota di SQUILLACE.
98 Cfr. art. 6, comma 1, lett. c), e) e g) della l. n. 1 del 1991.
99 Trib. Milano, 11 maggio 1995, cit., p. 84.
100 Trib. Milano, 11 maggio 1995, cit., p. 84.
101 V., ad esempio, Trib. Milano, 3 gennaio 1996, in Banca, borsa, tit. cred., 1996, II, p. 552.
scarsa importanza», si dovrebbe ammettere la risolubilità del contratto ex artt. 1453 e 1455 c.c.102.
Le Sezioni Unite della Cassazione, con una importante pronuncia103, hanno poi radicalmente respinto le teorie invalidanti e ripristinato un principio del diritto dei contratti ritenuto «tradizionale»104, ossia la distinzione tra regole di comportamento, la cui violazione è fonte di responsabilità, e regole di validità del contratto105.
Anzitutto, viene osservato che gli obblighi di comportamento cui si riferiscono le disposizioni sopra richiamate sono tutti finalizzati al rispetto della «clausola generale» di cui all’art. 21 tuf, consistente nel «dovere dell’intermediario di comportarsi con diligenza, correttezza e professionalità nella cura dell’interesse del cliente», e si collocano in parte nella fase che precede la stipulazione del contratto di intermediazione finanziaria (cosiddetta fase prenegoziale), in parte nella fase della sua esecuzione106.
La Suprema Corte, inoltre, osserva che le norme in questione hanno sì carattere imperativo, ma tale rilievo non è tuttavia sufficiente, da solo, a dimostrare che la violazione di una o più di queste norme comporti la nullità del contratto: «è ovvio che la loro violazione non può essere, sul piano giuridico, priva di conseguenze, ma non è detto che questa sia necessariamente la nullità del contratto»107.
102 Trib. Firenze, 18 ottobre 2005, in xxxxxx.xx. Escludono espressamente la nullità, ammettendo eventualmente l’annullabilità del contratto ex art. 1394 o 1395 c.c. per essere stato lo stesso concluso in conflitto di interessi, Cass. Civ. 29 settembre 2005, n. 19024 (v. infra) e Trib. Rovereto, 18 gennaio 2006, mentre Trib. Milano 9 marzo 2005 ritiene «dubbia la praticabilità di un’azione di nullità con riferimento all’ipotesi di conflitto di interessi non segnalato».
103 Sez. Un. Civ., 19 dicembre 2007, n. 26724, in Guida dir., 2008, 5, p. 41; v. anche Sez. Un. Civ., 19
dicembre 2007, n. 26725, in Resp. civ. prev., 2008, 3, p. 547, con nota di GRECO.
104 Si esprimono in questi termini sia la pronuncia delle Sezioni Unite in esame, sia la relativa ordinanza di rimessione (Cass., Sez. I, 16 febbraio 2007, ord. n. 3683).
105 V. ROPPO, Il contratto del duemila, cit., p. 46.
106 Alla fase prenegoziale attengono l’obbligo di consegnare al cliente il documento informativo e il dovere dell’intermediario di acquisire le informazioni necessarie in ordine alla situazione finanziaria del cliente, per adeguare la successiva operatività. Alla fase successiva alla stipulazione del contratto, al fine della sua corretta esecuzione, l’intermediario deve sempre porre il cliente in condizione di valutare appieno la natura, i rischi e le implicazioni delle singole operazioni di investimento/disinvestimento, nonché di ogni altro fatto necessario a disporre con consapevolezza dette operazioni, nonché comunicare per iscritto eventuali situazioni di conflitto; ha inoltre l’obbligo di tenersi informato sulla situazione del cliente (obbligo peraltro funzionale al dovere di curare diligentemente e professionalmente gli interessi di quest’ultimo). Si osservi che tale obbligo persiste durante l’intera fase esecutiva, stante la suscettibilità della situazione del cliente di evolversi nel tempo. A ciò si aggiungano i cosiddetti doveri negativi sempre a carico dell’intermediario, consistenti nel non consigliare e non effettuare operazioni di frequenza e/o dimensioni eccessive. Sez. Un. Civ., 19 dicembre 2007, n. 26724, cit., pp. 43 e 44.
107 Sez. Un. Civ., 19 dicembre 2007, n. 26724, cit., p. 44.
Il punto da cui muovere per risolvere la questione è, come è già stato accennato, quello della tradizionale distinzione tra norme di comportamento dei contraenti e norme di validità del contratto.
Si tratta di un principio ribadito anche dalla prevalente dottrina108, fortemente radicato nei principi del codice civile e pertanto – a detta delle Sezioni Unite - «difficilmente contestabile»109; né si può affermare che il legislatore abbia in questo caso voluto derogarvi.
Anzi, quest’ultimo avrebbe espressamente previsto alcune ipotesi di nullità solo quando lo ha ritenuto opportuno: si pensi, ad esempio, alle norme sulla forma (art. 23 tuf).
Lo stesso non potrebbe invece essere affermato in ordine alla violazione delle regole di comportamento previste in tema di informazione al cliente e gravanti sull’intermediario: queste ultime, infatti, sono contemplate dal legislatore soltanto per i loro eventuali risvolti in tema di responsabilità, posto che viene previsto a carico dell’intermediario l’onere della prova di aver agito con la necessaria diligenza, ex art. 23, comma 6, tuf110.
Non sarebbe inoltre da condividere nemmeno il ragionamento secondo cui la nullità del contratto discenderebbe dall’imperatività della norma (in particolare, l’art. 6, comma 2, tuf), la quale sarebbe tale in quanto posta a presidio dello «svolgimento di attività economiche rilevanti», posto che alla tutela del buon funzionamento dell’intero mercato
108 V. ROPPO, Il contratto del duemila, cit., p. 46.
109 «Per persuadersene è sufficiente considerare come dal fondamentale dovere che grava su ogni contraente di comportarsi secondo correttezza e buona fede - immanente all'intero sistema giuridico, in quanto riconducibile al dovere di solidarietà fondato sull'art. 2 della Costituzione, e sottostante a quasi tutti i precetti legali di comportamento delle parti di un rapporto negoziale (ivi compresi quelli qui in esame) - il codice civile faccia discendere conseguenze che possono, a determinate condizioni, anche riflettersi sulla sopravvivenza dell'atto (come nel caso dell'annullamento per dolo o violenza, della rescissione per lesione enorme o della risoluzione per inadempimento) e che in ogni caso comportano responsabilità risarcitoria (contrattuale o precontrattuale), ma che, per ciò stesso, non sono evidentemente mai considerate tali da determinare la nullità radicale del contratto (semmai eventualmente annullabile, rescindibile o risolubile), ancorché l'obbligo dì comportarsi con correttezza e buona fede abbia indiscutibilmente carattere imperativo. E questo anche perché il suaccennato dovere di buona fede, ed i doveri di comportamento in generale, sono troppo immancabilmente legati alle circostanze del caso concreto per poter assurgere, in via di principio, a requisiti di validità che la certezza dei rapporti impone di verificare secondo regole predefinite». Sez. Un. Civ., 19 dicembre 2007, n. 26724, cit., p. 45.
110 Sez. Un. Civ., 19 dicembre 2007, n. 26724, cit., p. 47. L’art. 23, comma 6, tuf dispone infatti che
«nei giudizi di risarcimento dei danni cagionati al cliente nello svolgimento dei servizi di investimento e di quelli accessori, spetta ai soggetti abilitati l'onere della prova di aver agito con la specifica diligenza richiesta».
sono preordinati il sistema dei controlli e delle sanzioni facenti capo alle Autorità di Vigilanza111.
Dopo aver svolto le suddette precisazioni, la Corte di Cassazione procede infine alla ricostruzione della disciplina.
In primo luogo, vengono considerate le violazioni degli obblighi informativi che gravano sull’intermediario nel momento antecedente la stipula del contratto-quadro112. Il riferimento è in particolare ai più volte richiamati obblighi di trasparenza e ai doveri di correttezza previsti dall’art. 21 tuf e precisati dall’art. 6, comma 2, lett. a) e b), tuf.
Al riguardo, la Suprema Corte afferma che le violazioni in esame non possono mai comportare nullità, ma, al limite, l’annullabilità del contratto per vizio del consenso; potranno, inoltre, essere fonte di responsabilità precontrattuale, dalla quale discende l’obbligo per l’intermediario di risarcire gli eventuali danni subiti dal cliente113.
Più esattamente, le Sezione Unite, richiamandosi ad un orientamento giurisprudenziale consolidato114, precisano che la violazione dell’obbligo di comportarsi secondo buona fede nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto rileva sia in caso di rottura ingiustificata delle trattative, sia nel caso in cui venga stipulato un contratto invalido o comunque inefficace, sia quando il contratto, pur essendo valido, «tuttavia risulti pregiudizievole per la parte rimasta vittima del comportamento scorretto».
In tale ultima ipotesi, il risarcimento del danno deve essere commisurato in base al
«minor vantaggio, ovvero al maggior aggravio economico prodotto dal comportamento tenuto in violazione dell'obbligo di buona fede, salvo che sia dimostrata l'esistenza di ulteriori danni che risultino collegati a detto comportamento da un rapporto rigorosamente consequenziale e diretto».
111 Sez. Un. Civ., 19 dicembre 2007, n. 26724, cit., p. 47; cfr. Trib. Milano, 11 maggio 1995, cit., p. 84.
112 Con l’espressione «contratto-quadro» ci si vuol riferire all’atto negoziale con cui le parti regolano singole ed eventuali operazioni future, senza tuttavia vincolarsi a porle in essere. Cfr. R. COSTI, Il mercato mobiliare, cit., p. 147; A. SIROTTI GAUDENZI, Swap e responsabilità dell’operatore finanziario, cit., p. 61. Alcuni autori considerano il contratto-quadro una specie del più ampio genere «contratto normativo», ossia il contratto con cui le parti definiscono le clausole di contratti futuri e si obbligano ad apporle a questi ultimi, se e quando saranno conclusi. In particolare, V. ROPPO, Il contratto, cit., pp. 496 ss., distingue tra contratto normativo interno, concluso dalle stesse parti che andranno a concludere i futuri contratti, e esterno, quando il futuro contratto vedrà la partecipazione anche di un terzo. Inoltre, il contratto-quadro, il quale prevede solo qualche clausola e lascia perciò alcuni margini operativi a successive manifestazioni di volontà, va tenuto distinto dal cosiddetto «contratto tipo», nel quale viene previsto l’intero regolamento negoziale e, pertanto, l’unico atto che residua concerne la volontà di concluderlo o meno.
