Common use of Profili generali Clause in Contracts

Profili generali. La confisca ex a. 12 sexies legge n. 356/1992 costituisce uno strumento ablatorio connotato, anzitutto, in negativo, dall’assenza di un nesso pertinenziale concreto (o di fatto), ovvero di derivazione economico-temporale del bene rispetto al fatto di reato commesso. In positivo, inoltre, è caratterizzato da una pertinenzialità, tipizzata a livello normativo, con il titolo astratto di reato per cui l’imputato, dominus di fatto del bene aggredito, viene condannato in via definitiva. In altri termini, la condanna per uno dei reati tipici (o presupposto) previsti dalla norma (in quanto stimati dal legislatore idonei a creare un'accumulazione economica che, di per sé, costituisce possibile strumento di ulteriori delitti) rende confiscabili tutti i beni sproporzionati ai redditi o ai proventi dell’attività economica del soggetto passivo che ne dispone, ove privi di giustificazione lecita. In tale previsione, il reato presupposto non costituisce, dunque, la scaturigine diretta e riconoscibile del patrimonio illecito, secondo il classico criterio d’immediata o comunque riconoscibile derivazione, già previsto e contrastabile con lo strumento della confisca ex a. 240 c.p., proprio del prezzo, del prodotto, del profitto e del mezzo del reato. Piuttosto, il reato presupposto rappresenta il sintomo normativo (presunzione iuris tantum) di un sistema di vita illecito, questo sì origine dell’accumulazione di un patrimonio sproporzionato. E’ in questo limitato senso che può essere ammessa una definizione dell’istituto quale sanzione senza reato, non essendo, come detto, richiesto uno specifico accertamento della provenienza dei beni dall’attività illecita del condannato. In questo quadro, la presunzione è vincibile, ma certamente origina un onere di allegazione sulla legittima provenienza dell’acquisto e la veritiera appartenenza del bene medesimo (C.Cost. ord. 18/2006). A conforto di quanto appena notato, può ricordarsi che recentemente le Sezioni Unite hanno sottolineato come la confisca ex art. 12-sexies “richiede la commissione di un reato tipico, per giunta accertato da una sentenza di condanna, ordinariamente generatore - per la sua tipologia - di disponibilità illecite di natura delittuosa, ancorché l'adozione del provvedimento ablativo prescinda (anche in questo caso) da un nesso di pertinenzialità del bene con il reato per il quale è intervenuta la condannam (sent. n. 33451/14)”. Dalla natura di misura di sicurezza, seppur atipica, dell’istituto derivano rilevanti conseguenze che, in parte, saranno ripercorse nel corso di questa riflessione. La più importante è la non operatività del principio di irretroattività proprio della pena, previsto dall’art. 25, comma 2 della Costituzione. Come riconosciuto dalla costante giurisprudenza della Corte di Cassazione (CP 21357/98, 1539/09, 32932/09, 38179/09, 5452/10, 12406/10, 44534/12), l’istituto è retto, infatti, dal diverso principio dell’applicazione della legge vigente al momento della decisione, fissato dagli artt. 200 c.p. e 236 c.p.. In altre parole, la confisca prevista dall'art. 12 sexies cit. è applicabile anche nei confronti di chi sia stato condannato per reati commessi prima dell'entrata in vigore della norma che la disciplina, non integrando tale interpretazione una violazione dell'art. 7 CEDU. In termini più pragmatici, per vero, occorre distinguere. Nessun dubbio di compatibilità può sorgere nel caso di reato commesso dopo l’inserimento nel catalogo di quelli per i quali viene consentita la confisca per sproporzione, pur nei confronti di beni acquistati precedentemente, poiché secondo la CEDU il reo, nel momento in cui commette il reato, deve avere "gli occhi aperti in relazione alle possibili conseguenze" che possono derivarne, ivi compresa la confisca dei profitti di precedenti reati. Per contro, non possono nascondersi profili problematici qualora la confisca riguardi un reato commesso prima dell’inserimento nel catalogo di quelli che consentono la confisca per sproporzione. La Corte costituzionale (C. Cost. ord. 18/96) ha escluso che la confisca allargata violi il principio di uguaglianza e il diritto di difesa ovvero che si delinei quale “frutto di una cultura del sospetto”. Secondo la Corte (v. anche SU 920/2004) la presunzione prevista “trova ben radicata base nella nota capacità dei delitti individuati dal legislatore, ad essere perpetrati in forma quasi professionale e a porsi quali fonti di illecita ricchezza”. Al giudice è precluso, ad ogni modo, espropriare un patrimonio d’ingente valore, senza accertarne la sproporzione rispetto ai redditi ed alle attività economiche del condannato e porre attenzione alle allegazioni difensive. Non pare neppure dubbia la compatibilità della confisca allargata con la Convenzione europea dei diritti dell’uomo, trattandosi di misura che consegue ad una sentenza di condanna applicata all’esito di un giusto processo, nel rispetto delle norme della Convenzione europea. La Corte europea ha più volte2 manifestato favore nei confronti di strumenti di c.d. confisca allargata, previsti da diversi ordinamenti, per contrastare il crimine organizzato, concentrando la valutazione sulle concrete garanzie offerte agli interessati e dunque sull’effettiva possibilità di difendersi, a principiare dall’intervento di una Corte che consideri le tesi difensive. Secondo la Corte europea, trattandosi di “perdita di proprietà”, la confisca in questione è disciplinata al secondo comma dell'articolo 1 del Protocollo n.13, al pari della confisca di prevenzione. Qualsiasi interferenza con il diritto di proprietà deve trovare un "giusto equilibrio" tra