Common use of Xxxxxxxxx Clause in Contracts

Xxxxxxxxx. Il marketing sportivo, Milano, 1997, p. 189 31 Ibidem fosse necessariamente quello di un produttore di biciclette, bensì di un’azienda extrasettore, la Nivea. Per conformarsi al regolamento della Federazione che vietava la presenza esclusiva sulle divise di un marchio extrasettoriale, Magni coinvolse una fabbrica milanese di biciclette poco più che artigianale, la Xxxxx: nacque così il sodalizio Nivea-Xxxxx, con cui il Leone delle Fiandre vinse il Giro d’Italia 195532. Più travagliato invece il percorso delle sponsorizzazioni nello sport più popolare e seguito d’Italia, il calcio. La pratica delle sponsorizzazioni – riguardante sia fornitori tecnici che sponsor commerciali – venne a lungo osteggiata e proibita dalla Federazione Italiana Giuoco Calcio, che per molti decenni vietò alle società di "sporcare" le divise da gioco con dei marchi estranei al mondo del calcio33: il connubio sport-sponsor era infatti generalmente malvisto, in quanto si riteneva che la purezza dell'agonismo dovesse essere in qualche modo salvaguardata da qualsiasi venalità commerciale. Per ovviare al divieto della Federazione, tra i club italiani iniziò a farsi strada la formula dell'abbinamento, consistente nell'affiancare il nome di un'azienda alla denominazione societaria di un club sportivo, unendo le rispettive ragioni sociali34. Come ancora oggi stabilisce il Regolamento delle divise da gioco, la FIGC e la Lega Serie A hanno il veto sul disegno delle maglie ma non sullo stemma societario di un club: una squadra può quindi scegliere liberamente il proprio nome e il proprio stemma, senza il rischio di violare le regole e incorrere in sanzioni. Approfittando di questo vuoto normativo è nel secondo dopoguerra che la pratica dell'abbinamento prese piede nel mondo del calcio italiano. Tra i vari esempi affacciatisi nella storia della Serie A, il più noto, fortunato e longevo rimane quello del Lanerossi-Vicenza, risultato dell'acquisizione della squadra berica da parte del Lanificio Rossi. Altre società seguirono a ruota i berici, portando all'immediata nascita di operazioni analoghe come la Simmenthal-Monza, la Del Duca-Ascoli e la Talmone-Torino35. Si 32 X. XXXXXXXX, X. XXXXXXX, X. XXXXXX, Per sport e per business: è tutto parte del gioco, Milano, 1997, p. 172 33 Recitava l'articolo 16 comma M del regolamento organico della FIGC, ora soppresso: “Durante qualsiasi gara non è permesso ai giocatori portare sulle maglie distintivi di natura politica, confessionale o scritte pubblicitarie. Eventuale deroga, limitatamente alle scritte pubblicitarie, è ammesso per le società del settore giovanile e dei dilettanti, sempre se debitamente autorizzate dal proprio comitato regionale.” in M. XXXXXXX, Dizionario del calcio italiano, Milano, 2000, p. 1734 34 Ivi, p. 1731 35 Come osserva X. XXXXXXXXX, op. cit., p. 189, tale abbinamento, però, durò solo fino al 1969, anno in cui si optò per un ritorno alla purezza e all’autonomia del calcio da interferenze esterne. trattava di sponsorizzazioni “emotive” da parte di imprenditori-mecenati che, con spirito di liberalità, si preoccupavano di finanziare la propria squadra per consentirle di ottenere risultati sempre migliori. Soltanto agli albori della stagione 1978/79 la Federazione, guidata dall’allora presidente Xxxxxxx Xxxxxxx, per la prima volta consentì ufficialmente ai fornitori tecnici di apporre il proprio logo su maglia, pantaloncini e calzettoni per uno spazio non superiore a 12 cm² (poi portati a 16 cm²)36. Proprio nel campionato di Serie B 1978/79, grazie all’allora presidente della società calcistica A. C. Udinese, Xxxxxxx Xxxxxx, proprietario di un’azienda produttrice di gelati, l’8 ottobre 1978 avvenne la comparsa del primo sponsor commerciale nel calcio italiano. Sfruttando le pieghe del Regolamento delle divise da gioco – che norma esclusivamente le maglie – fece inserire il marchio “Gelati Xxxxxx” sui pantaloncini della xxxxxxx00. Bastò attendere un solo anno, e il 26 agosto 1979 cadde l'ultimo tabù, con l'esordio in Coppa Italia della prima maglia di calcio italiana griffata da uno sponsor, quella del Perugia38. Artefice di ciò fu il presidente dei grifoni, Xxxxxx X'Xxxxxx, il quale per reperire i 700 milioni di lire necessari al prestito in Umbria dell'attaccante Xxxxx Xxxxx, si accordò col gruppo alimentare Buitoni-Perugina da cui ne ottenne 400; in cambio, il nome del loro pastificio Xxxxx sarebbe comparso sulle divise della squadra, nonché, in maniera pionieristica, perfino sulle reti e sull'erba dello stadio Xxxxxx Xxxx. Dato che l'unica forma di sponsorizzazione permessa era quella relativa all'abbigliamento tecnico, D'Attoma aggirò le regole federali fondando un maglificio col nome del pastificio, la “Ponte Sportswear”39, che di diritto figurava come semplice fornitore tecnico, ma che di fatto fu il primo vero sponsor di maglia del calcio italiano. Questo servì per dare uno scossone a tutto il mondo del calcio, nel quale iniziarono a voler intervenire numerose altre aziende. Soltanto con l'inizio della stagione 1981/82, però, la Federazione consentì l'apposizione sulle divise da gioco anche di un marchio extrasettore (oltre a quelli tecnici già arrivati tre anni prima), permettendone 36 M. SAPPINO, op. cit., p. 1732 37 “L'Udinese apre alla pubblicità”, in Stampa Sera, 9 ottobre 1978, p. 11 38 “Dieci perugini (Xxxxx escluso) con la pubblicità sulle maglie”, in Stampa Sera, 27 agosto 1979, p. 13 39 “Spaghetti o linea sportiva?”, in La Stampa, 28 agosto 1979, p. 14 un'esposizione massima di 100 cm² sulla parte anteriore delle maglie (aumentata a 144 cm² due anni dopo)40. Proprio in questi anni, con l'aumento degli spazi pubblicitari, favorito dall'avvento delle televisioni commerciali e dal crescente interesse del pubblico per lo sport, si assistette ad una significativa evoluzione delle sponsorizzazioni in termini sia qualitativi sia quantitativi41. Gli operatori della pubblicità iniziarono a valorizzare le potenzialità della sponsorizzazione come autonomo strumento di comunicazione aziendale42 introducendola nei circuiti di intermediazione gestiti dalle agenzie pubblicitarie. Da atto unilaterale di natura liberale, la sponsorizzazione assunse le vesti di contratto commerciale a prestazioni corrispettive43. La via della sponsorizzazione sportiva era, quindi, ufficialmente aperta e, a partire da quell'anno, si ebbe una vera e propria corsa da parte delle aziende per potersi assicurare un legame con le squadre più blasonate, tant'è vero che iniziarono ad entrare nella scena sportiva anche i grandi gruppi industriali. In effetti, rispetto ad un impatto internazionale, l'esperienza probabilmente più significativa risulta essere quella della Parmalat, dove il fenomeno sponsorizzativo assunse i caratteri della razionalità, abbandonando l’approccio passionale di tipo mecenatistico44. La Parmalat, coniugando investimenti sportivi e crescita aziendale, trasformò il latte da bevanda per timidi ragazzini ad alimento per campioni 40 X. XXXXXXXXX, op. cit., p. 189 41 Cfr. X. XXXXXX, Sport, pubblicità e sponsor nella società moderna, in Enciclopedia dello Sport, xxxxx://xxx.xxxxxxxx.xx, 2003. L’autore riporta un dato emblematico relativo agli investimenti delle aziende per le sponsorizzazioni di società calcistiche in Italia: dai 6 miliardi e mezzo di lire investiti nel corso del 1981, si passò agli oltre 18 miliardi del 1988.