113 Sez. Un. Civ., 19 dicembre 2007, n. 26724, cit., p. 47.
114 Cass., Sez. I, 29 settembre 2005, n. 19024.
In secondo luogo, vengono in considerazione le violazioni dei doveri riguardanti la fase successiva alla stipulazione del contratto-quadro.
Al riguardo, viene rilevato che le violazioni in esame possono assumere i connotati di un vero e proprio inadempimento (o non esatto adempimento) contrattuale, posto che gli obblighi di cui si tratta derivano da norme di natura inderogabile, e pertanto sono destinati ad integrare il negozio che vincola le parti.
Anche in questa seconda ipotesi, dalla loro violazione discendono obblighi risarcitori, in conformità ai principi generali dell’inadempimento contrattuale, mentre la possibilità che il contratto venga risolto ai sensi dell’art. 1453 c.c. è eventualmente prospettabile, come era anche già stato osservato da alcune sentenze di merito precedenti115, solo allorquando venga dimostrato che la condotta dell’intermediario sia talmente grave da configurare un inadempimento di non scarsa importanza (art. 1455 c.c.)116.
5.2. L’interferenza tra le regole di comportamento e le regole di validità nella prospettiva della causa in concreto.
Orbene, occorre ora rilevare che il principio di non interferenza tra regole di comportamento e regole di validità, il quale era già stato criticato da una parte della dottrina117 ancor prima dell’intervento delle Sezioni Unite del 2007, non è stato pacificamente recepito nel nostro ordinamento.
Non è certamente questa la sede per esaminare nello specifico le varie teorie sul tema118; è sufficiente rilevare che dette critiche muovono dalla medesima idea di fondo per cui anche l’autonomia contrattuale è un mezzo per «l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale» (art. 2 Cost.) e che il giudizio di
115 Trib. Firenze, 18 ottobre 2005, cit.
116 Sez. Un. Civ., 19 dicembre 2007, n. 26724, cit., p. 47.
117 F. GALGANO, Squilibrio contrattuale e malafede del contraente forte, in Contr. e impr., 1997, pp. 417 ss.
118 Cfr., ex multis, V. ROPPO, Il contratto del duemila, cit., pp. 46-51 e, ID., La nullità virtuale del contratto dopo la sentenza «Rordorf», in Danno e resp., 2008, 536; A. PLAIA, Diritto civile e diritti speciali: il problema del’autonomia delle discipline di settore, Milano, 2008; R. NATOLI, Regole di validità e regole di responsabilità tra diritto civile e nuovo diritto dei mercati finanziari, in Banca, borsa, tit. cred., 2012, II, pp. 165 ss.; R. LENER – P. LUCANTONI, Regole di condotta nella negoziazione degli strumenti finanziari complessi: disclosure in merito agli elementi strutturali o sterilizzazione, sul piano funzionale, del rischio come elemento tipologico e/o normativo?, in Banca, borsa, tit. cred., 2012, IV, pp. 369 ss.; A. TUCCI, La negoziazione degli strumenti finanziari derivati e il problema della causa nel contratto, in Banca, borsa, tit. cred., 2013, I, pp. 68 ss. e in xxxxxxxxxxx.xx; G. PERLINGIERI, L'inesistenza della distinzione tra regole di comportamento e di validità nel diritto italo-europeo, Quaderni de Il foro napoletano, V, Napoli, 2014.
meritevolezza previsto dall’art. 1322, comma 2, c.c., deve avvenire anche alla luce del principio di correttezza (art. 1175 c.c.). Di conseguenza, la buona fede sarebbe un criterio di valutazione del comportamento dei contraenti che, se disatteso, può determinare l’invalidità del contratto119.
Si tratta, evidentemente, di un approccio antitetico rispetto a quello seguito dalle Sezioni Unite del 2007, secondo cui «il suaccennato dovere di buona fede, ed i doveri di comportamento in generale, sono troppo immancabilmente legati alle circostanze del caso concreto per poter assurgere, in via di principio, a requisiti di validità che la certezza dei rapporti impone di verificare secondo regole predefinite»120.
Occorre ora rilevare che anche alcune pronunce di merito successive al sopraccitato intervento delle Sezioni Unite hanno iniziato ha rimeditare il principio di non interferenza tra regole di validità e regole di comportamento, muovendo dall’analisi della funzione degli obblighi comportamentali a carico dell’intermediario e riconoscendo, nel caso della loro inosservanza, rimedi ulteriori e/o diversi rispetto a quelli sopradescritti.
In questa cornice, proprio in materia di derivati otc, tra le pronunce immediatamente successive alle Sezioni Unite del 2007 sono individuabili due orientamenti: quello che, pur continuando a negare la possibilità di ricorrere a rimedi invalidanti, riconosce il diritto dell’investitore alla risoluzione del contratto e quello che, al contrario, ammette la possibilità di dichiarare la nullità del contratto «per il difetto, in concreto, della causa, ai sensi dell'art. 1418, comma 2 c.c., e per la non meritevolezza, in concreto, degli interessi
119 «Lo squilibrio contrattuale, produttivo della inefficacia della clausola squilibrante, è posto in rapporto con la violazione, da parte del contraente che ha imposto la clausola (del professionista, quale contraente forte), del canone della buona fede nella formazione del contratto; sicché la norma mette capo al principio secondo il quale la violazione di questo canone può condurre alla caducazione del contratto concluso con mala fede». F. GALGANO, Squilibrio contrattuale e malafede del contraente forte, cit., p. 423.
120 Sulla possibilità di dichiarare la nullità del contratto per contrasto con una clausola generale, quale è la regola della buona fede oggettiva, v. le recenti ordinanze “gemelle” della Corte Costituzionale (n. 77, 2 aprile 2014 e n. 248 del 24 ottobre 2013), secondo le quali il giudice, «a fronte di una clausola negoziale che rifletta (come da sua prospettazione) un regolamento degli opposti interessi non equo e gravemente sbilanciato in danno di una parte», può rilevare d’ufficio la «nullità (totale o parziale), ex art. 1418 cod. civ., della clausola stessa, per contrasto con il precetto dell’art. 2 Cost. (per il profilo dell’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà), che entra direttamente nel contratto, in combinato contesto con il canone della buona fede, cui attribuisce vis normativa, “funzionalizzando così il rapporto obbligatorio alla tutela anche dell’interesse del partner negoziale nella misura in cui non collida con l’interesse proprio dell’obbligato”». Cfr. F. ASTONE, Riduzione della caparra manifestamente eccessiva, tra riqualificazione in termini di “penale” e nullità per violazione del dovere generale di solidarietà e di buona fede, in Giur. Cost., 2013, IV, pp. 3770 ss.
perseguiti, ai sensi dell'art. 1322, comma 2 c.c.», con conseguente «restituzione di tutti i flussi negativi addebitati per effetto dei contratti di cui è causa»121.
Nella prima prospettiva, viene innanzitutto in rilievo la sentenza Tribunale Milano del 19 aprile 2011, n. 5443122, la quale, sul presupposto che «i derivati […] “costruiti” dalla banca e ceduti fuori da ogni mercato, non sono stati oggetto di alcuna contrattazione e sono stati unilateralmente propinati, in un contesto invece in cui la contrattazione su base paritaria, al fine di individuare un prodotto realmente rispondente alle esigenze dell’operatore commerciale, doveva essere di fondamentale importanza», ha affermato che nel caso specifico la banca avrebbe dovuto tenere in particolare considerazione le effettive esigenze del cliente, anche a prescindere dalla professionalità di quest’ultimo123, e farsi
«parte diligente per garantire la scelta di un prodotto adatto al cliente medesimo».
La stessa pronuncia entra poi nella specifica dinamica del rapporto intercorso tra le parti, segnalando, tra le altre cose, che «l’alternativa non era tra acquistare un prodotto più o meno adatto alle esigenze di redditività e/o speculative di un investitore (e quindi, ad esempio, la scelta tra un titolo di stato europeo e un titolo di stato emergente), bensì tra l’acquistare un prodotto idoneo o meno in relazione alle esigenze dell’impresa che costituivano una sorta di “base comune” (altrimenti detta presupposizione) del regolamento intercorso tra le parti» e che questo modus operandi sarebbe imposto proprio dalle regole di comportamento predisposte dal tuf, le quali costituiscono «espressione generale del principio di buona fede oggettiva proprio del diritto generale dei contratti […] che rappresenta un metro di comportamento per i soggetti (e di valutazione per il giudice), il cui contenuto non è a priori predeterminato, ma necessita di un’opera
121 Corte d’Appello di Milano del 18 settembre 2013, n. 3459.
122 Nello stesso senso, v. anche Trib. Lecce, 9 maggio 2011, in xxxxxx.xx/xxxxxxxxxxxxxx/xxxxxxxx
/5292.pdf, secondo cui «nel complesso l’operazione appare “una scommessa insensata”, un’operazione rovinosa e sbilanciata a tutto vantaggio della Banca, a causa di costi di transazione così elevati da assorbire gli eventuali guadagni lucrati dal cliente nel caso di andamento (a lui) favorevole dal mercato dei tassi, laddove le operazioni in strumenti derivati, anche quando effettuate per finalità diverse da quelle di copertura, dovrebbero almeno ex ante presentarsi come potenzialmente vantaggiose (per il cliente) nel caso di scenari (a lui) favorevoli. In presenza di tali dati di fatto, soltanto genericamente contestati dalla Banca (sulla quale pure gravava l’onere di provare di aver agito con la prescritta diligenza), è ragionevole ritenere che la stessa abbia agito in conflitto di interesse ed in contrasto con la regola di condotta che impone agli intermediari “di servire al meglio l’interesse dei clienti”».
