PARTE PRIMA
N. 2/2019
INDICE
PARTE PRIMA
ARTICOLI
La disciplina dei contratti pubblici tra persistenze e spinte all’innovazione, di Xxxxxxxx Xxxxxxx
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Voto maggiorato: prime verifiche d’effettività e prospettive di riforma, di Xxxx Xxxxxxxx Xxxxx
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PARTE SECONDA
INTERVISTE E SCHEDE
Diritti di proprietà intellettuale: attuali considerazioni e problematiche di brevetti e marchi, di Xxxxxxxx Xxxxxxxx 38
Le procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento nel nuovo Codice della crisi, di Xxxxxxxxxxxx Xxxxxxx Xxxxx 62
AUTORI 96
LUISS Law Review
LLR - LUISS Law Review
Rivista online del centro di ricerca LUISS DREAM, Dipartimento di Giurisprudenza XXXXX Xxxxx Xxxxx Registrata presso il Tribunale di Roma con il n. 65/2016
ISSN 2531-6915
Direttore responsabile: Xxxx Xxxxxxxx Xxxxx Responsabile di redazione: Xxxxxxxxx Xxxxxxxxx
XXXXX Xxxxx Xxxxx - Xxxxx Xxxx, 00, 00000 Xxxx, Xxxxxx P.I. 01067231009
Parte prima
Articoli
Abstract
La disciplina dei contratti pubblici tra persistenze e spinte all’innovazione
di Xxxxxxxx Xxxxxxx
The essay analyses the general features of the Code of Public Contracts approved in 2016 (Legislative Decree no. 50 of 18 April 2016), which was significantly amended in 2019 (Law no. 55 of 14 June 2019). In particular, it deals with the historical origins of the discipline and dwells on the differences in approach between national law and European directives approved until the most recent ones in 2014 (n. 23,24 and 25 of 2014). While national law favours precise rules that strictly bind public administrations, also for the purposes of combating corruption, European law is more in favour of giving them room for discretion.
1. Il Codice dei contratti pubblici approvato con D.lgs. 18 aprile 2016, n. 50, con le modifiche apportate dal decreto correttivo approvato D.lgs. 19 aprile 2017, n. 56, segna un nuovo capitolo nella storia ormai secolare della disciplina settoriale degli appalti pubblici.
Esso anzitutto recepisce un nuovo pacchetto di direttive europee e precisamente le direttive 2014/24/UE (appalti), 2014/25/UE (settori speciali) e 2014/23/UE (che disciplina in modo organico i contratti di concessione di lavori e di servizi), confermando così l’impostazione unitaria della disciplina che già caratterizzava il precedente Codice approvato con d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163 e che viene integralmente sostituito.
Inoltre, il nuovo Codice cerca di intervenire sulla struttura del mercato degli appalti, in particolare, rafforzando i poteri di vigilanza e di regolazione dell’Autorità nazionale anticorruzione; introducendo sia un sistema di qualificazione delle stazioni appaltanti volto a valutare la loro capacità tecnica ad avviare e gestire le procedure di gara, sia un sistema di rating di impresa basato su requisiti reputazionali e di capacità strutturale ai fini della qualificazione necessaria per la partecipazione alle procedure; istituendo un albo dei commissari per la valutazione delle offerte gestito dall’Autorità nazionale anticorruzione.
Si tratta di norme di tipo organizzativo che non sono di diretta applicazione delle direttive europee (che disciplinano soprattutto le procedure) e che sono invece il frutto di una scelta consapevole del legislatore nazionale di voler tentare di porre rimedio alle carenze strutturali del mercato dei contratti pubblici sia sul versante della domanda sia su quello dell’offerta.
Il Codice rinvia a numerosi atti attuativi di competenza ministeriale e dell’Autorità nazionale anticorruzione, alcuni dei quali devono essere ancora emanati4.
2. Per cogliere con uno sguardo generale le caratteristiche del nuovo Codice, conviene ripercorrere sinteticamente nel contesto l’evoluzione normativa del settore.
In origine e per lungo tempo, la disciplina dei contratti della pubblica amministrazione è stata contenuta nella normativa sulla contabilità dello Stato (r.d. 18 novembre 1923, n. 2440 e regolamento approvato con r.d. 23 maggio 1924, n. 824). Essa prevedeva procedure a evidenza pubblica (il pubblico incanto, nel linguaggio dell’epoca) sia per i contratti attivi dello Stato, dai quali cioè deriva un’entrata (per esempio la vendita di un immobile non più utilizzato per finalità pubbliche), sia per i contratti passivi, che comportano cioè un’uscita (per esempio l’acquisto di arredi).
La collocazione della disciplina del procedimento a evidenza pubblica tra le norme sulla contabilità trovava spiegazione nel fatto che essa mirava a garantire una gestione corretta ed efficiente del danaro pubblico. Essa era diretta principalmente ad assicurare le condizioni economiche più favorevoli all’amministrazione mettendo in concorrenza le imprese e a proteggere l’amministrazione dal rischio di collusione tra queste ultime. Da qui anche l’inserimento nel Codice penale di figure di reato come la turbativa d’asta e l’astensione dagli incanti (artt. 353 e 354 cod. pen.). Solo di riflesso le norme di
4 Sullo stato di attuazione del Codice cfr. la Relazione annuale dell’Autorità Nazionale Anticorruzione presentata al Senato il 14 giugno 2018 pubblicata sul sito dell’Autorità.
contabilità garantivano la par condicio dei partecipanti ed era persino dubbio se esse avessero natura esterna e non meramente interna.
Questi obiettivi venivano perseguiti per mezzo di una serie minuta di regole formali e procedurali relative alla gara pubblica (per esempio, la presentazione delle offerte in buste sigillate, la tempistica dell’asta, le modalità di apertura delle buste, ecc.) volte a escludere o limitare il più possibile la discrezionalità dell’amministrazione. Una discrezionalità eccessiva poteva aprire più facilmente la strada a fenomeni collusivi e corruttivi tra imprese e funzionari infedeli. Non a caso le due principali modalità di selezione del contraente erano l’asta pubblica aperta a tutti i potenziali offerenti, oppure la licitazione privata, con la partecipazione delle imprese invitate dalla stazione appaltante e la selezione dell’offerta migliore sulla base di un solo parametro vincolato e cioè il prezzo offerto.
A partire dagli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso, soprattutto in seguito al recepimento di una serie di direttive europee (da ultimo, come si è detto, con il Codice), muta radicalmente l’impostazione della disciplina. Essa pone infatti l’accento soprattutto sull’esigenza di aprire il mercato degli appalti pubblici alla concorrenza a livello europeo in attuazione del principio di libera circolazione intracomunitaria delle merci e dei servizi. Pertanto, introduce regole volte a promuovere la pubblicità dei bandi di gara, la trasparenza della procedura e la par condicio. L’apertura del mercato degli appalti pubblici alla concorrenza è vista come funzionale anche alla crescita dimensionale delle imprese europee, così da renderle più competitive a livello globale.
Inoltre, la normativa europea privilegia un approccio meno formalistico a favore di un modello più flessibile e più aperto a momenti di confronto tra l’amministrazione e le imprese (in particolare, come si vedrà, con il cosiddetto dialogo competitivo, il partenariato per l’innovazione e altre forme di partenariato pubblico-privato) e che attribuisce a quest’ultima maggiori spazi di discrezionalità.
Il recepimento delle direttive europee nel nostro ordinamento si è scontrato fin dall’inizio con la difficoltà delle stazioni appaltanti (troppo numerose e poco attrezzate sul piano tecnico e giuridico) e delle imprese (spesso di piccole dimensioni) di gestire o prendere parte a procedure più flessibili, ma che richiedono comunque la capacità di garantire la par condicio e la trasparenza. Ciò spiega perché le procedure più innovative come il già richiamato dialogo competitivo e le altre forme di partenariato sono state utilizzate di rado. Inoltre, il settore degli appalti pubblici è particolarmente esposto a fenomeni corruttivi e, com’è noto, la corruzione trova spazio maggiore là dove le stazioni appaltanti e le commissioni di gara sono a chiamate a operare valutazioni discrezionali.
3. Il nuovo Codice ha sostituito il precedente Codice approvato con d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163 che già aveva riordinato la materia unificando in un solo corpo normativo la disciplina delle forniture, dei servizi e dei lavori pubblici, recependo due direttive europee (2004/17/CE e 2004/18/CE).
Al Codice si aggiungeva un ponderoso regolamento di esecuzione e attuazione, ora abrogato, che disciplinava soprattutto la progettazione, l’aggiudicazione e l’esecuzione dei lavori pubblici (d.p.r. 5 ottobre 2010, n. 207). Il regolamento in questione è ora sostituito, come si vedrà, da una disciplina più flessibile sottoforma di linee guida approvate dall’Autorità nazionale anticorruzione. Si tratta di una delle novità più significative nell’approccio seguito dal Xxxxxx che ha dato origine a un dibattito dottrinale e a orientamenti giurisprudenziali spesso oscillanti volti a chiarire la natura giuridica di questo strumento atipico di regolazione.
Va ricordato inoltre che disciplina generale stabilita a livello statale è adottata nell'esercizio della competenza legislativa esclusiva statale in materia di tutela della concorrenza, ordinamento civile, nonché nelle altre materie cui è riconducibile lo specifico contratto (art. 2, comma 1). Essa può essere integrata dalle leggi regionali che però, come ha chiarito la Corte Costituzionale (sentenza
n. 401/2007), hanno spazi molto limitati di adattamento. Ciò allo scopo di evitare
che il mercato dei contratti pubblici sia regolato da norme troppo differenziate a livello locale tali da distorcere la concorrenza.
4. Il Codice dei contratti pubblici, oltre a recepire l’ultimo pacchetto di direttive europee, come già anticipato, contiene una disciplina che incide sulla struttura del mercato del public procurement.
Sotto il profilo organizzativo, infatti, al mercato dei contratti pubblici è preposta l’Autorità nazionale anticorruzione (ANAC) con funzioni di vigilanza, controllo e regolazione dei contratti pubblici (art. 213 Codice). L’ANAC ha assorbito le funzioni della precedente Autorità di vigilanza sui contratti pubblici (d.l. 26 giugno 2014, n. 90 convertito in legge 11 agosto 2014, n. 14).
L’Autorità è preposta alla vigilanza e al controllo sui contatti pubblici e svolge “attività di regolazione degli stessi” (art. 213, comma 1) attraverso l’emanazione di “linee guida, bandi-tipo, capitolati-tipo, contratti-tipo e altri strumenti di regolazione flessibile” (comma 2)5.
L’attribuzione all’Autorità di poteri di regolazione molto ampi costituisce una delle principali novità del nuovo Codice e su di essa, come già accennato, si è aperta una discussione in dottrina e in giurisprudenza in ordine alla qualificazione giuridica delle singole tipologie di atti (regolamenti, atti amministrativi generali, soft law), anche atteso che il Codice prevede in termini generali la loro impugnabilità innanzi al giudice amministrativo. In particolare, le linee-guida, che sono adottate previa consultazione con le categorie e i soggetti interessati e l’analisi e la verifica di impatto della regolazione, sono definite in alcuni casi vincolanti, in altri casi non vincolati. Alle linee-guida fanno rinvio numerose disposizioni specifiche del Codice, per esempio, in tema di compiti del responsabile del procedimento (art. 31), di requisiti e capacità minime delle imprese che intendono partecipare a procedure per l’affidamento di lavori (art. 83, comma 2), di requisiti reputazionali ai fini del rating delle imprese (art. 83, comma 10), di standard di qualità dei controlli sulle imprese che gli organismi di
5 Per un inquadramento del nuovo ruolo dell’ANAC cfr. X. XXXXXXX, La regolazione del mercato dei contratti pubblici, in Riv. Della Regolazione dei Mercati, n. 2, 2016.
attestazione (SOA) devono rispettare ai fini dell’attestazione dei requisiti (art. 84, comma 2), ecc. L’Autorità è titolare in particolare di poteri ispettivi, può richiedere informazioni e documenti, può supportare le stazioni appaltanti nella predisposizione degli atti e nella gestione delle procedure di particolare importanza (cosiddetta vigilanza collaborativa), può irrogare sanzioni amministrative. L’Autorità gestisce una banca dati nazionale dei contratti pubblici, avvalendosi anche di un apposito Osservatorio. In analogia con il modello delle autorità indipendenti, formula proposte e invia segnalazioni al Governo e al Parlamento.
L’Autorità gestisce un nuovo sistema di qualificazione delle stazioni appaltanti e delle centrali di committenza (art. 38), suddivise per ambiti di attività, bacini territoriali, fasce di importo, per le quali è prevista l’iscrizione in un elenco. Ai fini della qualificazione, che ha una durata quinquennale, ciascuna stazione appaltante deve dimostrare il possesso di una serie di requisiti, tra i quali una capacità adeguata di progettazione, di gestire le procedure e di verificare l’esecuzione dei contratti attraverso una struttura organizzativa dotata di personale professionalmente preparato, ecc. Le stazioni appaltanti possono gestire le procedure entro i limiti della qualificazione ottenuta. Il nuovo sistema tende a contrastare il fenomeno dell’eccessivo numero di stazioni appaltanti che spesso non sono attrezzate in modo adeguato per gestire procedure complesse e favorire forme di aggregazione e di centralizzazione degli acquisti.
All’Autorità fa capo anche il sistema del rating di impresa applicabile ai fini della qualificazione delle imprese (cioè dell’ammissione alla partecipazione alle singole gare) attraverso il rilascio di una certificazione ad opera della stessa Autorità (art. 83, comma 10). Il sistema tende a valutare i requisiti reputazionali in base a indici quantitativi e qualitativi (incluso il rating di legalità). Anche questo sistema mira a far sì che siano ammesse a partecipare alle gare, a seconda delle tipologie di attività e degli importi, soltanto le imprese più affidabili, e ciò a garanzia dell’interesse alla corretta gestione dei contratti pubblici.
L’Autorità gestisce e aggiorna anche l’Albo dei componenti delle commissioni giudicatrici (art. 78) che devono essere nominate per valutare le offerte relative a contratti aggiudicati in base al criterio del miglior rapporto qualità/prezzo che, come si vedrà, richiede valutazioni di tipo qualitativo relative ai contenuti delle offerte. A garanzia di una maggior imparzialità, il Codice introduce il principio del sorteggio dei commissari (per ciascuna procedura di gara) tra gli iscritti all’Albo (art. 77). Ai fini dell’iscrizione, l’Autorità accerta il possesso di requisiti di moralità, competenza e professionalità da essa stessa definiti in un atto di regolazione.
Un potere particolarmente incisivo attribuito all’Autorità è quello di emanare nei confronti delle stazioni appaltanti un parere motivato che segnala in modo specifico i vizi di legittimità degli atti da esse adottati. Ove la stazione appaltante non si conforma al parere entro sessanta giorni nel caso o nel diverso termine assegnato dall’Autorità, quest’ultima può proporre un ricorso innanzi al giudice amministrativo (art. 211, 1-ter). E’ stato così ripreso il modello della legittimazione straordinaria a proporre ricorso giurisdizionale attribuito nel settore del diritto della concorrenza all’Autorità garante della concorrenza e del mercato (art. 21-bis della legge 10 ottobre 1990, n. 287).
Già dalle considerazioni sin qui svolte, risulta come l’Autorità nazionale anticorruzione è preposta alla regolazione e alla vigilanza sull’intero sistema degli appalti pubblici. Si tratta, come si è accennato, di una scelta organizzativa del legislatore nazionale, non imposta dalle direttive europee, giustificata dall’obiettivo di rendere più efficiente, più concorrenziale e meno esposto a fenomeni corruttivi il sistema dei contratti pubblici ancora piuttosto diffusi.
Su tale scelta si è aperto un intenso dibattito, atteso che altri ordinamenti europei non sembrano aver introdotto, a valle di una cornice normativa contenuta nelle direttive già molto dettagliata, un regolatore di secondo livello, che riprende in modo forse non del tutto appropriato il modello delle autorità di regolazione nel campo dei servizi pubblici e in materia finanziaria istituite nei paesi europei sulla scorta di precise indicazioni contenute nelle direttive europee di settore.
5. Va sottolineato come i contratti pubblici sono disciplinati per aspetti specifici anche da fonti esterne al Codice che devono essere considerate ai fini di una ricostruzione completa del qudro normativo. Conviene richiamarne le principali.
In primo luogo, va ricordata la cosiddetta legge anticorruzione (legge 6 novembre 2012, n. 190) che individua tra i settori più a rischio le modalità per l’affidamento dei contratti pubblici (art. 1, comma 16, lett. b)). Obbliga pertanto le stazioni appaltanti a pubblicare anche sui propri siti internet istituzionali una serie di informazioni relative ai bandi pubblicati, agli operatori invitati a presentare l’offerta, all’aggiudicatario, all’importo dell’aggiudicazione e a trasmetterle in formato digitale all’Autorità nazionale anticorruzione. Obblighi di trasparenza di questo tipo sono ritenuti utili per combattere i fenomeni corruttivi. Il Codice, nell’imporre alle amministrazioni l’obbligo di pubblicare tutti gli atti relativi alle procedure in attuazione dei principi in materia di trasparenza, rinvia non a caso alla disciplina generale contenuta nel d.lgs. 14 marzo 2013, n. 33.
Altre misure sono i cosiddetti patti di integrità e i protocolli di legalità sottoscritti dalla stazione appaltante con le imprese, contenenti impegni finalizzati a garantire l’integrità dell’appalto. Il mancato rispetto delle clausole contenute nei protocolli di legalità o nei patti di integrità costituisce causa di esclusione dalla gara (art. 1, comma 17, l. n. 190/2012). Sono state previste, inoltre, le cosiddette white lists, ossia degli elenchi, da istituire presso le prefetture, di imprese non soggette a tentativi di infiltrazione mafiosa, operanti in settori di attività particolarmente esposti all’azione della malavita organizzata, da sottoporre a controlli periodici (art. 1, commi 52, 52-bis, 53, 54, 55 e 56).
In secondo luogo, il Codice penale contiene disposizioni che individuano alcune figure specifiche di reato (artt. 353 ss.). Esse sono state integrate di recente, in particolare, con il reato di turbata libertà del procedimento di scelta del contraente (art. 353-bis). Questo reato è commesso da chi cerca di condizionare a proprio favore con mezzi fraudolenti il contenuto del bando di gara
che invece dovrebbe essere predisposto in modo tale da favorire la partecipazione su un piano di parità di una molteplicità di imprese.
In terzo luogo, le imprese che partecipano alle gare pubbliche devono rispettare la normativa antimafia e sono soggette a obblighi di tracciabilità dei flussi finanziari derivanti dalle commesse pubbliche anche nei rapporti con i subappaltatori e i subcontraenti (con l’apertura di conti correnti bancari o postali dedicati alla singola commessa) in modo tale da prevenire il rischio di infiltrazioni criminali (art. 3 legge 13 agosto 2010, n. 136).
Va richiamata anche la disciplina sulla concorrenza contenuta nella legge
10 ottobre 1990, n. 287 e in particolare il divieto di intese restrittive della concorrenza atteso che in anni recenti l’Autorità garante della concorrenza e del mercato ha aperto numerosi procedimenti a carico di imprese partecipanti a procedura di gara che, in modo coordinato, avevano presentato le proprie offerte, specie nel caso di suddivisione di più lotti, in modo tale da spartirsi in qualche modo il mercato.
Infine, il Codice del processo amministrativo dedica alcuni articoli al processo in materia di contratti pubblici (artt. 120 ss.) che, in conformità alla direttiva 2007/66/CE in materia di procedure di ricorso, configurano un rito speciale accelerato volto a rendere più rapida ed effettiva la tutela delle imprese che partecipano alle gare.
6. Delle tante caratteristiche del Codice merita soffermarsi su un aspetto che già era presente nel Codice del 2006 e che ora è ancora più evidente e cioè quello di cercare di fondere e di amalgamare due approcci non necessariamente convergenti alla regolazione dei contratti pubblici ai quali si è fatto già cenno: il primo, tradizionale nella disciplina italiana, connotato dalla visione “contabilistica” della disciplina degli appalti pubblici e dall’imposizione di un reticolo fitto di regole rigide di tipo “command and control”; il secondo, che connota la disciplina
europea, incentrato sull’esigenza di aprire il mercato dei contratti pubblici alla concorrenza3.
Il primo approccio mira a porre soprattutto regole volte a prevenire il rischio sia di una gestione non trasparente e corretta delle procedure da parte delle stazioni appaltanti, sia di tentativi da parte delle imprese di condizionare dall’esterno l’andamento e l’esito delle procedure. Un siffatto approccio risente dunque di una sfiducia nella integrità morale delle stazioni appaltanti e delle imprese 4.
Consequenziale al primo approccio è il rigore formale, spesso esasperato, delle procedure, nonché la preferenza verso meccanismi automatici di aggiudicazione o di esclusione delle offerte anomale che non lasciano spazio ad alcuna discrezionalità della stazione appaltante. Un’amministrazione con le mani legate e che mantiene le distanze con le imprese garantisce al meglio l’imparzialità. Secondo questa impostazione, il valore della convenienza, cioè dell’apprezzamento del contratto sotto il profilo del rapporto qualità-prezzo e dell’affidabilità del contraente privato, appare recessivo. Ciò che interessa è soprattutto che la procedura si sia svolta nel rispetto formale della legge e della lex specialis.
Il secondo approccio guarda invece al settore dei contratti pubblici nella prospettiva della regolazione amministrativa di un mercato, quello del public
3 In generale, sugli interessi da proteggere nelle gare pubbliche con ampi riferimenti alla letteratura anche economica, cfr. X. XXXXXXX, Lo Stato banditore. Gare e servizi locali, Milano, 2001, pag. 119 e seg.
4 Sull’approccio alla disciplina dei contratti pubblici che enfatizza il ruolo dell’interesse pubblico
alla concorrenzialità del mercato cfr. X. X’XXXXXXX, Interesse pubblico e concorrenza nel codice dei contratti pubblici, in Dir. amm., 2008, pag. 297 e seg. il quale che sottolinea anche che la logica della tutela della concorrenza mette a disposizione delle imprese nuovi strumenti di garanzia. Per una ricostruzione della genesi della disciplina dell’evidenza pubblica, improntata essenzialmente all’interesse pubblico alla “convenienza amministrativa” e per l’impostazione sottesa alle direttive comunitarie volte a privilegiare la realizzazione di un mercato unico concorrenziale e alla sostituzione di una disciplina di tipo “command and control” con un modello di regolazione più flessibile e di tipo cooperativo, cfr. X. XXXXXX - X. XXXXXXXXX, Appalti pubblici e concorrenza, in X. XXXXXXXXXX (a cura di), Lo Stato compratore, Bologna, 2007, pag. 119 e seg.
procurement, che deve essere reso aperto al maggior numero di imprese in grado di competere sul piano di parità, trasparenza ed efficienza. Inoltre, la domanda pubblica di beni e servizi, se convogliata in procedure di gara ben strutturate e gestite, se del caso, anche da centrali di acquisto volte a superare il carattere frammentato delle stazioni appaltanti, può contribuire a promuovere processi di riorganizzazione, dal lato dell’offerta e ad aggregare la domanda di beni e servizi, di un sistema imprenditoriale, come quello italiano, caratterizzato in molti comparti da un numero eccessivo di imprese di dimensioni modeste e poco efficienti.
Coerente con il secondo approccio è un diverso equilibrio tra discrezionalità ed esigenze di par condicio. Mentre l’approccio tradizionale delle regole in materia di procedure a evidenza pubblica tendeva, come si è accennato, a restringere la discrezionalità delle amministrazioni per prevenire il rischio della collusione, l’approccio della regolazione pro concorrenziale di derivazione europea tende a lasciare alle amministrazioni maggiori spazi di valutazione e di flessibilità e consente momenti di confronto, a fini conoscitivi, con le imprese (si pensi in particolare al dialogo competitivo).
La discrezionalità, se esercitata in modo corretto, costituisce un valore, perché consente di individuare la soluzione contrattuale migliore tenendo conto delle circostanze del caso concreto6. Con riguardo ai contratti di concessione, il Codice enuncia addirittura il principio di libera amministrazione delle amministratrici che possono plasmare la procedura di affidaento come meglio credono, pur sempre garantendo i principi generali come la parità di trattamento (art. 166).
Inoltre, sempre sotto il profilo dell’aumento della discrezionalità, nel Codice assume minor rilievo il criterio di aggiudicazione basato esclusivamente sul prezzo. Il criterio del rapporto qualità/prezzo costituisce infatti il criterio privilegiato dalle direttive europee e ciò appunto in contrasto con la tradizione del nostro
6 Per questa osservazione, cfr X.XXXXXX-. X. XXXXXXXXX, op. cit., pag. 131.
ordinamento che ha sempre privilegiato in passato il criterio del prezzo più basso che non concede all’amministrazione spazi di discrezionalità. Gli aspetti qualitativi possono riguardare per esempio il pregio tecnico, le caratteristiche estetiche e funzionali, le caratteristiche ambientali, il contenimento dei consumi energetici e delle risorse ambientali, l’assistenza tecnica, ecc. (art. 95, comma 6), che richiedono una valutazione tecnico-discrezionale. Per alcune tipologie di contratti il Codice esclude addirittura l’aggiudicazione in base al solo criterio del prezzo o costo (art. 95, comma 3).
Il punto di equilibrio tra maggior discrezionalità ed esigenza di trasparenza e di garanzia della par condicio consiste nel richiedere alle stazioni appaltanti e alle commissioni aggiudicatrici una specificazione progressiva dei criteri e dei subcriteri in relazione ai quali vengono poi attribuiti i punteggi. Anche, l’esclusione delle offerte anomale può avvenire solo in seguito ad un subprocedimento di verifica in contraddittorio e a una valutazione discrezionale, in modo tale da ridurre il rischio di penalizzare imprese innovative e efficienti in grado di offrire condizioni particolarmente vantaggiose.