Appears in 1 contract

Samples: www.rdes.it

Xxxxxxxxx. Il marketing sportivo, Milano, 1997, p. 189 31 Ibidem fosse necessariamente quello di un produttore di biciclette, bensì di un’azienda extrasettore, la Nivea. Per conformarsi al regolamento della Federazione che vietava la presenza esclusiva sulle divise di un marchio extrasettoriale, Magni coinvolse una fabbrica milanese di biciclette poco più che artigianale, la Xxxxx: nacque così il sodalizio Niveadistretto industriale marshalliano come concetto socio-Xxxxx, con cui il Leone delle Fiandre vinse il Giro d’Italia 195532. Più travagliato invece il percorso delle sponsorizzazioni nello sport più popolare e seguito d’Italia, il calcio. La pratica delle sponsorizzazioni – riguardante sia fornitori tecnici che sponsor commerciali – venne a lungo osteggiata e proibita dalla Federazione Italiana Giuoco Calcio, che per molti decenni vietò alle società di "sporcare" le divise da gioco con dei marchi estranei al mondo del calcio33: il connubio sport-sponsor era infatti generalmente malvistoeconomico, in quanto si riteneva che la purezza dell'agonismo dovesse essere in qualche Stato e mercato, 1989, I, 25, 112; più approfonditamente, ID., Il distretto industriale: un nuovo modo salvaguardata da qualsiasi venalità commercialedi interpretare il cambiamento economico, Xxxxxxxxx & Xxxxxxx, Torino, 2000, passim. Per ovviare al divieto della Federazione, tra i club italiani iniziò a farsi strada la formula dell'abbinamento, consistente nell'affiancare il nome di un'azienda alla denominazione societaria di un club sportivo, unendo le rispettive ragioni sociali34. Come ancora oggi stabilisce il Regolamento delle divise da gioco, la FIGC e la Lega Serie A hanno il veto sul disegno delle maglie ma non sullo stemma societario di un club: una squadra può quindi scegliere liberamente decentramento produttivo il proprio nome caposaldo13. Tale fenomeno di downsizing, ovvero di riduzione delle dimensioni di impresa e il del suo grado di integrazione verticale, anche a seguito della forte contrazione delle economie di scala in precedenza prodotte dalla produzione di massa standardizzata, è strettamente correlato al diverso fenomeno dell’outsourcing e, quindi, alla necessità della grande impresa di espellere lavoro ed entrare in stretto contatto con PMI, o con strutture più complesse (consortili o distrettuali), specializzate nella lavorazione di semilavorati e interamente dedicate allo sviluppo del proprio stemmacore business14. Tradizionalmente i distretti industriali, senza il rischio in virtù dei forti legami storici, culturali e interpersonali esistenti tra le imprese aderenti e le popolazioni locali, costituiscono un unicum sociale oltre che economico15. Sono composti da PMI caratterizzate da alta specializzazione produttiva e peculiare organizzazione interna16. Nonostante la forte vocazione regionalista del distretto si registra anche una significativa presenza di violare le regole competitors stranieri, attratti da prospettive di profitto e incorrere in sanzioni. Approfittando di questo vuoto normativo è nel secondo dopoguerra che la pratica dell'abbinamento prese piede nel mondo del calcio italiano. Tra i vari esempi affacciatisi nella storia della Serie A, il più noto, fortunato e longevo rimane quello del Lanerossi-Vicenza, risultato dell'acquisizione della squadra berica da parte del Lanificio Rossi. Altre società seguirono a ruota i berici, portando all'immediata nascita di operazioni analoghe come la Simmenthal-Monza, la Del Duca-Ascoli e la Talmone-Torino35. Si 32 X. XXXXXXXX, X. XXXXXXX, crescita 13 Sul punto si v. X. XXXXXX, Per sport Integrazione di imprese e per business: è tutto parte destinazione patrimoniale, in Contratto e impresa, 2010, 1, 168, nt. 3, secondo il quale «(…) Il decentramento presuppone l’esistenza di un sistema produttivo integrato caratterizzato da scambi generalmente tra grandi e medie imprese con imprese di piccole dimensioni, alle quali viene affidata la produzione di parti del giocoprodotto finale oppure lo svolgimento di una o più fasi del processo produttivo. Tale modello organizzativo ha avuto un grande sviluppo a partire dagli anni ’80, Milano, 1997, p. 172 33 Recitava l'articolo 16 comma M in contemporanea al sorgere di molte imprese altamente specializzate che hanno favorito la flessibilità del regolamento organico della FIGC, ora soppresso: “Durante qualsiasi gara non è permesso ai giocatori portare sulle maglie distintivi di natura politica, confessionale o scritte pubblicitarie. Eventuale deroga, limitatamente alle scritte pubblicitarie, è ammesso per le società del settore giovanile e dei dilettanti, sempre se debitamente autorizzate dal proprio comitato regionale.” in M. XXXXXXX, Dizionario del