le esigenze dell'interesse generale della comunità e quelle della tutela dei diritti fondamentali della persona. Con riguardo alle interferenze, come per la confisca per sproporzione, il secondo comma, dell'articolo 1 del Protocollo n. 1 prevede specificamente per il "diritto di uno Stato di far rispettare le leggi da essi ritenute necessarie per controllare l'uso dei beni in modo conforme all'interesse generale (...) " e la Corte ha precisato che deve essere ragionevole il rapporto di proporzionalità tra i mezzi impiegati e lo scopo perseguito. Ma gli Stati hanno un ampio margine di apprezzamento a tale riguardo sia per la scelta l'attuazione e per verificare se le conseguenze sono giustificate nell'interesse pubblico, al fine di conseguire l'obiettivo della normativa in questione. Quanto ai presupposti di applicabilità del sequestro e della confisca, muovendo dai profili generali, appare conveniente segnalare i presupposti di carattere soggettivo e quelli di natura oggettiva. Il presupposto soggettivo fondamentale consiste nella riconducibilità della condotta della persona ad una delle fattispecie di reato espressamente previste. Sul quantum dell’attribuzione della fattispecie di reato v’è differenza tra la fase cautelare e quella della confisca. Nella prima fase, infatti, in cui l’apprensione del bene mira ad evitarne la dispersone, è sufficiente il fumus commissi delicti per procedere a sequestro preventivo ai sensi dell’art. 321, comma 2, c.p.p. trattandosi di cose di cui è consentita la confisca. Lo stesso art. 12 sexies al comma 4 fa espresso riferimento alla possibilità di adottare il sequestro ex art. 321 c.p.p. Nella fase cautelare, inoltre, è sufficiente il "periculum in mora" che consiste nella presenza di seri indizi di esistenza delle condizioni che legittimano il provvedimento ablativo; infine, l’accertamento dei presupposti, soggettivi e oggettivi, avviene sulla base degli elementi offerti dall'organo proponente (l’organo giudicante nel rigettare la richiesta può solo indicare temi o tracce per il pubblico ministero), senza contraddittorio preventivo. Nella fase della confisca, per converso, occorre la condanna e, dunque, l’accertamento della penale responsabilità al di là di ogni ragionevole dubbio; inoltre, le condizioni del provvedimento ablativo devono essere accertate in tutta la loro valenza, all’esito delle varie fasi del procedimento quando, attraverso il contraddittorio (a partire dalla eventuale fase del riesame) possono essere offerte tesi ed allegazioni difensive le quali, ove idonee, a giustificare la legittima 2 sent. 22.2.94 Xxxxxxxx x. Italia; dec. 4.9.01 Xxxxx c. Italia; dec. 5.7.01 Arcuri c. Italia; sent. 5.1.10 Xxxxxxxxx c. Italia; dec. 6.7.11 Xxxxx c. Italia; dec. 17.5.11 Capitani e Campanella c. Italia; sent. 12.1.01 Xxxxxxxx c. Regno Unito; sent. 12.10.4.12, Silickien c. Lituania; sent. 4.11.14 Xxxxxxxxx x. Xxxxxxx

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Profili generali. La confisca ex a. 12 sexies L’articolo unico, commi da 39 a 43 della legge 24 dicembre 2007 n. 356/1992 costituisce uno strumento ablatorio connotato247 apporta significative modifiche al decreto legislativo n. 368/2001 in materia di contratto a termine. In via generale il comma 39 inserisce all’art. 1 del D.Lgs 368/2001 la seguente locuzione “Il contratto di lavoro subordinato è stipulato di regola a tempo indeterminato”. Tale previsione normativa codifica l’indirizzo prevalente della dottrina, anzituttosecondo cui le ragioni giustificatrici del contratto a termine devono riferirsi a esigenze di carattere temporaneo o, in negativocomunque, dall’assenza non stabili. Non è, pertanto, ipotizzabile la stipula di un nesso pertinenziale concreto (o contratto di fatto), ovvero lavoro a tempo determinato per soddisfare occasioni permanenti di derivazione economico-temporale del bene rispetto al fatto di reato commessolavoro. In positivobase alla stessa previsione, inoltre, è caratterizzato da una pertinenzialità, tipizzata la nullità della clausola sul termine comporta la conversione del contratto a livello normativo, con il titolo astratto di reato per cui l’imputato, dominus di fatto del bene aggredito, viene condannato termine in via definitivaun rapporto a tempo indeterminato. In altri terminiogni caso, la condanna per uno dei reati tipici (o presupposto) previsti dalla norma (in quanto stimati dal legislatore idonei a creare un'accumulazione economica che, di per sé, costituisce possibile strumento di ulteriori delitti) rende confiscabili tutti i beni sproporzionati ai redditi o ai proventi dell’attività economica le ragioni che determinano l’apposizione del soggetto passivo che ne dispone, ove privi di giustificazione lecita. In tale previsione, il reato presupposto non costituisce, dunque, la scaturigine diretta termine devono essere oggettive e riconoscibile del patrimonio illecito, secondo il classico criterio d’immediata o comunque riconoscibile derivazione, già previsto e contrastabile con lo strumento della confisca ex a. 240 c.p., proprio del prezzo, del prodotto, del profitto e del mezzo del reato. Piuttosto, il reato presupposto rappresenta il sintomo normativo (presunzione iuris tantum) di un sistema di vita illecito, questo sì origine dell’accumulazione di un patrimonio sproporzionato. E’ in questo limitato senso che può essere ammessa una definizione dell’istituto quale sanzione senza reato, non essendo, come detto, richiesto uno specifico accertamento della provenienza dei beni dall’attività illecita del condannato. In questo quadro, la presunzione è vincibile, ma certamente origina un onere di allegazione sulla legittima provenienza dell’acquisto