DECRETO LEGISLATIVO 15 GIUGNO 2015, N. 81
DECRETO LEGISLATIVO 15 GIUGNO 2015, N. 81
SOMMARIO
Disciplina delle mansioni (art. 3) 4
Contratto di lavoro a tempo parziale 7
1. Definizioni e contrattazione collettiva (art. 4) 7
2. Requisiti del contratto a tempo parziale e oneri di comunicazione (art. 5) 8
3. Gli elementi di flessibilità del part-time: le nuove definizioni di lavoro supplementare, straordinario e clausole elastiche (art. 6) 9
4. Segue: modalità e contrattazione collettiva (art. 6) 10
5. Principio di non discriminazione (art. 7) 12
6. Trasformazione del rapporto (art. 8) 12
7. Sanzioni (art. 10) 13
Lavoro intermittente (artt. 13 – 18) 14
Contratto a termine 15
1. Durata massima (art. 19) 15
2. Divieti (art. 20) 15
3. Proroghe e rinnovi (art. 21) 16
4. Limiti quantitativi e informativa sindacale (art. 23) 16
5. Diritto di precedenza, principio di non discriminazione e formazione (artt. 24, 25 e 26) 17
6. Computo dei lavoratori (artt. 27) 17
7. Decadenza e tutele (artt. 28) 18
Somministrazione 19
1. Superamento delle causali e limiti quantitativi di utilizzo (artt. 31) 19
2. Divieti (art. 32) 19
3. Forma del contratto (art. 33) 20
4. Disciplina dei rapporti di lavoro (art. 34) 20
5. Tutela del lavoratore, diritti sindacali e norme previdenziali (artt. 35, 36 e 37) 20
6. Somministrazione irregolare e decadenza e tutele (artt. 38 e 39) 21
Contratto di apprendistato 22
1. Definizione e profili di diritto intertemporale (art. 41; 47, comma 5, e 55, lett. g e l). 22
2. Disciplina generale (art. 42) 23
3. Apprendistato per la qualifica ed il diploma professionale, il diploma di istruzione secondaria superiore e il certificato di specializzazione tecnica superiore (art. 43). 24
4. Apprendistato professionalizzante (art. 44) 27
5. Apprendistato di alta formazione e ricerca (art. 45) 28
6. Standard professionali e formativi e certificazione delle competenze (art. 46) 29
7. Disposizioni finali (art. 47) 29
Lavoro accessorio (artt. 48 - 50) 31
Collaborazioni coordinate e continuative 32
1. Superamento del contratto a progetto (art. 52) 32
2. Collaborazioni organizzate dal committente (art. 2) 34
3. Segue: eccezioni all’art. 2, comma 1 (art. 6) 36
Associazione in partecipazione (art. 53) 38
Stabilizzazioni dei collaboratori anche a progetto e dei titolari di partita IVA (art. 54) 39
DISCIPLINA DELLE MANSIONI (ART. 3).
L’art. 3 del d.lgs. n. 81/2015 ha interamente sostituito l’art. 2103 del Codice Civile. Le novità introdotte dalla nuova disposizione sono molte e di rilievo.
La prima importante novità si rinviene già nel primo comma della nuova disposizione che, oltre a confermare che “il lavoratore deve essere adibito alle mansioni per le quali e' stato assunto o a quelle corrispondenti all'inquadramento superiore che abbia successivamente acquisito” aggiunge che può essere adibito anche “a mansioni riconducibili allo stesso livello e categoria legale di inquadramento delle ultime effettivamente svolte”.
Viene così superato il criterio dell’”equivalenza delle mansioni” che, precedentemente, era l’unico che consentiva la c.d. “mobilità orizzontale”.
In sostanza, la nuova disposizione consente maggiore flessibilità funzionale nell’utilizzo della forza lavoro, essendo più ampio il perimetro di riferimento all’interno del quale è possibile adibire a nuove mansioni i lavoratori, con il solo limite del rispetto dello stesso livello di inquadramento previsto dal contratto collettivo (salva, ovviamente, la possibilità dell’inquadramento superiore) e della stessa categoria legale.
Il rispetto del livello di inquadramento, quale limite alla mobilità orizzontale, dovrebbe consentire di superare anche l’annoso contenzioso che, nel caso del precedente criterio dell’equivalenza delle mansioni, si focalizzava sulla salvaguardia della “storia professionale” del lavoratore, che costituiva un limite estremamente generico e, come tale, oggetto di interpretazioni contrastanti.
Il cambiamento determinato dalle nuove disposizioni trova peculiare conferma nel disposto del comma terzo dell’art. 3 che, anzitutto, prevede che “il mutamento di mansioni e' accompagnato, ove necessario dall'assolvimento dell'obbligo formativo” (obbligo, dunque, non sempre necessario da assolvere) e che, poi, conclude prevedendo espressamente che “il mancato adempimento non determina comunque la nullità dell'atto di assegnazione delle nuove mansioni”.
Ne deriva quanto sia evidente il superamento del criterio della (generica) salvaguardia della professionalità pregressa del lavoratore, in favore di una impostazione più dinamica, volta a favorire la crescita professionale e l’occupabilità dei lavoratori.
Una seconda novità consiste nella possibilità di modifica delle mansioni “in caso di modifica degli assetti organizzativi aziendali che incide sulla posizione del lavoratore” (comma 2). La novità consiste nel fatto che è possibile l’assegnazione anche a mansioni appartenenti al livello di inquadramento inferiore, ma facendo sempre salvo: il rispetto della categoria legale; la (formale) conservazione del livello di inquadramento precedente; il trattamento retributivo in godimento prima del mutamento.
“Modifica degli assetti organizzativi aziendali” è una definizione ampia che si deve intendere ricorra ogni volta che venga apportata una modificazione dell’organizzazione aziendale che, oltre alla sua ovvia effettività, abbia un qualche collegamento (verificabile) con la posizione del lavoratore interessato, tanto da giustificarne un mutamento.
Il mutamento deve essere comunicato per iscritto: non è necessario che la comunicazione contenga anche la motivazione del mutamento, anche se potrebbe risultare utile per meglio comprovare la sussistenza del nesso di causalità esistente tra la modifica degli assetti e la posizione del singolo lavoratore.
Quanto al trattamento retributivo in godimento, il mutamento può incidere su tutti gli elementi retributivi collegati a particolari modalità di svolgimento della precedente prestazione lavorativa (ad es. l’indennità estero).
Ulteriori ipotesi di assegnazione a mansioni appartenenti al livello di inquadramento inferiore, purche' rientranti nella medesima categoria legale, possono essere previste dai contratti collettivi (cfr. comma 4).
Anche in questo caso si applicano le disposizioni che concernono la comunicazione per iscritto ed il limite della conservazione sia del livello di inquadramento che del trattamento retributivo in godimento (cfr. comma 5).
E la nuova disposizione di legge prevede espressamente la nullità di ogni patto che violi le condizioni poste al secondo e quarto comma dell’art.3 (cfr. ultimo comma).
La più ampia facoltà di esercitare lo ius variandi da parte del datore potrà comportare una più attenta valutazione delle possibilità di ricollocazione del lavoratore potenzialmente interessato da un licenziamento per giustificato motivo oggettivo.
Una terza novità di tutto rilievo è contenuta nel sesto comma dell’art.3 in quanto, nelle sedi “qualificate” (ossia quelle di cui all’art. 2113, quarto comma, Cod. Civ. o nelle sedi di certificazione) “possono essere stipulati accordi individuali di modifica delle mansioni, della categoria legale e del livello di inquadramento e della relativa retribuzione, nell'interesse del lavoratore alla conservazione dell'occupazione, all'acquisizione di una diversa professionalita' o al miglioramento delle condizioni di vita.”
Il rilievo di questa disposizione sta tutto nella circostanza che in questo caso - e a differenza dei precedenti - i patti modificativi possono riguardare non solo le mansioni, ma anche la categoria legale, il livello di inquadramento e la relativa retribuzione.
Il “limite” di tale disposizione consiste nel fatto che il legislatore chiede che questa ampia possibilità di modifica avvenga “nell’interesse del lavoratore alla conservazione dell’occupazione, all’acquisizione di una diversa professionalità o al miglioramento delle condizioni di vita.”
E’ importante, dunque, che nel patto modificativo che si stipulerà venga dato conto della sussistenza di una o più di tali circostanze. Dato il rilievo di questo tipo di mutamento di mansioni, il lavoratore potrà sempre chiedere di essere assistito da un rappresentante sindacale di sua fiducia, ovvero da un avvocato o da un consulente del lavoro. Naturalmente, le imprese ben potranno, a loro volta, essere assistite dalle nostre Associazioni.
In caso di assegnazione a mansioni superiori (cfr. comma 7) il lavoratore continua ad aver diritto al trattamento corrispondente all'attivita' svolta - come nella disposizione precedente
- ma ora può manifestare la sua volontà contraria a che l’assegnazione diventi definitiva, dopo che abbia svolto le mansioni superiori assegnategli per sei mesi continuativi o per il diverso periodo fissato dai contratti collettivi. Si ricorda che la norma precedente limitava a tre i mesi che davano diritto al superiore inquadramento.
In definitiva al lavoratore viene lasciata un’ampia discrezionalità, che può consentirgli di maturare importanti esperienze professionali senza che ne conseguano necessariamente effetti “automatici”.
Il diritto all’assegnazione “definitiva” a mansioni superiori non matura nel caso di sostituzione di altro lavoratore in servizio. In precedenza la sostituzione faceva sempre maturare il diritto tranne nel caso in cui il lavoratore sostituito fosse stato assente con diritto alla conservazione del posto.
La nuova norma nulla innova per quanto attiene alla disciplina del trasferimento del lavoratore (comma 8) ed abroga espressamente la disposizione che disciplinava l’inquadramento della categoria dei quadri ( art. 6 della legge 13 maggio 1985, n. 190) perché, oramai, “assorbita” dalle nuove disposizioni di legge in materia di disciplina delle mansioni.
CONTRATTO DI LAVORO A TEMPO PARZIALE.
1. Definizioni e contrattazione collettiva (art. 4).
Il Decreto Legislativo n. 81/2015 introduce importanti novità anche per quanto riguarda la disciplina del lavoro a tempo parziale (cd. part-time).
La nuova disciplina del contratto di lavoro part-time è il risultato di un’importante opera di razionalizzazione che semplifica, anche a livello di numero di articoli, la regolamentazione normativa in materia.
La nuova disciplina del part-time è contenuta negli articoli da 4 a 12 del Decreto Legislativo n. 81/2015 che sostituiscono integralmente il D. Lgs. n. 61/2000, abrogato dall’art. 55, comma 1, lett. a), del medesimo D. Lgs. n. 81/2015.
In primo luogo, occorre rilevare che con la nuova normativa vengono meno le definizioni prima previste all’art. 1 del D. Lgs. n. 61/2000. Come si avrà occasione di evidenziare in seguito, questa modifica non determina grandi differenze per quanto riguarda il merito della disciplina applicabile. A tal proposito, è emblematico il superamento delle definizioni di part-time orizzontale, verticale e misto che, sebbene d’impatto sul piano delle categorie con le quali si era soliti ragionare, tuttavia non determina grandi cambiamenti sul piano della disciplina concretamente applicabile al contratto1.