calcio italiano, Milano, 2000, p. 1734 34 Ivi, p. 1731 35 Come osserva X. XXXXXXXXX, op. cit., p. 189, tale abbinamento, però, durò solo fino al 1969, anno in cui si optò per un ritorno alla purezza e all’autonomia del calcio da interferenze esterne. trattava di sponsorizzazioni “emotive” da parte di imprenditori-mecenati che, con spirito di liberalità, si preoccupavano di finanziare la propria squadra per consentirle di ottenere risultati sempre migliori. Soltanto agli albori della stagione 1978/79 la Federazione, guidata dall’allora presidente Xxxxxxx Xxxxxxx, per la prima volta consentì ufficialmente ai fornitori tecnici di apporre il proprio logo su maglia, pantaloncini e calzettoni per uno spazio non superiore a 12 cm² (poi portati a 16 cm²)36. Proprio nel campionato di Serie B 1978/79, grazie all’allora presidente della società calcistica A. C. Udinese, Xxxxxxx Xxxxxx, proprietario di un’azienda produttrice di gelati, l’8 ottobre 1978 avvenne la comparsa del primo sponsor commerciale nel calcio italiano. Sfruttando le pieghe del Regolamento delle divise da gioco – che norma esclusivamente le maglie – fece inserire il marchio “Gelati Xxxxxx” sui pantaloncini della xxxxxxx00. Bastò attendere un solo anno, e il 26 agosto 1979 cadde l'ultimo tabù, con l'esordio in Coppa Italia della prima maglia di calcio italiana griffata da uno sponsor, quella del Perugia38. Artefice di ciò fu il presidente dei grifoni, Xxxxxx X'Xxxxxxprocesso produttivo, il quale per reperire i 700 milioni di lire necessari al prestito miglioramento qualitativo dei prodotti finali e la competitività anche in Umbria dell'attaccante Xxxxx Xxxxx, si accordò col gruppo alimentare Buitoni-Perugina da cui ne ottenne 400; in cambio, il nome del loro pastificio Xxxxx sarebbe comparso sulle divise della squadra, nonché, in maniera pionieristica, perfino sulle reti e sull'erba dello stadio Xxxxxx Xxxx. Dato che l'unica forma di sponsorizzazione permessa era quella relativa all'abbigliamento tecnico, D'Attoma aggirò le regole federali fondando un maglificio col nome del pastificio, la “Ponte Sportswear”39, che di diritto figurava come semplice fornitore tecnico, ma che di fatto fu il primo vero sponsor di maglia del calcio italiano. Questo servì per dare uno scossone a tutto il mondo del calcio, nel quale iniziarono a voler intervenire numerose altre aziende. Soltanto con l'inizio della stagione 1981/82, però, la Federazione consentì l'apposizione sulle divise da gioco anche di un marchio extrasettore (oltre a quelli tecnici già arrivati tre anni prima), permettendone 36 M. SAPPINO, op. citcampo internazionale»., p. 1732 37 “L'Udinese apre alla pubblicità”, in Stampa Sera, 9 ottobre 1978, p. 11 38 “Dieci perugini (Xxxxx escluso) con la pubblicità sulle maglie”, in Stampa Sera, 27 agosto 1979, p. 13 39 “Spaghetti o linea sportiva?”, in La Stampa, 28 agosto 1979, p. 14 un'esposizione massima di 100 cm² sulla parte anteriore delle maglie (aumentata a 144 cm² due anni dopo)40. Proprio in questi anni, con l'aumento degli spazi pubblicitari, favorito dall'avvento delle televisioni commerciali e dal crescente interesse del pubblico per lo sport, si assistette ad una significativa evoluzione delle sponsorizzazioni in termini sia qualitativi sia quantitativi41. Gli operatori della pubblicità iniziarono a valorizzare le potenzialità della sponsorizzazione come autonomo strumento di comunicazione aziendale42 introducendola nei circuiti di intermediazione gestiti dalle agenzie pubblicitarie. Da atto unilaterale di natura liberale, la sponsorizzazione assunse le vesti di contratto commerciale a prestazioni corrispettive43. La via della sponsorizzazione sportiva era, quindi, ufficialmente aperta e, a partire da quell'anno, si ebbe una vera e propria corsa da parte delle aziende per potersi assicurare un legame con le squadre più blasonate, tant'è vero che iniziarono ad entrare nella scena sportiva anche i grandi gruppi industriali. In effetti, rispetto ad un impatto internazionale, l'esperienza probabilmente più significativa risulta essere quella della Parmalat, dove il fenomeno sponsorizzativo assunse i caratteri della razionalità, abbandonando l’approccio passionale di tipo mecenatistico44. La Parmalat, coniugando investimenti sportivi e crescita aziendale, trasformò il latte da bevanda per timidi ragazzini ad alimento per campioni 40 X. XXXXXXXXX, op. cit., p. 189 41 Cfr. X. XXXXXX, Sport, pubblicità e sponsor nella società moderna, in Enciclopedia dello Sport, xxxxx://xxx.xxxxxxxx.xx, 2003. L’autore riporta un dato emblematico relativo agli investimenti delle aziende per le sponsorizzazioni di società calcistiche in Italia: dai 6 miliardi e mezzo di lire investiti nel corso del 1981, si passò agli oltre 18 miliardi del 1988.