e la veritiera appartenenza del bene medesimo (C.Cost. ord. 18/2006). A conforto di quanto appena notato, può ricordarsi che recentemente le Sezioni Unite hanno sottolineato come la confisca ex art. 12-sexies “richiede la commissione di un reato tipicoverificabili, per giunta accertato evitare comportamenti fraudolenti da una sentenza parte del datore di condannalavoro, ordinariamente generatore - per la sua tipologia - di disponibilità illecite di natura delittuosa, ancorché l'adozione del provvedimento ablativo prescinda (anche in questo caso) da un nesso di pertinenzialità del bene con il reato per il quale è intervenuta la condannam (sent. n. 33451/14)”. Dalla natura di misura di sicurezza, seppur atipica, dell’istituto derivano rilevanti conseguenze che, in parte, saranno ripercorse nel corso di questa riflessione. La più importante è la non operatività del principio di irretroattività proprio della pena, previsto dall’art. 25, comma 2 della Costituzione. Come riconosciuto dalla costante giurisprudenza della Corte di Cassazione (CP 21357/98, 1539/09, 32932/09, 38179/09, 5452/10, 12406/10, 44534/12), l’istituto è retto, infatti, dal diverso principio dell’applicazione della legge vigente e devono sussistere al momento della decisione, fissato dagli artt. 200 c.p. e 236 c.p.. In altre parole, la confisca prevista dall'art. 12 sexies cit. è applicabile anche nei confronti di chi sia stato condannato per reati commessi prima dell'entrata in vigore della norma che la disciplina, non integrando tale interpretazione una violazione dell'art. 7 CEDU. In termini più pragmatici, per vero, occorre distinguere. Nessun dubbio di compatibilità può sorgere nel caso di reato commesso dopo l’inserimento nel catalogo di quelli per i quali viene consentita la confisca per sproporzione, pur nei confronti di beni acquistati precedentementestipula del contratto, poiché la sopravvenuta stabilità dell’esigenza non può incidere sulla legittimità del contratto di lavoro e del suo termine. L’onere della prova dell’effettiva sussistenza delle ragioni che giustificano l’apposizione del termine grava sul datore di lavoro, secondo la CEDU regola generale contenuta nell’articolo 2697 del Codice civile. Le ragioni che giustificano il reo, nel momento in cui commette il reato, deve avere "gli occhi aperti in relazione alle possibili conseguenze" che possono derivarne, ivi compresa la confisca dei profitti ricorso al contratto a termine devono essere specificate per iscritto nell’atto di precedenti reati. Per contro, non possono nascondersi profili problematici qualora la confisca riguardi un reato commesso prima dell’inserimento nel catalogo di quelli che consentono la confisca per sproporzione. La Corte costituzionale assunzione (C. Cost. ord. 18/96) ha escluso che la confisca allargata violi il principio di uguaglianza e il diritto di difesa ovvero che si delinei quale “frutto di una cultura del sospetto”. Secondo la Corte (v. anche SU 920/2004) la presunzione prevista “trova ben radicata base nella nota capacità dei delitti individuati dal legislatore, ad essere perpetrati in forma quasi professionale e a porsi quali fonti di illecita ricchezza”. Al giudice è precluso, ad ogni modo, espropriare un patrimonio d’ingente valore, senza accertarne la sproporzione rispetto ai redditi ed alle attività economiche del condannato e porre attenzione alle allegazioni difensive. Non pare neppure dubbia la compatibilità della confisca allargata con la Convenzione europea dei diritti dell’uomo, trattandosi di misura che consegue ad una sentenza di condanna applicata all’esito di un giusto processo, nel rispetto delle norme della Convenzione europea. La Corte europea ha più volte2 manifestato favore nei confronti di strumenti di c.d. confisca allargata, previsti da diversi ordinamenti, per contrastare il crimine organizzato, concentrando la valutazione sulle concrete garanzie offerte agli interessati e dunque sull’effettiva possibilità di difendersi, a principiare dall’intervento di una Corte che consideri le tesi difensive. Secondo la Corte europea, trattandosi di “perdita di proprietà”, la confisca in questione è disciplinata al secondo comma dell'articolo 1 del Protocollo n.13, al pari della confisca di prevenzione. Qualsiasi interferenza con il diritto di proprietà deve trovare un "giusto equilibrio" tra le esigenze dell'interesse generale della comunità e quelle della tutela dei diritti fondamentali della persona. Con riguardo alle interferenze, come per la confisca per sproporzione, il secondo comma, dell'articolo 1 del Protocollo n. 1 prevede specificamente per il "diritto di uno Stato di far rispettare le leggi da essi ritenute necessarie per controllare l'uso dei beni in modo conforme all'interesse generale (...) " e la Corte ha precisato che deve essere ragionevole il rapporto di proporzionalità tra i mezzi impiegati e lo scopo perseguito. Ma gli Stati hanno un ampio margine di apprezzamento a tale riguardo sia per la scelta l'attuazione e per verificare se le conseguenze sono giustificate nell'interesse pubblico, al fine di conseguire l'obiettivo della normativa in questione. Quanto ai presupposti di applicabilità del sequestro e della confisca, muovendo dai profili generali, appare conveniente segnalare i presupposti di carattere soggettivo e quelli di natura oggettiva. Il presupposto soggettivo fondamentale consiste nella riconducibilità della condotta della persona ad una delle fattispecie di reato espressamente previste. Sul quantum dell’attribuzione della fattispecie di reato v’è differenza tra la fase cautelare e quella della confisca. Nella prima fase, infatti, in cui l’apprensione del bene mira ad