L’esigenza di assicurare la più ampia partecipazione e concorrenzialità nell’ambito delle procedure avviate può rendere recessivo, almeno entro certi limiti, il formalismo esasperato che può portare all’esclusione di imprese in grado di presentare offerte convenienti da un punto di vista sostanziale. Rilevante a questo riguardo è l’art. 83, comma 8, del Codice secondo il quale i casi di esclusone dalla procedura per irregolarità o carenza di requisiti sono solo ed esclusivamente quelli espressamente previsti dal Codice. I bandi e le lettere di invito non possono aggiungerne altri e ciò al fine di favorire la massima partecipazione. Inoltre, sempre allo stesso fine, il Codice limita la possibilità di escludere le offerte per carenze documentali imponendo le stazioni appaltanti di operare il cosiddetto soccorso istruttorio (art. 83, comma 9). È stata così posta una distinzione tra irregolarità «essenziali» e «non essenziali» della documentazione prodotta dai concorrenti: le prime sono sanabili con l’esclusione di quelle afferenti all’offerta tecnica ed economica; le seconde non richiedono
alcuna regolarizzazione (art. 83, comma 9). Si attenua così il tradizionale formalismo nelle procedure di gara.
In ogni caso, anche la regolazione proconcorrenziale del mercato delle commesse pubbliche, attuata sia a livello legislativo sia nella prassi applicativa delle regole riferite alle singole gare, può rappresentare uno strumento per combattere il fenomeno della collusione (bid rigging) e corruzione che continua ad affliggere il settore7.
7. In termini più generali, occorre sottolineare come il funzionamento corretto del mercato degli appalti pubblici (public procurement) promosso da buone norme e da buone prassi costituisce un elemento che accresce la competitività di un paese.
Infatti, la domanda da parte delle pubbliche amministrazioni di beni, servizi e lavori necessari per il soddisfacimento diretto o indiretto dei bisogni della collettività ha un impatto rilevante sull’economia. Ciò in considerazione dell’enorme quantità di risorse che essa è in grado di veicolare alle imprese che stipulano i relativi contratti. In Italia il mercato del public procurement nel 2016 ha mobilitato risorse pubbliche pari a 111,5 miliardi di euro, ovvero a circa il 6,7% del PIL.
Sul piano qualitativo, poi, l’efficienza del mercato degli appalti pubblici costituisce un test importante sotto più profili. Costituisce anzitutto uno degli indicatori del grado di apertura di un Paese nel contesto europeo. Essa è favorita anche da procedure di gara adeguatamente pubblicizzate a livello europeo (anzitutto, con la pubblicazione dei bandi nella Gazzetta Ufficiale della Comunità Europea), strutturate in modo tale da non introdurre discriminazioni basate sulla
7 Per un’analisi approfondita di queste tematiche cfr. OCSE, Public procurement – The role of competition authorities in promoting competition, 5 giugno 2007, DAF/COMP/WP3(2007)1 che, per esempio, indica alcuni strumenti per arginare il fenomeno come l’apertura delle procedura al maggior numero di partecipanti possibile, la limitazione delle informazioni disponibili ai vari concorrenti e la sostituzione di una molteplicità di gare frequenti con gare più saltuarie ma con importi maggiori.
nazionalità, gestite in modo trasparente e all’interno di un quadro di certezze giuridiche e finanziarie8.
Inoltre, una buona strutturazione e gestione delle procedure di gara e dei contratti a valle consente alle pubbliche amministrazioni di acquisire beni e servizi di qualità e a prezzi inferiori e di dotarsi di opere e di infrastrutture pubbliche (in tempi certi e con oneri in tutto o in parte privati attraverso il project financing) necessarie, oltre che per accrescere il benessere della collettività, per attrarre investimenti.
Infine, l’andamento delle procedure competitive per la scelta del contraente privato e il monitoraggio nella fase esecutiva dei contratti costituiscono un test importante per valutare le capacità di programmazione, progettuali, tecniche e giuridiche delle pubbliche amministrazioni. Il buon funzionamento del mercato degli appalti pubblici costituisce anche un indicatore della qualità delle amministrazioni.
Le buone prassi applicative saranno forse più importanti delle stesse norme legislative e regolamentari.
È auspicabile che anche la giurisprudenza amministrativa, che tanto ha contribuito negli anni passati a elaborare e via via affinare i principi che, al di là delle disposizioni legislative espresse, presiedono alla conduzione delle procedure a evidenza pubblica, sappia cogliere nell’impianto del Codice la novità dell’impostazione, rivedendo alcune interpretazioni talora troppo rigide e formalistiche della lex specialis della gara che possono andare a scapito della concorrenzialità effettiva della procedura. Occorre dare atto che la giurisprudenza sta mostrando una nuova sensibilità, anche sotto la spinta delle nuove norme, come dimostrano per esempio le prime interepretazioni dell’istituto del soccorso istruttorio.
8 Va segnalato peraltro che al 2 settembre 2008 pendevano contro l’Italia 181 procedure di infrazione del diritto comunitario delle quali ben 22 riguardavano casi di violazione del diritto comunitario in materia di appalti: Cfr. ASSONIME, Principi di riordino del quadro giuridico delle società pubbliche, Roma, settembre 2008, pagg. 11-12.
Sarebbe auspicabile altresì che il legislatore, che già ha emanato un primo decreto correttivo del nuovo Codice, si astenga per il futuro da rimettere in discussione il testo normativo, rimettendo all’ANAC e alle stazioni appaltanti il compito di dare piena attuazione al testo normativo e di valorizzare le tante novità in esso contenute.
In realtà, bisogna essere consapevoli che la disciplina dei contratti pubblici, al di là del nomen Xxxxxx, già utilizzato nel testo normativo del 2006 e che dà l’idea di un testo normativo stabilizzato, è stata sempre oggetto di ripetute modifiche puntuali e interventi normativi estemporanei, con fughe in avanti e correzioni di rotta. Del resto la fluidità dell’assetto normativo è stata una caratteristica di tutte le fasi dell’evoluaizone nomrativa. Si pensi, per esempio, al settore dei lavori pubblici e alle varie versioni della cosiddetta legge Merloni n. 109 del 1994 approvata sull’onda degli scandali di Tangentopoli e che conteneva, nella sua versione iniziale, disposizioni troppo rigide e penalizzanti, oggetto negli anni successivi di ripetuti aggiustamenti.
Il mercato dei contratti pubblici, così come tutti i mercati regolati, ha bisogno di stabilità del quadro normativo e di certezza di indirizzi interpretativi. In mancanza, si genera inefficienza e si riduce l’impatto poositivo della politica degli aquisti delle pubbliche amministrazioni sulla crescità economica.
Abstract
Voto maggiorato: prime verifiche d’effettività e prospettive di riforma*
di Xxxx Xxxxxxxx Xxxxx
Five years after the introduction of the loyalty shares into the national legislation, the paper checks the effectiveness of this legal arrangement in order to verify the achievement of legislator’s targets, that are encouraging new listings, rewarding long-term investors’ loyalty and recovering competitiveness regarding the concurrent legal systems. Under this assessment, the Author also ponders the attainment of other non-explicit policy purposes, especially the well-founded concerns that has been provided a new tool to help our entrepreneurs in shielding their controlling stakes in Italian listed companies. Finally, some legislative amendments are proposed with regard to the current configuration of loyalty shares in order to give a positive signal on behalf of institutional investors.
1. Sono passati ormai cinque anni da quando nel 2014 il c.d. decreto competitività ha consentito alle società per azioni quotate di prevedere statutariamente che ai soci che detengono le partecipazioni sociali per un periodo continuativo non inferiore a ventiquattro mesi sia attribuita una maggiorazione del voto non superiore a due voti per ciascuna azione detenuta.
Non è un periodo di tempo molto lungo, ma nemmeno brevissimo. Sufficiente, comunque, per una prima verifica dell’istituto sul piano dell’effettività, vale a dire anzi tutto sulla sua reale applicazione e sulla capacità di conseguire gli obiettivi dichiarati ovvero di realizzarne altri e diversi. E per riflettere conseguentemente, non su un piano solo teorico, su vantaggi e svantaggi della maggiorazione con riguardo agli emittenti e al mercato del capitale di rischio.
La maggiorazione di voto, assieme a quella del dividendo introdotta nel 2010, ha rappresentato un piccolo shock per il nostro diritto societario, reso più evidente trattandosi di società quotate che raccolgono il risparmio presso il pubblico. Un colpo avvertito anzi tutto sotto due profili:
(i) la valorizzazione di elementi personalistici, essendo le maggiorazioni attribuite alla persona del socio e non all’azione. È
vero che alcuni casi di rilievo della persona del socio erano già presenti nell’ordinamento delle società per azioni (azioni con prestazioni accessorie, clausola di gradimento), ma il loro rilievo era marginale, tanto più nelle quotate (D’ATTORRE, 2007). Tutt’altro che marginale è invece la maggiorazione, incidendo sui due principali diritti amministrativi (voto) e patrimoniali (utili);
(ii) l’attacco al principio di eguaglianza, sia pure relativa, delle azioni, che “conferiscono ai loro possessori eguali diritti”, come recita l’art. 2348, co. 1, c.c., centrale nel diritto della s.p.a. se è vero, come diceva un Maestro quasi evangelicamente (XXXXXXX, 1953), che “In principio sta l’uguaglianza degli azionisti”, con la connessa correlazione tra rischio e potere che la maggiorazione del voto, con riguardo ai soci “influenti”, contribuisce a svilire, come già sotto altri profili è accaduto specie con la grande crisi del 2008 e il ben noto too big to fail. Anche in questo caso, colpi e colpetti erano già stati assestati ai due principi, soprattutto dalla riforma del 2003 (assegnazione non proporzionale delle azioni, azioni senza diritto di voto o con diritto limitato o subordinato, atipicità delle categorie di azioni, ecc.), ma la maggiorazione li mette, assieme al voto plurimo nelle altre s.p.a., più di ogni altra novità in radicale discussione (NOTARI, 2016; BARCELLONA, 2016a). Principio d’eguaglianza che, è quasi superfluo ricordarlo, rappresenta il principale strumento d’intervento del legislatore nella risoluzione del conflitto, immanente nelle società per azioni in ragione della loro naturale apertura al mercato, tra il ceto imprenditoriale interessato ad acquisire nella massima misura possibile risorse altrui per il finanziamento di un’iniziativa sulla quale non intende perdere il controllo e il ceto finanziario che affida ad altri i propri risparmi con l’obiettivo di massimizzarne il valore, ma desideroso di proteggere quel valore da possibili abusi e (o) appropriazioni di chi gestisce l’iniziativa (v. per es. XXXXXXX, 1976; BARCELLONA,
2016a). Principio della legittimazione del potere con il rischio che è alla base del capitalismo e che, nel diritto societario, proprio attraverso la regola un’azione-un voto, favorisce la valorizzazione dell’impresa da parte dei soci di controllo che più hanno investito nella società, dunque sono a ciò più interessati, e riduce il pericolo di estrazione da parte loro di benefici privati in contrasto con l’interesse sociale.
A ciò si aggiunga, considerato che nelle società quotate si rafforza tradizionalmente la tutela degli investitori anche sul piano della massima presenza di norme imperative nella loro disciplina legale, un’inedita contrattualizzazione del diritto di queste società, con un ruolo fondamentale attribuito all’autonomia statutaria nell’introduzione e in vari altri aspetti della maggiorazione, come dicevo inerente ai diritti fondanti della partecipazione nella società per azioni.
2. La maggiorazione di voto è presente (v. tab. 1) in circa un quinto delle nostre società quotate (45 su 240 al 31 dicembre 20181), tra le quali Mondadori, Cofide, Class Editori, Dea Capital, Astaldi, Cairo Communication, Campari, Ferragamo, Tod’s2.
1 Il numero delle società quotate sul MTA al 31 dicembre 2018 è tratto da CONSOB, 2018a, p. 66, mentre il numero di società che hanno introdotto il voto maggiorato dall’elenco pubblicato sul sito Consob (xxxx://xxx.xxxxxx.xx/xxx/xxxx-
pubblica/quotate/main/emittenti/societa_quotate/voto_maggiorato_plurimo_lnk.htm?nav=true), dal quale si evince che a oggi il numero è cresciuto ulteriormente, atteso che un’altra società ha introdotto il voto maggiorato il 28 dicembre 2018 (GPI s.p.a.) e sei nuove società (tra cui Mediaset s.p.a) nel 2019. A fine giugno 2018, quando il numero di società che avevano deliberato il voto maggiorato era di 41, solo in 14 di queste vi erano azionisti che avevano già maturato il beneficio (CONSOB, 2018, 3).
2 Diverse società appartengono al mondo dell’editoria, riproducendo quanto avviene negli Stati Uniti.
8 | 9 | 10 | ||||
2015 | 2016 | 2017 | 2018 |
50
40
30
20
10
0
45
18
Totale
Tab. 1 – Numero di società che hanno introdotto il voto maggiorato
Non risulta compresa nessuna delle sei società quotate controllate dallo Stato (altre 15 sono controllate da enti pubblici). Si ha così conferma dell’accantonamento dell’introduzione della maggiorazione di voto, soprattutto in sede di prima applicazione grazie a un quorum deliberativo ridotto previsto in via transitoria, quale strumento per poter procedere a nuove diluzioni delle partecipazioni senza perdere il controllo, rivelatosi poco utile per la finanza pubblica (ANGELICI, 2015).
La prima risposta in termini di effettività è che la maggiorazione di voto si è già diffusa, aumenta costantemente ed è presente anche in società importanti, tre appartenenti al FTSE MIB. È però presente soprattutto nelle società familiari e tra queste la più parte è costituita da piccole imprese del settore industriale (CONSOB, 2018).
Com’è noto, nessuna società quotata ha introdotto la maggiorazione di dividendo (sempre meno sono le società con azioni di risparmio, solo 17 nel 2017; ormai azzerate quelle con azioni privilegiate a voto limitato: XXXXXXXXX et al., 2018; CONSOB, 2018).
3. Gli obiettivi più evidenti e richiamati (BARCELLONA, 2016b; XXXXXXXXXXX, 2015; XXXXXXX, 2016) della maggiorazione di voto sono:
a) favorire le nuove quotazioni e aumentare la dimensione del flottante in sede di IPO superando il timore dei soci-imprenditori, in genere i fondatori, di perdere il controllo della società (così la stessa relazione al decreto competitività);
b) concedere un premio di fedeltà agli azionisti stabili, favorendo i long- term investors, si presume più propensi a sostenere scelte strategiche di sviluppo della società anche a medio/lungo termine;
c) recuperare competitività rispetto agli altri ordinamenti che già prevedevano il voto potenziato.
Sotto il primo profilo, dal 2014 a oggi sono aumentate le nuove quotazioni? La risposta è negativa. Il numero delle quotate sul MTA (v. tab 2) dopo essere stato, cito le parole di XXXXXXXXX et al. (2018) “in costante declino dal 2010”, quando si contavano 270 emittenti per ridursi a 230 a fine 2016, si è successivamente un po’ incrementato grazie a dodici nuove ammissioni (tra le
quali 7 IPO) nel 2017 e altre 12 (tra le quali quattro IPO) nel 20183.
280 | ||||||||
270 | ||||||||
270 | ||||||||
260 | ||||||||
260 | ||||||||
251 | ||||||||
250 240 | ||||||||
244 | 241 | 240 | ||||||
234 | 230 | |||||||
230 | ||||||||
220 | ||||||||
210 | ||||||||
2010 | 2011 | 2012 | 2013 | 2014 2015 | 2016 | 2017 | 2018 | |
numero |
Tab. 2 – Numero delle società quotate sul MTA
3 Il dato è tratto da CONSOB, 2018, p. 66.
D’altra parte, se complessivamente dal 2015 a oggi si contano 22 IPO4 e in totale 41 ammissioni (v. tab. 4)5, le società offerenti che hanno previsto il voto maggiorato sono solo sette (v. tab. 5)6.
14
12
10
8
6
4
2
0
12
10
8
6
7
7
7
5
4
1
2
2
3
2
2012 2013 2014 2015
2016
IPO
2017 2018
6
5
4
3
2
1
0
5
0000 0000 0000 0000
Tab. 3 – Numero delle società quotate sul MTA
1 1 | ||||||
Tab. 4 – Società ammesse a quotazione nel periodo 2015-2018 che hanno introdotto il voto maggiorato
4 Considerando tutto il 2014, 27
5 V. ancora CONSOB, 2018a, p. 66.
6 Dati tratti dal sito Borsa Italiana.
Insomma, non si può dire che il voto maggiorato abbia avuto gli effetti sperati sulla quotazione.
E nemmeno che la maggiorazione sia stata determinante per promuovere le IPO, essendo state introdotte solo da circa un quarto di loro.
Del resto, la crisi, almeno numerica, delle quotazioni è un fenomeno più ampio e non solo italiano. Negli stessi Stati Uniti nel periodo 1990-2018 non è aumentato ma significativamente diminuito il numero degli emittenti quotati, e si è appena ritornati al livello pre-crisi (v. tab. 5).
Tab. 5 – Numero delle società quotate negli Stati Uniti (fonte BlackRock, Bloomberg, Word Bank World Developement Indicators (WDI), database World Federation of Exchanges
Tra poco le considerazioni sul secondo profilo.
Sotto il terzo e ultimo, la concorrenza tra ordinamenti, il voto potenziato è in effetti presente nella gran parte dei Paesi europei e negli USA. L’Italia è
indubbiamente passata da un sistema di tipo tedesco, lì come da noi essendosi nel tempo affermato il principio one share-one vote, a uno molto vicino a quello francese, dove pure già dagli anni sessanta dello scorso secolo si è passati al voto maggiorato, dal 2014 previsto come regola di default (XXXXXX et al., 2014; SPOLIDORO, 2015).
Non è però provato che la mancanza o la presenza dell’istituto abbia inciso sulle scelte di localizzazione delle società.
Si cita in genere il caso FIAT- FCA, perché all’epoca della fusione transfrontaliera con fissazione della sede legale in Olanda e fiscale nel Regno Unito (1° agosto 2014) la decisione è stata principalmente motivata dall’adozione del doppio voto per azione per promuovere la stabilità della base azionaria, possibile nei Paesi Bassi e già posta alla base di un’analoga operazione che l’anno precedente aveva interessato Fiat Industrial.
Il decreto competitività è del giugno dello stesso anno e la sua conversione di pochi giorni successiva all’assemblea della Fiat che ha assunto la deliberazione di fusione.
Nondimeno, nel 2016 anche la Ferrari è diventata una società di diritto olandese con le special voting shares e poco dopo ha fatto lo stesso la holding della famiglia Xxxxxxx, l’Exor.
Certo, non si può escludere che alcune delle società che hanno adottato il voto maggiorato non avrebbero altrimenti proceduto alla quotazione o avrebbero spostato la sede in Paesi che prevedono il potenziamento del voto. Ma ce ne sono comunque che lo consentono in misura molto maggiore del doppio voto del nuovo art. 127-quinquies tuf, compresa l’Olanda, eppure non hanno attratto le nostre società. Così che resta almeno il dubbio che siano altre le circostanze che motivano una decisione di questo genere: regole applicabili al lavoro, fiscalità, tempi della giustizia, efficienza del Paese, rilievo internazionale del suo mercato dei capitali.
4. Le intenzioni del legislatore poste in genere alla base della maggiorazione del voto non appaiono dunque decisive alla prova dei fatti, per
quanto il periodo ancora ridotto d’applicazione consigli prudenza e renda necessaria una verifica futura basata su un periodo ragionevolmente più ampio.
Xxxxxxx allora chiedersi, come avvertivo all’inizio di questo intervento, se il nuovo istituto aveva altre motivazioni e se le ha realizzate e in particolare se risulta fondata l’indicazione di parte degli interpreti (tra gli altri MONTALENTI, 2016, BARCELLONA, 2016b, MARCHISIO, 2015; XXXXXXXXXXX, 2015) secondo la quale la
maggiorazione di voto ha voluto piuttosto consentire ai nostri imprenditori di blindare le loro posizioni di controllo nelle società quotate.
Ricordo che la gran parte delle nostre società quotate è controllata da un azionista o da una coalizione (199 su 231 a fine 2017), che in 116 il maggior azionista ha più del 50% delle azioni ordinarie e che in media ha comunque una partecipazione complessiva di circa il 48% del capitale sociale (CONSOB, 2018).
Le nostre società sono quindi in genere ad azionariato concentrato e le famiglie ne controllano la maggior parte (145), soprattutto di quelle riconducibili al settore industriale.
Ciò detto, a chi può giovare la maggiorazione di voto?
Certamente nessun interesse al potenziamento del voto ha l’investitore retail, il singolo azionista risparmiatore tradizionalmente contrapposto all’azionista imprenditore proprio per la sua apatia razionale nei confronti dell’esercizio di qualsiasi prerogativa partecipativa che non abbia carattere patrimoniale.
Quanto agli investitori istituzionali, presenti peraltro solo in circa un quarto delle quotate (nel 2017, 60 pari al 26% degli emittenti: CONSOB, 2018), per loro l’illiquidità contraddice in genere le politiche di investimento e ha un’utilità marginale nell’assemblea in presenza di una partecipazione che resterebbe comunque di minoranza. Nondimeno il potenziamento del voto potrebbe rendere più efficiente lo svolgimento del monitoraggio se si ripercuotesse anche sull’esercizio di quei diritti delle minoranze che costituiscono il cuore della loro attività di monitoraggio: dalla richiesta di convocazione dell'assemblea all’integrazione del suo ordine del giorno, passando attraverso gli strumenti propriamente reattivi a eventuali irregolarità gestorie, quali l’azione di
responsabilità e la denuncia al tribunale ex art. 152 tuf (v. tra gli altri MARCHISIO, 2015; XXXXXX, 2015). Tuttavia, la previsione contenuta nell’ultimo comma dell’art. 127-quinquies esclude che la maggiorazione del voto possa avere “effetto sui diritti, diversi dal voto, spettanti in forza del possesso di determinate aliquote di capitale”, impedendo a priori che il potenziamento del voto possa agevolare in qualsiasi modo gli investitori istituzionali sotto questo riguardo.
Insomma, sembra basso se non mancante l’interesse anche di questi investitori, come certamente di quelli retail, a mantenere stabile la loro partecipazione per fruire della maggiorazione di voto.
Inoltre, nella prospettiva del mercato del controllo i vari interventi correttivi e integrativi in materia di OPA hanno riguardato l’applicazione alla maggiorazione anche della c.d. regola di neutralizzazione, ma lasciando, come previsto in via generale dall’art. 104-bis tuf, all’autonomia statutaria il compito di prevederla, dunque sottoponendola a una scelta anzi tutto degli azionisti di controllo.
In definitiva, l’unica tipologia di azionista realmente interessata al potenziamento del voto previsto dall’art. 127-quinquies finisce per essere proprio quella dell’azionista di controllo o di riferimento, che attraverso questo meccanismo può consolidare la propria posizione senza procedere a ulteriori investimenti o addirittura capitalizzando parte della propria partecipazione diluendola senza conseguenze sul controllo.
5. Se così è, perché mai il nostro legislatore ha sentito il bisogno di “premiare” gli azionisti di controllo o comunque “influenti”?
Va tenuto presente che il decreto “competitività” del 2014 è stato approvato dopo che la crisi finanziaria del 2008 aveva praticamente dimezzato la capitalizzazione delle società quotate, scesa in quell’anno a 368 miliardi di euro rispetto ai 723 del 2007, per poi ridursi ancora nel 2011 (332 mld.) e realizzare una moderata crescita negli anni successivi per attestarsi nel 2014 a 480 miliardi, ancora inferiore di circa un terzo all’ammontare ante crisi (v. tab. 6).
miliardi di euro | |||||||||||||
800 | |||||||||||||
700 | 723 | ||||||||||||
600 500 400 300 | 368 | 457 | 425 | 332 | 365 | 445 | 480 | 571 | 522 | 634 | 536 | ||
200 | |||||||||||||
100 | |||||||||||||
0 | |||||||||||||
2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013 2014 2015 2016 2017 2018 |
Tab. 6 – Capitalizzazione delle società quotate sul MTA
La conseguenza è stata per le nostre quotate una forte esposizione al rischio di scalate ostili, bisognose di provviste finanziarie mediamente ridotte in modo significativo e in alcuni casi divenute davvero allarmanti.
Xxxxxxx chiedersi, allora, se la principale motivazione del voto maggiorato non vada ricercata nella visione del potenziamento del voto come strumento difensivo rispetto a scalate ostili, soprattutto d’origine non nazionale, anche considerato che il decreto competitività ha introdotto anche la possibilità di ridurre al 25% la soglia dell’OPA obbligatoria totalitaria per le quotate più piccole (PMI) e ha direttamente ridotto al 25% la soglia per le società contendibili (art. 106, co. 1-bis, tuf): e sappiamo, per esempio, le conseguenze per Vivendi in TIM del dover (o voler) restare sotto il 25%. D’altra parte, la risposta non può sempre essere solo l’assunzione di partecipazioni in “società di rilevante interesse nazionale” da parte della Cassa Depositi e Prestiti7. Si sa, del resto, che è diffusa la preoccupazione nei confronti degli investimenti x.x. xxxxxxxxxx che si sostanziano in operazioni di acquisizione di imprese già operanti e detentrici di asset, ben
7 Ai sensi dell’art. 5, co. 8° bis, del d.l. 30 settembre 2003, n. 269, introdotto dall’art. 7, del d.l. 31
marzo 2011, n. 34.
diversi da quelli xxxxxxxxxx che vedono l’immissione di capitali per la realizzazione di nuove attività di produzione di beni e servizi nel nostro territorio, certamente e per tutti da incoraggiare.
Si consideri che, in Italia e in Europa il voto potenziato è stato utilizzato anche in passato con questa finalità, in Italia per esempio all’epoca della grande guerra, quando su impulso del ceto bancario gli statuti di numerose e importanti società hanno introdotto sistemi di voto plurimo (XXXXXXXX, 2015)8.