Appears in 1 contract

Samples: dspace.unict.it

Xxxxxxxxx. Il marketing sportivoXxx xxxxxx 0000 xx Xxxxxxxx xxx Xxxxxxxxx hanno presentato un documento riassuntivo dell’utilizzo di tutti i fondi (anche quelli italiani) liberati con la cancellazione del debito, Milanoche sono stati impegnati per il sostegno al bilancio nei settori della sanità e dell’istruzione in aree geografiche prioritarie. Nel febbraio 2006 il Ministero dell’Economia, 1997delle Finanze e del Budget ha fatto pervenire una lista di progetti da finanziare con le risorse liberate dalla cancellazione del debito verso l’Italia, p. 189 31 Ibidem fosse necessariamente quello di cui all’Accordo dell’8 luglio 2005. Tali iniziative riguardano l’istruzione, lo sviluppo agricolo, il miglioramento delle forniture di acqua ed energia, il sistema sanitario e il reinserimento sociale degli ex-combattenti, in conformità con quanto previsto dalla strategia nazionale di riduzione della povertà. A seguito della firma dell’Accordo bilaterale di cancellazione di “interim debt relief ’, nel gennaio 2007 le Autorità congolesi hanno comunicato con Nota verbale alPAmbasciata italiana l’apertura di un produttore conto denominato “Fondo PPTE” presso la Banque des Etats de l'Afrique Centrale a Brazzaville al fine di biciclette, bensì ricevere tutti i fondi ottenuti dalle cancellazioni debitorie interinali. In data 7 marzo 2009 è stato firmato un ulteriore accordo bilaterale di un’azienda extrasettore, la Nivea. Per conformarsi al regolamento della Federazione che vietava la presenza esclusiva sulle divise cancellazione debitoria di un marchio extrasettoriale, Magni coinvolse una fabbrica milanese di biciclette poco più che artigianale, la Xxxxx: nacque così il sodalizio Nivea-Xxxxx, con cui il Leone delle Fiandre vinse il Giro d’Italia 195532. Più travagliato invece il percorso delle sponsorizzazioni nello sport più popolare e seguito d’Italia, il calcio. La pratica delle sponsorizzazioni – riguardante sia fornitori tecnici che sponsor commerciali – venne a lungo osteggiata e proibita dalla Federazione Italiana Giuoco Calcio, che per molti decenni vietò alle società di "sporcare" le divise da gioco con dei marchi estranei al mondo del calcio33: il connubio sport-sponsor era infatti generalmente malvisto, in quanto si riteneva che la purezza dell'agonismo dovesse essere in qualche modo salvaguardata da qualsiasi venalità commerciale. Per ovviare al divieto della Federazione, tra i club italiani iniziò a farsi strada la formula dell'abbinamento, consistente nell'affiancare il nome di un'azienda alla denominazione societaria di un club sportivo, unendo le rispettive ragioni sociali34. Come ancora oggi stabilisce il Regolamento delle divise da gioco, la FIGC e la Lega Serie A hanno il veto sul disegno delle maglie ma non sullo stemma societario di un club: una squadra può quindi scegliere liberamente il proprio nome e il proprio stemma, senza il rischio di violare le regole e incorrere in sanzioni. Approfittando di questo vuoto normativo è nel secondo dopoguerra che la pratica dell'abbinamento prese piede nel mondo del calcio italiano. Tra i vari esempi affacciatisi nella storia della Serie A, il più noto, fortunato e longevo rimane quello del Lanerossi-Vicenza, risultato dell'acquisizione della squadra berica da parte del Lanificio Rossi. Altre società seguirono a ruota i berici, portando all'immediata nascita di operazioni analoghe come la Simmenthal-Monza, la Del Duca-Ascoli e la Talmone-Torino35. Si 32 X. XXXXXXXX, X. XXXXXXX, X. XXXXXX, Per sport e per business: è tutto parte del gioco, Milano, 1997, p. 172 33 Recitava l'articolo 16 comma M del regolamento organico della FIGC, ora soppresso: Durante qualsiasi gara non è permesso ai giocatori portare sulle maglie distintivi di natura politica, confessionale o scritte pubblicitarie. Eventuale deroga, limitatamente alle scritte pubblicitarie, è ammesso per le società del settore giovanile e dei dilettanti, sempre se debitamente autorizzate dal proprio comitato regionale.” in M. XXXXXXX, Dizionario del calcio italiano, Milano, 2000, p. 1734 34 Ivi, p. 1731 35 Come osserva X. XXXXXXXXX, op. cit., p. 189, tale abbinamento, però, durò solo fino al 1969, anno in cui si optò interim debt relief' per un ritorno alla purezza e all’autonomia del calcio da interferenze esterne. trattava importo pari a 25,13 milioni di sponsorizzazioni “emotive” da parte di imprenditori-mecenati che, con spirito di liberalità, si preoccupavano di finanziare la propria squadra per consentirle di ottenere risultati sempre migliori. Soltanto agli albori della stagione 1978/79 la Federazione, guidata dall’allora presidente Xxxxxxx Xxxxxxx, per la prima volta consentì ufficialmente ai fornitori tecnici di apporre il proprio logo su maglia, pantaloncini e calzettoni per uno spazio non superiore a 12 cm² (poi portati a 16 cm²)36. Proprio nel campionato di Serie B 1978/79, grazie all’allora presidente della società calcistica A. C. Udinese, Xxxxxxx Xxxxxx, proprietario di un’azienda produttrice di gelati, l’8 ottobre 1978 avvenne la comparsa del primo sponsor commerciale nel calcio italiano. Sfruttando le pieghe del Regolamento delle divise da gioco – che norma esclusivamente le maglie – fece inserire il marchio “Gelati Xxxxxx” sui pantaloncini della xxxxxxx00. Bastò attendere un solo annoeuro, e il 26 agosto 1979 cadde l'ultimo tabù, con l'esordio in Coppa Italia della prima maglia 2 luglio 2010 è stato firmato PAccordo bilaterale di calcio italiana griffata da uno sponsor, quella del Perugia38. Artefice cancellazione finale per un ammontare di ciò fu il presidente dei grifoni, Xxxxxx X'Xxxxxx, il quale per reperire i 700 97,99 milioni di lire necessari al prestito in Umbria dell'attaccante Xxxxx Xxxxx, si accordò col gruppo alimentare Buitoni-Perugina da cui ne ottenne 400; in cambio, il nome del loro pastificio Xxxxx sarebbe comparso sulle divise della squadra, nonché, in maniera pionieristica, perfino sulle reti e sull'erba dello