Una novità più significativa è, invece, rappresentata dal diverso riferimento alla contrattazione collettiva. Anche nel caso del part-time occorre, infatti, far riferimento alla nozione prevista per la generalità delle tipologie contrattuali dall’art. 51 del D. Lgs. n. 81/20152.
Tuttavia, nel caso del part-time, la differenza con la definizione prima prevista dall’art. 1, comma 3, del D. Lgs. n. 61/2000 risulta piuttosto circoscritta. Si può anzi sostenere che il legislatore abbia preso a riferimento proprio la disposizione del D. Lgs. n. 61/2000 in fase di redazione dell’art. 51 del D. Lgs. n. 81/2015.
Ciò emerge, in particolare, con riferimento alla contrattazione collettiva aziendale.
1 È evidente, infatti, che il superamento delle definizioni lascia inalterata la possibilità di concludere contratti part-time orizzontale, verticali, misti. Tale distinzione, tuttavia, acquista con la nuova disciplina un valore meramente descrittivo che perde rilievo ai fini della disciplina giuridica applicabile al rapporto di lavoro a tempo parziale.
2 Va ricordato che l’art. 51 del decreto prevede che, salva diversa previsione, ai fini delle discipline previste
nello stesso decreto, per contratti collettivi si intendono quelli nazionali, territoriali o aziendali stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e i contratti collettivi aziendali stipulati dalle loro rappresentanze sindacali aziendali ovvero dalla rappresentanza sindacale unitaria.
L’art.1, comma 3, del D. Lgs. 61/2000, infatti, già prevedeva la titolarità negoziale in capo alle RSA ed alle RSU.
È opportuno però evidenziare che, rispetto alla formulazione precedentemente prevista dall’art.1, comma 3, del D. Lgs. 61/2000, la nuova disciplina contiene delle novità perché abilita:
1. alla stipulazione dei contratti collettivi aziendali anche le associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale;
2. le rappresentanze sindacali aziendali, ma solo quelle espressione delle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.
2. Requisiti del contratto a tempo parziale e oneri di comunicazione (art. 5)
Sul piano dei requisiti formali, il D. Lgs. n. 81/2015 non introduce particolari novità per quanto riguarda la forma del contratto di lavoro part-time che continua a richiedere il requisito della forma scritta ad probationem.
Un precisazione importante è stata però introdotta per quanto riguarda l’indicazione della durata della prestazione e la sua collocazione. Come noto, tale elemento rappresenta una delle caratteristiche tipiche del contratto di lavoro a tempo parziale, la cui rilevanza, anche sotto il profilo della programmabilità, è stata evidenziata anche dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale (cfr. sentenza 11 maggio 1992, n. 210).
L’art. 5 del D. Lgs. n. 81/2015 conferma la necessità di indicare puntualmente durata e collocazione dell’orario di lavoro (cfr. comma 2), ma, al contempo, introduce al comma 3 una disposizione specifica sui rapporti tra lavoro a tempo parziale e organizzazione del lavoro a turni (cfr. comma 3).
Pertanto il legislatore prevede, ora, espressamente (in linea con le prime pronunce della giurisprudenza di merito in materia), che, da un lato, il lavoro a tempo parziale è compatibile con un’organizzazione dell’orario di lavoro strutturata sui turni, e dall’altro, che la determinazione dell’orario di lavoro possa avvenire anche per relationem, ossia senza indicare direttamente nel contratto l’orario di lavoro ma mediante rinvio ad uno schema di turni programmati.
Nonostante il disposto di legge, riteniamo senz’altro consigliabile che nel contratto individuale di lavoro, anche a mezzo di un allegato, venga comunque indicata la collocazione dell’orario che il lavoratore part timer dovrà osservare.
Questione più controversa è se, invece, la nuova norma consenta anche di inserire i lavoratori part-time in turni avvicendati (ossia schemi di turnazione che potranno variare, di volta in volta, nel tempo), legittimando, così, il datore di lavoro a operare una variazione dello schema di turnazione inizialmente assegnato al lavoratore a tempo parziale.
Sul punto, si rileva che il dato normativo non sembra prevedere una deroga espressa al principio di “predeterminazione” dell’orario di lavoro che, come detto, caratterizza il contratto di lavoro a tempo parziale. Al contrario l’art. 5, comma 3, prevede espressamente che i turni debbano essere “articolati su fasce orarie prestabilite”.
Tale elemento normativo induce a ritenere che, dunque, l’art. 5, comma 3, non rappresenti una deroga alle regole sulla collocazione dell’orario di lavoro nel part-time. La “variabilità” resta disciplinato dal regime delle clausole elastiche di cui all’art. 6, comma 6, del D.Lgs. n. 81/2015.
Infine, il Decreto Legislativo n. 81/2015 fa venire meno l’onere di comunicazione con cadenza annuale alle rappresentanze sindacali aziendali “sull’andamento delle assunzioni a tempo parziale, la relativa tipologia, ed il ricorso al lavoro supplementare” (cfr. art. 2, comma 1, secondo periodo, D. Lgs. n. 61/2000). Quindi, non sussiste più una disposizione di legge che pone tale onere di comunicazione alle rappresentanze costituite in azienda.
La contrattazione collettiva dovrà, pertanto, tener conto del mutato quadro normativo, adeguandosi alle attuali previsioni.
3. Gli elementi di flessibilità del part-time: le nuove definizioni di lavoro supplementare, straordinario e clausole elastiche (art. 6).
Un’importante novità è rappresentata dalla ridefinizione dell’ambito di applicazione del lavoro supplementare e del lavoro straordinario.
L’art. 6, comma 1, del D. Lgs. n. 81/2015, infatti, delinea una nozione di lavoro supplementare più ampia, in coerenza con il superamento della distinzione tra part-time orizzontale, verticale e misto.
Per la nuova disciplina del lavoro supplementare, infatti, non rileva più la distinzione tra le tre tipologie di part-time. Sotto questo profilo appare rilevante il passaggio dell’art. 6, comma 1, per cui sono supplementari le prestazioni “svolte oltre l’orario concordato fra le parti ai sensi dell’articolo 5, comma 2, anche in relazione alle giornate, alle settimane o ai mesi”.
In primo luogo, occorre rilevare che proprio il riferimento alle giornate, settimane e mesi costituisce un’importante novità perché chiarisce che la nuova disposizione sul lavoro supplementare trova applicazione anche per il part-time verticale. Precedentemente, invece, il lavoro supplementare era circoscritto dall’art. 3, comma 1, del D. Lgs. n. 61/2000 all’ipotesi di part-time orizzontale e misto.
Tale estensione non incide, tuttavia, sulla definizione stessa di lavoro supplementare che si delinea come quella parte dell’orario di lavoro che eccede l’orario stabilito dal contratto di lavoro a tempo parziale ma resta pur sempre nei limiti dell’orario normale di lavoro di cui all’art. 3 del D. Lgs. n. 66/2003.
La medesima logica è rinvenibile con riferimento al lavoro straordinario che, coerentemente, non viene più limitato dal Decreto Legislativo n. 81 al solo part-time verticale.
Ne segue che, l’ora lavorativa aggiuntiva rispetto all’orario contrattualmente previsto e che, inoltre, supera l’orario normale di lavoro si qualifica come ora di lavoro straordinario e segue la relativa disciplina.
In definitiva, la nuova disciplina prevista dall’art. 6 introduce una sostanziale semplificazione che vede l’ora di lavoro aggiuntiva rispetto all’orario definito in via contrattuale qualificarsi come:
lavoro supplementare: qualora non ecceda l’orario normale di lavoro ex art. 3 del D. Lgs. n. 66/2003;
lavoro straordinario: qualora ecceda l’orario normale di lavoro ex art. 3 del D. Lgs.
n. 66/2003 (ovviamente ferma restando la durata massima prevista dall’art. 4 del D. Lgs. n. 66/2003).
Un’altra importante novità è rappresentata dal superamento della categoria delle clausole flessibili.
L’art. 6, comma 4, del D. Lgs. n. 81/2015, infatti, riconduce all’unica categoria delle clausole elastiche tanto le variazioni relative alla collocazione temporale della prestazione lavorativa quanto quelle relative alla sua durata.
Il D. Lgs. n. 81/2015 non introduce, in tal caso, modifiche sostanziali sul piano della disciplina giuridica ma si limita ad accorpare le due tipologie di clausole, tenendo ferma solo la categoria delle clausole elastiche.
Ciò non determina, in linea di massima, variazioni relativamente alla disciplina contrattuale vigente che, in generale, dovrebbe risultare applicabile anche a seguito dell’intervenuto accorpamento delle due tipologie di clausole.
Pertanto, nella fase transitoria, occorrerà far riferimento alla disciplina contrattuale prevista per le clausole flessibili qualora ci si voglia avvalere di una clausola elastica, ai sensi dell’art. 6 del D. Lgs. n. 81/2015, per estendere la durata della prestazione lavorativa.
4. Segue: modalità e contrattazione collettiva (art. 6).
Tra le principali novità introdotte dal Decreto Legislativo n. 81/2015 alla disciplina del part time vi è la previsione di una disciplina di carattere residuale del lavoro supplementare e delle clausole elastiche.
Viene, quindi, superata l’impostazione precedentemente adottata dal D. Lgs. n. 61/2000 che affidava integralmente alla contrattazione collettiva la regolamentazione di questi istituti.
Si pone, quindi, la necessità di individuare i rapporti tra le previsioni attualmente contenute nella contrattazione collettiva e la nuova disciplina di legge.
In linea di principio, si può ritenere che ogniqualvolta la disciplina legale risulti, in concreto, compatibile con la vigente contrattazione collettiva (in quanto non altera gli equilibri negozialmente raggiunti), le clausole già pattuite restano pienamente valide e possono continuare a trovare applicazione anche nell’ambito della nuova disciplina legislativa.
A tal proposito, ferma restando la necessità di verificare caso per caso le singole pattuizioni contenute nelle contrattazione collettiva, si rileva che la modifica introdotta alla nozione di lavoro supplementare3, così come la modifica introdotta alla disciplina delle clausole elastiche, non sembrano, di per sé sole, sufficienti a determinare il superamento della pattuizioni contenute nella contrattazione collettiva.
Ovviamente, qualora la clausola sia ritenuta compatibile con la nuova disciplina, potrebbe essere comunque necessario procedere ad alcuni meri “aggiustamenti”, resi necessari dalle nuove definizioni previste dalla legge. Si pensi, ad esempio, all’ipotesi, già menzionata precedentemente, della necessità del datore di lavoro di avvalersi della clausola che consente di variare in aumento la durata del part time. In tal caso, sarà, medio tempore, necessario far riferimento alla vigente disciplina contrattuale delle clausole flessibili anche se nella nuova disciplina legislativa tali clausole vengono denominate come elastiche.