Una finalità protezionistica è peraltro dichiaratamente connessa alle loyalty shares a voto doppio francesi che hanno costituito il modello d’ispirazione per il
d.l. 91/2014, in passato addirittura codificato nel terzo comma dell’art. L225-123 del code de commerce9 che consentiva agli statuti di riservare la maggiorazione agli azionisti di nazionalità francese10.
A ben vedere, solo in quest’ottica può spiegarsi anche la scelta – altrimenti francamente incomprensibile – dell’art. 127 quinquies TUF di escludere al sesto comma il diritto di recesso in capo ai soci che non abbiano concorso all’approvazione della modifica statutaria introduttiva del voto maggiorato. Una scelta ancora una volta motivata, forse, da finalità protettive delle nostre quotate, non volendo offrire l’occasione agli investitori di minoranza di ridurre ancora attraverso il recesso la loro patrimonializzazione.
6. Se nel 2014 si è voluto evitare che investori esteri sfruttassero la crisi finanziaria per mettere nell’angolo le grandi “famiglie italiane” sulle quali ancora si fonda il nostro capitalismo, le ragioni che hanno giustificato l’introduzione del voto maggiorato non si possono dire venute meno.
8 XXXXXX et al. (2014) ricordano che in quegli anni, con le medesime finalità protezionistiche, “anche a livello normativo si registrarono due proposte che intendevano subordinare l’emissione di azioni a voto plurimo alla loro nominatività e all’intestazione a cittadini italiani”.
9 Corrispondente all’art. 175 della l. n. 66-537 del 24 luglio 1966 sulle società commerciali, che stabliva: “Le droit de vote prévu aux alinéas 1er et 2 ci-dessus peut être réservé aux actionnaires de nationalité française et à ceux ressortissant d'un Etat membre de la communauté européenne”, successivamente esteso ai cittadini di uno stato membro dello Spazio Economico europeo.
10 Possibilità ampiamente sfruttata dalle società francesi, fino all’abrogazione del comma 3 operata dalla l. 29 marzo 2014, c.d. Loi Florange, la quale ha altresì previsto che nelle società quotate il voto doppio si applichi quale regola di default, salvo diversa previsione statutaria.
La capitalizzazione delle nostre società quotate (v. nuovamente tab. 6) è ancora lontana dal tornare al livello ante crisi, pur avendo in parte recuperato e attestandosi a circa 536 miliardi al 31 dicembre 201811, inferiore di circa un quarto alla capitalizzazione del 2007 (-187 miliardi).
Vanno inoltre considerate le proiezioni al ribasso della crescita del PIL e le preoccupazioni relative al ripercuotersi del debito pubblico sui mercati finanziari, le une e le altre potenzialmente penalizzanti per l’andamento della borsa.
Forse, dunque, non è il momento giusto per accantonare il voto maggiorato, come in tempi “normali” credo sarebbe opportuno fare almeno nella sua attuale configurazione. Credo che la soluzione più equilibrata sia in prospettiva quella di limitare il ricorso all’istituto alle sole società di nuova quotazione, introducendo un limite temporale massimo da questa decorrente per la validità della maggiorazione, decorso il quale il beneficio decade automaticamente. Si manterrebbe così la pur incerta capacità del voto maggiorato di incoraggiare la quotazione mitigando però i suoi effetti negativi sulla contendibilità delle società, come avviene con le c.d. fixed-time sunset clauses elaborate oltreoceano dalla prassi statutaria (BARCELLONA, 2016a).
Qualcosa, però, si potrebbe già fare anche per lanciare qualche segnale agli investitori istituzionali di riequilibrio della regolamentazione degli assetti proprietari e di governance delle nostre società quotate.
Anzi tutto, la sostituzione dell’ultima parte del co. 8 dell’art. 127-quinquies con una disposizione che dia rilievo anche alle percentuali di voto ai fini dell’esercizio dei diritti delle minoranze, dando così maggior senso alla maggiorazione anche nell’ottica degli investitori in ragione della loro precipua funzione di monitoraggio.
Inoltre, il superamento dell’esclusione del diritto di recesso ai sensi dell’art. 2437 c.c. con riguardo alla deliberazione che inserisce nello statuto la maggiorazione del voto, ora prevista come detto dal comma 6 dell’art. 127- quinquies.
11 Dato tratto da CONSOB, 2018, p. 66.
Certo, c’è un qualche rischio di fuga da parte degli investitori istituzionali, ma credo sia un rischio molto limitato, mentre la previsione del recesso potrebbe sia scoraggiare nuove introduzioni del voto potenziato, sia – forse soprattutto – rassicurare gli investitori, nazionali ed esteri.
In ogni caso, un argomento tanto delicato com’è quello dell’efficienza dei sistemi di allocazione del voto e in generale della regolamentazione del mercato del controllo societario – dove non conta solo, per quel che conta, la concorrenza tra gli ordinamenti, ma soprattutto la reciprocità con riguardo alla mancanza di barriere, dirette o indirette, nei confronti degli investitori esteri – non può prescindere da scelte condivise a livello internazionale, e quanto meno da un’armonizzazione realizzata, dopo tanti studi e ripensamenti, dall’Unione europea.
Riferimenti
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BARCELLONA E. (2016a), sub art. 2351, 4° co., c.c. e art. 127 sexies t.u.f., in X. XXXXXXXXXX et al. (a cura di), Le società per azioni. Codice civile e norme complementari, diretto da ABBADESSA e PORTALE, vol. I, Milano, p. 562 ss.
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XXXXXXXX V. (2015), Un formidabile strumento di dominio economico. Contrapposizioni teoriche, battaglie finanziarie e tensioni ideologiche sul voto potenziato tra le due Guerre Mondiali, Milano CONSOB (2018), Report on corporate governance of Italian listed companies, disponibile all’indirizzo xxxx://xxx.xxxxxx.xx/xxxxxxxxx/00000/00000/xxx0000.xxx/000000x0-000x-000x- 9fdf-926386140479
CONSOB (2018a), Relazione per l’anno 2018, disponibile all’indirizzo xxxx://xxx.xxxxxx.xx/xxxxxxxxx/00000/00000/Xxx0000.xxx/x00xxxx0-0x00-0000-x0xx- b2cfae8f4bb0
D’ATTORRE G. (2007), Il principio di eguaglianza tra soci nella società per azioni, Milano XXXXXXX F. (1976), Storia del diritto commerciale, Bologna.
XXXXXXXXXXX C. F. (2015), Xxxxxx a voto maggiorato e a voto plurimo, in Giur. comm., I, p. 779 ss. XXXXXX X. (2015), La maggiorazione del diritto di voto nelle società quotate: qualche riflessione sistematica, in Corr. giur., II, p. 153 ss.
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MIGNOLI A. (1953), La nozione di categoria e le categorie di azioni ai sensi degli artt. 2348 e 2376 cod. civ., in Riv. dir. comm., I, p. 434 ss.
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* Destinato agli studi in onore di Xxxxxxx Xxxxxxxxx. In forma diversa e inserito in un più ampio contributo il lavoro farà parte anche del trattato TUF diretto da Xxxx e Presti.
Parte seconda
36
Interviste e schede
Diritti di proprietà intellettuale: attuali considerazioni e problematiche di brevetti e marchi
di Xxxxxxxx Xxxxxxxx
SOMMARIO: 1. Introduzione: lo sviluppo dei diritti di proprietà intellettuale. – 1.1. Sistema armonizzato o frammentato nel contesto internazionale? – 2. La ricerca di armonizzazione delle normative sui brevetti a seguito dei TRIPS. – 2.1. Questioni relative alla possibilità di brevettare. – 2.2. Problematiche legate a questioni etiche. – 2.3. Sfide dell’armonizzazione. – 2.4. La proposta di un nuovo Sistema brevettuale in seguito all’UPP. – 3. L’evoluzione della legislazione sul marchio europeo. – 3.1. Marchi internazionali: l’Accordo e il Sistema di Madrid - 3.2. Aspetti procedurali sul Sistema applicabile ai marchi – 3.3. Violazioni dei marchi. – 3.4. Tutela dei marchi. – 3.5. Global brands e buona fede. – 3.6. Attuali e future problematiche extra territoriali.
Abstract
New technologies and their contribution to social development require a new legislation for IP rights. While main treaties are attempting to harmonize the national regimes, new issues are emerging, still waiting to be resolved.
1. Introduzione: lo sviluppo dei diritti di proprietà intellettuale. Attualmente, le legislazioni dei singoli Stati non sono in grado di tutelare effettivamente i diritti di Proprietà Intellettuale (di seguito “PI”) a causa dell’avvento della globalizzazione e della digitalizzazione, che, per il loro effetto espansivo, hanno influenzato anche la disciplina di brevetti, marchi, opere autoriali e design. Sembra quindi che, per fronteggiare le nuove tecnologie, i diritti di PI dovrebbero essere tutelati a livello internazionale, purtroppo però in tale contesto le normative non sono ancora sufficientemente determinate, anche per l’assenza di una Corte competente sulla giurisdizione internazionale. Le odierne problematiche sono determinate dall’esistenza dei precedenti principi fondamentali in materia, i quali hanno caratterizzato il sistema di tutela sviluppatosi nel 19 secolo, come ad esempio il principio di territorialità, ma non permettono al diritto di adattarsi alla globalizzazione del 21 secolo.1
1 A. Kur and X. Xxxxxx, Xxxxx, casi e materiali relativi al diritto europeo della proprietà intellettuale
(Xxxxxx Xxxxx 2013), p. 1.
Le garanzie concesse agli aventi diritto delle tutele della PI stabiliscono un sicuro contesto per chi vuole investire commercialmente nell’innovazione e nella creatività,2 tanto che, con l’ausilio delle nuove tecnologie, si è verificata una spinta allo sviluppo dell’occupazione, oltre che della ricchezza e della ricerca.
Una delle principali problematiche nel campo dei diritti di PI si è generata a causa della natura intangibile dell’oggetto del diritto e dalla temporaneità della sua tutela, ovvero da quelle caratteristiche che differenziano i diritti di PI dai classici diritti di proprietà. Infatti, la PI è ancora troppo ancorata all’idea della tutela esclusiva di proprietà; questa concezione rispecchia la disciplina che caratterizza i beni materiali. L’incapacità o l’impossibilità, di controllare ogni singolo accesso al bene è, invece, ciò che determina l’immaterialità beni oggetto di PI.3
Per queste motivazioni, il termine “proprietà” usato in riferimento a tali beni non può essere completamente corretto.
I diritti di PI sono garantiti per categorie di prodotti materiali che vantano determinate caratteristiche, come l’innovazione in senso tecnologico o artistico e che perciò rappresentano beni capaci di trasformare l’immaterialità dell’idea, di per sé non protetta dai diritti di PI, nella sua rappresentazione materiale come bene o servizio, che trova invece tutela.
1.1 Sistema armonizzato o frammentato nel contesto internazionale? L’Unione Europea (di seguito UE) ha emesso una serie di normative specifiche volte alla difesa delle aziende per accrescere il loro potenziale di competitività sul mercato, anche nel contesto della tutela della PI, la quale non era direttamente disciplinata nei Trattati UE.
Il principale obiettivo perseguito dall’UE ha riguardato l’armonizzazione delle normative di PI degli Stati membri operanti nel Mercato interno. Negli stessi trattati UE, i diritti di PI, come quelli di proprietà privata, sono disciplinati
2 Ibid.
3 OMPI, Introduzione alla teoria e alla pratica della proprietà intellettuale, Kluwer Law International, Londra 1997, pag. 11.
riconoscendo la competenza dei singoli Stati e l’esistenza di limiti nazionali, ma si scontrano con la realizzazione della libera circolazione di merci e servizi disciplinata all’Art. 34 TFUE.
I diritti di PI si possono considerare compresi nell’oggetto della disciplina dell’art. 36 TFUE e rappresentano quindi giustificazioni alla libera circolazione di merci e servizi, tanto che sono deducibili due principi secondo le interpretazioni della giurisprudenza sulla loro compatibilità con gli art. 34-36 TFUE: il primo riguarda il fatto che il trattato non pregiudica l’esistenza dei diritti di PI garantiti dalla normativa dei singoli Stati Membri e, conseguentemente, le legislazioni nazionali sull’acquisizione, trasferimento ed estinzione di tali diritti è lecita. Il limite di questo principio riguarda la sua non applicazione nel caso in cui ci sia un elemento di discriminazione all’interno delle regole nazionali.4
Il secondo principio, conosciuto come principio dell’esaurimento dei diritti, disciplina la situazione che si verifica quando un diritto di PI si estingue a seguito della sua lecita distribuzione sul mercato di uno degli Stati membri, da parte dello stesso avente diritto o con il suo consenso, in seguito, il proprietario di tale diritto non può opporsi all’importazione in uno degli altri Stati in cui è stato commercializzato. Questo principio non preclude comunque ai titolari dei diritti di esecuzione o di prestito la possibilità di agire per il recupero dei canoni per ogni prestazione o noleggio.5
Come statuito dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea (di seguito CGUE),6 la seconda frase dell'Art. 36 è stata concepita per impedire che le restrizioni agli scambi vengano deviate dal loro proprio scopo al fine di essere utilizzate per creare una discriminazione diretta o indiretta nei confronti di merci originarie di altri Stati Membri, vale a dire per adottare misure protezionistiche.7
4 C-235/89 Commissione contro Italia [1992] ECR I-777.
5 C-187/80, Merck contro Xxxxxxx, Racc. 1981, pag. 2063; unitamente al caso C-267/95 e C- 268/95 Merck contro Primecrown, Racc. 1996, pag. I-6285; caso 78/70 Deutsche Grammophon contro Metro [1971] Racc. 487.
6 C-34/79, Xxxx e Xxxxx, Racc. 1979, pag. 3795, punto 21, così come C-1/90 e C-176/90, Aragonesa de Publicidad Exterior e Publivía, Racc. 1991, pag. I-4151, punto. 20.
7 Commissione Europea, La libera circolazione to di beni, Guida all’applicazione delle previsioni del Trattato che governano la)ree movement of goods, Guide to the application of Treaty provisions governing the free movements of goods ( Unione Europea, 2010) p. 28.
In ogni caso, l’UE è intervenuta sul punto con regolamentazioni che mirano all’armonizzazione, come la Direttiva 89/104/EC sui marchi.
2. La ricerca di armonizzazione delle normative sui brevetti a seguito dei TRIPS. Nel contesto internazionale, gli accordi TRIPS del 19948 hanno introdotto delle prime misure di armonizzazione tramite regole sostanziali e procedurali condivise su base mondiale.
La CGUE ha statuito, nel caso Merck Genéricos contro Merck & Co (2007),9 che gli Stati Membri dell’UE possono applicare direttamente le direttive TRIPS, a condizione che non siano in contrasto con il diritto comunitario. A livello mondiale, anche le iniziative dell’Organizzazione Mondiale sulla proprietà intellettuale (OMPI)10 promuovono l’armonizzazione delle normative e la protezione internazionale, in relazione sia agli aspetti procedurali che sostanziali.11
Il Trattato Mondiale sul Brevetto (in inglese Patent Cooperation Treaty e di seguito PCT) del 2000,12 ha comportato la predisposizione di procedure standardizzate a livello mondiale.13
I diritti garantiti in questo campo, giocano un ruolo fondamentale nell’industria farmaceutica, poiché realizzano un ulteriore incentivo all’innovazione. La Convenzione sul Brevetto Europeo (di seguito CBE) del 197314 rimane ancora il documento di maggior riferimento in ambito di normativa
8 Aspetti dei diritti di proprietà intellettuale attinenti al commercio, firmato a Marrakech, in Marocco, il 15 aprile 1994.
9 C- 431/05 Merck Genéricos - Produtos Farmacêuticos Ldª contro Merck & Co. Inc. and Merck Sharp & Xxxxx Ldª (2007) Racc. I-07001.
10 Art. 1 della Convenzione istitutiva dell'Organizzazione mondiale della proprietà intellettuale, Stoccolma 1967.
11 X. Xxxxxxx e X. Xxxxxxxx, Modern Intellectual Property Law (Routledge 2010), p. 67.
12 Adottato il 1 ° giugno 2000. Entrerà in vigore una volta ratificato da 10 Stati: xxx.xxxx.xxx .
13 L'ordinanza di riforma della normativa (brevetti) 2004, SI 2357/2004 e la legge sui brevetti 2004 apportano le modifiche necessarie alla PA 1977.
14 È entrato in vigore il 1 ° giugno 1978. L'adesione comprende attualmente Austria, Belgio, Bulgaria, Croazia, Cipro, Repubblica Ceca, Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Ungheria, Islanda, Irlanda, Italia, Lettonia, Lituania, Liechtenstein, Lussemburgo, Macedonia, Malta, Monaco, Paesi Bassi, Norvegia, San Marino, Polonia, Portogallo, Romania, Repubblica slovacca, Slovenia, Spagna, Svezia, Svizzera, Turchia e Regno Unito. Una versione riveduta della Convenzione sul brevetto europeo è entrata in vigore il 13 dicembre 2007. Le
brevettuale.15 Tale convenzione ha aperto la strada all’idea di brevetto europeo conseguente ad un’unica domanda che garantisca una protezione estesa. La CBE ha inoltre istituito l’Ufficio Europeo dei Brevetti16 ed ha armonizzato i criteri sostanziali collegati alla validità del brevetto. Titolare delle ricerche e della gestione pratica della Convenzione è l’EPO.17
La CBE non ha ancora raggiunto la piena armonizzazione, ma ha realizzato una procedura di garanzia brevettuale centralizzata.
Si può affermare che allo stato attuale, il contesto europeo risulta basato su una protezione a livello nazionale, che non può, stante le condizioni, garantire una tutela oltre i confini dei singoli Stati.18
2.1. Questioni relative alla possibilità di brevettare. Negli ultimi anni, l’avanguardia raggiunta dallo sviluppo scientifico e tecnologico riguardante, fra le altre, le scoperte attinenti alle sequenze di DNA, alle cellule staminali embrionali, alle terapie ed alle mutazioni genetiche di piante o animali, o ancora i software dei computer ed i nuovi metodi commerciali, ha generato molti quesiti relativi a quali possano essere i nuovi oggetti della tutela brevettuale e sotto quali condizioni.19 Quelle appena elencate sono solamente alcune delle sfide a cui la normativa sui brevetti è attualmente esposta.
Il carattere di novità e la sua applicazione ad un processo industriale sono le condizioni richieste dagli art. 54, 56 and 57 del CBE affinché sia possibile
disposizioni della Convenzione riveduta si applicano a meno che le disposizioni transitorie prevedano l'applicabilità della CBE 1973.
15 Si veda X. Xxxxxx, ‘Strasburgo, la Convenzione sui brevetti dimenticati e le origini della giurisdizione europea sui brevetti’, 41. Revisione internazionale della proprietà intellettuale e del diritto della concorrenza (IRIPCL) (2010) (2), pagg. 123-149..
16 L'Organizzazione europea dei brevetti è un'organizzazione intergovernativa istituita il 7 ottobre 1977 sulla base della Convenzione sul brevetto europeo (CPE) firmata a Monaco di Baviera nel 1973.
17 X. Xxxxxxx e X. Xxxxxxxx, Modern Intellectual Property Law (Routledge 2010), p. 65.
18 X. Xxxxxxx e C. Xxx Xxxxxxxxxxx, "Il tribunale unificato dei brevetti come parte di un nuovo brevetto europeo
Paesaggio: armonizzazione all'ingrosso o esperimento nel pluralismo giuridico? '(2018). Rassegna europea di diritto privato 1-2019 (97-118) 2018 Kluwer Law International BV, Paesi Bassi.
19 X. Xxxxxx, "Insegnare i brevetti", in X. Xxxxxx, X. Xxxxxx, M. A. Sinjela, Insegnamento della proprietà intellettuale, principi e metodo (Cambridge University Press, 2008), p. 13.
brevettare l’invenzione, ma le norme indicate non riescono più a coprire ogni tipologia di bene brevettabile. Ecco quindi il sorgere delle nuove discussioni su ciò che può essere brevettabile e che in base alle norme della CBE dovrebbe escludere:
- le invenzioni il cui sfruttamento commerciale sarebbe contrario all'ordine pubblico o alla moralità; tale sfruttamento non deve essere considerato contrario semplicemente perché è vietato dalla legge o da un regolamento in alcuni o in tutti gli Stati contraenti;
- le varietà vegetali o animali o processi essenzialmente biologici per la produzione di piante o animali; questa disposizione non si applica ai processi microbiologici o ai loro prodotti;
- i metodi per il trattamento del corpo umano o animale mediante chirurgia o terapia e i metodi diagnostici praticati sul corpo umano o animale; nonostante questa disposizione non si applichi ai prodotti (sostanze o composizioni) per l'uso in uno di questi metodi, in base all'Art. 53 della Convenzione.
In uno dei primi documenti relativi al ruolo dell’UE secondo gli accordi TRIPS,20 la Commissione ha sottolineato come ci siano state, fino ad allora, molte aree delle normative sulla proprietà intellettuale coperte dai TRIPS e che non erano state armonizzate a livello Europeo.
In seguito, l’UE ha provveduto all’emanazione di due direttive di maggior rilievo: la Direttiva sulle Biotecnologie (Direttiva 98/44/EC) e la Direttiva sull’applicazione dei diritti di proprietà intellettuale (Direttiva 2004/48/EC).21 Infine, l’Art. 207 del Trattato di Lisbona è stato il prima a considerare i diritti di proprietà intellettuale nel più ampio contesto delle regolamentazioni commerciali dell’UE.
La competenza da riconoscere in capo all’UE sui diritti di PI a livello commerciale è stata oggetto di un lungo dibattito. Dopo il Trattato di Lisbona e specialmente dopo la sentenza sul caso Daiichi Sankyo,22 il diritto sostanziale in
20 Opinione 1/94 della Corte di Giustizia.
21 X. Xxxx, "Brevetto in Europa: la giurisdizione della CGUE sulla legge europea sui brevetti" Prospettive sul federalismo, vol. 7, numero 2 (2015).
22 C-414/11 Daiichi Sankyo contro Sanofi-Aventis Deutschland, ECLI:EU:C:2013:520.
materia di brevetti, indipendentemente dal fatto che fosse o meno legiferato, rientrerebbe ora nella sola competenza dell'UE, in quanto appartenente alla categoria del commercio estero, o più precisamente, utilizzando la nozione più ampia del TFUE, nel suo ambito commerciale. Si discute ancore se, dopo il caso Daiichi Sankyo, esista la necessità di nuove preoccupazioni relative alla predisposizione di una linea distintiva tra, gli aspetti commerciali e strettamente attinenti alla proprietà intellettuale da un lato e quelli non commerciali ma comunque collegati alla proprietà intellettuale dall’altro, come per esempio la mera interpretazione delle norme sostanziali sul brevetto.23
La Corte di Giustizia dell’UE detiene una competenza allargata in materia brevettuale dopo il caso Daiichi Sankyo, che tenderà ad ampliarsi ulteriormente in futuro, perciò quasi nessuna disciplina sarà lasciata alla competenza degli Stati singoli, ma nel rispetto dei TRIPS, sarà comunque utile tenere in mente che l’interpretazione delle disposizioni sostanziali riguarda solo standard generali.24
2.2. Problematiche legate a questioni etiche. Possono essere coperte di diritti di PI anche le nuove scoperte nel campo delle varietà vegetali, che riguardano principalmente varietà fenotipicamente distinte e che richiedono una tutela adeguata.25
Nella causa 1/98,26 la Commissione di Ricorso allargata27 ha concluso che, laddove specifiche varietà vegetali non siano state rivendicate individualmente, la richiesta di brevettabilità non può essere esclusa per l'art. 53 (b) CBE.
Precedentemente, i diritti per le varietà vegetali erano concessi solo per varietà specifiche e non anche per insegnamenti tecnici utilizzabili nella pratica
23 X. Xxxx, "Brevetto in Europa: la giurisdizione della CGUE sulla legge europea sui brevetti" Prospettive sul federalismo, vol. 7, numero 2 (2015).
24 Xxxx.
00 X. Xxxxx, "X limiti della brevettabilità: bioscienze vegetali" in X. Xxxxx, X. Xxxxx, X. Xxxxxxxxxx (edf), Limiti di brevettabilità: scienze vegetali, cellule staminali e acidi nucleici (Springer 2013) p 1.
26 Decisione G 0001/98 Composizioni anti-patogene che comprendono peptidi litici ed enzimi idrolitici (1999) GU EPO 0448511.
27 Art. 22 della Convenzione Europea sul Brevetto. La Commissione di Ricorso allargata è un organo istituito da questa convenzione ed è composto da membri legali e tecnici che esprimono le loro opinioni sui ricorsi.
per generare un numero indefinito di varietà vegetali, quindi non era sufficiente, per l'esclusione dalla protezione brevettuale di cui all'art. 53 (b) CEB, far sì che una o più varietà vegetali fossero state accettate per rivendicare la domanda di brevetto (vedi anche T 0356/93 "Caso di cellule vegetali" del 21.2.1995).28 Il motivo alla base di ciò riguardava il fatto che l'esclusione ex Art. 53 (b) CBE era stata progettata per evitare che rientrasse nell'oggetto della brevettabilità ciò che era ammissibile alla protezione ai sensi del sistema dei diritti dei coltivatori di piante.29 Non ha fatto alcuna differenza, per i requisiti previsti dall'Unione internazionale per la protezione delle nuove varietà di piante (UPOV)30 o per il Regolamento sui Diritti di Varietà delle Piante,31 il fatto che una varietà fosse stata ottenuta tramite tecniche di allevamento tradizionali o di ingegneria genetica. Ad ogni modo, la Direttiva sulle Biotecnologie32 riguarda solo la brevettabilità di innovazioni in campo di biotecnologie.