123 «La trasparenza e l’equo trattamento nella gestione dei conflitti di interessi (conflitti che comunque, non a caso, per disposizione di legge vanno ridotti al minimo, e non possono pertanto diventare un comportamento generalizzato neanche nei confronti di operatori qualificati) costituiscono comportamenti basilari, alla cui osservanza l’intermediario è tenuto anche quando il cliente firmi la dichiarazione ex art. 27
valutativa di concretizzazione, in riferimento agli interessi in gioco e alle caratteristiche del caso specifico, da compiersi alla stregua dei valori obiettivi riconosciuti dall’ordinamento, tra cui in primo luogo quelli della Costituzione (solidarietà sociale, libertà di iniziativa economica, tutela del risparmio».
Una volta appurata l’inosservanza da parte dell’intermediario delle speciali regole di condotta124, la sentenza rileva che tale violazione non può essere considerata di scarsa importanza ex art. 1455 c.c.125 e che gli stessi obblighi di comportamento «pur essendo di fonte legale, derivano da norme inderogabili e sono quindi destinati ad integrare a tutti gli effetti il regolamento negoziale vigente tra le parti»; pertanto, sul presupposto che «non vi sono limiti di alcun tipo per un rimedio che interviene ai fini del necessario ripristino delle iniziali posizioni», conclude per la risoluzione del contratto-quadro e per il risarcimento del danno al cliente in misura pari al saldo negativo dei differenziali maturati.
Nella stessa direzione sembra andare anche la pronuncia Trib. Milano, 4 aprile 2014126, la quale ha dichiarato la risoluzione di uno swap rinegoziato127, stipulato da un Ente Locale con un istituto di credito, posto in essere nell’ambito di una procedura negoziale più complessa finalizzata alla «ristrutturazione della posizione di indebitamento in essere con la Cassa Depositi e Presiti» in capo all’Ente medesimo, in quanto, nel caso concreto,
«il contratto derivato […] aveva la funzione precipua di rinviare al futuro le perdite più che assicurare risparmi per la Provincia bilanciati dall’assunzione del rischio. Se ne ricava che il contratto derivato […] proprio per la sua funzione di rimodulazione di minusvalenze implicite nel precedente contratto, che comunque garantiva alla Provincia
Reg. Consob, ovvero anche quando il cliente sia un operatore qualificato». Trib. Milano, 19 aprile 2011, n. 5443, cit.
124 «A fronte di un prodotto non solo acquistato fuori dai mercati regolamentati, ma creato dalla controparte professionale, e derivante da una combinazione di strutture elementari, gli elementi informativi derivanti dagli scritti risultavano del tutto insufficienti, e finanche ingannevoli, se si dava lettura al solo contratto quadro, che non menzionava minimamente soglie di sbarramento, effetto leva, range di protezione, e quant’altro». Trib. Milano, 19 aprile 2011, n. 5443, cit.
125 «Al contrario, esse sono risultate essere di natura tale da compromettere del tutto l’equilibrio del rapporto negoziale. Avevano in effetti riguardo alla diligenza nella protezione dell’interesse fondamentale per cui era nato il contratto tra le parti, ed alla trasparenza ed equità di trattamento in un contesto di gestione di un rapporto in conflitto di interessi: si tratta di aspetti non certo accessori e secondari in relazione all’attitudine a tutelare l’equilibrio del contratto, e che in concreto hanno impedito lo svolgersi di un corretto rapporto sinallagmatico». Trib. Milano, 19 aprile 2011, n. 5443, cit.
126 Il testo integrale della sentenza è reperibile all’indirizzo xxxxxxxxxxxxxxx.xx/xxxxx/xxxxxxx/xxxxx/xxxxxxxx/ trib unale_di_milano_04_aprile_2014.pdf
127 «Era stato il significativo ed imprevisto peggioramento dei tassi di interesse a rendere necessaria tale rimodulazione e non una scorretta strutturazione del secondo derivato». Trib. Milano, 4 aprile 2014, n., cit.
copertura sull’aumento dei tassi di interesse che gravava sull’indebitamento a tasso variabile della Provincia, non può ritenersi coerente»128.
La pronuncia da ultimo citata, peraltro, dopo aver precisato, rispetto al suddetto swap rinegoziato, che «l’accoglimento della domanda risolutoria […] rende superfluo l’esame della domanda di nullità della causa relativa allo stesso negozio», perviene al rigetto della domanda di nullità proposta da parte attrice nei confronti degli altri swap posti in essere nell’ambito della medesima operazione complessa, affermando che gli stessi
«presentavano certamente una causa concreta e del tutto efficiente» e che «l’emergenza del risparmio per la Provincia unitamente all’incasso dell’up front nel primo contratto denotano tutt’altro che squilibrio dell’alea».
È importante evidenziare che la sentenza appena richiamata perviene alle suddette conclusioni muovendo proprio dell’analisi degli obblighi comportamentali: più esattamente, viene affermato che l’indagine sulla congruità del contratto deve essere necessariamente svolta in relazione all’interesse del cliente «rilevante ai sensi dell’art. 21 tuf»129.
Nella seconda prospettiva, invece, si colloca la già menzionata pronuncia della Corte d’Appello di Milano del 18 settembre 2013, n. 3459130.
In relazione al ruolo dell’intermediario nella contrattazione in derivati – e, segnatamente, sugli obblighi di comportamento su di esso gravanti e sulle conseguenze derivanti dalla loro inosservanza –, la Corte d’Appello, in primo luogo, richiama l’opinione dominante in dottrina e giurisprudenza secondo cui «ai sensi dell'art. 21 TUF, è dovere inderogabile dell'intermediario finanziario agire, nella sostanza, quale cooperatore del cliente e nel suo esclusivo interesse, secondo il modello proprio della causa mandati (e non della causa vendendi, con conseguente inoperatività del canone
128 Giova segnalare che il giudice, nel motivare la sentenza sul punto, richiama pedissequamente le risultanze della consulenza tecnica.
129 «Ad avviso del giudicante, pertanto, l’unico profilo concernente l’accertanda violazione di doveri informativi attiene alla congruenza dei contratti conclusi con l’odierna parte convenuta rispetto agli obbiettivi manifestati dalla Provincia, proprio perché in una tale prospettiva rileva la completa, esauriente e puntuale informativa che [la banca] avrebbe dovuto fornire alla controparte; e tale informativa ha significativi riflessi in ordine alla tipologia di contratti offerti e conclusi, il tutto nel perimetro designato dall’art. 23 TUF […]. Occorre quindi, analizzare sinteticamente la struttura di ogni contratto derivato per valorizzarne gli aspetti tecnici dirimenti quanto alla risposta circa la congruità con gli obiettivi di cui alla delibera [della Provincia], posto che nella stessa è condensato , appunto, l’interesse del cliente rilevante ai sensi dell’art. 21 TUF». Trib. Milano, 4 aprile 2014, n., cit.
130 La sentenza integrale è reperibile in xxxxxxxxxxx.xx, nonché all’indirizzo xxxxxx.xx/xxxxxxxxxxxxxx/ archivio/ 9487.pdf.
caveat emptor), cosicché appare, già in astratto, del tutto irrilevante il dato che il cliente sia, in ipotesi, dotato di esperienza professionalmente qualificata (circostanza che, si ripete, è da escludersi nel caso di specie e rispetto alla quale qualsiasi dichiarazione autoreferenziale costituisce mera presunzione semplice), atteso che l'intermediario conserva "intatti" i doveri delineati nell'art. 21 TUF anche in presenza della dichiarazione ex art. 31 Reg. Interm.».
Ciò premesso, e sempre nella prospettiva del rapporto tra cliente e intermediario, la Corte d’Appello individua due modalità di contrattazione ben distinte, nell’ambito delle quali le suddette regole di comportamento sembrerebbero operare in modo differente.
Da un lato, vi è la fattispecie in cui «l'intermediario si limita ad acquistare il prodotto sul mercato quale mero mandatario del proprio cliente».
In tale ipotesi, la tutela ispirata al principio di non interferenza tra regole di comportamento e regole di validità, così come sancito dalla pronuncia delle S.U. del 2007, sembrerebbe conservare la sua efficienza.
Infatti, la Corte d’Appello rileva che gli obblighi informativi attengono «alla esplicitazione dei contenuti del contratto e dell'alea in esso contenuta (che devono essere conosciuti e riversati nel contratto)» e la loro omissione «non involge profili di nullità, ma costituisce solo un inadempimento regolato dai principi che governano le conseguenze della violazione delle norme di condotta dettate dal TUF, ormai definite dagli arretés delle Sezioni Unite».
Al riguardo, la novità rispetto alle precedenti pronunce sul punto è costituita proprio dalla rilevanza attribuita alla standardizzazione del contratto, la quale assume i caratteri di un vero e proprio parametro di valutazione – della meritevolezza del contratto, ex ante; del comportamento dell’intermediario, ex post – a disposizione del giudice: «nei derivati uniformi, la verifica (giurisdizionale) del rispetto regole di condotta dell'intermediario dettate dal TUF e dalla normativa secondaria costituisce l'unica forma di controllo della correttezza delle contrattazioni. Trattandosi di compravendite di strumenti finanziari circolanti sul mercato, e già quotati, non si pone per essi il problema della "misurabilità" dell'alea in essi contenuta e della consapevole condivisione del rischio, ma unicamente un problema di adeguatezza/appropriatezza del prodotto rispetto al profilo di rischio dell'investitore, ovvero di assenza di eventuali conflitti di interesse (secondo il regime ante o post Mifid). Aspetti, questi, che transiteranno negli obblighi informativi (attivi e passivi) cui è tenuto l'intermediario».
Ma l’aspetto più innovativo della pronuncia in esame riguarda la seconda fattispecie rilevante, ossia quella relativa alla specifica contrattazione in derivati over the counter, in cui «l'intermediario è sempre controparte diretta del proprio cliente e "condivide", pertanto, con esso l'alea contenuta nel contratto».
È proprio in relazione a quest’ultima ipotesi, infatti, che il conflitto di interessi tra cliente e intermediario assumerebbe proporzioni abnormi e, finanche, patologiche.
Come si è infatti già segnalato, i derivati finanziari traggono la loro disciplina dal regolamento negoziale elaborato dalle parti: questo è vero sia per i derivati uniformi – in quanto originano comunque dalla prassi –, sia, a maggior ragione, per quelli non standardizzati, rispetto ai quali il rapporto contrattuale si presenta particolareggiato131. Pertanto, con specifico riguardo a questi ultimi, è il contraente forte a definire il contenuto del contratto di cui egli stesso è parte.