Ciò premesso, con riferimento ai contratti collettivi in essere, il tratto caratterizzante della nuova normativa è la previsione di una disciplina “cedevole” di carattere legale, che quindi opera solo quando la contrattazione collettiva non preveda una regolamentazione diversa. In altre parole, qualora la contrattazione collettiva preveda una specifica regolamentazione relativamente al lavoro supplementare ed alle clausole flessibili (ivi inclusa quella precedentemente denominata come clausole elastiche) occorrerà far riferimento esclusivamente a tale regolamentazione contrattuale e non a quella prevista dalla legge.
Nel merito, la disciplina legale di carattere residuale per il lavoro supplementare è informata ai seguenti principi:
Limite massimo del 25% delle ore di lavoro settimanali concordate;
Possibilità per il lavoratore di rifiutare lo svolgimento per comprovate esigenze:
o lavorative;
o di salute;
o familiari;
o di formazione professionale;
Maggiorazione retributiva del 15% della retribuzione oraria globale di fatto4.
3 Sotto questo profilo occorre anzi rilevare che nel senso della possibilità di avvalersi del lavoro supplementare anche per il part time verticale si era già espresso il Min Lav con la propria circ del 2004.
4 Tale maggiorazione, secondo quanto previsto dalla legge, deve essere comprensiva dell’incidenza sugli istituti indiretti e differiti. Essa dovrà pertanto tenere conto, ad esempio, della relativa di quota di TFR maturando.
Per quanto riguarda, invece, le clausole elastiche la disciplina legale di carattere residuale prevede:
Obbligo di pattuizione per iscritto e avanti alla commissione di certificazione;
Possibilità per il lavoratore di farsi assistere da: un rappresentante sindacale, un avvocato, un consulente del lavoro;
La clausola elastica deve definire le condizioni e le modalità di utilizzo fermo restando un preavviso di due giorni;
In caso di aumento della durata della prestazione lavorativa non si potrà eccedere il limite massimo del 25% della normale prestazione annua a tempo parziale;
Maggiorazione retributiva del 15% della retribuzione oraria globale di fatto5.
5. Principio di non discriminazione (art. 7).
Alcune piccole modifiche riguardano anche la disciplina del principio di non discriminazione.
In particolare, l’art. 7 del D. Lgs. n. 81/2015, pur lasciando inalterata la disciplina di principio che si articola nel duplice profilo del diritto a ricevere il medesimo trattamento rispetto ad un lavoratore a tempo pieno di pari inquadramento e del principio del cd. pro rata temporis, supera la puntuale indicazione contenuta nell’art. 4 del D. Lgs. n. 61/2000 dei singoli diritti soggetti ad equivalenza o a riproporzionamento.
In linea di principio ciò non dovrebbe determinare conseguenze sul piano della normativa applicabile.
L’art. 7, inoltre, prevede gli istituti per i quali la contrattazione collettiva può prevedere una rimodulazione delle relative durate:
- periodo di prova;
- preavviso in caso di licenziamento o dimissioni;
- periodo di comporto.
Se, da un lato, la previsione del periodo di preavviso rappresenta una precisazione importante, per quanto riguarda il periodo di comporto la norma risulta differente rispetto a quanto precedentemente previsto dal D. Lgs. n. 61/2000, che prevedeva la rimodulazione solo per il part time verticale.
6. Trasformazione del rapporto (art. 8).
Per quanto riguarda la disciplina della trasformazione del rapporto di lavoro da full time a
part time e viceversa, il D. Lgs. n. 81/2015 non introduce particolari novità.
5 Anche in questo caso la maggiorazione deve essere comprensiva dell’incidenza sugli istituti indiretti e differiti (cfr. nota 3).
Si segnalano solo alcune modifiche per quanto riguarda le ipotesi di trasformazione precedentemente disciplinate dall’art. 12-bis del D. Lgs. n. 61/2000.
In particolare, sotto il profilo delle ipotesi previste dal D. Lgs. n. 81/2015 occorre evidenziare che i commi 3 e 4 dell’art. 8 affiancano all’ipotesi specifica delle patologie oncologiche un più generale riferimento alla categoria delle “gravi patologie cronico- degenerative ingravescenti”.
Inoltre, con riferimento all’ipotesi dell’assistenza occorre rilevare che è venuto meno il requisito del riconoscimento di una percentuale di invalidità pari al 100%. Resta però ferma la sussistenza del requisito di gravità di cui all’art. 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104.
Non presenta particolari novità, invece, la disciplina del diritto di precedenza in favore di chi abbia trasformato il proprio rapporto da tempo pieno a tempo parziale. Merita, tuttavia, evidenziare che, coerentemente con le novità introdotte con riferimento alla disciplina delle mansioni che ha superato il principio dell’equivalenza, il diritto di precedenza opera con riferimento alle mansioni di pari livello.
Una delle novità più rilevanti è rappresentata dalla possibilità per il lavoratore di richiedere la trasformazione del rapporto da tempo pieno a tempo parziale in luogo del congedo parentale e comunque entro i limiti del congedo ancora spettante. Proprio questo riferimento ai limiti di durata del congedo lascia intendere che la durata del periodo di part time corrisponde alla durata residua del congedo parentale.
Questa facoltà, che può essere esercitata una sola volta da parte del lavoratore, si configura come un vero e proprio diritto cui il datore di lavoro deve dar corso entro quindici giorni. La legge prevede che, in ogni caso, la riduzione d’orario non possa essere superiore al 50%.
Infine, occorre rilevare che con riferimento all’obbligo di informativa delle opportunità di lavoro part time è venuto meno il rinvio alla contrattazione collettiva circa la definizione delle modalità di attuazione.
7. Sanzioni (art. 10).
La disciplina delle sanzioni non contiene particolari novità, ma si rileva che è stata eliminata la norma espressa relativa alla violazione del diritto di precedenza. Ciò non determina modifiche sul piano sostanziale della disciplina della fattispecie, restando applicabile la sanzione del risarcimento del danno.
LAVORO INTERMITTENTE (ARTT. 13 – 18)
Gli artt. da 13 a 18 del D. Lgs. n. 81/2015 hanno integralmente sostituito la disciplina previgente del lavoro intermittente, precedentemente recata dagli artt. da 33 a 40 del D. Lgs. n. 276/2003.
La definizione della fattispecie appare più precisa: non sono più le prestazioni che devono avere carattere discontinuo o intermittente bensì, più propriamente, è il datore che può utilizzare la prestazione in modo discontinuo, anche a tempo determinato.
Resta, però, il limite costituito dal fatto che le esigenze che possono giustificare il ricorso al contratto di lavoro intermittente devono essere individuate dai contratti collettivi.
Ma, in base alla nuova definizione di contrattazione collettiva contenuta nell’art. 51 del D. Lgs. n. 81, è oramai definitivamente acquisito che anche la contrattazione aziendale, nei termini definiti dallo stesso art. 51, può individuare le dette esigenze.
In mancanza di disposizioni contrattuali, è confermato anche il rinvio alle ipotesi individuate con decreto del Ministero del lavoro che, in base al disposto dell’art. 55, comma 3, restano, in questa prima fase, quelle già individuate dal D.M. 23 ottobre 2004.
Viene altresì confermata l’ipotesi “soggettiva”, ossia quella che consente di stipulare il contratto di lavoro intermittente con lavoratori con più di 55 anni e con lavoratori con meno di 24 anni, purché le prestazioni siano rese entro il venticinquesimo anno di età.
Viene anche confermata la norma limitativa del ricorso all’istituto, introdotta con la “riforma Fornero”, che pone un tetto di quattrocento giornate lavorative nell’arco di un triennio con lo stesso datore, fatta eccezione per i settori del turismo spettacolo e pubblici esercizi (cfr. circolare del Ministero del Lavoro n. 35 del 2013).
Sono confermati i divieti di utilizzo già previsti antecedentemente ma, anche nel caso del lavoro intermittente, come già per il contratto a termine e la somministrazione, il decreto n. 81/2015 non prevede la possibilità di derogare al divieto con specifico accordo sindacale.
Nessuna novità è stata, invece, introdotta quanto alla disciplina della forma del contratto e delle comunicazioni, così come per quanto attiene all’indennità di disponibilità e alla disciplina del principio di non discriminazione.
Dunque, resta fermo che, prima dell’inizio della prestazione o di un ciclo integrato di prestazioni nell’arco di trenta giorni, il datore di lavoro è tenuto a comunicare alla DTL, con le modalità telematiche già note, la durata della prestazione.
Anche la disciplina del computo dei lavoratori intermittenti è sostanzialmente confermata, salva la precisazione che quella disciplina non è valida solo al fine dei limiti quantitativi previsti dalla legge ma anche di quelli previsti da fonte contrattuale.
CONTRATTO A TERMINE
La nuova disciplina del contratto a tempo determinato è contenuta negli articoli da 19 a 29 del Decreto Legislativo n. 81/2015 che sostituiscono il D. Lgs. n. 368/2001, abrogato quasi integralmente dall’art. 55, comma 1, lett. b), del medesimo D. Lgs. n. 81/2015, con la sola eccezione dell’art. 2 (la cui abrogazione è prevista dal 1° gennaio del 2017 – cfr. art. 55 comma 2).
1. Durata massima (art. 19)
La prima novità della riforma, che va evidenziata, è che il legislatore delegato ha ben distinto la disciplina della durata massima del primo contratto a termine (art. 19, comma 1) che non può essere superiore a trentasei mesi, e la disciplina della durata massima di una pluralità di rapporti a termine che è sempre di trentasei mesi ma fatte salve diverse disposizioni dei contratti collettivi (art. 19, comma 2).
Un’altra innovazione importante è costituita dal fatto che il tetto dei trentasei mesi “per sommatoria” si riferisce allo svolgimento di mansioni di pari livello e categoria legale (in linea con la riforma dell’art. 2103 Cod Civ, contenuta nello stesso decreto), mentre la precedente dizione della norma faceva riferimento allo svolgimento di mansioni equivalenti. Il più ampio “spettro” della definizione delle mansioni può comportare che il tetto possa essere raggiunto più rapidamente.
Resta confermato, oltre al definitivo superamento delle “causali”, che, per il raggiungimento del tetto dei trentasei mesi, si tiene conto dei periodi di missione in somministrazione ma sempre aventi ad oggetto lo svolgimento di mansioni di pari livello e categoria legale.
Rimangono fuori dal tetto dei trentasei mesi le attività stagionali individuate anche dai contratti collettivi (oramai anche aziendali, ai sensi della definizione contenuta nell’art. 51). Resta inoltre ferma la possibilità per i contratti collettivi di individuare, in generale, tetti massimi di durata più elevati dei 36 mesi.
Sia nel caso dell’unico contratto che della sommatoria di contratti il superamento del limite dei trentasei mesi comporta la trasformazione del rapporto a tempo indeterminato, ma è stata fatta salva la norma che consente di stipulare presso la DTL (e non più con l’assistenza sindacale) un ulteriore contratto a termine della durata massima, ora fissata dalla legge, di dodici mesi (cfr. art 19, comma 3).