Esiste un regime per la protezione comunitaria delle varietà vegetali, che, sebbene spesso e inevitabilmente discusso nel contesto del diritto dei brevetti, è certamente distinto dal sistema classico di tutela brevettuale.33 Il successo del Trattato sulla Cooperazione per i Brevetti e alla Convenzione Europea sui Brevetti,34 non potrebbe in alcun caso essere ignorato nel caso in cui emergesse un diritto brevettuale europeo e l’esistenza di tali precedenti regimi di potere ha
28 EPO, ‘Giurisprudenza della Commissione di Ricorso "(Law and Practice)
<xxxxx://xxx.xxx.xxx/xxx-xxxxxxxx/xxxxx-xxxxx/xxxx/xxxxxxx/0000/x/xxx_x_x_0_0_0.xxx> consultato il 14 Maggio 2019.
29 Ibid.
30L'UPOV è un'organizzazione intergovernativa con sede a Ginevra, in Svizzera. UPOV è stata istituita nel 1961 dalla Convenzione internazionale per la protezione delle nuove varietà di piante (la "Convenzione UPOV").
La missione di UPOV è fornire e promuovere un efficace sistema di protezione delle varietà vegetali, con l'obiettivo di incoraggiare lo sviluppo di nuove varietà di piante, a beneficio della società.
31 Regolamento del Consiglio (CE) No 2100/94 of 27 Luglio 1994 sui diritti Comunitari sulle varietà di piante.
32 Direttiva 98/44 / CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 6 luglio 1998, sulla protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche.
33 Regolamento (CE) n. 2100/94 relativo ai diritti comunitari di varietà vegetali (CPVR) [1994] GU L 227/1. Vedere la sezione 3.4 di seguito: Diritti di varietà vegetale.
34 (OMPI) Trattato di cooperazione in materia di brevetti, 19 giugno 1970, Washington e Convenzione (UEB) sulla concessione di brevetti europei (Convenzione sul brevetto europeo) del 5 ottobre 1973..
influenzato la realizzazione di un’armonizzazione che si è invece realizzata in altri settori della proprietà intellettuale.35
Attualmente, i principali produttori di innovazioni nel campo delle biotecnologie si trovano nell'UE e negli Stati Uniti e godono di tutele derivanti da interpretazioni giudiziarie favorevoli.36 La situazione è diversa in altri Paesi, dove l’armonizzazione necessaria avrebbe dovuto essere realizzata mediante l’imposizione ed il rispetto di norme minime internazionali, al fine di creare un regime che tenga conto degli interessi commerciali e di terzi.37
I membri dell'OMC hanno concordato che gli Stati membri manterranno la capacità di escludere dalle invenzioni brevettabili quelle il cui sfruttamento commerciale può influire sull'ordine pubblico o sulla moralità, come indicato nell'articolo 27, paragrafo 2, dei TRIPS, così come potranno anche escludere dalla protezione i metodi diagnostici, terapeutici e chirurgici per il trattamento di esseri umani o animali, piante e animali diversi dai microrganismi e processi biologici per la produzione di piante o animali diversi da quelli non biologici e/o microbiologici. Tuttavia, ai sensi dell'art. 27 (3) TRIPS, i membri dell'OMC provvedono alla protezione delle varietà vegetali mediante brevetti, mediante un efficace sistema sui generis o mediante una loro combinazione.
Diversi concetti etici sono rimasti in discussione anche in seguito alla Direttiva sulle Biotecnologie: per esempio, le cellule staminali embrionali, che sono cellule derivate dalla massa cellulare interna di embrioni in eccesso a seguito della fecondazione in vitro e che, se impiantate nell'utero di una donna, possono svilupparsi in un embrione. Le questioni principali riguardano le blastule in eccesso che vengono congelate e devono essere utilizzate entro 2-3 anni. Esse possono anche derivare dalle cellule germinali in via di sviluppo in un feto
35 C. Xxxxxxx, Diritto e politica dell'UE in materia di proprietà intellettuale (Xxxxxx Xxxxx 2009), p. 70.
36 Per esempio, l'invenzione dell'onnipresente antidolorifico "Paracetamol" inventato nel XIX secolo negli Stati Uniti.
37 Si veda per esempio.: Convenzione internazionale per la protezione delle nuove varietà di piante del 2 dicembre 1961, rivisto a Ginevra il 10 novembre 1972, il 23 ottobre 1978 e il 19 marzo 1991.
di 5-9 settimane.38 Se la Corte di giustizia dovesse escludere le cellule staminali embrionali dalla brevettabilità, ciò sarebbe probabilmente in linea con l'art. 27 TRIPS, perché riguardante questioni attinenti all’ordine pubblico. Infatti, in questo campo si ha un dibattito tutt’ora aperto in tutti i principali paesi industrializzati. Tuttavia, anche le cellule staminali pluripotenti introdotte ed altre tipologie di cellule sembrerebbero generare simili questioni etiche e morali, delle quali non si ha ancora una interpretazione univoca.39
La protezione brevettuale delle cellule staminali rappresenterebbe un importante traguardo per riuscire a coprire gli enormi costi correlati, ma le preoccupazioni etiche anche a riguarda della monopolizzazione del loro uso commerciale non permettono di valutare liberamente questi approcci terapeutici.40 Il diritto delle pratiche discusse dipende, quindi, dalle rispettive legislazioni41 e dall’esistenza di brevetti di terzi.42
Negli Stati Uniti il titolo 35 del Codice non ha specifica particolari esenzioni per i brevetti relativi alle cellule staminali e prevede che gli inventori di qualsiasi nuovo e utile processo tecnologico, che sia una macchina, una fabbricazione o un loro miglioramento, possano ottenere un brevetto soggetto alle condizioni di legge. Di recente, la Corte Suprema ha limitato questo concetto, inizialmente troppo ampio, in Mayo Collaborative Services contro Prometheus Laboratories Inc.43, affermando che una domanda di brevetto relativa ad un metodo di ottimizzazione dell'efficacia terapeutica per il trattamento di un disturbo immuno- mediato non è brevettabile, considerando che le affermazioni del caso in questione fossero effettivamente correlate a delle leggi base della natura del fenomeno e non ad una loro applicazione tecnologica innovativa. Fino ad oggi
38 Dipartimento di Biologia IUPUI, "Cellule staminali embrionali umane" 28 febbraio 2001
<xxxxx://xxx.xxxxxxx.xxxxx.xxx/xxxxxxxxxx/X000/xXXxxxxx.xxxx> consultato il 28 maggio 2019.
39 X. Xxxxx, "I limiti della brevettabilità: cellule staminali" in X. Xxxxx, X. Xxxxx, X. Xxxxxxxxxx (edf), Limiti di brevettabilità: scienze vegetali, cellule staminali e acidi nucleici (Springer 2013) p. 25.
40 Ibid, p. 9.
41 In Germania, la derivazione e l'uso delle cellule staminali embrionali umane è regolato dalla legge sulle cellule staminali tedesca, mentre l'uso di embrioni è regolato dalla legge tedesca sulla protezione degli embrioni.
42 X. Xxxxx, "I limiti della brevettabilità: cellule staminali" in X. Xxxxx, X. Xxxxx, X. Xxxxxxxxxx (edf), Limiti di brevettabilità: scienze vegetali, cellule staminali e acidi nucleici (Springer 2013) p. 9..
43 Mayo Collaborative Servs. contro Prometheus Labs., Inc. (2010) S. Ct. 130 3543 (2010).
non è stato possibile affermare quale sia l’influenza di tale decisione sulle questioni attinenti alla brevettabilità delle cellule staminali embrionali umane.44
Anche il legame tra brevetti e welfare dovrebbe essere preso in considerazione, poiché l'estensione indiscriminata della protezione intellettuale dei brevetti potrebbe avere un impatto negativo su di esso. Il punto principale della discussione è l'affermazione fatta dai governi di molte economie in via di sviluppo riguardo alla protezione non qualificata dei brevetti per i prodotti farmaceutici, che comporterà prezzi più alti per i medicinali, con conseguenze negative per la salute e il benessere dei loro cittadini e non solo.
2.3. Sfide dell’armonizzazione. L'art. 17 della Carta europea dei diritti fondamentali dell’uomo determina la competenza dell’UE relativa alla creazione di norme volte a disciplinare i diritti di PI, competenza che rientra tra le materie di disciplina condivisa con gli Stati membri.45 Finora l'UE ha adottato una specifica legislazione sui brevetti solamente per quanto riguarda le biotecnologie (Direttiva 98/44 / CE) e per applicazione dei diritti di PI.46 Al momento, la procedura di ottenimento di un brevetto, in qualsiasi campo tecnologico o “classico”, non è regolata dal diritto dell'UE, ma dalla Convenzione sul brevetto europeo. Le domande furono ricevute per la prima volta dall'Ufficio europeo dei brevetti di Monaco nel 1978 e da allora sono stati concessi oltre 830.000 brevetti, per più di 2 milioni di domande. Un'alta percentuale di queste domande proviene dagli Stati Uniti e dal Giappone, oltre che dalla Germania, che risulta il più attivo Stato UE.47 L'Ufficio europeo dei brevetti (in inglese European Patent Office, di seguito
EPO) è stato istituito sulla base dell'art. 4 CBE, al fine di istituire un’organizzazione europea dei brevetti, come previsto dall’Art. 19 della Convenzione per la protezione della proprietà industriale, firmata a Parigi il 20
44 X. Xxxxx, "I limiti della brevettabilità: cellule staminali" in X. Xxxxx, X. Xxxxx, X. Xxxxxxxxxx (edf), Limiti di brevettabilità: scienze vegetali, cellule staminali e acidi nucleici (Springer 2013) p. 13.
45 C-274/11 Regno di Spagna e Repubblica italiana contro Consiglio dell'Unione Europea Brevetto unitario, unitamente ai casi C-274/11 e C-295/11.
46 Direttiva 2004/48 / CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa al rispetto dei diritti di proprietà intellettuale.
47 Ufficio dei Brevetti Europeo (EPO), Rapporto annuale 2006 (statistiche).
marzo 1883 e rivista, in ultimo, il 14 luglio 1967. L’EPO si occupa dell’analisi tecnica dei brevetti, che devono poi essere convalidati dai singoli Stati membri prima di poter entrare effettivamente in vigore. La possibilità di un futuro brevetto europeo si tradurrà in un pacchetto di brevetti nazionali dotati di diritti esecutivi secondo la legislazione nazionale e con validità riconosciuta da una giurisdizione specifica.
Il Trattato di cooperazione in materia di brevetti prevede un percorso procedurale che può offrire una serie di vantaggi, tra i quali la possibilità di rivolgersi agli uffici direttamente o indirettamente tramite un deposito internazionale.48
La Convenzione di Parigi ha introdotto una serie di protezioni minime per i brevetti concessi da ciascuno Stato nel proprio territorio, perseguendo l’obiettivo dell’armonizzazione e per determinare diritti di PI ugualmente garantiti sul territorio di ciascuna delle parti contraenti, fatti salvi i diritti specifici.
In base alle disposizioni internazionali e regionali, quindi, i tribunali nazionali hanno ancora piena giurisdizione sulla violazione e alla validità dei brevetti nel loro territorio di competenza.
La Corte di giustizia ha sostenuto, nel caso GAT / LuK,49 che l’Art. 16(4) della Convenzione di Bruxelless50 debba essere interpretato nel senso in cui prevede la competenza esclusiva dei tribunali del territorio di registrazione e concessione del brevetto, per tutte le questioni relative alla validità dello stesso, indipendentemente da come venga sollevata tale questione.51 In conclusione, l'effetto vincolante delle decisioni delle commissioni di ricorso dell'EPO risulta, attualmente, estremamente limitato.52
48 Il PCT è stato concluso nel 1970, modificato nel 1979 e ulteriormente modificato nel 1984, poi nel 2001. È aperto agli Stati parte della Convenzione di Parigi per la protezione della proprietà industriale (1883). Per il suo testo, consultare xxxx://xxx.xxxx.xxx/xxx/xx/xxxxx/.
49 C-4/03, Gesellschaft für Antriebstechnik mbH & Co. KG contro Lamellen und Kupplungsbau Beteiligungs KG (2006).
50 Convenzione di Bruxelles del 1968 concernente la competenza giurisdizionale e l'esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale, 72/454 / CEE.
51 C-4/03, Gesellschaft für Antriebstechnik mbH & Co. KG contro Lamellen und Kupplungsbau Beteiligungs KG (2006).
52 X. Xxxx, "Brevetto in Europa: la giurisdizione della CGUE sulla legge europea sui brevetti" Prospettive sul federalismo, vol. 7, numero 2 (2015).
Due regolamenti UE forniscono il quadro giuridico per il sistema del brevetto unitario: il regolamento UE n. 1257/2012, che crea un "brevetto europeo con effetto unitario",53 comunemente indicato come “Brevetto Unitario”; ed il Regolamento UE n. 1260/2012, che invece traccia le modalità da seguire per gli accordi transnazionali secondo il Brevetto Unitario.54 Dato che alcuni Stati membri dell'UE hanno aderito al progetto di brevetto unitario, il Consiglio dei ministri dell'UE, sentito il Parlamento europeo, nel marzo 2011 ha deciso di autorizzare un gruppo di Stati membri a mettere in atto una "cooperazione rafforzata" per la protezione brevettuale unitaria, ai sensi dell'art. 20 TEU. Attualmente, tutti gli Stati membri dell'UE, tranne Croazia, Polonia e Spagna, partecipano a questa cooperazione rafforzata.55 Dopo l’adozione di tale decisione da parte del Parlamento e del Consiglio europeo, nel dicembre 2012, i due regolamenti sono entrati in vigore, ma si applicheranno solo dalla data di entrata in vigore dell'accordo sul Tribunale Unificato dei Brevetti (UPC).56
2.4. La proposta di un nuovo Sistema brevettuale in seguito all’UPP. Fin ora, il Tribunale Unificato dei Brevetti (UPC) è solo una proposta per la creazione di un tribunale internazionale con giurisdizione su 25 Stati firmatari dell’accordo istitutivo, volto a fronteggiare le violazioni ed a garantire la validità dei brevetti unitari e di quelli europei.57
L’UPC rappresenterebbe la seconda grande innovazione nel panorama europeo ed avrebbe giurisdizione esclusiva sui brevetti europei con effetto unitario.
53Regolamento (UE) n. 1257/2012 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 dicembre 2012, che attua una cooperazione rafforzata nel settore della creazione di una protezione brevettuale unitaria..
54 Regolamento (UE) n. 1260/2012 del Consiglio, del 17 dicembre 2012, che attua una cooperazione rafforzata nel settore dell'istituzione di una tutela brevettuale unitaria per quanto riguarda le disposizioni di traduzione applicabili.
55 Vedi analogamente l'acquis di Schengen.
56 EPO, "Quadro giuridico" <xxxxx://xxx.xxx.xxx/xxx-xxxxxxxx/xxxxxxx/xxxxxxx-xxxxxx/xxxxx- framework.html> consultato il 21 maggio 2019.
57 EPO, "Corte dei Breevtti Unificata" <xxxxx://xxx.xxx.xxx/xxx-xxxxxxxx/xxxxxxx/xxx.xxxx#xxx0> consultato il 21 maggio 2019.
Le sue divisioni centrali sono previste nelle sedi di Londra,58 Monaco e Parigi nonché divisioni locali o regionali in tutti i territori degli Stati firmatari, con un’unica Corte d'appello a Lussemburgo. I giudici saranno selezionati da un pool centrale di giudici, comprendenti almeno un giudice non locale per ogni sede.59
Nel nuovo panorama dei brevetti, l’UPC e la Corte di giustizia europea condividerebbero la giurisdizione e lavorerebbero congiuntamente per la creazione di una legge sui brevetti europea (veramente) armonizzata.60
Possiamo affermare quindi che la legge europea sui brevetti è sull'orlo della modernizzazione grazie all'avvento del pacchetto brevettuale unitario (UPP).61 L'UPP comprende strumenti legislativi europei e non europei, ed il suo contenuto è basato sul Regolamento n. 1257/2012, denominato UPReg.62 L’UPP vuole aggiungere un effetto unitario ai brevetti europei già in essere, garantendo ad un futuro titolare la possibilità di una protezione unitaria, con l’applicazione di una sola richiesta, in conformità all'Art. 7 dell’UPReg. Il brevetto unitario sarà considerato tale negli Stati firmatari dell’UPC, mentre per gli atri Stati avrà la validità di un semplice brevetto; così come le decisioni dell'UPC saranno applicabili solamente nel territorio degli Stati contraenti, come indicato all'art. 34 dell'accordo.
L’UPC era stata immaginata quale Corte simile ad un tribunale internazionale e non necessariamente europeo, in modo da non essere sottoposto alla giurisdizione della CGUE: il suo status potrebbe essere
58 Al momento della stesura di questo lavoro, si presumeva che la divisione centrale dell'UPC potesse essere stabilita a Londra nonostante l'esito del referendum sulla Brexit (che verrà discusso più dettagliatamente in seguito). Se ciò accadrà effettivamente dipende dall'esito dei negoziati tra Regno Unito e UE.
59 X. Xxxxxxx e C. Xxx Xxxxxxxxxxx, ‘Il tribunale unificato dei brevetti come parte di un nuovo Panorama del brevetto europeo: armonizzazione all'ingrosso o esperimento nel pluralismo giuridico? '(2018) European Review of Private Law 1-2019 (97-118) 2018 Kluwer Law International BV, Paesi Bassi.
60 Ibid.
61 L'UPP è composto dalla creazione di:
- Il tribunale unificato dei brevetti, articolo 1 dell'accordo di un tribunale unificato dei brevetti;
- Il brevetto unitario, articolo 142 della Convenzione sul brevetto europeo.
62Regolamento (UE) n. 1257/2012 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 dicembre 2012, attuare una cooperazione rafforzata nel settore della creazione di una protezione brevettuale unitaria.
paragonato a quello dell'EPO, il quale vanta anche funzioni "esterne" e le cui decisioni non sono soggette a revisione da parte dei tribunali europei.
La CGUE, tuttavia, ha ritenuto che il collocamento dell'UPC al di fuori del quadro istituzionale e giudiziario dell'UE non sia compatibile con le disposizioni dei trattati,63 di conseguenza, l'UPC deve rispettare il primato del diritto dell'Unione e sottoporre le questioni del diritto dell'Unione ai tribunali europei, ai sensi dell'art. 267 TFUE, come ulteriormente indicato negli artt. 20 e 21 dell’Accordo UPC.
Contrariamente all'attuale situazione, le decisioni dell'EPO diventeranno appellabili davanti all’UPC e ci sarà la possibilità di fare riferimento alla CGUE per una pronuncia pregiudiziale, inoltre, il ruolo dell'EPO dovrà essere chiarito in quanto, come già anticipato, non è attualmente collegato a nessuna istituzione dell'UE, ma sembra che per il futuro sia previsto un avvicinamento, considerando che sarà responsabile della gestione dei brevetti unificati.64
3. L’evoluzione della legislazione sul marchio europeo. Nel contesto dell'Unione Europea, si sono susseguite tre principali sentenze che hanno determinato una significativa evoluzione della legislazione relativa ai marchi.
La prima sentenza è nota come sentenza Hag 65 del 1974, nella quale la Corte dichiarò che lo scopo di raggiungere la massima liberalizzazione del mercato doveva essere interpretato alla luce del divieto di impedire il transito di merci protette da un Paese all'altro, con o senza il consenso dei Paesi coinvolti. Nel 1990 la Corte ha rivisto la sua prima interpretazione, nella sentenza Hag II66
63 Cfr. Corte di giustizia europea 8 marzo 2011, parere 1/09, xxxxx.xxxxxx.xx/xxxxx/xxxxxxxx/xxxxxxxx.xxx?xxxxxx00000. La CGUE ha ritenuto che concedere alla UPC la competenza esclusiva su "un numero significativo di azioni ... nel campo del brevetto comunitario" e il collocamento della UPC al di fuori del quadro istituzionale e giudiziario dell'UE priverebbe i tribunali degli Stati membri partecipanti dei loro obbligo di sottoporre alla Corte di giustizia le questioni relative al diritto dell'Unione; e che le parti in causa dinanzi all'UPC non potevano ottenere alcun ricorso se le decisioni dell'UPC violavano il diritto dell'Unione (punti 88 e 89).
64M. Minn, "Brevetto in Europa: la giurisdizione della CGUE sulla legge europea sui brevetti" Prospettive sul federalismo, vol. 7, numero 2 (2015).
65 C-192/73 Van Zutlen Frères contro Hag Ag (3 July 1974) Racc. 1974 -00731.
00 X-00/00 XX XXX-Xxxxx Xx contro Hag Ag Gf Ag (17 October 1990) Racc. 1990 I-03711.
ha, infatti, consentito una riduzione della liberalizzazione in favore della facoltà del titolare del diritto di opporsi all'importazione di prodotti con lo stesso marchio, provenienti da un Paese terzo, dove sono stati commercializzati senza il suo consenso.
Il terzo giudizio, conosciuto come sentenza “standard ideale”,67 ha toccato maggiormente la tutela dei consumatori, affermando che può essere adottata qualsiasi misura di protezione degli stessi, per renderli in grado di distinguere un prodotto dall'altro sulla base del segno distintivo. Quanto premesso, deve in ogni caso rispettare lo scopo primario del Trattato: la realizzazione del mercato unico in cui i consumatori sono protetti mediante un marchio trasparente.
Il regolamento del Consiglio europeo del 199468 aveva istituito l'Ufficio per l'armonizzazione nel mercato interno (UAMI), che ha modificato il suo nome in Ufficio dell'Unione europea per la proprietà intellettuale (EUIPO) da marzo 2016.69 Il marchio dell'Unione europea (precedentemente noto come marchio comunitario) era stato creato come strumento giuridico nel diritto dell'Unione europea, in seguito, il regolamento (CE) n. 6/2002 del Consiglio, del 12 dicembre 2001, ha creato il disegno o modello comunitario registrato.70 Il processo di riforma legislativa del 2016 riconosce il successo del sistema del marchio dell'Unione europea (MUE),71 confermando che i suoi principi fondamentali hanno superato la prova del tempo e continuano a soddisfare le esigenze e le aspettative delle imprese, ma stanno cercando di sfruttare questo successo rendendo il sistema più efficiente e coerente nell’insieme ed adattandolo all'era di Internet.
Il regolamento di modifica mira a semplificare i procedimenti e ad aumentare la certezza del diritto, nonché a definire chiaramente tutti i compiti
67 X-0/00 XXX Xxxxxxxxxxxxxx Xxxxxxxxxxx XxxX, Xxx Xxxxxxxx contro Ideal-Standard GmbH, Wabco Standard GmbH (22 June 1994) Racc. 1994 I-02789.
68 Regolamento (CE) n. 40/94 del Consiglio, del 20 dicembre 1993, sul marchio comunitario.
69 Regolamento (UE) 2015/2424 del Parlamento europeo e del Consiglio, 23 marzo 2016.
70 EUIPO, "L’ufficio" <xxxxx://xxxxx.xxxxxx.xx/xxxxxxxxxx/xx/xxx-xxxxxx> consultato il 12 aprile 2019.
71 Secondo considerando del Regolamento (UE) 2017/1001 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 giugno 2017, sul marchio dell'Unione europea.
dell'Ufficio, compreso il quadro per la cooperazione e la convergenza delle pratiche tra gli uffici della PI degli Stati membri.72
La prima Direttiva europea sull’istituzione di un marchio comunitario è stata emanata nel 1989, da quel momento il Consiglio dell'UE ha emesso una serie di direttive sul tema, tra cui il Regolamento sul marchio dell'Unione europea nel 2017.73 Il marchio comunitario ha una validità riconosciuta in tutti gli Stati Membri ed esercita gli stessi diritti per tutti i cittadini europei, poiché il sistema dei marchi consiste in un'unica procedura di registrazione che conferisce al suo titolare un diritto esclusivo nei 28 Stati dell'Unione europea.74
3.1 Marchi internazionali: l’Accordo e il Sistema di Madrid. Nel contesto internazionale, il sistema di registrazione dei marchi si basa sull'Accordo di Madrid e sul protocollo allegato a tale Accordo (istituito nel 1989, come trattato indipendente). L’Art. 2 del Protocollo dell'Accordo di Madrid determina lo scopo del documento, ovvero la volontà di fornire una modalità alternativa di instaurazione dell’applicazione di una domanda diretta e riconosciuta da più destinatari (Stati contraenti) avente una copertura transfrontaliera. Il protocollo è gestito dall'OMPI e la registrazione internazionale fornirà solo un pacchetto di registrazioni nazionali, soggette a leggi nazionali, in base alle direttive dell'Art. 3 dell'accordo di Madrid, mentre gli aspetti procedurali della domanda di registrazione varieranno da Paese a Paese.75
Tuttavia, la registrazione internazionale ai sensi del Protocollo sui marchi si basa sull'applicazione o sulla registrazione nel Paese d’origine, lasciando in capo al richiedente l’indicazione degli ulteriori Paesi per l’estensione territoriale della tutela.
72 EUIPO, "Nuovo regolamento sul marchio UE: modifiche in vigore dal 1 ° ottobre 2017"
<xxxxx://xxxxx.xxxxxx.xx/xxxxxxxxxx/xx/xx-xxxxx-xxxx-xxxxxxxxxx> consultato il 12 aprile 2019.
73 Regolamento (UE) 2017/1001 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 giugno 2017, sul marchio dell'Unione europea (codificazione) (2017) GU L 154/1.
74EUIPO, "Domande di base" <xxxxx://xxxxx.xxxxxx.xx/xxxxxxxxxx/xx/xxxx-xxxxxxx-xxxxxxxxx> consultato il 12 aprile 2019.