In questa logica, la quantità e, soprattutto, la qualità delle informazioni fornite dell’originator sulla concreta operazione contrattuale posta in essere rifluiscono immediatamente sull’oggetto dell’accordo (nella specie, sulla consapevolezza che di questo ne abbia il cliente), e, mediatamente, sulla meritevolezza (e quindi sulla validità) del contratto.
Invero, proprio rispetto al suddetto assunto, la pronuncia in esame presenta profili di contraddittorietà, laddove in un primo momento esclude la sussistenza di un rapporto logico-consequenziale tra la violazione delle regole di condotta e la nullità del contratto132, salvo poi precisare che «non si tratta, bene inteso, di negare rilevanza al ruolo dell'informazione, quale prioritario dovere di condotta dell'intermediario (nel superiore interesse della tutela della fiducia e della integrità dei mercati) ma, com'è proprio del soggetto professionale che predispone i termini della scommessa legalmente autorizzata, di trasferire all'interno della stessa struttura del contratto derivato la rilevanza dei dati che ne caratterizzano l'alea e che contribuiscono a definire, oltre che l'oggetto, la causa, secondo il giudizio di meritevolezza implicitamente formulato dal legislatore della materia».
131 Si pensi, ad esempio, ai «contratti derivati OTC personalizzati ad hoc (bespoke derivatives) che sono difficilmente standardizzabili», i quali, nella logica del Reg. EMIR, «non dovranno necessariamente adeguarsi agli standards di trasparenza richiesti dal legislatore». L. SASSO, L’impatto sul mercato, cit.
132 «La nullità dei contratti di interest rate swap - per il rilevato difetto, in concreto, della causa, ai sensi dell'art. 1418, comma 2 c.c., e per la non meritevolezza, in concreto, degli interessi perseguiti, ai sensi dell'art. 1322, comma 2 c.c. - non rappresenta, quindi, una nullità per violazione di regole di condotta
Al netto delle contraddizioni, la Corte d’Appello afferma che il giudizio di meritevolezza ha ad oggetto una struttura contrattuale nell’ambito della quale è il soggetto professionale a selezionarne e definirne ex ante gli elementi qualificanti.
Il conflitto di interessi tra intermediario e cliente, pertanto, deve interessare l’interprete non solo rispetto al momento che precede la conclusione del contratto, ma anche rispetto alla fase successiva alla stipulazione del medesimo.
Invero, nel ragionamento della Corte d’Appello la questione relativa al rapporto tra le regole di condotta e le regole di validità presuppone la risoluzione di un problema preliminare: quello relativo alla definizione della natura giuridica del contratto derivato otc, in quanto «solo la sua qualificazione giuridica consentirà di chiarire quali elementi appartengano alla causa del negozio e, conseguentemente, stabilire se e quale difetto degli elementi caratterizzanti il contratto valga ed inficiarne la causa, in termini di vizio genetico, ovvero si risolva in una mera violazione delle regole di condotta dell'intermediario».
In questo senso, i giudici della Corte d’Appello di Milano dichiarano di aderire ad una
«recente ed autorevole dottrina specialistica» che qualifica il contratto derivato come una
«scommessa legalmente autorizzata la cui causa, ritenuta meritevole dal legislatore dell'intermediazione finanziaria, risiede nella consapevole e razionale creazione di alee che, nei derivati c.d. simmetrici, sono reciproche e bilaterali».
Il prosieguo del presente studio, pertanto, avrà ad oggetto proprio le conseguenze derivanti dalla riconduzione dei derivati otc speculativi nello schema astratto della scommessa legalmente autorizzata, posto che la questione, a dispetto di quanto asserito dalla stessa Corte d’Appello133, non si pone rispetto ai derivati aventi finalità di copertura134.
In tal senso, non deve infatti essere tralasciato che la composizione degli interessi contrapposti, prima ancora di entrare in conflitto, deve pur sempre avvenire primariamente
dell'intermediario e non è, pertanto, incisa dai principi condivisibilmente statuiti dalle Sezioni Unite con le sentenze nn. 26724 e 26725 del 2007». Corte d’Appello Milano, 18 settembre 2013, n. 3459.
133 Come sarà precisato infra, la sentenza citata dichiara espressamente di non voler far ricorso alla
«prospettiva sfuggente della causa in concreto» e riconduce la questione della funzione concreta svolta dal derivato nell’alveo dei motivi, in quanto tale «del tutto irrilevante», salvo poi affermare che «fermo restando che i contratti non esplicitano né le previsioni sull'andamento dei tassi, né il loro valore iniziale, né la remunerazione dell'intermediario e che, dunque, non emergono i criteri in base ai quali il cliente sarebbe stato in grado di valutare la convenienza del contratto intesa nel senso di una assunzione "razionale" dell'alea secondo i principi sopra esposti, la funzione di copertura del prodotto - pacificamente riconosciuta come causa "concreta" del contratto - appare, nella specie, fortemente dubbia».
nel rispetto delle regole previste in via generale per l’esercizio dell’autonomia privata, oltre che di quelle consolidatesi nella prassi contrattuale internazionale e nazionale135.
Come si è infatti già rilevato, nel nostro ordinamento l’autonomia negoziale possiede di per sé alcuni limiti intrinseci136: in particolare, il citato art. 1322, comma 2, c.c. sancisce il principio secondo cui i contratti non appartenenti ai tipi espressamente previsti e disciplinati dal legislatore devono ritenersi ammissibili, a condizione che siano «diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l'ordinamento giuridico».
Occorre quindi comprendere se i derivati aventi finalità speculativa, seppure inquadrati nello schema astratto delle scommesse legalmente autorizzate, siano in concreto meritevoli di tutela.
134 B. INZITARI, Swap (contratto di), cit., 620; E. FERRERO, Contratto differenziale, cit., p. 489.
135 Cfr. E. FERRERO, Profili civilistici dei nuovi strumenti finanziari, cit., p. 648, secondo cui «stock index futures, domestic currency swaps e interest rate swaps trovano dunque la loro disciplina, oltre che nel regolamento negoziale predisposto dalle parti, nelle norme generali in materia contrattuale e nella prassi internazionale, anche in quelle relative ai singoli contratti tipici, applicabili in quanto compatibili».
136 E. GIRINO, I contratti derivati, (ed. 2001), cit., p. 213.
Capitolo III
ALEATORIETÀ, RAZIONALITÀ E ASTRATTEZZA DEI DERIVATI FINANZIARI
SOMMARIO: 1. Introduzione. – 2. I derivati come «contratti aleatori». – 2.1. Il «contratto aleatorio» e la nozione di «alea». – 2.1.1. I «contratti aleatori» come «categoria contrattuale» – 2.1.2. La negoziabilità dell’alea naturale. – 2.1.3. I contratti «aleatori per natura» (o «essenzialmente aleatori»). – 2.1.4. I contratti
«aleatori per volontà delle parti». – 2.1.4.1. (Segue) La vendita di cosa futura e la cosiddetta «emptio spei» nel diritto romano; la futurità come «assenza» della res. – 2.1.4.2. (Segue) La vendita di cosa futura nel codice civile; la futurità come «inesistenza» della cosa. – 2.1.5. La disciplina civilistica sugli effetti dei contratti aleatori. – 2.2. La distinzione tra «alea unilaterale» e «alea bilaterale»: irrilevanza giuridica. – 3. L’alea tra oggetto e causa del contratto; la causa e l’oggetto dei contratti derivati. – 4. Causa del contratto e causa dei derivati: premessa. – 4.1. Le funzioni dei contratti derivati e il problema della qualificazione. –
4.1.1. La tesi soggettiva: il derivato come contratto «naturalmente» di copertura suscettibile di essere alterato in senso speculativo. – 4.1.2. La tesi oggettiva: i derivati come contratti sinallagmatici. L’irrilevanza della funzione. – 4.1.3. La tesi semi-oggettiva: la connessione tra il rapporto sottostante e il contratto derivato nella prospettiva della causa concreta. – 4.1.4. (Segue) La qualificazione dei contratti derivati nella prospettiva della causa in concreto «può rivelarsi sfuggente». – 4.2. La disciplina civilistica del giuoco e della scommessa: cenni introduttivi. – 4.2.1. La regola generale della «denegatio actionis»: fondamento e ambito di applicazione. – 4.2.2. I controversi rapporti tra i contratti derivati e la scommessa. – 4.2.3. I contratti derivati come «scommesse legalmente autorizzate» ex art. 1 e 23, comma 5, tuf. – 5. L’alea razionale. – 6. L’oggetto dei contratti derivati. – 6.1. (Segue) Considerazioni a margine dell’oggetto del contratto; il problema dei cosiddetti «costi impliciti». –7. Il «nesso di derivazione» tra «finanziarietà» e «astrattezza pura».
1. Introduzione.
Nelle pagine che precedono si è messo in evidenza quale sia il ruolo svolto dal fattore tempo nell’ambito dei derivati finanziari1; si è altresì posto l’accento sul ruolo svolto dall’autonomia privata, in ragione della quale le parti programmano un valore differenziale2 in funzione di uno scopo protettivo o speculativo3.
Muovendo da tale prospettiva, occorre ora soffermarsi sulle principali questioni sollevate dai contratti derivati ed esaminate dalla dottrina e dalla giurisprudenza più recenti, e in particolare, dalla citata pronuncia della Corte d’Appello di Milano del 18 settembre 2013, n. 3459, secondo la quale nel derivato «l’oggetto del contratto è costituito da uno scambio di differenziali a determinate scadenze, mentre la sua causa risiede in una scommessa che entrambe le parti assumono e nello scambio di rischi conseguente».
1 V. cap. I, § 1.2.
2 Sul punto, v. E. GIRINO, I contratti derivati, cit., passim, nonché, supra, Cap. I, passim.
3 Cfr. cap. I, § 2.2.3.
2. I derivati come «contratti aleatori».
Nei contratti derivati, come si è anche poc’anzi ribadito, assume una peculiare rilevanza il fattore tempo: è soltanto alla scadenza del termine previsto nel contratto, infatti, che potrà essere determinata la parte alla quale attribuire il diritto di credito e quella sulla quale incomba la correlativa posizione debitoria4.