evitarne la dispersone, è sufficiente il fumus commissi delicti per procedere a sequestro preventivo ai sensi dell’art. 321articolo 1, comma 2, c.p.pdecreto legislativo 368/2001). trattandosi La specificazione delle ragioni permette di cose assicurare al lavoratore la conoscenza dei motivi dell’assunzione a termine, di “cristallizzare” la causale di assunzione, rendendola immodificabile nel corso del rapporto, nonché di consentire il controllo giurisdizionale, volto a verificare l’effettiva sussistenza del nesso di causalità tra le ragioni addotte e la specifica assunzione a tempo determinato. Pertanto, come è stato rilevato dalla giurisprudenza, le parti, in sede di stipula del contratto, non potranno limitarsi a ripetere semplicemente la formula normativa, ma dovranno indicare le ragioni dell’assunzione a termine con sufficiente descrizione. Il nuovo comma 4-bis dell’articolo 5 introduce un limite di 36 mesi alla successione e reiterazione di contratti a termine superato il quale il rapporto “si considera a tempo indeterminato”. E’ espressamente previsto che nel computo si debbano comprendere le proroghe o i rinnovi. Ne consegue che la nuova previsione non si applica al primo contratto tra le parti il quale può essere anche di durata superiore ai 36 mesi. Oltre il limite di 36 mesi si applica il periodo di tolleranza di venti giorni, e la corrispondente maggiorazione retributiva, di cui è consentita all’articolo 5, comma 2 del D.Lgs. n. 368/2001. Si computano nel nuovo limite di 36 mesi i periodi di lavoro svolti con le stesse mansioni ovvero con quelle “equivalenti”. Ciò sta a significare che periodi di lavoro caratterizzati dall’espletamento di mansioni “non equivalenti” concorrono ad un specifico e separato contatore. Sul concetto di equivalenza si ritiene debba intendersi quella caratterizzata da un legame di equivalenza professionale generalmente regolamentato dai contratti collettivi applicati. Diversamente occorre fare riferimento ai lavori che rientrano in un ambito di omogenea professionalità e da mansioni che abbiano una loro funzionale coerenza nel delineare il profilo professionale del lavoratore. In considerazione del fatto che la confiscanorma fa riferimento ad un limite di “trentasei mesi” si pone il problema della conversione di periodi non coincidenti con il mese esatto o con multipli dello stesso, cioè rapporti inferiori al mese ovvero superiori. Lo stesso artAl riguardo si ritiene che il computo debba essere fatto seguendo la regola del calendario comune convertendo in giorni complessivi il periodo di trentasei mesi stabilito dalla norma (Cassazione 12.09.1991, n. 9536). 12 sexies Pertanto, il limite dei 36 mesi coincidono ad un periodo complessivo di 1.095 giorni (365 giorni x 3 anni). In deroga alla previsione generale, la norma consente che oltre il limite di 36 mesi possa essere stipulato un solo contratto ulteriore, “da sottoscriversi presso la Direzione provinciale del lavoro competente per territorio con l’assistenza di un rappresentante di una delle Organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale cui il lavoratore sia iscritto o conferisca mandato”. L’assistenza sindacale a favore del lavoratore deve ritenersi obbligatoria al comma 4 fa espresso riferimento alla possibilità fine di adottare perfezionare il sequestro ex artcontratto in deroga al limite dei 36 mesi. 321 c.p.p. Nella fase cautelareLa procedura di convalida serve unicamente ad accertare la sussistenza di una libera volontà del lavoratore a stipulare l’ulteriore contratto e non vale come garanzia di genuinità del contratto, inoltre, è sufficiente il "periculum in mora" che consiste nella cioè quale conferma della effettiva presenza di seri indizi di esistenza delle condizioni legali che legittimano il provvedimento ablativo; infinelo giustificano. Per avere una congrua garanzia in tal senso al limite si potrà ricorrere all’istituto della certificazione ex artt.75-81 del D.Lgs 276/2003. L’art. 5, l’accertamento dei presupposti, soggettivi e oggettivi, avviene sulla base degli elementi offerti dall'organo proponente (l’organo giudicante nel rigettare la richiesta può solo indicare temi o tracce per il pubblico ministero), senza contraddittorio preventivocomma 4-ter del D.Lgs 368/2001 introduce due deroghe esplicite al limite di 36 mesi. Nella fase della confisca, per converso, occorre la condanna e, dunque, l’accertamento della penale responsabilità al di là di ogni ragionevole dubbio; inoltre, le condizioni del provvedimento ablativo devono essere accertate in tutta la loro valenza, all’esito delle varie fasi del procedimento quando, attraverso il contraddittorio (Non sono soggette a partire dalla eventuale fase del riesame) possono essere offerte tesi ed allegazioni difensive le quali, ove idonee, a giustificare la legittima 2 sent. 22.2.94 Xxxxxxxx x. Italia; dec. 4.9.01 Xxxxx c. Italia; dec. 5.7.01 Arcuri c. Italia; sent. 5.1.10 Xxxxxxxxx c. Italia; dec. 6.7.11 Xxxxx c. Italia; dec. 17.5.11 Capitani e Campanella c. Italia; sent. 12.1.01 Xxxxxxxx c. Regno Unito; sent. 12.10.4.12, Silickien c. Lituania; sent. 4.11.14 Xxxxxxxxx x. Xxxxxxxlimitazioni:

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Profili generali. La confisca ex a. 12 sexies Conciliazione e arbitrato sono istituti giuridici diretti alla soluzione stragiudiziale delle controversie di lavoro, ossia tecniche che consentono al datore di lavoro e al lavoratore, qualora lo vogliano, di sciogliere il conflitto esistente tra loro al di fuori dalle aule del tribunale. In generale, mentre la conciliazione è indirizzata a risolvere il conflitto attraverso la ricerca di un accordo tra le parti (che può essere raggiunto autonomamente dalle stesse o “favorito” dall’intervento di un terzo, la commissione di conciliazione), l’arbitrato consente di risolvere la controversia attraverso il deferimento ad un terzo – all’arbitro, appunto – del potere di decisione sul merito della stessa. Previsti nel nostro ordinamento a partire dal codice del 1942 e rivisitati poi dalla riforma del processo del lavoro (con legge n. 356/1992 costituisce uno strumento ablatorio connotato533/1973), anzituttogli istituti della conciliazione e dell’arbitrato trovano l’attenzione del legislatore soltanto sul finire degli anni ’90, quando la crescente inefficienza dell’apparato giudiziario (che rischia di trasformarsi in una vera e propria paralisi) induce a migliorarne la disciplina per farli diventare una possibile alternativa al giudice. Il decreto legislativo n. 80/1998, in negativoparticolare, dall’assenza introduce l’obbligo del tentativo di un nesso pertinenziale concreto conciliazione per tutte le cause di lavoro e ne rende l’espletamento quale «condizione di procedibilità» per la successiva domanda in giudizio (o di fattoart. 410 e 412-bis c.p.c.), ovvero di derivazione economico-temporale del bene rispetto al fatto di reato commesso. In positivo, inoltre, è caratterizzato da una pertinenzialità, tipizzata a livello normativo, con il titolo astratto di reato per cui l’imputato, dominus di fatto del bene aggredito, viene condannato in via definitiva. In altri terminitermini le parti, prima di accedere al giudice, sono tenute – attraverso il supporto dell’organo conciliatore – ad abbandonare le proprie iniziali posizioni per trovare una soluzione comune. Se a seguito del tentativo di conciliazione nessun accordo è raggiunto, la condanna per controversia irrisolta verrà sottoposta all’attenzione del giudice. Sebbene la conciliazione rappresenti uno dei reati tipici (o presupposto) previsti dalla norma (in quanto stimati dal legislatore idonei a creare un'accumulazione economica che, di per sé, costituisce possibile strumento di ulteriori delitti) rende confiscabili tutti i beni sproporzionati ai redditi o ai proventi dell’attività economica del soggetto passivo che ne dispone, ove privi di giustificazione lecita. In tale previsionegià presente nel nostro ordinamento, il reato presupposto fatto che venga accompagnata dalla obbligatorietà costituisce elemento di sicura novità rispetto al passato. Tuttavia, gran parte della dottrina non costituisceha risparmiato critiche circa l’efficacia della nuova formulazione in termini deflattivi del contenzioso. Infatti, dunqueè stato più volte obiettato che il tentativo obbligatorio di conciliazione non rappresenta altro che un rallentamento del decorso giudiziario, la scaturigine diretta considerando l’istituto un mero adempimento burocratico. Il suo successo, invece, è strettamente collegato all’esercizio di un’effettiva attività conciliativa della commissione. Il “pesante silenzio” del legislatore sui contenuti dell’istanza di conciliazione – a differenza di quanto puntualmente previsto per le controversie del pubblico impiego, per le quali si richiede, invece, l’esposizione sommaria dei fatti e riconoscibile del patrimonio illecito, secondo il classico criterio d’immediata o comunque riconoscibile derivazione, già previsto e contrastabile con lo strumento delle ragioni poste a fondamento della confisca ex a. 240 c.p., proprio del prezzo, del prodotto, del profitto e del mezzo del reato. Piuttostopretesa, il reato presupposto rappresenta il sintomo normativo (presunzione iuris tantum) che consente alla commissione di conciliazione e, in particolare, ai rappresentanti delle parti di avere una conoscenza preventiva sui motivi che hanno portato al dissenso e di predisporre quindi un sistema possibile “piano” di vita illecitomediazione della controversia – non ha fatto altro che alimentare un tal genere di critiche. Un ulteriore intervento legislativo di perfezionamento dell’istituto conciliativo, questo sì origine dell’accumulazione di un patrimonio sproporzionato. E’ in questo limitato senso che può essere ammessa una definizione dell’istituto quale sanzione senza reato, non essendo, come detto, richiesto uno specifico accertamento della provenienza dei beni dall’attività illecita del condannato. In questo quadro, la presunzione è vincibile, ma certamente origina un onere di allegazione sulla legittima provenienza dell’acquisto e la veritiera appartenenza del bene medesimo (C.Cost. ord. 18/2006). A conforto sull’esempio di quanto appena notato, può ricordarsi che recentemente le Sezioni Unite hanno sottolineato come la confisca ex art. 12-sexies “richiede la commissione di un reato tipico, per giunta accertato da una sentenza di condanna, ordinariamente generatore - per la sua tipologia - di disponibilità illecite di natura delittuosa, ancorché l'adozione del provvedimento ablativo prescinda (anche in questo caso) da un nesso di pertinenzialità del bene con il reato per il quale è intervenuta la condannam (sent. n. 33451/14)”. Dalla natura di misura di sicurezza, seppur atipica, dell’istituto derivano rilevanti conseguenze che, in parte, saranno ripercorse nel corso di questa riflessione. La più importante è la non operatività del principio di irretroattività proprio della pena, previsto dall’art. 25, comma 2 della Costituzione. Come riconosciuto dalla costante giurisprudenza della Corte di Cassazione (CP 21357/98, 1539/09, 32932/09, 38179/09, 5452/10, 12406/10, 44534/12), l’istituto è retto, infatti, dal diverso principio dell’applicazione della legge vigente al momento della decisione, fissato dagli artt. 200 c.p. e 236 c.p.. In altre parole, la confisca prevista dall'art. 12 