Common use of Motivi della decisione Clause in Contracts

Motivi della decisione. Preliminarmente, i ricorsi - principale ed incidentale - vanno riuniti ai sensi dell'art. 335 c.p.c.. Ricorso principale. (OMISSIS) Con il secondo motivo denunciano la violazione e falsa applicazione delle clausole generali della buona fede, ed in particolare sulla pretesa insindacabilità degli atti di autonomia privata e della conseguente non applicabilità della figura dell'abuso del diritto all'esercizio del recesso ad nutum (art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione agli artt. 1175 e 1375 c.c.). Con il terzo motivo denunciano la violazione e falsa applicazione dell'art. 2043 c.c.; contraddittorietà della motivazione sul punto (art. 360 c.p.c., n. 5). Con il quarto motivo denunciano la violazione e falsa applicazione delle disposizioni sull'agenzia ed errata valutazione della giurisprudenza tedesca in materia (art. 360 c.p.c., n. 3). Il secondo, terzo e quarto motivo, investendo profili che si presentano connessi in ordine alle questioni prospettate, vanno esaminati congiuntamente. Essi sono fondati, nei limiti di cui in motivazione, per le ragioni che seguono. Costituiscono principii generali del diritto delle obbligazioni quelli secondo cui la parti di un rapporto contrattuale debbono comportarsi secondo le regole della correttezza (art. 1175 c.c.) e che l'esecuzione dei contratti debba avvenire secondo buona fede (art. 1375 c.c.). In tema di contratti, il principio della buona fede oggettiva, cioè della reciproca lealtà di condotta, deve presiedere all'esecuzione del contratto, così come alla sua formazione ed alla sua interpretazione ed, in definitiva, accompagnarlo in ogni sua fase (Cass. 5.3.2009 n. 5348; Cass. 11.6.2008 n. 15476). Ne consegue che la clausola generale di buona fede e correttezza è operante, tanto sul piano dei comportamenti del debitore e del creditore nell'ambito del singolo rapporto obbligatorio (art. 1175 cod. civ.), quanto sul piano del complessivo assetto di interessi sottostanti all'esecuzione del contratto (art. 1375 cod. civ.). I principii di buona fede e correttezza, del resto, sono entrati, nel tessuto connettivo dell'ordinamento giuridico. L'obbligo di buona fede oggettiva o correttezza costituisce, infatti, un autonomo dovere giuridico, espressione di un generale principio di solidarietà sociale, la cui costituzionalizzazione è ormai pacifica (v. in questo senso, fra le altre, Cass. 15.2.2007 n. 3462). Una volta collocato nel quadro dei valori introdotto dalla Carta costituzionale, poi, il principio deve essere inteso come una specificazione degli "inderogabili doveri di solidarietà sociale" imposti dall'art. 2 Cost., e la sua rilevanza si esplica nell'imporre, a ciascuna delle parti del rapporto obbligatorio, il dovere di agire in modo da preservare gli interessi dell'altra, a prescindere dall'esistenza di specifici obblighi contrattuali o di quanto espressamente stabilito da singole norme di legge. In questa prospettiva, si è pervenuti ad affermare che il criterio della buona fede costituisce strumento, per il giudice, atto a controllare, anche in senso modificativo od integrativo, lo statuto negoziale, in funzione di garanzia del giusto equilibrio degli opposti interessi. La Relazione ministeriale al codice civile, sul punto, così si esprimeva: (il principio di correttezza e buona fede) "richiama nella sfera del creditore la considerazione dell'interesse del debitore e nella sfera del debitore il giusto riguardo all'interesse del creditore", operando, quindi, come un criterio di reciprocità. In sintesi, disporre di un potere non è condizione sufficiente di un suo legittimo esercizio se, nella situazione data, la patologia del rapporto può essere superata facendo ricorso a rimedi che incidono sugli interessi contrapposti in modo più proporzionato. In questa ottica la clausola generale della buona fede ex artt. 1175 e 1375 c.c. è stata utilizzata, anche nell'ambito dei diritti di credito, per scongiurare, per es. gli abusi di posizione dominante. La buona fede, in sostanza, serve a mantenere il rapporto giuridico nei binari dell'equilibrio e della proporzione. Criterio rivelatore della violazione dell'obbligo di buona fede oggettiva è quello dell'abuso del diritto. Gli elementi costitutivi dell'abuso del diritto - ricostruiti attraverso l'apporto dottrinario e giurisprudenziale - sono i seguenti: 1) la titolarità di un diritto soggettivo in capo ad un soggetto; 2) la possibilità che il concreto esercizio di quel diritto possa essere effettuato secondo una pluralità di modalità non rigidamente predeterminate; 3) la circostanza che tale esercizio concreto, anche se formalmente rispettoso della cornice attributiva di quel diritto, sia svolto secondo modalità censurabili rispetto ad un criterio di valutazione, giuridico od extragiuridico; 4) la circostanza che, a causa di una tale modalità di esercizio, si verifichi una sproporzione ingiustificata tra il beneficio del titolare del diritto ed il sacrifico cui è soggetta la controparte. L'abuso del diritto, quindi, lungi dal presupporre una violazione in senso formale, delinea l'utilizzazione alterata dello schema formale del diritto, finalizzata al conseguimento di obiettivi ulteriori e diversi rispetto a quelli indicati dal Legislatore. E' ravvisabile, in sostanza, quando, nel collegamento tra il potere di autonomia conferito al soggetto ed il suo atto di esercizio, risulti alterata la funzione obiettiva dell'atto rispetto al potere che lo prevede. Come conseguenze di tale, eventuale abuso, l'ordinamento pone una regola generale, nel senso di rifiutare la tutela ai poteri, diritti e interessi, esercitati in violazione delle corrette regole di esercizio, posti in essere con comportamenti contrari alla buona fede oggettiva. E nella formula della mancanza di tutela, sta la finalità di impedire che possano essere conseguiti o conservati i vantaggi ottenuti - ed i diritti connessi - attraverso atti di per sè strutturalmente idonei, ma esercitati in modo da alterarne la funzione, violando la normativa di correttezza, che è regola cui l'ordinamento fa espresso richiamo nella disciplina dei rapporti di autonomia privata. Nel nostro codice non esiste una norma che sanzioni, in via generale, l'abuso del diritto. La cultura giuridica degli anni '30 fondava l'abuso del diritto, più che su di un principio giuridico, su di un concetto di natura etico morale, con la conseguenza che colui che ne abusava era considerato meritevole di biasimo, ma non di sanzione giuridica. Questo contesto culturale, unito alla preoccupazione per la certezza - o quantomeno prevedibilità del diritto -, in considerazione della grande latitudine di potere che una clausola generale, come quella dell'abuso del diritto, avrebbe attribuito al giudice, impedì che fosse trasfusa, nella stesura definitiva del codice civile italiano del 1942, quella norma del progetto preliminare (art. 7) che proclamava, in termini generali, che "nessuno può esercitare il proprio diritto in contrasto con lo scopo per il quale il diritto medesimo gli è stato riconosciuto" (così ponendosi l'ordinamento italiano in contrasto con altri ordinamenti, ad es. tedesco, svizzero e spagnolo); preferendo, invece, ad una norma di carattere generale, norme specifiche che consentissero di sanzionare l'abuso in relazione a particolari categorie di diritti. Ma, in un mutato contesto storico, culturale e giuridico, un problema di così pregnante rilevanza è stato oggetto di rimeditata attenzione da parte della Corte di legittimità (v. applicazioni del principio in Cass. 8.4.2009 n. 8481; Cass. 20.3.2009 n. 6800; Cass. 17.10.2008 n. 29776; Cass. 4.6.2008 n. 14759; Cass. 11.5.2007 n. 10838). Così, in materia societaria è stato sindacato, in una deliberazione assembleare di scioglimento della società, l'esercizio del diritto di voto sotto l'aspetto dell'abuso di potere, ritenendo principio generale del nostro ordinamento, anche al di fuori del campo societario, quello di non abusare dei propri diritti - con approfittamento di una posizione di supremazia - con l'imposizione, nelle delibere assembleari, alla maggioranza, di un vincolo desunto da una clausola generale quale la correttezza e buona fede (contrattuale). In questa ottica i soci debbono eseguire il contratto secondo buona fede e correttezza nei loro rapporti reciproci, ai sensi degli artt. 1175 e 1375 c.c., la cui funzione è integrativa del contratto sociale, nel senso di imporre il rispetto degli equilibri degli interessi di cui le parti sono portatrici. E la conseguenza è quella della invalidità della delibera, se è raggiunta la prova che il potere di voto sia stato esercitato allo scopo di ledere gli interessi degli altri soci, ovvero risulti in concreto preordinato ad avvantaggiare ingiustificatamente i soci di maggioranza in danno di quelli di minoranza, in violazione del canone generale di buona fede nell'esecuzione del contratto (x. Xxxx. 11.6.2003 n. 9353). Con il rilievo che tale canone generale non impone ai soggetti un comportamento a contenuto prestabilito, ma rileva soltanto come limite esterno all'esercizio di una pretesa, essendo finalizzato al contemperamento degli opposti interessi (Cass. 12.12.2005 n. 27387). Ancora, sempre nell'ambito societario, la materia dell'abuso del diritto è stata esaminata con riferimento alla qualità di socio ed all'adempimento secondo buona fede delle obbligazioni societarie ai fini della sua esclusione dalla società (Cass. 19.12.2008 n. 29776), ed al fenomeno dell'abuso della personalità giuridica quando essa costituisca uno schermo formale per eludere la più rigida applicazione della legge (v. anche Cass. 25.1.2000 n. 804; Cass. 16.5.2007 n. 11258). In tal caso, proprio richiamando l'abuso, ne sarà possibile, per così dire, il suo "disvelamento" (piercing the corporate veil). Nell'ambito, poi, dei rapporti bancari è stato più volte riconosciuto che, in ossequio al principio per cui il contratto deve essere eseguito secondo buona fede (art. 1375 cod. civ.), non può escludersi che il recesso di una banca dal rapporto di apertura di credito, benchè pattiziamente consentito anche in difetto di giusta causa, sia da considerarsi illegittimo ove in concreto assuma connotati del tutto imprevisti ed arbitrari (Cass. 21.5.1997 n. 4538; Cass. 14.7.2000 n. 9321; Cass. 21.2.2003 n. 2642). E, con riferimento ai rapporti di conto corrente, è stato ritenuto che, in presenza di una clausola negoziale che, nel regolare tali rapporti, consenta all'istituto di credito di operare la compensazione tra i saldi attivi e passivi dei diversi conti intrattenuti dal medesimo correntista, in qualsiasi momento, senza obbligo di preavviso, la contestazione sollevata dal cliente che, a fronte della intervenuta operazione di compensazione, lamenti di non esserne stato prontamente informato e di essere andato incontro, per tale motivo, a conseguenze pregiudizievoli, impone al giudice di merito di valutare il comportamento della banca alla stregua del fondamentale principio della buona fede nella esecuzione del contratto. Con la conseguenza, in caso contrario, del riconoscimento a carico della banca, di una responsabilità per risarcimento dei danni (Cass. 28.9.2005 n. 18947). In materia contrattuale, poi, gli stessi principii sono stati applicati, in particolare, con riferimento al contratto di mediazione (Cass. 5.3.2009 n. 5348), al contratto di sale and lease back connesso al divieto di patto commissorio ex art. 2744 c.c., (Cass. 16.10.1995 n. 10805; Cass. 26.6.2001 n. 8742; Cass. 22.3.2007 n. 6969; Cass. 8.4.2009 n. 8481), ed al contratto autonomo di garanzia ed exceptio doli (Cass. 1.10.1999 n. 10864; cass. 28.7.2004 n. 14239; Cass. 7.3.2007 n. 5273). Del principio dell'abuso del diritto è stato, da ultimo, fatto frequente uso in materia tributaria, fondandolo sul riconoscimento dell'esistenza di un generale principio antielusivo (v. per tutte S.U. 23.10.2008 nn. 30055, 30056, 30057). Il breve excursus esemplificativo consente, quindi, di ritenere ormai acclarato che anche il principio dell'abuso del diritto è uno dei criteri di selezione, con riferimento al quale esaminare anche i rapporti negoziali che nascono da atti di autonomia privata, e valutare le condotte che, nell'ambito della formazione ed esecuzione degli stessi, le parti contrattuali adottano. Deve, con ciò, pervenirsi a questa conclusione. Oggi, i principii della buona fede oggettiva, e dell'abuso del diritto, debbono essere selezionati e rivisitati alla luce dei principi costituzionali - funzione sociale ex art. 42 Cost. - e della stessa qualificazione dei diritti soggettivi assoluti. In questa prospettiva i due principii si integrano a vicenda, costituendo la buona fede un canone generale cui ancorare la condotta delle parti, anche di un rapporto privatistico e l'interpretazione dell'atto giuridico di autonomia privata e, prospettando l'abuso, la necessità di una correlazione tra i poteri conferiti e lo scopo per i quali essi sono conferiti. Qualora la finalità perseguita non sia quella consentita dall'ordinamento, si avrà abuso. In questo caso il superamento dei limiti interni o di alcuni limiti esterni del diritto ne determinerà il suo abusivo esercizio. Alla luce di tali principii e considerazioni svolte deve, ora, esaminarsi la sentenza, in questa sede, impugnata. La struttura argomentativa della sentenza si sviluppa secondo i seguenti passaggi logici:

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Motivi della decisione. PreliminarmenteGiova innanzitutto dare atto che, i ricorsi - principale ed incidentale - vanno riuniti nel precisare le proprie conclusioni, il convenuto non ha reiterato l'eccezione di incompetenza territoriale inizialmente sollevata in comparsa di costituzione e risposta, sicchè la relativa questione pregiudiziale deve ritenersi abbandonata. Ad ogni modo, anche a voler prescindere da tale rinuncia, deve rilevarsi come detta eccezione avrebbe dovuto, comunque, essere dichiarata inammissibilein ragione della tardività della costituzione del convenuto eccipiente. A identica conclusione, e per gli stessi motivi, si deve poi pervenire, in concreto, in ordine alla domanda riconvenzionale proposta e reiterata dal X. Questi, infatti, si è costituito in giudizio depositando comparsa di risposta in data 20/06/2013, ovverosia diciotto giorni prima dell'udienza indicata in citazione dall'attrice (09/07/2013), senza, quindi, rispettare il termine di giorni venti previsto dall'art. 166 c.p.c., con conseguente decadenza dalla facoltà sia di sollevare eccezioni, processuali e di merito, non rilevabili d'ufficio, tra cui quelle di incompetenza territoriale ex art. 38 c.p.c., sia di formulare domande riconvenzionali ex art. 167 c.p.c. Infatti, il predetto termine decadenziale stabilito dagli artt. 166 e 167 c.p.c., nel caso di differimento dell'udienza di comparizione ai sensi dell'art. 335 c.p.c.. Ricorso principale. (OMISSIS) Con il secondo motivo denunciano la violazione e falsa applicazione delle clausole generali della buona fede168 bis, ed in particolare sulla pretesa insindacabilità degli atti di autonomia privata e della conseguente non applicabilità della figura dell'abuso del diritto all'esercizio del recesso ad nutum (art. 360 quarto comma, c.p.c., n. 3deve essere comunque computato a decorrere dalla data originariamente indicata dall'attrice in citazione (9/7/13) e non, in relazione agli artt. 1175 e 1375 c.c.). Con invece, da quella (11/7/13) a cui il terzo motivo denunciano la violazione e falsa applicazione dell'art. 2043 c.c.; contraddittorietà della motivazione sul punto (processo è stato "automaticamente" posticipato a norma del citato art. 360 168 bis c. IV c.p.c. Come espressamente previsto dall'art. 166 c.p.c., n. 5)solo nel caso di differimento disposto dal Giudice a norma dell'art. Con il quarto motivo denunciano 168 bis, quinto comma, la violazione tempestività del deposito della comparsa di costituzione avrebbe dovuto essere valutata in relazione alla nuova data di udienza, anziché rispetto a quella originariamente fissata dall'attore in citazione. Alla luce delle argomentazioni che precedono, rilevata la mancata reiterazione dell'eccezione di incompetenza territoriale,deve essere, dunque, dichiarata l'inammissibilità della domanda riconvenzionale formulata e falsa applicazione delle disposizioni sull'agenzia ed errata valutazione reiterata dal X, di accertamento del proprio diritto d'autore sul programma "NAVCRM. Tanto premesso e passando, quindi, al merito della giurisprudenza tedesca presente controversia, occorre, in primo luogo,esaminare la disciplina prevista in materia (di proprietà intellettuale, con particolare riferimento all'attività di creazione e sviluppo di software. Orbene, premessa la pacifica tutelabilità, attraverso il diritto d'autore, dei programmi per elaboratori, in quanto equiparati dagli stessi artt. 1 e 2 L. n. 633 del 1941 alle opere letterarie, nel caso di specie, vanno individuati e modulati i termini di applicabilità di tale tutela nell'ipotesi in cui la realizzazione del software sia stata commissionata ad un lavoratore autonomo. Infatti, con riferimento all'ipotesi sopra indicata, deve evidenziarsi come l'ordinamento giuridico vigente non preveda alcuna specifica disciplina. Nella legge sul diritto d'autore, gli art. 360 c.p.c.64 bis e seguenti, introdotti dal D.Lgs. n. 3). Il secondo513 del 1992, terzo e quarto motivo, investendo profili che si presentano connessi in ordine alle questioni prospettate, vanno esaminati congiuntamente. Essi sono fondati, nei limiti di cui in motivazione, per le ragioni che seguono. Costituiscono principii generali enucleano il contenuto del diritto delle obbligazioni quelli secondo di utilizzazione economica del software, mentre l'art. 12 bis regola l'ipotesi in cui la parti di il programma sia stato sviluppato e realizzato da un rapporto contrattuale debbono comportarsi secondo le regole della correttezza (art. 1175 c.c.) e dipendente, statuendo che l'esecuzione dei contratti debba avvenire secondo buona fede (art. 1375 c.c.). In tema di contratti"salvo patto contrario, il principio della buona fede oggettiva, cioè della reciproca lealtà datore di condotta, deve presiedere all'esecuzione lavoro è titolare del contratto, così come diritto esclusivo di utilizzazione economica del programma per elaboratore o delle banche dati creati dal lavoratore dipendente nell'esecuzione delle sue mansioni o istruzioni impartite dallo stesso datore di lavoro". Tale vuoto normativo non può neppure essere colmato attraverso il riferimento alla sua formazione ed alla sua interpretazione edparallela disciplina in materia di proprietà industriale, in definitiva, accompagnarlo in ogni sua fase (Cass. 5.3.2009 n. 5348; Cass. 11.6.2008 n. 15476). Ne consegue che la clausola generale di buona fede e correttezza è operante, tanto sul piano dei comportamenti del debitore e del creditore nell'ambito del singolo rapporto obbligatorio (art. 1175 cod. civ.), quanto sul piano del complessivo assetto di interessi sottostanti all'esecuzione del contratto (art. 1375 cod. civ.). I principii di buona fede e correttezza, del resto, sono entrati, nel tessuto connettivo dell'ordinamento giuridico. L'obbligo di buona fede oggettiva o correttezza costituisce, infatti, un autonomo dovere giuridico, espressione di un generale principio di solidarietà sociale, la cui costituzionalizzazione è ormai pacifica (v. in questo senso, fra le altre, Cass. 15.2.2007 n. 3462). Una volta collocato nel quadro dei valori introdotto dalla Carta costituzionale, poi, il principio deve essere inteso come una specificazione degli "inderogabili doveri di solidarietà sociale" imposti dall'art. 2 Cost., e la sua rilevanza si esplica nell'imporre, a ciascuna delle parti del rapporto obbligatorio, il dovere di agire in modo da preservare gli interessi dell'altra, a prescindere dall'esistenza di specifici obblighi contrattuali o di quanto espressamente stabilito da singole norme di legge. In questa prospettiva, si è pervenuti ad affermare che il criterio della buona fede costituisce strumento, per il giudice, atto a controllarequanto, anche in senso modificativo od integrativoquesto caso, lo statuto negozialel'art. 64 c.p.i. disciplina la sola ipotesi dell'invenzione realizzata dal lavoratore subordinato. Tutto ciò considerato, appare opportuno richiamare l'orientamento delineato in funzione materia dalla giurisprudenza di garanzia del giusto equilibrio degli opposti interessi. La Relazione ministeriale al codice civilemerito maggioritaria, da ultimo ribadito dal Tribunale di Milano, con la sentenza n. 6964/2014 (vedi, sul punto, così anche Trib. Milano 30 giugno 2013). E invero, anche nell'ipotesi in cui il software sia stato commissionato da una società ad un libero professionista, si esprimeva: dovranno dunque richiamare ed applicare, in via analogica, le disposizioni previste per i lavoratori subordinati agli art. 12 bis l.d.a. e 64 c.p.i. Ne consegue che, salvo il diritto dello sviluppatore materiale ad essere riconosciuto quale autore morale del software, l'opera commissionata deve essere acquistata a titolo originario dal committente, che diventa, in via esclusiva, titolare del relativo diritto di sfruttamento economico patrimoniale. Come anticipato, però, tale regola generale può trovare applicazione solo nel caso in cui non vi siano patti contrari, che prevedano una diversa regolamentazione della materia. Nel caso di specie, come emerge dalle allegazioni delle parti, nonché dalla corrispondenza intercorsa ante causam tra le stesse (v. doc. n. 14 di parte attice), l'attrice A. s.r.l. ed il principio di correttezza convenuto ingegner X, in deroga ai principi come sopra elaborati dalla giurisprudenza e buona fede) dalla dottrina, avevano stipulato un accordo in forza del quale, con riguardo alla ripartizione del fatturato derivante dalle licenze del "richiama nella sfera del creditore la considerazione dell'interesse del debitore e nella sfera del debitore il giusto riguardo all'interesse del creditoreNavcrm", operandola società A. s.r.l. avrebbe trattenuto il relativo 60% e, conseguentemente, avrebbe versato il restante 40% all'odierno convenuto. In particolare, deve rilevarsi come la differenza del 10% a favore dell'attrice trovasse pattizia giustificazione in una "paternità" riconosciuta esplicitamente dal X a favore dell'altro contraente per avere quest'ultimo, come meglio si dirà in seguito, elaborato, per il tramite del suo legale rappresentante X., l'idea inventiva ed "essersi accollato tutto lo sviluppo del software". A quest'ultimo riguardo, occorre, però, svolgere alcune precisazioni in ordine all'origine e alla titolarità dei rapporti dedotti in causa. Infatti, come si evince dalle allegazioni svolte dalle stesse parti, nonché dalle concordi dichiarazioni rese dai testi G.B. e G.M., il programma per elaboratore denominato "Navcrm" nasce da un'idea del M., oggi legale rappresentante di A. s.r.l. Difatti, risulta che, inizialmente, il M., in proprio, all'epoca dipendente di X. ed esperto in materia di agenzie per il lavoro, dopo aver affidato la realizzazione di un crm denominato "Waab" all'ingegner X., ebbe a contattare anche il X, commissionandogli la realizzazione di una banca dati che avrebbe dovuto integrare l'operatività del predetto software. E' altresì emerso che il B., dopo alcuni mesi, dovette rinunciare al progetto, sicchè il compito di realizzare un unico software, che integrasse le due soluzioni iniziali, nonché nuove funzionalità tra cui un navigatore, rimase in capo all'odierno convenuto. Nel frattempo, nei primi mesi del 2008, il M. aveva costituito la società A. srl, al fine precipuo di sfruttare il progetto "Navcrm", con conseguente subentro di quest'ultima, per facta concludentia, anche nel rapporto professionale inizialmente intercorso tra il M. ed il X. Il superiore assunto trova conferma nella documentata circostanza che era la società odierna attrice a pagare al X le fatture da questi emesse per lo sviluppo iniziale del software ed era sempre la società A. srl la formale ed effettiva intestataria tanto dei contratti di licenza, quanto delle relative fatture di pagamento (v. doc. 8, 9, 11, 12, 13, 15). Sulla scorta delle considerazioni che precedono, ritiene il Collegio che la società attrice sia subentrata nella titolarità del contratto di collaborazione professionale dedotto in causa e che alla stessa, per effetto della invocata risoluzione di detto accordo, spetti, in via esclusiva, il diritto di sfruttamento economico del software "Navcrm". Al riguardo, giova osservare che, a partire dalla fine del 2011, l'accordo in esame è stato modificato, in quanto, come ammesso dallo stesso X, con valore confessorio, in sede di interrogatorio formale, per ragioni di opportunità e su richiesta del cliente E., le parti decisero di far figurare come fornitore del "Navcrm" il convenuto, il quale, a sua volta, si era formalmente impegnato a "girare"comunque alla società attrice il pattuito 60% dei ricavi. Tali accordi sono stati, però, successivamente disattesi dal X. E', infatti, circostanza assolutamente pacifica, in quanto non contestata, né confutata, che quest'ultimo, in violazione degli impegni contrattualmente assunti, ha trattenuto per sé l'intero fatturato conseguito dallo sfruttamento del software, omettendo di trasferire alla società A. s.r.l. la dovuta percentuale di ricavi. Xxxxxx, appare evidente come siffatta condotta integri un grave inadempimento da parte del convenuto dei propri obblighi contrattuali, senz'altro idoneo a fondare, ai sensi dell'art. 1453 c.c., una pronuncia di risoluzione del contratto di collaborazione inter partes. Il venir meno dell'accordo derogatorio, comporta, inevitabilmente, la reviviscenza della regola generale come ut supra delineata e, quindi, come la riespansionein capo al committente, del diritto di utilizzazione economica, in via esclusiva e per l'intero, del software oggetto di causa ex art. 64 bis L. n. 633 del 1941. Ulteriore conseguenza di quanto sopra affermato è la palese illegittimità della detenzione da parte del X dei codici sorgenti del software, i quali, per ciò, dovranno essere riconsegnati all'attrice, quale soggetto avente diritto. Per tali motivi, deve inibirsi al convenuto la prosecuzione delle denunciate attività illecite, nonché lo svolgimento di quelle volte alla riproduzione e distribuzione a terzi del programma "Navcrm". Inoltre, al fine di assicurare la dovuta ottemperanza alle pronunce che precedono, va posta a carico del convenuto una penale pecuniaria di Euro 500,00 per ogni violazione o inosservanza delle disposte inibitorie e per ogni giorno di ritardo nell'adempimento di tutto quanto disposto in sentenza. Infine, ai sensi dell'art. 166 c.p.c., va anche disposta la pubblicazione, per estratto, della presente sentenza, a cura dell'attrice e a spese del convenuto, sui giornali nazionali "Il Resto del Carlino" e " La Repubblica". Tale misura, infatti, ha un criterio fine non solo ripristinatorio, ma assolve anche alla finalità di reciprocitàfare chiarezza fra i clienti di A. e gli utilizzatori del Navcrm sulla paternità del software e sulla titolarità del diritto contestato, rendendo altresì noto al pubblico degli utenti sia il fatto lesivo, che l'accoglimento dell'azione diretta a reprimerlo. In sintesiInvece, disporre di un potere non è condizione sufficiente di un suo legittimo esercizio se, nella situazione dataper quanto concerne l'asserita concorrenza sleale da parte del convenuto ex art. 2598 nn.1 e 3 c.c., la patologia relativa domanda non appare meritevole di accoglimento. Difatti, l'invocata disciplina della concorrenza sleale esige, innanzitutto, la sussistenza di due requisiti. Il primo è quello dell'imprenditorialità tanto del rapporto può soggetto che compie la violazione, quanto del soggetto passivo che la subisce. Il secondo presupposto è, invece, quello della concorrenzialità delle attività poste in essere superata facendo ricorso a rimedi che incidono sugli interessi contrapposti in modo più proporzionato. In questa ottica la clausola generale della buona fede ex artt. 1175 e 1375 c.c. è stata utilizzata, anche nell'ambito dei diritti di credito, per scongiurare, per es. gli abusi di posizione dominante. La buona fededalle parti, in sostanzaquanto è necessario che effettivamente, serve a mantenere il rapporto giuridico nei binari dell'equilibrio e della proporzioneo almeno potenzialmente, siano rivolte alla medesima clientela. Criterio rivelatore della violazione dell'obbligo Nel caso di buona fede oggettiva è quello dell'abuso del diritto. Gli specie, però, l'attrice non ha allegato e, soprattutto, fornito sufficienti elementi costitutivi dell'abuso del diritto - ricostruiti attraverso l'apporto dottrinario e giurisprudenziale - sono i seguenti: 1) la titolarità di un diritto soggettivo in capo ad un soggetto; 2) la possibilità valutazione per poter affermare che il concreto esercizio convenuto concretamente commercializzi il software oggetto di quel diritto possa essere effettuato secondo una pluralità di modalità non rigidamente predeterminate; 3) la circostanza che tale esercizio concreto, anche se formalmente rispettoso della cornice attributiva di quel diritto, sia svolto secondo modalità censurabili rispetto ad un criterio di valutazione, giuridico od extragiuridico; 4) la circostanza che, a causa di una tale modalità di esercizio, si verifichi una sproporzione ingiustificata tra il beneficio del titolare del diritto ed il sacrifico cui è soggetta la controparte. L'abuso del dirittoe, quindi, lungi dal presupporre una violazione compia attività che,consentendone la qualificazione quantomeno in senso formaletermini di piccolo imprenditore, delinea l'utilizzazione alterata dello schema formale lo assoggettino alla disciplina di cui all'art. 2598 c.c. In particolare, non vi è prova che il X abbia venduto e venda a terzi il "Navcrm", fatturando come fornitore, e che, invece, non si sia limitato a svolgere prestazioni di manutenzione ed implementazione sul software, restando, quindi, nei confini della propria attività di libero professionista. Infine, va pure rigettata la domanda attrice di risarcimento del dirittodanno,in ragione del grave deficit assertivo e probatorio sul punto. Infatti, finalizzata al conseguimento la società A. s.r.l., tanto in atto di obiettivi ulteriori e diversi rispetto citazione, che nella prima memoria ex art. 183, comma sesto, c.p.c., ha allegatoun presunto pregiudizio in maniera del tutto generica ed apodittica, concludendo, semplicemente, per "il risarcimento di tutti i danni subiti da A., sia patrimoniali, che non patrimoniali, contrattuali ed extracontrattuali, liquidabili anche in via equitativa ai sensi dell'art. 158 l.d.a.", senza, tuttavia, specificare e, a quelli indicati dal Legislatore. E' ravvisabilefortiori, dimostrare quale sia stato, in sostanzaconcreto, quandoil nocumento dalla stessa patito in conseguenza degli illeciti ascritti al convenuto. Infine, nel collegamento tra il potere di autonomia conferito al soggetto ed il suo atto di esercizio, risulti alterata la funzione obiettiva dell'atto rispetto al potere che lo prevede. Come conseguenze di tale, eventuale abuso, l'ordinamento pone una regola generale, nel senso di rifiutare la tutela ai poteri, diritti e interessi, esercitati in violazione delle corrette regole di esercizio, posti in essere con comportamenti contrari alla buona fede oggettiva. E nella formula della mancanza di tutela, sta la finalità di impedire che possano essere conseguiti o conservati i vantaggi ottenuti - ed i diritti connessi - attraverso atti di per sè strutturalmente idonei, ma esercitati in modo da alterarne la funzione, violando la normativa di correttezza, che è regola cui l'ordinamento fa espresso richiamo nella disciplina dei rapporti di autonomia privata. Nel nostro codice non esiste una norma che sanzioni, in via generale, l'abuso del diritto. La cultura giuridica degli anni '30 fondava l'abuso del diritto, più che su di un principio giuridico, su di un concetto di natura etico morale, con la conseguenza che colui che ne abusava era considerato meritevole di biasimo, ma non di sanzione giuridica. Questo contesto culturale, unito alla preoccupazione per la certezza - o quantomeno prevedibilità del diritto -quanto concerne le spese processuali, in considerazione della grande latitudine reciproca, ma non paritetica soccombenza, si ritiene che, nella fattispecie in esame, ricorrano le condizioni per disporre la loro parziale compensazione in misura di potere che una clausola generale1/4, liquidando la quota restante (3/4), come quella dell'abuso da dispositivo, a carico del dirittoconvenuto X, avrebbe attribuito al giudicequale parte maggiormente soccombente. P.Q.M. Il Tribunale di Bologna, impedì che fosse trasfusain composizione collegiale, definitivamente pronunciando nella stesura definitiva del codice civile italiano del 1942causa avente n.r.g. 5398/2013, quella norma del progetto preliminare (ogni diversa istanza o eccezione disattesa così provvede: DICHIARA l'inammissibilità della domanda formulata, in via riconvenzionale, dal convenuto. DICHIARA la risoluzione, ex art. 7) che proclamava, in termini generali, che "nessuno può esercitare il proprio diritto in contrasto con lo scopo per il quale il diritto medesimo gli è stato riconosciuto" (così ponendosi l'ordinamento italiano in contrasto con altri ordinamenti, ad es. tedesco, svizzero e spagnolo); preferendo, invece, ad una norma di carattere generale, norme specifiche che consentissero di sanzionare l'abuso in relazione a particolari categorie di diritti. Ma, in un mutato contesto storico, culturale e giuridico, un problema di così pregnante rilevanza è stato oggetto di rimeditata attenzione da parte della Corte di legittimità (v. applicazioni del principio in Cass. 8.4.2009 n. 8481; Cass. 20.3.2009 n. 6800; Cass. 17.10.2008 n. 29776; Cass. 4.6.2008 n. 14759; Cass. 11.5.2007 n. 10838). Così, in materia societaria è stato sindacato, in una deliberazione assembleare di scioglimento della società, l'esercizio del diritto di voto sotto l'aspetto dell'abuso di potere, ritenendo principio generale del nostro ordinamento, anche al di fuori del campo societario, quello di non abusare dei propri diritti - con approfittamento di una posizione di supremazia - con l'imposizione, nelle delibere assembleari, alla maggioranza, di un vincolo desunto da una clausola generale quale la correttezza e buona fede (contrattuale). In questa ottica i soci debbono eseguire il contratto secondo buona fede e correttezza nei loro rapporti reciproci, ai sensi degli artt. 1175 e 1375 1453 c.c., la cui funzione è integrativa del contratto sociale, nel senso di imporre collaborazione professionale intercorso tra la società attrice X. xxx ed il rispetto degli equilibri degli interessi di cui le parti sono portatrici. E la conseguenza è quella della invalidità della delibera, se è raggiunta la prova che il potere di voto sia stato esercitato allo scopo di ledere gli interessi degli altri soci, ovvero risulti in concreto preordinato ad avvantaggiare ingiustificatamente i soci di maggioranza in danno di quelli di minoranza, in violazione del canone generale di buona fede nell'esecuzione del contratto (x. Xxxx. 11.6.2003 n. 9353). Con il rilievo che tale canone generale non impone ai soggetti un comportamento a contenuto prestabilito, ma rileva soltanto come limite esterno all'esercizio di una pretesa, essendo finalizzato al contemperamento degli opposti interessi (Cass. 12.12.2005 n. 27387). Ancora, sempre nell'ambito societario, la materia dell'abuso del diritto è stata esaminata con riferimento alla qualità di socio ed all'adempimento secondo buona fede delle obbligazioni societarie ai fini della sua esclusione dalla società (Cass. 19.12.2008 n. 29776), ed al fenomeno dell'abuso della personalità giuridica quando essa costituisca uno schermo formale per eludere la più rigida applicazione della legge (v. anche Cass. 25.1.2000 n. 804; Cass. 16.5.2007 n. 11258). In tal caso, proprio richiamando l'abuso, ne sarà possibileconvenuto X, per così dire, il suo "disvelamento" (piercing the corporate veil). Nell'ambito, poi, dei rapporti bancari è stato più volte riconosciuto che, in ossequio al principio per cui il contratto deve essere eseguito secondo buona fede (art. 1375 cod. civgrave inadempimento di quest'ultimo.), non può escludersi che il recesso di una banca dal rapporto di apertura di credito, benchè pattiziamente consentito anche in difetto di giusta causa, sia da considerarsi illegittimo ove in concreto assuma connotati del tutto imprevisti ed arbitrari (Cass. 21.5.1997 n. 4538; Cass. 14.7.2000 n. 9321; Cass. 21.2.2003 n. 2642). E, con riferimento ai rapporti di conto corrente, è stato ritenuto che, in presenza di una clausola negoziale che, nel regolare tali rapporti, consenta all'istituto di credito di operare la compensazione tra i saldi attivi e passivi dei diversi conti intrattenuti dal medesimo correntista, in qualsiasi momento, senza obbligo di preavviso, la contestazione sollevata dal cliente che, a fronte della intervenuta operazione di compensazione, lamenti di non esserne stato prontamente informato e di essere andato incontro, per tale motivo, a conseguenze pregiudizievoli, impone al giudice di merito di valutare il comportamento della banca alla stregua del fondamentale principio della buona fede nella esecuzione del contratto. Con la conseguenza, in caso contrario, del riconoscimento a carico della banca, di una responsabilità per risarcimento dei danni (Cass. 28.9.2005 n. 18947). In materia contrattuale, poi, gli stessi principii sono stati applicati, in particolare, con riferimento al contratto di mediazione (Cass. 5.3.2009 n. 5348), al contratto di sale and lease back connesso al divieto di patto commissorio ex art. 2744 c.c., (Cass. 16.10.1995 n. 10805; Cass. 26.6.2001 n. 8742; Cass. 22.3.2007 n. 6969; Cass. 8.4.2009 n. 8481), ed al contratto autonomo di garanzia ed exceptio doli (Cass. 1.10.1999 n. 10864; cass. 28.7.2004 n. 14239; Cass. 7.3.2007 n. 5273). Del principio dell'abuso del diritto è stato, da ultimo, fatto frequente uso in materia tributaria, fondandolo sul riconoscimento dell'esistenza di un generale principio antielusivo (v. per tutte S.U. 23.10.2008 nn. 30055, 30056, 30057). Il breve excursus esemplificativo consente, quindi, di ritenere ormai acclarato che anche il principio dell'abuso del diritto è uno dei criteri di selezione, con riferimento al quale esaminare anche i rapporti negoziali che nascono da atti di autonomia privata, e valutare le condotte che, nell'ambito della formazione ed esecuzione degli stessi, le parti contrattuali adottano. Deve, con ciò, pervenirsi a questa conclusione. Oggi, i principii della buona fede oggettiva, e dell'abuso del diritto, debbono essere selezionati e rivisitati alla luce dei principi costituzionali - funzione sociale ex art. 42 Cost. - e della stessa qualificazione dei diritti soggettivi assoluti. In questa prospettiva i due principii si integrano a vicenda, costituendo la buona fede un canone generale cui ancorare la condotta delle parti, anche di un rapporto privatistico e l'interpretazione dell'atto giuridico di autonomia privata e, prospettando l'abuso, la necessità di una correlazione tra i poteri conferiti e lo scopo per i quali essi sono conferiti. Qualora la finalità perseguita non sia quella consentita dall'ordinamento, si avrà abuso. In questo caso il superamento dei limiti interni o di alcuni limiti esterni del diritto ne determinerà il suo abusivo esercizio. Alla luce di tali principii e considerazioni svolte deve, ora, esaminarsi la sentenza, in questa sede, impugnata. La struttura argomentativa della sentenza si sviluppa secondo i seguenti passaggi logici:

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Motivi della decisione. Preliminarmente, i ricorsi - principale ed incidentale - vanno riuniti ai sensi dell'artL’opposizione è fondata e merita integrale accoglimento. 335 c.p.c.. Ricorso principale. (OMISSIS) Con il secondo motivo denunciano la violazione e falsa applicazione delle clausole generali della buona fedeÈ infatti fondata, ed ha carattere assorbente, l’eccezione di decadenza della garanzia fideiussoria svolta da parte opponente in premessa indicata ai n. 2.4 e 3, eccezione che postula sul piano logico il rilievo dell’invalidità (o, comunque, dell’inefficacia) della clausola di cui all’art. 7 della lettera di fideiussione, alla stregua del quale “i diritti derivanti alla Banca restano integri fino a totale estinzione di ogni suo credito verso il debitore, senza che essa sia tenuta ad escutere il debitore o il fideiussore entro i termini previsti dall’art. 1957 c.c.”. A tale riguardo, giova rammentare come si sia a lungo dibattuto, in passato, sulla possibilità di ricondurre le clausole di deroga all’art. 1957 x.x. xx xxxxxx xxxxx xxxxxxxx x.x. xxxxxxxxxx. Xx deve in particolare sulla pretesa insindacabilità degli atti dar conto di autonomia privata un orientamento giurisprudenziale prevalentemente contrario al riconoscimento della vessatorietà di tali clausole, inaugurato dalla risalente sentenza Cass. civ. Sez. 1, Sentenza n. 2034 del 10/07/1974 (“La rinuncia preventiva del fideiussore a far valere la decadenza prevista dall’art. 1957, primo comma, cod. civ. a carico del creditore che non abbia proposto le sue istanze contro il debitore e della conseguente le abbia con diligenza continuate, entro sei mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita non applicabilità della figura dell'abuso del diritto all'esercizio del recesso ad nutum (artrientra tra le clausole particolarmente onerose di cui all’art. 360 c.p.c.1341 cod. civ. esige, n. nel caso che siano predisposte da uno dei contraenti, la specifica approvazione per iscritto dell’altro contraente”) e, seppur in termini non perfettamente coincidenti, dalla successiva Cass. Civ. Sez. 3, in relazione agli artt. 1175 e 1375 c.c.). Con il terzo motivo denunciano Sentenza n. 2461 del 20/04/1982 (“la violazione e falsa applicazione dell'art. 2043 c.c.; contraddittorietà della motivazione sul punto (art. 360 c.p.c., n. 5). Con il quarto motivo denunciano la violazione e falsa applicazione delle disposizioni sull'agenzia ed errata valutazione della giurisprudenza tedesca in materia (art. 360 c.p.c., n. 3). Il secondo, terzo e quarto motivo, investendo profili che si presentano connessi in ordine alle questioni prospettate, vanno esaminati congiuntamente. Essi sono fondati, nei limiti di cui in motivazione, per le ragioni che seguono. Costituiscono principii generali del diritto delle obbligazioni quelli secondo cui la parti di un rapporto contrattuale debbono comportarsi secondo le regole della correttezza (art. 1175 c.c.) e che l'esecuzione dei contratti debba avvenire secondo buona fede (art. 1375 c.c.). In tema di contratti, il principio della buona fede oggettiva, cioè della reciproca lealtà di condotta, deve presiedere all'esecuzione del contratto, così come alla sua formazione ed alla sua interpretazione ed, in definitiva, accompagnarlo in ogni sua fase (Cass. 5.3.2009 n. 5348; Cass. 11.6.2008 n. 15476). Ne consegue che la clausola generale di buona fede e correttezza è operante, tanto sul piano dei comportamenti del debitore e decadenza del creditore nell'ambito del singolo rapporto obbligatorio (artdall’obbligazione fideiussoria per mancata proposizione delle azioni contro il debitore principale entro sei mesi dalla scadenza dell’obbligazione principale, prevista dall’art. 1175 1957 cod. civ., può formare oggetto di rinunzia preventiva da parte del fideiussore”), quanto sul piano del complessivo assetto di interessi sottostanti all'esecuzione del contratto orientamento che ha trovato peraltro recenti conferme negli arresti citati da parte opposta (art. 1375 cod. civ.). I principii di buona fede e correttezza, del resto, sono entrati, nel tessuto connettivo dell'ordinamento giuridico. L'obbligo di buona fede oggettiva o correttezza costituisce, infatti, un autonomo dovere giuridico, espressione di un generale principio di solidarietà sociale, la cui costituzionalizzazione è ormai pacifica (v. in questo senso, fra le altre, Cass. 15.2.2007 n. 3462)Civ. Una volta collocato nel quadro dei valori introdotto dalla Carta costituzionale08/13078 e 06/2263) e alla stregua del quale è stata svolta a suo tempo la prognosi negativa sulle sorti dell’opposizione sottesa all’ordinanza concessiva della provvisoria esecuzione del decreto opposto. Detto orientamento, poituttavia, il principio deve re melius perpensa, non può essere inteso come accolto acriticamente ma merita una specificazione degli "inderogabili doveri serie revisione critica e, specie quando venga in rilievo la tutela consumeristica di solidarietà sociale" imposti dall'artcui all’art. 2 Cost.33 D. Lgs. 206/2005 non può più ritenersi attuale, e la sua rilevanza si esplica nell'imporre, a ciascuna delle parti del rapporto obbligatorio, il dovere per due ordini di agire in modo da preservare gli interessi dell'altra, a prescindere dall'esistenza di specifici obblighi contrattuali o di quanto espressamente stabilito da singole norme di leggeconsiderazioni. In questa prospettivaprimo luogo, già con riguardo alla disciplina codicistica di cui all’art. 1341, co. 2 c.c. l’esclusione della clausola di deroga dal novero delle clausole vessatorie è sorretta da una motivazione tutt’altro che convincente (se non apodittica), posto che detta clausola a ben vedere, ancorché non in via esplicita e immediata, si è pervenuti ad affermare che il criterio della buona fede costituisce strumento, risolve nell’esclusione per il giudice, atto a controllare, anche in senso modificativo od integrativo, lo statuto negoziale, in funzione fideiussore della possibilità di garanzia del giusto equilibrio degli opposti interessi. La Relazione ministeriale al codice civile, sul punto, così si esprimeva: (il principio di correttezza e buona fede) "richiama nella sfera far valere la decadenza del creditore la considerazione dell'interesse del debitore negligente e nella sfera del debitore il giusto riguardo all'interesse del creditore", operando, quindi, come un criterio di reciprocità. In sintesiinnegabilmente, disporre di un potere non è condizione sufficiente di un suo legittimo esercizio se, nella situazione data, la patologia del rapporto può essere superata facendo ricorso a rimedi che incidono sugli interessi contrapposti in modo più proporzionato. In questa ottica la clausola generale della buona fede ex artt. 1175 e 1375 c.c. è stata utilizzata, anche nell'ambito dei diritti di credito, per scongiurare, per es. realizza gli abusi di posizione dominante. La buona fede, in sostanza, serve a mantenere il rapporto giuridico nei binari dell'equilibrio e della proporzione. Criterio rivelatore della violazione dell'obbligo di buona fede oggettiva è quello dell'abuso del diritto. Gli elementi costitutivi dell'abuso del diritto - ricostruiti attraverso l'apporto dottrinario e giurisprudenziale - sono i seguenti: 1) la titolarità di un diritto soggettivo in capo ad un soggetto; 2) la possibilità che il concreto esercizio di quel diritto possa essere effettuato secondo una pluralità di modalità non rigidamente predeterminate; 3) la circostanza che tale esercizio concreto, anche se formalmente rispettoso della cornice attributiva di quel diritto, sia svolto secondo modalità censurabili rispetto ad un criterio di valutazione, giuridico od extragiuridico; 4) la circostanza che, a causa effetti di una tale modalità limitazione alla facoltà di esercizioopporre eccezioni. Già l’interpretazione testuale della norma potrebbe condurre agevolmente all’affermazione della vessatorietà della clausola, senza che a tal fine si verifichi una sproporzione ingiustificata tra il beneficio del titolare del diritto ed il sacrifico cui è soggetta la controparte. L'abuso del diritto, quindi, lungi dal presupporre una violazione in senso formale, delinea l'utilizzazione alterata dello schema formale del diritto, finalizzata al conseguimento di obiettivi ulteriori e diversi rispetto a quelli indicati dal Legislatore. E' ravvisabile, in sostanza, quando, nel collegamento tra il potere di autonomia conferito al soggetto ed il suo atto di esercizio, risulti alterata la funzione obiettiva dell'atto rispetto al potere che lo prevede. Come conseguenze di tale, eventuale abuso, l'ordinamento pone una regola generale, nel senso di rifiutare la tutela ai poteri, diritti e interessi, esercitati in violazione delle corrette regole di esercizio, posti in essere con comportamenti contrari alla buona fede oggettiva. E nella formula debba invocare l’applicazione analogica della mancanza di tutela, sta la finalità di impedire che possano essere conseguiti o conservati i vantaggi ottenuti - ed i diritti connessi - attraverso atti di per sè strutturalmente idonei, ma esercitati in modo da alterarne la funzione, violando la normativa di correttezzanorma, che è regola cui l'ordinamento fa espresso richiamo nella disciplina dei rapporti sempre stata ritenuta di autonomia privata. Nel nostro codice non esiste una norma che sanzioni, in via generale, l'abuso del diritto. La cultura giuridica degli anni '30 fondava l'abuso del diritto, più che su di un principio giuridico, su di un concetto di natura etico morale, con la conseguenza che colui che ne abusava era considerato meritevole di biasimo, ma non di sanzione giuridica. Questo contesto culturale, unito alla preoccupazione per la certezza - o quantomeno prevedibilità del diritto -, in considerazione della grande latitudine di potere che una clausola generale, come quella dell'abuso del diritto, avrebbe attribuito al giudice, impedì che fosse trasfusa, nella stesura definitiva del codice civile italiano del 1942, quella norma del progetto preliminare (art. 7) che proclamava, in termini generali, che "nessuno può esercitare il proprio diritto in contrasto con lo scopo per il quale il diritto medesimo gli è stato riconosciuto" (così ponendosi l'ordinamento italiano in contrasto con altri ordinamenti, ad es. tedesco, svizzero stretta interpretazione e spagnolo); preferendo, invece, ad una norma di carattere generale, norme specifiche che consentissero di sanzionare l'abuso operante solo in relazione a particolari categorie di dirittialle rigide ipotesi ivi espressamente contemplate. MaD’altro canto, è altresì chiaro che, in un mutato contesto storico, culturale e giuridico, un problema sistema in cui l’unico strumento di così pregnante rilevanza è stato oggetto di rimeditata attenzione da parte della Corte di legittimità (v. applicazioni del principio in Casstutela per il contraente debole aveva natura formale ed era costituito dalla mera doppia sottoscrizione ex art. 8.4.2009 n. 8481; Cass. 20.3.2009 n. 6800; Cass. 17.10.2008 n. 29776; Cass. 4.6.2008 n. 14759; Cass. 11.5.2007 n. 10838). Così, in materia societaria è stato sindacato, in una deliberazione assembleare di scioglimento della società, l'esercizio del diritto di voto sotto l'aspetto dell'abuso di potere, ritenendo principio generale del nostro ordinamento, anche al di fuori del campo societario, quello di non abusare dei propri diritti - con approfittamento di una posizione di supremazia - con l'imposizione, nelle delibere assembleari, alla maggioranza, di un vincolo desunto da una clausola generale quale la correttezza e buona fede (contrattuale). In questa ottica i soci debbono eseguire il contratto secondo buona fede e correttezza nei loro rapporti reciproci, ai sensi degli artt. 1175 e 1375 1341 co. 2 c.c., la cui funzione è integrativa del contratto sociale, nel senso di imporre il rispetto degli equilibri degli interessi di cui le parti sono portatrici. E la conseguenza è quella della invalidità della delibera, se è raggiunta la prova che il potere di voto sia stato esercitato allo scopo di ledere gli interessi degli altri soci, ovvero risulti in concreto preordinato consenso legittimamente manifestato dal garante risultava senz’altro idoneo ad avvantaggiare ingiustificatamente i soci di maggioranza in danno di quelli di minoranzaescludere l’inefficacia e, in violazione del canone generale di buona fede nell'esecuzione del contratto tal senso, si giustificano e appaiono coerenti con tale sistema le sentenze da ultimo citate (x. Xxxx. 11.6.2003 n. 9353)Civ. Con il rilievo che tale canone generale non impone ai soggetti un comportamento a contenuto prestabilito08/13078 e 06/2263, ma rileva soltanto come limite esterno all'esercizio di una pretesa, essendo finalizzato al contemperamento degli opposti interessi (nonché Cass. 12.12.2005 Civ., 13 aprile 2007, n. 27387)8839 secondo la quale “la decadenza del creditore dal diritto di pretendere dal fideiussore l’adempimento dell’obbligazione principale per mancata tempestiva proposizione delle azioni contro il debitore principale nel termine semestrale previsto dall’art. Ancora, sempre nell'ambito societario, la materia dell'abuso 1957 comma 1 c.c. può essere convenzionalmente esclusa per effetto di rinuncia preventiva da parte del diritto è stata esaminata con riferimento alla qualità di socio ed all'adempimento secondo buona fede delle obbligazioni societarie ai fini della sua esclusione dalla società (Cass. 19.12.2008 n. 29776), ed al fenomeno dell'abuso della personalità giuridica quando essa costituisca uno schermo formale per eludere la più rigida applicazione della legge (v. anche Cass. 25.1.2000 n. 804; Cass. 16.5.2007 n. 11258). In tal caso, proprio richiamando l'abuso, ne sarà possibile, per così dire, il suo "disvelamento" (piercing the corporate veil). Nell'ambito, poi, dei rapporti bancari è stato più volte riconosciuto che, in ossequio al principio per cui il contratto deve essere eseguito secondo buona fede (art. 1375 cod. civ.), fideiussore e non può escludersi che il recesso di una banca dal rapporto di apertura di credito, benchè pattiziamente consentito anche in difetto di giusta causa, sia da considerarsi illegittimo ove in concreto assuma connotati del tutto imprevisti ed arbitrari (Cass. 21.5.1997 n. 4538; Cass. 14.7.2000 n. 9321; Cass. 21.2.2003 n. 2642). E, con riferimento ai rapporti di conto corrente, è stato ritenuto che, in presenza di una clausola negoziale che, nel regolare tali rapporti, consenta all'istituto di credito di operare la compensazione tra i saldi attivi e passivi dei diversi conti intrattenuti dal medesimo correntista, in qualsiasi momento, senza obbligo di preavviso, la contestazione sollevata dal cliente che, a fronte della intervenuta operazione di compensazione, lamenti di non esserne stato prontamente informato e di essere andato incontro, per tale motivo, a conseguenze pregiudizievoli, impone al giudice di merito di valutare il comportamento della banca alla stregua del fondamentale principio della buona fede nella esecuzione del contratto. Con la conseguenza, in caso contrario, del riconoscimento a carico della banca, di una responsabilità per risarcimento dei danni (Cass. 28.9.2005 n. 18947). In materia contrattuale, poi, gli stessi principii sono stati applicatiopera, in particolare, ove le parti abbiano previsto che la fideiussione si estingua solo all’estinguersi del debito garantito”). I principi sinora affermati cedono tuttavia il passo rispetto alle ben più incisive forme di tutela previste in ambito consumeristico. È noto che l’art. 33 lett. t) del D. Lgs. 206/2005 pone la presunzione di vessatorietà delle clausole che abbiano l’effetto di “sancire a carico del consumatore decadenze, limitazioni della facoltà di opporre eccezioni, deroghe alla competenza dell’autorità giudiziaria, limitazioni all’adduzione di prove, inversioni o modificazioni dell’onere della prova, restrizioni alla libertà contrattuale nei rapporti con riferimento al contratto in terzi”, per certi versi riprendendo quasi testualmente ed accorpando alcune delle previsioni dell’art. 1341 c.c. La norma opera tuttavia in modo del tutto diverso sul pian degli effetti e, soprattutto, per quel che concerne il superamento della presunzione di mediazione vessatorietà. A tal fine, non è affatto sufficiente il mero adempimento formale della specifica approvazione per iscritto, ma è invece necessario, nei contratti conclusi su moduli o formulari, che il professionista dia prova che le clausole unilateralmente predisposte siano state oggetto di trattativa individuale (Cass. 5.3.2009 n. 5348), al contratto di sale and lease back connesso al divieto di patto commissorio ex art. 2744 34, co. 5 D. Lgs. 206/2005). Non v’è dubbio, quindi, che le parti, nell’ambito della loro autonomia negoziale, possano convenzionalmente escludere la decadenza del creditore dalla garanzia prevista dall’art. 1957 c.c., ma quando il garante rivesta la qualità di consumatore, la conclusione di tale accordo derogatorio deve necessariamente essere perfezionata nel rispetto delle forme di tutela non più formali ma sostanziali (la prova della trattativa individuale) richieste dal Codice del Consumo. Nel caso di specie, nessuna prova in tal senso è stata offerta dalla banca convenuta. Non può nemmeno lontanamente dubitarsi poi della qualità di consumatore in capo al sig. il quale ha pacificamente sottoscritto la fideiussione per consentire alla figlia di accedere al credito fondiario per l’acquisto con il coniuge della propria abitazione e quindi per finalità all’evidenza estranee all’attività professionale o imprenditoriale eventualmente svolta. Va dunque rilevata e dichiarata la nullità parziale della fideiussione versata agli atti del fascicolo monitorio con riguardo al citato art. 7, con la conseguente reviviscenza della disciplina legale da tale clausola derogata e dell’onere per il creditore di coltivare diligentemente le proprie ragioni (non necessariamente in via giudiziale), a pena di decadenza, entro il termine semestrale previsto dall’art. 1957 c.c. Ciò premesso, alla luce di quanto versato in atti, detto termine deve ritenersi ampiamente spirato, non essendovi prova di alcuna iniziativa, anche di mera costituzione in mora dei debitori, nel non indifferente lasso di tempo intercorso tra l’emersione dell’insolvenza dei debitori garantiti (luglio 2012) e la prima intimazione alla regolarizzazione del rapporto (la raccomandata del 4.2.2014 – doc. 9 fascicolo convenuta). Sussistono dunque i presupposti previsti dall’art. 1957 c.c. per dichiarare l’estinzione della garanzia. Non può infine condividersi l’assunto della convenuta in ordine alla supposta inapplicabilità dell’art. 1957 c.c. alla fattispecie de qua, atteso che la fideiussione in oggetto non può attribuirsi la natura di contratto autonomo di garanzia. Il vincolo di accessorietà è senz’altro significativamente attenuato dalla consueta previsione dell’obbligo di pagamento a prima richiesta, ma tale clausola non ha rilievo decisivo per la qualificazione di un negozio come “contratto autonomo di garanzia” o come “fideiussione” , potendo tali espressioni riferirsi sia a forme di garanzia svincolate dal rapporto garantito (e quindi autonome), sia a garanzie, come quelle fideiussorie, caratterizzate da un vincolo di accessorietà, più o meno accentuato, nei riguardi dell’obbligazione garantita (in questi termini, si veda Cass. 16.10.1995 Civ. Sez 1, sent. 9.8.2016 n. 10805; Cass16825. 26.6.2001 n. 8742; Cass. 22.3.2007 n. 6969; Cass. 8.4.2009 n. 8481), ed al Il contratto autonomo di garanzia ed exceptio doli si caratterizza invece rispetto alla fideiussione per l’assenza del vincolo di accessorietà della garanzia, derivante dall’esclusione della facoltà di opporre al creditore le eccezioni spettanti al debitore principale in deroga all’art. 1945 c.c., e dalla conseguente preclusione del debitore a chiedere che il garante opponga al creditore garantito le eccezioni nascenti dal rapporto principale, nonché dalla proponibilità di tali eccezioni al garante successivamente al pagamento effettuato da quest’ultimo. Nella fideiussione a prima richiesta il vincolo di accessorietà non è reciso, perché il garante conserva intatta la facoltà di far valere, seppur con l’onere del previo pagamento del debito garantito, tutte le eccezioni sostanziali relative al rapporto obbligatorio tra debitore principale e creditore ai fini dell’eventuale ripetizione dell’indebito. Altro tratto caratterizzante (Casstipico, ad esempio delle polizze fideiussorie c.d. 1.10.1999 n. 10864; cass. 28.7.2004 n. 14239; Cass. 7.3.2007 n. 5273). Del principio dell'abuso del diritto è stato, da ultimo, fatto frequente uso “performance bond” diffuse in materia tributariadi appalti di pubblici lavori, fondandolo sul riconoscimento dell'esistenza servizi e forniture) è l’eterogeneità che fa assumere alla garanzia connotati indennitari e pseudoassicurativi che, all’evidenza, non sono ravvisabili nei rapporti bancari in cui, in buona sostanza, attraverso la fideiussione altro non si fa che ampliare il novero soggettivo dei debitori e delle correlative garanzie patrimoniali per i medesimi obblighi restitutori di un generale principio antielusivo (v. per tutte S.U. 23.10.2008 nnnatura pecuniaria contratti dal debitore principale. 30055Ma anche ove si volesse opinare nel senso di attribuire a quella che altro non è che una fideiussione con clausola solve et repete la natura di garanzia autonoma, 30056, 30057). Il breve excursus esemplificativo consente, quindi, la più recente ad avveduta giurisprudenza di ritenere ormai acclarato che anche il principio dell'abuso del diritto è uno dei criteri di selezionelegittimità ha, con riferimento al quale esaminare anche i rapporti negoziali che nascono da atti motivazione esaustiva e convincente, escluso la pretesa incompatibilità tra tale strumento atipico di autonomia privata, garanzia e valutare le condotte che, nell'ambito l’eventuale applicazione della formazione ed esecuzione degli stessi, le parti contrattuali adottano. Deve, con ciò, pervenirsi a questa conclusione. Oggi, i principii della buona fede oggettiva, e dell'abuso del diritto, debbono essere selezionati e rivisitati alla luce dei principi costituzionali - funzione sociale decadenza ex art. 42 Cost1957 c.c. - e precisando che “in tema di contratto autonomo di garanzia, ove le parti abbiano convenuto che il pagamento debba avvenire “a prima richiesta”, l’eventuale rinvio pattizio alla previsione della stessa qualificazione dei diritti soggettivi assoluticlausola di decadenza di cui all’art. In questa prospettiva i due principii si integrano a vicenda1957, costituendo comma 1, c.c., deve intendersi riferito – giusta l’applicazione del criterio ermeneutico previsto dall’art. 1363 c.c. – esclusivamente al termine semestrale indicato dalla predetta disposizione; pertanto, deve ritenersi sufficiente ad evitare la buona fede un canone generale cui ancorare decadenza la condotta delle parti, anche di un rapporto privatistico e l'interpretazione dell'atto giuridico di autonomia privata e, prospettando l'abuso, la necessità semplice proposizione di una correlazione richiesta stragiudiziale di pagamento, non essendo necessario che il termine sia osservato mediante la proposizione di una domanda giudiziale, secondo la tradizionale esegesi della norma, atteso che, diversamente interpretando, vi sarebbe contraddizione tra i poteri conferiti le due clausole contrattuali, non potendosi considerare “ a prima richiesta” l’adempimento subordinato all’esercizio di un’azione in giudizio) Cass. Civ. Sez 3 Sentenza n. 22346 del 26/09/2017). Richiesta stragiudiziale di cui, ripetesi, non vi è prova in atti prima del 4.2.2014. L’accoglimento del pocanzi esaminato motivo di opposizione ha natura assorbente e lo scopo per i quali essi sono conferiticonsente di soprassedere dalla disamina degli ulteriori profili di impugnativa negoziale, tanto di quelle rivolte al rapporto di garanzia, quanto di quelle riferite al contratto di mutuo. Qualora la finalità perseguita Si rileva inoltre come parte opponente non sia quella consentita dall'ordinamento, si avrà abuso. In questo caso il superamento dei limiti interni o di alcuni limiti esterni del diritto ne determinerà il suo abusivo esercizio. Alla luce di tali principii e considerazioni svolte deve, ora, esaminarsi la sentenzaabbia svolto alcuna domanda conseguenziale alla concessione della provvisoria esecuzione, in questa sedeparticolare con riguardo alle eventuali iscrizioni ipotecarie subite per effetto del provvedimento interinale, impugnatasicché nessun ordine di cancellazione può essere reso, in difetto, peraltro, dell’acquisizione agli atti di idonea documentazione ipotecaria. La struttura argomentativa Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo, a norma del d.m. 55/2014, con applicazione dei parametri medi per lo scaglione di riferimento e con esclusione della sentenza si sviluppa secondo i seguenti passaggi logici:fase istruttoria, del tutto omessa stante la mancata richiesta di termini ex art. 183, co. 6 c.p.c. e la natura documentale della causa. (Omissis).

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Samples: Contratto Di Fideiussione