stadio Xxxxxx Xxxxeuro. Dato che l'unica forma di sponsorizzazione permessa era quella relativa all'abbigliamento tecnico, D'Attoma aggirò le regole federali fondando un maglificio col nome del pastificio, la “Ponte Sportswear”39, che di diritto figurava come semplice fornitore tecnico, ma che di fatto fu il primo vero sponsor di maglia del calcio italiano. Questo servì per dare uno scossone a tutto il mondo del calcio, nel quale iniziarono a voler intervenire numerose altre aziende. Soltanto con l'inizio della stagione 1981/82, però, la Federazione consentì l'apposizione sulle divise da gioco anche di un marchio extrasettore (oltre a quelli tecnici già arrivati tre anni prima), permettendone 36 M. SAPPINO, op. cit., p. 1732 37 “L'Udinese apre alla pubblicità”, in Stampa Sera, 9 ottobre 1978, p. 11 38 “Dieci perugini (Xxxxx escluso) con la pubblicità sulle maglie”, in Stampa Sera, 27 agosto 1979, p. 13 39 “Spaghetti o linea sportiva?”, in La Stampa, 28 agosto 1979, p. 14 un'esposizione massima di 100 cm² sulla parte anteriore delle maglie (aumentata a 144 cm² due anni dopo)40. Proprio in questi anni, con l'aumento degli spazi pubblicitari, favorito dall'avvento delle televisioni commerciali e dal crescente interesse del pubblico per lo sport, si assistette ad una significativa evoluzione delle sponsorizzazioni in termini sia qualitativi sia quantitativi41. Gli operatori della pubblicità iniziarono a valorizzare le potenzialità della sponsorizzazione come autonomo strumento di comunicazione aziendale42 introducendola nei circuiti di intermediazione gestiti dalle agenzie pubblicitarie. Da atto unilaterale di natura liberale, la sponsorizzazione assunse le vesti di contratto commerciale a prestazioni corrispettive43. La via della sponsorizzazione sportiva era, quindi, ufficialmente aperta e, a partire da quell'anno, si ebbe una vera e propria corsa Non sono ancora pervenute indicazioni da parte delle aziende Autorità sull’utilizzo dei fondi liberati dalla cancellazione in base ai due Accordi sopracitati, nonostante i numerosi solleciti da parte dell’Ambasciata italiana. Nel dicembre 2005 il Ministero del Bilancio congolese ha fatto pervenire una proposta di utilizzo delle risorse liberate dalla cancellazione del debito verso l’Italia, nella quale veniva indicata una lista di progetti da realizzare nei settori della sanità, del l’istruzione primaria e secondaria, idraulico e socio-umanitario. Il 5 febbraio 2008 è pervenuta la documentazione relativa alla revisione tecnica commissionata dal Governo congolese a una società di consulenza (CAUDITEC S.c.r.l. & BKR International) per potersi assicurare verificare la correttezza delle spese effettuate negli esercizi 2003, 2004 e 2005 a valere sui fondi resi disponibili nell’ambito della Iniziativa HIPC. Dal rapporto, ottenuto dal locale ufficio della Banca Mondiale, emergono lacune nella gestione dei fondi creati dalle avvenute cancellazioni del debito estero congolese. Il documento è integrato da una serie di raccomandazioni rivolte dai revisori al Governo della RDC neH’intento di porre rimedio alle disfunzioni riscontrate sul piano tecnico e finanziario e di promuovere una gestione delle risorse dell’HIPC allineata alle esigenze di funzionalità e trasparenza. Il 31 maggio 2011 è stato firmato l’Accordo bilaterale di cancellazione finale del debito per un legame ammontare pari a circa 519,26 milioni di euro. Nel mese di marzo 2012 il Governo della Repubblica Democratica del Congo ha comunicato alla nostra Ambasciata che i fondi ottenuti attraverso la cancellazione debitoria sono stati impegnati per lavori di viabilità urbana e per la ristrutturazione di scuole e ospedali in tutto il Paese. Nel settembre 2003 il Governo senegalese ha inviato alla nostra Ambasciata una lista di settori per i quali verranno utilizzati i fondi provenienti dalla cancellazione del debito. I fondi sono destinati, nell’ordine, ai seguenti settori: agricoltura, idraulica rurale e agricola, energia, artigianato, trasporti, istruzione, sanità, sviluppo sociale e fondi per l’equipaggiamento delle collettività locali. La descrizione specifica dei progetti si trova nel Piano di Azione Prioritaria contenuto nel Document de Stratégie de Réduction de la Pauvreté (DSRP). Nel settembre del 2011, il Ministero degli Esteri senegalese ha informato la nostra Ambasciata che le risorse liberate nel quadro dell'Accordo bilaterale di cancellazione del debito con l’Italia sono state utilizzate globalmente nell'ambito del Programma nazionale di lotta alla povertà, così come riportato nei vari documenti strategici di riferimento (DSRP2 2006-2011) e nel Documento di Politica Economica e Sociale DPES (2011-2015). La nostra Ambasciata ha inoltre avuto assicurazione dal Ministero competente che anche per l'anno 2011-2012 le squadre più blasonaterisorse liberate in seguito alla cancellazione del debito bilaterale con l'Italia saranno, tant'è vero che iniziarono ad entrare nella scena sportiva anche i grandi gruppi industriali. In effetticome di consueto, utilizzate dal Governo senegalese nel quadro della realizzazione della sua Strategia nazionale di lotta alla povertà, senza distinzione di provenienza rispetto ad un impatto internazionale, l'esperienza probabilmente più significativa risulta essere quella della Parmalat, dove il fenomeno sponsorizzativo assunse i caratteri della razionalità, abbandonando l’approccio passionale di tipo mecenatistico44. La Parmalat, coniugando investimenti sportivi e crescita aziendale, trasformò il latte da bevanda per timidi ragazzini ad alimento per campioni 40 X. XXXXXXXXX, op. citaltri donatori., p. 189 41 Cfr. X. XXXXXX, Sport, pubblicità e sponsor nella società moderna, in Enciclopedia dello Sport, xxxxx://xxx.xxxxxxxx.xx, 2003. L’autore riporta un dato emblematico relativo agli investimenti delle aziende per le sponsorizzazioni di società calcistiche in Italia: dai 6 miliardi e mezzo di lire investiti nel corso del 1981, si passò agli oltre 18 miliardi del 1988.