75 X. Xxxxxxxx and U. Suthersanen, Diritto globale di Proprietà Intellettuale (Xxxxxx Xxxxx 2008), p. 136.
Uno dei trattati più recenti sui marchi, il trattato di Singapore, è stato firmato nel 2006. L'obiettivo del suddetto Trattato è quello di creare un quadro internazionale moderno e dinamico per l'armonizzazione delle procedure amministrative di registrazione dei marchi, prendendo come base d’ispirazione il trattato sul diritto dei marchi del 1994 (TLT),76 anche per quanto riguarda la definizione dei requisiti per la presentazione di domande, delle registrazioni multi- classe e l'uso della classificazione internazionale "Nizza". I due trattati rimangono comunque separati e possono essere ratificati o rispettati indipendentemente l’uno dall’atro.77 Il trattato di Singapore ha un campo di applicazione più ampio rispetto ai precedenti ed affronta gli sviluppi più recenti dovuti alle tecnologie di comunicazione, in ultimo, si applica a tutti i tipi di marchi registrabili ai sensi della legge di una determinata parte contraente. Le Parti contraenti sono libere di scegliere i mezzi di comunicazione con i loro uffici (comprese le comunicazioni in formato elettronico o mediante mezzi elettronici di trasmissione), mentre sono state introdotte misure di rilievo da rispettare per quanto riguarda i termini e le disposizioni sulla registrazione delle licenze dei marchi ed è stata istituita un'assemblea delle Parti contraenti.
3.2. Aspetti procedurali sul Sistema applicabile ai marchi.
Attualmente, il sistema di registrazione dei marchi nell'UE è caratterizzato da quattro livelli complementari e paralleli tra loro. Il primo livello è rappresentato dal percorso nazionale, in base al quale una domanda di marchio può essere registrata direttamente presso l'ufficio di PI competente e la cui accettazione garantisce la protezione all’interno del singolo Stato membro UE.
La rotta regionale prevede la rassegna della domanda di marchio da parte l'Ufficio del Benelux della proprietà intellettuale (BOIP). In questo caso la protezione sarà garantita in Belgio, Paesi Bassi e Lussemburgo.
76 Trattato sul diritto dei marchi (adottato a Ginevra il 27 ottobre 1994).
77OMPI, "Sintesi del trattato di Singapore sul diritto dei marchi (2006)"
<xxxxx://xxx.xxxx.xxx/xxxxxxxx/xx/xx/xxxxxxxxx/xxxxxxx_xxxxxxxxx.xxxx> consultato il 28 maggio 2019.
Per la protezione nel resto dell'UE, invece, è possibile presentare domanda all’EUIPO, il quale, una volta ricevuta la domanda, ha il compito di controllarla ed elaborarla e, dopo aver registrato il marchio, questo può essere rinnovato indefinitamente ogni 10 anni. Il quarto livello è quello internazionale ed è gestito dall'OMPI. In base a questo sistema, l'utente può estendere la protezione del proprio marchio a livello internazionale e quindi in ogni Paese firmatario del protocollo di Madrid.78 Secondo l’Art. 1, gli Stati in cui l’Accordo è applicabile costituiscono una Unione Speciale per la registrazione internazionale dei marchi.79
Differentemente dai brevetti, quindi, i marchi presentano un sistema di armonizzazione effettivo sia nel contesto europeo che in quello internazionale.
3.3 Violazioni dei marchi. Le infrazioni della tutela dei marchi includono l'uso confusionario nelle forme pubblicitarie (comprendente anche la pubblicità radiofonica come nel caso Xxxxx Schuhfabrik Meyer)80 dei prodotti esposti alla vendita con un segno distintivo non autorizzato sulla loro confezione.81
Le violazioni possono riguardare anche i cd "marchi di posizione". Tali marchi esercitano una forte influenza sulla categoria di mercato nella quale sono commercializzati i prodotti di riferimento. Rappresentano "un segno di posizione" che sottolinea caratteristiche aggiuntive del semplice marchio, ovvero la sua posizione sul mercato.82
L'interpretazione della CGUE sull'uso di un marchio prevedeva che l'uso non commerciale di un segno identico o simile ad un marchio registrato, quale possibile violazione nel caso in cui influisca su qualsiasi funzione del marchio
78Accordo di Madrid relativo alla registrazione internazionale dei marchi del 14 aprile 1891.
79 Il sistema di Madrid è una soluzione pratica ed economica per la registrazione e la gestione di marchi in tutto il mondo. Presentare una singola domanda e pagare una serie di tasse per richiedere protezione in un massimo di 120 paesi. Modifica, rinnova o espandi il tuo portafoglio di marchi globali attraverso un sistema centralizzato. Si veda anche OMPI "Madrid – Il Sitema Internazionale dei Marchi" <xxxxx://xxx.xxxx.xxx/xxxxxx/xx/> consultato il 05 giugno 2019.
80 C-342/97 Xxxxx Schuhfabrik Meyer (1990) I-03819.
81 X. Xxxxx, Diritto di Proprietà Intellettuale (Oxford University Press, 2012), p 233.
82O. Xxxxxx, "IP-bits ib Letters" (11 novembre 2018) <xxxxx://xxxx.xxx/xxxxxxxxx0000000> consultato il 23 maggio 2019..
stesso, ovvero sulla garanzia della qualità dei prodotti e servizi comunemente associati al marchio di riferimento, che determinano la garanzia del prodotto volta alla tutela del consumatore, nonché sulle funzioni di comunicazione, di investimento o di pubblicità.83
3.4 Tutela dei marchi. Ai sensi dell'Art. 9 del Regolamento sul marchio dell’UE, il proprietario di un marchio registrato ottiene diritti esclusivi come quello di impedire a tutti i terzi, in mancanza del suo stesso consenso, di utilizzare il proprio marchio per scopi commerciali.
Far rispettare un marchio è importante quanto la costruzione del marchio stesso. Se il proprietario non è attento, la validità del marchio potrebbe essere messa in discussione, comportando una sua perdita di valore.84
L'EUIPO, d’altra parte, è responsabile della mera registrazione dei marchi UE, ma non essendo un'agenzia di controllo, non può fornire consulenza legale sull'applicazione delle tutele.
Dopo la registrazione, un marchio attribuisce diritti esclusivi rispetto a tutti gli altri marchi identici registrati dopo la sua data di deposito, rispettando il principio "primo arrivato, primo servito".
Anche l'autorità doganale applica la legge sui marchi (ad es. nella situazione cliché in cui i turisti tornano dalle vacanze con una valigia piena di abbigliamento contraffatto recante marchi come "Xxxxx Xxxxxxx"), tramite l’utilizzo ed il supporto di banche dati per evidenziare potenziali violazioni e sequestrare merci contraffatte.85 L'EUIPO offre un database d’aiuto alle autorità per riconoscere le merci contraffatte.86
Le autorità nazionali, quindi, attuano misure conformi alla legge penale relativa ai marchi in caso di attività di contraffazione e pirateria. D'altro canto, uno dei vantaggi della realizzazione di un quadro dei marchi europei è dato dalla
83 C-487/07 L’Oreal contro Bellure (2009), I-05185.
84 EUIPO. "Prendersi cura dei propri diritti" <xxxxx://xxxxx.xxxxxx.xx/xxxxxxxxxx/xx/xxxxxxx-xxxxx- your-rights> consultato il 05 giugno 2019.
85 Si noti che l'Unione europea ha una frontiera esterna comune, in virtù della politica commerciale comune e delle unioni doganali, cfr. L'articolo 3 TFUE e seguenti.
86 Ibid.
competenza di un solo Tribunale ad ordinare l’esecuzione in tutti gli Stati Membri.87
La Direttiva sui marchi del 2008 considera la possibilità di perdita del marchio. In effetti, all'art. 7 n. 2 viene stabilito che, per motivi legittimi, il titolare ha diritto di opporsi ad un'ulteriore commercializzazione dei suoi beni, in maniera particolare in presenza di condizioni di mercato differenti o deteriorate dopo l’immissione dei prodotti.
Un marchio è anche suscettibile di revoca dopo un periodo di cinque anni di effettivo inutilizzo. Anche i marchi registrati UE e nazionali nell'Unione Europea possono essere cancellati, tali richieste sono inviate all'EUIPO e sono volte alla disciplina di una registrazione esistente e non utilizzata, richiesta dallo stesso proprietario.
Nel caso in cui una registrazione esistente si trovi in conflitto con un diritto anteriore o non sia in regola, potrebbe essere invalidata. Un’alternativa all'invalidazione è rappresentata dalla richiesta della sua cessione, realizzata dallo stesso titolare, a suo favore se e quando il marchio sia stato registrato a nome del suo agente o rappresentante senza la sua autorizzazione.88
3.5 Global brands e buona fede. I marchi noti sono generalmente protetti in relazione a prodotti e servizi identici o simili a quelli per i quali hanno guadagnato la loro reputazione sul mercato, indipendentemente dal fatto che siano registrati o meno e, a determinate condizioni, sono protetti anche per beni e servizi diversi. Va notato che, sebbene non vi sia una definizione dettagliata comunemente concordata di “marchio noto”, i Paesi possono trarre indicazione dalla raccomandazione dell'OMPI sulle disposizioni per la protezione dei marchi noti.89
87 Cf. il concetto di riconoscimento reciproco, diritto internazionale privato e cooperazione giudiziaria.
88 EUIPO, "Curare i tuoi diritti" <xxxxx://xxxxx.xxxxxx.xx/xxxxxxxxxx/xx/xxxxxxx-xxxxx-xxxx-xxxxxx> consultato il 05 giugno 2019.
89 OMPI, <"marchi noti">, consultati il 05 giugno 2019. Si veda inoltre: raccomandazione comune relativa alle disposizioni sulla protezione dei marchi noti adottata dall'Assemblea dell'Unione di Parigi per la protezione della proprietà industriale e dall'Assemblea generale di l'Organizzazione
In numerosi Paesi, i marchi noti non registrati sono protetti in conformità agli obblighi internazionali ai sensi della Convenzione di Parigi, la quale prevede che gli Stati contraenti, se la loro legislazione lo consente, d'ufficio o su richiesta di una parte interessata rifiutino o annullino la registrazione e vietino l'uso di un marchio che costituisce una riproduzione, un'imitazione, o una traduzione, suscettibile di creare confusione nel mercato di un marchio noto, così considerato dall'autorità competente del Paese di registrazione o di utilizzo. Queste disposizioni sono collegate all'art. 6 bis della Convenzione di Parigi, che si applica anche quando la parte essenziale del marchio costituisce una riproduzione di un marchio noto o un'imitazione di esso, tale da creare confusione tra i consumatori. Peraltro, in base all'art. 16 (3) TRIPS, molti Stati forniscono una protezione estesa ai marchi noti registrati, per contrastare la diluizione e la reputazione del marchio, che potrebbe essere indebolita dall'uso non autorizzato da parte di terzi. Grazie agli Artt. 16 (2) e 16 (3) TRIPS, viene specificata ulteriormente la portata protezionistica dell'art. 6 bis della Convenzione di Parigi, secondo cui gli Stati membri dovrebbero determinare se il ruolo rilevante di un marchio noto sul mercato è stato ottenuto a seguito della sua promozione. Infatti, l’Art. 16 (3)
TRIPS protegge i marchi registrati noti solo alle seguenti condizioni:
- quando i prodotti ed i servizi per i quali viene utilizzato il marchio in contrasto non sono identici o simili ai prodotti per i quali il marchio noto ha acquisito la sua reputazione;
- quando l'uso del marchio indicherebbe una connessione tra i prodotti recanti marchio in contrasto ed il proprietario del marchio noto,
- quando gli interessi derivanti dall’uso del marchio noto potrebbero essere danneggiati da altro uso.
Anche l’art. 6 bis della Convenzione di Parigi deve essere tenuto in considerazione per l’applicazione della disciplina della Direttiva sui marchi UE,90
mondiale della proprietà intellettuale (OMPI) alla trentaquattresima serie di riunioni delle assemblee degli Stati membri dell'OMPI dal 20 al 29 settembre 1999.
90 Cfr. Articolo 5, paragrafo 2, lettera d), della direttiva sui marchi.
ma, secondo la giurisprudenza europea, si deve in ogni caso dimostrare che il marchio acquisisce una specifica reputazione nell'ambito territoriale dell’UE.91
3.6 Attuali e future problematiche extraterritoriali. Recentemente, gli Stati Uniti e l’UE hanno affrontato discussioni relative ai confini tra marchi ed altri diritti di PI. Il dibattito europeo ha riguardato principalmente le questioni relative all'attribuzione di autorità tra il diritto dell'UE ed i diritti nazionali,92 mentre, negli Stati Uniti, la risoluzione delle questioni attinenti alla competenza dei tribunali sulla costituzionalità dell'esclusione dalla registrazione dei marchi denigratori, è stata indirizzata verso l’idea che gli stessi potrebbero vedersi costretti a dirimere questioni residue, in seguito alla sovrapposizione alla loro giurisdizione del nuovo sistema di registrazione federale dei marchi.93 In seguito all’emanazione della legge sui marchi e alla mediazione in corso sui diritti di proprietà concorrenti, a volte riguardanti lo stesso "segno" usato per beni simili o identici, le questioni relative alla sovrapposizione dei diritti di marchio sono sempre più diffuse. Allo stesso modo, anche le controversie sui brevetti possono occasionalmente dare origine a "sovrapposizioni territoriali", specialmente se includiamo nell’interpretazione di "diritti" anche quelli di utilizzazione di un’invenzione senza autorizzazione, da parte di terzi.94
Nel corso degli anni, la normativa UE sui marchi ha disciplinato l’argomento cercando di armonizzare le legislazioni regionali tramite tre documenti principali: il Regolamento sui marchi, il Regolamento delegato sui marchi dell'Unione Europea e il Regolamento di attuazione dei marchi dell'Unione Europea.95 Pertanto, i marchi sono coperti una regola generale per cui un diritto
91 C-375/97 - General Motors (1999) Racc. 0000- X-00000.
00 X-000/00, Xxxxxx X Xxx Xxxxxxxxx XX x. Xxxxxxx, (2013) Racc. -I-577.
93 Si veda In re Tam, 808 F.3d 1321 (Fed. Cir. 2015) (en banc), Xxx x. Tam, 137 S. Ct. 30 (2016) (mem.); Pro-Football, Inc. contro Blackhorse, 112 F. Supp. 3d 439 (E.D. Va. 2015); si veda anche Renna contro Cty. of Union, 88 F. Supp. 3d 310 (D.N.J. 2014).
94 G. B. Xxxxxxxxx, "Sovrapposizioni territoriali nel diritto dei marchi: il modello europeo in evoluzione" (Chicago-Kent College of Law 2017).
95 Rispettivamente: regolamento (UE) 2017/1001 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 giugno 2017, sul marchio dell'Unione europea; Regolamento delegato (UE) 2018/625 della Commissione, del 5 marzo 2018, che integra il Regolamento (UE) 2017/1001 del Parlamento europeo e del Consiglio sul marchio dell'Unione europea e che abroga il regolamento delegato
nazionale anteriore può respingere una domanda di marchio UE successiva, a condizione che il diritto anteriore nazionale sia stato registrato, richiesto o acquisito in buona fede nel nuovo Stato membro, prima della data di adesione di quello stato.96 Tuttavia, una posizione di compromesso è stata adottata quando l'Unione europea è stata allargata nel 2004, quando l'ambito geografico dell'EUTM è stato esteso ai territori dei nuovi Stati Membri ammessi.97
L'EUTMR ha inizialmente riconosciuto la coesistenza dei diritti nazionali e persino locali, anche se non è stato loro asserito di negare la concessione di un marchio UE nei confronti di un successivo marchio, potenzialmente in conflitto.98 Pertanto, l'Art. 137 Reg.MUE disciplina il divieto di utilizzo dell'EUTM senza pregiudicare l'Art. 8 o l’Art. 60, paragrafo 2 dello stesso regolamento, che può essere invocato per chiedere la violazione di diritti anteriori connessi all'uso di un MUE successivo. Allo stesso modo, l'art. 138 prevede che il proprietario di un diritto che "si applica solo a una determinata località" possa beneficiare dell'utilizzo dell'EUTM nella località in cui esiste il suo diritto, se consentito dalla legge dello Stato membro interessato. Entrambe le disposizioni contemplano la possibile esclusione del proprietario del marchio dell'Unione europea dal mercato nazionale e/o locale, creando così vuoti legislativi nella tutela unitaria del marchio dell'UE.
La registrazione dei marchi consente alle autorità competenti ed al pubblico di determinare l'oggetto della protezione offerta al suo proprietario in maniera chiara e precisa e fornisce allo stesso i diritti esclusivi che sono alla base di ogni normativa sulla proprietà intellettuale.
(UE) 2017/1430 e il regolamento di esecuzione (UE) 2018/626 della Commissione, del 5 marzo 2018, che stabilisce norme dettagliate per l'attuazione di alcune disposizioni del regolamento (UE) 2017/1001 del Parlamento europeo e del Consiglio sul marchio dell'Unione europea e che abroga il regolamento di esecuzione (UE) 2017/1431.
96 Cfr. Comunicazione n. 05/03 del Presidente dell'Ufficio del 16 ottobre 2003, concernente l'allargamento dell'Unione europea nel 2004, 2004 O.J. UAMI 10/04, 69, § II, par. 3 ("L'estensione [MUE] sarebbe valida e applicabile in tutta l'UE, compreso il nuovo Stato membro, ma non contro un diritto nazionale in conflitto precedente. L'estensione [MUE] non sarebbe quindi solo esecutiva nei confronti di un diritto nazionale precedente , ma il detentore di tale diritto [potrebbe] vietare l'uso del [MUE] esteso nel suo territorio.").
97 Ibid.
98 G. B. Xxxxxxxxx, "Sovrapposizioni territoriali nel diritto dei marchi: il modello europeo in evoluzione" (Chicago-Kent College of Law 2017).
Le procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento nel nuovo Codice della crisi
di Xxxxxxxxxxxx Xxxxxxx Xxxxx
Sommario 1. L’evoluzione storica delle procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento. – 2. La ristrutturazione dei debiti del consumatore. – 3. Il concordato minore. – 4. La liquidazione controllata. – 4.1 Le novità in materia di esdebitazione del sovraindebitato. – 5. Le procedure familiari. – 6. Il principale effetto dell’esdebitazione: la limitazione di responsabilità e la creazione di un nuovo patrimonio. – 7. Conclusioni
Abstract
This paper addresses the innovations introduced by the Corporate Crisis and Insolvency Code regarding over-indebtedness procedures. After an analysis of the innovations introduced by the new legislation, with regard to the implementation of the procedures and the substantive requirements provided by the Code for the access to the procedures, the paper focuses on the main effect pursued through this instruments: the release of the debtor from unsatisfied debts (so called "discharge").
The Code, in fact, introduces significant innovations aimed at simplifying debtors' access to the benefit of discharge. The legislator not only aims to make these procedures more widely used in practice, but also wants to prevent medium and small debtors from being forced to leave the market because of the impossibility of meeting their debts.
1. L’evoluzione storica delle procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento. Le procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento sono state introdotte nel nostro ordinamento dalla legge n. 3 del 27 gennaio 2012: l’obiettivo perseguito dal legislatore era introdurre degli strumenti idonei a risolvere le situazioni di crisi o insolvenza nelle quali possono trovarsi quei debitori che, a causa delle loro dimensioni o della natura dell’attività svolta, non sono assoggettabili alle tradizionali procedure concorsuali disciplinate dalla legge fallimentare e altre leggi speciali1.
La conclusione naturale di tali procedure consiste nella c.d. esdebitazione, istituto in forza del quale un soggetto ottiene il beneficio di essere liberato dai
1 Si fa riferimento, secondo la definizione di cui all’art. 2, comma 1, lett. c) del nuovo Codice della crisi (x.x.xx. n. 14/2019), ai consumatori, professionisti, imprenditori minori, imprenditori agricoli, start-up innovative di cui al d.l. n. 179/2012 e, in generale, ad ogni debitore non assoggettabile a nessuna delle procedure concorsuali disciplinate dalla legge fallimentare e altre leggi speciali.
debiti non soddisfatti, che vengono dichiarati inesigibili, potendo così reinserirsi nella società – e nel mercato – senza l’incombente minaccia di azioni esecutive da parte dei suoi creditori2.
Si voleva superare, in questo modo, quel sistema di “doppio binario” al quale l’ordinamento italiano è rimasto a lungo legato3: prima dell’introduzione della legge n. 3/2012, infatti, mentre ai debitori fallibili risultavano applicabili diverse procedure concorsuali, i soggetti non fallibili rimanevano esposti esclusivamente alle ordinarie azioni esecutive individuali dei creditori.
Tradizionalmente, tale trattamento differenziato si giustificava sul presupposto che solo l’insolvenza dell’imprenditore commerciale non piccolo – data la maggiore entità e il maggior numero dei suoi debiti – fosse in grado di avere gravi ripercussioni sull’economia in generale4.Tuttavia, fin dai primi anni Duemila, la dottrina iniziò a mettere in discussione tale orientamento: si sottolineava, in particolare, come anche la crisi del debitore civile potesse avere effetti pregiudizievoli per i consumi e incidere così sul sistema economico complessivo5.
2 L’istituto dell’esdebitazione è stato introdotto nel nostro ordinamento con il d.lgs. n. 5/2006, in occasione di una riforma del diritto fallimentare: l’art. 142 della legge fallimentare stabilisce che, in presenza di determinate condizioni, il fallito persona fisica possa beneficiare della liberazione da tutti i suoi debiti residui, ossia quelli non integralmente soddisfatti all’esito della procedura concorsuale. Tuttavia, la riforma del 2006 non prevedeva l’applicazione di tale disciplina anche ai soggetti non fallibili. Il legislatore decise quindi di legare l’esdebitazione al fallimento, escludendo da tale beneficio l’insolvente civile (X. XXXXXXX, Speciale Decreto Sviluppo-Bis - La nuova disciplina del sovraindebitamento dopo il d.l. 18 ottobre 0000, x. 000, xx Xx xxxxxxxxxxxxxxx”, 0000, p. 1).
3 X. XXXXXXXXXXXX, Una rivoluzione per l’indebitamento dei privati, in xxx.xxxxxx.xx, 18 gennaio 2013, p. 1; X. XXXXXXXX, L’insolvenza del debitore civile e “fresh start”, le ragioni di una regolamentazione, in Analisi giuridica dell’economia, 2004, II, p. 222. Con riferimento all’espressione “doppio binario” occorre fare una premessa di rilievo sistematico onde evitare fraintendimenti interpretativi: se con tale espressione si intende la previsione di procedure differenziate per i debitori fallibili e quelli non fallibili all’interno di un medesimo ordinamento giuridico, allora l’ordinamento italiano continua ad essere legato a tale impostazione; se invece, come sembra più corretto, quando si parla di doppio binario si fa riferimento a quei sistemi in cui sono previste procedure concorsuali solo a favore dei debitori fallibili, ferma restando l’assoggettabilità dei debitori non fallibili alle sole azioni esecutive individuali dei creditori, allora l’entrata in vigore della legge n. 3/2012 ha segnato il superamento di tale impianto.
4 X. XXXXXXXX, art. cit., p. 224; X. XXXXXX, Il sovraindebitamento, il regime italiano, in Rivista del diritto commerciale, n. 4/2012, p. 3.
5 X. XXXXXX, art. cit., p. 6 ss.; X. XXXXXXXXX, Il presupposto soggettivo delle procedure di cui al Capo II della legge n. 3/2012 quale espressione della nuova concorsualità “debtor oriented”, in Orizzonti del diritto commerciale, Anno V, n. 3, p. 2; M.L. SPADA, La domanda di accordo nelle
Un primo interessamento del legislatore italiano verso la tematica dell’insolvenza dei soggetti non fallibili si ebbe con l’istituzione – nel 2001, presso l’Ufficio Legislativo del Ministero della Giustizia – della Commissione Trevisanato6. L’obiettivo della Commissione era elaborare principi e criteri direttivi di un disegno di legge delega al Governo, relativo all’emanazione di una nuova legge fallimentare. Tuttavia, all’interno della Commissione si verificò una spaccatura che non consentì di elaborare un testo condiviso da tutti i suoi membri.
Dopo questa ed altre iniziative che non giunsero mai ad una regolamentazione della materia7, la prima vera disciplina delle procedure da sovraindebitamento e l’introduzione della c.d. discharge per i soggetti non fallibili si ebbero con l’emanazione della legge n. 3/2012 e, soprattutto, con le modifiche apportate al testo originario ad opera del decreto legge del 18 ottobre 2012, n. 1798.
procedure concorsuali del debitore non fallibile, in Il diritto fallimentare e delle società commerciali,
n. 1/2018, p. 1.
6 X. XXXXXXXXX, Il presupposto soggettivo delle procedure di cui al Capo II della legge n. 3/2012 quale espressione della nuova concorsualità “debtor oriented ,. cit., p. 3; X. XXXXXXX, La gestione del sovraindebitamento del debitore “non fallibile” (d.l. 212/2011), in Il Xxxx.xx, 2012; X. XXXXXX, op. cit., p. 7.
7 Già nel 2011, infatti, fu emanato un decreto legge (22 dicembre 2011, n. 212) che disciplinava, per la prima volta, un accordo per il superamento della crisi del debitore civile (consumatore, professionista, piccolo imprenditore o imprenditore agricolo). Il principale limite di tale procedura consisteva nel fatto che, una volta ottenuto il consenso di una determinata percentuale di creditori, l’accordo era vincolante solo per i creditori che espressamente vi avevano aderito. I creditori dissenzienti, invece, mantenevano il diritto ad ottenere l’integrale pagamento di quanto loro dovuto e potevano far valere le proprie ragioni attraverso le ordinarie azioni esecutive individuali. Il Governo, per superare tale limite, aveva intenzione di proporre un consistente emendamento in sede di conversione del decreto ma il Parlamento, al momento di tale conversione, decise di eliminare tutte le norme del decreto relative a tale procedura. Tale scelta fu dovuta al fatto che, prima della conversione, il Parlamento aveva concluso i lavori sul c.d. progetto di legge Xxxxxxx, che portò all’approvazione della legge n. 3/2012 e, di conseguenza, non sembrò opportuno convertire in legge un decreto avente ad oggetto la stessa materia di un provvedimento appena approvato dal Parlamento (X. XXXXXXX, art. cit., p. 2 ss.; X. XXXXXXX FARINA, La nuova disciplina del sovraindebitamento del consumatore, in Il diritto fallimentare e delle società commerciali, n. 6/2014, p. 644; X. XXXXXXX, op. cit., p. 1).