Motivi della decisione. PreliminarmenteCon il primo motivo, i ricorsi - principale ed incidentale - vanno riuniti il ricorrente deduce vizio di omesso esame, ai sensi dell'art. 335 c.p.c.. Ricorso principale. (OMISSIS) Con il secondo motivo denunciano la violazione e falsa applicazione delle clausole generali della buona fede, ed in particolare sulla pretesa insindacabilità degli atti di autonomia privata e della conseguente non applicabilità della figura dell'abuso del diritto all'esercizio del recesso ad nutum (artdell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 35, del fatto decisivo delle ragioni effettive della ritenuta inclusione della propria posizione lavorativa tra quelle eccedentarie, avendo la Cor- te territoriale dato una risposta (inidoneità della ricerca datoriale di una posizione lavorativa identica alla propria, con la conseguente inesistenza delle condizioni del- la sua esuberanza, ad integrare prova indiretta della sua induzione, per raggiro, ad accettare la proposta di mobilità) diversa da quella del Tribunale (difetto di prova tout court di una tale ricerca) in ordine alla loro rilevanza ai fini dell’accertamento del proprio errore, con omissione della necessaria indagine istruttoria sollecitata con la formulazione delle istanze istruttorie, in relazione agli artt. 1175 e 1375 c.c.)ogni caso da disporre anche in via officiosa. Con il terzo motivo denunciano la secondo, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell'artdegli artt. 2043 1337 e 1338 c.c.; contraddittorietà della motivazione sul punto (art, ai sensi dell’art. 360 x.x.x., xxxxx 0, x. 0, xx xxxxxxx di corret- tezza nella fase precontrattuale, applicabili anche alle ipotesi di annullabilità del contratto, per avere senza propria colpa confidato nella relazione causale tra ragioni di crisi di mercato e posizioni lavorative da sopprimere, di cui la Corte territoriale ha escluso l’effettivo accertamento. Con il terzo, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 1428, 1429, 1439 e 1440 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5)3, per totale obli- terazione del contenuto del documento prodotto sub 3) in primo grado (recante l’espressa menzione della posizione propria) nell’accertamento dell’idoneità del- la condotta datoriale a indurlo nell’ingannevole convinzione dell’inclusione della propria posizione lavorativa tra quelle eccedentarie, nell’ambito della procedura di mobilità ai sensi della L. n. 223 del 1991. Con il quarto motivo denunciano la violazione quarto, il ricorrente deduce vio- lazione e falsa applicazione delle disposizioni sull'agenzia ed errata valutazione della giurisprudenza tedesca in materia (degli artt. 1362 c.c. e ss., L. n. 223 del 1991, art. 4, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per erronea interpretazione degli accordi sindacali, nell’ambito della procedura di mobilità, alla luce della lettera di sua aper- tura, senza considerazione dell’allegato ad essa, recante l’espressa menzione della posizione propria (doc. sub 3). In via preliminare, deve essere negata l’ammissibilità del controricorso, per ri- getto dell’istanza 6 marzo 2015 di rimessione in termini: istituto peraltro applica- bile, alla luce del principio costituzionale del giusto processo, anche alle situazioni esterne allo svolgimento del giudizio, quali sono le attività necessarie alla propo- sizione del ricorso per cassazione ed alla prosecuzione del procedimento (Cass. 17 giugno 2010, n. 14627; Cass. 4 gennaio 2011, n. 98). Essa non è affatto documentata in ordine ai meramente allegati imprevedibili ostacoli, incontrati di fatto dalla società nel reperimento del fascicolo di parte pres- so l’ufficio giudiziario a quo, estranei alla propria sfera di controllo, che ne hanno comportato il deposito del controricorso (avvenuto il 6 marzo 2015) oltre il termine di venti giorni dalla sua notificazione (il 4 febbraio 2015) prescritto dall’art. 370 c.p.c., u.c.. E l’inammissibilità del controricorso induce quella conseguente della memoria comunicata ai sensi dell’art. 378 c.p.c.. Nella selezione della cd. “ragione più liquida” di decisione (che, imponendo un approccio interpretativo con la verifica delle soluzioni sul piano dell’impatto operati- vo, piuttosto che su quello della coerenza logico sistematica, consente di sostituire il profilo di evidenza a quello dell’ordine delle questioni da trattare, stabilito dall’art. 276 c.p.c., in una prospettiva aderente alle esigenze di economia processuale e di celerità del giudizio, costituzionalizzata dall’art. 111 Cost.: Xxxx. 28 maggio 2014, n. 12002; Cass. s.u. 8 maggio 2014, n. 9936), questa Corte reputa opportuno avviare l’esame dal terzo motivo, relativo a violazione e falsa applicazione degli artt. 1428, 1429, 1439 e 1440 c.c. per totale obliterazione del documento sub 3) in primo grado nell’accertamento dell’idoneità della condotta datoriale a trarre il lavoratore in in- ganno sulla sua inclusione tra le posizioni eccedentarie nell’ambito della procedura di mobilità. Esso è fondato in riferimento alla denuncia di xxxx, quale errore di diritto conse- guente all’omessa valutazione dalla Corte territoriale dell’idoneità della condotta della società datrice (che nel citato documento, in allegato alla lettera di apertura della procedura di mobilità, aveva a suo tempo espressamente incluso la posizione di E.V. tra quelle eccedentarie, salva poco tempo dopo l’assunzione di altro lavora- tore per la medesima posizione) a trarre in inganno il lavoratore (come illustrato in particolare nel primo periodo di pg. 17, in combinazione con il secondo capoverso di pg. 15 e l’ultimo di pg. 16 del ricorso). La corte milanese non ha considerato come anche una condotta di silenzio mali- zioso sia idonea ad integrare raggiro. Infatti, un tale silenzio, serbato su circostanze rilevanti ai fini della valutazione delle reciproche prestazioni da parte di colui che abbia il dovere di farle conoscere, costituisce, per l’ordinamento penale, elemento del raggiro, idoneo ad influire sulla volontà negoziale del soggetto passivo (Cass. pen. 18 giugno 2015, n. 28791). Non diversamente, nel contratto di lavoro, il silenzio serbato da una delle parti in ordine a situazioni di interesse della controparte e la reticenza, qualora l’inerzia della parte si inserisca in un complesso comportamento adeguatamente preordinato, con malizia o astuzia, a realizzare l’inganno perseguito, determinando l’errore del deceptus, integrano gli estremi del dolo omissivo rilevante ai sensi dell’art. 1439 c.c. (Cass. 17 maggio 2012, n. 7751). Occorre poi tenere presente in linea generale come, in tema di dolo quale causa di annullamento del contratto, nelle ipotesi di dolo tanto commissivo quanto omissivo, gli artifici o i raggiri, così come la reticenza o il silenzio, debbano essere valutati in relazione alle particolari circostanze di fatto e alle qualità e condizioni soggettive dell’altra parte, onde stabilirne l’idoneità a sorprendere una persona di normale diligenza, non potendo l’affidamento ricevere tutela giuridica se fondato sulla negligenza (Cass. 27 ottobre 2004, n. 20792). Per le suesposte ragioni il mezzo scrutinato deve essere accolto, con assorbimen- to dell’esame del primo (omesso esame del fatto decisivo delle ragioni effettive della ritenuta inclusione della posizione lavorativa tra quelle eccedentarie) e del quarto motivo (violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 c.c. e ss., L. n. 223 del 1991, art. 4, per erronea interpretazione degli accordi sindacali, nell’ambito della procedura di mobilità, alla luce della lettera di sua apertura, senza tenere conto dell’allegato doc. sub 3). Il secondo, terzo e quarto secondo motivo, investendo profili che si presentano connessi in ordine alle questioni prospettate, vanno esaminati congiuntamenterelativo a violazione e falsa applicazione degli artt. Essi sono fondati, nei limiti di cui in motivazione, per le ragioni che seguono. Costituiscono principii generali del diritto delle obbligazioni quelli secondo cui la parti di un rapporto contrattuale debbono comportarsi secondo le regole della correttezza (art. 1175 1337 e 1338 c.c.) e che l'esecuzione dei contratti debba avvenire secondo buona fede (art. 1375 c.c.). In tema di contratti, il principio della buona fede oggettiva, cioè della reciproca lealtà di condotta, deve presiedere all'esecuzione del contratto, così come alla sua formazione ed alla sua interpretazione ed, in definitiva, accompagnarlo in ogni sua fase (Cass. 5.3.2009 n. 5348; Cass. 11.6.2008 n. 15476). Ne consegue che la clausola generale di buona fede e correttezza è operante, tanto sul piano dei comportamenti del debitore e del creditore nell'ambito del singolo rapporto obbligatorio (art. 1175 cod. civ.), quanto sul piano del complessivo assetto di interessi sottostanti all'esecuzione del contratto (art. 1375 cod. civ.). I principii di buona fede e correttezza, del resto, sono entrati, nel tessuto connettivo dell'ordinamento giuridico. L'obbligo di buona fede oggettiva o correttezza costituisce, infatti, un autonomo dovere giuridico, espressione di un generale principio di solidarietà sociale, la cui costituzionalizzazione è ormai pacifica (v. in questo senso, fra le altre, Cass. 15.2.2007 n. 3462). Una volta collocato nel quadro dei valori introdotto dalla Carta costituzionale, poi, il principio deve essere inteso come una specificazione degli "inderogabili doveri di solidarietà sociale" imposti dall'art. 2 Cost., e la sua rilevanza si esplica nell'imporre, a ciascuna delle parti del rapporto obbligatorio, il dovere di agire in modo da preservare gli interessi dell'altra, a prescindere dall'esistenza di specifici obblighi contrattuali o di quanto espressamente stabilito da singole norme di legge. In questa prospettiva, si è pervenuti ad affermare che il criterio della buona fede costituisce strumento, per il giudice, atto a controllare, anche in senso modificativo od integrativo, lo statuto negoziale, in funzione di garanzia del giusto equilibrio degli opposti interessi. La Relazione ministeriale al codice civile, sul punto, così si esprimeva: (il principio di correttezza e buona fede) "richiama nella sfera del creditore la considerazione dell'interesse del debitore e nella sfera del debitore il giusto riguardo all'interesse del creditore", operando, quindi, come un criterio di reciprocità. In sintesi, disporre di un potere non è condizione sufficiente di un suo legittimo esercizio se, nella situazione data, la patologia del rapporto può essere superata facendo ricorso a rimedi che incidono sugli interessi contrapposti in modo più proporzionato. In questa ottica la clausola generale della buona fede ex artt. 1175 e 1375 c.c. è stata utilizzata, anche nell'ambito dei diritti di credito, per scongiurare, per es. gli abusi di posizione dominante. La buona fede, in sostanza, serve a mantenere il rapporto giuridico nei binari dell'equilibrio e della proporzione. Criterio rivelatore della violazione dell'obbligo di buona fede oggettiva è quello dell'abuso del diritto. Gli elementi costitutivi dell'abuso del diritto - ricostruiti attraverso l'apporto dottrinario e giurisprudenziale - sono i seguenti: 1) la titolarità di un diritto soggettivo in capo ad un soggetto; 2) la possibilità che il concreto esercizio di quel diritto possa essere effettuato secondo una pluralità di modalità non rigidamente predeterminate; 3) la circostanza che tale esercizio concreto, anche se formalmente rispettoso della cornice attributiva di quel diritto, sia svolto secondo modalità censurabili rispetto ad un criterio di valutazione, giuridico od extragiuridico; 4) la circostanza che, a causa di una tale modalità di esercizio, si verifichi una sproporzione ingiustificata tra il beneficio del titolare del diritto ed il sacrifico cui è soggetta la controparte. L'abuso del diritto, quindi, lungi dal presupporre una violazione in senso formale, delinea l'utilizzazione alterata dello schema formale del diritto, finalizzata al conseguimento di obiettivi ulteriori e diversi rispetto a quelli indicati dal Legislatore. E' ravvisabile, in sostanza, quando, nel collegamento tra il potere di autonomia conferito al soggetto ed il suo atto di esercizio, risulti alterata la funzione obiettiva dell'atto rispetto al potere che lo prevede. Come conseguenze di tale, eventuale abuso, l'ordinamento pone una regola generale, nel senso di rifiutare la tutela ai poteri, diritti e interessi, esercitati in violazione delle corrette regole di esercizio, posti in essere con comportamenti contrari alla buona fede oggettiva. E nella formula della mancanza di tutela, sta la finalità di impedire che possano essere conseguiti o conservati i vantaggi ottenuti - ed i diritti connessi - attraverso atti di per sè strutturalmente idonei, ma esercitati in modo da alterarne la funzione, violando la normativa di correttezza, che è regola cui l'ordinamento fa espresso richiamo nella disciplina dei rapporti di autonomia privata. Nel nostro codice non esiste una norma che sanzioni, in via generale, l'abuso del diritto. La cultura giuridica degli anni '30 fondava l'abuso del diritto, più che su di un principio giuridico, su di un concetto di natura etico morale, con la conseguenza che colui che ne abusava era considerato meritevole di biasimo, ma non di sanzione giuridica. Questo contesto culturale, unito alla preoccupazione per la certezza - o quantomeno prevedibilità del diritto -, in considerazione della grande latitudine di potere che una clausola generale, come quella dell'abuso del diritto, avrebbe attribuito al giudice, impedì che fosse trasfusa, nella stesura definitiva del codice civile italiano del 1942, quella norma del progetto preliminare (art. 7) che proclamava, in termini generali, che "nessuno può esercitare il proprio diritto in contrasto con lo scopo per il quale il diritto medesimo gli è stato riconosciuto" (così ponendosi l'ordinamento italiano in contrasto con altri ordinamenti, ad es. tedesco, svizzero e spagnolo); preferendo, invece, ad una norma di carattere generale, norme specifiche che consentissero di sanzionare l'abuso in relazione a particolari categorie di diritti. Ma, in un mutato contesto storico, culturale e giuridico, un problema di così pregnante rilevanza è stato oggetto di rimeditata attenzione da parte della Corte di legittimità (v. applicazioni del principio in Cass. 8.4.2009 n. 8481; Cass. 20.3.2009 n. 6800; Cass. 17.10.2008 n. 29776; Cass. 4.6.2008 n. 14759; Cass. 11.5.2007 n. 10838). Così, in materia societaria di correttezza nella fase precontrattuale, per avere il lavo- ratore senza propria colpa confidato nella relazione causale tra ragioni di crisi di mercato e posizioni lavorative da sopprimere, è stato sindacatoinvece inammissibile. La questione è infatti nuova, in una deliberazione assembleare non risultando trattata dalla sentenza impugna- ta, nè avendo il ricorrente indicato specificamente, nè trascritto gli atti nei quali l’avrebbe posta nei gradi di scioglimento della società, l'esercizio del diritto merito: ciò inficia di voto sotto l'aspetto dell'abuso di potere, ritenendo principio generale del nostro ordinamento, anche al di fuori del campo societario, quello di non abusare dei propri diritti - con approfittamento di una posizione di supremazia - con l'imposizione, nelle delibere assembleari, alla maggioranza, di un vincolo desunto da una clausola generale quale la correttezza e buona fede (contrattuale). In questa ottica i soci debbono eseguire genericità il contratto secondo buona fede e correttezza nei loro rapporti reciproci, ai sensi degli artt. 1175 e 1375 c.c., la cui funzione è integrativa del contratto sociale, nel senso di imporre il rispetto degli equilibri degli interessi di cui le parti sono portatrici. E la conseguenza è quella della invalidità della delibera, se è raggiunta la prova che il potere di voto sia stato esercitato allo scopo di ledere gli interessi degli altri soci, ovvero risulti in concreto preordinato ad avvantaggiare ingiustificatamente i soci di maggioranza in danno di quelli di minoranzamotivo, in violazione del canone generale principio di buona fede nell'esecuzione autosufficienza del contratto (x. Xxxxricorso e pertanto della prescrizione dell’art. 11.6.2003 366 c.p.c., comma 1, n. 9353). Con il rilievo che tale canone generale non impone ai soggetti un comportamento a contenuto prestabilito, ma rileva soltanto come limite esterno all'esercizio di una pretesa, essendo finalizzato al contemperamento degli opposti interessi 6 (Cass. 12.12.2005 18 ottobre 2013, n. 2738723675; 11 gennaio 2007, n. 324). Ancora, sempre nell'ambito societario, la materia dell'abuso del diritto è stata esaminata con riferimento alla qualità di socio ed all'adempimento secondo buona fede delle obbligazioni societarie ai fini della sua esclusione dalla società (Cass. 19.12.2008 n. 29776), ed al fenomeno dell'abuso della personalità giuridica quando essa costituisca uno schermo formale per eludere la più rigida applicazione della legge (v. anche Cass. 25.1.2000 n. 804; Cass. 16.5.2007 n. 11258). In tal caso, proprio richiamando l'abuso, ne sarà possibile, per così dire, il suo "disvelamento" (piercing the corporate veil). Nell'ambito, poi, dei rapporti bancari è stato più volte riconosciuto cheDalle superiori argomentazioni discende allora, in ossequio al principio per cui via conclusiva, l’accoglimento del terzo motivo di ricorso, assorbiti il contratto deve essere eseguito secondo buona fede (art. 1375 cod. civ.), non può escludersi che primo e il recesso di una banca dal rapporto di apertura di credito, benchè pattiziamente consentito anche in difetto di giusta causa, sia da considerarsi illegittimo ove in concreto assuma connotati del tutto imprevisti ed arbitrari (Cass. 21.5.1997 n. 4538; Cass. 14.7.2000 n. 9321; Cass. 21.2.2003 n. 2642). Equarto e inammissibile il secondo, con riferimento ai rapporti di conto corrente, è stato ritenuto chela cassazione della sentenza impugnata, in presenza relazione al motivo accolto e rinvio alla Corte d’appello di una clausola negoziale cheMilano in diversa composizione, nel regolare tali rapportiche provvederà, consenta all'istituto oltre che alla regolazione delle spese anche del presente giudizio di credito di operare la compensazione tra i saldi attivi e passivi dei diversi conti intrattenuti dal medesimo correntistalegittimità, in qualsiasi momentoall’accerta- mento, senza obbligo di preavviso, la contestazione sollevata dal cliente che, a fronte della intervenuta operazione di compensazione, lamenti di non esserne stato prontamente informato e di essere andato incontro, per tale motivo, a conseguenze pregiudizievoli, impone al giudice di merito di valutare il comportamento della banca alla stregua del fondamentale principio della buona fede nella esecuzione del contratto. Con la conseguenza, in caso contrario, del riconoscimento a carico della banca, di una responsabilità per risarcimento dei danni (Cass. 28.9.2005 n. 18947). In materia contrattuale, poi, gli stessi principii sono stati applicati, in particolare, con riferimento al contratto di mediazione (Cass. 5.3.2009 n. 5348), al contratto di sale and lease back connesso al divieto di patto commissorio ex art. 2744 c.c., (Cass. 16.10.1995 n. 10805; Cass. 26.6.2001 n. 8742; Cass. 22.3.2007 n. 6969; Cass. 8.4.2009 n. 8481), ed al contratto autonomo di garanzia ed exceptio doli (Cass. 1.10.1999 n. 10864; cass. 28.7.2004 n. 14239; Cass. 7.3.2007 n. 5273). Del principio dell'abuso del diritto è stato, da ultimo, fatto frequente uso in materia tributaria, fondandolo sul riconoscimento dell'esistenza di un generale principio antielusivo (v. per tutte S.U. 23.10.2008 nn. 30055, 30056, 30057). Il breve excursus esemplificativo consente, quindi, di ritenere ormai acclarato che anche il principio dell'abuso del diritto è uno dei criteri di selezione, con riferimento al quale esaminare anche i rapporti negoziali che nascono da atti di autonomia privata, e valutare le condotte che, nell'ambito della formazione ed esecuzione degli stessi, le parti contrattuali adottano. Deve, con ciò, pervenirsi a questa conclusione. Oggi, i principii della buona fede oggettiva, e dell'abuso del diritto, debbono essere selezionati e rivisitati alla luce dei suenunciati principi costituzionali - funzione sociale ex artdi diritto, dell’idoneità della condotta della società datrice ad integrare un dolo omissivo in danno del proprio dipendente, così da comportare l’annullamento del verbale di conciliazione sottoscritto tra le parti in sede sindacale, nell’ambito della procedura di mobilità ai sensi della L. n. 223 del 1991 e le pronunce ad esso eventualmente conseguenti. 42 Cost. - La Corte accoglie il terzo motivo di ricorso, assorbiti il primo e della stessa qualificazione dei diritti soggettivi assoluti. In questa prospettiva i due principii si integrano a vicendail quarto, costituendo inammissi- bile il secondo; cassa la buona fede un canone generale cui ancorare la condotta delle partisentenza impugnata, in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per la regolazione delle spese anche del giudizio di un rapporto privatistico e l'interpretazione dell'atto giuridico legittimità, alla Corte d’appello di autonomia privata e, prospettando l'abuso, la necessità di una correlazione tra i poteri conferiti e lo scopo per i quali essi sono conferitiMilano in diversa composizione. Qualora la finalità perseguita non sia quella consentita dall'ordinamento, si avrà abuso. In questo caso il superamento dei limiti interni o di alcuni limiti esterni del diritto ne determinerà il suo abusivo esercizio. Alla luce di tali principii e considerazioni svolte deve, ora, esaminarsi la sentenza, in questa sede, impugnata. La struttura argomentativa della sentenza si sviluppa secondo i seguenti passaggi logici:[Omissis]

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Motivi della decisione. PreliminarmenteL’attrice P.M.C. S.r.l. in liquidazione ha proposto una domanda di accertamento della parziale nullità di un contratto di conto corrente con apertura di credito e di restituzione delle competenze illegittimamente addebitate dalla Banca Monte dei Paschi di Siena S.p.A. nonché di risarcimento del danno. In relazione a tale domanda, i ricorsi - principale la Banca convenuta ha sollevato un’eccezione preliminare di nullità per genericità ed incidentale - vanno riuniti indeterminatezza; e l’eccezione in questione deve essere qualificata come eccezione di nullità dell’atto di citazione per difetto della causa petendi e del petitum ai sensi dell'artdell’art. 335 163 comma 3° nn. 3 e 4 c.p.c. in combinato disposto con l’art. 164 comma 4° c.p.c.. Ricorso principaleTuttavia, come evidenziato in giurisprudenza, la nullità dell’atto di citazione per petitum omesso od assolutamente incerto, ai sensi dell’art. (OMISSIS) Con il secondo motivo denunciano la violazione e falsa applicazione delle clausole generali della buona fede, ed in particolare sulla pretesa insindacabilità degli atti di autonomia privata e della conseguente non applicabilità della figura dell'abuso del diritto all'esercizio del recesso ad nutum (art. 360 164 comma 4° c.p.c., n. 3postula una valutazione caso per caso, dovendosi tener conto, a tal fine, del contenuto complessivo dell’atto di citazione, dei documenti ad esso allegati, nonché, in relazione agli arttallo scopo del requisito di consentire alla controparte di apprestare adeguate e puntuali difese, della natura dell’oggetto e delle relazioni in cui, con esso, si trovi la controparte (cfr. 1175 e 1375 c.c.Cassazione civile, sez. II, 29 gennaio 2015, n. 1681); ed analogamente deve dirsi con riferimento alla nullità della citazione relativamente alla causa petendi, per mancanza dell’esposizione dei fatti costituenti le ragioni della domanda (cfr. Cassazione civile, sez. III, 15 maggio 2013, n. 11751). Con Nel caso di specie, invece, l’attrice, nel corpo dell’atto di citazione, ha chiaramente specificato la causa petendi, cioè i fatti posti a fondamento della domanda, ovvero le varie nullità lamentate, sia il terzo motivo denunciano petitum, ossia la violazione e falsa applicazione dell'artpropria richiesta, costituita dalla rideterminazione del saldo dare-avere tra le parti in conseguenza del ricalcolo effettuato escludendo dal computo le somme illegittimamente addebitate per effetto delle suddette nullità. 2043 c.c.; contraddittorietà della motivazione sul punto (artDunque, la domanda non risulta affetta da alcuna nullità. 360 c.p.c.Tale domanda è procedibile, ai sensi dell’art. 5 comma 1-bis D.Lgs. 4 marzo 2010 Firmato Da: XXXXX XXXXXXX Emesso Da: ARUBAPEC S.P.A. NG CA 3 Serial#: f7a35b2dd096cf1808fb9acd5188fb4 n. 5). Con il quarto motivo denunciano 28, in quanto, seppure in corso di causa, in data 18.1.2018, la violazione e falsa applicazione delle disposizioni sull'agenzia ed errata valutazione della giurisprudenza tedesca in materia (art. 360 c.p.c.società attrice ha avanzato richiesta di espletamento del tentativo obbligatorio di mediazione, n. 3). Il secondo, terzo e quarto motivo, investendo profili che si presentano connessi è poi tenuto il 15.2.2018, seppure con esito negativo. Nel merito, ma sempre preliminarmente, la Banca ha anche eccepito la mancanza di prova delle doglianze sollevate dall’attrice, fondata sul fatto che l’attrice medesima non aveva prodotto i documenti contrattuali, in ordine alle questioni prospettateviolazione dell’onere della prova su di essa gravante. A tal proposito, vanno esaminati congiuntamente. Essi sono fondati, nei limiti è noto che nella domanda di ripetizione di indebito oggettivo di cui in motivazioneall’art. 2033 c.c. l’onere della prova grava sul creditore istante, per le ragioni il quale è tenuto a provare i fatti costitutivi della sua pretesa, e perciò, sia l’avvenuto pagamento sia la mancanza di una causa che seguono. Costituiscono principii generali del diritto delle obbligazioni quelli secondo cui la parti lo giustifichi (ovvero il venir meno di questa), prova che può essere fornita dimostrando l’esistenza di un rapporto contrattuale debbono comportarsi secondo le regole della correttezza fatto negativo contrario, o anche mediante presunzioni (artcfr. 1175 c.c.Cassazione civile, sez. lavoro, 13 novembre 2003 n. 17146; in senso sostanzialmente conforme, cfr. altresì Cassazione civile, sez. III, 17 marzo 2006 n. 5896) e che l'esecuzione dei contratti debba avvenire secondo buona fede (art. 1375 c.c.). In tema di contratti, il principio della buona fede oggettiva, cioè della reciproca lealtà di condotta, deve presiedere all'esecuzione del contratto, così come alla sua formazione ed alla sua interpretazione ed, in definitiva, accompagnarlo in ogni sua fase (Cass. 5.3.2009 n. 5348; Cass. 11.6.2008 n. 15476). Ne consegue che la clausola generale di buona fede e correttezza è operante, tanto sul piano dei comportamenti del debitore e del creditore nell'ambito del singolo rapporto obbligatorio (art. 1175 cod. civ.), quanto sul piano del complessivo assetto di interessi sottostanti all'esecuzione del contratto (art. 1375 cod. civ.). I principii di buona fede e correttezza, del resto, sono entrati, nel tessuto connettivo dell'ordinamento giuridico. L'obbligo di buona fede oggettiva o correttezza costituisce, infatti, un autonomo dovere giuridico, espressione di un generale principio di solidarietà sociale, la cui costituzionalizzazione è ormai pacifica (v. in questo senso, fra le altre, Cass. 15.2.2007 n. 3462). Una volta collocato nel quadro dei valori introdotto dalla Carta costituzionale, poi, il principio deve naturalmente essere inteso come una specificazione degli "inderogabili doveri di solidarietà sociale" imposti dall'art. 2 Cost., e la sua rilevanza si esplica nell'imporre, a ciascuna delle parti del rapporto obbligatorio, il dovere di agire in modo da preservare gli interessi dell'altra, a prescindere dall'esistenza di specifici obblighi contrattuali o di quanto espressamente stabilito da singole norme di legge. In questa prospettiva, si è pervenuti ad affermare che il criterio della buona fede costituisce strumento, per il giudice, atto a controllare, anche in senso modificativo od integrativo, lo statuto negoziale, in funzione di garanzia del giusto equilibrio degli opposti interessi. La Relazione ministeriale al codice civile, sul punto, così si esprimeva: (il principio di correttezza e buona fede) "richiama nella sfera del creditore la considerazione dell'interesse del debitore e nella sfera del debitore il giusto riguardo all'interesse del creditore", operando, quindi, come un criterio di reciprocità. In sintesi, disporre di un potere non è condizione sufficiente di un suo legittimo esercizio se, nella situazione data, la patologia del rapporto può essere superata facendo ricorso a rimedi che incidono sugli interessi contrapposti in modo più proporzionato. In questa ottica la clausola generale della buona fede ex artt. 1175 e 1375 c.c. è stata utilizzata, anche nell'ambito dei diritti di credito, per scongiurare, per es. gli abusi di posizione dominante. La buona fede, in sostanza, serve a mantenere il rapporto giuridico nei binari dell'equilibrio e della proporzione. Criterio rivelatore della violazione dell'obbligo di buona fede oggettiva è quello dell'abuso del diritto. Gli elementi costitutivi dell'abuso del diritto - ricostruiti attraverso l'apporto dottrinario e giurisprudenziale - sono i seguenti: 1) la titolarità di un diritto soggettivo in capo ad un soggetto; 2) la possibilità che il concreto esercizio di quel diritto possa essere effettuato secondo una pluralità di modalità non rigidamente predeterminate; 3) la circostanza che tale esercizio concreto, anche se formalmente rispettoso della cornice attributiva di quel diritto, sia svolto secondo modalità censurabili rispetto ad un criterio di valutazione, giuridico od extragiuridico; 4) la circostanza che, a causa di una tale modalità di esercizio, si verifichi una sproporzione ingiustificata tra il beneficio del titolare del diritto ed il sacrifico cui è soggetta la controparte. L'abuso del diritto, quindi, lungi dal presupporre una violazione in senso formale, delinea l'utilizzazione alterata dello schema formale del diritto, finalizzata al conseguimento di obiettivi ulteriori e diversi rispetto a quelli indicati dal Legislatore. E' ravvisabile, in sostanza, quando, nel collegamento tra il potere di autonomia conferito al soggetto ed il suo atto di esercizio, risulti alterata la funzione obiettiva dell'atto rispetto al potere che lo prevede. Come conseguenze di tale, eventuale abuso, l'ordinamento pone una regola generale, nel senso di rifiutare la tutela ai poteri, diritti e interessi, esercitati in violazione delle corrette regole di esercizio, posti in essere con comportamenti contrari alla buona fede oggettiva. E nella formula della mancanza di tutela, sta la finalità di impedire che possano essere conseguiti o conservati i vantaggi ottenuti - ed i diritti connessi - attraverso atti di per sè strutturalmente idonei, ma esercitati in modo da alterarne la funzione, violando la normativa di correttezza, che è regola cui l'ordinamento fa espresso richiamo nella disciplina dei rapporti di autonomia privata. Nel nostro codice non esiste una norma che sanzioni, in via generale, l'abuso del diritto. La cultura giuridica degli anni '30 fondava l'abuso del diritto, più che su di un principio giuridico, su di un concetto di natura etico morale, con la conseguenza che colui che ne abusava era considerato meritevole di biasimo, ma non di sanzione giuridica. Questo contesto culturale, unito alla preoccupazione per la certezza - o quantomeno prevedibilità del diritto -, in considerazione della grande latitudine di potere che una clausola generale, come quella dell'abuso del diritto, avrebbe attribuito al giudice, impedì che fosse trasfusa, nella stesura definitiva del codice civile italiano del 1942, quella norma del progetto preliminare (art. 7) che proclamava, in termini generali, che "nessuno può esercitare il proprio diritto in contrasto con lo scopo per il quale il diritto medesimo gli è stato riconosciuto" (così ponendosi l'ordinamento italiano in contrasto con altri ordinamenti, ad es. tedesco, svizzero e spagnolo); preferendo, invece, ad una norma di carattere generale, norme specifiche che consentissero di sanzionare l'abuso in relazione a particolari categorie di diritti. Ma, in un mutato contesto storico, culturale e giuridico, un problema di così pregnante rilevanza è stato oggetto di rimeditata attenzione da parte della Corte di legittimità (v. applicazioni del principio in Cass. 8.4.2009 n. 8481; Cass. 20.3.2009 n. 6800; Cass. 17.10.2008 n. 29776; Cass. 4.6.2008 n. 14759; Cass. 11.5.2007 n. 10838). Così, in materia societaria è stato sindacato, in una deliberazione assembleare di scioglimento della società, l'esercizio del diritto di voto sotto l'aspetto dell'abuso di potere, ritenendo principio generale del nostro ordinamento, anche al di fuori del campo societario, quello di non abusare dei propri diritti - con approfittamento di una posizione di supremazia - con l'imposizione, nelle delibere assembleari, alla maggioranza, di un vincolo desunto da una clausola generale quale la correttezza e buona fede (contrattuale). In questa ottica i soci debbono eseguire il contratto secondo buona fede e correttezza nei loro rapporti reciproci, ai sensi degli artt. 1175 e 1375 c.c., la cui funzione è integrativa del contratto sociale, nel senso di imporre il rispetto degli equilibri degli interessi di cui le parti sono portatrici. E la conseguenza è quella della invalidità della delibera, se è raggiunta la prova che il potere di voto sia stato esercitato allo scopo di ledere gli interessi degli altri soci, ovvero risulti in concreto preordinato ad avvantaggiare ingiustificatamente i soci di maggioranza in danno di quelli di minoranza, in violazione del canone generale di buona fede nell'esecuzione del contratto (x. Xxxx. 11.6.2003 n. 9353). Con il rilievo che tale canone generale non impone ai soggetti un comportamento a contenuto prestabilito, ma rileva soltanto come limite esterno all'esercizio di una pretesa, essendo finalizzato al contemperamento degli opposti interessi (Cass. 12.12.2005 n. 27387). Ancora, sempre nell'ambito societario, la materia dell'abuso del diritto è stata esaminata con riferimento alla qualità di socio ed all'adempimento secondo buona fede delle obbligazioni societarie ai fini della sua esclusione dalla società (Cass. 19.12.2008 n. 29776), ed al fenomeno dell'abuso della personalità giuridica quando essa costituisca uno schermo formale per eludere la più rigida applicazione della legge (v. anche Cass. 25.1.2000 n. 804; Cass. 16.5.2007 n. 11258). In tal caso, proprio richiamando l'abuso, ne sarà possibile, per così dire, il suo "disvelamento" (piercing the corporate veil). Nell'ambito, poi, dei rapporti bancari è stato più volte riconosciuto che, in ossequio al principio per cui il contratto deve essere eseguito secondo buona fede (art. 1375 cod. civ.), non può escludersi che il recesso di una banca dal rapporto di apertura di credito, benchè pattiziamente consentito anche in difetto di giusta causa, sia da considerarsi illegittimo ove in concreto assuma connotati del tutto imprevisti ed arbitrari (Cass. 21.5.1997 n. 4538; Cass. 14.7.2000 n. 9321; Cass. 21.2.2003 n. 2642). E, fornita solo con riferimento ai rapporti specifici intercorsi tra le parti e dedotti in giudizio, costituendo una prova diabolica esigere dall’attore la dimostrazione dell’inesistenza di conto correnteogni e qualsivoglia causa di dazione tra solvens e accipiens (cfr. Cassazione civile, è stato ritenuto che, in presenza di una clausola negoziale che, nel regolare tali rapporti, consenta all'istituto di credito di operare la compensazione tra i saldi attivi e passivi dei diversi conti intrattenuti dal medesimo correntista, in qualsiasi momento, senza obbligo di preavviso, la contestazione sollevata dal cliente che, a fronte della intervenuta operazione di compensazione, lamenti di non esserne stato prontamente informato e di essere andato incontro, per tale motivo, a conseguenze pregiudizievoli, impone al giudice di merito di valutare il comportamento della banca alla stregua del fondamentale principio della buona fede nella esecuzione del contrattosez. Con la conseguenza, in caso contrarioIII, del riconoscimento a carico della banca25 gennaio 2011 n. 1734), incombendo poi sull’accipiens la dimostrazione di una responsabilità per risarcimento dei danni altra eventuale fonte di debito (Casscfr. 28.9.2005 Cassazione civile, sez. I, 28 luglio 1997 n. 189477027). In materia contrattualequesto senso, poisecondo la prevalente giurisprudenza, gli stessi principii sono stati applicatiil correntista che domanda la ripetizione di somme indebitamente versate alla Banca deve allegare e provare i fatti costitutivi della propria pretesa creditoria, in particolareovvero l’esecuzione della prestazione e l’inesistenza (originaria o sopravvenuta) del titolo della stessa ed ha, con riferimento al pertanto, l’obbligo di produrre il contratto di mediazione conto corrente e gli estratti conto relativi a tutto il periodo contrattuale. Firmato Da: XXXXX XXXXXXX Emesso Da: ARUBAPEC S.P.A. NG CA 3 Serial#: f7a35b2dd096cf1808fb9acd5188fb4 Nel caso di specie, peraltro, la società attrice ha prodotto gli estratti conto (Cassdocc. 5.3.2009 n. 5348)2- 10 fasc.att.) relativi a tutto il periodo in esame nonché, al contratto seppure non unitamente all’atto di sale and lease back connesso al divieto citazione ma con separato deposito nell’imminenza dell’udienza di patto commissorio prima comparizione e trattazione ex art. 2744 c.c183 c.p.c., il contratto di conto corrente (Cassdoc. 16.10.1995 n. 10805; Cass. 26.6.2001 n. 8742; Cass. 22.3.2007 n. 6969; Cass. 8.4.2009 n. 84811 fasc.att.), ed al mentre la Banca convenuta ha prodotto il contratto autonomo di garanzia ed exceptio doli apertura di credito (Cassdoc. 1.10.1999 n. 10864; cass. 28.7.2004 n. 14239; Cass. 7.3.2007 n. 52732 fasc.conv.). Del A fronte di ciò, si deve considerare che il principio dell'abuso dell’onere della prova non implica affatto che la dimostrazione di fatti costitutivi del diritto preteso debba ricavarsi esclusivamente dalle prove offerte da colui che è statogravato del relativo onere, da ultimogiacché nel nostro ordinamento vige il principio di acquisizione, fatto frequente uso in materia tributariasecondo cui, fondandolo sul riconoscimento dell'esistenza di un generale principio antielusivo le risultanze istruttorie, comunque ottenute, e quale che sia la parte ad iniziativa o ad istanza della quale siano formate, concorrono tutte, indistintamente, alla formazione del convincimento del giudice (v. per tutte S.U. 23.10.2008 nncfr. 30055Cassazione civile, 30056sez. III, 3005726 febbraio 2013, n. 4806; analogamente, cfr. Cassazione civile, sez. II, 4 giugno 2018, n. 14284). Il breve excursus esemplificativo consenteCiò detto e passando al merito della controversia, quindi, di ritenere ormai acclarato è pacifico che anche il principio dell'abuso del diritto è uno dei criteri di selezione, con riferimento al quale esaminare anche i rapporti negoziali che nascono da atti di autonomia privata, e valutare le condotte che, nell'ambito della formazione ed esecuzione degli stessi, le parti contrattuali adottano. Deve, con ciò, pervenirsi a questa conclusione. Oggi, i principii della buona fede oggettiva, e dell'abuso del diritto, debbono essere selezionati e rivisitati alla luce dei principi costituzionali - funzione sociale ex art. 42 Cost. - e della stessa qualificazione dei diritti soggettivi assoluti. In questa prospettiva i due principii si integrano a vicenda, costituendo la buona fede un canone generale cui ancorare la condotta delle parti, anche di un rapporto privatistico e l'interpretazione dell'atto giuridico di autonomia privata e, prospettando l'abuso, la necessità di una correlazione tra i poteri conferiti e lo scopo per i quali essi sono conferiti. Qualora la finalità perseguita non sia quella consentita dall'ordinamento, si avrà abuso. In questo caso il superamento dei limiti interni o di alcuni limiti esterni del diritto ne determinerà il suo abusivo esercizio. Alla luce di tali principii e considerazioni svolte deve, ora, esaminarsi la sentenza, in questa sede, impugnata. La struttura argomentativa della sentenza si sviluppa secondo i seguenti passaggi logici:l’attrice P.M.C.