Appears in 1 contract

Samples: documenti.camera.it

Xxxxxxxxx. Il marketing sportivoLa formazione del contratto, Milano, 19971966, p. 189 31 Ibidem fosse necessariamente quello di un produttore di biciclette🡪86; X. Xx Xxxx, bensì di un’azienda extrasettoreop. ult. cit., la Nivea. Per conformarsi al regolamento della Federazione che vietava la presenza esclusiva sulle divise di un marchio extrasettorialep. 289 ss.; X. Xxxxxxxxx, Magni coinvolse una fabbrica milanese di biciclette poco più che artigianale, la Xxxxx: nacque così il sodalizio Nivea-Xxxxx, con cui il Leone delle Fiandre vinse il Giro d’Italia 195532. Più travagliato invece il percorso delle sponsorizzazioni nello sport più popolare La forma dei contratti relativi ad operazioni e seguito d’Italia, il calcio. La pratica delle sponsorizzazioni – riguardante sia fornitori tecnici che sponsor commerciali – venne a lungo osteggiata e proibita dalla Federazione Italiana Giuoco Calcio, che per molti decenni vietò alle società di "sporcare" le divise da gioco con dei marchi estranei al mondo del calcio33: il connubio sport-sponsor era infatti generalmente malvistoservizi bancari finan- ziari, in quanto si riteneva che la purezza dell'agonismo dovesse essere in qualche modo salvaguardata da qualsiasi venalità commercialeRiv. Per ovviare al divieto della Federazionedir. comm., tra i club italiani iniziò a farsi strada la formula dell'abbinamento1994, consistente nell'affiancare il nome di un'azienda alla denominazione societaria di un club sportivo, unendo le rispettive ragioni sociali34. Come ancora oggi stabilisce il Regolamento delle divise da gioco, la FIGC e la Lega Serie A hanno il veto sul disegno delle maglie ma non sullo stemma societario di un club: una squadra può quindi scegliere liberamente il proprio nome e il proprio stemma, senza il rischio di violare le regole e incorrere in sanzioni. Approfittando di questo vuoto normativo è nel secondo dopoguerra che la pratica dell'abbinamento prese piede nel mondo del calcio italiano. Tra i vari esempi affacciatisi nella storia della Serie A, il più noto, fortunato e longevo rimane quello del Lanerossi-Vicenza, risultato dell'acquisizione della squadra berica da parte del Lanificio Rossi. Altre società seguirono a ruota i berici, portando all'immediata nascita di operazioni analoghe come la Simmenthal-Monza, la Del Duca-Ascoli e la Talmone-Torino35. Si 32 X. XXXXXXXX, X. XXXXXXX, X. XXXXXX, Per sport e per business: è tutto parte del gioco, Milano, 1997I, p. 172 33 Recitava l'articolo 16 comma M del regolamento organico della FIGC, ora soppresso: “Durante qualsiasi gara non è permesso ai giocatori portare sulle maglie distintivi di natura politica, confessionale o scritte pubblicitarie. Eventuale deroga, limitatamente alle scritte pubblicitarie, è ammesso per le società del settore giovanile e dei dilettanti, sempre se debitamente autorizzate dal proprio comitato regionale.” in 42🡪; C. M. XXXXXXX, Dizionario del calcio italiano, Milano, 2000, p. 1734 34 Ivi, p. 1731 35 Come osserva X. XXXXXXXXXXxxxxx, op. cit., p. 189, tale abbinamento, però, durò solo fino al 1969, anno in cui si optò per un ritorno alla purezza e all’autonomia del calcio da interferenze esterne287 ss. trattava di sponsorizzazioni “emotive” da parte di imprenditori-mecenati che, con spirito di liberalità, si preoccupavano di finanziare la propria squadra per consentirle di ottenere risultati sempre migliori. Soltanto agli albori della stagione 1978/79 la Federazione, guidata dall’allora presidente Xxxxxxx 37 X. Xxxxxxx, per nota a Trib. Parma, 4 maggio 2011, Il contratto con forma scritta: la prima volta consentì ufficialmente ai fornitori tecnici mancanza di apporre il proprio logo su magliasottoscrizione di una parte e la confessione dell’altra. Sentenze di merito contro una inedita sentenza della Cassazione, pantaloncini e calzettoni per uno spazio in Giur. it., 2012, p. 🡪15 ss. 38 Così, tra le molte, Trib. Torino, 5 febbraio 2010, in Resp. civ. prev., 2010, p. 2🡪🡪4 ss. profilo un pregiudizio»39: «se di nullità si discute, l’interesse non superiore a 12 cm² (poi portati a 16 cm²)36è solo quello della parte, che potrebbe in tesi utilizzare opportunisticamente la previsione che imponga una forma, ma è anche quello della collettività, ed allora non dovrebbe sussistere alcuna possibilità di convalida»40. Proprio nel campionato L’inerzia del cliente che accetti la situazione senza sollevare contestazioni dovrebbe restare irrilevante41. Appaiono poco sostenibili le tesi proposte dalla maggior parte dei giudici di Serie B 1978/79merito che sembrano, grazie all’allora presidente della società calcistica A. C. Udineseinvece, Xxxxxxx Xxxxxx, proprietario di un’azienda produttrice di gelati, l’8 ottobre 1978 avvenne la comparsa del primo sponsor commerciale nel calcio italiano. Sfruttando esprimere un “disagio”42 nell’accogliere le pieghe del Regolamento delle divise da gioco – che norma esclusivamente le maglie – fece inserire il marchio azioni Gelati Xxxxxxformalistichesui pantaloncini della dei xxxxxxx00. Bastò attendere un solo anno, «L’azione è di nullità e il 26 agosto 1979 cadde l'ultimo tabù, con l'esordio in Coppa Italia della prima maglia di calcio italiana griffata da uno sponsor, quella del Perugia38. Artefice di ciò fu il presidente dei grifoni, Xxxxxx X'Xxxxxx, il quale per reperire i 700 milioni di lire necessari al prestito in Umbria dell'attaccante Xxxxx Xxxxx, si accordò col gruppo alimentare Buitoni-Perugina da cui ne ottenne 400; in cambio, il nome del loro pastificio Xxxxx sarebbe comparso sulle divise della squadra, nonché, in maniera pionieristica, perfino sulle reti e sull'erba dello stadio Xxxxxx Xxxx. Dato che l'unica forma di sponsorizzazione permessa era quella relativa all'abbigliamento tecnico, D'Attoma aggirò le regole federali fondando un maglificio col nome del pastificio, la “Ponte Sportswear”39, che di diritto figurava come semplice fornitore tecnico, ma che di fatto fu il primo vero sponsor di maglia del calcio italiano. Questo servì per dare uno scossone a tutto il mondo del calcio, nel quale iniziarono a voler intervenire numerose altre aziende. Soltanto con l'inizio della stagione 1981/82, però, la