La suddetta circostanza, variamente declinata, ha indotto la dottrina prevalente e la giurisprudenza assolutamente maggioritaria a ricondurre tali contrattazioni nel più ampio genus dei «contratti aleatori»5.
4 Ex multis, v. B. INZITARI, Swap (contratto di), cit., p. 614; v. anche L. BALESTRA, Il giuoco e la scommessa nella categoria dei contratti aleatori, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2011, III, p. 674: «l’alea – o meglio, l’evento incerto – è volta a consentire l’identificazione del soggetto tenuto ad eseguire la prestazione dedotta contrattualmente».
5 Ex multis, in ordine cronologico, v. B. INZITARI, Swap (contratto di), cit., p. 614: «il principale elemento ricorrente e caratterizzante il contratto di swap è costituito dal fatto che l’obbligo delle parti di corrispondere all’altra la prestazione da ciascuna di essa dovuta, sorge o per lo meno diviene attuale ed esigibile solamente con il verificarsi di determinati eventi quali l’apprezzamento o deprezzamento del rapporto di cambio di una valuta rispetto ad un’altra, oppure gli incrementi o decrementi del livello di un tasso variabile. In base al verificarsi di siffatti eventi, tale obbligazione sorgerà a carico dell’uno o dell’altro partner contrattuale, mentre dalla entità delle variazioni del rapporto di cambio o del tasso preso in considerazione dipenderà a sua volta la stessa entità della predetta obbligazione. L’aleatorietà contraddistingue dunque il contratto in parola in quanto la distribuzione della prestazione principale tra le parti contraenti, come anche la determinazione del suo ammontare, dipende dal verificarsi di un evento incerto e comunque in nessun modo influenzabile dalle parti»; M. C. MALANDRUCCO, Rischio finanziario e contratti di swap, cit., p. 474, che sempre in tema di swap rileva che «dall’analisi degli schemi contrattuali emerge invece un costante tratto caratterizzante la fattispecie: l’aleatorietà delle prestazioni, che vengono determinate “da un fatto del tutto estraneo alla volontà delle parti”. Tale nota non è tuttavia riconosciuta da chi presta adesione all’idea secondo cui l’alea in senso tecnico non consiste in un rischio economico, ma nell’essere l’esistenza o la misura della prestazione subordinata ad un evento futuro e incerto»; R. CAVALLO BORGIA, Le operazioni su rischio di cambio, cit., p 2424: «l’aleatorietà […] contraddistingue il contratto di domestic swap, a causa della innegabile deduzione nel suo contenuto contrattuale dell’evento futuro, incerto ed in nessun modo influenzabile dalle parti, relativo alla variazione dei tassi di cambio»; L. VALLE, Contratti futures, cit., pp. 346-347: «a proposito della natura giuridica dei contratti futures si è anche operata un’analisi sulla loro natura o meno di contratti aleatori, sulla base dell’assunto che aleatorio sia il contratto in cui un evento incerto incide sull’esistenza o sulla determinazione di una prestazione, sull’an o sul quantum di essa. Si è concluso affermando che sicuramente aleatori sarebbero i futures liquidati per differenze, ossia quelli su indici […]. Si ritiene inoltre che non solo il future sull’indice ma anche quello sui titoli di Stato si profili come contratto aleatorio, pure con riguardo alla sua esecuzione finale»; F. BOCHICCHIO, I contratti in strumenti derivati e la disciplina del mercato mobiliare tra regolamentazione dell’attività di impresa e valutazione dell’intento soggettivo, in Giur. comm., 1996, I, p. 593-594:
«l’inclusione nella categoria di strumenti derivati, vale a dire di investimenti finanziari con il contenuto determinabile, non di per sé, ma anche con riferimento ad altri investimenti finanziari […] rende strumenti aleatori per antonomasia oggetto dell’attività di intermediazione mobiliare e quindi destinati al pubblico dei risparmiatori. Si vuole evidentemente consentire ai risparmiatori di cogliere delle possibilità lucrative particolarmente interessanti del mercato, con i correlativi rischi ed alee»; R. AGOSTINELLI, Le operazioni di
Orbene, giova subito segnalare che, in generale, il problema sulla natura aleatoria o commutativa del contratto assume rilevanza principalmente in ordine alla possibilità di applicare o meno i rimedi rieliquibratori di cui agli artt. 1467-1468 – finalizzati, com’è noto, a neutralizzare l’eccessiva onerosità sopravvenuta nei contratti sinallagmatici (art. 1467 c.c.) e in quelli con obbligazioni di una sola parte (art. 1468 c.c.) – e 1448 c.c. – dedicato, com’è altrettanto noto, all’azione generale di rescissione per lesione –6: rimedi, appunto, riservati ai contratti commutativi ed espressamente esclusi per quelli aleatori, rispettivamente, dagli artt. 1469 e 1448, comma 4, c.c.
Per quanto riguarda poi i contratti derivati, in giurisprudenza – nelle rare volte in cui è venuta direttamente in rilievo la questione sull’applicazione dei suddetti rimedi – è possibile riscontrare un atteggiamento tendenzialmente acritico rispetto agli approdi della
swap, pp. 123-124, secondo il quale «lo swap è senz’altro un contratto aleatorio: la prestazione (almeno) di una delle parti, infatti, dipende da un evento futuro ed incerto quale appunto la fluttuazione, tra la data di conclusione del contratto e la data di esecuzione dello stesso, (del o) dei parametri presi in considerazione (un certo tasso di interesse, ad esempio) […]. Ciò non significa che lo stesso comporti ex se un rischio in senso economico»; M. LEMBO, La rinegoziazione dei contratti derivati, cit., pp. 356-355: «il contratto risulta essere frutto di un’elaborazione dottrinale che lo vuole […] aleatorio (con la conseguenza che non sono applicabili le norme generali in materia di risoluzione per eccessiva onerosità)»; M. COSSU, Domestic curency swap, cit., p. 168, la quale individua nello swap il carattere della «aleatorietà economica, anche a prescindere dalla qualificabilità come contratto aleatorio»; A. TUCCI, La negoziazione degli strumenti finanziari derivati, cit., per il quale «le operazioni di investimento in derivati sono contraddistinte da una fisiologica e insopprimibile componente aleatoria. Per vero, si potrebbe aggiungere, una componente aleatoria è immanente al concetto stesso di investimento di natura finanziaria»; E. GIRINO, Alea e trasparenza nella contrattualistica derivata: nuovi progressi giurisprudenziali, in Banca, borsa, tit. cred., 2013, I, pp. 92 ss. e in e in xxxxxxxxxxx.xx, passim; P. CORRIAS, Garanzia pura e contratti di rischio, cit., pp. 279-281 e, Id., I contratti derivati finanziari nel sistema dei contratti aleatori, cit, passim. Per quanto riguarda la giurisprudenza, cfr. A. PIRAS, Contratti derivati, cit., p. 2229, il quale afferma che «non si registrano voci dissenzienti in giurisprudenza». In ogni caso, v., su tutte, Corte Costituzionale, 18 febbraio 2010, n. 52, secondo la quale «è innegabile che i derivati finanziari scontino un evidente rischio di mercato, non preventivamente calcolabile», trattandosi di «un contratto con caratteristiche fortemente aleatorie»; v. anche Cass. civ., Sez. I, 19 maggio 2005, n. 10598: «è normalmente riconosciuto il carattere aleatorio del contratto»; tra le varie pronunce di merito, v. in particolare Trib. Lanciano, 6 dicembre 2005, in Giur. comm., 2007, I, p. 132, con nota di GILOTTA, dove l’interest rate swap viene appunto definito come
«contratto tipicamente aleatorio». Tra coloro che invece negano che i contratti derivati abbiano natura aleatori, v. E. GABRIELLI, Contratti di borsa, contratti aleatori e alea convenzionale implicita, in Banca, borsa, tit. cred., 1986, I, p. 575 – secondo il quale i contratti di borsa, in generale, sarebbero contratti commutativi «ad alea normale illimitata» –; E. FERRERO, Profili civilistici dei nuovi strumenti finanziari, cit., pp. 638-641: «l’incertezza relativa all’entità e alla stessa distribuzione della prestazione principale ha indotto parte della dottrina ad affermarne l’ammissibilità ai contratti aleatori», ma deve essere essere
«negata la riconducibilità alla categoria dei contratti aleatori»; F. CAPUTO NASSETTI, Un salto indietro di trent’anni, cit., p. 298.
6 A. PIRAS, Contratti derivati, cit., p. 2228.
dottrina e, in particolare, meramente adesivo a quell’orientamento assolutamente maggioritario che inquadra i derivati nell’ambito dei contratti aleatori7.