8 Il testo originario, infatti, prevedeva esclusivamente l’introduzione di un accordo vincolante per i soli creditori aderenti, senza la produzione di alcun effetto nei confronti dei creditori che non avevano prestato il loro consenso. Inoltre, la legge non disciplinava alcuna procedura ad hoc per il consumatore né prevedeva, in alternativa all’accordo, una procedura liquidatoria alla quale facesse seguito il beneficio dell’esdebitazione. Il d.l. n. 179/2012, invece, apportò una serie di modifiche rilevanti: estese l’efficacia dell’accordo, una volta raggiunto il consenso di una maggioranza qualificata di creditori, anche ai creditori dissenzienti; introdusse un procedimento
Come noto, la versione attualmente in vigore della legge n. 3/2012 – la cui disciplina è destinata ad essere sostituita dalle disposizioni del nuovo Codice della crisi, approvato con D.Lgs. n. 14/2019 – prevede tre diverse procedure. Una è riservata al solo consumatore – il c.d. piano del consumatore – che, diversamente dalla seconda, l’accordo di composizione della crisi, non richiede il consenso di una maggioranza qualificata di creditori, ma è sottoposta esclusivamente ad omologazione da parte del giudice9. La legge, se da un lato riserva al debitore-consumatore l’indubbio vantaggio di non dover giungere ad un incontro di volontà con i creditori, dall’altro – proprio in considerazione della compressione dei diritti di questi ultimi – sottopone l’omologazione del piano ad un incisivo controllo di meritevolezza da parte del giudice, al fine di valutare la condotta del debitore nell’assunzione e gestione delle obbligazioni che ne hanno determinato il sovraindebitamento10.
Come accennato, sia il piano del consumatore sia l’accordo di composizione della crisi sono vincolanti, una volta omologati, anche per i creditori dissenzienti; inoltre, una volta adempiute tutte le obbligazioni oggetto del piano o dell’accordo, essi producono un automatico effetto esdebitatorio11.Tale profilo differenzia queste due procedure dalla terza – la liquidazione del patrimonio – che al contrario richiede, ai fini della liberazione dalle obbligazioni rimaste insoddisfatte, un apposito provvedimento del giudice da emanare entro un anno dal termine della procedura12.
In base all’impianto normativo attualmente in vigore, quindi, il debitore non fallibile che si trovi in una situazione di sovraindebitamento può scegliere se
riservato al solo debitore qualificabile come “consumatore” e, infine, inserì una procedura di liquidazione, alternativa all’accordo, all’esito della quale è possibile ottenere la liberazione dai debiti residui.
9 G.D. XXXXX, Le procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento, in Luiss Law Review, n. 1/2019, p. 12.
10 ANGLANI, XXXXXXX, FAUDA, MARELLI, SESSA, Fallimento e altre procedure concorsuali, II ed., 2013, p. 840. Anche il Tribunale di Monza, Sez. III, 22 giugno 2017 (xxx.xxxxxx.xx) evidenzia come la limitazione dei diritti dei creditori giustifichi l’incisività del controllo di meritevolezza nell’ambito di tale procedura.
11 G. D. XXXXX, Le procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento, cit., p. 12.
12 Art. 14-terdecies, comma 4, legge n. 3/2012; come si vedrà, il Codice della crisi ha introdotto significative innovazioni anche con riferimento alla concessione dell’esdebitazione all’esito della procedura liquidatoria.
ricorrere ad una procedura diretta alla ricerca di una soluzione concordata della crisi (accordo di composizione della crisi ovvero, qualora si tratti di un debitore che riveste la qualifica di consumatore, piano del consumatore o accordo di composizione della crisi a sua scelta) oppure, in alternativa, richiedere l’accesso alla procedura liquidatoria. In entrambi i casi l’iniziativa spetta al solo debitore, l’unico legittimato ad avviare una delle tre procedure di cui alla legge n. 3/201213. Nonostante l’ampio spazio riconosciuto dalla legge all’autonomia contrattuale delle parti – l’accordo ed il piano, infatti, possono prevedere “la ristrutturazione dei debiti e la soddisfazione dei crediti attraverso qualsiasi forma, anche mediante cessione dei crediti futuri” 14– le procedure hanno avuto scarsa applicazione nella pratica. La Relazione ministeriale illustrativa del nuovo Codice
della crisi parla, a tal proposito, di “quasi totale disapplicazione dell’istituto”15.
Il legislatore della riforma ha dunque deciso di intervenire anche sulla disciplina delle procedure da sovraindebitamento perseguendo un duplice obiettivo: armonizzare tale disciplina con le modifiche apportate al resto del sistema concorsuale e rendere le procedure più utilizzate nella pratica16.
In tale ottica, la scelta è stata nel senso di non richiedere requisiti soggettivi troppo stringenti per l’accesso alle procedure ma, al contrario, di prevedere requisiti negativi in presenza dei quali risulta precluso l’accesso a tali istituti: il
13 L’unica eccezione riguarda il caso di “conversione” di un accordo di composizione della crisi o di un piano del consumatore in procedura liquidatoria: l’art. 14-quater della legge n. 3/2012, infatti, prevede che la liquidazione del patrimonio possa essere avviata anche su istanza dei creditori nei casi di annullamento dell’accordo o di cessazione degli effetti dell’omologazione del piano. Si tratta, come si avrà modo di vedere in seguito, di un profilo sul quale il Codice della crisi ha inciso profondamente.
14 Gli unici limiti contenutistici riguardano la necessità che il piano preveda il regolare pagamento dei crediti impignorabili e il pagamento integrale (anche se dilazionato) dei tributi costituenti risorse proprie dell’UE, IVA e ritenute operate ma non versate; la legge prevede alcune limitazioni anche con riferimento ai crediti muniti di privilegio, pegno o ipoteca, autorizzando il pagamento non integrale di tali crediti solo se non inferiore a quanto otterrebbero i titolari di tali crediti dall’alternativa liquidatoria e, solo con riferimento all’ipotesi in cui l’accordo o il piano prevedano la continuazione dell’attività, riconoscendo al debitore la possibilità di prevedere una moratoria fino ad un anno dall’omologazione per il pagamento di tali crediti (artt. 7, co. 1 e 8, co. 4 della l. n. 3/2012).
15 Relazione ministeriale illustrativa del Codice, p. 9.
16 X. XXXXX, X. XXXXXXX, Il nuovo Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza, Zanichelli, 2019, pp. 266-267.
xxxxxxxx non deve aver beneficiato di altra esdebitazione nei 5 anni precedenti17, non deve aver comunque ottenuto la c.d. discharge per due volte e, infine, non deve aver agito in mala fede o compiuto atti di frode in danno dei creditori.
Il Codice modifica quindi il precedente termine di cui all’art. 14-terdecies, comma 1, lett. c) della l. n. 3/2012 che prevede, tra i requisiti di ammissibilità della domanda di esdebitazione, che il debitore non abbia già beneficiato di un provvedimento analogo negli 8 anni precedenti. Inoltre, al fine di evitare la proposizione abusiva di ricorsi seriali da parte di debitori in mala fede, viene introdotto il limite massimo delle due esdebitazioni (c.d. principio per cui “quarta opportunità non datur”18).
Prima di analizzare le principali novità introdotte dal Codice con riferimento alle varie procedure da sovraindebitamento (ristrutturazione dei debiti del consumatore, concordato minore e liquidazione controllata), è utile dar conto fin d’ora delle modifiche apportate alla definizione stessa di “sovraindebitamento”. Già l’art. 6 della legge n. 3/2012 dettava, per una precisa scelta del legislatore, una definizione molto ampia19. L’obiettivo – coerente con la ratio della legge di riconoscere a tutti i debitori dell’ordinamento la possibilità di accedere a delle procedure “concorsuali” al fine di superare le proprie difficoltà economiche e finanziarie – era quello di ricomprendere tutte le situazioni di crisi o insolvenza in cui avrebbero potuto trovarsi i destinatari delle procedure da sovraindebitamento e, quindi, sia gli imprenditori non fallibili sia i debitori comuni20. Il nuovo Codice recepisce espressamente tale orientamento, definendo il sovraindebitamento come “lo stato di crisi o insolvenza del consumatore, del professionista,
17 Va sottolineato che la legge n. 3/2012 richiede in via generale (con riferimento all’accesso alle procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento e non con specifico riferimento all’esdebitazione) che il debitore non abbia già fatto ricorso ai medesimi procedimenti nei precedenti 5 anni.
18 X. XXXXXXXXXX, L’esdebitazione tra presente e futuro, in Rivista del diritto commerciale, n. 3/2018, p. 9; X. XXXXXXXXX, L’esdebitazione, in Giurisprudenza Italiana, n. 4/2019, p. 2036.
19 Ai sensi dell’art. 6 della l. n. 3/2012 il sovraindebitamento è “la situazione di perdurante squilibrio tra le obbligazioni assunte e il patrimonio prontamente liquidabile per farvi fronte, che determina la rilevante difficoltà di adempiere le proprie obbligazioni, ovvero la definitiva incapacità di adempierle regolarmente”.
20 ANGLANI, XXXXXXX, FAUDA, MARELLI, SESSA, op. cit., p. 847; X. XXXXXXXXX, L’imprenditore agricolo esercente attività commerciale nel nuovo diritto concorsuale, in Rivista del diritto commerciale, n. 3-2014, p. 21.
dell’imprenditore minore, dell’imprenditore agricolo, delle start-up innovative e di ogni altro debitore non assoggettabile alla liquidazione giudiziale o ad altre procedure liquidatorie previste dal codice civile o da leggi speciali” (art. 2, comma 1, lett. c)00.Xx nuova definizione non si limita a descrivere il fenomeno da un punto di vista oggettivo ma – diversamente dalla legge n. 3/2012 – specifica anche una serie di soggetti che, non essendo assoggettabili a procedure concorsuali diverse rispetto a quelle da sovraindebitamento, costituiscono l’ambito soggettivo di applicazione delle procedure in esame22. Si tratta di un’innovazione opportuna che, recependo quanto già affermato dalla dottrina e dalla giurisprudenza con riferimento alla precedente nozione di sovraindebitamento, contribuisce a fare chiarezza nell’ottica di una maggiore applicazione concreta delle procedure.
2. La ristrutturazione dei debiti del consumatore. La ristrutturazione dei debiti del consumatore sostituirà, in sostanza, il piano del consumatore.
La novità più rilevante introdotta dal Codice riguarda l’ambito soggettivo di applicazione della procedura in esame: mentre sotto il vigore della legge n. 3/2012, come visto, il consumatore poteva scegliere liberamente tra le tre procedure da sovraindebitamento disciplinate dalla legge stessa, il Codice continua a riservare una procedura ad hoc ai debitori che rivestono la qualifica di consumatore ma, allo stesso tempo, prevede anche che tale procedura sia l’unica alla quale i consumatori possono accedere oltre all’alternativa liquidatoria23.
21 X. XXXXXXXXX, Le procedure in caso di sovraindebitamento ai sensi dell’art. 2, 1° comma, lett. c), in Giurisprudenza Italiana, n. 4/2019, p. 2039. Va evidenziato che il Codice della crisi ha anche dettato, come richiesto dall’art. 2, comma 1, lett. c) della legge delega n. 155/2017, una definizione dello “stato di crisi”, inteso come lo stato di difficoltà economico-finanziaria che rende probabile l’insolvenza del debitore, e che per le imprese si manifesta come inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte regolarmente alle obbliga- zioni pianificate.
22 X. XXXXXXXXX, Crisi e insolvenza nel passaggio tra vecchio e nuovo assetto ordinamentale: considerazioni problematiche, in Il diritto fallimentare e delle società commerciali, Focus riforma fallimentare 2019, p. 5; X. XXXXX, Codice della crisi d’impresa: requisiti oggettivi e soggettivi del sovraindebitamento, in Il quotidiano giuridico, 8-3-2019, p. 2.
23 Relazione ministeriale illustrativa del Codice, p. 143; X. XXXXX, D. XXXXXXX, op. cit., p. 271 ss.; X. XXXXXXX, Il concordato minore nel sovraindebitamento, in Il fallimentarista, 25-5-2018, p. 3; X. XXXXXXXXX, Le procedure in caso di sovraindebitamento ai sensi dell’art. 2, 1° comma, lett. c), cit., p. 2040.
Il Codice modifica la nozione stessa di “consumatore”, risolvendo espressamente uno dei problemi interpretativi sorti con riferimento all’ambito applicativo della legge n. 3/2012.
Il dibattito, in particolare, aveva riguardato la possibilità per i soci illimitatamente responsabili di società fallibili (s.n.c, s.a.s. e s.a.p.a.) di ricorrere alle procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento per porre rimedio alla propria situazione di personale sovraindebitamento (vale a dire, determinato esclusivamente da debiti estranei a quelli sociali).
Uno dei requisiti fondamentali per accedere a tali procedure, come noto, è rappresentato dalla non assoggettabilità del debitore a procedure concorsuali diverse. Il contrasto interpretativo ruotava attorno alla circostanza per cui, se da un lato tali soggetti non possono accedere autonomamente a procedure concorsuali diverse da quelle di cui alla l. n. 3/2012, dall’altro possono essere dichiarati falliti qualora venga dichiarata fallita la società dei cui debiti rispondono illimitatamente (c.d. fallimento in estensione, art. 147 l. fall.)24.
Il Codice prende posizione sul punto, recependo la nozione di consumatore dettata dal Codice del Consumo e prevedendo espressamente che rientrino in tale categoria anche i soci illimitatamente responsabili di s.n.c, s.a.s. e s.a.p.a., esclusivamente con riferimento ai debiti estranei a quelli sociali25.
24 Per l’orientamento minoritario, che negava ai soci illimitatamente responsabili (“fallibili in estensione”) la possibilità di accedere alle procedure disciplinate dalla legge n. 3/2012, si vedano
X. XXXXXXXXXXXX, L’accesso del socio alle procedure di sovraindebitamento: una grave lacuna normativa, in Fallimento, 2017, p. 205 ss.; X. XXXXXXXXX, I nuovi procedimenti di composizione della crisi da sovraindebitamento dopo il maquillage della L. n 3/2012, in Il Fallimento, 12/2013,
p. 1435; Tribunale di Milano, II Sez. Civile, 18 agosto 2016, in xxxxxx.xx. Per l’orientamento maggioritario, che riconosceva invece a tali soggetti la possibilità di presentare domanda di accesso ad una delle procedure di cui alla l. n. 3/2012, fermo restando il venir meno delle procedure nel caso di sopravvenuto fallimento della società, si vedano G.D. XXXXX, Le procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento, cit., pp.12-13; X. XXXXXX,op. cit.,
p. 16; X. XXXXXXXX, Prime riflessioni (inevitabilmente) critiche sulla composizione della crisi da sovraindebitamento, in Rivista del diritto commerciale, n. 2/2012, p. 9; X. XXXXXXXXX, Il presupposto soggettivo delle procedure di cui al Capo II della legge n. 3/2012 quale espressione della nuova concorsualità “debtor oriented”, art. cit., p. 25; Tribunale di Rimini, 12 marzo 2018, n. 189, in xxxxxx.xx.
25 Art. 2, comma 1, lett. e), Codice della crisi: “consumatore”: la persona fisica che agisce per scopi estranei all'attività imprenditoriale, commerciale, artigiana o professionale eventualmente svolta, anche se socia di una delle società appartenenti ad uno dei tipi regolati nei capi III, IV e VI del titolo V del libro quinto del codice civile, per i debiti estranei a quelli sociali.
Di conseguenza, il socio che dovesse trovarsi in una situazione di sovraindebitamento dovuto esclusivamente a debiti che non hanno alcun collegamento con i debiti sociali (per i quali risponde illimitatamente) potrà ricorrere alla procedura della ristrutturazione dei debiti del consumatore26.
Mentre in precedenza le opinioni dottrinali e giurisprudenziali che ammettevano il ricorso di tali soggetti alle procedure da sovraindebitamento non ponevano limiti con riferimento alla specifica procedura da utilizzare, ammettendo sia il ricorso al piano del consumatore sia la proposta diretta a concludere un accordo di composizione della crisi con i propri creditori, il Codice qualifica il socio come consumatore e quindi gli riconosce esclusivamente il diritto di ricorrere alla ristrutturazione dei debiti del consumatore, escludendo che egli possa ricorrere al concordato minore.
Sempre con riferimento all’ambito soggettivo di applicazione della procedura in esame, il Codice ammette espressamente – analogamente alle previsioni della legge n. 3/2012 e del Codice del Consumo – che possano essere qualificati come consumatori anche soggetti che svolgono attività imprenditoriale o professionale, purché il loro sovraindebitamento non sia collegato ad obbligazioni assunte nell’ambito di tali attività ma derivi esclusivamente da obbligazioni personali.
Dopo la sentenza della Corte di Cassazione n. 1869 del 1° febbraio 2016, si era imposta un’ampia interpretazione della nozione di consumatore: in particolare, si era riconosciuta tale qualifica anche in capo al debitore (imprenditore o professionista) che si trovava in stato di sovraindebitamento per aver concesso garanzie a favore di terzi, a loro volta imprenditori o professionisti, per atti relativi all’esercizio della loro attività imprenditoriale o professionale27. Non rilevava, dunque, l’eventuale riflesso delle garanzie prestate sull’attività
26 P.G. XXXXXXXX, Il sovraindebitamento nel Codice della crisi e dell’insolvenza, in Osservatorio sulle crisi di impresa, 2018, p. 4.
27 X. XXXXX, La nozione di consumatore nella composizione della crisi da sovraindebitamento, in Il diritto fallimentare e delle società commerciali, n. 5/2016, p. 1296; X. XXXXXXXXX, La Cassazione precisa la nozione di “consumatore” ai fini dell’accesso al procedimento riservato di composizione della crisi da sovraindebitamento, in Il diritto fallimentare e delle società commerciali, 5/2016., p. 1267 ss.
imprenditoriale o professionale del garantito, purché fossero prive di effetti sull’attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta dal garante. In altre parole, bisognava accertare che nella concessione di tali garanzie non si fosse andati “oltre lo schema di sostegno solidaristico a terzi”28, escludendo invece qualsiasi assunzione di rischio da parte del garante “in una dimensione partecipativa”29.
Il nuovo sistema delineato dal Codice della crisi in base al quale il consumatore non potrà accedere al concordato minore (che, come si vedrà, sostituisce l’accordo di composizione della crisi) pone dei dubbi con riferimento al caso in cui un soggetto non fallibile – ad esempio un piccolo imprenditore – si trovi in una situazione di sovraindebitamento sia a causa di debiti collegati alla sua attività imprenditoriale, sia a causa di debiti assunti in veste di consumatore30. È necessario, in un caso del genere, ricorrere alla procedura della ristrutturazione dei debiti del consumatore con riferimento alla massa dei creditori “personali” e, contestualmente, avviare un concordato minore per i debiti professionali? Oppure è ammissibile far confluire entrambe le categorie di debiti nella medesima procedura? Stando alla lettera della legge, che preclude espressamente ai consumatori l’accesso al concordato minore, la soluzione più
corretta sembra essere quella del necessario ricorso a due distinte procedure.
Tuttavia, tenendo conto della ratio dell’impianto normativo e dell’intenzione del legislatore della riforma di incentivare il ricorso alle procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento, non può negarsi che tale soluzione comporterebbe rilevanti oneri in capo al debitore: si avrebbe, in questo modo, un risultato opposto a quello perseguito dal legislatore.
Una possibile soluzione potrebbe essere quella di adottare un criterio quantitativo: se, ad esempio, i debiti personali costituiscono la principale causa del sovraindebitamento, dovrebbe ammettersi la possibilità per il debitore di far
28 Corte di Cassazione, I Sez. Civile, nella sentenza del 1° febbraio 2016, n. 1869.
29 Tribunale di Torino, 7 agosto 2017.
30 In un caso del genere, sotto il vigore della legge n. 3/2012, il debitore avrebbe avuto la possibilità di ricorrere ad un accordo di composizione della crisi facendo confluire in tale procedura entrambe le categorie di debiti. In base al nuovo Codice, invece, l’accesso al concordato minore è precluso ai soggetti qualificabili come “consumatori”.
confluire nella procedura di ristrutturazione dei debiti anche i (pochi o comunque meno rilevanti) debiti collegati alla sua attività imprenditoriale31.
Sotto il profilo contenutistico, una differenza rilevante tra la legge n. 3/2012 e il Codice della crisi consiste nel mancato richiamo, da parte di quest’ultimo, della necessaria idoneità del piano a consentire l’integrale pagamento dei crediti tributari quali l’IVA e le ritenute operate ma non versate.
Sotto il vigore della legge n. 3/2012, infatti, il rinvio a tali crediti tributari – tipicamente connessi allo svolgimento di un’attività d’impresa o professionale – nell’ambito della procedura riservata al consumatore aveva creato un profondo contrasto: da una parte32, coloro che sostenevano che si trattasse di una mera svista del legislatore e che in presenza di tali debiti fosse precluso l’accesso alla procedura riservata al consumatore e, dall’altra, l’opinione della Corte di Cassazione secondo la quale tali debiti non escludevano tout court la possibilità di accedere alla procedura del piano del consumatore ma, al contrario, era solo richiesto al giudice di valutare l’idoneità del piano a garantire il loro pagamento immediato e integrale33. In altre parole, diversamente dalla disciplina dell’accordo di composizione della crisi – che ammetteva un pagamento dilazionato, purché integrale, di questi crediti tributari – nel piano del consumatore non solo si imponeva il pagamento integrale di tali debiti, ma veniva anche esclusa la possibilità di prevedere una dilazione.
Il nuovo Codice, invece, non contiene alcuna norma – nemmeno nella disciplina del concordato minore – che imponga il pagamento integrale di tali crediti: secondo alcuni autori da tale novità potrebbe desumersi che la volontà del legislatore è nel senso di superare il divieto di falcidia dell’IVA. In futuro dovrebbe quindi ammettersi la possibilità che nell’ambito di una procedura di ristrutturazione dei debiti o di un concordato minore sia previsto un pagamento
31 La soluzione opposta, ovviamente, andrebbe adottata nel caso in cui fossero prevalenti i debiti collegati allo svolgimento dell’attività imprenditoriale: i debiti personali, in tal caso, dovrebbero essere compresi nel concordato minore.
32 V. DE SENSI, La nuova disciplina della crisi da sovraindebitamento: dubbi sulla sua natura concorsuale, in Rivista del diritto commerciale, n. 4-2013, p. 647.
33 X. XXXXXXXXX, op. cit., pp. 1273-1274.
parziale di tali crediti e non solo, come previsto dalla disciplina attualmente in vigore, un loro pagamento dilazionato34.
Un elemento a favore di tale interpretazione potrebbe desumersi dalle modifiche apportate all’art. 182-ter della legge fallimentare da parte della legge
n. 232/2016: è stato previsto, con riferimento alla transazione fiscale nel concordato preventivo e negli accordi di ristrutturazione dei debiti, che la proposta di transazione avanzata dal debitore possa riguardare anche il credito IVA, prevedendo una soddisfazione parziale o dilazionata di tale credito35. Questa disciplina ha recepito i principi affermati dalla Corte di Giustizia nella sentenza del 7 aprile 2016, C-564/14: la normativa comunitaria non osta a normative nazionali che riconoscano al debitore la possibilità di presentare una domanda di apertura di concordato preventivo che preveda un pagamento solo parziale di un debito IVA, purché un esperto indipendente attesti che il credito non riceverebbe un trattamento migliore nell’alternativa procedura fallimentare36.
Di conseguenza, soprattutto alla luce della mancata riproposizione all’interno del Codice di norme analoghe a quelle di cui alla legge n. 3/2012 che impongano l’integrale pagamento dell’IVA, il divieto di falcidia dell’IVA potrebbe ritenersi superato anche con riferimento alle procedure da sovraindebitamento come, peraltro, già sostenuto da alcune pronunce della giurisprudenza di merito37.
Con riferimento alle fasi procedurali, il Codice ricalca le previsioni della legge n. 3/2012 per quanto riguarda la non necessarietà del consenso dei creditori ai fini dell’omologazione.
Tuttavia, il legislatore della riforma ha introdotto delle innovazioni al fine di responsabilizzare i creditori: l’art. 69, co. 2 del Codice prevede infatti – con norma applicabile anche al concordato minore – che il creditore non possa presentare opposizioni o reclamo in sede di omologa, né far valere cause di inammissibilità
34 P.G. XXXXXXXX, op. cit., p. 26.
35 M.L. XXXXX, op. cit., p. 7.
36 Corte di Giustizia UE, Seconda Sezione, sentenza 7 aprile 2016, causa C-546/14, in
xxxxx.xxxxxxx.xx.
37 Tribunale di Pistoia, 26 aprile 2017, in xxxxxx.xx; Tribunale di Torino, 7 agosto 2017, in xxxxxx.xx.
che non derivino da comportamenti dolosi del debitore, nel caso in cui abbia colpevolmente determinato o aggravato la situazione di sovraindebitamento, oppure qualora abbia violato i principi concernenti la verifica del merito creditizio del debitore38.
Si tratta di un’innovazione importante che, insieme alla nuova previsione che impone all’OCC di tenere conto nella sua relazione della diligenza impiegata dal finanziatore nella concessione del credito39, mira a rendere i creditori più responsabili al fine di evitare, per quanto possibile, l’insorgere di situazioni di sovraindebitamento.
Infine – anche se il Codice non contiene disposizioni analoghe agli artt. 12, comma 3 e 12-ter, comma 2, della legge n. 3/2012 – è ragionevole ritenere che il piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore e il concordato minore, una volta ottenuta l’omologazione da parte del giudice, vincolino tutti i creditori anteriori. Essi, in altre parole, determinano automaticamente l’esdebitazione del debitore nei confronti di tutti i suoi creditori anteriori, senza che sia necessario presentare un’apposita istanza al termine della procedura40.