Federazione consentì l'apposizione sulle divise da gioco anche di un marchio extrasettore (oltre a quelli tecnici già arrivati tre anni prima), permettendone 36 M. SAPPINOnon può essere 39 X. Xxxxxxx, op. cit., p. 1732 37 “L'Udinese apre alla pubblicità”🡪17, in Stampa Sera, 9 ottobre 1978, p. 11 38 “Dieci perugini (Xxxxx escluso) con la pubblicità sulle maglie”, in Stampa Sera, 27 agosto 1979, p. 13 39 “Spaghetti o linea sportiva?”, in La Stampa, 28 agosto 1979, p. 14 un'esposizione massima di 100 cm² sulla parte anteriore delle maglie (aumentata che a 144 cm² due anni dopo)40. Proprio in questi anni, con l'aumento degli spazi pubblicitari, favorito dall'avvento delle televisioni commerciali e dal crescente interesse del pubblico per lo sport, si assistette ad una significativa evoluzione delle sponsorizzazioni in termini sia qualitativi sia quantitativi41. Gli operatori della pubblicità iniziarono a valorizzare le potenzialità della sponsorizzazione come autonomo strumento di comunicazione aziendale42 introducendola nei circuiti di intermediazione gestiti dalle agenzie pubblicitarie. Da atto unilaterale di natura liberale, la sponsorizzazione assunse le vesti di contratto commerciale a prestazioni corrispettive43. La via della sponsorizzazione sportiva era, quindi, ufficialmente aperta e, a partire da quell'anno, si ebbe una vera e propria corsa da parte delle aziende per potersi assicurare un legame con le squadre più blasonate, tant'è vero che iniziarono ad entrare nella scena sportiva anche i grandi gruppi industriali. In effetti, rispetto ad un impatto internazionale, l'esperienza probabilmente più significativa risulta essere quella della Parmalat, dove il fenomeno sponsorizzativo assunse i caratteri della razionalità, abbandonando l’approccio passionale di tipo mecenatistico44. La Parmalat, coniugando investimenti sportivi e crescita aziendale, trasformò il latte da bevanda per timidi ragazzini ad alimento per campioni 40 X. XXXXXXXXXsua volta cita C.M. Xxxxxx, op. cit., p. 189 41 Cfr278, il quale Autore sottolinea proprio come «occorre comunque tener presente che la considerazione degli inte- ressi perseguiti generalmente dalla norma impositrice di un onere formale non può dispensare l’applicazione nelle singole fattispecie. X. XXXXXXIl contratto privo della forma necessaria deve pertanto considerarsi nullo anche se le parti avessero espresso un consenso consapevole e certo». In senso parzialmente diverso, SportP. Xxxxxxxxxx, pubblicità Forma dei negozi e sponsor nella società modernaformalismo degli interpreti, in Enciclopedia dello SportMilano, xxxxx://xxx.xxxxxxxx.xx1987, 2003. L’autore riporta un dato emblematico relativo agli investimenti p. 120, evidenzia come «la violazione di norme inderogabili non comporta ne- cessariamente la nullità dell’atto e l’irrilevanza dei suoi effetti; la nullità non rappresenta una costante dell’inderogabilità, né l’inderogabilità è una costante delle aziende per le sponsorizzazioni norme sulle forme legali dell’attività negoziale, e comunque non si desume dal tenore imperativo della proposizione legislativa ma si configura quale risultato di società calcistiche in Italia: dai 6 miliardi e mezzo di lire investiti nel corso del 1981, si passò agli oltre 18 miliardi del 1988una complessa operazione ermeneutica».

Appears in 1 contract

Samples: edizionicafoscari.unive.it

Xxxxxxxxx. Il marketing sportivotirocinio, Milanoin Trattato di diritto privato, 1997dir. da X. XXXXXXXX, vol. 15, I, Torino, 1986, p. 189 31 Ibidem fosse necessariamente quello 291 ss. il rapporto de quo come contratto a termine in senso proprio: il contratto di tirocinio è potenzialmente a tempo indeterminato, essendo il termine (legale o convenzionale) indicato come un limite “massimo”, superato il quale non si estingue automaticamente il rapporto, bensì questo si depura dei suoi contenuti aggiuntivi, convertendosi in un contratto di lavoro tout court, ugualmente a tempo indeterminato”. La durata del contratto di apprendistato è differente a seconda delle diverse tipologie di rapporto. Tale argomento sarà trattato nel dettaglio durante l'analisi dei singoli sotto-tipi di apprendistato. Il legislatore prevede anche la possibilità di stipulare contratti di apprendistato professionalizzante a tempo determinato per le attività a cicli stagionali, se previsti dalla contrattazione nazionale fra associazioni datoriali e dei prestatori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale. Il modello contratto di apprendistato a tempo determinato, è pacificamente disciplinato dalla legge. Il contratto di apprendistato era già stato declinato al plurale79dal legislatore del 2003 (c.d. riforma Biagi) che aveva disciplinato tre sottotipi, differenti in termini funzionali e regolamentari: - apprendistato per l'espletamento del diritto-dovere di istruzione e formazione; - apprendistato professionalizzante; - apprendistato per l'acquisizione di un produttore diploma o per percorsi di biciclette, bensì di un’azienda extrasettorealta formazione. Anche nel Testo Unico del 2011, la Niveasuddivisione in tre tipologie è confermata: gli obiettivi che con tali contratti si vogliono conseguire sono differenti. Per conformarsi al regolamento della Federazione che vietava la presenza esclusiva sulle divise L'art. 1, co. 2, del Testo Unico così statuisce, “il contratto di un marchio extrasettoriale, Magni coinvolse una fabbrica milanese di biciclette poco più che artigianale, la Xxxxx: nacque così il sodalizio Nivea-Xxxxx, con cui il Leone delle Fiandre vinse il Giro d’Italia 195532. Più travagliato invece il percorso delle sponsorizzazioni nello sport più popolare e seguito d’Italia, il calcio. La pratica delle sponsorizzazioni – riguardante sia fornitori tecnici che sponsor commerciali – venne a lungo osteggiata e proibita dalla Federazione Italiana Giuoco Calcio, che per molti decenni vietò alle società di "sporcare" le divise da gioco con dei marchi estranei al mondo del calcio33: il connubio sport-sponsor era infatti generalmente malvisto, in quanto si riteneva che la purezza dell'agonismo dovesse essere in qualche modo salvaguardata da qualsiasi venalità commerciale. Per ovviare al divieto della Federazione, tra i