2. Divieti (art. 20)
Sono confermati i precedenti divieti ma è venuta meno la possibilità che, con accordo sindacale, si possa impiegare il contratto a termine presso unità produttive interessate, nei sei mesi precedenti, da procedure ex lege n. 223 del 1991. Rimangono, invece, confermate le tre deroghe di legge al divieto (assunzioni per sostituzione, assunzione di lavoratori in mobilità, durata iniziale dl contratto non superiore a tre mesi)
I contratti a termine in corso al momento dell’entrata in vigore della nuove norme, stipulati in virtù di “accordi in deroga”, non subiscono effetti ma non si ritiene che si possano stipulare nuovi contratti a termine, sempre in applicazione di quegli accordi, stante l’intervenuto divieto di legge.
3. Proroghe e rinnovi (art. 21)
L’art. 21 disciplina le proroghe e rinnovi in modo sostanzialmente conforme alla pregressa disciplina con l’importante innovazione che nella proroga, cade il “limite” della “stessa attività lavorativa”.
Si precisa che dalla data di decorrenza della eventuale sesta proroga il rapporto si trasforma a tempo indeterminato.
Viene confermata l’esclusione dalla disciplina degli intervalli delle attività stagionali, per l’identificazione delle quali, oltre a quanto disposto dai contratti collettivi, si prevede l’emanazione di un nuovo DPR che sostituirà quello n. 1525 del 1963, che rimane vigente fino all’emanazione del nuovo.
I limiti previsti dall’art. 21 non si applicano alle imprese start up innovative, nei limiti previsti al terzo comma dello stesso articolo
Nessuna modifica neppure per quanto attiene alla disciplina della prosecuzione del rapporto oltre i termini, con penalizzazione monetaria.
4. Limiti quantitativi e informativa sindacale (art. 23)
Una importante conferma è quella costituita dalla generalizzazione del tetto complessivo di rapporti a termine attivabili, nella misura del 20% del numero dei lavoratori a tempo indeterminato in forza al 1° gennaio dell’anno di assunzione.
La novità sul punto, che ha un vero rilievo, è che questo tetto è elevabile anche dalla contrattazione collettiva aziendale.
Importanti sono anche le precisazioni delle modalità di calcolo della percentuale nel caso di inizio di attività in corso d’anno (si fa riferimento al numero di lavoratori a tempo indeterminato in forza al momento dell’assunzione) e dell’arrotondamento del decimale.
Novità anche nella determinazione delle ipotesi esenti dall’applicazione dei limiti quantitativi.
Anzitutto, il testo precisa che le ipotesi “esenti” da limiti quantitativi, elencate dalla legge, sono esenti anche da eventuali limitazioni previste da contratti collettivi (cfr art. 23 comma 2)
Inoltre le nuove norme dispongono che:
a) le fasi di avvio di nuove attività potranno essere individuate anche dai contratti collettivi (anche aziendali, in virtù della definizione di cui all’art. 51);
b) tra le ipotesi di esenzione sono comprese le imprese start up come individuate dal d.l. n. 179/2012;
c) l’età dei lavoratori con i quali è possibile stipulare contratti a termine “fuori quota” è abbassata a 50 anni.
Vengono confermate le altre ipotesi di esclusione (attività stagionali, per sostituzione di lavoratori assenti; per specifici spettacoli/programmi).
Viene infine ampliata l’ipotesi di esclusione che riguarda i contratti a tempo determinato stipulati da università, istituti, enti di ricerca, istituti ed enti di cultura
Viene espressamente chiarito che, in caso di violazione dei limiti percentuali, è esclusa la trasformazione dei contratti a termine in contratti a tempo indeterminato ma viene applicata una sanzione amministrativa pari al 20% della retribuzione per ciascun mese o frazione superiore ai quindici giorni, nel caso il limite sia superato di una sola unità, e pari al 50% nelle altre ipotesi.
I contratti collettivi dovranno definire modalità e contenuti delle informative da rendere alle rappresentanze sindacali in azienda.
5. Diritto di precedenza, principio di non discriminazione e formazione (artt. 24, 25 e 26)
Qualche novità per quanto attiene alla disciplina dei diritti di precedenza (art.24):
- si prevede il computo espresso, a tal fine, di ogni tipo di congedo di maternità fruito nell’esecuzione di un contratto a termine;
- Il diritto di precedenza va esercitato per iscritto.
Nessuna novità, invece, quanto all’applicazione del principio di non discriminazione (art.
25) o per quanto attiene agli obblighi di formazione (art. 26).
6. Computo dei lavoratori (artt. 27)
Una vera innovazione è stata, invece, introdotta nella disciplina dei criteri di computo dei lavoratori a tempo determinato (cfr. art. 27).
Ed infatti, la nuova norma prevede che, salvo che sia diversamente disposto, ai fini dell’applicazione di qualsiasi disciplina legale o contrattuale, ove rilevi il computo dei dipendenti, quanto ai lavoratori a tempo determinato, compresi i dirigenti, si tiene conto del loro numero medio mensile nell’arco degli ultimi due anni, sulla base dell’effettiva durata dei rapporti di lavoro.
In concreto il criterio a suo tempo introdotto per il computo dei lavoratori a tempo determinato ai fini della determinazione delle soglie utili per l’esercizio dell’attività sindacale, viene esteso ad ogni effetto di legge e di contratto.
La riserva “salvo che sia diversamente disposto” va intesa nel senso che andrà verificata, di volta in volta, l’eventuale esistenza di norme di legge ovvero di norme contrattuali (ma, in questo caso, limitatamente ai diritti che hanno nel contratto collettivo la loro fonte esclusiva) che deroghino al criterio di computo dettato dall’art. 27.
7. Decadenza e tutele (artt. 28)
Nessuna novità di rilievo, invece, quanto alla disciplina della decadenza dall’impugnazione del contratto a termine (da effettuarsi sempre entro 120 gg. dalla scadenza del singolo contratto, con conseguente deposito del ricorso entro 180 gg, pena l’inefficacia dell’impugnativa), né per quanto attiene alla disciplina delle sanzioni previste in caso di trasformazione a tempo indeterminato del rapporto.
Viene, così, confermato il principio che l’indennità onnicomprensiva, da calcolarsi in base all’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del tfr (e, quindi, non più in base all’ultima retribuzione globale di fatto), ristora per intero il pregiudizio subito dal lavoratore, comprese le conseguenze retributive e contributive relative al periodo che va dalla scadenza del termine e la pronuncia con la quale il giudice ha ordinato la ricostituzione del rapporto.
Sostanzialmente confermate anche le norme sulle esclusioni dal campo di applicazione della disciplina del contratto a termine.
Infine ricordiamo che lo specifico regime previsto dall’art. 2 del d.lgs. n. 368/2001 viene abrogato solo a far data dal 1° gennaio del 2007.
SOMMINISTRAZIONE
La nuova disciplina del contratto di somministrazione è contenuta negli articoli da 30 a 40 del Decreto Legislativo n. 81/2015 che sostituiscono l’art. 18, commi 3 e 3 bis, nonché gli artt. da 20 a 28 del D. Lgs. n. 276/2003, abrogati integralmente dall’art. 55, comma 1, lett. d), del medesimo D. Lgs. n. 81/2015.
1. Superamento delle causali e limiti quantitativi di utilizzo (artt. 31)
La novità di maggior rilievo è il definitivo superamento del sistema delle causali, anche per la somministrazione a tempo indeterminato.
Dunque, il “limite” alla somministrazione a tempo indeterminato è, oramai, individuato nella fissazione di un tetto percentuale di utilizzo (pari al 20% del numero dei lavoratori a tempo indeterminato in forza al 1°gennaio dell’anno di assunzione, secondo lo schema già illustrato per il contratto a termine).
Questo limite è elevabile dai contratti collettivi applicati dall’utilizzatore, ossia anche dai contratti aziendali, nell’accezione innanzi indicata.
Viene poi espressamente previsto che possono essere somministrati a tempo indeterminato solo e soltanto lavoratori assunti dal somministratore a tempo indeterminato.
Quanto alla somministrazione a tempo determinato, viene confermato che i limiti quantitativi di utilizzo non sono individuati dalla legge bensì dai contratti collettivi, anche aziendali, applicati dall’utilizzatore. Sono, altresì, confermate le ipotesi “soggettive” di esclusione dai limiti (lavoratori in mobilità, soggetti che godono da almeno sei mesi del trattamento di disoccupazione non agricola ovvero di ammortizzatori, lavoratori svantaggiati o molto svantaggiati ai sensi del regolamento UE 651/2014).
Viene semplificato l’onere di informativa dei posti vacanti a carico dell’utilizzatore, che può essere assolto anche tramite un avviso generale affisso all’interno dei locali dell’utilizzatore. Le modalità di informativa indicate da questa disposizione ben potranno, a nostro avviso, essere utilizzate anche dalla contrattazione collettiva per definire il contenuto dell’analogo onere di informazione disciplinato, in materia di contratto a termine, nell’art. 19, comma 5.
2. Divieti (art. 32)
La disciplina dei divieti di utilizzo (art. 32) ricalca in toto quella del contratto a termine ed anche in questo caso non è possibile concludere accordi sindacali in deroga, come invece era precedentemente previsto.
3. Forma del contratto (art. 33)
Quanto alla forma del contratto di somministrazione (art. 33), vengono sostanzialmente confermate le norme precedenti (con l’ovvia esclusione dell’indicazione della “causale”, non più prevista).
4. Disciplina dei rapporti di lavoro (art. 34)
Anche per quanto attiene alla disciplina dei rapporti di lavoro, le nuove norme confermano l’impianto precedente, nel senso che ai lavoratori assunti dal somministratore a tempo indeterminato si applica la corrispondente disciplina di legge ed ai lavoratori assunti a termine si applica, per quanto compatibile, la nuova disciplina del contratto a termine ma con l’espressa esclusione delle norme che disciplinano: la durata massima del singolo contratto (art. 19, comma 1); il tetto di durata massima a seguito di una successione di contratti (art. 19, comma 2) e la possibilità di concludere un ultimo ed ulteriore contratto (art. 19, comma 3); le proroghe e i rinnovi (art. 21); i limiti quantitativi (art. 23) ed il diritto di precedenza (art. 24).
In particolare, la disciplina della proroga, ma anche di alcuni degli altri aspetti del rapporto tra quelli ora citati, trovano la propria fonte nel contratto collettivo applicato dal somministratore.
Viene confermato il principio che il lavoratore somministrato non è computato nell’organico dell’utilizzatore ai fini dell’applicazione di norme di legge o di contratto, ad eccezione delle norme in materia di salute e sicurezza del lavoro.
Viene anche espressamente previsto che, in caso di somministrazione di lavoratori disabili per missioni di durata non inferiore a dodici mesi, il lavoratore somministrato è computato nella quota di riserva ai fini del collocamento obbligatorio.
Nessuna novità in ordine alla disciplina della cessazione della somministrazione a tempo indeterminato, cui non si applicano le disposizioni degli artt. 4 e 24 della legge n. 223 del 1991 bensì l’art. 3 della legge n. 604 del 1966.
