Ripetizione dell’indebito e arricchimento senza causa Clausole campione

Ripetizione dell’indebito e arricchimento senza causa. Il rapporto tra la ripetizione dell’indebito e l’arricchimento senza causa merita attenta considerazione. È diffusa, come si diceva, l’opinione secondo la quale il fondamento dell’istituto dell’indebito sia da cercare nella reazione dell’ordinamento verso gli spostamenti patrimoniali ingiustificati. Questo principio, di cui la normativa in materia di indebito sarebbe concreta applicazione, è chiaramente esplicitato nell’art. 2041 c.c., norma che quindi avrebbe dovuto, a rigore, precedere nella sistematica del codice, la disciplina dell’ indebito. Tuttavia il legislatore ha optato per una diversa collocazione degli articoli in questione e ciò perché in realtà, il generale principio del divieto di arricchimento ingiustificato non è l’origine, bensì l’approdo di una complessa elaborazione che affonda le sue origini nella giurisprudenza romana e che ha, come visto sopra, progressivamente generalizzato e ricondotto a unità le singole ipotesi di condictiones. Pertanto l’art. 2041 c.c. assume nel nostro codice non tanto la funzione di norma enunciativa di un principio generale, a cui seguono le concrete applicazioni dello stesso, quanto quella di norma di chiusura, che garantisce una tutela di tipo residuale88. La disciplina dell’indebito, storicamente si è modellata su una concezione reale, volta alla restituzione di prestazioni di dare; al contrario la disciplina dell’arricchimento si ispira a una concezione patrimoniale della restituzione e 88 XXXXXXXX voce Ripetizione dell’indebito, op. cit., p. 1225. mira a far ottenere all’impoverito un indennizzo monetario. In realtà secondo una parte della dottrina89 questa rigida bipartizione è smentita dal dato normativo di cui agli artt. 2037-2038 c.c., dai quali sembra emergere come il legislatore in materia di indebito abbia adottato un sistema di tipo “misto”. Infatti, dette norme sembrano ispirarsi a una concezione patrimoniale, quando prevedono che in caso di perimento della cosa, l’accipiens di buona fede, pur essendo liberato da qualsiasi responsabilità nei confronti del solvens per il perimento o il deterioramento della cosa, sia chiamato a rispondere nei limiti del suo arricchimento. Dunque l’esonero del percipiente di buona fede per il perimento o deterioramento della cosa è da ricondurre alla concezione reale dell’arricchimento poiché il venir meno della cosa da restituire comporta l’estinzione della pretesa del solvens. Invece l’obbligo di restituire l’arricchimento si ispira a una concezione patrimoniale p...

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