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Motivi della decisione. PreliminarmenteCon il primo motivo di ricorso la ricorrente lamenta, i ricorsi - principale ed incidentale - vanno riuniti ai sensi dell'art. 335 c.p.c.. Ricorso principale. (OMISSIS) Con il secondo motivo denunciano la violazione e falsa applicazione delle clausole generali della buona fede, ed in particolare sulla pretesa insindacabilità degli atti di autonomia privata e della conseguente non applicabilità della figura dell'abuso del diritto all'esercizio del recesso ad nutum (art. 360 c.p.c., n. 31, il difetto di giurisdizione del giudice ordinario poichè la controversia è sottoposta alla giurisdizione del giudice amministrativo, vertendo in relazione agli arttmateria di interessi legittimi. 1175 Assume la ricorrente che la posizione della B. era di interesse legittimo e 1375 c.c.)non di diritto soggettivo, perchè la deliberazione di aggiudicazione definitiva del compendio immobiliare,venduto all'asta pubblica, contrariamente a quanto sostenuto dalla sentenza impugnata non equivaleva a contratto di compravendita. Con il terzo motivo denunciano Tale tesi è sviluppata attraverso i seguenti punti: a) la violazione e falsa detta Delib. n. 1320 del 2000, non ha prodotto gli effetti della vendita, perchè alla fattispecie trova applicazione dell'art. 2043 c.c.; contraddittorietà della motivazione sul punto (la L.R. Xxxxxx Xxxxxxx n. 22 del 1980, art. 360 c.p.c.74 e non il R.D. n. 2440 del 1923, n. 5). Con il quarto motivo denunciano la violazione e falsa applicazione delle disposizioni sull'agenzia ed errata valutazione della giurisprudenza tedesca in materia (art. 360 c.p.c.16; b) dalla Delib. n. 1320 del 2000 risulta in modo inequivoco la volontà dell'azienda ospedaliera di rinviare la costituzione del vincolo contrattuale alla stipulazione dell'atto definitivo di compravendita da effettuarsi nel termine di g. 90; c) il difetto di giurisdizione discende anche dall'intervenuto successivo annullamento della citata deliberazione con atto di revoca n. 410 del 15.3.2001, n. 3)per sopravvenuti motivi di interesse pubblico, costituiti dall'aumento di valore del terreno, a seguito del mutamento di destinazione d'uso. Il secondomotivo si conclude con il seguente quesito: "Dica la S.C. se in presenza della L.R. Xxxxxx Xxxxxxx n. 22 del 1980, terzo e quarto motivo, investendo profili art. 74; di avviso d'asta n. 516 del 20.4.2000 che prevede che alla stipulazione dell'atto notarile di compravendita si presentano connessi in ordine alle questioni prospettate, vanno esaminati congiuntamente. Essi sono fondati, nei limiti provvederà entro il termine di cui in motivazione, giorni 90 dall'aggiudicazione; di verbale di aggiudicazione con il quale l'Azienda incarica al fine di completare l'iter procedurale per le ragioni la stipulazione dell'atto notarile entro il termine di giorni 90 dall'aggiudicazione; di revoca dell'aggiudicazione da parte dell'azienda; debba ritenersi egualmente che seguono. Costituiscono principii generali del diritto delle obbligazioni quelli secondo cui la parti l'aggiudicazione di un rapporto contrattuale debbono comportarsi secondo le regole della correttezza (terreno a seguito di asta pubblica equivalga per ogni effetto legale al contratto in base al R.D. n. 2440 del 1923, art. 1175 c.c.) e che l'esecuzione dei contratti debba avvenire secondo buona fede (art. 1375 c.c.). In tema di contratti, il principio della buona fede oggettiva, cioè della reciproca lealtà di condotta, deve presiedere all'esecuzione del contratto, così come alla sua formazione ed alla sua interpretazione ed, in definitiva, accompagnarlo in ogni sua fase (Cass. 5.3.2009 n. 5348; Cass. 11.6.2008 n. 15476). Ne consegue che la clausola generale di buona fede e correttezza è operante, tanto sul piano dei comportamenti del debitore e del creditore nell'ambito del singolo rapporto obbligatorio (art. 1175 cod. civ.), quanto sul piano del complessivo assetto di interessi sottostanti all'esecuzione del contratto (art. 1375 cod. civ.). I principii di buona fede e correttezza, del resto, sono entrati, nel tessuto connettivo dell'ordinamento giuridico. L'obbligo di buona fede oggettiva o correttezza costituisce, infatti, un autonomo dovere giuridico, espressione di un generale principio di solidarietà sociale, la cui costituzionalizzazione è ormai pacifica (v. in questo senso, fra le altre, Cass. 15.2.2007 n. 3462). Una volta collocato nel quadro dei valori introdotto dalla Carta costituzionale, poi, il principio deve essere inteso come una specificazione degli "inderogabili doveri di solidarietà sociale" imposti dall'art. 2 Cost., e la sua rilevanza si esplica nell'imporre, a ciascuna delle parti del rapporto obbligatorio, il dovere di agire in modo da preservare gli interessi dell'altra, a prescindere dall'esistenza di specifici obblighi contrattuali o di quanto espressamente stabilito da singole norme di legge. In questa prospettiva, si è pervenuti ad affermare che il criterio della buona fede costituisce strumento, per il giudice, atto a controllare, anche in senso modificativo od integrativo, lo statuto negoziale, in funzione di garanzia del giusto equilibrio degli opposti interessi. La Relazione ministeriale al codice civile, sul punto, così si esprimeva: (il principio di correttezza e buona fede) "richiama nella sfera del creditore la considerazione dell'interesse del debitore e nella sfera del debitore il giusto riguardo all'interesse del creditore", operando, quindi, come un criterio di reciprocità. In sintesi, disporre di un potere non è condizione sufficiente di un suo legittimo esercizio se, nella situazione data, la patologia del rapporto può essere superata facendo ricorso a rimedi che incidono sugli interessi contrapposti in modo più proporzionato. In questa ottica la clausola generale della buona fede ex artt. 1175 e 1375 c.c. è stata utilizzata, anche nell'ambito dei diritti di credito, per scongiurare, per es. gli abusi di posizione dominante. La buona fede, in sostanza, serve a mantenere il rapporto giuridico nei binari dell'equilibrio e della proporzione. Criterio rivelatore della violazione dell'obbligo di buona fede oggettiva è quello dell'abuso del diritto. Gli elementi costitutivi dell'abuso del diritto - ricostruiti attraverso l'apporto dottrinario e giurisprudenziale - sono i seguenti: 1) la titolarità di un diritto soggettivo in capo ad un soggetto; 2) la possibilità che il concreto esercizio di quel diritto possa essere effettuato secondo una pluralità di modalità non rigidamente predeterminate; 3) la circostanza che tale esercizio concreto, anche se formalmente rispettoso della cornice attributiva di quel diritto, sia svolto secondo modalità censurabili rispetto ad un criterio di valutazione, giuridico od extragiuridico; 4) la circostanza che, a causa di una tale modalità di esercizio, si verifichi una sproporzione ingiustificata tra il beneficio del titolare del diritto ed il sacrifico cui è soggetta la controparte. L'abuso del diritto, quindi, lungi dal presupporre una violazione in senso formale, delinea l'utilizzazione alterata dello schema formale del diritto, finalizzata al conseguimento di obiettivi ulteriori e diversi rispetto a quelli indicati dal Legislatore. E' ravvisabile, in sostanza, quando, nel collegamento tra il potere di autonomia conferito al soggetto ed il suo atto di esercizio, risulti alterata la funzione obiettiva dell'atto rispetto al potere che lo prevede. Come conseguenze di tale, eventuale abuso, l'ordinamento pone una regola generale, nel senso di rifiutare la tutela ai poteri, diritti e interessi, esercitati in violazione delle corrette regole di esercizio, posti in essere con comportamenti contrari alla buona fede oggettiva. E nella formula della mancanza di tutela, sta la finalità di impedire che possano essere conseguiti o conservati i vantaggi ottenuti - ed i diritti connessi - attraverso atti di per sè strutturalmente idonei, ma esercitati in modo da alterarne la funzione, violando la normativa di correttezza, che è regola cui l'ordinamento fa espresso richiamo nella disciplina dei rapporti di autonomia privata. Nel nostro codice non esiste una norma che sanzioni, in via generale, l'abuso del diritto. La cultura giuridica degli anni '30 fondava l'abuso del diritto, più che su di un principio giuridico, su di un concetto di natura etico morale16, con la conseguenza che colui che ne abusava era considerato meritevole di biasimo, ma non di sanzione giuridica. Questo contesto culturale, unito alla preoccupazione per la certezza - o quantomeno prevedibilità del diritto -, in considerazione della grande latitudine di potere che una clausola generale, come quella dell'abuso del diritto, avrebbe attribuito al giudice, impedì che fosse trasfusa, nella stesura definitiva del codice civile italiano del 1942, quella norma del progetto preliminare (controversia ex art. 7) che proclamava, in termini generali, che "nessuno può esercitare il proprio diritto in contrasto con lo scopo per il quale il diritto medesimo gli è stato riconosciuto" (così ponendosi l'ordinamento italiano in contrasto con altri ordinamenti, ad es. tedesco, svizzero e spagnolo); preferendo, invece, ad una norma di carattere generale, norme specifiche che consentissero di sanzionare l'abuso in relazione a particolari categorie di diritti. Ma, in un mutato contesto storico, culturale e giuridico, un problema di così pregnante rilevanza è stato oggetto di rimeditata attenzione da parte della Corte di legittimità (v. applicazioni del principio in Cass. 8.4.2009 n. 8481; Cass. 20.3.2009 n. 6800; Cass. 17.10.2008 n. 29776; Cass. 4.6.2008 n. 14759; Cass. 11.5.2007 n. 10838). Così, in materia societaria è stato sindacato, in una deliberazione assembleare di scioglimento della società, l'esercizio del diritto di voto sotto l'aspetto dell'abuso di potere, ritenendo principio generale del nostro ordinamento, anche al di fuori del campo societario, quello di non abusare dei propri diritti - con approfittamento di una posizione di supremazia - con l'imposizione, nelle delibere assembleari, alla maggioranza, di un vincolo desunto da una clausola generale quale la correttezza e buona fede (contrattuale). In questa ottica i soci debbono eseguire il contratto secondo buona fede e correttezza nei loro rapporti reciproci, ai sensi degli artt. 1175 e 1375 2932 c.c., la cui funzione è integrativa promossa dall'aggiudicataria sig.ra B.E. nei confronti dell'Azienda ospedaliera di Parma spetti alla giurisdizione del contratto sociale, nel senso di imporre il rispetto degli equilibri degli interessi di cui le parti sono portatrici. E la conseguenza è quella della invalidità della delibera, se è raggiunta la prova che il potere di voto sia stato esercitato allo scopo di ledere gli interessi degli altri soci, ovvero risulti in concreto preordinato ad avvantaggiare ingiustificatamente i soci di maggioranza in danno di quelli di minoranza, in violazione del canone generale di buona fede nell'esecuzione del contratto (x. Xxxx. 11.6.2003 n. 9353). Con il rilievo che tale canone generale non impone ai soggetti un comportamento a contenuto prestabilito, ma rileva soltanto come limite esterno all'esercizio di una pretesa, essendo finalizzato al contemperamento degli opposti interessi (Cass. 12.12.2005 n. 27387). Ancora, sempre nell'ambito societario, la materia dell'abuso del diritto è stata esaminata con riferimento alla qualità di socio ed all'adempimento secondo buona fede delle obbligazioni societarie ai fini della sua esclusione dalla società (Cass. 19.12.2008 n. 29776), ed al fenomeno dell'abuso della personalità giuridica quando essa costituisca uno schermo formale per eludere la più rigida applicazione della legge (v. anche Cass. 25.1.2000 n. 804; Cass. 16.5.2007 n. 11258). In tal caso, proprio richiamando l'abuso, ne sarà possibile, per così dire, il suo giudice ordinario"disvelamento" (piercing the corporate veil). Nell'ambito, poi, dei rapporti bancari è stato più volte riconosciuto che, in ossequio al principio per cui il contratto deve essere eseguito secondo buona fede (art. 1375 cod. civ.), non può escludersi che il recesso di una banca dal rapporto di apertura di credito, benchè pattiziamente consentito anche in difetto di giusta causa, sia da considerarsi illegittimo ove in concreto assuma connotati del tutto imprevisti ed arbitrari (Cass. 21.5.1997 n. 4538; Cass. 14.7.2000 n. 9321; Cass. 21.2.2003 n. 2642). E, con riferimento ai rapporti di conto corrente, è stato ritenuto che, in presenza di una clausola negoziale che, nel regolare tali rapporti, consenta all'istituto di credito di operare la compensazione tra i saldi attivi e passivi dei diversi conti intrattenuti dal medesimo correntista, in qualsiasi momento, senza obbligo di preavviso, la contestazione sollevata dal cliente che, a fronte della intervenuta operazione di compensazione, lamenti di non esserne stato prontamente informato e di essere andato incontro, per tale motivo, a conseguenze pregiudizievoli, impone al giudice di merito di valutare il comportamento della banca alla stregua del fondamentale principio della buona fede nella esecuzione del contratto. Con la conseguenza, in caso contrario, del riconoscimento a carico della banca, di una responsabilità per risarcimento dei danni (Cass. 28.9.2005 n. 18947). In materia contrattuale, poi, gli stessi principii sono stati applicati, in particolare, con riferimento al contratto di mediazione (Cass. 5.3.2009 n. 5348), al contratto di sale and lease back connesso al divieto di patto commissorio ex art. 2744 c.c., (Cass. 16.10.1995 n. 10805; Cass. 26.6.2001 n. 8742; Cass. 22.3.2007 n. 6969; Cass. 8.4.2009 n. 8481), ed al contratto autonomo di garanzia ed exceptio doli (Cass. 1.10.1999 n. 10864; cass. 28.7.2004 n. 14239; Cass. 7.3.2007 n. 5273). Del principio dell'abuso del diritto è stato, da ultimo, fatto frequente uso in materia tributaria, fondandolo sul riconoscimento dell'esistenza di un generale principio antielusivo (v. per tutte S.U. 23.10.2008 nn. 30055, 30056, 30057). Il breve excursus esemplificativo consente, quindi, di ritenere ormai acclarato che anche il principio dell'abuso del diritto è uno dei criteri di selezione, con riferimento al quale esaminare anche i rapporti negoziali che nascono da atti di autonomia privata, e valutare le condotte che, nell'ambito della formazione ed esecuzione degli stessi, le parti contrattuali adottano. Deve, con ciò, pervenirsi a questa conclusione. Oggi, i principii della buona fede oggettiva, e dell'abuso del diritto, debbono essere selezionati e rivisitati alla luce dei principi costituzionali - funzione sociale ex art. 42 Cost. - e della stessa qualificazione dei diritti soggettivi assoluti. In questa prospettiva i due principii si integrano a vicenda, costituendo la buona fede un canone generale cui ancorare la condotta delle parti, anche di un rapporto privatistico e l'interpretazione dell'atto giuridico di autonomia privata e, prospettando l'abuso, la necessità di una correlazione tra i poteri conferiti e lo scopo per i quali essi sono conferiti. Qualora la finalità perseguita non sia quella consentita dall'ordinamento, si avrà abuso. In questo caso il superamento dei limiti interni o di alcuni limiti esterni del diritto ne determinerà il suo abusivo esercizio. Alla luce di tali principii e considerazioni svolte deve, ora, esaminarsi la sentenza, in questa sede, impugnata. La struttura argomentativa della sentenza si sviluppa secondo i seguenti passaggi logici:

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Samples: Rassegna Monotematica Di Giurisprudenza