In ogni caso, deve essere osservato che la questione sull’applicazione dei rimedi di cui si discorre non sembra avere, di per sé, particolare rilevanza rispetto al tema dei contratti derivati: in primo luogo, perché nella prassi l’esperibilità dei medesimi – e, nello specifico, della risoluzione per eccessiva onerosità – viene di solito esclusa nei contratti in
7 Cfr. supra, in questo stesso paragrafo, in nota. Per un caso recente, v. Trib. Milano, 22 gennaio 2014, n. 1419, in xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx.xx: «l'attore ha prospettato la riconducibilità della oscillazione al ribasso dei titoli in discussione (e la conseguente eccessiva onerosità della sua prestazione) alla “grave crisi economica mondiale” successiva al “fallimento del colosso Lehman Brothers”, crisi manifestatasi in tutta la sua intensità nei mesi successivi alla stipulazione del negozio […] ed, a suo dire, integrante quindi “il verificarsi di eventi straordinari e imprevedibili” al quale l'art. 1467 c.c. ricollega la risolubilità del contratto per eccessiva onerosità […]. Tale prospettazione non appare condivisibile, né in linea generale né in concreto: – per il primo profilo trattandosi di prospettazione […] del tutto generica e basata sul mero assunto del collegamento tra la crisi economica mondiale e il deprezzamento del titolo […], assunto rimasto privo di alcun riscontro ed, anzi, smentito dalla documentazione fornita dal convenuto circa l'andamento al rialzo […]; – per il secondo profilo, poi, trattandosi di prospettazione che in realtà cozza con l'andamento del titolo […] quale documentato dal convenuto, senza alcuna smentita avversaria […], ogni collegamento tra il successivo ribasso del titolo e la crisi mondiale […] appare da un lato arbitrario e, in ogni caso, non certo imprevedibile, quanto al futuro, per i due odierni litiganti, i quali proprio nell'ottobre 2009 [n.d.a.: ossia, un anno dopo il fallimento della Lehman Brothers] hanno protratto la scadenza del rapporto essendo ben consapevoli – secondo nozioni di comune esperienza tanto più per soggetti entrambi quantomeno non digiuni del mercato borsistico se non addirittura esperti dello stesso – della fase recessiva mondiale iniziata nel 2008. Nel caso di specie deve quindi ritenersi che l'attore non abbia adeguatamente dimostrato il fatto costitutivo della sua domanda, vale a dire una consistenza della sua obbligazione divenuta eccessivamente onerosa in dipendenza di eventi straordinari e imprevedibili piuttosto che in dipendenza delle "normali" oscillazioni del titolo conseguenti a fattori "fisiologici" quali l'andamento della impresa sociale ovvero del mercato specifico e borsistico. Conclusione, questa, che richiama poi l'ulteriore condivisibile considerazione del convenuto, circa il contenuto del contratto in discussione. A prescindere, infatti, dalla qualificazione del contratto […] quale negozio aleatorio (con conseguente inapplicabilità, ex art. 1469 c.c., dell'istituto della risoluzione per eccessiva onerosità) ovvero quale negozio commutativo (cui solo può essere riferita la disciplina ex art.1467 c.c.) 3 , va infatti osservato: – che, in ogni caso, la struttura di tale contratto consiste nella dipendenza (o derivazione, appunto) del contenuto della prestazione di una delle parti dalla variazione di dati economici (il c.d. sottostante) – sicché, comunque, nel caso di specie la variabilità dell'andamento del titolo appare di per sé inerente all'oggetto del contratto – in ogni caso, dunque, non legittimando la risoluzione per eccessiva onerosità alla stregua della disciplina di cui al secondo comma dell'art. 1467 c.c. la quale, appunto esclude tale rimedio laddove “la sopravvenuta onerosità rientra nell'alea normale del contratto” […]. Anche per il profilo strutturale da ultimo richiamato va quindi esclusa la risolubilità del negozio per eccessiva onerosità laddove, come nel caso di specie, non sia dimostrato che tale lamentata onerosità discenda da eventi di per sé straordinari e non prevedibili, in quanto diversi dalle normali oscillazioni di valore del sottostante, la cui variabilità rappresenta appunto elemento connesso alla causa del negozio. Le domande dell'attore vanno dunque rigettate, al riguardo dovendosi solo ancora aggiungere, quanto al rilievo dell'attore in ordine alla mancata espressa esclusione ad opera delle parti del rimedio ex art.1467 cc, che tale mancata espressa esclusione non appare comunque dirimente attesa la complessiva oggettiva struttura del negozio come sopra delineata».
parola dalle parti8; in secondo luogo, perché gli stessi rimedi vengono ritenuti comunque inapplicabili anche da quella minor parte della dottrina che qualifica i derivati in termini di commutatività9.
In particolare, gli Autori dell’orientamento da ultimo citato ritengono che il rimedio di cui all’art. 1467 c.c. non troverebbe applicazione, pur dovendosi classificare il contratto come «commutativo», in quanto «la variazione dei tassi di interesse o di cambio non può considerarsi un avvenimento straordinario e nel contempo imprevedibile. Anzi è proprio la variabilità degli stessi che sta a monte della causa negoziale e che giustifica lo scambio delle obbligazioni di pagamento determinate o determinabili in base a tali parametri»10.
Superate nel senso suddetto le questioni più strettamente attinenti al piano rimediale, giova ora soffermarsi sulle conseguenze – queste sì – dirimenti che l’inquadramento dei derivati nella categoria11 dei contratti aleatori comporta in punto di qualificazione12.
8 V. SANGIOVANNI, I contratti derivati fra normativa e giurisprudenza, in Nuova giur. civ. comm., 2010, I, p. 45: «nella prassi è frequente che i contratti derivati contengano la clausola di esclusione della risoluzione per eccessiva onerosità»; v. anche Trib. Lanciano, 6 dicembre 2005, cit., p. 133, dove si dà atto che «l’eccessiva onerosità è esclusa dalla natura aleatoria del contratto, oltre che dai patti espressi». In una posizione intermedia si pone D. PREITE, Recenti sviluppi in tema di contratti differenziali semplici, cit., p. 186: «mi sembra tuttavia debba escludersi il carattere intrinsecamente aleatorio del contratto, giacché le due prestazioni sono entrambe certe e totalmente determinate; ciò che può variare è – come in qualsiasi compravendita – il valore della valuta di riferimento delle parti. Sarà quindi opportuno che le parti prevedano espressamente la non applicabilità della risoluzione per eccessiva onerosità di cui all’art. 1467 c.c., anche se essa può apparire implicita nella funzione che il contratto svolge per le parti».
9 Cfr. anche Trib. Milano, 22 gennaio 2014, n. 1419, cit. Per una posizione intermedia, v. D. PREITE, Recenti sviluppi in tema di contratti differenziali semplici, cit., p. 186: «mi sembra tuttavia debba escludersi il carattere intrinsecamente aleatorio del contratto, giacché le due prestazioni sono entrambe certe e totalmente determinate; ciò che può variare è – come in qualsiasi compravendita – il valore della valuta di riferimento delle parti. Sarà quindi opportuno che le parti prevedano espressamente la non applicabilità della risoluzione per eccessiva onerosità di cui all’art. 1467 c.c., anche se essa può apparire implicita nella funzione che il contratto svolge per le parti».
10 Così F. CAPUTO NASSETTI, Un salto indietro di trent’anni, cit., p. 298. Invero, deve essere segnalato che tale impostazione era già stata prospettata da F. CHIOMENTI, Cambi di divise a termine, in Riv. dir. comm., 1987, I, pp. 49-50, il quale ha affermato che i contratti di currency swap «non sono assoggettabili a risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta (art. 1467 c.c.). a questa soluzione si perviene, a mio avviso, quand’anche, come mi sembra fondato, si escludano questi contratti nell’ambito dei contratti aleatori (art. 1469 c.c.), aderendo alla tesi secondo cui l’alea in senso tecnico non consiste in un rischio in senso economico, che rende incerto il valore delle prestazioni in sé e nei rapporti fra loro, bensì nell’essere la misura fisica della prestazione o l’esistenza di essa subordinate ad un evento futuro e incerto. Rimane infatti, come altri ha osservato, che al di fuori dei contratti aleatori “non risoluzione non può essere domandata se la sopravvenuta onerosità rientra nell’alea normale del contratto”». Sempre sul punto, v. anche quanto verrà detto infra in questo capitolo.
11 Sulla nozione di «categoria contrattuale», giova richiamare V. BUONOCORE, Le categorie contrattuali alla luce della disciplina comunitaria, cit., p. 133, il quale definisce detta nozione come «un modo di essere della realtà, cui è legata una funzione logica e ontologica, e non una struttura del nostro intelletto
A tal fine, sembra preliminarmente opportuno chiarire cosa debba intendersi esattamente per «contratto aleatorio».
2.1. Il «contratto aleatorio» e la nozione di «alea».
L’esame della locuzione «contratto aleatorio» è stata tradizionalmente impostata dagli interpreti come indagine sulla possibilità di attribuire o meno un «significato rigorosamente tecnico»13 al termine «alea»14.
Orbene, il termine «alea» deriva dall’omonima parola latina, con la quale si indicava il
gioco dei dadi15; gioco che, com’è notorio, viene costruito sull’incertezza del risultato16.
strumentale alla conoscenza della realtà»; sul punto, v. quanto detto più diffusamente nel cap. I, in particolare § 2.2
12 S. GILOTTA, In tema di interest rate swap, cit., p. 145: «la questione, com’è di tutta evidenza, risulta strettamente correlata alla problematica dei rapporti tra swap ed eccezione di gioco e scommessa, ed anzi rispetto a quest’ultima potrebbe definirsi per certi versi “pregiudiziale”. Più in particolare, sembra sussistere una vera e propria “interferenza” sistematica tra l’opzione qualificatrice in esame e la problematica, parallela, dei rapporti con l’eccezione di gioco e scommessa; qualificare infatti il contratto di swap come commutativo, ed al contempo predicarne l’assimilabilità, o quantomeno la parziale sovrapponibilità, con la scommessa, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 1933 c.c., determina un’indiretta aporia a livello sistematico, poiché, secondo quanto generalmente accolto a livello di teoria generale, i contratti di gioco e scommessa si situano all’interno della categoria dei contratti aleatori, costituendone anzi insieme all’assicurazione esempio classico; ciò che rende la ricostruzione esegetica operata dall’interprete intrinsecamente più debole». Il tema della qualificazione verrà più volte ripreso e approfondito infra, passim.
13 Così A. PINO, Contratto aleatorio, contratto commutativo e alea, in Riv. Trim. dir. proc. civ., 1960, p.
1248.
14 L. BALESTRA, Il giuoco e la scommessa, cit., pp. 666-667: «la ricostruzione dell’esatto ambito applicativo delle molteplici categorie contemplate nella disciplina vigente sui contratti in generale è dunque nel codice vigente rimessa all’attività dell’interprete, cui è stato restituito il compio di “definire le voci del diritto, e determinarne le significazioni”. Il radicale rovesciamento di prospettiva, per effetto del quale le categorie – sotto il profilo dei contenuti e, quindi, dei tipi da includervi – sono semplicemente presupposte, riguarda anche i contratti aleatori […]. Il codice civile, dunque, enuncia la categoria […] ma non la identifica, demandando all’interprete il relativo compito. Compito non facile da assolvere […]».