sexies cit. è applicabile anche nei confronti di chi sia stato condannato per reati commessi prima dell'entrata in vigore della norma che la disciplina, non integrando tale interpretazione una violazione dell'art. 7 CEDU. In termini più pragmatici, per vero, occorre distinguere. Nessun dubbio di compatibilità può sorgere nel caso di reato commesso dopo l’inserimento nel catalogo di quelli per i quali viene consentita la confisca per sproporzione, pur nei confronti di beni acquistati precedentemente, poiché secondo la CEDU il reo, nel momento in cui commette il reato, deve avere "gli occhi aperti in relazione alle possibili conseguenze" che possono derivarne, ivi compresa la confisca dei profitti di precedenti reati. Per contro, non possono nascondersi profili problematici qualora la confisca riguardi un reato commesso prima dell’inserimento nel catalogo di quelli che consentono la confisca per sproporzione. La Corte costituzionale (C. Cost. ord. 18/96) ha escluso che la confisca allargata violi il principio di uguaglianza e il diritto di difesa ovvero che si delinei quale “frutto di una cultura del sospetto”. Secondo la Corte (v. anche SU 920/2004) la presunzione prevista “trova ben radicata base nella nota capacità dei delitti individuati dal legislatore, ad essere perpetrati in forma quasi professionale e a porsi quali fonti di illecita ricchezza”. Al giudice è precluso, ad ogni modo, espropriare un patrimonio d’ingente valore, senza accertarne la sproporzione rispetto ai redditi ed alle attività economiche del condannato e porre attenzione alle allegazioni difensive. Non pare neppure dubbia la compatibilità della confisca allargata con la Convenzione europea dei diritti dell’uomo, trattandosi di misura che consegue ad una sentenza di condanna applicata all’esito di un giusto processo, nel rispetto delle norme della Convenzione europea. La Corte europea ha più volte2 manifestato favore nei confronti di strumenti di c.d. confisca allargata, previsti da diversi ordinamenti, per contrastare il crimine organizzato, concentrando la valutazione sulle concrete garanzie offerte agli interessati e dunque sull’effettiva possibilità di difendersi, a principiare dall’intervento di una Corte che consideri le tesi difensive. Secondo la Corte europea, trattandosi di “perdita di proprietà”, la confisca in questione è disciplinata al secondo comma dell'articolo 1 del Protocollo n.13, al pari della confisca di prevenzione. Qualsiasi interferenza con il diritto di proprietà deve trovare un "giusto equilibrio" tra le esigenze dell'interesse generale della comunità e quelle della tutela dei diritti fondamentali della persona. Con riguardo alle interferenze, come per la confisca per sproporzione, il secondo comma, dell'articolo 1 del Protocollo n. 1 prevede specificamente per il "diritto di uno Stato di far rispettare le leggi da essi ritenute necessarie per controllare l'uso dei beni in modo conforme all'interesse generale (...) " e la Corte ha precisato che deve essere ragionevole il rapporto di proporzionalità tra i mezzi impiegati e lo scopo perseguito. Ma gli Stati hanno un ampio margine di apprezzamento a tale riguardo sia per la scelta l'attuazione e per verificare se le conseguenze sono giustificate nell'interesse pubblico, al fine di conseguire l'obiettivo della normativa in questione. Quanto ai presupposti di applicabilità del sequestro e della confisca, muovendo dai profili generali, appare conveniente segnalare i presupposti di carattere soggettivo e quelli di natura oggettiva. Il presupposto soggettivo fondamentale consiste nella riconducibilità della condotta della persona ad una delle fattispecie di reato espressamente previste. Sul quantum dell’attribuzione della fattispecie di reato v’è differenza tra la fase cautelare e quella della confisca. Nella prima fase, infatti, in cui l’apprensione del bene mira ad evitarne la dispersone, è sufficiente il fumus commissi delicti per procedere a sequestro preventivo ai sensi dell’art. 321, comma 2, c.p.p. trattandosi di cose di cui è consentita la confisca. Lo stesso art. 12 sexies al comma 4 fa espresso riferimento alla possibilità di adottare il sequestro ex art. 321 c.p.p. Nella fase cautelare, inoltre, è sufficiente il "periculum in mora" che consiste nella presenza di seri indizi di esistenza delle condizioni che legittimano il provvedimento ablativo; infine, l’accertamento dei presupposti, soggettivi e oggettivi, avviene sulla base degli elementi offerti dall'organo proponente (l’organo giudicante nel rigettare la richiesta può solo indicare temi o tracce predisposto per il pubblico ministero)impiego, senza contraddittorio preventivosarebbe dunque decisamente auspicabile. Nella fase della confisca, per converso, occorre la condanna e, dunque, l’accertamento della penale responsabilità al L’ordinamento giuridico predispone tre sedi di là di ogni ragionevole dubbio; inoltre, le condizioni del provvedimento ablativo devono essere accertate in tutta la loro valenza, all’esito delle varie fasi del procedimento quando, attraverso il contraddittorio conciliazione (a partire dalla eventuale fase cui se ne sono aggiunte altre due per effetto della riforma del riesame) possono essere offerte tesi ed allegazioni difensive le qualimercato del lavoro, ove idonee, a giustificare la legittima 2 sent. 22.2.94 Xxxxxxxx x. Italia; dec. 4.9.01 Xxxxx c. Italia; dec. 5.7.01 Arcuri c. Italia; sent. 5.1.10 Xxxxxxxxx c. Italia; dec. 6.7.11 Xxxxx c. Italia; dec. 17.5.11 Capitani legge 30/2003 e Campanella c. Italia; sent. 12.1.01 Xxxxxxxx c. Regno Unito; sent. 12.10.4.12, Silickien c. Lituania; sent. 4.11.14 Xxxxxxxxx x. Xxxxxxxrelativi provvedimenti attuativi).