5. Tutela del lavoratore, diritti sindacali e norme previdenziali (artt. 35, 36 e 37)
Sostanzialmente invariata è anche la disciplina della tutela del lavoratore, sull’esercizio del potere disciplinare e sul regime di solidarietà. (art. 35)
Quanto ai diritti sindacali e alle garanzie collettive (cfr. art. 36), viene confermato l’impianto precedente in ordine all’esercizio dei diritti sindacali dei lavoratori somministrati ma viene, viceversa, modificato e razionalizzato l’onere di comunicazione dell’utilizzatore, ogni 12 mesi, sull’utilizzo complessivo del contratto di comunicazione e viene abrogato l’onere di
comunicazione del ricorso alla somministrazione prima della stipula di ogni singolo contratto nonché, ovviamente, l’eventuale comunicazione successiva nei casi di urgenza.
Nessuna variazione anche per le norme previdenziali (art.37).
6. Somministrazione irregolare e decadenza e tutele (artt. 38 e 39)
Viene abrogata la disciplina della somministrazione fraudolenta mentre viene sostanzialmente confermata la precedente disciplina sulla somministrazione irregolare (cfr. art. 38)
Viene opportunamente precisata la normativa in tema di decadenza e tutele, precisando che il termine di sessanta giorni per l’impugnazione, laddove il lavoratore somministrato voglia agire per la costituzione di un rapporto di lavoro in capo all’utilizzatore, decorre dalla data in cui il lavoratore ha cessato di svolgere la propria attività presso l’utilizzatore.
La norma, poi, conferma l’applicazione dell’impianto sanzionatorio, già inizialmente previsto dal c.d. “collegato lavoro” (legge 183/2010), che prevede che, nel caso in cui il giudice accolga la domanda del lavoratore, condanna il datore di lavoro al risarcimento del danno, stabilendo un'indennità onnicomprensiva nella misura compresa tra un minimo di 2,5 e un massimo di 12 mensilità dell'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto, avuto riguardo ai criteri indicati nell'articolo 8 della legge n. 604 del 1966.
La predetta indennità ristora, sotto ogni profilo (retributivo e contributivo) il pregiudizio subito dal lavoratore, relativo al periodo compreso tra la data in cui ha cessato di svolgere la propria attività presso l'utilizzatore e la pronuncia con la quale il giudice ha ordinato la costituzione del rapporto di lavoro.
CONTRATTO DI APPRENDISTATO.
1. Definizione e profili di diritto intertemporale (art. 41; 47, comma 5, e 55, lett. g e l).
Il Decreto Legislativo n. 81/2015 modifica la disciplina del contratto di apprendistato, intervenendo, in particolare, sull’apprendistato di primo e terzo livello per rendere tali tipologie ancor più coordinate con il sistema della formazione nella logica del cd. “sistema duale”.
Viene, in ogni caso, confermata la natura del contratto di apprendistato come contratto di lavoro cd. “a causa mista”. Infatti, l’art. 41 lascia inalterata la definizione dell’apprendistato come contratto “finalizzato alla formazione e alla occupazione dei giovani”.
Al contempo, resta ferma la tripartizione delle tipologie (una tipologia – il professionalizzante - più orientata alla vera e propria formazione professionale, ed i cui contenuti formativi sono prevalentemente affidati alla contrattazione collettiva, e due tipologie più correlate con il sistema dell’istruzione) pur con alcune modifiche sui contenuti formativi di riferimento come verrà illustrato nel dettaglio in seguito.
La nuova disciplina dell’apprendistato è contenuta negli articoli da 41 a 47 del Decreto Legislativo n. 81/2015 che sostituiscono integralmente il D. Lgs. n. 167/2011, abrogato dall’art. 55, comma 1, lett. g), del medesimo D. Lgs. n. 81/2015.
Prima di entrare nel merito delle novità introdotte alla disciplina dell’apprendistato è utile affrontare fin d’ora alcuni profili relativi alla transizione dal vecchio al nuovo regime giuridico.
In primo luogo, proprio con riferimento all’art. 55, comma 1, lett. g), occorre rilevare che la disposizione in esame, nell’abrogare integralmente la disciplina previgente, richiama espressamente il disposto dell’art. 47, comma 5, del medesimo D. Lgs. n. 81/2015, ossia quella norma “transitoria” che chiarisce che nelle regioni, province autonome e nei settori in cui la nuova disciplina dell’apprendistato non sia immediatamente operativa “trovano applicazione le regolamentazioni vigenti”.
La disposizione fa riferimento tanto alle regioni ed alle province autonome, quanto ai settori, includendo, così, nell’ambito delle “regolamentazioni” soggette a prorogatio, anche la contrattazione collettiva che aveva disciplinato l’apprendistato in base al D. Lgs. n. 167/20116.
6 Proprio alla luce della volontà legislativa di evitare soluzioni di continuità nella possibilità di avvalersi del contratto di apprendistato, si ritiene che il riferimento alla contrattazione collettiva deve essere interpretato in senso ampio ricomprendendo, oltre ai contratti collettivi nazionali, anche l’accordo interconfederale Confindustria, Cgil, Cisl e Uil 18 aprile 2012 per quei settori che non abbiano ancora provveduto ad adeguare la propria disciplina collettiva.
Con riferimento all’analoga previsione transitoria, che era contenuta nell’art. 7, comma 7, del D. Lgs. n. 167/2011, il Ministero del Lavoro aveva già avuto occasione di fornire, con la circolare n. 29/2011, un chiarimento che confermava proprio la “prorogatio” delle norme previgenti fino alla loro sostituzione 7.
Un secondo profilo è, invece, quello dei rapporti tra la nuova disciplina e la disciplina sperimentale dell’apprendistato previsto dal c.d. “decreto Carrozza” (cfr. art. 8-bis, comma 2, del D.L. n. 104/2013).
L’art. 55, comma 1, lett. l), del D. Lgs. n. 81/2015, da un lato, prevede l’abrogazione di tale disciplina sperimentale ma, dall’altro, chiarisce che i programmi già avviati sono salvi e restano validi ed efficaci fino alla loro conclusione8.
2. Disciplina generale (art. 42).
La disciplina generale del contratto di apprendistato non ha subito particolari modifiche da parte del D. Lgs. n. 81/2015 sotto il profilo dei contenuti normativi.
Un importante chiarimento è stato, invece, apportato per quanto riguarda la tecnica di redazione della norma. Infatti, è stato precisato che alcune disposizioni della disciplina dell’apprendistato – più precisamente quelle relative alla forma del contratto, alla durata minima ed alla disciplina del recesso – sono di immediata applicazione e non richiedono alcuna applicazione o integrazione da parte della contrattazione collettiva. Viene così superata la precedente impostazione adottata dall’art. 2 del D. Lgs. n. 167/2011 che, nella sua interpretazione letterale, sembrava richiedere, in ogni caso, l’intervento della contrattazione collettiva.
A tal proposito è opportuno evidenziare che la contrattazione collettiva abilitata alla definizione della disciplina dell’apprendistato è diversa da quella generalmente prevista dall’art. 51 del D. Lgs. n. 81/2015.
Infatti, l’art. 42 prevede che sono abilitati gli accordi interconfederali ed i contratti collettivi nazionali stipulati dalle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative. Viene, quindi, esclusa la contrattazione collettiva di secondo livello che, tuttavia, potrebbe essere abilitata attraverso apposita delega9.
Per quanto riguarda la forma del contratto, merita di essere, fin d’ora, precisato che il D. Lgs. n. 81/2015 affida la definizione del piano formativo dell’apprendistato di primo e terzo livello all’istituzione formativa “con il coinvolgimento dell’impresa”.
7 L’art. 7, comma 7, del D. Lgs. n. 167/2011, tuttavia, fissava in 6 mesi il periodo di ultrattività delle regolamentazioni precedente, mentre tale limitazione non è prevista dall’art. 47, comma 5.
8 Analoga disposizione è, peraltro, contenuta anche dell’art. 43, comma 5, del D. Lgs. n. 81/2015.
9 Anche alla luce delle considerazioni espresse dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 221/2012, si deve invece escludere la possibilità di concludere un accordo di prossimità ex art. 8 del D. L. n. 138/2011.
È evidente che proprio tale coordinamento rappresenta la chiave per la miglior riuscita del contenuto formativo del contratto dal momento che solo attraverso di esso sarà possibile realizzare quelle sinergie che rendono interessante il contratto di apprendistato e sulle quali in definitiva risiede il vero elemento caratterizzante del cd. modello duale.
Resta invece sostanzialmente inalterata la disciplina speciale del recesso dal contratto di apprendistato sulla quale il D. Lgs. n. 81/2015 si è limitata ad introdurre alcune precisazioni.
In sintesi, al rapporto di apprendistato si applica la disciplina ordinaria del recesso - pro tempore applicabile10 - nel corso del “periodo di apprendistato”. Quest’ultimo elemento rappresenta una precisazione importante che sostituisce la formulazione legislativa precedente che più genericamente faceva riferimento al “periodo di formazione”. Trova così conferma l’interpretazione da sempre sostenuta da Confindustria secondo cui il momento per l’esercizio del cd. recesso ad nutum coincide con il termine del contratto di apprendistato.
Innovativa è, invece, la previsione che prevede espressamente che costituisce giustificato motivo di licenziamento il mancato raggiungimento degli obiettivi formativi nel contratto di apprendistato per la qualifica e il diploma professionale, il diploma di istruzione secondaria superiore e il certificato di specializzazione tecnica superiore. Si tratta di una vera e propria tipizzazione di un’ipotesi di giustificato motivo di licenziamento che opera già nel corso del rapporto di apprendistato e che consente, quindi, al datore di lavoro di recedere in caso di cd. “bocciatura”.
3. Apprendistato per la qualifica ed il diploma professionale, il diploma di istruzione secondaria superiore e il certificato di specializzazione tecnica superiore (art. 43).
L’art. 43 disciplina il cd. apprendistato di primo livello che acquista ora il nome di “apprendistato per la qualifica ed il diploma professionale, il diploma di istruzione secondaria superiore e il certificato di specializzazione tecnica superiore” e sostituisce il precedente “apprendistato per la qualifica ed il diploma professionale” (cfr. art. 3 del D. Lgs. n. 167/2011).
La nuova disciplina si differenzia notevolmente dalla precedente proprio per la volontà legislativa di dar vita ad un vero e proprio apprendistato cd. “duale”, che si caratterizza, cioè, per il rilievo che riveste l’alternanza tra scuola e lavoro.
Il nuovo apprendistato di primo livello si distingue già a partire dai percorsi formativi interessati e che possono essere così sintetizzati:
Xxxxxx di scuola secondaria superiore di competenza statale: licei, istituti tecnici, istituti professionali, istituti d’arte;
10 Per alcune osservazioni in merito all’applicabilità della disciplina del contratto a tutele crescenti all’apprendistato si rinvia alla circolare Confindustria 9 marzo 2015 n. 19831.
Titoli dell’istruzione e delle formazione professionale regionale: qualifiche professionali triennali, diploma professionale quadriennale;
Certificato di specializzazione tecnica superiore: istruzione e formazione tecnica superiore (IFTS);
Corso annuale integrativo previsto dall’art. 6, comma 5, del D.P.R. n. 87/2010 per gli studenti delle Province autonome di Trento e Bolzano che hanno conseguito il diploma professionale quadriennale11.