15 Così G. SCALFI, voce Alea, Digesto, disc. priv., sez. civ., I, Torino, 1987, p. 253; v. anche A. GAMBINO, L’assicurazione nella teoria dei contratti aleatori, Milano, 1964, p. 32, che «l’aleatorium indicava la stanza nella quale di giuocava a dadi»; precisa L. BALESTRA, Il giuoco e la scommessa, cit., p. 673 che: «nel significato originario, sebbene non siano mancate incertezze al riguardo, il termine alea indicava proprio il giuoco e, segnatamente, il giuoco dei dadi che, secondo quanto narrato da Isidoro, sarebbe stato inventato ai tempi della guerra di Troia da un soldato dal nome Alea (alea est ludus tabulae inventa a Graecis in otio troiani belli, a quodam milite, nomine Alea, a quo et ars nomen accipit)». In questa prospettiva, non appare del tutto condivisibile l’affermazione secondo la quale «il diritto romano non conosceva il termine alea» (così G. DI GIANDOMENICO, L’origine storica del contratto aleatorio, in I contratti speciali. I contratti aleatori, di G. Di Giandomenico e D. Riccio, in Trattato di diritto privato, diretto da M. Bessone, XIV, Torino, 2005, p. 11, il quale – muovendo da questo presupposto – incentra poi il prosieguo della trattazione sull’affine, ma pur sempre diverso, concetto di periculum), posto ma che la societas romana conosceva
Così, nel linguaggio comune, il vocabolo «alea» viene ancora oggi impiegato come sinonimo di «incertezza», ossia per indicare una situazione «che può svolgersi in favore o in sfavore di una persona, oppure ad un tempo in favore di una e a sfavore di un’altra e viceversa»17.
Invero, secondo Autorevole dottrina il linguaggio comune sarebbe stato influenzato da quello tecnico-legale: infatti, mentre il termine «alea» compare nei dizionari della lingua italiana solo nei primi anni del ‘90018, la locuzione «contratto aleatorio» era già stata impiegata dai giuristi di fine ‘700 prima in contrapposizione all’altra categoria dei
«contratti commutativi»19 poi come alternativa per riferirsi ai «contratti di sorte»20.
eccome questo concetto. E se è noto che per i romani valeva il noto principio «ubi homo, ibi societas. Ubi societas, ibi ius. Ergo ubi homo, ibi ius», allora il problema sarà quello di comprendere se e in che misura l’alea che connotava quel particolare gioco, che è appunto un fenomeno sociale, avesse rilevanza per il diritto romano.
16 «Il giuoco è costruito su un evento incerto, e cioè sul risultato, che può essere favorevole o sfavorevole per il giocatore»: G. SCALFI, voce Alea, cit., p. 253.
17 G. SCALFI, voce Alea, cit., p. 253. A ben vedere, all’origine dell’attuale nozione di alea vi sarebbe un sillogismo: «alea significa dado»–«il gioco dei dadi è incerto»–«alea significa incertezza». Orbene, è appena il caso di segnalare che nella linguistica italiana tale fenomeno prende tecnicamente il nome di «mutamento semantico per metonimia […]. La metonimia è la creazione di un nuovo significato per contiguità con quello precedente»: al riguardo, v. G. GRAFFI – S. SCALISE, Le lingue e il linguaggio. Introduzione alla linguistica, Bologna, 2003, p. 267.
18 «Questa metamorfosi nel significato della parola e dei concetti è tarda, nel linguaggio comune: p. es. non la si trova indicata nel vocabolario Tramater (1929): l’accezione sarà segnalata più tardi, con riferimento all’uso legale e commerciale della parola: “rischio eventuale cui va incontro chi firma un contratto per possibili perdite o luci” si legge nel dizionario Petrocchi del 1912. Il linguaggio comune era stato preceduto da quello legale». G. SCALFI, voce Alea, cit., p. 254.
19 La locuzione «contratti aleatori» sarebbe stata verosimilmente coniata da R. J. Pothier (1699-1772): nell’articolo preliminare del Trattato del contratto di assicurazione viene infatti affermato che «les contrats de vente, de louage, de société, de même que ceux de constitution de rente perpétuelle et de change, dont nous avons traité jusqu’à présent, sont les principales espèces des contrats commutatifs. Il faut passer maintenant aux contrats aléatoires. Les contrats aléatoires sont ceux dans lesquels ce que l’un donne ou s’oblige de donner à l’autre, est le prix d’un risque dont il l’a chargé. Ces contrats conviennent avec les commutatifs, en ce qu’ils sont, comme ceux-ci, intéressés de part et d’autre. Chacun des contractans ne s’y propose que son intérêt propre, et n’entend point accorder un bienfait à l’autre; en quoi ils diffèrent des contrats de bienfaisance. Les contrats alèatoires diffèrent des commutatifs, en ce que, dans les commutatifs, ce que chacun des contractans reçoit, est le juste èquivalent d’une autre chose qu’il a donnée de son côté, cu qu’il s’est obligé de donner à l’autre; au lieu que, dans les contrats aléatories, ce que l’un des contractans reçoit, n’est pas l’equivalent d’une chose qu’il ait donnée, ou qu’il se soit obligé de donner; mais l’equivalent du risque dont il s’est chargé, suscepti periculi pretium» («i contratti di vendita, di locazione, di società, come pur quelli di costituzione di rendita perpetua e di cambio de’ quali abbiam trattato fin ora, sono le principali specie di contratti commutativi. Conviene ora passare ai contratti aleatorj. I contratti aleatorj sono quelli de’ quali ciò che l’uno dà, o si obbliga di dare all’altro, è il prezzo di un rischio che gli ha addossato. Questi contratti sono eguali ai contratti commutativi in quanto che, come questi, sono interessati dall’una e dall’altra parte. Ciascuno de’ contraenti non si propone che il suo proprio interesse e non intende di accordare un benefizio all’altro; nel che essi differiscono dai contratti di beneficenza. I
La stessa locuzione sarebbe poi transitata prima nel Code Napoléon del 180421 e poi nel codice civile italiano del 1865, dove la stessa sarebbe stata mantenuta sempre in contrapposizione a «contratti commutativi»22.
contratti aleatorj differiscono dai commutativi in ciò, che ne’ commutativi ciò che ciascun contraente riceve è il giusto equivalente di un’altra cosa ch’egli ha dato o che si è obbligato di dare all’altro; in vece che ne’ contratti aleatorj ciò che l’uno de’ contraenti riceve non è l’equivalente d’una cosa ch’egli ha data o che si è obbligato di dare, ma l’equivalente di un rischio ch’ei si è addossato, suscepti periculi pretium»). R. J. POTHIER, Trattato del contratto di assicurazione, trad. it., Napoli, 1836, vol. I, pp. 29-30.
20 Invero, negli studi giuridici ottocenteschi compare frequentemente la locuzione «il contratto di sorte, ossia aleatorio». Tra i tanti, v. ad esempio la definizione di «contratto di sorte» di F. FORAMITI, voce Contratti di sorte (diritto civile), in Enciclopedia legale ovvero repertorio alfabetico, vol. II, Napoli, 1864, p. 392: «i contratti di sorte chiamansi anche aleatorii dalla voce latina alea, con cui significar si vuole un atto, nel quale la fortuna predomina. I giureconsulti romani ce ne offrono degli esempi ne’ contratti, coi quali si compra e vende la tratta delle reti, la presa degli uccelli o del selvaggiume e simili».
21 Il Code Napoléon del 1804 è quello tuttora vigente in Francia, nonostante gli adattamenti che si sono resi necessari nel tempo. E in questa sede giova rilevare che proprio le definizioni di «contratto commutativo» e di «contratto aleatorio» sono rimaste sostanzialmente immutate. Al riguardo, in primo luogo viene in rilievo l’art. 1104, collocato nelle disposizioni preliminari sui contratti e sulle obbligazioni convenzionali in generale del codice civile francese, nel quale si afferma che «il est commutatif lorsque chacune des parties s'engage à donner ou à faire une chose qui est regardée comme l'équivalent de ce qu'on lui donne, ou de ce qu'on fait pour elle. Lorsque l'équivalent consiste dans la chance de gain ou de perte pour chacune des parties, d'après un événement incertain, le contrat est aléatoire» («il contratto è commutativo quando ciascuna delle parti si impegna a procurare all’altra un vantaggio che è considerato come equivalente di quello che riceve. Il contratto è aleatorio quando le parti non perseguono l’equivalenza delle prestazioni convenute e accettano la possibilità di un guadagno o di una perdita per entrambe o per una di esse in dipendenza dell’avveramento di un evento incerto»); degno di menzione è anche il successivo art. 1964, che apre il Titolo XII («des contrats aléatoires») del Libro III («des différentes manières dont on acquiert la propriété») del c.c. francese, dove viene definita la struttura del contratto aleatorio e ne vengono elencati i tipi: «le contrat aléatoire est une convention réciproque dont les effets, quant aux avantages et aux pertes, soit pour toutes les parties, soit pour l'une ou plusieurs d'entre elles, dépendent d'un événement incertain. Tels sont: le contrat d'assurance, le jeu et le pari, le contrat de rente viagère» («il contratto aleatorio è una convenzione reciproca i cui effetti, quanto ai guadagni e alle perdite, sono per tutte le parti, sia per una o per più di esse, dipendenti da un evento incerto. tali sono: il contratto di assicurazione, il gioco e la scommessa, il contratto di rendita vitalizia»). Occorre precisare che l’articolo da ultimo citato è stato recentemente modificato dall’art. 10 della loi n. 2009-526 du 12 mai 2009 de simplification et de clarification du droit et d’allègement des procédures: tuttavia, la novella in questione ha comportato l’espunzione dal testo della norma sia del «prêt à grosse aventure» – ossia il «prestito a tutto rischio» –, sia del richiamo all’applicabilità «dans lois maritimes au contrat d'assurance», mentre la parte sulla struttura generale del contratto aleatorio è rimasta invariata. Preme sottolineare come nella definizione del Code Napoléon l’aleatorietà non sia affatto correlata alla nozione di pericolo, né tantomeno a quello di rischio, bensì a quella di chance: e la chance «evoca un concetto intrinseco di aleatorietà, richiamando un giudizio prognostico, destinato a non poter essere mai reso, sulla possibilità di raggiungere un risultato. L’aleatorietà, in particolare, tocca il raggiungimento del risultato sperato, che si pone quale evento che avrebbe potuto prodursi, ma il cui sopraggiungere è comunque indimostrabile […]. Superata la originaria impostazione, secondo cui “la chance ha un certo valore sociale notevole, ma non un valore di mercato” [n.d.a. così G. Pacchioni, nel 1940], oggi si tende ad assegnare alla stessa un valore economico». In questi termini F. CARINGELLA, Studi di diritto civile, Obbligazioni e contratti, vol. III, Milano, 2007, p. 266, il quale – come praticamente tutta la dottrina e la giurisprudenza degli ultimi anni – esaminano il tema della
Anche il codice civile del 1942 menziona, senza tuttavia definirli, i contratti aleatori; e lo fa in norme di notevole rilevanza sistematica23.