Motivi della decisione. PreliminarmenteLa questione di diritto posta dall'ordinanza di rimessione. La Terza Sezione civile della Corte di Cassazione, i ricorsi - principale ed incidentale - vanno riuniti ai sensi dell'art. 335 c.p.c.. Ricorso principale. (OMISSIS) Con il secondo motivo denunciano chiamata a decidere l'impugnazione proposta dalla società Pro Genia srl, ha rimesso gli atti al primo presidente per l'eventuale assegnazione alle sezioni unite della Corte per la violazione e falsa applicazione delle clausole generali della buona fedecomposizione del contrasto, ed in particolare sulla pretesa insindacabilità degli atti sottoponendo la seguente questione di autonomia privata e della conseguente non applicabilità della figura dell'abuso del diritto all'esercizio del recesso ad nutum (art. 360 c.p.c., n. 3diritto: Se, in relazione caso di pignoramento dell’immobile e di successivo fallimento del locatore, operi, quale effetto ex lege, la rinnovazione tacita di cui agli artt. 1175 28 e 1375 c.c.). Con il terzo motivo denunciano 29 della legge n. 392 del 1978, e se poi la violazione e falsa applicazione dell'art. 2043 c.c.; contraddittorietà della motivazione sul punto (stessa rinnovazione tacita necessiti, o meno, dell’autorizzazione del giudice dell’esecuzione ex art. 360 560, secondo comma, c.p.c... Sottolinea l'ordinanza interlocutoria che la giurisprudenza della Corte di cassazione si era espressa in senso favorevole alla necessità dell'autorizzazione, con orientamento costante da Cass. 2576/1970 a Cass. 1639/1999, fino alla pronuncia della stessa terza sezione civile n. 5). Con il quarto motivo denunciano la violazione e falsa applicazione delle disposizioni sull'agenzia ed errata valutazione della giurisprudenza tedesca 10498 del 2009, che aveva affermato l'opposto principio secondo cui, in materia (art. 360 c.p.c., n. 3). Il secondo, terzo e quarto motivo, investendo profili che si presentano connessi in ordine alle questioni prospettate, vanno esaminati congiuntamente. Essi sono fondati, nei limiti di cui in motivazione, per le ragioni che seguono. Costituiscono principii generali del diritto delle obbligazioni quelli secondo cui la parti di un rapporto contrattuale debbono comportarsi secondo le regole della correttezza (art. 1175 c.c.) e che l'esecuzione dei contratti debba avvenire secondo buona fede (art. 1375 c.c.). In tema di contrattilocazione di immobili urbani adibiti ad uso non abitativo, il principio della buona fede oggettivadisciplinata dalla legge sull'equo canone, cioè della reciproca lealtà di condotta, deve presiedere all'esecuzione del contratto, così come alla sua formazione ed alla sua interpretazione ed, in definitiva, accompagnarlo in ogni sua fase (Cass. 5.3.2009 n. 5348; Cass. 11.6.2008 n. 15476). Ne consegue che la clausola generale di buona fede e correttezza è operante, tanto sul piano dei comportamenti del debitore e del creditore nell'ambito del singolo rapporto obbligatorio (art. 1175 cod. civ.), quanto sul piano del complessivo assetto di interessi sottostanti all'esecuzione rinnovazione tacita del contratto (art. 1375 cod. civ.). I principii di buona fede e correttezza, del resto, sono entrati, nel tessuto connettivo dell'ordinamento giuridico. L'obbligo di buona fede oggettiva o correttezza costituisce, infatti, un autonomo dovere giuridico, espressione di un generale principio di solidarietà sociale, la cui costituzionalizzazione è ormai pacifica (v. in questo senso, fra le altre, Cass. 15.2.2007 n. 3462). Una volta collocato nel quadro dei valori introdotto dalla Carta costituzionale, poi, il principio deve essere inteso come una specificazione degli "inderogabili doveri di solidarietà sociale" imposti dall'art. 2 Cost., e la sua rilevanza si esplica nell'imporre, a ciascuna delle parti del rapporto obbligatorio, il dovere di agire in modo da preservare gli interessi dell'altra, a prescindere dall'esistenza di specifici obblighi contrattuali o di quanto espressamente stabilito da singole norme di legge. In questa prospettiva, si è pervenuti ad affermare che il criterio della buona fede costituisce strumentoalla prima scadenza contrattuale, per il giudice, atto a controllare, anche in senso modificativo od integrativo, lo statuto negoziale, in funzione di garanzia del giusto equilibrio degli opposti interessi. La Relazione ministeriale al codice civile, sul punto, così si esprimeva: (il principio di correttezza e buona fede) "richiama nella sfera del creditore la considerazione dell'interesse del debitore e nella sfera del debitore il giusto riguardo all'interesse del creditore", operando, quindi, come un criterio di reciprocità. In sintesi, disporre di un potere non è condizione sufficiente di un suo legittimo mancato esercizio se, nella situazione data, la patologia del rapporto può essere superata facendo ricorso a rimedi che incidono sugli interessi contrapposti in modo più proporzionato. In questa ottica la clausola generale della buona fede ex artt. 1175 e 1375 c.c. è stata utilizzata, anche nell'ambito dei diritti di credito, per scongiurare, per es. gli abusi di posizione dominante. La buona fede, in sostanza, serve a mantenere il rapporto giuridico nei binari dell'equilibrio e della proporzione. Criterio rivelatore della violazione dell'obbligo di buona fede oggettiva è quello dell'abuso del diritto. Gli elementi costitutivi dell'abuso del diritto - ricostruiti attraverso l'apporto dottrinario e giurisprudenziale - sono i seguenti: 1) la titolarità di un diritto soggettivo in capo ad un soggetto; 2) la possibilità che il concreto esercizio di quel diritto possa essere effettuato secondo una pluralità di modalità non rigidamente predeterminate; 3) la circostanza che tale esercizio concreto, anche se formalmente rispettoso della cornice attributiva di quel diritto, sia svolto secondo modalità censurabili rispetto ad un criterio di valutazione, giuridico od extragiuridico; 4) la circostanza che, a causa di una tale modalità di esercizio, si verifichi una sproporzione ingiustificata tra il beneficio del titolare del diritto ed il sacrifico cui è soggetta la controparte. L'abuso del diritto, quindi, lungi dal presupporre una violazione in senso formale, delinea l'utilizzazione alterata dello schema formale del diritto, finalizzata al conseguimento di obiettivi ulteriori e diversi rispetto a quelli indicati dal Legislatore. E' ravvisabile, in sostanza, quando, nel collegamento tra il potere di autonomia conferito al soggetto ed il suo atto di esercizio, risulti alterata la funzione obiettiva dell'atto rispetto al potere che lo prevede. Come conseguenze di tale, eventuale abuso, l'ordinamento pone una regola generale, nel senso di rifiutare la tutela ai poteri, diritti e interessi, esercitati in violazione delle corrette regole di esercizio, posti in essere con comportamenti contrari alla buona fede oggettiva. E nella formula della mancanza di tutela, sta la finalità di impedire che possano essere conseguiti o conservati i vantaggi ottenuti - ed i diritti connessi - attraverso atti di per sè strutturalmente idonei, ma esercitati in modo da alterarne la funzione, violando la normativa di correttezza, che è regola cui l'ordinamento fa espresso richiamo nella disciplina dei rapporti di autonomia privata. Nel nostro codice non esiste una norma che sanzioni, in via generale, l'abuso del diritto. La cultura giuridica degli anni '30 fondava l'abuso del diritto, più che su di un principio giuridico, su di un concetto di natura etico morale, con la conseguenza che colui che ne abusava era considerato meritevole di biasimo, ma non di sanzione giuridica. Questo contesto culturale, unito alla preoccupazione per la certezza - o quantomeno prevedibilità del diritto -, in considerazione della grande latitudine di potere che una clausola generale, come quella dell'abuso del diritto, avrebbe attribuito al giudice, impedì che fosse trasfusa, nella stesura definitiva del codice civile italiano del 1942, quella norma del progetto preliminare (art. 7) che proclamava, in termini generali, che "nessuno può esercitare il proprio diritto in contrasto con lo scopo per il quale il diritto medesimo gli è stato riconosciuto" (così ponendosi l'ordinamento italiano in contrasto con altri ordinamenti, ad es. tedesco, svizzero e spagnolo); preferendo, invece, ad una norma di carattere generale, norme specifiche che consentissero di sanzionare l'abuso in relazione a particolari categorie di diritti. Ma, in un mutato contesto storico, culturale e giuridico, un problema di così pregnante rilevanza è stato oggetto di rimeditata attenzione da parte del locatore, della Corte facoltà di legittimità (v. applicazioni del principio in Cass. 8.4.2009 n. 8481; Cass. 20.3.2009 n. 6800; Cass. 17.10.2008 n. 29776; Cass. 4.6.2008 n. 14759; Cass. 11.5.2007 n. 10838). Cosìdiniego della rinnovazione stessa, in materia societaria è stato sindacatocostituisce un effetto automatico scaturente direttamente dalla legge, in una deliberazione assembleare di scioglimento della società, l'esercizio del diritto di voto sotto l'aspetto dell'abuso di potere, ritenendo principio generale del nostro ordinamento, anche al di fuori del campo societario, quello di e non abusare dei propri diritti - con approfittamento di una posizione di supremazia - con l'imposizione, nelle delibere assembleari, alla maggioranza, di un vincolo desunto da una clausola generale quale la correttezza e buona fede (contrattuale)manifestazione di volontà negoziale. In questa ottica i soci debbono eseguire il contratto secondo buona fede e correttezza nei loro rapporti reciproci, ai sensi degli artt. 1175 e 1375 c.c., la cui funzione è integrativa del contratto sociale, nel senso di imporre il rispetto degli equilibri degli interessi di cui le parti sono portatrici. E la conseguenza è quella della invalidità della delibera, se è raggiunta la prova che il potere di voto sia stato esercitato allo scopo di ledere gli interessi degli altri soci, ovvero risulti in concreto preordinato ad avvantaggiare ingiustificatamente i soci di maggioranza in danno di quelli di minoranza, in violazione del canone generale di buona fede nell'esecuzione del contratto (x. Xxxx. 11.6.2003 n. 9353). Con il rilievo che tale canone generale non impone ai soggetti un comportamento a contenuto prestabilito, ma rileva soltanto come limite esterno all'esercizio di una pretesa, essendo finalizzato al contemperamento degli opposti interessi (Cass. 12.12.2005 n. 27387). Ancora, sempre nell'ambito societario, la materia dell'abuso del diritto è stata esaminata con riferimento alla qualità di socio ed all'adempimento secondo buona fede delle obbligazioni societarie ai fini della sua esclusione dalla società (Cass. 19.12.2008 n. 29776), ed al fenomeno dell'abuso della personalità giuridica quando essa costituisca uno schermo formale per eludere la più rigida applicazione della legge (v. anche Cass. 25.1.2000 n. 804; Cass. 16.5.2007 n. 11258). In tal caso, proprio richiamando l'abuso, ne sarà possibile, per così dire, il suo "disvelamento" (piercing the corporate veil). Nell'ambito, poi, dei rapporti bancari è stato più volte riconosciuto A quest'ultima impostazione conseguirebbe che, in ossequio al principio per cui il contratto deve essere eseguito secondo buona fede (art. 1375 cod. civ.), non può escludersi che il recesso caso di una banca dal rapporto pignoramento dell'immobile e di apertura di credito, benchè pattiziamente consentito anche in difetto di giusta causa, sia da considerarsi illegittimo ove in concreto assuma connotati successivo fallimento del tutto imprevisti ed arbitrari (Cass. 21.5.1997 n. 4538; Cass. 14.7.2000 n. 9321; Cass. 21.2.2003 n. 2642). E, con riferimento ai rapporti di conto corrente, è stato ritenuto che, in presenza di una clausola negoziale che, nel regolare tali rapporti, consenta all'istituto di credito di operare la compensazione tra i saldi attivi e passivi dei diversi conti intrattenuti dal medesimo correntista, in qualsiasi momento, senza obbligo di preavvisolocatore, la contestazione sollevata dal cliente cherinnovazione non necessiterebbe dell'autorizzazione del giudice dell'esecuzione, a fronte della intervenuta operazione di compensazioneprevista dall'art. 560, lamenti di non esserne stato prontamente informato e di essere andato incontrosecondo comma, per tale motivo, a conseguenze pregiudizievoli, impone al giudice di merito di valutare il comportamento della banca alla stregua del fondamentale principio della buona fede nella esecuzione del contratto. Con la conseguenza, in caso contrario, del riconoscimento a carico della banca, di una responsabilità per risarcimento dei danni (Cass. 28.9.2005 n. 18947). In materia contrattuale, poi, gli stessi principii sono stati applicati, in particolare, con riferimento al contratto di mediazione (Cass. 5.3.2009 n. 5348), al contratto di sale and lease back connesso al divieto di patto commissorio ex art. 2744 c.c., (Cass. 16.10.1995 n. 10805; Cass. 26.6.2001 n. 8742; Cass. 22.3.2007 n. 6969; Cass. 8.4.2009 n. 8481), ed al contratto autonomo di garanzia ed exceptio doli (Cass. 1.10.1999 n. 10864; cass. 28.7.2004 n. 14239; Cass. 7.3.2007 n. 5273). Del principio dell'abuso del diritto è stato, da ultimo, fatto frequente uso in materia tributaria, fondandolo sul riconoscimento dell'esistenza di un generale principio antielusivo (v. per tutte S.U. 23.10.2008 nn. 30055, 30056, 30057). Il breve excursus esemplificativo consente, quindi, di ritenere ormai acclarato che anche il principio dell'abuso del diritto è uno dei criteri di selezione, con riferimento al quale esaminare anche i rapporti negoziali che nascono da atti di autonomia privata, e valutare le condotte che, nell'ambito della formazione ed esecuzione degli stessi, le parti contrattuali adottano. Deve, con ciò, pervenirsi a questa conclusione. Oggi, i principii della buona fede oggettiva, e dell'abuso del diritto, debbono essere selezionati e rivisitati alla luce dei principi costituzionali - funzione sociale ex art. 42 Cost. - e della stessa qualificazione dei diritti soggettivi assoluti. In questa prospettiva i due principii si integrano a vicenda, costituendo la buona fede un canone generale cui ancorare la condotta delle parti, anche di un rapporto privatistico e l'interpretazione dell'atto giuridico di autonomia privata e, prospettando l'abuso, la necessità di una correlazione tra i poteri conferiti e lo scopo per i quali essi sono conferiti. Qualora la finalità perseguita non sia quella consentita dall'ordinamento, si avrà abuso. In questo caso il superamento dei limiti interni o di alcuni limiti esterni del diritto ne determinerà il suo abusivo esercizio. Alla luce di tali principii e considerazioni svolte deve, ora, esaminarsi la sentenza, in questa sede, impugnata. La struttura argomentativa della sentenza si sviluppa secondo i seguenti passaggi logici:c.p.c..

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Samples: Contract and Default

Motivi della decisione. PreliminarmenteCol primo motivo di ricorso, i ricorsi - principale ed incidentale - vanno riuniti ai sensi si deduce la nullità della sentenza impugnata per violazione dell'art. 335 36 c.p.c.. Ricorso principale. (OMISSIS) Con il secondo motivo denunciano la violazione e falsa applicazione delle clausole generali della buona fede, ed in particolare sulla pretesa insindacabilità degli atti di autonomia privata e della conseguente non applicabilità della figura dell'abuso del diritto all'esercizio del recesso ad nutum (ex art. 360 c.p.c., n. 34), in relazione agli artt. 1175 e 1375 c.c.). Con nonchè il terzo motivo denunciano la violazione e falsa applicazione dell'art. 2043 c.c.; contraddittorietà vizio di motivazione della motivazione sul punto medesima (ex art. 360 c.p.c., n. 5), per avere la Corte di Appello omesso di dichiarare l'inammissibilità della domanda riconvenzionale di risarcimento del danno proposta dalla Pa., nonostante l'insussistenza delle condizioni prescritte dall'art. Con il quarto motivo denunciano la violazione e falsa applicazione delle disposizioni sull'agenzia ed errata valutazione della giurisprudenza tedesca in materia (art. 360 36 c.p.c., n. 3)ai fini del simultaneus processus. Il secondoLa censura non è fondata. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, terzo e quarto motivo, investendo profili che si presentano connessi in ordine alle questioni prospettate, vanno esaminati congiuntamente. Essi sono fondati, nei limiti dalla quale non v'è ragione di cui in motivazione, per le ragioni che seguono. Costituiscono principii generali del diritto delle obbligazioni quelli secondo cui la parti di un rapporto contrattuale debbono comportarsi secondo le regole della correttezza (art. 1175 c.c.) e che l'esecuzione dei contratti debba avvenire secondo buona fede (art. 1375 c.c.). In tema di contratti, il principio della buona fede oggettiva, cioè della reciproca lealtà di condotta, deve presiedere all'esecuzione del contratto, così come alla sua formazione ed alla sua interpretazione ed, in definitiva, accompagnarlo in ogni sua fase (Cass. 5.3.2009 n. 5348; Cass. 11.6.2008 n. 15476). Ne consegue che la clausola generale di buona fede e correttezza è operante, tanto sul piano dei comportamenti del debitore e del creditore nell'ambito del singolo rapporto obbligatorio (art. 1175 cod. civ.), quanto sul piano del complessivo assetto di interessi sottostanti all'esecuzione del contratto (art. 1375 cod. civ.). I principii di buona fede e correttezza, del resto, sono entrati, nel tessuto connettivo dell'ordinamento giuridico. L'obbligo di buona fede oggettiva o correttezza costituisce, infatti, un autonomo dovere giuridico, espressione di un generale principio di solidarietà socialediscostarsi, la cui costituzionalizzazione è ormai pacifica (v. in questo sensorelazione tra domanda principale e domanda riconvenzionale, fra le altreai fini dell'ammissibilità di quest'ultima, Cass. 15.2.2007 n. 3462). Una volta collocato nel quadro dei valori introdotto dalla Carta costituzionale, poi, il principio deve essere inteso come una specificazione degli "inderogabili doveri di solidarietà sociale" imposti dall'art. 2 Cost., e la sua rilevanza si esplica nell'imporre, a ciascuna delle parti del rapporto obbligatorio, il dovere di agire in modo da preservare gli interessi dell'altra, a prescindere dall'esistenza di specifici obblighi contrattuali o di quanto espressamente stabilito da singole norme di legge. In questa prospettiva, si è pervenuti ad affermare che il criterio della buona fede costituisce strumento, per il giudice, atto a controllare, anche non va intesa in senso modificativo od integrativo, lo statuto negoziale, in funzione di garanzia del giusto equilibrio degli opposti interessi. La Relazione ministeriale al codice civile, sul punto, così si esprimeva: (il principio di correttezza e buona fede) "richiama nella sfera del creditore la considerazione dell'interesse del debitore e nella sfera del debitore il giusto riguardo all'interesse del creditore", operando, quindi, come un criterio di reciprocità. In sintesi, disporre di un potere non è condizione sufficiente di un suo legittimo esercizio se, nella situazione data, la patologia del rapporto può essere superata facendo ricorso a rimedi che incidono sugli interessi contrapposti in modo più proporzionato. In questa ottica la clausola generale della buona fede ex artt. 1175 e 1375 c.c. è stata utilizzata, anche nell'ambito dei diritti di credito, per scongiurare, per es. gli abusi di posizione dominante. La buona fede, in sostanza, serve a mantenere il rapporto giuridico nei binari dell'equilibrio e della proporzione. Criterio rivelatore della violazione dell'obbligo di buona fede oggettiva è quello dell'abuso del diritto. Gli elementi costitutivi dell'abuso del diritto - ricostruiti attraverso l'apporto dottrinario e giurisprudenziale - sono i seguenti: 1) la titolarità di un diritto soggettivo in capo ad un soggetto; 2) la possibilità che il concreto esercizio di quel diritto possa essere effettuato secondo una pluralità di modalità non rigidamente predeterminate; 3) la circostanza che tale esercizio concreto, anche se formalmente rispettoso della cornice attributiva di quel diritto, sia svolto secondo modalità censurabili rispetto ad un criterio di valutazione, giuridico od extragiuridico; 4) la circostanza che, a causa di una tale modalità di esercizio, si verifichi una sproporzione ingiustificata tra il beneficio del titolare del diritto ed il sacrifico cui è soggetta la controparte. L'abuso del diritto, quindi, lungi dal presupporre una violazione in senso formale, delinea l'utilizzazione alterata dello schema formale del diritto, finalizzata al conseguimento di obiettivi ulteriori e diversi rispetto a quelli indicati dal Legislatore. E' ravvisabile, in sostanza, quando, nel collegamento tra il potere di autonomia conferito al soggetto ed il suo atto di esercizio, risulti alterata la funzione obiettiva dell'atto rispetto al potere che lo prevede. Come conseguenze di tale, eventuale abuso, l'ordinamento pone una regola generalerestrittivo, nel senso che entrambe debbano dipendere da un unico ed identico titolo, essendo invece sufficiente che fra le contrapposte pretese sia ravvisabile un collegamento obiettivo, tale da rendere consigliabile ed opportuna la celebrazione del simultaneus processus, a fini di rifiutare economia processuale ed in applicazione del principio del giusto processo di cui all'art. 111, primo comma, Cost. (Cass., Sez. 3, n. 27564 del 20/12/2011). Anche un titolo non dipendente da quello fatto valere dall'attore a fondamento della sua domanda può valere a rendere ammissibile la tutela ai poteridomanda riconvenzionale, diritti purchè sussista con detto titolo un collegamento oggettivo che giustifichi l'esercizio, da parte del giudice, della discrezionalità che può consigliare il simultaneus processus (Cass., Sez. 3, n. 15271 del 04/07/2006; Sez. 2, n. 8207 del 07/04/2006). Nella specie, il giudice di merito ha ritenuto opportuno il simultaneus processus in ragione dell'indubbio collegamento obiettivo tra la domanda dell'attore e interessiquella della convenuta, esercitati in violazione delle corrette regole che sono entrambe relative al medesimo bene immobile, essendo la pretesa dell'uno collegata a quella dell'altro. Trattasi di esercizio, posti in essere con comportamenti contrari alla buona fede oggettiva. E nella formula della mancanza di tutela, sta la finalità di impedire che possano essere conseguiti o conservati i vantaggi ottenuti - ed i diritti connessi - attraverso atti di per sè strutturalmente idonei, ma esercitati in modo da alterarne la funzione, violando la normativa di correttezzavalutazione discrezionale, che è regola cui l'ordinamento fa espresso richiamo nella disciplina dei rapporti riservata all'apprezzamento discrezionale del giudice di autonomia privata. Nel nostro codice merito e non esiste una norma che sanzioni, sindacabile in via generale, l'abuso del diritto. La cultura giuridica degli anni '30 fondava l'abuso del diritto, più che su di un principio giuridico, su di un concetto di natura etico morale, con la conseguenza che colui che ne abusava era considerato meritevole di biasimo, ma non di sanzione giuridica. Questo contesto culturale, unito alla preoccupazione per la certezza - o quantomeno prevedibilità del diritto -, in considerazione della grande latitudine di potere che una clausola generale, come quella dell'abuso del diritto, avrebbe attribuito al giudice, impedì che fosse trasfusa, nella stesura definitiva del codice civile italiano del 1942, quella norma del progetto preliminare (art. 7) che proclamava, in termini generali, che "nessuno può esercitare il proprio diritto in contrasto con lo scopo per il quale il diritto medesimo gli è stato riconosciuto" (così ponendosi l'ordinamento italiano in contrasto con altri ordinamenti, ad es. tedesco, svizzero e spagnolo); preferendo, invece, ad una norma di carattere generale, norme specifiche che consentissero di sanzionare l'abuso in relazione a particolari categorie di diritti. Ma, in un mutato contesto storico, culturale e giuridico, un problema di così pregnante rilevanza è stato oggetto di rimeditata attenzione da parte della Corte sede di legittimità (v. applicazioni del principio in Cass. 8.4.2009 n. 8481; Cass. 20.3.2009 n. 6800; Cass. 17.10.2008 n. 29776; Cass. 4.6.2008 n. 14759; Cass. 11.5.2007 n. 10838). Così, in materia societaria è stato sindacato, in una deliberazione assembleare di scioglimento della società, l'esercizio del diritto di voto sotto l'aspetto dell'abuso di potere, ritenendo principio generale del nostro ordinamento, anche al di fuori del campo societario, quello di non abusare dei propri diritti - con approfittamento di una posizione di supremazia - con l'imposizione, nelle delibere assembleari, alla maggioranza, di un vincolo desunto da una clausola generale quale la correttezza e buona fede (contrattuale). In questa ottica i soci debbono eseguire il contratto secondo buona fede e correttezza nei loro rapporti reciproci, ai sensi degli artt. 1175 e 1375 c.c., la cui funzione è integrativa Sez. 1, n. 24684 del contratto sociale04/11/2013; Sez. 2, nel senso di imporre il rispetto degli equilibri degli interessi di cui le parti sono portatrici. E la conseguenza è quella della invalidità della delibera, se è raggiunta la prova che il potere di voto sia stato esercitato allo scopo di ledere gli interessi degli altri soci, ovvero risulti in concreto preordinato ad avvantaggiare ingiustificatamente i soci di maggioranza in danno di quelli di minoranza, in violazione n. 4696 del canone generale di buona fede nell'esecuzione del contratto (x. Xxxx. 11.6.2003 n. 935312/05/1999). Con il rilievo che tale canone generale non impone ai soggetti un comportamento a contenuto prestabilito, ma rileva soltanto come limite esterno all'esercizio di una pretesa, essendo finalizzato al contemperamento degli opposti interessi (Cass. 12.12.2005 n. 27387). Ancora, sempre nell'ambito societario, la materia dell'abuso del diritto è stata esaminata con riferimento alla qualità di socio ed all'adempimento secondo buona fede delle obbligazioni societarie ai fini della sua esclusione dalla società (Cass. 19.12.2008 n. 29776), ed al fenomeno dell'abuso della personalità giuridica quando essa costituisca uno schermo formale per eludere la più rigida applicazione della legge (v. anche Cass. 25.1.2000 n. 804; Cass. 16.5.2007 n. 11258). In tal caso, proprio richiamando l'abuso, ne sarà possibile, per così dire, il suo "disvelamento" (piercing the corporate veil). Nell'ambito, poi, dei rapporti bancari è stato più volte riconosciuto che, in ossequio al principio per cui il contratto deve essere eseguito secondo buona fede (art. 1375 cod. civ.), non può escludersi che il recesso di una banca dal rapporto di apertura di credito, benchè pattiziamente consentito anche in difetto di giusta causa, sia da considerarsi illegittimo ove in concreto assuma connotati del tutto imprevisti ed arbitrari (Cass. 21.5.1997 n. 4538; Cass. 14.7.2000 n. 9321; Cass. 21.2.2003 n. 2642). E, con riferimento ai rapporti di conto corrente, è stato ritenuto che, in presenza di una clausola negoziale che, nel regolare tali rapporti, consenta all'istituto di credito di operare la compensazione tra i saldi attivi e passivi dei diversi conti intrattenuti dal medesimo correntista, in qualsiasi momento, senza obbligo di preavviso, la contestazione sollevata dal cliente che, a fronte della intervenuta operazione di compensazione, lamenti di non esserne stato prontamente informato e di essere andato incontro, per tale motivo, a conseguenze pregiudizievoli, impone al giudice di merito di valutare il comportamento della banca alla stregua del fondamentale principio della buona fede nella esecuzione del contratto. Con la conseguenza, in caso contrario, del riconoscimento a carico della banca, di una responsabilità per risarcimento dei danni (Cass. 28.9.2005 n. 18947). In materia contrattuale, poi, gli stessi principii sono stati applicati, in particolare, con riferimento al contratto di mediazione (Cass. 5.3.2009 n. 5348), al contratto di sale and lease back connesso al divieto di patto commissorio ex art. 2744 c.c., (Cass. 16.10.1995 n. 10805; Cass. 26.6.2001 n. 8742; Cass. 22.3.2007 n. 6969; Cass. 8.4.2009 n. 8481), ed al contratto autonomo di garanzia ed exceptio doli (Cass. 1.10.1999 n. 10864; cass. 28.7.2004 n. 14239; Cass. 7.3.2007 n. 5273). Del principio dell'abuso del diritto è stato, da ultimo, fatto frequente uso in materia tributaria, fondandolo sul riconoscimento dell'esistenza di un generale principio antielusivo (v. per tutte S.U. 23.10.2008 nn. 30055, 30056, 30057). Il breve excursus esemplificativo consente, quindi, di ritenere ormai acclarato che anche il principio dell'abuso del diritto è uno dei criteri di selezione, con riferimento al quale esaminare anche i rapporti negoziali che nascono da atti di autonomia privata, e valutare le condotte che, nell'ambito della formazione ed esecuzione degli stessi, le parti contrattuali adottano. Deve, con ciò, pervenirsi a questa conclusione. Oggi, i principii della buona fede oggettiva, e dell'abuso del diritto, debbono essere selezionati e rivisitati alla luce dei principi costituzionali - funzione sociale ex art. 42 Cost. - e della stessa qualificazione dei diritti soggettivi assoluti. In questa prospettiva i due principii si integrano a vicenda, costituendo la buona fede un canone generale cui ancorare la condotta delle parti, anche di un rapporto privatistico e l'interpretazione dell'atto giuridico di autonomia privata e, prospettando l'abuso, la necessità di una correlazione tra i poteri conferiti e lo scopo per i quali essi sono conferiti. Qualora la finalità perseguita non sia quella consentita dall'ordinamento, si avrà abuso. In questo caso il superamento dei limiti interni o di alcuni limiti esterni del diritto ne determinerà il suo abusivo esercizio. Alla luce di tali principii e considerazioni svolte deve, ora, esaminarsi la sentenza, in questa sede, impugnata. La struttura argomentativa della sentenza si sviluppa secondo i seguenti passaggi logici:

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Samples: Simulazione Del Prezzo Dell’immobile

Motivi della decisione. Preliminarmente, i ricorsi - principale ed incidentale - vanno riuniti ai sensi dell'art. 335 c.p.c.. Ricorso principale. (OMISSIS) Con il secondo primo motivo denunciano il ricorrente ha prospettato la violazione e e/o falsa applicazione delle clausole generali del X.X. 00 novembre 1923, n. 2440, artt. 16 e 17 nonchè la insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della buona fedecontroversia, ed in particolare sulla pretesa insindacabilità degli atti di autonomia privata e della conseguente non applicabilità della figura dell'abuso del diritto all'esercizio del recesso ad nutum (artrelazione all'art. 360 c.p.c., n. 3comma 1, in relazione agli arttnn. 1175 3 e 1375 c.c.). Con il terzo motivo denunciano la violazione e falsa applicazione dell'art. 2043 c.c.; contraddittorietà della motivazione sul punto (art. 360 c.p.c., n. 5). Con il quarto motivo denunciano la violazione e falsa applicazione delle disposizioni sull'agenzia ed errata valutazione della giurisprudenza tedesca in materia (art. 360 c.p.c., n. 3). Il secondo, terzo e quarto motivo, investendo profili ricorrente deduce che si presentano connessi in ordine alle questioni prospettate, vanno esaminati congiuntamente. Essi sono fondati, nei limiti di cui in motivazione, per le ragioni che seguono. Costituiscono principii generali del diritto delle obbligazioni quelli secondo cui erroneamente la parti di un rapporto contrattuale debbono comportarsi secondo le regole della correttezza (art. 1175 c.c.) e che l'esecuzione dei contratti debba avvenire secondo buona fede (art. 1375 c.c.). In tema di contratti, il principio della buona fede oggettiva, cioè della reciproca lealtà di condotta, deve presiedere all'esecuzione del contratto, così come alla sua formazione ed alla sua interpretazione ed, in definitiva, accompagnarlo in ogni sua fase (Cass. 5.3.2009 n. 5348; Cass. 11.6.2008 n. 15476). Ne consegue che la clausola generale di buona fede e correttezza è operante, tanto sul piano dei comportamenti del debitore e del creditore nell'ambito del singolo rapporto obbligatorio (art. 1175 cod. civ.), quanto sul piano del complessivo assetto di interessi sottostanti all'esecuzione del contratto (art. 1375 cod. civ.). I principii di buona fede e correttezza, del resto, sono entrati, nel tessuto connettivo dell'ordinamento giuridico. L'obbligo di buona fede oggettiva o correttezza costituisce, infatti, un autonomo dovere giuridico, espressione di un generale principio di solidarietà sociale, la cui costituzionalizzazione è ormai pacifica (v. in questo senso, fra le altre, Cass. 15.2.2007 n. 3462). Una volta collocato nel quadro dei valori introdotto dalla Carta costituzionale, poi, il principio deve essere inteso come una specificazione degli "inderogabili doveri di solidarietà sociale" imposti dall'art. 2 Cost., e la sua rilevanza si esplica nell'imporre, a ciascuna delle parti del rapporto obbligatorio, il dovere di agire in modo da preservare gli interessi dell'altra, a prescindere dall'esistenza di specifici obblighi contrattuali o di quanto espressamente stabilito da singole norme di legge. In questa prospettiva, si è pervenuti ad affermare corte territoriale avrebbe ritenuto che il criterio requisito della buona fede costituisce strumentoforma scritta, per il giudiceprescritto da R.D. n. 2440 del 1923, atto a controllaresarebbe soddisfatto solamente dalla sottoscrizione del disciplinare di incarico, anche in senso modificativo od integrativo, lo statuto negoziale, in funzione di garanzia del giusto equilibrio degli opposti interessi. La Relazione ministeriale essendo al codice civile, sul punto, così si esprimeva: (il contrario principio di correttezza e buona fede) "richiama nella sfera del creditore la considerazione dell'interesse del debitore e nella sfera del debitore il giusto riguardo all'interesse del creditore", operando, quindi, come un criterio di reciprocità. In sintesi, disporre di un potere non è condizione sufficiente di un suo legittimo esercizio se, nella situazione data, la patologia del rapporto può essere superata facendo ricorso a rimedi che incidono sugli interessi contrapposti in modo più proporzionato. In questa ottica la clausola generale della buona fede ex artt. 1175 e 1375 c.c. è stata utilizzata, anche nell'ambito dei diritti di credito, per scongiurare, per es. gli abusi di posizione dominante. La buona fede, in sostanza, serve a mantenere il rapporto giuridico nei binari dell'equilibrio e della proporzione. Criterio rivelatore della violazione dell'obbligo di buona fede oggettiva è assolutamente consolidato quello dell'abuso del diritto. Gli elementi costitutivi dell'abuso del diritto - ricostruiti attraverso l'apporto dottrinario e giurisprudenziale - sono i seguenti: 1) la titolarità di un diritto soggettivo in capo ad un soggetto; 2) la possibilità che il concreto esercizio di quel diritto possa essere effettuato secondo una pluralità di modalità non rigidamente predeterminate; 3) la circostanza che tale esercizio concreto, anche se formalmente rispettoso della cornice attributiva di quel diritto, sia svolto secondo modalità censurabili rispetto ad un criterio di valutazione, giuridico od extragiuridico; 4) la circostanza che, a causa di una tale modalità di esercizio, si verifichi una sproporzione ingiustificata tra il beneficio del titolare del diritto ed il sacrifico cui è soggetta la controparte. L'abuso del diritto, quindi, lungi dal presupporre una violazione in senso formale, delinea l'utilizzazione alterata dello schema formale del diritto, finalizzata al conseguimento di obiettivi ulteriori e diversi rispetto a quelli indicati dal Legislatore. E' ravvisabile, in sostanza, quando, nel collegamento tra il potere di autonomia conferito al soggetto ed il suo atto di esercizio, risulti alterata la funzione obiettiva dell'atto rispetto al potere che lo prevede. Come conseguenze di tale, eventuale abuso, l'ordinamento pone una regola generale, nel senso di rifiutare la tutela ai poteri, diritti e interessi, esercitati in violazione delle corrette regole di esercizio, posti in essere con comportamenti contrari alla buona fede oggettiva. E nella formula della mancanza di tutela, sta la finalità di impedire che possano essere conseguiti o conservati i vantaggi ottenuti - ed i diritti connessi - attraverso atti di per sè strutturalmente idonei, ma esercitati in modo da alterarne la funzione, violando la normativa di correttezza, che è regola cui l'ordinamento fa espresso richiamo nella disciplina dei rapporti di autonomia privata. Nel nostro codice non esiste una norma che sanzioni, in via generale, l'abuso del diritto. La cultura giuridica degli anni '30 fondava l'abuso del diritto, più che su di un principio giuridico, su di un concetto di natura etico morale, con la conseguenza che colui che ne abusava era considerato meritevole di biasimo, ma non di sanzione giuridica. Questo contesto culturale, unito alla preoccupazione per la certezza - o quantomeno prevedibilità del diritto -, in considerazione della grande latitudine di potere che una clausola generale, come quella dell'abuso del diritto, avrebbe attribuito al giudice, impedì che fosse trasfusa, nella stesura definitiva del codice civile italiano del 1942, quella norma del progetto preliminare (art. 7) che proclamava, in termini generali, che "nessuno può esercitare il proprio diritto in contrasto con lo scopo per il quale il diritto medesimo gli requisito della forma scritta potrebbe essere integrato senza contestualità delle sottoscrizioni delle parti. Il motivo non merita accoglimento. Per il contratto d'opera professionale, quando ne sia parte una pubblica amministrazione e pur ove questa agisca iure privatorum, è stato riconosciuto" (così ponendosi l'ordinamento italiano in contrasto con altri ordinamentiinfatti, ad es. tedesco, svizzero e spagnolo); preferendo, invece, ad una norma di carattere generale, norme specifiche che consentissero di sanzionare l'abuso in relazione a particolari categorie di diritti. Marichiesta, in un mutato contesto storicoottemperanza al disposto del X.X. 00 novembre 1923, culturale n. 2240, artt. 16 e giuridico17 come per ogni altro contratto stipulato dalla pubblica amministrazione stessa, un problema la forma scritta ad substantiam, che è strumento di così pregnante rilevanza è stato oggetto garanzia del regolare svolgimento dell'attività amministrativa nell'interesse sia del cittadino, costwitwuwe.ncodmopararzeiomneodirriattociavdile.itarbitrii, sia della collettività, agevolando l'espletamento della funzione di rimeditata attenzione controllo, ed è, quindi, espressione dei principi d'imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione posti dall'art. 97 Cost.; pertanto, il contratto deve tradursi, a pena di nullità, nella redazione d'un apposito documento, recante la sottoscrizione del professionista e del titolare dell'organo attributario del potere di rappresentare l'Ente interessato nei confronti dei terzi, dal quale possa desumersi la concreta instaurazione del rapporto con le indispensabili specifiche e puntuali determinazioni in ordine sia alla prestazione da parte della Corte di legittimità rendere sia al compenso da corrispondere (v. applicazioni del principio in e pluribus, Cass. 8.4.2009 17.5.2010 n. 848112032; Cass. 20.3.2009 1.4.2010 n. 68008000; Cass. 17.10.2008 SU. 22.3.2010 n. 297766827; Cass. 4.6.2008 26.10.2007 n. 1475922537; Cass. 11.5.2007 26.1.2007 n. 10838). Così, in materia societaria è stato sindacato, in una deliberazione assembleare di scioglimento della società, l'esercizio del diritto di voto sotto l'aspetto dell'abuso di potere, ritenendo principio generale del nostro ordinamento, anche al di fuori del campo societario, quello di non abusare dei propri diritti - con approfittamento di una posizione di supremazia - con l'imposizione, nelle delibere assembleari, alla maggioranza, di un vincolo desunto da una clausola generale quale la correttezza e buona fede (contrattuale). In questa ottica i soci debbono eseguire il contratto secondo buona fede e correttezza nei loro rapporti reciproci, ai sensi degli artt. 1175 e 1375 c.c., la cui funzione è integrativa del contratto sociale, nel senso di imporre il rispetto degli equilibri degli interessi di cui le parti sono portatrici. E la conseguenza è quella della invalidità della delibera, se è raggiunta la prova che il potere di voto sia stato esercitato allo scopo di ledere gli interessi degli altri soci, ovvero risulti in concreto preordinato ad avvantaggiare ingiustificatamente i soci di maggioranza in danno di quelli di minoranza, in violazione del canone generale di buona fede nell'esecuzione del contratto (x. Xxxx. 11.6.2003 n. 9353). Con il rilievo che tale canone generale non impone ai soggetti un comportamento a contenuto prestabilito, ma rileva soltanto come limite esterno all'esercizio di una pretesa, essendo finalizzato al contemperamento degli opposti interessi (Cass. 12.12.2005 n. 27387). Ancora, sempre nell'ambito societario, la materia dell'abuso del diritto è stata esaminata con riferimento alla qualità di socio ed all'adempimento secondo buona fede delle obbligazioni societarie ai fini della sua esclusione dalla società (Cass. 19.12.2008 n. 29776), ed al fenomeno dell'abuso della personalità giuridica quando essa costituisca uno schermo formale per eludere la più rigida applicazione della legge (v. anche Cass. 25.1.2000 n. 8041752; Cass. 16.5.2007 19.10.2006 n. 11258). In tal caso, proprio richiamando l'abuso, ne sarà possibile, per così dire, il suo "disvelamento" (piercing the corporate veil). Nell'ambito, poi, dei rapporti bancari è stato più volte riconosciuto che, in ossequio al principio per cui il contratto deve essere eseguito secondo buona fede (art. 1375 cod. civ.), non può escludersi che il recesso di una banca dal rapporto di apertura di credito, benchè pattiziamente consentito anche in difetto di giusta causa, sia da considerarsi illegittimo ove in concreto assuma connotati del tutto imprevisti ed arbitrari (Cass. 21.5.1997 n. 453822501; Cass. 14.7.2000 n. 9321; Cass. 21.2.2003 n. 2642). E, con riferimento ai rapporti di conto corrente, è stato ritenuto che, in presenza di una clausola negoziale che, nel regolare tali rapporti, consenta all'istituto di credito di operare la compensazione tra i saldi attivi e passivi dei diversi conti intrattenuti dal medesimo correntista, in qualsiasi momento, senza obbligo di preavviso, la contestazione sollevata dal cliente che, a fronte della intervenuta operazione di compensazione, lamenti di non esserne stato prontamente informato e di essere andato incontro, per tale motivo, a conseguenze pregiudizievoli, impone al giudice di merito di valutare il comportamento della banca alla stregua del fondamentale principio della buona fede nella esecuzione del contratto. Con la conseguenza, in caso contrario, del riconoscimento a carico della banca, di una responsabilità per risarcimento dei danni (Cass. 28.9.2005 n. 18947). In materia contrattuale, poi, gli stessi principii sono stati applicati, in particolare, con riferimento al contratto di mediazione (Cass. 5.3.2009 n. 5348), al contratto di sale and lease back connesso al divieto di patto commissorio ex art. 2744 c.c., (Cass. 16.10.1995 n. 10805; Cass. 26.6.2001 n. 8742; Cass. 22.3.2007 n. 6969; Cass. 8.4.2009 n. 8481), ed al contratto autonomo di garanzia ed exceptio doli (Cass. 1.10.1999 n. 10864; cass. 28.7.2004 n. 14239; Cass. 7.3.2007 n. 5273). Del principio dell'abuso del diritto è stato, da ultimo, fatto frequente uso in materia tributaria, fondandolo sul riconoscimento dell'esistenza di un generale principio antielusivo (v. per tutte S.U. 23.10.2008 nn. 30055, 30056, 30057). Il breve excursus esemplificativo consente, quindi, di ritenere ormai acclarato che anche il principio dell'abuso del diritto è uno dei criteri di selezione, con riferimento al quale esaminare anche i rapporti negoziali che nascono da atti di autonomia privata, e valutare le condotte che, nell'ambito della formazione ed esecuzione degli stessi, le parti contrattuali adottano. Deve, con ciò, pervenirsi a questa conclusione. Oggi, i principii della buona fede oggettiva, e dell'abuso del diritto, debbono essere selezionati e rivisitati alla luce dei principi costituzionali - funzione sociale ex art. 42 Cost. - e della stessa qualificazione dei diritti soggettivi assoluti. In questa prospettiva i due principii si integrano a vicenda, costituendo la buona fede un canone generale cui ancorare la condotta delle parti, anche di un rapporto privatistico e l'interpretazione dell'atto giuridico di autonomia privata e, prospettando l'abuso, la necessità di una correlazione tra i poteri conferiti e lo scopo per i quali essi sono conferiti. Qualora la finalità perseguita non sia quella consentita dall'ordinamento, si avrà abuso. In questo caso il superamento dei limiti interni o di alcuni limiti esterni del diritto ne determinerà il suo abusivo esercizio. Alla luce di tali principii e considerazioni svolte deve, ora, esaminarsi la sentenza, in questa sede, impugnata. La struttura argomentativa della sentenza si sviluppa secondo i seguenti passaggi logici:

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Samples: Contratto d'Opera Professionale