È opportuno evidenziare che il sistema dell’istruzione secondaria superiore viene ricondotto dal D. Lgs. n. 81/2015 alla disciplina dell’apprendistato di primo livello anziché all’apprendistato di terzo livello come, invece, precedentemente previsto dall’art. 5 del D. Lgs. n. 167/2011. Tale scelta appare più coerente con i diversi limiti di età anagrafica minima che la legge prevede per le due tipologie di apprendistato.
Innovativa risulta anche la disciplina delle durate dei contratti di apprendistato di primo livello che può essere così sintetizzata:
Durata massima biennale: apprendistato per gli studenti delle Province autonome di Trento e Bolzano che hanno conseguito il diploma professionale quadriennale e che frequentano il corso annuale integrativo previsto dall’art. 6, comma 5, del
D.P.R. n. 87/2010;
Durata massima triennale: apprendistato per il conseguimento della qualifica e del diploma professionali regionali;
Durata massima quadriennale: apprendistato per il conseguimento del diploma professionale quadriennale regionale;
Durata massima quadriennale: apprendistato rivolto agli studenti iscritti al secondo anno (o successivo) di un percorso di istruzione secondaria superiore per l'acquisizione, oltre che del diploma di istruzione secondaria superiore, di ulteriori competenze tecnico-professionali rispetto a quelle già previste dai vigenti regolamenti scolastici, utili anche ai fini del conseguimento del certificato di specializzazione tecnica superiore.
A tale disciplina delle durate devono essere altresì aggiunte le ipotesi di proroga fino ad un anno previste dall’art. 43, comma 4:
o dell’apprendistato che si è concluso positivamente con il conseguimento della qualifica o del diploma professionali regionali “per il consolidamento e l'acquisizione di ulteriori competenze tecnico-professionali e specialistiche, utili anche ai fini dell'acquisizione del certificato di specializzazione tecnica superiore o
11 In questa ipotesi l’art.43, comma 5, del D. Lgs. n. 81/2015 prevede che il contratto di apprendistato possa avere una durata massima di 2 anni (cfr. infra).
del diploma di maturità professionale all'esito del corso annuale integrativo di cui all'articolo 15, comma 6, del decreto legislativo n. 226 del 2005”.
o se al termine del percorso, l’apprendista non ha conseguito la qualifica o il diploma professionali regionali, il certificato di specializzazione tecnica superiore o il diploma di maturità professionale all'esito del corso annuale integrativo.
Un’importante novità è stata prevista anche con riferimento alla competenza legislativa in materia.
Infatti, fermo restando che la competenza legislativa, costituzionalmente garantita, spetta alle regioni ed alle province autonome, l’art. 43, comma 3, prevede che, in via sostitutiva ed in assenza di un intervento regionale in materia, la regolamentazione dell’apprendistato di primo livello possa essere adottata dal Ministero del Lavoro con appositi decreti. Si vuole così evitare che l’assenza di una regolamentazione normativa di riferimento possa ostacolare l’utilizzo dell’istituto.
Venendo al merito della disciplina applicabile al rapporto di apprendistato di primo livello un ruolo importante è affidato all’accordo tra il datore di lavoro e l’ente di formazione.
L’art. 43, comma 6, prevede, infatti, che il datore di lavoro e l’istituzione formativa debbano sottoscrivere un protocollo con il quale vengono fissati il contenuto e la durata degli obblighi formativi del datore di lavoro anche alla luce degli standard formativi che dovranno essere definiti dal Ministero del Lavoro con proprio decreto (cfr. at. 46, comma 1).
Tale protocollo integra il piano formativo individuale che, come visto, è definito dall’istituzione formativa “con il coinvolgimento dell’impresa” (cfr. supra par. 2).
Al Decreto del Ministero del Lavoro, oltre alla definizione degli standard formativi, è affidata anche l’individuazione di ulteriori “criteri generali” tra cui:
i requisiti delle imprese datrici di lavoro;
il monte orario massimo del percorso scolastico che può essere realizzato in apprendistato;
il numero di ore da effettuare in azienda.
In ogni caso la legge prevede già dei limiti all’orario massimo del percorso scolastico per quanto riguarda il sistema di istruzione e formazione professionale regionale. In particolare, si prevede che la formazione impartita nell’istituzione formativa a cui è iscritto lo studente/apprendista non potrà eccedere:
il 60% dell’orario ordinamentale per il secondo anno;
il 50% dell’orario ordinamento per il terzo, il quarto anno, nonché per l’anno successivo finalizzato al conseguimento del certificato di specializzazione tecnica.
Altra importante novità è che il legislatore ha disciplinato direttamente i profili retributivi per l’apprendistato di primo livello, prevedendo che:
- per le ore di formazione svolte presso l’istituzione formativa: il datore di lavoro è esonerato da ogni obbligo retributivo;
- per le ore di formazione svolte presso il datore di lavoro: è riconosciuta una retribuzione pari al 10% di quella normalmente dovuta.
Lo stesso art. 43, comma 7, fa comunque salva la possibilità, per quanto riguarda la retribuzione per le ore di formazione, che la contrattazione collettiva possa disporre diverse previsioni 12.
4. Apprendistato professionalizzante (art. 44).
La disciplina dell’apprendistato professionalizzante ha subito poche ma rilevanti modifiche.
In primo luogo, occorre rilevare il definitivo superamento del cd. “contratto di mestiere” ed il ritorno all’unica categoria dell’apprendistato professionalizzante.
Resta, tuttavia, inalterato l’impianto normativo relativo ai contenuti formativi del contratto e che si caratterizza per la seguente bipartizione:
1. formazione di base e trasversale: affidata all’offerta formativa pubblica delle regioni e delle province autonome per un massimo di 120 ore nel triennio13;
2. formazione professionalizzante strictu sensu: i cui contenuti e la cui durata sono definiti dagli accordi interconfederali e dai contratti collettivi nazionali stipulati dalle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale14.
Proprio la formazione professionalizzante strictu sensu ha subito la modifica più rilevante in quanto non è più finalizzata al conseguimento di una specifica qualifica contrattuale, come precedentemente previsto dal D. Lgs. n. 167/2011, bensì piuttosto al conseguimento di una “qualificazione professionale”.
Viene così meno il riferimento, stretto ed esclusivo, alla specifica classificazione utilizzata nei sistemi di inquadramento del personale previsti dai contratti collettivi, in favore di un concetto di “qualificazione” più generale, ampio, “trasversale”, la cui individuazione, pur consentendo di utilizzare le dette classificazioni come parametro di riferimento, è in ogni caso largamente rimessa alle parti del contratto di apprendistato, che potranno modularla e specificarla, nel piano formativo e nel contratto individuale, con ampia autonomia.
12 Il generico riferimento alla contrattazione collettiva abilita anche la contrattazione collettiva di secondo livello trovando applicazione la disciplina generale prevista dall’art. 51 del D. Lgs. n. 81/2015.
13 Sul punto, ferma restando la competenza regionale in materia, la Conferenza Permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano ha adottato il 20 febbraio 2014 delle specifiche linee guida che modulano la durata della formazione anche in base al titolo d’istruzione posseduto dall’apprendista.
14 Anche in questo caso, quindi, i livelli di contrattazione collettiva legittimati sono diversi da quelli previsti in via generale dall’art. 51 del d. Lgs. n. 81/2015.
In altre parole, in piena coerenza con le novità previste per la disciplina delle mansioni, il contratto di apprendistato non dovrà più necessariamente individuare una specifica ed “univoca” qualifica contrattuale di riferimento, bensì potrà individuare una qualificazione che le parti definiscono autonomamente - adeguandola alle esigenze dell’impresa e alle attitudini oltre che alle competenze dell’apprendista – pur sulla base dei profili e delle qualificazioni professionali previste dalla contrattazione collettiva del settore.
5. Apprendistato di alta formazione e ricerca (art. 45).
Alcune novità hanno interessato anche la disciplina dell’apprendistato di terzo livello.
In primo luogo, come già accennato, occorre rilevare che la nuova disciplina sottrae il sistema dell’istruzione secondaria superiore all’apprendistato di terzo livello per affidarlo, più coerentemente, all’apprendistato di primo livello.
Oltre a questa prima rilevante novità, la nuova disciplina dell’apprendistato di alta formazione e ricerca si caratterizza per una più articolata disciplina del piano formativo.
Anche in questo caso, il D. Lgs. n. 81/2015 prevede la stipulazione di un protocollo tra impresa ed istituzione formativa che disciplina i contenuti formativi del contratto.
In particolare, il protocollo è chiamato a disciplinare:
1. durata e modalità della formazione a carico del datore di lavoro (nel rispetto degli standard formativi che dovranno essere definiti dal D. M. del Ministero del Lavoro);
2. il numero dei crediti formativi spettanti allo studente apprendista per la formazione svolta presso il datore di lavoro (nel rispetto dei criteri di attribuzione che saranno definiti dal medesimo D. M. del Ministero del Lavoro).
In ogni caso, la formazione esterna all’azienda – svolta presso l’istituzione formativa dallo studente apprendista – non può essere superiore, di norma, al 60% dell’orario ordinamentale.
Infine, anche per l’apprendistato di alta formazione, il D. Lgs. n. 81/2015 disciplina espressamente i profili retributivi, ferma restando la possibilità di diverse pattuizioni da parte della contrattazione collettiva15. In particolare, analogamente all’apprendistato di primo livello, si prevede che:
- per le ore di formazione svolte presso l’istituzione formativa, il datore di lavoro è esonerato da ogni obbligo retributivo;
- per le ore di formazione svolte presso il datore di lavoro, è riconosciuta una retribuzione pari al 10% di quella normalmente dovuta.
15 Anche in questo caso, così come per l’apprendistato di primo livello, il generico riferimento alla contrattazione collettiva abilita anche la contrattazione collettiva di secondo livello trovando applicazione la disciplina generale prevista dall’art. 51 del D. Lgs. n. 81/2015.
6. Standard professionali e formativi e certificazione delle competenze (art. 46).
La nuova disciplina dell’art. 46, in coerenza con la transizione dell’apprendistato professionalizzante dal sistema delle qualifiche contrattuali a quello delle qualificazioni, attribuisce agli standard professionali (precedentemente previsti dall’art. 6, comma 2, del
D. Lgs n. 167/2011) una funzione di mero “raccordo” con gli standard formativi, come si evince dal disposto del comma 3 dello stesso art. 46.
Più puntuale è, invece, l’indicazione degli oneri di registrazione della formazione (comma
2) effettuate sul libretto formativo del cittadino. Si chiarisce, infatti, che essa compete:
1. al datore di lavoro nel contratto di apprendistato professionalizzante con riferimento alla formazione svolta per il conseguimento della qualificazione contrattuale;
2. all’istituzione formativa per l’apprendistato di primo e di terzo livello.
Spetta, infine, all’istituzione formativa di provenienza dello studente la certificazione delle competenze acquisite dall’apprendista (cfr. art. 46, comma 4).
7. Disposizioni finali (art. 47).
Ferme restando le considerazioni già espresse al paragrafo 1 con riferimento ai profili di diritto intertemporale, le disposizioni finali di cui all’art. 47 introducono un’importante novità per quanto riguarda l’apprendistato finalizzato al reinserimento nel mercato del lavoro.