Il riferimento è, in particolare, ai sopraccitati artt. 1448, comma 4 (il quale stabilisce che «non possono essere rescissi per causa di lesione i contratti aleatori») e 1469 (rubricato proprio «contratto aleatorio», nel quale viene previsto che le norme che disciplinano la risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta «non si applicano ai contratti aleatori per loro natura o per volontà delle parti») c.c., nonché al 2° comma dell’art. 1472 c.c. (dedicato, com’è noto, alla «vendita di cosa futura»), che sancisce la nullità24 del contratto se la cosa non viene ad esistenza, salvo che «le parti non abbiano voluto concludere un contratto aleatorio»).
Evidentemente, risolvere la questione dell’inquadramento della categoria dei «contratti aleatori» facendo semplicemente riferimento al significato comune del termine «alea» non può soddisfare l’interprete.
In questa prospettiva, una prima tesi ha ritenuto che «la nozione di alea è teoricamente e praticamente inidonea alla determinazione dei contratti aleatori, sia per quanto concerne la natura giuridica, sia per quanto concerne la struttura»25.
Più esattamente, secondo tale orientamento la nozione di alea sfuggirebbe da qualsiasi tentativo di puntuale concettualizzazione26: essa rileverebbe, al pari di altre nozioni
chance nella sola prospettiva risarcitoria, e quindi in un contesto di patologia del rapporto: nel prosieguo della trattazione si vedrà invece che la questione meriterebbe probabilmente di essere esaminata anche rispetto alla fisiologia dei rapporti giuridici.
22 V. anche infra, in questo cap.
23 È appena il caso di notare che l’impostazione seguita dal legislatore del 1942 è diametralmente opposta a quella adottata dal legislatore del 1865 (a sua volta ispirato alla sistematica del code Napoléon), che all’art. 1102 definiva la categoria del contratto aleatorio nei seguenti termini: «è contratto di sorte o aleatorio, quando per ambidue i contraenti o per l’uno di essi il vantaggio dipende da un avvenimento incerto. Tali sono il contratto di assicurazione, il prestito a tutto rischio, il giuoco, la scommessa e il contratto vitalizio». Sul punto, v. G. DI GIANDOMENICO – D. RICCIO, Art. 1933, in Commentario del codice civile diretto da E. Gabrielli, modulo Dei singoli contratti (artt. 1861-1986), a cura D. Valentino, Torino, 2011, p. 322, secondo i quali «nel codice del 1942 non si ritrova una definizione di contratto aleatorio, ma si è in presenza di una disciplina inerente gli effetti».
24 Nullità che, come si vedrà nella sede opportuna, viene peraltro contestata da buona parte della dottrina:
v. infra, in questo cap.
25 A. PINO, Rischio ed alea nel contratto di assicurazione, in Riv. ass., 1960, I, p. 260; v. anche E. GABRIELLI, L’eccessiva onerosità sopravvenuta, in Trattato di diritto privato, diretto da M. Bessone, XIII, VIII, Torino, 2012, p. 18, il quale afferma che «l’alea, che descriverebbe un aspetto economico di alcuni contratti ritenuti tradizionalmente aleatori, e neppure di tutti, apparterrebbe infatti ad un ordine di concetti metagiuridici, poiché l’incertezza sul risultato economico indica la situazione psicologica delle parti contraenti sull’esito non giuridico ma economico del contratto».
presenti nel codice – quale, ad esempio, quella di eccessiva onerosità –, come mera questione di fatto27, con la conseguenza che la nozione di alea sarebbe di per sé inidonea a caratterizzare una categoria contrattuale28.
Un’altra impostazione dottrinale – che al momento parrebbe prevalere29 – distingue
recta via tra «alea economica» e «alea giuridica»:
− l’«alea economica», che «interessa potenzialmente tutti i contratti nel cui ambito l’esecuzione di una o più prestazioni è differita ad un momento successivo alla stipulazione», sarebbe da riferire alle mere variazioni del valore della prestazione di una delle parti dovute alle fluttuazioni del mercato30;
− diversamente, con la locuzione «alea giuridica» – che secondo tale orientamento costituirebbe il quid proprium dei contratti aleatori – si vorrebbe intendere la previsione nel negozio di un «collegamento tra la nascita e/o la consistenza della prestazione di una od entrambe le parti e l’accadimento di un evento incerto»31.
A ben vedere, tale distinzione parrebbe focalizzare il punto di rilevanza della categoria del contratto aleatorio essenzialmente sulla prospettiva rimediale, di cui pure si è già fatto cenno: in altri termini, i sostenitori dell’impostazione in esame ritengono che il mero
«rischio economico», in quanto fattore «destinato a incidere sul valore di una prestazione
26 Al riguardo, v. E. GABRIELLI, L’eccessiva onerosità sopravvenuta, cit., p. 8, il quale, in relazione all’eccessiva onerosità – concetto, quest’ultimo, ritenuto dall’Autore affine a quello di alea – rileva che ogni tentativo di definizione della nozione de qua «in quanto volto a comprendere in una figura normativa astratta ogni possibile accadimento, per le sue stesse ontologiche ambizioni, era destinato al fallimento, con la conseguenza che nelle numerose letture offerte è possibile incontrare definizioni che si risolvono, per lo più, in mere declamazioni, prive di una sicura utilità sul piano interpretativo ed applicativo».
27 Cfr. E. GABRIELLI, L’eccessiva onerosità sopravvenuta, cit., p. 8: «la nozione di eccessiva onerosità, che la dottrina ha frequentemente tentato di racchiudere in una definizione omnicomprensiva del fenomeno e delle sue variegate forme di manifestazione, è in realtà un concetto elastico, il cui contenuto concreto deve essere rimesso di volta in volta alla valutazione dell’interprete, poiché, quale concetto di relazione tra determinati parametri normativi (il tipo e il sotto-tipo contrattuale, l’alea norma di quel tipo) e il contenuto del singolo e concreto contratto oggetto di valutazione, si specifica con riguardo ad ogni singola fattispecie ed in particolare al contenuto dell’operazione economica disciplinata dal contratto. L’eccessiva onerosità infatti “è res facti”».
28 A. PINO, Contratto aleatorio, contratto commutativo e alea, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1960, p. 1249.
Sulla nozione di «categoria contrattuale», v. supra, in questo cap., nonché cap. I, in particolare § 2.2.
29 Cfr. P. CORRIAS, I contratti derivati finanziari nel sistema dei contratti aleatori, cit., p.177, il quale rileva che «i confini tra alea economica e alea giuridica sono limpidi nelle impostazioni della dottrina dominante»; v. però E. GIRINO, I contratti derivati, cit., p. 284, per il quale il distinguo tra alea giuridica e alea economica sarebbe «alquanto discutibile e come tale reietto, o quanto meno ignorato, dalla giurisprudenza dominante».
30 In questi termini, P. CORRIAS, I contratti derivati finanziari nel sistema dei contratti aleatori, cit., p.177.
31 P. CORRIAS, I contratti derivati finanziari nel sistema dei contratti aleatori, cit., p.177.
già determinata», assumerebbe rilevanza nel nostro ordinamento attraverso la risoluzione, allorquando detto rischio «consegua da eventi straordinari ed imprevedibili ed ecceda un ambito di normalità»; diversamente, i rimedi risolutori non sarebbero concessi per «l’alea giuridica», in quanto la stessa riguarderebbe «l’esistenza stessa oppure la determinazione della prestazione»32.
La conclusione è che, secondo questa prospettiva, sarebbero aleatori in senso stretto i contratti per i quali il legislatore esclude l’applicabilità dei rimedi rieliquibratori.
Tuttavia, e per il momento a tacer d’altro, è stato del tutto opportunamente osservato che «la linea di confine fra alea economica e alea giuridica è peraltro labile»33.
Così:
− «se Tizio promette a Caio cento qualora Caio gli ritrovi o consegni un oggetto, possiamo avere, a seconda dei casi, una scommessa o una ricompensa non aleatoria»: questo esempio dimostrerebbe che «non sempre l’incertezza giuridica è alea»34, pertanto non sarebbe opportuno assegnare alla sola «alea giuridica» valenza dirimente ai fini della qualificazione del contratto in termini di aleatorietà;
− per altro verso, «non vedremo mai proposto quale esempio di contratto aleatorio una compravendita tra commercianti, che pure trasferisce dal venditore al compratore il rischio economico delle future variazioni del valore di mercato della cosa»35: quest’ultimo esempio confermerebbe, per altro verso, come nemmeno la mera «incertezza del vantaggio economico» (id est l’alea economica) – cui pure fa spesso riferimento la giurisprudenza – possa essere considerata un criterio di per sé sicuro per determinare l’aleatorietà del contratto.
Infine, secondo un ulteriore orientamento dottrinale, che muove da presupposti non troppo dissimili da quello appena richiamato, nell’ambito dell’unitario concetto di «alea» sarebbero distinguibili un profilo oggettivo (la sorte) e un profilo soggettivo (il rischio): più esattamente, il primo sarebbe da riferire agli effetti che il caso può produrre sull’entità
32 Così G. DI GIANDOMENICO, L’alea normale, in I contratti speciali. I contratti aleatori, di G. Di Giandomenico e D. Riccio, in Trattato di diritto privato, diretto da M. Bessone, XIV, Torino, 2005, p. 99.
33 R. SACCO, La qualificazione, in Trattato di diritto privato, diretto da P. Rescigno, X, Torino, 1982, p.
452.
34 R. SACCO, La qualificazione, cit., p. 453. Più esattamente, l’Autore muove dal rilievo per cui «l’evento incerto può essere il risultato dell’opera di colui che ne ricaverà vantaggio, senza che ciò contrasti con l’idea del contratto aleatorio (ad es., così avviene nel giuoco). Però, se l’evento cagionato da una parte è tale da procurare alla controparte, contemporaneamente, un vantaggio e una perdita, il contratto non è aleatorio».
35 R. SACCO, La qualificazione, cit., p. 453.