Mentre l’art. 79, co. 5 del Codice stabilisce però – con formula identica a quella contenuta, nell’ambito della disciplina dell’accordo di composizione della crisi, nell’art. 11, co. 3 della l. n. 3/2012 – che il concordato minore non pregiudica i diritti dei creditori nei confronti dei coobbligati, fideiussori del debitore e obbligati in via di regresso, le disposizioni relative alla ristrutturazione dei debiti del consumatore non contengono norma analoga (come disponeva invece l’art. 12- ter, co. 3, l. n. 3/2012 con riferimento al piano del consumatore). Tenendo conto della ratio dell’istituto, è nondimeno probabile che si sia trattato di una mera svista del legislatore alla quale sarà possibile porre rimedio attraverso l’emanazione dei provvedimenti correttivi di cui alla legge n. 20/201941.
38 Relazione ministeriale illustrativa del Codice, p. 147; G.D. XXXXX, Le procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento, cit., p. 19; X. XXXXXXXXX, Le procedure in caso di sovraindebitamento ai sensi dell’art. 2, 1° comma, lett. c), art. cit., p. 2042.
39 Art. 68, comma 3, Cod. Crisi.
40 P.G. XXXXXXXX, art. cit., pp. 27-28.
41 Recante “Delega al Governo per l'adozione di disposizioni integrative e correttive dei decreti legislativi adottati in attuazione della delega per la riforma delle discipline della crisi di impresa e dell'insolvenza”.
3. Il concordato minore. Il concordato minore – disciplinato dagli artt. 74- 83 del Codice – è destinato a sostituire l’accordo di composizione della crisi.
Nel delineare la relativa disciplina, tuttavia, il legislatore della riforma ha deciso di discostarsi dalla previgente normativa introducendo una serie di novità significative: una di queste, come visto, è rappresentata dalla circostanza per cui tale procedura è accessibile esclusivamente ai debitori che non siano qualificabili come consumatori.
La scelta del nome, in particolare, riflette la natura sostanziale dell’istituto42: fin dalle modifiche apportate al testo originario della legge n. 3/2012 da parte del d.l. n. 179/2012, infatti, l’accordo di composizione della crisi produceva effetti nei confronti di tutti i creditori del debitore, anche dissenzienti.
Non si trattava dunque di un vero e proprio accordo, ma di un istituto con caratteristiche molto simili a quelle del concordato preventivo disciplinato dalla legge fallimentare. La riforma, prendendo definitivamente atto della sussistenza di tali analogie, non solo ha modificato il nome dell’istituto ma ha espressamente stabilito che, per quanto non espressamente previsto dalle norme dettate con specifico riferimento al concordato minore, risultino applicabili le norme che disciplinano il concordato preventivo43.
In linea con l’obiettivo di tutela della continuità aziendale che risulta permeare l’intera riforma44 – il Codice riserva inoltre il concordato minore ai debitori che hanno intenzione di proseguire la loro attività imprenditoriale o professionale. Il concordato liquidatorio, invece, è ammesso esclusivamente nel
42 X. XXXXXXX, op. cit., p. 4; M. L. XXXXX, op. cit., p. 3.
43 Art. 74, comma 4, Cod. Crisi.
44 Uno dei principali obiettivi del legislatore della riforma, infatti, è tentare di conservare i valori aziendali delle imprese in crisi ed evitare la loro definitiva uscita dal mercato. Tale finalità emerge anche dall’introduzione delle misure di allerta e di composizione assistita della crisi, strumenti che
– in linea con quanto previsto dalla Raccomandazione della Commissione europea del 12 marzo 2014, n. 135 – mirano ad un’emersione anticipata della crisi d’impresa al fine di evitare il manifestarsi di una vera e propria insolvenza e consentire il salvataggio dell’attività in una fase ancora non irreversibile del malessere economico e finanziario dell’impresa (X. XXXXXXXX, Le misure di allerta: ruolo e funzioni dell’OCRI alla luce del nuovo testo del codice della crisi e dell’insolvenza, in Il fallimentarista, 28-12-2018, p. 3; X. XX XXXXXXX, Rordorf: verso il traguardo, in Diritto civile e commerciale, 12-9-2018, pp. 1-3; X. XXXXX, Le nuove misure protettive nel Codice della crisi, in Il fallimentarista, 6-3-2019, p. 1).
caso in cui sia previsto l’apporto di apprezzabili risorse esterne che aumentino il grado di soddisfazione dei creditori45.
L’iter procedimentale è analogo quello descritto dalla legge n. 3/2012 con riferimento all’accordo di composizione della crisi, anche se il Codice ha modificato le maggioranze richieste ai fini dell’approvazione del concordato: non si richiede più il consenso di creditori che rappresentino almeno il 60% dei crediti ma, allineando le disposizioni sul concordato minore a quelle dettate con riferimento al concordato preventivo, è ora necessario il voto favorevole dei creditori che rappresentino la maggioranza dei crediti ammessi al voto (maggioranza assoluta).
La scelta del legislatore, come si legge nella relazione di accompagnamento al nuovo Codice, deriva dal fatto che è sembrato poco ragionevole richiedere percentuali più elevate nell’ambito di una procedura destinata a risolvere, di regola, situazioni di crisi di minori dimensioni46.
Un’altra novità riguarda la disciplina delle misure protettive: nel procedimento descritto dalla legge n. 3/2012 il giudice dispone, dal momento in cui viene emanato il decreto di apertura della procedura e fino al momento in cui il provvedimento di omologazione diventa definitivo, il divieto per tutti i creditori anteriori di iniziare o proseguire azioni esecutive e cautelari individuali e il divieto di acquistare diritti di prelazione sul patrimonio del debitore. Diversamente, l’art. 78, comma 2, lett. d) del Codice prevede la possibilità che il giudice conceda tali misure protettive con il decreto di apertura della procedura ma richiede che il debitore presenti un’apposita istanza in tal senso. È venuta meno, in altre parole, la produzione automatica di tali effetti47.
Con riferimento al contenuto del concordato, le principali innovazioni riguardano, in primo luogo, il recepimento a livello normativo della soluzione già
45 Art. 74, comma 2, Cod. Crisi; Relazione ministeriale illustrativa del Codice, p. 150; X. XXXXX,
D. XXXXXXX, op. cit., pp. 279-280; X. XXXXXXX, op. cit., p. 6.
46 Relazione ministeriale illustrativa del Codice, p. 155.
47 X. XXXXX, op. cit., p. 8; X. XXXXXXXXX, Le procedure in caso di sovraindebitamento ai sensi dell’art. 2, 1° comma, lett. c), op. cit., p. 2044. È rimasta invece immutata la previsione per cui dall’apertura del procedimento si determina un effetto di c.d. spossessamento attenuato: il debitore, a pena di inefficacia nei confronti dei creditori anteriori, non potrà compiere atti eccedenti l’ordinaria amministrazione senza l’autorizzazione del giudice (art. 78, co. 5, Cod. Crisi).
adottata da dottrina e giurisprudenza con riferimento agli effetti dell’accordo di composizione della crisi concluso da una società non fallibile con i propri creditori: l’art. 65, co. 4 del Codice, infatti, prevede espressamente che la procedura produca i suoi effetti anche nei confronti dei soci illimitatamente responsabili della società parte del concordato.
In altre parole, qualora la società sia parte di un concordato minore, quest’ultimo produrrà effetti anche nei confronti dei soci illimitatamente responsabili della società stessa48: si tratta di norma analoga a quanto previsto dall’art. 184, co. 2, l. fall., con riferimento al concordato preventivo49.
Inoltre, sempre nell’ottica di incentivare il ricorso dei debitori a tale procedura, è stata introdotta la possibilità di prevedere nel concordato – al ricorrere di determinate condizioni50 – il rimborso delle rate in scadenza del contratto di mutuo con garanzia reale gravante sui beni strumentali all’esercizio dell’impresa51.
Un profilo rilevante riguarda la suddivisione dei creditori in classi e, più in generale, l’applicabilità alle procedure in esame del principio della par condicio creditorum. Quest’ultimo non era espressamente richiamato da alcuna disposizione della legge n. 3/2012 e, di conseguenza, una parte della dottrina aveva escluso che esso trovasse applicazione nell’ambito delle procedure da sovraindebitamento disciplinate da tale legge52. Inoltre, se da un lato era
48 X. XXXXXXXXX, Le procedure in caso di sovraindebitamento ai sensi dell’art. 2, 1° comma, lett. c), cit., p. 2040.
49 Art. 184, comma 2, l. fall.: “Salvo patto contrario, il concordato della società ha efficacia nei confronti dei soci illimitatamente responsabili”.
50 L’art. 75, co. 3 del Codice, in particolare, prevede che a tal fine sia necessario che il debitore, alla data della presentazione della domanda di concordato, abbia adempiuto le proprie obbligazioni ovvero che il giudice lo abbia autorizzato al pagamento del debito per capitale ed interessi scaduto. Inoltre, l’OCC deve attestare che il credito garantito potrebbe essere soddisfatto integralmente con il ricavato della liquidazione del bene effettuata a valore di mercato e che il rimborso delle rate a scadere non lede i diritti degli altri creditori.
51 Il legislatore ha introdotto una disposizione analoga anche nella disciplina della ristrutturazione dei debiti del consumatore (art. 67, co. 5, Cod. Xxxxx), riconoscendo a quest’ultimo la possibilità di prevedere nel piano il rimborso delle rate a scadere del contratto di mutuo garantito da ipoteca sull’abitazione principale.
52 Le argomentazioni a favore di tale interpretazione si basavano principalmente su due considerazioni: in primo luogo, le disposizioni della l. n. 3/2012 che imponevano requisiti minimi di contenuto dell’accordo e del piano – e che quindi avrebbero costituito la sede adatta per imporre anche il rispetto del principio della par condicio – non facevano alcun riferimento a quest’ultimo;
espressamente prevista la possibilità di suddividere i creditori in classi, dall’altro la legge non richiedeva che tale divisione avvenisse secondo posizione giuridica e interessi omogenei: di conseguenza, sembrava legittima anche una divisione dei creditori in classi basata esclusivamente sulla specifica proposta rivolta dal debitore ai creditori membri delle diverse classi53.
Il Codice – quanto meno con riferimento alla disciplina del concordato minore – sembra aver colmato tale lacuna prevedendo che la relazione particolareggiata dell’OCC da allegare alla domanda di concordato minore indichi, tra le altre cose, i “criteri adottati nella formazione delle classi, ove previste dalla proposta”54.
È ragionevole ritenere che tali criteri, come avviene nella formazione delle classi nell’ambito delle tradizionali procedure concorsuali, dovranno basarsi sull’omogeneità delle posizioni giuridiche e degli interessi economici dei creditori. Da tali innovazioni sembra potersi concludere che il principio della par condicio creditorum – pur non essendo espressamente previsto da alcuna disposizione del Codice in tema di procedure da sovraindebitamento – sarà sicuramente applicabile almeno con riferimento alla procedura del concordato minore: non avrebbe senso, infatti, riconoscere al debitore la facoltà di suddividere i propri creditori in classi se, come regola generale, non ci fosse
l’obbligo di rispettare la parità di trattamento tra i creditori55.
Una volta raggiunto l’accordo con la richiesta maggioranza di creditori, si apre la fase dell’omologazione: il giudice, dopo aver valutato l’ammissibilità
inoltre, si evidenziava come l’assenza dell’obbligo di garantire la parità di trattamento di tutti i creditori ben si conciliasse con l’intera struttura della legge, decisamente improntata al favor nei confronti del debitore (XXXXXXX, art. cit., p. 5; XXXXXXX, XXXXXXX, XXXXX, MARELLI, SESSA, op. cit., p. 850).
53 G.D. XXXXX, Le procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento, cit., pp. 22-23;
X. XXXXXXX, X. XXXXXXX, Classi e categorie di creditori, in IlFallimentarista, 24-4-2018, p. 1.
54 Il legislatore, verosimilmente al fine di evitare di rendere più complessa la procedura, ha dunque continuato a considerare meramente facoltativa la suddivisione dei creditori in classi (X. XXXXXXX, op. cit., p. 7).
55 In tal caso il debitore sarebbe sempre libero di prevedere un trattamento differenziato per i singoli creditori senza la necessità di suddividerli in classi.
giuridica e la fattibilità economica del piano e risolte le eventuali contestazioni, omologa con sentenza il concordato56.
Il Codice stabilisce – analogamente a quando in precedenza disposto dall’art. 12, co. 2, l. n. 3/2012 – che il giudice possa procedere all’omologazione anche in presenza di contestazioni da parte dei creditori qualora ritenga che questi ultimi riceveranno dall’esecuzione del concordato minore soddisfazione non inferiore all’alternativa liquidatoria (c.d. cram down).
Una previsione innovativa è dettata dall’art. 80, co. 3, secondo periodo, in base al quale il giudice potrà omologare il concordato anche nel caso di mancata adesione dell’amministrazione finanziaria: si prevede, in particolare, che nel caso in cui il consenso di quest’ultima sia decisivo ai fini del raggiungimento della maggioranza di consensi prevista dalla legge, il giudice possa comunque omologare il concordato minore qualora ritenga che la proposta formulata all’amministrazione sia conveniente rispetto all’alternativa liquidatoria. Si tratta, evidentemente, di una disposizione finalizzata a favorire l’effettivo utilizzo della procedura in esame57.
4. La liquidazione controllata. L’ultima procedura alla quale può ricorrere il debitore sovraindebitato – in alternativa al concordato minore ovvero, nel caso dei consumatori, in alternativa alla ristrutturazione dei debiti del consumatore – è la liquidazione controllata. Si tratta di una procedura corrispondente alla liquidazione dei beni disciplinata dalla legge n. 3/2012, diretta alla liquidazione di tutti i beni del debitore con successiva ripartizione del ricavato tra i creditori58.
La principale innovazione introdotta dal Codice riguarda la legittimazione attiva: con la nuova disciplina anche i creditori e, qualora lo stato di insolvenza riguardi un imprenditore, il pubblico ministero saranno legittimati a presentare
56 Art. 80, co. 1, Cod. Crisi.
57 X. XXXXXXXXX, Le procedure in caso di sovraindebitamento ai sensi dell’art. 2, 1° comma, lett. c),cit., p. 2044.
58 In realtà il nuovo Codice - diversamente dall’art. 14-ter, co. 1 della legge n. 3/2012 - non fa espresso riferimento alla totalità dei beni del debitore: tuttavia, è pacifico che la procedura in esame continui a riguardare tutti i beni presenti nel suo patrimonio anche perché, argomentando diversamente, non avrebbero ragion d’essere alcune previsioni del Codice che escludono espressamente dalla liquidazione determinati beni (art. 268, co. 3, Cod. Crisi).
istanza di avvio della procedura in esame59. La novità è collegata al nuovo ruolo che il legislatore della riforma sembra voler assegnare all’istituto della liquidazione controllata: non si tratta più esclusivamente di uno strumento premiale a favore del debitore ma, al contrario, di un’opportunità concessa a tutti i creditori di ricorrere ad una procedura concorsuale per poter tutelare i propri interessi60.
In particolare, con riferimento all’iniziativa dei creditori, il Codice legittima questi ultimi a chiedere l’apertura della liquidazione controllata “anche in pendenza di procedure esecutive individuali”61. Tuttavia, la disposizione non chiarisce quale sarà la sorte di tali procedure individuali precedentemente avviate. La soluzione preferibile, tenendo conto della ratio della disciplina, sembra essere quella secondo la quale le procedure individuali – a seguito dell’istanza di avvio della liquidazione controllata – resteranno sospese.
È evidente, soprattutto nelle ipotesi in cui le procedure individuali siano già in una fase avanzata, che le ragioni dei creditori che avevano avviato tali procedimenti saranno fortemente sacrificate. Tale conclusione, xxxxxxxxx, appare la più corretta in quanto, tutelando le ragioni del complesso dei creditori, garantisce massima protezione al principio della par condicio creditorum.
Va evidenziato che il riconoscimento della legittimazione attiva in capo ai creditori è una caratteristica tipica degli ordinamenti di common law, nei quali ha origine l’istituto della discharge: nell’ordinamento statunitense, ad esempio, i
59 Nell’impianto della legge n. 3/2012, invece, tutte le procedure da sovraindebitamento (inclusa la liquidazione dei beni) erano concepite come un “beneficio” concesso al debitore in una situazione di crisi o insolvenza e, di conseguenza, erano attivabili esclusivamente su iniziativa di quest’ultimo. L’unica eccezione consisteva nel diritto dei creditori di chiedere la “conversione” di una procedura di accordo di composizione della crisi o piano del consumatore in liquidazione dei beni in presenza di una serie di condotte fraudolente del debitore.
60 X. XXXXXX, La liquidazione controllata nel Codice della crisi e dell’insolvenza, in IlFallimentarista, 22-1-2019, p. 3. Inoltre, è interessante notare come, in seguito all’introduzione di tale nuovo approccio, il legislatore abbia introdotto alcune novità procedurali: in sede di apertura della procedura, ad esempio, non è più previsto che il giudice debba accertare l’assenza di atti di frode in danno dei creditori negli ultimi cinque anni. Si tratta, infatti, di una previsione che aveva senso in un sistema che riconosceva carattere premiale all’istituto mentre, una volta venuta meno tale caratteristica e riconosciuta la legittimazione attiva anche ai creditori, non avrebbe avuto senso continuare a prevedere tale requisito ai fini della mera apertura della procedura. Semmai, il comportamento tenuto dal debitore rileverà nella successiva fase di concessione dell’esdebitazione.
61 Art. 268, co. 2, Cod. Crisi.
creditori sono legittimati a presentare istanza di avvio della procedura di
Liquidation, disciplinata nel Chapter 7 del Bankruptcy Code americano62.
Il Codice ha inoltre espressamente risolto una questione interpretativa che, con riferimento alla liquidazione dei beni disciplinata dalla legge n. 3/2012, aveva dato luogo ad un acceso dibattito: la posizione dell’imprenditore agricolo63.
La precedente legge sul sovraindebitamento, infatti, se da un lato ammetteva espressamente che l’imprenditore agricolo potesse concludere con i propri creditori un accordo di composizione della crisi, dall’altro nulla disponeva circa la possibilità di ricorrere alla procedura liquidatoria. La dottrina e la giurisprudenza maggioritaria, aderendo ad un’interpretazione sistematica della disciplina e tenendo conto, in particolare, del ruolo sussidiario della procedura di liquidazione, si erano pronunciate a favore dell’ammissibilità della domanda di liquidazione proposta dall’imprenditore agricolo64.
Il Codice della crisi, recependo tale orientamento, riconosce espressamente all’imprenditore agricolo il diritto di accedere anche alla liquidazione controllata.
Tornando all’analisi delle principali novità del Codice, la disposizione dettata dall’art. 270, co. 1 prevede – coerentemente con il ruolo marginale che il legislatore della riforma ha voluto assegnare alle soluzioni liquidatorie – che il giudice dichiari aperta la liquidazione controllata solo dopo aver accertato l’assenza di domande alternative di composizione concordata della crisi.
62 M. ONZA, Liquidation e Reorganization, in La ristrutturazione della impresa in crisi. Una comparazione tra diritto italiano e statunitense, 2006, Parte II, cap. II, p. 92 ss.
63 Va sottolineato che la collocazione dell’imprenditore agricolo all’interno dell’attuale sistema concorsuale è stata definita da una parte della dottrina come “eccentrica” anche perché, mentre da un lato continua ad essere sottratto al fallimento, dall’altro la legge gli riconosce sia la possibilità di accedere alle procedure da sovraindebitamento sia la facoltà di ricorrere agli accordi di ristrutturazione dei debiti e alla transazione fiscale. Di regola, invece, il presupposto fondamentale per accedere alle procedure da sovraindebitamento è costituito dalla non assoggettabilità del debitore a procedure concorsuali diverse (X. XXXXXXXXX, L’imprenditore agricolo esercente attività commerciale nel nuovo diritto concorsuale, art. cit., p. 1).
64 X. XXXXXXXXX, Il presupposto soggettivo delle procedure di cui al Capo II della legge n. 3/2012 quale espressione della nuova concorsualità “debtor oriented”, art. cit., p. 20; G.F. CAMPOBASSO, Diritto commerciale, vol. 3, ed. 5 a cura di X. Xxxxxxxxxx, 2014., p. 472; Tribunale di Ravenna, Sez. Fall., 10 marzo 2017, in xxxxxx.xx.
Strettamente collegata a tale innovazione è la previsione di cui all’art. 271: il debitore, qualora la procedura liquidatoria sia stata avviata su iniziativa dei creditori o del pubblico ministero, può chiedere al giudice l’assegnazione di un termine per poter presentare domanda di avvio di una delle procedure alternative di risoluzione concordata della crisi65. Durante la pendenza di tale termine non può essere aperta la procedura di liquidazione controllata e la relativa domanda, qualora sia avviata una procedura alternativa, deve essere dichiarata improcedibile. Se, al contrario, il termine scade senza che il debitore abbia integrato la propria domanda o comunque senza che sia stata aperta una procedura alternativa, il giudice dichiara con sentenza l’apertura della procedura liquidatoria66.
Sempre al fine di semplificare il ricorso a tali procedure, il Codice continua a prevedere – analogamente alla legge n. 3/2012 – che il debitore possa presentare personalmente il ricorso con l’assistenza di un OCC. Il concordato minore è l’unica delle procedure da sovraindebitamento che, a causa della sua maggiore complessità, prevede l’assistenza obbligatoria di un difensore67.
Diversamente dalla previsione di cui all’art. 14-quinquies, co. 4 della legge
n. 3/2012, il Codice non prevede che la procedura debba avere una durata minima di quattro anni: il legislatore si è limitato a richiedere – coerentemente con le previsioni della Raccomandazione della Commissione europea del 12 marzo 2014, n. 135, le quali evidenziano l’importanza di garantire ai debitori un rapido accesso ad una seconda opportunità – che il programma di liquidazione assicuri la ragionevole durata del procedimento68.
65 Vale a dire per poter presentare domanda di avvio della procedura di concordato minore ovvero, qualora si tratti di un consumatore, domanda di accesso alla ristrutturazione dei debiti del consumatore.
66 Relazione ministeriale illustrativa del Codice, p. 289; X. XXXXXX, La liquidazione controllata nel Codice della crisi e dell’insolvenza, art. cit., p. 5; X. XXXXXXXXX, La liquidazione controllata nel sovraindebitamento, in Il fallimentarista, 21-2-2019, p. 6; X. XXXXXXXXX, Le procedure in caso di sovraindebitamento ai sensi dell’art. 2, 1° comma, lett. c), cit., p. 2045.
67 X. XXXXX, X. XXXXXXX, op. cit., p. 280.
68 Anche tale modifica sembra ispirata al fine di rendere la procedura più attraente agli occhi dei debitori. Inoltre, coerentemente con tale innovazione, non c’è più alcuna norma che preveda che i beni sopravvenuti nei quattro anni successivi al deposito della domanda di liquidazione vengano acquisiti alla procedura stessa.
Un’altra disposizione innovativa viene dettata dal Codice con riferimento ai contratti pendenti alla data di apertura della liquidazione controllata: nel caso in cui il contratto non sia ancora stato eseguito integralmente nelle prestazioni principali da entrambe le parti, è previsto che il liquidatore possa scegliere se subentrare nel contratto in luogo del debitore o, viceversa, sciogliersi da esso69. Nel frattempo, prima che intervenga la decisione del liquidatore, l’esecuzione del contratto è sospesa.
Per evitare che l’altro contraente rimanga in tale situazione di incertezza per un tempo indefinito, la legge gli riconosce il diritto di mettere in mora il liquidatore, facendogli assegnare dal giudice delegato un termine – non superiore a sessanta giorni – decorso il quale il contratto si intende automaticamente sciolto.
In tutti i casi di scioglimento del contratto, l’altro contraente potrà far valere nel passivo della liquidazione il credito conseguente al mancato adempimento, senza però avere diritto ad alcuna somma a titolo di risarcimento del danno.
Infine, il Codice conferma la centralità del ruolo del liquidatore con riferimento alla fase esecutiva del programma di liquidazione e, colmando una lacuna della precedente disciplina, prevede espressamente che possa esercitare o proseguire le azioni dirette a far dichiarare inefficaci gli atti compiuti dal debitore in pregiudizio dei creditori70.
4.1 Le novità in materia di esdebitazione del sovraindebitato. Mentre al termine delle procedure da sovraindebitamento dirette alla soluzione concordata della crisi l’effetto esdebitatorio è automatico71, con riferimento alla
69 La legge precisa, a tal proposito, che il liquidatore non potrà optare per lo scioglimento dal vincolo contrattuale nel caso in cui si tratti di contratti ad effetti reali e sia già avvenuto il trasferimento del diritto (art. 270, comma 6, Cod. Crisi).
70 Relazione ministeriale illustrativa del Codice, p. 291; X. XXXXX, D. XXXXXXX, op. cit., pp. 296- 297; X. XXXXXXXXX, op. cit., p. 7; X. XXXXXXXXX, Le procedure in caso di sovraindebitamento ai sensi dell’art. 2, 1° comma, lett. c), cit., p. 2046. Resta fermo, inoltre, il potere del liquidatore di esercitare o proseguire le azioni dirette a conseguire la disponibilità dei beni e il recupero dei crediti del debitore (già previsto dall’art. 14-decies della legge n. 3/2012).
71 Si fa riferimento al concordato minore e alla ristrutturazione dei debiti del consumatore e, prima del Codice, la stessa disciplina valeva per l’accordo di composizione della crisi e il piano del consumatore.
liquidazione dei beni la legge n. 3/2012 prevedeva che il debitore dovesse presentare un’apposita istanza – entro un anno dalla chiusura della procedura – diretta ad ottenere la concessione della discharge.
Il Codice ha modificato profondamente la disciplina dell’esdebitazione dei debitori assoggettabili alla liquidazione controllata, sia con riferimento alle condizioni di accesso al beneficio, sia per quanto riguarda le modalità attraverso le quali è possibile ottenere la liberazione dai debiti residui. Le innovazioni sono principalmente tre.