In primo luogo, si allarga la platea dei soggetti interessati. Coerentemente con l’evoluzione normativa in materia, si prevede, infatti, che l’apprendistato possa essere stipulato non solo con lavoratori che siano beneficiari dell’indennità di mobilità ma, più in generale, con tutti quei lavoratori che beneficiano di un “trattamento di disoccupazione”. Si apre così la possibilità di avvalersi di questa tipologia contrattuale anche con lavoratori che percepiscano l’ASpI.
Un primo importante chiarimento in materia è l’espressa previsione dell’applicabilità a questi lavoratori della disciplina dell’apprendistato professionalizzante senza tenere ovviamente conto dei limiti di età anagrafica previsti dall’art. 44, comma 1. Viene così opportunamente superata l’interpretazione avanzata nel corso della vigenza della precedente disciplina secondo cui l’apprendistato finalizzato alla ricollocazione costituisse un quartum genus rispetto ai tre livelli generalmente previsti dalla legge.
Così come già previsto dall’art. 7, comma 4, del D. Lgs. n. 167/2011, resta ferma per questi apprendisti la deroga alla disciplina generale dell’apprendistato in materia di
recesso. Per tali lavoratori trova, quindi, applicazione il regime ordinario senza possibilità di recesso ad nutum al termine del periodo di apprendistato.
Più complessa è, invece, la disciplina degli incentivi previsti dalla legge per questi lavoratori. Se per i lavoratori in mobilità è chiaro che trova applicazione il regime di agevolazioni speciale così come già previsto dalla precedente disciplina16, risulta meno evidente la disciplina applicabile agli apprendisti precedentemente percettori dell’ASpI.
Si ritiene che in quest’ultimo caso possa trovare applicazione la disciplina sulle agevolazioni contributive prevista, in via generale, per l’apprendistato, ma appare indispensabile un intervento di chiarimento della disposizione in via amministrativa.
16 Tali agevolazioni consistono:
- nell’applicazione dell’aliquota contributiva agevolata prevista per gli apprendisti per i primi 18 mesi;
- riconoscimento di un contributo mensile a favore del datore di lavoro pari al 50% dell’indennità di mobilità per ogni mensilità di retribuzione corrisposta al lavoratore per un massimo di 12 mesi (elevati a 24 mesi per i lavoratori ultracinquantenni e a trentasei mesi per i lavoratori delle aree territoriali prevista dall’art. 7, comma 6, della Legge n. 223/1991).
LAVORO ACCESSORIO (ARTT. 48 - 50)
Il X.Xxx. n. 81/2015 ha abrogato e sostituito integralmente gli articoli da 70 a 73 del D.Lgs. n. 276/200317.
Le novità di maggior rilievo che riguardano il lavoro accessorio sono l’elevazione del limite complessivo dei compensi percepibili dal lavoratore, da 5.000 a 7.000 Euro (rivalutabili in base all’indice ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie), e l’opportuna precisazione che tale limite va calcolato nel corso di un anno civile (1 gennaio – 31 dicembre) anziché nell’anno solare.
Rimane, viceversa, invariato il limite di 2.000 euro (sempre rivalutabili) per i compensi erogabili da ogni singolo committente imprenditore o professionista, sempre nel rispetto del limite complessivo, per il lavoratore, dei 7.000 Euro.
Viene anche confermata e resa strutturale la possibilità di rendere prestazioni di lavoro accessorio, nel limite di 3.000 Euro, per i percettori di prestazioni integrative del salario o di sostegno al reddito.
In ordine alla “natura” del rapporto, la nuova formulazione della norma non mette in discussione quanto, oramai, era già acquisito in virtù di precedenti interventi legislativi, ossia che l’ordinamento prescinde da una specifica qualificazione (in termini di subordinazione o meno) del rapporto stesso, a favore dell’identificazione della fattispecie semplicemente attraverso le specifiche modalità di erogazione del compenso (mediante voucher) ed i limiti quantitativi di esso.
Proprio al fine di evitare eventuali abusi, le nuove norme impongono ai committenti imprenditori o liberi professionisti, oltre che - come detto - la fissazione di un tetto di compensi erogabili (cfr. art. 49, comma 1), l’obbligo di acquistare i voucher esclusivamente con modalità telematiche (cfr. circolare INPS n. 149 del 12 agosto 2015).
Sempre con l’evidente finalità di evitare possibili utilizzi strumentali dell’istituto, viene previsto anche (cfr. art. 48, comma 6) il divieto di utilizzo del lavoro accessorio nell’ambito dell’esecuzione di appalti di opere o servizi, fatte salve specifiche ipotesi che saranno individuate tramite apposito decreto del Ministero del lavoro.
Infine, sempre con specifico riguardo ai committenti imprenditori o liberi professionisti, viene previsto (art. 49, comma 3) che essi siano tenuti a comunicare alla DTL, con modalità telematiche e prima dell’inizio della prestazione, i dati anagrafici ed il codice fiscale del lavoratore, indicando altresì il luogo della prestazione con riferimento ad un arco temporale non superiore ai trenta giorni successivi.
17 Si segnala che l’INPS con propria circolare 12 agosto 2015, n. 149 ha fornito una prima illustrazione della novità relative alla disciplina del lavoro accessorio.
COLLABORAZIONI COORDINATE E CONTINUATIVE.
1. Superamento del contratto a progetto (art. 52).
Il Decreto Legislativo n. 81/2015 modifica profondamente la disciplina delle collaborazioni coordinate e continuative, superando definitivamente il contratto a progetto attraverso l’abrogazione degli artt. da 61 a 69 del D. Lgs. n. 276/2003.
Al contempo, l’art. 52 D. Lgs. n. 81/2015 abroga l’art. 69-bis introdotto dalla Legge n. 92/2012 che conteneva alcune presunzioni di subordinazione applicabili alle prestazioni lavorative rese in regime di lavoro autonomo diverse dalla parasubordinazione (cd. “partite IVA”).
L’abrogazione, già intervenuta al momento dell’entrata in vigore del D. Lgs. n. 81/2015 – ovvero a decorrere dal 25 giugno 2015 – fa comunque salva, anche in virtù dell’espressa disposizione di legge, la regolazione dei contratti stipulati prima di tale data.
Questione relativa ai contratti a progetto in essere è quella della loro prorogabilità.
Proprio l’espressa previsione dell’applicabilità della disciplina previgente induce a ritenere che sia possibile prorogare i contratti a progetto in essere così come accadeva, per l’appunto, durante la vigenza della precedente disciplina. Ciò non di meno dovranno ricorrere tutte le condizioni per procedere alla relativa proroga e, in particolare, la proroga dovrà essere funzionale al completamento del progetto definito al momento della stipulazione del contratto.
La proroga, però, dovrà essere attuata con queste avvertenze:
a) cautelativamente, non andrebbe estesa oltre il termine oltre il 31 dicembre del 2015;
b) ovvero, ove il rapporto proseguisse oltre il 31 dicembre del 2015, occorre verificare la compatibilità della disciplina contrattuale in essere con la nuova disciplina di legge e, segnatamente, con il disposto dell’art. 2, comma 1, del
D. Lgs. n. 81/2015 (cfr. infra par. 2).
Si ritiene, pertanto, opportuno che il committente tenga in debito conto il problema della compatibilità delle clausole del contratto di collaborazione con la nuova disciplina di legge, non solo in sede di proroga ma, più in generale, con riferimento a quei contratti il cui termine finale sia successivo alla già citata data del 1 gennaio 2016.
Ai fini della verifica della compatibilità della disciplina contrattuale previgente con quella di legge può essere opportuno, inoltre, valutare l’eventuale ricorso allo strumento della certificazione del contratto.
Sotto un diverso profilo, è bene chiarire che il superamento del contratto a progetto non determina affatto il venir meno dello strumento delle collaborazioni coordinate e continuative che appartengono, più in generale, alla categoria del lavoro autonomo.
Senza soffermarsi su questioni di carattere teorico-dottrinario, alquanto discusse e complesse, ci limitiamo qui a segnalare che il D. Lgs. n. 81/2015 fa espressamente salvo il disposto dell’art. 409 c.p.c. (cfr. art. 52, comma 2).
Tale disposizione è indicativa della volontà della riforma di fare salve le collaborazioni coordinate e continuative.
D’altra parte, come noto, è proprio a partire da questa disposizione, ancorché di carattere processuale, che la prassi applicativa e la giurisprudenza avevano enucleato la fattispecie delle collaborazioni, come testimonia il disposto dell’ormai abrogato art. 61, comma 1, del D. Lgs. n. 276/2003.
Conseguentemente, il superamento della disciplina del contratto a progetto, temporalmente e logicamente successiva a quella del contratto di collaborazione coordinata e continuativa, non incide sull’attuale utilizzabilità di quest’ultima, che ne costituiva il presupposto.
La novità di maggior rilievo è, tuttavia, proprio il venir meno dell’obbligo di individuazione di uno specifico progetto che determinava, sul piano della forma, l’obbligo di dedurre nel contratto, tra l’altro, l’“indicazione della durata, determinata o determinabile, della prestazione di lavoro” nonché la “descrizione del progetto, con individuazione del suo contenuto caratterizzante e del risultato finale che si intende conseguire”.
Sebbene sia senz’altro vero che tali obblighi, espressamente previsti dalla legge, siano venuti meno, riteniamo importante sottolineare, fin da subito, che è fondamentale prestare la massima attenzione, in sede di redazione del contratto, all’esatta individuazione dell’oggetto della collaborazione, onde evitare il rischio che la collaborazione possa configurarsi come un generico ed indistinto “mettersi a disposizione” del collaboratore a favore del committente.
È evidente, dunque, che tanto più sarà specifico l’oggetto del contratto, parallelamente minore sarà il rischio che il rapporto possa configurarsi come una mera messa a disposizione delle proprie energie lavorative da parte del collaboratore che, come noto, costituisce uno degli indici tipici della subordinazione.
Proprio alla luce di queste considerazioni, particolare attenzione richiede non solo la redazione ma, tanto più, la relativa esecuzione di quei contratti di collaborazione che non prevedano un termine finale e si configurino come contratti a tempo indeterminato.
Da ultimo, occorre rilevare che l’abrogazione della disciplina del lavoro a progetto comporta il ritorno alla disciplina del recesso del lavoro autonomo. Pertanto, le parti ben possono pattuire la possibilità di libero recesso dal contratto a fronte di un congruo preavviso.
2. Collaborazioni organizzate dal committente (art. 2).
L’altra novità fondamentale che ha caratterizzato la disciplina delle collaborazioni è la previsione dell’art. 2, comma 1, del D. Lgs. n. 81/2015 che prevede che:
“A far data dal 1° gennaio 2016, si applica la disciplina del rapporto di lavoro subordinato anche ai rapporti di collaborazione che si concretano in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro”.
Tralasciando ogni considerazione in merito alla qualificazione giuridica della disposizione in termini di vera e propria presunzione18, il contenuto di essa merita di essere approfondito con riferimento ai suoi elementi caratterizzanti.
In primo luogo, occorre sottolineare che la disposizione produce i suoi effetti solamente a decorrere dal 1° gennaio 2016.