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Profili generali. La confisca ex a. 12 sexies legge n. 356/1992 costituisce uno strumento ablatorio connotatoCome già sopra richiamato e sottolineato in dottrina (Xxxxxxxx, anzituttoR., Arbitrato commerciale internazionale, in negativoDig. comm., dall’assenza I, Torino, 1987, 192 ss.), la nota caratterizzante dell’arbitrato del commercio internazionale sta nella sua collocazione tipica su di un nesso pertinenziale concreto piano, anche sociale, che non coincide con quello degli ordinamenti nazionali. Come mezzo tipico di soluzione delle controversie relative al commercio internazionale, esso trova la propria disciplina primaria in quelle regole che si sono affermate negli stessi ambienti economici e sociali in cui tale rapporti si svolgono. Per quanto esso non possa, allo stato attuale di sviluppo della “comunità dei mercanti”, definirsi quale specifico istituto giuridico operante in un autonomo ordinamento giuridico da essa espresso, di problematica identificazione (o di fattoMarrella, F., La nuova Lex Mercatoria. Principi UNIDROIT ed usi dei contratti del commercio internazionale, Padova, 2003, 636 ss.), ovvero di derivazione economico-temporale del bene rispetto al fatto di reato commesso. In positivol’arbitrato commerciale internazionale, inoltre, è caratterizzato da una pertinenzialità, tipizzata a livello normativo, con il titolo astratto di reato per cui l’imputato, dominus i tratti peculiari e l’importanza che di fatto del bene aggreditoha assunto, viene condannato ha finito per essere oggetto, oltre che di disciplina posta in via definitivaregolamentazioni private, quali le regole arbitrali di svariate istituzioni, anche di riferimento normativo operato, e dunque di disciplina specifica recata, da strumenti internazionali: ed essi, vincolanti per gli Stati contraenti, finiscono dunque per attribuire a quei tratti peculiari un rilievo anche per gli ordinamenti interni degli Stati. In altri termini, la condanna per uno Il rilievo preminente della disciplina internazionale implica dunque un rovesciamento di impostazione rispetto a quella tradizionalmente riservata alla ricostruzione dei reati tipici (o presupposto) previsti dalla norma (in quanto stimati dal legislatore idonei a creare un'accumulazione economica che, di per sé, costituisce possibile strumento di ulteriori delitti) rende confiscabili tutti i beni sproporzionati ai redditi o ai proventi dell’attività economica del soggetto passivo che ne dispone, ove privi di giustificazione lecita. In tale previsione, il reato presupposto non costituisce, dunque, la scaturigine diretta rapporti tra disciplina interna e riconoscibile del patrimonio illecito, secondo il classico criterio d’immediata o comunque riconoscibile derivazione, già previsto e contrastabile con lo strumento della confisca ex a. 240 c.p., proprio del prezzo, del prodotto, del profitto e del mezzo del reato. Piuttosto, il reato presupposto rappresenta il sintomo normativo (presunzione iuris tantum) di un sistema di vita illecito, questo sì origine dell’accumulazione di un patrimonio sproporzionato. E’ in questo limitato senso che può essere ammessa una definizione dell’istituto quale sanzione senza reato, non essendo, come detto, richiesto uno specifico accertamento della provenienza dei beni dall’attività illecita del condannato. In questo quadro, la presunzione è vincibile, ma certamente origina un onere di allegazione sulla legittima provenienza dell’acquisto e la veritiera appartenenza del bene medesimo (C.Cost. ord. 18/2006). A conforto di quanto appena notato, può ricordarsi che recentemente le Sezioni Unite hanno sottolineato come la confisca ex art. 12-sexies “richiede la commissione di un reato tipico, per giunta accertato da una sentenza di condanna, ordinariamente generatore - per la sua tipologia - di disponibilità illecite di natura delittuosa, ancorché l'adozione del provvedimento ablativo prescinda (anche in questo caso) da un nesso di pertinenzialità del bene con il reato per il quale è intervenuta la condannam (sent. n. 33451/14)”. Dalla natura di misura di sicurezza, seppur atipica, dell’istituto derivano rilevanti conseguenze che, in parte, saranno ripercorse nel corso di questa riflessione. La più importante è la non operatività del principio di irretroattività proprio della pena, previsto dall’art. 25, comma 2 della Costituzione. Come riconosciuto dalla costante giurisprudenza della Corte di Cassazione (CP 21357/98, 1539/09, 32932/09, 38179/09, 5452/10, 12406/10, 44534/12), l’istituto è rettoregolamentazione sovrannazionale: questa, infatti, dal diverso principio dell’applicazione non si limita a fornire, come normalmente si intende, un diritto speciale, applicabile nell’ambito di suo specifico rilievo, derogativo della legge vigente disciplina comune interna; essa, al momento della decisionecontrario, fissato dagli artt. 200 c.p. e 236 c.p.. In altre parolefornisce il quadro normativo di fondo, la confisca prevista dall'art. 12 sexies cit. è applicabile anche nei confronti di chi sia stato condannato per reati commessi prima dell'entrata sul quale si inseriscono le discipline interne, nella misura in vigore della norma che la disciplinacui esse forniscano, non integrando tale interpretazione una violazione dell'art. 7 CEDU. In termini più pragmatici, per vero, occorre distinguere. Nessun dubbio di compatibilità può