Motivi della decisione. PreliminarmenteIl ricorso è soggetto alla disciplina di cui al D.Lgs. n. 40 del 2006, con riferimento, in particolare, all’art. 366-bis c.p.c., trattandosi di provvedimento depositato nella vi- genza della normativa richiamata. I quesiti rispettano i ricorsi - principale ed incidentale - vanno riuniti ai sensi dell'artrequisiti prescritti da tale norma. 335 Con il primo motivo i ricorrenti denunciano la violazio- ne e falsa applicazione dell’art. 000 x.x.x., xxxxxx xxxx- xx motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio: art. 360 c.p.c.. Ricorso principale., nn. (OMISSIS) 3 e 5. Con il secondo motivo denunciano si denuncia la violazione e falsa applicazione delle clausole generali della buona fededell’art. 112 c.p.c., ed in particolare sulla pretesa insindacabilità e degli artt. 1469 bis, 1469 ter x.x. x xxxx., (xxxx xxxxxxxx xxx xxxxxx xxx xxxxx- xx), nonché del principio di diritto secondo cui la fatti- specie del collegamento del contratto negoziale è confi- gurabile anche quando i singoli atti di autonomia privata siano stati stipulati tra soggetti diversi, purché essi risultino concepiti e della conseguente non applicabilità della figura dell'abuso del diritto all'esercizio del recesso ad nutum (volu- ti come funzionalmente connessi e tra loro interdipen- denti, onde consentire il raggiungimento dello scopo di- visato dalle parti: art. 360 c.p.c., n. 3, . Insufficiente o con- traddittoria motivazione in relazione agli artt. 1175 e 1375 c.c.). Con il terzo motivo denunciano la violazione e falsa applicazione dell'art. 2043 c.c.; contraddittorietà ordine ad un punto decisivo della motivazione sul punto (controversia: art. 360 c.p.c., n. 5). Con il quarto terzo motivo denunciano si denuncia la violazione omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e falsa applicazione delle disposizioni sull'agenzia ed errata valutazione della giurisprudenza tedesca in materia (decisivo per il giudizio: art. 360 c.p.c., n. 3)5. Il secondoI motivi, terzo e quarto motivoper l’intima connessione delle censure con gli stessi svolte, investendo profili che si presentano connessi in ordine alle questioni prospettate, vanno sono esaminati congiuntamente. Essi sono fondati, nei limiti di cui in motivazione, fondati per le ragioni e nei termini che seguono. Costituiscono principii generali La Corte di merito, nel rigettare l’appello proposto dagli odierni ricorrenti fondato sulla mancata declaratoria di risoluzione - da parte del diritto primo giudice - oltre che del contratto di compravendita, anche del contratto di mu- tuo, per la nullità delle obbligazioni quelli secondo relative clausole, vessatorie e con- trarie a buona fede, ha ritenuto che «non può condivi- dersi l’assunto degli appellanti, in quanto non si ravvisa la dedotta nullità delle clausole del contratto di mutuo, che fanno salva l’obbligazione della mutuataria C. anche nell’ipotesi di mancata consegna del bene da parte del venditore». Ed ha aggiunto: «Non rientra infatti tale previsione in al- cuna delle ipotesi di vessatorietà delle clausole indicate dall’appellante, perché il rapporto di cui si controverte è quello tra la C. e la Findomestic, diverso, sebbene colle- gato rispetto a quello di compravendita intervenuto tra la Tontini Auto e il L.». Le conclusioni, cui è pervenuta la Corte di merito, non sono condivisibili. La Corte d’Appello ha valutato i due contratti - di com- pravendita e di mutuo - ritenendo l’autonomia del rap- porto intercorso fra la mutuataria e la società finanziatri- ce rispetto a quello relativo al contratto di compravendi- ta, affermando che fosse “diverso sebbene collegato”. Nulla ha detto, invece, circa un potenziale collegamento negoziale rivendicato dagli attuali ricorrenti nella specie. A tal fine debbono premettersi alcune considerazioni in tema di collegamento negoziale. Il collegamento negoziale - espressione dell’autonomia contrattuale prevista dall’art. 1322 c.c. - è un meccani- smo attraverso il quale le parti di perseguono un rapporto contrattuale debbono comportarsi secondo le regole della correttezza (art. 1175 c.c.) risultato economico complesso, che viene realizzato, non attraver- so un autonomo e che l'esecuzione dei contratti debba avvenire secondo buona fede (art. 1375 c.c.). In tema nuovo contratto, ma attraverso una pluralità coordinata di contratti, il principio della buona fede oggettiva, cioè della reciproca lealtà di condotta, deve presiedere all'esecuzione del contratto, così come alla sua formazione ed alla sua interpretazione ed, in definitiva, accompagnarlo in ogni sua fase (Cass. 5.3.2009 n. 5348; Cass. 11.6.2008 n. 15476). Ne consegue che la clausola generale di buona fede e correttezza è operante, tanto sul piano dei comportamenti del debitore e del creditore nell'ambito del singolo rapporto obbligatorio (art. 1175 cod. civ.), quanto sul piano del complessivo assetto di interessi sottostanti all'esecuzione del contratto (art. 1375 cod. civ.). I principii di buona fede e correttezza, del resto, sono entrati, nel tessuto connettivo dell'ordinamento giuridico. L'obbligo di buona fede oggettiva o correttezza costituisce, infatti, un autonomo dovere giuridico, espressione di un generale principio di solidarietà sociale, la cui costituzionalizzazione è ormai pacifica (v. in questo senso, fra le altre, Cass. 15.2.2007 n. 3462). Una volta collocato nel quadro dei valori introdotto dalla Carta costituzionale, poi, il principio deve essere inteso come i quali conservano una specificazione degli "inderogabili doveri di solidarietà sociale" imposti dall'art. 2 Cost., e la sua rilevanza si esplica nell'imporre, a ciascuna delle parti del rapporto obbligatorio, il dovere di agire in modo da preservare gli interessi dell'altra, a prescindere dall'esistenza di specifici obblighi contrattuali o di quanto espressamente stabilito da singole norme di legge. In questa prospettiva, si è pervenuti ad affermare che il criterio della buona fede costituisce strumento, per il giudice, atto a controllare, anche in senso modificativo od integrativo, lo statuto negoziale, in funzione di garanzia del giusto equilibrio degli opposti interessi. La Relazione ministeriale al codice civile, sul punto, così si esprimeva: (il principio di correttezza e buona fede) "richiama nella sfera del creditore la considerazione dell'interesse del debitore e nella sfera del debitore il giusto riguardo all'interesse del creditore", operando, quindi, come un criterio di reciprocità. In sintesi, disporre di un potere non è condizione sufficiente di un suo legittimo esercizio se, nella situazione data, la patologia del rapporto può essere superata facendo ricorso a rimedi che incidono sugli interessi contrapposti in modo più proporzionato. In questa ottica la clausola generale della buona fede ex artt. 1175 e 1375 c.c. è stata utilizzata, anche nell'ambito dei diritti di credito, per scongiurare, per es. gli abusi di posizione dominante. La buona fede, in sostanza, serve a mantenere il rapporto giuridico nei binari dell'equilibrio e della proporzione. Criterio rivelatore della violazione dell'obbligo di buona fede oggettiva è quello dell'abuso del diritto. Gli elementi costitutivi dell'abuso del diritto - ricostruiti attraverso l'apporto dottrinario e giurisprudenziale - sono i seguenti: 1) la titolarità di un diritto soggettivo in capo ad un soggetto; 2) la possibilità che il concreto esercizio di quel diritto possa essere effettuato secondo una pluralità di modalità non rigidamente predeterminate; 3) la circostanza che tale esercizio concretoloro causa autonoma, anche se formalmente rispettoso della cornice attributiva di quel dirittociascuno è concepito, sia svolto secondo modalità censurabili rispetto fun- zionalmente e teleologicamente, come collegato con gli altri, cosicché le vicende che investono un contratto pos- sono ripercuotersi sull’altro. Ciò che vuoi dire che, pur conservando una loro causa autonoma, i diversi contratti legati dal loro collegamento funzionale sono finalizzati ad un criterio di valutazione, giuridico od extragiuridico; 4) la circostanza che, a causa di una tale modalità di esercizio, si verifichi una sproporzione ingiustificata tra il beneficio del titolare del diritto ed il sacrifico cui è soggetta la controparte. L'abuso del diritto, quindi, lungi dal presupporre una violazione in senso formale, delinea l'utilizzazione alterata dello schema formale del diritto, finalizzata al conseguimento di obiettivi ulteriori e diversi rispetto a quelli indicati dal Legislatore. E' ravvisabile, in sostanza, quando, nel collegamento tra il potere di autonomia conferito al soggetto ed il suo atto di esercizio, risulti alterata la funzione obiettiva dell'atto rispetto al potere che lo prevede. Come conseguenze di tale, eventuale abuso, l'ordinamento pone una regola generale, nel senso di rifiutare la tutela ai poteri, diritti e interessi, esercitati in violazione delle corrette regole di esercizio, posti in essere con comportamenti contrari alla buona fede oggettiva. E nella formula della mancanza di tutela, sta la finalità di impedire che possano essere conseguiti o conservati i vantaggi ottenuti - ed i diritti connessi - attraverso atti di per sè strutturalmente idonei, ma esercitati in modo da alterarne la funzione, violando la normativa di correttezza, che è regola cui l'ordinamento fa espresso richiamo nella disciplina unico regolamento dei rapporti di autonomia privata. Nel nostro codice non esiste una norma che sanzioni, in via generale, l'abuso del diritto. La cultura giuridica degli anni '30 fondava l'abuso del diritto, più che su di un principio giuridico, su di un concetto di natura etico morale, con la conseguenza che colui che ne abusava era considerato meritevole di biasimo, ma non di sanzione giuridica. Questo contesto culturale, unito alla preoccupazione per la certezza - o quantomeno prevedibilità del diritto -, in considerazione della grande latitudine di potere che una clausola generale, come quella dell'abuso del diritto, avrebbe attribuito al giudice, impedì che fosse trasfusa, nella stesura definitiva del codice civile italiano del 1942, quella norma del progetto preliminare (art. 7) che proclamava, in termini generali, che "nessuno può esercitare il proprio diritto in contrasto con lo scopo per il quale il diritto medesimo gli è stato riconosciuto" (così ponendosi l'ordinamento italiano in contrasto con altri ordinamenti, ad es. tedesco, svizzero e spagnolo); preferendo, invece, ad una norma di carattere generale, norme specifiche che consentissero di sanzionare l'abuso in relazione a particolari categorie di diritti. Ma, in un mutato contesto storico, culturale e giuridico, un problema di così pregnante rilevanza è stato oggetto di rimeditata attenzione da parte della Corte di legittimità (v. applicazioni del principio in Cass. 8.4.2009 n. 8481; Cass. 20.3.2009 n. 6800; Cass. 17.10.2008 n. 29776; Cass. 4.6.2008 n. 14759; Cass. 11.5.2007 n. 10838). Così, in materia societaria è stato sindacato, in una deliberazione assembleare di scioglimento della società, l'esercizio del diritto di voto sotto l'aspetto dell'abuso di potere, ritenendo principio generale del nostro ordinamento, anche al di fuori del campo societario, quello di non abusare dei propri diritti - con approfittamento di una posizione di supremazia - con l'imposizione, nelle delibere assembleari, alla maggioranza, di un vincolo desunto da una clausola generale quale la correttezza e buona fede (contrattuale). In questa ottica i soci debbono eseguire il contratto secondo buona fede e correttezza nei loro rapporti reciproci, ai sensi degli artt. 1175 e 1375 c.c., la cui funzione è integrativa del contratto sociale, nel senso di imporre il rispetto degli equilibri degli reciproci interessi di cui le parti sono portatrici. E la conseguenza è quella della invalidità della delibera, se è raggiunta la prova che il potere di voto sia stato esercitato allo scopo di ledere gli interessi degli altri soci, ovvero risulti in concreto preordinato ad avvantaggiare ingiustificatamente i soci di maggioranza in danno di quelli di minoranza, in violazione del canone generale di buona fede nell'esecuzione del contratto (x. Xxxx. 11.6.2003 n. 9353). Con il rilievo che tale canone generale non impone ai soggetti un comportamento a contenuto prestabilito, ma rileva soltanto come limite esterno all'esercizio di una pretesa, essendo finalizzato al contemperamento degli opposti interessi (Cass. 12.12.2005 n. 27387). Ancora, sempre nell'ambito societario, la materia dell'abuso del diritto è stata esaminata con riferimento alla qualità di socio ed all'adempimento secondo buona fede delle obbligazioni societarie ai fini della sua esclusione dalla società (Cass. 19.12.2008 n. 29776), ed al fenomeno dell'abuso della personalità giuridica quando essa costituisca uno schermo formale per eludere la più rigida applicazione della legge (v. anche Cass. 25.1.2000 10 luglio 2008 n. 804; Cass. 16.5.2007 n. 1125818884). In tal casoPerché possa configurarsi un collegamento negoziale in senso tecnico - che impone la considerazione unitaria della fattispecie - sono quindi necessari due requisiti. Il primo è quello oggettivo, proprio richiamando l'abusocostituito dal nesso teleologi- co tra i negozi, ne sarà possibilefinalizzati alla regolamentazione degli in- teressi reciproci delle parti nell’ambito di una finalità pratica consistente in un assetto economico globale ed unitario. Il secondo è quello soggettivo, per così dire, il suo "disvelamento" (piercing the corporate veil). Nell'ambito, poi, dei rapporti bancari è stato più volte riconosciuto che, in ossequio al principio per cui il contratto deve essere eseguito secondo buona fede (art. 1375 cod. civ.)costituito dal comune in- tento pratico delle parti di volere, non può escludersi che il recesso di una banca dal rapporto di apertura di credito, benchè pattiziamente consentito anche in difetto di giusta causa, sia da considerarsi illegittimo ove solo l’effetto tipi- co dei singoli negozi in concreto assuma connotati del tutto imprevisti ed arbitrari (Cassposti in essere, ma anche il coordinamento tra di essi per la realizzazione. 21.5.1997 n. 4538; Cass. 14.7.2000 n. 9321; Cass. 21.2.2003 n. 2642). E, con riferimento ai rapporti di conto corrente, è stato ritenuto che, in presenza di una clausola negoziale che, nel regolare tali rapporti, consenta all'istituto di credito di operare la compensazione tra i saldi attivi e passivi dei diversi conti intrattenuti dal medesimo correntista, in qualsiasi momento, senza obbligo di preavviso, la contestazione sollevata dal cliente che, a fronte della intervenuta operazione di compensazione, lamenti di non esserne stato prontamente informato e di essere andato incontro, per tale motivo, a conseguenze pregiudizievoli, impone al giudice di merito di valutare il comportamento della banca alla stregua del fondamentale principio della buona fede nella esecuzione del contratto. Con la conseguenza, in caso contrario, del riconoscimento a carico della banca, di una responsabilità per risarcimento dei danni (Cass. 28.9.2005 n. 18947). In materia contrattuale, poi, gli stessi principii sono stati applicati, in particolare, con riferimento al contratto di mediazione (Cass. 5.3.2009 n. 5348), al contratto di sale and lease back connesso al divieto di patto commissorio ex art. 2744 c.c., (Cass. 16.10.1995 n. 10805; Cass. 26.6.2001 n. 8742; Cass. 22.3.2007 n. 6969; Cass. 8.4.2009 n. 8481), ed al contratto autonomo di garanzia ed exceptio doli (Cass. 1.10.1999 n. 10864; cass. 28.7.2004 n. 14239; Cass. 7.3.2007 n. 5273). Del principio dell'abuso del diritto è stato, da ultimo, fatto frequente uso in materia tributaria, fondandolo sul riconoscimento dell'esistenza di un generale principio antielusivo fine ulteriore, che ne trascende gli effetti tipici e che assume una propria autonomia anche dal punto di vista causale (v. per tutte S.U. 23.10.2008 nnXxxx. 3005517 maggio 2010, 30056n. 11974; Cass. 16 marzo 2006, 30057n. 5851). Il breve excursus esemplificativo consenteSul piano processuale, quindipoi, l’accertamento della natura, entità, modalità e conseguenze del collegamento nego- ziale realizzato dalle parti rientra nei compiti esclusivi del giudice di ritenere ormai acclarato che anche il principio dell'abuso del diritto merito; ma un tale apprezzamento non è uno dei criteri sinda- cabile in sede di selezionelegittimità, con riferimento al quale esaminare anche i rapporti negoziali che nascono solo se sorretto da atti di autonomia privatamotiva- zione congrua ed immune da vizi logici e giuridici (v. per tutte Xxxx. 17 maggio 2010, e valutare le condotte che, nell'ambito della formazione ed esecuzione degli stessi, le parti contrattuali adottanon. 11974). Deve, con ciò, pervenirsi a questa conclusione. Oggi, i principii della buona fede oggettiva, e dell'abuso del diritto, debbono essere selezionati e rivisitati alla luce dei principi costituzionali - funzione sociale ex art. 42 Cost. - e della stessa qualificazione dei diritti soggettivi assoluti. In questa prospettiva i due principii si integrano a vicenda, costituendo la buona fede un canone generale cui ancorare la condotta delle parti, anche di un rapporto privatistico e l'interpretazione dell'atto giuridico di autonomia privata e, prospettando l'abusoNella specie, la necessità Corte di una correlazione tra i poteri conferiti merito, nell’affermare l’autono- mia dei due rapporti - quello di compravendita e lo scopo per i quali essi sono conferiti. Qualora la finalità perseguita quello di mutuo “diverso sebbene collegato” - non sia quella consentita dall'ordinamentoha considerato, si avrà abuso. In questo caso il superamento dei limiti interni o di alcuni limiti esterni del diritto ne determinerà il suo abusivo esercizio. Alla luce di tali principii e considerazioni svolte deve, ora, esaminarsi la sentenza, né messo in questa sede, impugnata. La struttura argomentativa della sentenza si sviluppa secondo i rilievo le seguenti passaggi logicicircostanze:

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Motivi della decisione. Preliminarmente, Entrambi i ricorsi - principale ed incidentale - vanno riuniti ai sensi dell'artsono articolati in quattro motivi di analogo contenuto. 335 c.p.c.. Ricorso principale. (OMISSIS) Con Si deduce con il secondo primo motivo denunciano la violazione e falsa applicazione delle clausole generali della buona fede, ed in particolare sulla pretesa insindacabilità degli atti di autonomia privata e della conseguente non applicabilità della figura dell'abuso del diritto all'esercizio del recesso ad nutum (art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione agli artt. 1175 112 e 1375 c.c.)421 c.p.c. nonché dell'art. 18 l. n. 300 del 1970 per essere la Corte territoriale incorsa nel vizio di extrapetizione, giungendo a condannare di ufficio l'ente pubblico al risarcimento del danno benché il lavoratore non avesse proposto domanda risarcitoria ai sensi del d.lgs. n. 165 del 2001, non fosse configurabile nella specie un licenziamento e, di conseguenza, non fosse applicabile la disciplina di cui all'art. 18 l. n. 300 del 1970. Con il terzo secondo motivo denunciano è anche censurata la violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 114 c.p.c. nonché degli artt. 1226 e 2697 c.c., per essere la Corte territoriale incorsa nel vizio di extrapetizione, giungendo a condannare di ufficio l'ente pubblico al risarcimento del danno liquidato in via equitativa in assenza di domanda delle parti ex artt. 114 c.p.c. ovvero di liquidazione ai sensi dell'art. 2043 1226 c.c.. e comunque in assenza di domanda risarcitoria del lavoratore ai sensi del d.lgs. n. 165 del 2001 e di benché minima allegazione e prova del danno subito; contraddittorietà della motivazione sul punto (art. 360 c.p.c., n. 5). Con il quarto terzo motivo denunciano è dedotta la violazione e falsa applicazione delle disposizioni sull'agenzia ed errata valutazione della giurisprudenza tedesca in materia (artdegli artt. 360 112 e 113 c.p.c., in relazione al d.lgs. n. 3). Il secondo, terzo e quarto motivo, investendo profili che si presentano connessi in ordine alle questioni prospettate, vanno esaminati congiuntamente. Essi sono fondati, nei limiti di cui in motivazione165 del 2001, per avere la Corte territoriale violato le ragioni citate norme liquidando di ufficio un danno in via di equità senza specifica domanda in tal senso e riconoscendo una somma maggiore del danno eventualmente sofferto, considerato che seguonoi lavoratori, dopo solo un mese dalla scadenza del termine impugnato, avevano trovato altra occupazione. Costituiscono principii generali del diritto delle obbligazioni quelli secondo cui Infine con il quarto motivo la parti ricorrente lamenta la contraddittoria motivazione della sentenza impugnata su un punto decisivo della controversia per avere la Corte di un rapporto contrattuale debbono comportarsi secondo le regole della correttezza (art. 1175 c.c.) e che l'esecuzione dei contratti debba avvenire secondo buona fede (art. 1375 c.c.). In tema di contratti, il principio della buona fede oggettiva, cioè della reciproca lealtà di condotta, deve presiedere all'esecuzione del contratto, così come alla sua formazione ed alla sua interpretazione ed, in definitiva, accompagnarlo in ogni sua fase (Cass. 5.3.2009 n. 5348; Cass. 11.6.2008 n. 15476). Ne consegue che la clausola generale di buona fede e correttezza è operante, tanto sul piano dei comportamenti del debitore e del creditore nell'ambito del singolo rapporto obbligatorio (art. 1175 cod. civ.), quanto sul piano del complessivo assetto di interessi sottostanti all'esecuzione del contratto (art. 1375 cod. civ.). I principii di buona fede e correttezza, del resto, sono entrati, nel tessuto connettivo dell'ordinamento giuridico. L'obbligo di buona fede oggettiva o correttezza costituisce, infatti, un autonomo dovere giuridico, espressione di un generale principio di solidarietà sociale, la cui costituzionalizzazione è ormai pacifica (v. in questo senso, fra le altre, Cass. 15.2.2007 n. 3462). Una volta collocato nel quadro dei valori introdotto dalla Carta costituzionale, poi, il principio deve essere inteso come una specificazione degli "inderogabili doveri di solidarietà sociale" imposti dall'art. 2 Cost., e la sua rilevanza si esplica nell'imporre, a ciascuna delle parti del rapporto obbligatorio, il dovere di agire in modo da preservare gli interessi dell'altra, a prescindere dall'esistenza di specifici obblighi contrattuali o di quanto espressamente stabilito da singole norme di legge. In questa prospettiva, si è pervenuti ad affermare che il criterio della buona fede costituisce strumento, per il giudice, atto a controllare, anche in senso modificativo od integrativo, lo statuto negoziale, in funzione di garanzia del giusto equilibrio degli opposti interessi. La Relazione ministeriale al codice civile, sul punto, così si esprimeva: (il principio di correttezza e buona fede) "richiama nella sfera del creditore la considerazione dell'interesse del debitore e nella sfera del debitore il giusto riguardo all'interesse del creditore", operando, quindi, come un criterio di reciprocità. In sintesi, disporre di un potere non è condizione sufficiente di un suo legittimo esercizio se, nella situazione data, la patologia del rapporto può essere superata facendo ricorso a rimedi che incidono sugli interessi contrapposti in modo più proporzionato. In questa ottica la clausola generale della buona fede ex artt. 1175 e 1375 c.c. è stata utilizzata, anche nell'ambito dei diritti di credito, per scongiurare, per es. gli abusi di posizione dominante. La buona fede, in sostanza, serve a mantenere il rapporto giuridico nei binari dell'equilibrio e della proporzione. Criterio rivelatore della violazione dell'obbligo di buona fede oggettiva è quello dell'abuso del diritto. Gli elementi costitutivi dell'abuso del diritto - ricostruiti attraverso l'apporto dottrinario e giurisprudenziale - sono i seguenti: 1) la titolarità di un diritto soggettivo in capo ad un soggetto; 2) la possibilità che il concreto esercizio di quel diritto possa essere effettuato secondo una pluralità di modalità non rigidamente predeterminate; 3) la circostanza che tale esercizio concreto, anche se formalmente rispettoso della cornice attributiva di quel diritto, sia svolto secondo modalità censurabili rispetto ad un criterio di valutazione, giuridico od extragiuridico; 4) la circostanza che, a causa di una tale modalità di esercizio, si verifichi una sproporzione ingiustificata tra il beneficio del titolare del diritto ed il sacrifico cui è soggetta la controparte. L'abuso del diritto, quindi, lungi dal presupporre una violazione in senso formale, delinea l'utilizzazione alterata dello schema formale del diritto, finalizzata al conseguimento di obiettivi ulteriori e diversi rispetto a quelli indicati dal Legislatore. E' ravvisabile, in sostanza, quando, nel collegamento tra il potere di autonomia conferito al soggetto ed il suo atto di esercizio, risulti alterata la funzione obiettiva dell'atto rispetto al potere che lo prevede. Come conseguenze di tale, eventuale abuso, l'ordinamento pone una regola generale, nel senso di rifiutare appello riconosciuto la tutela ai poteri, diritti e interessi, esercitati in violazione delle corrette regole di esercizio, posti in essere con comportamenti contrari alla buona fede oggettiva. E nella formula della mancanza di tutela, sta la finalità di impedire che possano essere conseguiti o conservati i vantaggi ottenuti - ed i diritti connessi - attraverso atti di per sè strutturalmente idonei, ma esercitati in modo da alterarne la funzione, violando la normativa di correttezza, che è regola cui l'ordinamento fa espresso richiamo nella disciplina dei rapporti di autonomia privata. Nel nostro codice non esiste una norma che sanzioni, in via generale, l'abuso del diritto. La cultura giuridica degli anni '30 fondava l'abuso del diritto, più che su di un principio giuridico, su di un concetto di natura etico morale, con la conseguenza che colui che ne abusava era considerato meritevole di biasimo, ma non di sanzione giuridica. Questo contesto culturale, unito alla preoccupazione per la certezza - o quantomeno prevedibilità del diritto -, in considerazione della grande latitudine di potere che una clausola generale, come quella dell'abuso del diritto, avrebbe attribuito al giudice, impedì che fosse trasfusa, nella stesura definitiva del codice civile italiano del 1942, quella norma del progetto preliminare (art. 7) che proclamava, in termini generali, che "nessuno può esercitare il proprio diritto in contrasto con lo scopo per il quale il diritto medesimo gli è stato riconosciuto" (così ponendosi l'ordinamento italiano in contrasto con altri ordinamenti, ad es. tedesco, svizzero e spagnolo); preferendo, invece, ad una norma di carattere generale, norme specifiche che consentissero di sanzionare l'abuso in relazione a particolari categorie di diritti. Ma, in un mutato contesto storico, culturale e giuridico, un problema di così pregnante rilevanza è stato oggetto di rimeditata attenzione da parte della Corte di legittimità (v. applicazioni del principio in Cass. 8.4.2009 n. 8481; Cass. 20.3.2009 n. 6800; Cass. 17.10.2008 n. 29776; Cass. 4.6.2008 n. 14759; Cass. 11.5.2007 n. 10838). Così, in materia societaria è stato sindacato, in una deliberazione assembleare di scioglimento della società, l'esercizio del diritto di voto sotto l'aspetto dell'abuso di potere, ritenendo principio generale del nostro ordinamento, anche al di fuori del campo societario, quello di non abusare dei propri diritti - con approfittamento di una posizione di supremazia - con l'imposizione, nelle delibere assembleari, alla maggioranza, di un vincolo desunto da una clausola generale quale la correttezza e buona fede (contrattuale). In questa ottica i soci debbono eseguire il contratto secondo buona fede e correttezza nei loro rapporti reciproci, ai sensi degli artt. 1175 e 1375 c.c., la cui funzione è integrativa del contratto sociale, nel senso di imporre il rispetto degli equilibri degli interessi di cui le parti sono portatrici. E la conseguenza è quella della invalidità della delibera, se è raggiunta la prova che il potere di voto sia stato esercitato allo scopo di ledere gli interessi degli altri soci, ovvero risulti in concreto preordinato ad avvantaggiare ingiustificatamente i soci di maggioranza in danno di quelli di minoranza, in violazione del canone generale di buona fede nell'esecuzione del contratto (x. Xxxx. 11.6.2003 n. 9353). Con il rilievo che tale canone generale non impone ai soggetti un comportamento a contenuto prestabilito, ma rileva soltanto come limite esterno all'esercizio di una pretesa, essendo finalizzato al contemperamento degli opposti interessi (Cass. 12.12.2005 n. 27387). Ancora, sempre nell'ambito societario, la materia dell'abuso del diritto è stata esaminata con riferimento alla qualità di socio ed all'adempimento secondo buona fede delle obbligazioni societarie ai fini della sua esclusione dalla società (Cass. 19.12.2008 n. 29776), ed al fenomeno dell'abuso della personalità giuridica quando essa costituisca uno schermo formale per eludere la più rigida applicazione della legge (v. anche Cass. 25.1.2000 n. 804; Cass. 16.5.2007 n. 11258). In tal caso, proprio richiamando l'abuso, ne sarà possibile, per così dire, il suo "disvelamento" (piercing the corporate veil). Nell'ambito, poi, dei rapporti bancari è stato più volte riconosciuto che, in ossequio al principio per cui il contratto deve essere eseguito secondo buona fede (art. 1375 cod. civ.), non può escludersi che il recesso di una banca dal rapporto di apertura di credito, benchè pattiziamente consentito anche in difetto di giusta causa, sia da considerarsi illegittimo ove in concreto assuma connotati del tutto imprevisti ed arbitrari (Cass. 21.5.1997 n. 4538; Cass. 14.7.2000 n. 9321; Cass. 21.2.2003 n. 2642). E, con riferimento ai rapporti di conto corrente, è stato ritenuto che, in presenza di una clausola negoziale che, nel regolare tali rapporti, consenta all'istituto di credito di operare la compensazione tra i saldi attivi e passivi dei diversi conti intrattenuti dal medesimo correntista, in qualsiasi momento, senza obbligo di preavviso, la contestazione sollevata dal cliente che, a fronte della intervenuta operazione di compensazione, lamenti di non esserne stato prontamente informato e di essere andato incontro, per tale motivo, a conseguenze pregiudizievoli, impone al giudice di merito di valutare il comportamento della banca alla stregua del fondamentale principio della buona fede nella esecuzione del contratto. Con la conseguenza, in caso contrario, del riconoscimento a carico della banca, di una responsabilità per risarcimento dei danni (Cass. 28.9.2005 n. 18947). In materia contrattuale, poi, gli stessi principii sono stati applicati, in particolare, con riferimento al contratto di mediazione (Cass. 5.3.2009 n. 5348), al contratto di sale and lease back connesso al divieto di patto commissorio ex art. 2744 c.c.18 l. n. 300 del 1970 in un caso non riconducibile al licenziamento, (Cass. 16.10.1995 n. 10805; Cass. 26.6.2001 n. 8742; Cass. 22.3.2007 n. 6969; Cass. 8.4.2009 n. 8481), accogliendo una domanda diversa da quella formulata ed al contratto autonomo di garanzia ed exceptio doli (Cass. 1.10.1999 n. 10864; cass. 28.7.2004 n. 14239; Cass. 7.3.2007 n. 5273). Del principio dell'abuso del diritto è stato, da ultimo, fatto frequente uso in materia tributaria, fondandolo sul riconoscimento dell'esistenza attribuendo il risarcimento di un generale principio antielusivo (v. per tutte S.U. 23.10.2008 nn. 30055, 30056, 30057). Il breve excursus esemplificativo consente, quindi, di ritenere ormai acclarato danno non provato né nell'an che anche il principio dell'abuso del diritto è uno dei criteri di selezione, con riferimento al quale esaminare anche i rapporti negoziali che nascono da atti di autonomia privata, e valutare le condotte che, nell'ambito della formazione ed esecuzione degli stessi, le parti contrattuali adottano. Deve, con ciò, pervenirsi a questa conclusione. Oggi, i principii della buona fede oggettiva, e dell'abuso del diritto, debbono essere selezionati e rivisitati alla luce dei principi costituzionali - funzione sociale ex art. 42 Cost. - e della stessa qualificazione dei diritti soggettivi assoluti. In questa prospettiva i due principii si integrano a vicenda, costituendo la buona fede un canone generale cui ancorare la condotta delle parti, anche di un rapporto privatistico e l'interpretazione dell'atto giuridico di autonomia privata e, prospettando l'abuso, la necessità di una correlazione tra i poteri conferiti e lo scopo per i quali essi sono conferiti. Qualora la finalità perseguita non sia quella consentita dall'ordinamento, si avrà abuso. In questo caso il superamento dei limiti interni o di alcuni limiti esterni del diritto ne determinerà il suo abusivo esercizio. Alla luce di tali principii e considerazioni svolte deve, ora, esaminarsi la sentenza, in questa sede, impugnata. La struttura argomentativa della sentenza si sviluppa secondo i seguenti passaggi logici:nel quantum debeatur.

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