Successivamente a tale data, tutti i rapporti di collaborazione – ivi inclusi quelli a progetto stipulati prima del 25 giugno 2015 – sono soggetti alla disposizione in esame qualora ricorrano congiuntamente tutti i seguenti elementi:
Prestazione esclusivamente personale
Questo requisito attiene, in modo principale, al profilo soggettivo relativo alla possibilità di avvalersi di collaboratori.
È opportuno evidenziare che l’art. 2, comma 1, del D. Lgs. n. 81/2015 pone un requisito più stringente (“esclusivamente personali”) rispetto all’art. 409, n. 3 c.p.c. (“prevalentemente personale”).
Sul piano soggettivo, il carattere dell’esclusività induce a ritenere che il requisito non è integrato quando il collaboratore si avvalga, a sua volta, di altri collaboratori per l’adempimento della prestazione.
Occorre poi ricordare che, secondo la giurisprudenza, il carattere della personalità non è incompatibile con l’utilizzo di beni strumentali all’esercizio della propria attività. Pertanto, il requisito della personalità “esclusiva” non può dirsi insussistente qualora il collaboratore si avvalga di strumenti e macchinari, tanto più se di valore non ingente come, ad esempio, un computer. Dunque, non è bene
18 Diverse sono, infatti, le ipotesi che sono state prospettate fin dalle prime interpretazioni e che spaziano dalla qualificazione in chiave di presunzione (assoluta/relativa), alla configurabilità di un’estensione del concetto di subordinazione ed, infine, alla sola estensione delle tutele del lavoro subordinato ad un rapporto di lavoro che resta pur sempre autonomo. Tali distinzioni, pur non sempre prive di conseguenze sul piano concreto della disciplina applicabile, appaiono difficilmente risolvibili sul piano meramente interpretativo e occorrerà attendere le prime pronunce giurisprudenziali in materia. Anche per questo motivo particolare rilievo riveste l’analisi dei presupposti che determinano l’applicazione della norma.
ritenere che il collaboratore che si avvalga di mezzi propri sia, tout court, escluso dall’applicazione del disposto dell’art. 2, comma 1.
Continuità delle prestazioni
Il requisito della continuità costituisce uno degli elementi che caratterizzano le collaborazioni previste dall’art. 409 c.p.c. e si caratterizza per il protrarsi nel tempo del rapporto di collaborazione soprattutto sotto il profilo dell’esecuzione della prestazione lavorativa.
Etero-organizzazione da parte del committente anche con riferimento ai tempi ed al luogo di lavoro
Senza dubbio questo requisito rappresenta la maggiore novità introdotta dalla disposizione.
In primo luogo occorre rilevare che l’etero-organizzazione si sostanzia, per l’appunto, nell’esercizio unilaterale, da parte del datore di lavoro, del potere di adattare l’attività lavorativa del collaboratore alle esigenze dell’organizzazione aziendale.
Il requisito dell’etero-organizzazione non si verifica, quindi, qualora l’attività di organizzazione della prestazione non sia unilateralmente determinata dal commitaente, bensì autonomamente determinata dal collaboratore ovvero oggetto di specifico accordo tra le parti.
Più in particolare, la disposizione richiede che l’etero-organizzazione riguardi i profili del tempo e del luogo di lavoro.
Prendendo in esame, ad esempio, il profilo temporale, si configura l’etero- organizzazione ogniqualvolta il committente indichi puntualmente, ed in maniera unilaterale, l’orario di lavoro del committente. Al contrario, non sussisterà l’etero- organizzazione qualora l’orario di lavoro sia autonomamente organizzato dal collaboratore, fermo restando il coordinamento con l’organizzazione del committente, che potrebbe concretizzarsi nell’individuazione di fasce orarie di riferimento. Parimenti qualora l’orario di lavoro sia proposto dal collaboratore e successivamente accettato dal committente.
Quanto al luogo della prestazione, si ritiene che se l’oggetto della stessa non possa obiettivamente svolgersi in luoghi diversi da quelli appartenenti al committente (si pensi ad esempio ad un’attività di collaborazione che debba svolgersi presso un archivio ovvero presso un impianto), la possibilità di concordare le modalità di accesso già escluda l’applicazione dell’art. 2, comma 1.
Qualora ricorrano tutti e tre gli elementi analizzati, l’art. 2, comma 1, prevede l’applicazione della disciplina del lavoro subordinato con la conseguente applicazione dei relativi diritti e obblighi anche sotto il profilo previdenziale.
3. Segue: eccezioni all’art. 2, comma 1 (art. 6).
La nuova disciplina dell’art. 2 prevede diverse eccezioni ovvero ipotesi in cui la disciplina di cui al comma 1 non trova applicazione.
In particolare, l’art. 2, comma 2, del D. Lgs. n. 81/2015 prevede le seguenti ipotesi:
a) collaborazioni per le quali gli accordi collettivi nazionali stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale prevedono discipline specifiche riguardanti il trattamento economico e normativo, in ragione delle particolari esigenze produttive ed organizzative del relativo settore;
Merita di essere sottolineato che la disposizione fa riferimento solamente alla contrattazione collettiva di livello nazionale e, in questo caso, pone una disciplina specifica rispetto a quella prevista in via generale dall’art. 51 del D. Lgs. n. 81/2015.
b) collaborazioni prestate nell'esercizio di professioni intellettuali per le quali è necessaria l'iscrizione in appositi albi professionali;
c) attività prestate nell'esercizio della loro funzione dai componenti degli organi di amministrazione e controllo delle società e dai partecipanti a collegi e commissioni;
d) collaborazioni rese a fini istituzionali in favore delle associazioni e società sportive dilettantistiche affiliate alle federazioni sportive nazionali, alle discipline sportive associate e agli enti di promozione sportiva riconosciuti dal C.O.N.I., come individuati e disciplinati dall'articolo 90 della legge 27 dicembre 2002, n. 289.
Le ipotesi di cui alle lett. a), b) e c) sono coincidenti con quelle già previste dall’art, 61, commi 1 e 3 del D. Lgs. n. 276/2003.
Infine, un’ipotesi diversa è quella prevista dal comma 3 che prevede espressamente la possibilità di certificare l’assenza dei requisiti di cui al comma 1 (ovvero l’esclusiva personalità, la continuità e la etero-organizzazione).
Si tratta di un’ipotesi di certificazione per certi versi “speciale”. Ciò non tanto perché presuppone un accertamento negativo19, quanto piuttosto perché è prevista la facoltà per il
19 A ben vedere, infatti, ogni certificazione, attestando la conformità di uno schema contrattuale alla fattispecie legale di riferimento, opera al contempo un accertamento negativo escludendo la conformità rispetto alle altre tipologie contrattuali ed agli elementi giuridici che le caratterizzano.
lavoratore di farsi assistere da un rappresentante dell’associazione sindacale cui aderisce o conferisce mandato o da un avvocato o da un consulente del lavoro.
Tale particolarità la distingue dalla certificazione “ordinaria” nella quale tale possibilità di assistenza non è prevista.
È opportuno precisare che, al di là dell’applicazione dell’art. 2 del D. Lgs. n. 81/2015 (tanto sotto il profilo dei requisiti previsti dal comma 1, quanto con riferimento alle eccezioni di cui al comma 2 o alla certificazione prevista dal comma 3) resta fondamentale, secondo i principi generali, la regola secondo cui la qualificazione del rapporto avviene sulla base delle modalità con le quali si dà esecuzione al rapporto di lavoro.
Conseguentemente, resta fondamentale, oltre alla corretta redazione del contratto, che la sua esecuzione sia conforme ai contenuti del contratto e alle caratteristiche tipiche della collaborazione coordinata e continuativa.
Infine, merita di essere precisato il regime giuridico applicabile alle collaborazioni instaurate con soggetti percettori della pensione di vecchiaia.
Questa ipotesi – prima espressamente prevista dall’art. 61, comma 3, del D. Lgs. n. 276/2003 tra le eccezioni alla regola dell’individuazione del progetto – non è più presente nell’elenco di cui all’art. 2, comma 2, del D. Lgs. n. 81/2015.
Il mancato inserimento dell’ipotesi dei percettori della pensione di vecchiaia in tale elenco non impedisce, tuttavia, di concludere con tali soggetti un contratto di collaborazione coordinata e continuativa. Xxxx, tali rapporti di collaborazione continueranno ad essere privi di progetto - come già accadeva precedentemente - dal momento che, come visto, l’obbligo di individuazione di uno specifico progetto è stato abrogato per la generalità dei rapporti di collaborazione.
Tuttavia, la mancata inclusione dei percettori della pensione di vecchiaia nell’elenco delle “eccezioni”, di cui all’art. 2, comma 2, fa sì che, come per la generalità delle collaborazioni, anche per questi lavoratori trovi applicazione la disciplina di cui all’art. 2, comma 1, e la relativa “presunzione”.
ASSOCIAZIONE IN PARTECIPAZIONE (ART. 53)
Il X.Xxx. n. 81/2015, all’art. 53, ha previsto il definitivo e completo superamento dell’associazione in partecipazione in cui un associato sia una persona fisica e il relativo apporto consista, anche solo in parte, in una prestazione di lavoro.
Con norma transitoria sono fatti salvi, ma solo fino alla loro cessazione, quei contratti di associazione in partecipazione, in atto al 25 giugno 2015, nei quali, appunto, l’apporto dell’associato persona fisica consista, anche solo in parte, in una prestazione di lavoro.
Viene invece abrogata subito (cfr. art. 55, comma 1, lett. h, del d. lgs. n. 81/2015) la norma, prevista dalla “legge Fornero” (cfr. art. 1, comma 30, della legge n.92/2012), che introduceva una presunzione relativa di lavoro subordinato a tempo indeterminato per quei rapporti di associazione in partecipazione, con apporto di lavoro, che non fossero pienamente conformi alla disciplina della precedente redazione dell’art. 2549 Cod. Civ.
STABILIZZAZIONI DEI COLLABORATORI ANCHE A PROGETTO E DEI TITOLARI DI PARTITA IVA (ART.
54)
Con l’espressa finalità di promuovere la stabilizzazione dell’occupazione e di qualificare il mercato del lavoro - ossia cercare di evitare il ricorso a rapporti di collaborazione autonoma di dubbia configurazione - l’art. 54 prevede una “sanatoria” che consente, a far data dal 1° gennaio 2016, di assumere a tempo indeterminato soggetti con i quali si è in precedenza intrattenuto rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, anche a progetto, ovvero rapporti di lavoro autonomo con emissione di fattura IVA.
Il percorso di stabilizzazione prevede la sottoscrizione, nelle sedi qualificate, di conciliazioni aventi ad oggetto le pretese riguardanti i rapporti pregressi ed il mantenimento del rapporto per almeno dodici mesi successivi alla data dell’assunzione, salvo che il recesso sia motivato da giusta causa o giustificato motivo soggettivo.
L’assunzione avvenuta nel rispetto delle dette condizioni comporta l’estinzione di ogni tipo di illecito (amministrativo, contributivo e fiscale) connesso all’erronea qualificazione del rapporto pregresso, fatti salvi gli illeciti accertati a seguito di accessi ispettivi effettuati in data antecedente all’assunzione.