EPIDEMIOLOGIA. Il tumore al seno è la neoplasia maligna più frequente nelle donne (25% di tutti i tumori) ed è responsabile del 14,3% dei decessi per cancro nel sesso femminile. In Europa, considerando uomini e donne assieme, l’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro ha stimato che ogni anno ne vengano diagnosticati 464.000 (il 99% dei casi nelle donne) nuovi casi. In Italia sono diagnosticati circa 50.200 casi all’anno, più di un caso ogni 1000 donne. L’incidenza della malattia presenta un netto gradiente tra Nord, Centro e Sud con rischi superiori del 40% al Nord. Nel recente quinquennio, l’incidenza ha mostrato un aumento variabile dal 2 al 17% (12) a fronte di una netta diminuzione della mortalità, grazie agli avanzamenti ottenuti nella diagnosi precoce e nella strategia terapeutica adiuvante (Fig 1). Sempre in Italia il tumore al seno rappresenta la prima causa di morte per tumore nelle donne, con 11.913 decessi, al primo posto anche in diverse fasce di età, rappresentando il 29% delle cause di morte oncologica prima dei 50 anni, il 21% tra i 50 e i 69 anni e il 16% dopo i 70 anni. Mediamente, per una donna italiana, il rischio di ammalarsi nel corso della vita è, oggi, del 13%: circa una donna su 45 si ammala entro i 50 anni, una su 19 tra i 50 e i 69 anni, e una donna su 23 tra i 70 e gli 84 anni. I dati italiani di sopravvivenza relativa a 5 anni per una diagnosi di tumore al seno a partire dal triennio 1990-1992 fino al triennio 2005-2007 suggeriscono un importante incremento di sopravvivenza dal 78 all’87%, con dati che superano le sopravvivenze europee. (Tabella 1) Nelle donne senza segni e/o sintomi di neoplasia, la diagnosi in uno stadio iniziale di malattia consente un trattamento più efficace ed una probabilità maggiore di remissione completa. Numerosi studi hanno dimostrato come lo screening mammografico possa ridurre la mortalità (circa del 20%) ed aumentare le opzioni terapeutiche.(13-15)
EPIDEMIOLOGIA. Gli studi epidemiologici possono evidenziare le differenze di incidenza delle MICI nel tempo e nelle diverse aree geografiche e consentire l’identificazione di fattori di rischio di malattia. Gli studi di popolazione sono il modello ideale per uno studio sull’incidenza e la prevalenza delle malattie ma possono essere condotti solo in aree dove esistono registri 3 Xxxxxxxxxx MS, Xxxxxxxx J, Xxxxx T, Xxxxxx ID, Xxxxxxxxx CN,Xxxxx SR, et al. Toward an integrated clinical, molecular andserological classification of inflammatory bowel disease: report of a working party of the 2005 Montreal World Congress of Gastroenterology. Can J Gastroenterol 2005;19 (Suppl A):5–36. Xxxxxxxx J, Xxxxxxxxxx MS, Xxxxxxxx S, Xxxxxxxx JF. The Montreal classification of inflammatory bowel disease: controversies, consensus, and implications. Gut 2006; 55:749–53. generali di malattia a cui affluiscono i dati provenienti dalla medicina territoriale e dalla medicina ospedaliera. Studi di questo tipo sulle MICI sono stati condotti nei Paesi Scandinavi sin dai primi anni ‘60 e rappresentano il punto di riferimento quando si voglia conoscere esattamente la reale incidenza e prevalenza di queste malattie. Gli studi su popolazione ospedaliera che provengono da aree geografiche in cui per diversi motivi non è possibile eseguire studi di popolazione, presentano però alcuni limiti ed in particolare non consentono di stimare la reale incidenza delle malattie, dimostrando una elevata presenza di fenotipi di malattia più severa rispetto agli studi di popolazione. Purtroppo in Italia non esistono registri di malattia e sono disponibili solamente studi di popolazione in piccole aree geografiche per lo più retrospettivi e condotti per brevi periodi di tempo o studi di incidenza ospedaliera. Un recente studio prospettico di popolazione coordinato dall’ECCO, che ha coinvolto 31 centri (6 italiani) e 14 nazioni europee ha confermato un gradiente di incidenza Nord>Sud, ma anche Occidente>Oriente4. In particolare nel 2010 l’incidenza rilevata in Italia è stata di 11.6 casi/100.000 abitanti, con un rapporto 1.5:1 tra CU e MC. In definitiva, l’incidenza delle MICI in Italia, ma in generale nel Sud d’Europa, è in aumento, confermando l’incremento reale di queste malattie, che non può essere giustificato solamente dalla maggiore capacità diagnostica sviluppatasi negli ultimi anni5.
EPIDEMIOLOGIA. La rosolia è soggetta a notifica obbligatoria; nella figura 3.5. è rappresentato il numero di casi annuali di rosolia notificati in Italia dal 1976 al 2001: è possibile notare l'andamento ciclico ancora presente nel nostro Paese, con picchi epidemici ogni 2-4 anni. Nonostante l’introduzione della vaccinazione, dal 1971 al 1996 l’incidenza della malattia è rimasta pressoché stabile; l’ultima epidemia si è verificata nel 1997, con oltre 34.000 casi notificati; dal 1998 in poi si è assistito ad una riduzione di incidenza, con il minimo storico di circa 1.100 casi notificati nel 1999. Negli ultimi anni si è verificato uno spostamento verso l’alto dell’età media dei casi notificati di rosolia, che è passata da 9 anni nel 1980 a 13 anni nel 1996. Nello stesso anno, il 13,5% dei casi notificati interessava donne in età compresa fra 20 e 40 anni. Questo dato è preoccupante, se si considerano le possibili conseguenze dell’infezione acquisita durante la gravidanza. Anche per la rosolia, le notifiche rappresentano solo una parte dei casi totali di malattia, ed è stato stimato che corrispondano alla quinta-sesta parte dei casi reali, con notevoli differenze tra aree geografiche. Figura 3.5. Notifiche annuali di rosolia e rosolia congenita negli anni 1970-2001