sorgere nel caso di reato commesso dopo l’inserimento nel catalogo di quelli per i quali viene consentita la confisca per sproporzione, pur nei confronti di beni acquistati precedentemente, poiché secondo la CEDU il reoprospettiva internazionale, nel momento in cui commette il reato, deve avere "gli occhi aperti in relazione alle possibili conseguenze" che possono derivarne, ivi compresa la confisca dei profitti elementi di precedenti reati. Per contro, non possono nascondersi profili problematici qualora la confisca riguardi un reato commesso prima dell’inserimento nel catalogo di quelli che consentono la confisca per sproporzione. La Corte costituzionale (C. Cost. ord. 18/96) ha escluso che la confisca allargata violi il principio di uguaglianza e il diritto di difesa ovvero che si delinei quale “frutto di una cultura del sospetto”. Secondo la Corte (v. anche SU 920/2004) la presunzione prevista “trova ben radicata base nella nota capacità dei delitti individuati dal legislatore, ad essere perpetrati in forma quasi professionale e a porsi quali fonti di illecita ricchezza”. Al giudice è precluso, ad ogni modo, espropriare un patrimonio d’ingente valore, senza accertarne la sproporzione rispetto ai redditi ed alle attività economiche del condannato e porre attenzione alle allegazioni difensive. Non pare neppure dubbia la compatibilità della confisca allargata con la Convenzione europea dei diritti dell’uomo, trattandosi di misura che consegue ad una sentenza di condanna applicata all’esito di un giusto processo, nel rispetto delle norme della Convenzione europea. La Corte europea ha più volte2 manifestato favore nei confronti di strumenti di c.d. confisca allargata, previsti da diversi ordinamenti, per contrastare il crimine organizzato, concentrando la valutazione sulle concrete garanzie offerte agli interessati e dunque sull’effettiva possibilità di difendersi, a principiare dall’intervento di una Corte che consideri le tesi difensive. Secondo la Corte europea, trattandosi di “perdita di proprietà”, la confisca in questione è disciplinata al secondo comma dell'articolo 1 del Protocollo n.13, al pari della confisca di prevenzione. Qualsiasi interferenza con il diritto di proprietà deve trovare un "giusto equilibrio" tra le esigenze dell'interesse generale della comunità e quelle della tutela dei diritti fondamentali della persona. Con riguardo alle interferenze, come per la confisca per sproporzione, il secondo comma, dell'articolo 1 del Protocollo n. 1 prevede specificamente riferimento per il "diritto di uno Stato di far rispettare le leggi da essi ritenute necessarie per controllare l'uso dei beni fondamento, lo sviluppo e l’efficacia dell’arbitrato – ovvero solo quando esse siano chiamate a fornirne una valutazione ai fini della messa in modo conforme all'interesse generale (...) " e la Corte ha precisato che deve essere ragionevole il rapporto di proporzionalità tra i mezzi impiegati e lo scopo perseguito. Ma gli Stati hanno un ampio margine di apprezzamento a tale riguardo sia per la scelta l'attuazione e per verificare se le conseguenze sono giustificate nell'interesse pubblicoopera degli strumenti coercitivi, al fine di conseguire l'obiettivo della normativa in questione. Quanto ai presupposti di applicabilità del sequestro e della confisca, muovendo dai profili generali, appare conveniente segnalare i presupposti di carattere soggettivo e quelli di natura oggettiva. Il presupposto soggettivo fondamentale consiste nella riconducibilità della condotta della persona ad una delle fattispecie di reato espressamente previste. Sul quantum dell’attribuzione della fattispecie di reato v’è differenza tra la fase cautelare e quella della confisca. Nella prima fase, infatti, in cui l’apprensione del bene mira ad evitarne la dispersone, è sufficiente il fumus commissi delicti per procedere a sequestro preventivo ai sensi dell’art. 321, comma 2, c.p.p. trattandosi di cose di cui è consentita la confisca. Lo stesso art. 12 sexies al comma 4 fa espresso riferimento alla possibilità di adottare il sequestro ex art. 321 c.p.p. Nella fase cautelare, inoltre, è sufficiente il "periculum in mora" che consiste nella presenza di seri indizi di esistenza delle condizioni che legittimano il provvedimento ablativo; infine, l’accertamento dei presupposti, soggettivi e oggettivi, avviene sulla base degli elementi offerti dall'organo proponente (l’organo giudicante nel rigettare la richiesta può solo indicare temi o tracce per il pubblico ministero), senza contraddittorio preventivo. Nella fase della confisca, per converso, occorre la condanna e, dunque, l’accertamento della penale responsabilità al di là di ogni ragionevole dubbio; inoltre, le condizioni del provvedimento ablativo devono essere accertate in tutta la loro valenza, all’esito delle varie fasi del procedimento quando, attraverso il contraddittorio (a partire dalla eventuale fase del riesame) possono essere offerte tesi ed allegazioni difensive le quali, ove idonee, a giustificare la legittima 2 sent. 22.2.94 Xxxxxxxx x. Italia; dec. 4.9.01 Xxxxx c. Italia; dec. 5.7.01 Arcuri c. Italia; sent. 5.1.10 Xxxxxxxxx c. Italia; dec. 6.7.11 Xxxxx c. Italia; dec. 17.5.11 Capitani e Campanella c. Italia; sent. 12.1.01 Xxxxxxxx c. Regno Unito; sent. 12.10.4.12, Silickien c. Lituania; sent. 4.11.14 Xxxxxxxxx x. Xxxxxxxmonopolio statuale.

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