In primo luogo, l’art. 282 del Codice prevede che l’esdebitazione operi “di diritto” alla chiusura della procedura di liquidazione controllata oppure, in ogni caso, decorsi tre anni dalla sua apertura. È necessario, a tal fine, un provvedimento meramente dichiarativo del giudice72. Il debitore, dunque, non avrà più l’onere di presentare un’apposita istanza e, allo stesso modo di quanto previsto dal Codice con riferimento alla liquidazione giudiziale73, non sarà più necessario attendere l’esito della procedura liquidatoria.
La ratio di tali innovazioni è da ricercare nell’obiettivo di semplificazione delle procedure da sovraindebitamento perseguito dal legislatore e, soprattutto, nel minore impatto che il dissesto di tali soggetti può avere sul tessuto economico e sociale74. Tuttavia, restano dei dubbi con riferimento al concreto operare di tale esdebitazione “anticipata” rispetto alla conclusione della procedura: non è chiaro, in particolare, se la domanda di esdebitazione presentata in pendenza di una procedura equivalga ad una sorta di prenotazione (nel senso che il beneficio produrrà comunque effetti solo nel momento in cui la procedura risulterà terminata) oppure se, al contrario, il debitore possa essere liberato dai propri debiti anche prima della chiusura della procedura75.
72 I creditori e il pubblico ministero, ai quali tale provvedimento deve essere comunicato, sono legittimati a proporre reclamo entro trenta giorni ex art. 282, co. 3, Cod. Crisi.
73 La possibilità di ottenere un’esdebitazione “anticipata” rispetto alla conclusione della procedura liquidatoria è stata infatti introdotta anche con riferimento alla liquidazione giudiziale. Tuttavia, diversamente dalla disciplina della liquidazione controllata, è necessario che il debitore presenti un’apposita istanza in tal senso (artt. 279, co. 1 e 281, co. 2 Cod. Crisi).
74 X. XXXXX, X. XXXXXXX, op. cit., p. 299.
75 X. XXXXXXXXXX, art. cit., p. 7.
Se si accoglie quest’ultima interpretazione – che sembra più coerente con lo scopo di consentire una seconda opportunità all’imprenditore nel più breve tempo possibile – bisogna ammettere che, una volta ottenuto il provvedimento dichiarativo dell’esdebitazione e ferma restando la continuazione della procedura con la destinazione ai creditori della massa attiva acquisita fino a quel momento, il debitore non subirà lo spossessamento con riferimento ai beni che successivamente dovessero entrare a far parte del suo patrimonio76.
Sebbene tale interpretazione sembri quella più in linea con gli obiettivi perseguiti dal legislatore, è stato evidenziato come – con specifico riferimento alla liquidazione giudiziale – alcune disposizioni del Codice sembrino mettere in dubbio la sua validità. In particolare, l’art. 236 del Codice stabilisce che gli effetti della liquidazione sul patrimonio del debitore cessano solo con la chiusura della procedura: indipendentemente dall’intervenuta esdebitazione in pendenza della procedura, dunque, il debitore non avrebbe comunque il potere di disporre e amministrare il proprio patrimonio77. Di conseguenza, il provvedimento anticipato di concessione della discharge avrebbe un mero effetto prenotativo.
Ciò nonostante, dal momento che la disciplina della liquidazione controllata non contiene disposizioni analoghe all’art. 236, con specifico riferimento a tale procedura sembra potersi preferire l’interpretazione favorevole ad un immediato effetto esdebitatorio. In ogni caso solo la concreta applicazione delle nuove disposizioni farà emergere l’orientamento della giurisprudenza al riguardo.
La seconda novità introdotta dal Xxxxxx riguarda la possibilità – sia con riferimento alle procedure da sovraindebitamento, sia riguardo alla liquidazione giudiziale – che il beneficio dell’esdebitazione venga riconosciuto anche a enti diversi dalle persone fisiche, superando la chiusura a riguardo dalla disciplina attualmente in vigore78.
76 Ibidem.
77 X. XXXXXXXXX, L’esdebitazione, cit., p. 2036.
78 Art. 142 l. fall.: “Il fallito persona fisica è ammesso al beneficio della liberazione dai debiti residui nei confronti dei creditori concorsuali non soddisfatti a condizione che […]”; art. 14-terdecies, l. n. 3/2012: “Il debitore persona fisica è ammesso al beneficio della liberazione dei debiti residui nei confronti dei creditori concorsuali e non soddisfatti a condizione che […]”.
Si tratta di una disposizione innovativa: basti pensare che nel panorama internazionale solo l’ordinamento cileno contiene una previsione analoga79.
Alcuni dei primi commentatori della riforma hanno accolto positivamente tale cambiamento; rilevando in particolare che, anche a seguito della liquidazione totale dell’attivo di una società gli amministratori e (soprattutto) i soci potrebbero comunque avere un interesse a mantenere in vita la società stessa.
Il Codice, per quanto riguarda il concreto funzionamento dell’esdebitazione di tali enti, detta alcune regole specifiche volte ad adattare la disciplina alla circostanza che il destinatario del beneficio non è una persona fisica: il quarto comma dell’art. 278, in particolare, stabilisce che in tali casi le condizioni di meritevolezza previste per poter accedere al beneficio in questione debbano sussistere anche nei confronti dei soci illimitatamente responsabili e dei legali rappresentanti della società80.
Infine – con specifico riferimento alla procedura di liquidazione controllata
– l’ultima e rilevante innovazione riguarda l’introduzione della c.d. “esdebitazione senza utilità”81, fruibile peraltro solo dalle persone fisiche.
Al fine di tutelare quei soggetti che, a causa della totale mancanza di mezzi, non avrebbero alcuna possibilità di superare il loro stato di sovraindebitamento, il legislatore ha espressamente previsto che “il debitore persona fisica meritevole, che non sia in grado di offrire ai creditori alcuna utilità, diretta o indiretta, nemmeno in prospettiva futura, può accedere all’esdebitazione solo per una volta”.
Per evitare abusi – oltre alla previsione secondo cui il debitore potrà ricorrere al giudice al fine di ottenere direttamente un provvedimento esdebitatorio per una sola volta82 – il Codice stabilisce che il debitore sia comunque obbligato a pagare i propri debiti qualora, nei quattro anni successivi
79 X. XXXXXXXXXX, op. cit., p. 11; X. XXXXXXXXX, L’esdebitazione, op. cit., p. 2036.
80 Art. 278, co. 4, Cod. Crisi.
81 X. XXXXXXXXXX, È ammissibile la procedura di liquidazione anche quando il debitore sia privo di beni, in Il fallimentarista, 21-5-2019, p. 4.
82 Venendo così superato il tradizionale iter che faceva seguire l’esdebitazione allo svolgimento della procedura liquidatoria.
alla concessione dell’esdebitazione, sopravvengano utilità rilevanti che gli consentano di soddisfare i creditori in misura non inferiore al dieci per cento.
La soddisfazione dei creditori è dunque meramente eventuale83: alcuni autori hanno criticato tale aspetto, evidenziando come sia stata inserita nel nostro ordinamento una sorta di “esdebitazione modale”84.
Il problema principale – specialmente in un ordinamento come il nostro nel quale il fenomeno del lavoro in nero è sempre più diffuso – è che il modus di tale esdebitazione potrebbe annullare del tutto il beneficio concesso inizialmente al debitore: quest’ultimo, infatti, potrebbe trovare conveniente non produrre nuova ricchezza nei quattro anni successivi alla concessione della discharge (oppure lavorare senza regolarizzare la propria situazione lavorativa) proprio al fine di evitare il rischio di dover utilizzare tutto quanto conseguito per il pagamento dei propri creditori85. Si tratterebbe, evidentemente, di un risultato in netto contrasto con gli obiettivi perseguiti dal legislatore86.
Infine, va evidenziato che la norma in esame sembra aver recepito un orientamento già seguito da una parte della giurisprudenza di merito sotto il vigore della legge n. 3/2012: in particolare – dal momento che l’art. 14-ter della legge n. 3/2012 ammette la conversione dell’accordo di composizione della crisi e del piano del consumatore in liquidazione dei beni senza richiedere, a tal fine, che nel patrimonio del debitore siano presenti beni dalla cui liquidazione possa derivare una soddisfazione, seppur parziale, dei creditori – la giurisprudenza ha affermato che non ci sono motivi per affermare che tale requisito sussista ai fini dell’accesso in via diretta alla procedura liquidatoria87.
83 X. XXXXXX, L’esdebitazione nel Codice della crisi e dell’insolvenza, in Il fallimentarista, 27-5- 2019, pp. 3-4.
84 X. XXXXXXXXXX, op. cit., p. 9; X. XXXXXXXXX, L’esdebitazione,. cit., p. 2037.
85 X. XXXXXXXXXX, op. cit., p. 9.
86 Basti pensare che, all’opposto, uno dei requisiti previsti dalla legge n. 3/2012 per accedere all’esdebitazione consisteva nell’aver svolto un’attività produttiva di reddito, o comunque essersi attivato per cercare un’occupazione senza rifiutare proposte di lavoro senza giustificato motivo, nei quattro anni di durata minima della procedura.
87 Tribunale di Verona, ordinanza del 20 dicembre 2018 in X. XXXXXXXXXX, op. cit., pp. 3-4.
5. Le procedure familiari. Nell’ambito dell’analisi delle principali innovazioni introdotte dal Codice della crisi con riferimento alle procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento, merita un breve cenno l’introduzione delle c.d. “procedure familiari”.
In realtà, già sotto il vigore della legge n. 3/2012, la giurisprudenza si era dimostrata favorevole a ritenere ammissibile la proposizione di un ricorso congiunto da parte di due coniugi nel caso in cui il dissesto fosse stato determinato da spese necessarie al mantenimento della famiglia e la causa fosse costituita da un evento con riflessi sull’intero nucleo familiare88. Al di là del risparmio di tempi e di costi collegato alla riunione dei procedimenti, la giurisprudenza aveva evidenziato come – dal momento che quasi sempre le difficoltà economiche e finanziarie di uno dei membri della famiglia hanno riflessi sull’intero nucleo familiare – fosse ragionevole affrontare congiuntamente tale situazione di crisi.
Il Codice della crisi, recependo tale orientamento giurisprudenziale, ha espressamente previsto la possibilità che i membri della stessa famiglia – qualora siano conviventi oppure il sovraindebitamento abbia un’origine comune89 – presentino un ricorso congiunto90.
Inoltre, mentre in precedenza la giurisprudenza aveva riconosciuto l’ammissibilità del ricorso congiunto per i coniugi in regime di comunione legale dei beni e, contemporaneamente, la dottrina si era dimostrata propensa a ritenere ammissibile la domanda congiunta anche nel caso in cui i coniugi avessero optato
88 Nel caso di specie (Tribunale di Mantova, 8 aprile 2018, in Xxxxxx.xx) due coniugi si erano trovati in una situazione di sovraindebitamento a causa di una grave malattia del marito, cui era seguita la perdita del posto di lavoro. In seguito, a causa della mancanza di redditi, i coniugi si erano indebitati per far fronte al pagamento delle rate del mutuo garantito da ipoteca sulla loro abitazione principale (X. XXXXX, Sovraindebitamento: ammissibile la domanda congiunta di liquidazione, in Il fallimentarista, 9-1-2019, p. 3).
89 La Relazione ministeriale illustrativa del Codice, a tal proposito, prevede che quest’ultima ipotesi possa verificarsi in concreto nel caso in cui il sovraindebitamento derivi da una successione ereditaria.
90 Va evidenziato, inoltre, che il Codice non si limita a ritenere ammissibile la domanda congiunta presentata da due coniugi, ma prevede espressamente che vengano considerati membri della stessa famiglia anche i parenti entro il quarto grado, gli affini entro il secondo, le parti dell’unione civile e i conviventi di fatto.
per il regime di separazione dei beni91, il Codice non contiene alcun riferimento al regime patrimoniale prescelto dai coniugi: il ricorso congiunto sembra dunque doversi ritenere ammissibile in ogni caso, indipendentemente dal regime patrimoniale per il quale i coniugi hanno optato.
Infine, mentre la giurisprudenza si era concentrata sull’ammissibilità di una domanda congiunta nell’ambito della procedura di liquidazione dei beni ex art. 14-ter della legge n. 3/2012, la nuova disposizione del Codice parla genericamente di strumenti di risoluzione della crisi: il ricorso congiunto potrà dunque avere ad oggetto non solo l’apertura di una procedura di liquidazione controllata, ma anche l’avvio di una procedura di ristrutturazione dei debiti del consumatore o un concordato minore. A tal proposito – per evitare contrasti tra le diverse normative applicabili – il Codice prevede che, nel caso in cui uno dei membri sia un consumatore e gli altri siano imprenditori o professionisti, prevalgano le norme sul concordato minore92.
6. Il principale effetto dell’esdebitazione: la limitazione di responsabilità e la creazione di un nuovo patrimonio. Una volta analizzate le novità introdotte dal Codice della crisi in tema di esdebitazione è opportuno soffermarsi sul principale effetto di tale istituto, vale a dire la limitazione di responsabilità della quale beneficia il debitore a seguito della concessione della
c.d. discharge.
Negli ultimi anni, il fenomeno della limitazione della responsabilità ha avuto nel nostro ordinamento una diffusione sempre maggiore.
In diverse fattispecie, infatti, si assiste all’emersione di un c.d. secondo patrimonio: una parte dei beni di un soggetto viene destinata al perseguimento di
91 Tribunale di Mantova, 8 aprile 2018 (per quanto riguarda il regime di comunione legale dei beni); X. XXXXX, art. cit., p. 4 (con riferimento all’ammissibilità della domanda congiunta anche in presenza del regime di separazione dei beni).
92 La ratio di tale soluzione è da ricercare nella maggiore tutela riservata ai creditori dalla procedura del concordato minore.
determinati obiettivi e, di conseguenza, i suoi creditori personali non possono soddisfarsi su tali beni93.
Una parte della dottrina ha evidenziato il necessario collegamento che esiste tra l’istituto della separazione patrimoniale e la deroga alle normali regole sulla responsabilità patrimoniale: destinare dei beni al raggiungimento di un dato obiettivo senza la garanzia che quei beni non potranno essere aggrediti dai creditori personali del soggetto94, infatti, sarebbe praticamente inutile95.
Emblematica, per comprendere l’evoluzione del fenomeno, è stata l’introduzione dell’art. 2645-ter cod. civ96. In base al disposto del secondo comma dell’art. 2740 cod. civ., infatti, la creazione di patrimoni separati è in linea di principio sottratta all’autonomia contrattuale delle parti97. Vige una riserva di legge in base alla quale – mentre con riferimento all’efficacia obbligatoria è consentito alle parti creare figure contrattuali atipiche – in materia di efficacia reale il legislatore ha deciso di sottrarre alla disponibilità dei privati la creazione di figure atipiche di patrimoni xxxxxxxx.Xx ha, in altre parole, quello che in dottrina è stato definito come “il dogma del numerus clausus dei patrimoni separati”98.
L’introduzione dell’art. 2645-ter ha mostrato – insieme al generale moltiplicarsi delle ipotesi di separazione patrimoniale – un diverso atteggiamento del legislatore, più incline a tutelare le esigenze dei debitori, talvolta anche senza che tale tutela venga bilanciata dalla previsione di apposite garanzie per i creditori99. La previsione di una figura generale di atto negoziale di destinazione ha segnato una sorta di rottura col generale principio del numerus clausus dei patrimoni separati: in modo simile a quello che avviene con il Trust negli
93 I. XXXXXXXX, Autonomia e segregazione patrimoniale, in Diritto civile e commerciale, 22-3- 2017, pp. 3-4.
94 Si tratta, in altre parole, dei creditori legati al debitore per motivi estranei all’obiettivo cui i beni sono destinati.
95 M. BIANCA, Atto negoziale di destinazione e separazione, in Rivista del diritto commerciale, n. 1/2007, p. 155; I. XXXXXXXX, art. cit., pp. 7-8.
96 Articolo introdotto dal D. L. 30 dicembre 2005, n. 273, poi convertito con la L. 23 febbraio 2006,
n. 51, all'art. 39-novies.
00 X. X. XXXXX XXXXXXX, Il rapporto tra l'art. 2645-ter c.c. e l'art. 2740 c.c.: un'analisi economica della nuova disciplina, in Banca Borsa e Titoli di credito, 2007, p. 4.
00 X. X. XXXXX XXXXXXX xxx, p. 3.
99 Si pensi, proprio con riferimento alle procedure da sovraindebitamento, alla recente introduzione della c.d. esdebitazione senza utilità.
ordinamenti di common law, infatti, è stato introdotto uno schema generale idoneo a produrre un effetto di separazione patrimoniale, pur con il limite – a tutela dei creditori – che l’atto sia finalizzato a realizzare interessi meritevoli di tutela riferibili a persone con disabilità, a pubbliche amministrazioni oppure ad altri enti o persone fisiche100.
Il nostro ordinamento conosce ormai varie altre figure “tipiche” di patrimoni separati come, a titolo meramente esemplificativo, il fondo patrimoniale (artt. 167- 171 cod. civ.) e i patrimoni destinati a uno specifico affare in materia di s.p.a. (art. 2447-bis cod. civ.). In tutte queste ipotesi si assiste ad una limitazione di responsabilità in senso oggettivo, vale a dire senza la creazione di un nuovo soggetto di diritto (come avviene, ad esempio, nel caso della costituzione di una società di capitali) dotato di un proprio patrimonio ma, al contrario, mediante la separazione di una parte dei beni del patrimonio di un soggetto che vengono destinati ad una specifica finalità e quindi sottratti alla disponibilità dei creditori.
È innegabile, quindi, che gli spazi concessi all’autonomia privata si siano progressivamente ampliati, riconoscendo deroghe sempre più marcate alla regola della responsabilità illimitata del debitore sancita dal primo comma dell’art. 2740 cod. civ101.
Si ha quasi l’impressione – almeno con riferimento ad alcuni istituti – che le eccezioni di cui al secondo comma dell’art. 2740 cod. civ. prevalgano sulla regola generale del primo comma102.
L’istituto dell’esdebitazione – consentendo un nuovo inizio libero dal peso dei debiti precedenti al debitore – ha l’obiettivo di concedere a quest’ultimo una “seconda opportunità” che, in termini economici, sembra potersi tradurre proprio nella concessione di un “secondo patrimonio”103.
In dottrina sono state avanzate diverse teorie sulla natura giuridica dell’esdebitazione e, in particolare, sulla natura delle obbligazioni colpite dalla discharge: è stato sostenuto, ad esempio, che l’istituto possa essere riconducibile
000 X. X. XXXXX XXXXXXX, art. cit., pp. 7-8.
101 X. XXXXXX, art. cit., pp. 176-177.
102 G.D. XXXXX, Le procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento, cit., p. 3.
103 G.D. XXXXX, Le procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento,cit., p. 4.
alla remissione del debito ex art. 1236 cod. civ. oppure, in alternativa, che l’effetto concretizzi un pactum de non petendo tra il debitore e il creditore con riferimento alla parte non soddisfatta del debito104.
L’opinione prevalente, invece, ritiene che le obbligazioni colpite da esdebitazione costituiscano delle obbligazioni naturali ai sensi dell’art. 2034 cod. civ.: pur essendo dichiarate inesigibili, infatti, nulla vieta che il debitore decida comunque di adempierle, senza diritto di ottenere la ripetizione di quanto prestato spontaneamente105.
Al di là della corretta qualificazione formale dell’istituto, l’effetto più rilevante dell’esdebitazione dal punto di vista sostanziale rimane la limitazione di responsabilità di cui beneficia il debitore106. L’obiettivo di recuperare al mercato soggetti produttivi di reddito, infatti, verrebbe frustrato dalla permanenza del vincolo ex art. 2740, primo comma, cod. civ., sul patrimonio successivo alla chiusura della procedura concorsuale107.
Nelle procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento, l’emersione di un secondo patrimonio è un fatto ricorrente: ciò soprattutto perché è fisiologico che a seguito della concessione dell’esdebitazione le persone fisiche (ma ormai – vista la possibilità di concedere la discharge anche alle persone giuridiche – non solo) continuino ad operare sul mercato tramite la formazione di un nuovo patrimonio108.
104 X. XXXXXXXXX, L’esdebitazione, cit., p. 2034.
105D. VATTERMOLI, op. cit., p. 4. L’Autore richiama la fattispecie del “pagamento del debito prescritto” ex art. 2940 cod. civ., evidenziando come il confronto tra tale istituto e l’esdebitazione convinca circa la validità della tesi che attribuisce alle obbligazioni colpite da esdebitazione la natura di obbligazioni naturali. In particolare, se l’ordinamento non ammette la ripetizione di quanto eventualmente pagato spontaneamente dal debitore nonostante l’intervenuta prescrizione perché considera tale pagamento come adempimento di un dovere sociale, a maggior ragione deve essere considerato tale il pagamento spontaneo di un debito colpito dalla discharge, dal momento che in tale ipotesi l’inesigibilità del debito non è conseguenza di una condotta colpevole del creditore (quale è l’inerzia nel caso della prescrizione) bensì di un provvedimento del giudice.
106 Benché si tratti di una forma particolare di responsabilità limitata, con caratteristiche diverse da quella riconosciuta alle società di capitali: siamo in presenza, infatti, di una limitazione di responsabilità eventuale, sempre ex post, che opera solo in presenza di determinate condizioni e che può essere revocata (G.D. XXXXX, Le procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento, cit., p. 7).
107 X. XXXXXXXXXX, op. cit., p. 2.
108 G.D. XXXXX, Le procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento, cit., p. 9.
Quel che è certo, è che attraverso la limitazione della responsabilità si fa ricadere sui creditori una parte del rischio di insolvenza109. Pertanto, uno dei possibili rischi collegati al moltiplicarsi delle ipotesi di limitazione della responsabilità è rappresentato dal futuro aumento del costo del credito.
Se l’esdebitazione verrà concessa in presenza di requisiti sempre meno stringenti, è probabile che i creditori – analogamente a quanto avvenuto negli ordinamenti di common law110 – reagiranno aumentando il costo del credito. Di conseguenza, i debitori assoggettabili alle procedure da sovraindebitamento (quindi soggetti con modeste attività e non grandi imprenditori commerciali) avranno ancora più difficoltà ad accedere al credito, realizzando così un risultato opposto all’obiettivo perseguito dal legislatore della riforma.
Al fine di scongiurare tale scenario, sarà necessario che – in sede di applicazione concreta delle nuove disposizioni – si tenga presente la natura originaria dell’esdebitazione quale strumento di tutela del debitore “onesto ma sfortunato”, evitando che tale beneficio venga concesso in modo pressoché automatico senza un preventivo controllo di meritevolezza.
7. Conclusioni. Il Codice della crisi ha introdotto diverse innovazioni con riferimento alle procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento: il principale scopo perseguito dal legislatore è quello di rendere tali procedure più utilizzate nella pratica.
Diverse previsioni, come la riduzione dei consensi richiesti in tema di concordato minore oppure l’eliminazione del requisito della durata minima della procedura liquidatoria, hanno infatti lo scopo di rendere gli istituti più attraenti agli occhi dei debitori che decidano di farvi ricorso.
109 Una parte della dottrina, infatti, ha definito l’esdebitazione come una forma di “assicurazione contro il rischio di insolvenza”: in particolare, poiché gli individui sono per loro natura avversi al rischio, essi sono disposti a pagare per avere un’assicurazione che riduca le conseguenze dannose di un loro eventuale futuro sovraindebitamento. Il prezzo che devono sostenere per ottenere tale assicurazione è rappresentato dal maggior costo del credito (X. XXXXXXX FARINA, op. cit., p. 646: X. XXXXXXXX, op. cit., p. 227).
000 X. X. XXXXX XXXXXXX, L’esdebitazione del debitore civile: una rilettura del rapporto civil law- common law, in Banca Borsa e Titoli di Credito, fascicolo 3/2012, p. 322 ss.
Oltre al riconoscimento della legittimazione attiva anche in capo ai creditori con riferimento alla liquidazione controllata, l’altra grande novità – che segna una vera e propria rottura con l’impostazione tradizionale che faceva seguire la dichiarazione di liberazione dai debiti non soddisfatti alla procedura liquidatoria – riguarda l’introduzione della c.d. “esdebitazione senza utilità”.
In linea generale, negli ultimi anni sembra farsi sempre più strada nel nostro ordinamento un approccio debtor-oriented: il moltiplicarsi delle ipotesi di limitazione della responsabilità e la maggiore indulgenza nella concessione della discharge sono chiari indici in tal senso.
L’obiettivo perseguito dal legislatore, come espressamente enunciato nella relazione di accompagnamento al Codice della crisi, è quello di “reimmettere nel mercato soggetti potenzialmente produttivi”.
Nondimeno, se e quando le nuove disposizioni entreranno in vigore sarà la giurisprudenza ad effettuare un bilanciamento tra le ragioni dei debitori e quelle dei creditori: se così non fosse, infatti, l’effetto non potrebbe che essere un aumento del costo del credito, con danni rilevanti proprio per le categorie di debitori soggetti alle procedure da sovraindebitamento.
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AUTORI
XXXXXXXX XXXXXXX, Professore ordinario di diritto amminsitrativo nell’Università La Sapienza di Roma
XXXX XXXXXXXX XXXXX, Professore ordinario di diritto commerciale nell’Università LUISS Xxxxx Xxxxx
XXXXXXXX XXXXXXXX, Dottore in Giurisprudenza XXXXXXXXXXXX XXXXXXX XXXXX, Dottore in Giurisprudenza
LLR - LUISS Law Review
Rivista online del centro di ricerca LUISS DREAM, Dipartimento di Giurisprudenza XXXXX Xxxxx Xxxxx Registrata presso il Tribunale di Roma con il n. 65/2016
ISSN 2531-6915
Direttore responsabile: Xxxx Xxxxxxxx Xxxxx Responsabile di redazione: Xxxxxxxxx Xxxxxxxxx
XXXXX Xxxxx Xxxxx - Xxxxx Xxxx, 00, 00000 Xxxx, Xxxxxx P.I. 01067231009
LLR n. 2/2019
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