club italiani iniziò a farsi strada la formula dell'abbinamento, consistente nell'affiancare il nome di un'azienda alla denominazione societaria di un club sportivo, unendo le rispettive ragioni sociali34. Come ancora oggi stabilisce il Regolamento delle divise da gioco, la FIGC e la Lega Serie A hanno il veto sul disegno delle maglie ma non sullo stemma societario di un club: una squadra può quindi scegliere liberamente il proprio nome e il proprio stemma, senza il rischio di violare le regole e incorrere in sanzioni. Approfittando di questo vuoto normativo è nel secondo dopoguerra che la pratica dell'abbinamento prese piede nel mondo del calcio italiano. Tra i vari esempi affacciatisi nella storia della Serie A, il più noto, fortunato e longevo rimane quello del Lanerossi-Vicenza, risultato dell'acquisizione della squadra berica da parte del Lanificio Rossi. Altre società seguirono a ruota i berici, portando all'immediata nascita di operazioni analoghe come la Simmenthal-Monza, la Del Duca-Ascoli e la Talmone-Torino35. Si 32 79) X. XXXXXXXX, X. XXXXXXX, X. XX XXXX XXXXXX, Per sport e per business: è tutto parte del gioco, Milano, 1997, p. 172 33 Recitava l'articolo 16 comma M del regolamento organico della FIGC, ora soppresso: “Durante qualsiasi gara non è permesso ai giocatori portare sulle maglie distintivi di natura politica, confessionale o scritte pubblicitarieult. Eventuale deroga, limitatamente alle scritte pubblicitarie, è ammesso per le società del settore giovanile e dei dilettanti, sempre se debitamente autorizzate dal proprio comitato regionale.” in M. XXXXXXX, Dizionario del calcio italiano, Milano, 2000, p. 1734 34 Ivi, p. 1731 35 Come osserva X. XXXXXXXXX, op. cit., p. 189, tale abbinamento, però, durò solo fino al 1969, anno in cui si optò per un ritorno alla purezza e all’autonomia del calcio da interferenze esterne. trattava di sponsorizzazioni “emotive” da parte di imprenditori-mecenati che, con spirito di liberalità, si preoccupavano di finanziare la propria squadra per consentirle di ottenere risultati sempre migliori. Soltanto agli albori della stagione 1978/79 la Federazione, guidata dall’allora presidente Xxxxxxx Xxxxxxx, per la prima volta consentì ufficialmente ai fornitori tecnici di apporre il proprio logo su maglia, pantaloncini e calzettoni per uno spazio non superiore a 12 cm² (poi portati a 16 cm²)36. Proprio nel campionato di Serie B 1978/79, grazie all’allora presidente della società calcistica A. C. Udinese, Xxxxxxx Xxxxxx, proprietario di un’azienda produttrice di gelati, l’8 ottobre 1978 avvenne la comparsa del primo sponsor commerciale nel calcio italiano. Sfruttando apprendistato è definito secondo le pieghe del Regolamento delle divise da gioco – che norma esclusivamente le maglie – fece inserire il marchio “Gelati Xxxxxx” sui pantaloncini della xxxxxxx00. Bastò attendere un solo anno, e il 26 agosto 1979 cadde l'ultimo tabù, con l'esordio in Coppa Italia della prima maglia di calcio italiana griffata da uno sponsor, quella del Perugia38. Artefice di ciò fu il presidente dei grifoni, Xxxxxx X'Xxxxxx, il quale per reperire i 700 milioni di lire necessari al prestito in Umbria dell'attaccante Xxxxx Xxxxx, si accordò col gruppo alimentare Buitoni-Perugina da cui ne ottenne 400; in cambio, il nome del loro pastificio Xxxxx sarebbe comparso sulle divise della squadra, nonché, in maniera pionieristica, perfino sulle reti e sull'erba dello stadio Xxxxxx Xxxx. Dato che l'unica forma di sponsorizzazione permessa era quella relativa all'abbigliamento tecnico, D'Attoma aggirò le regole federali fondando un maglificio col nome del pastificio, la “Ponte Sportswear”39, che di diritto figurava come semplice fornitore tecnico, ma che di fatto fu il primo vero sponsor di maglia del calcio italiano. Questo servì per dare uno scossone a tutto il mondo del calcio, nel quale iniziarono a voler intervenire numerose altre aziende. Soltanto con l'inizio della stagione 1981/82, però, la Federazione consentì l'apposizione sulle divise da gioco anche di un marchio extrasettore (oltre a quelli tecnici già arrivati tre anni prima), permettendone 36 M. SAPPINO, op. cit., p. 1732 37 “L'Udinese apre alla pubblicità”, in Stampa Sera, 9 ottobre 1978, p. 11 38 “Dieci perugini (Xxxxx escluso) con la pubblicità sulle maglie”, in Stampa Sera, 27 agosto 1979, p. 13 39 “Spaghetti o linea sportiva?”, in La Stampa, 28 agosto 1979, p. 14 un'esposizione massima di 100 cm² sulla parte anteriore delle maglie (aumentata a 144 cm² due anni dopo)40. Proprio in questi anni, con l'aumento degli spazi pubblicitari, favorito dall'avvento delle televisioni commerciali e dal crescente interesse del pubblico per lo sport, si assistette ad una significativa evoluzione delle sponsorizzazioni in termini sia qualitativi sia quantitativi41. Gli operatori della pubblicità iniziarono a valorizzare le potenzialità della sponsorizzazione come autonomo strumento di comunicazione aziendale42 introducendola nei circuiti di intermediazione gestiti dalle agenzie pubblicitarie. Da atto unilaterale di natura liberale, la sponsorizzazione assunse le vesti di contratto commerciale a prestazioni corrispettive43. La via della sponsorizzazione sportiva era, quindi, ufficialmente aperta e, a partire da quell'anno, si ebbe una vera e propria corsa da parte delle aziende per potersi assicurare un legame con le squadre più blasonate, tant'è vero che iniziarono ad entrare nella scena sportiva anche i grandi gruppi industriali. In effetti, rispetto ad un impatto internazionale, l'esperienza probabilmente più significativa risulta essere quella della Parmalat, dove il fenomeno sponsorizzativo assunse i caratteri della razionalità, abbandonando l’approccio passionale di tipo mecenatistico44. La Parmalat, coniugando investimenti sportivi e crescita aziendale, trasformò il latte da bevanda per timidi ragazzini ad alimento per campioni 40 X. XXXXXXXXX, op. cit., p. 189 41 Cfr. X. XXXXXX, Sport, pubblicità e sponsor nella società moderna, in Enciclopedia dello Sport, xxxxx://xxx.xxxxxxxx.xx, 2003. L’autore riporta un dato emblematico relativo agli investimenti delle aziende per le sponsorizzazioni di società calcistiche in Italia: dai 6 miliardi e mezzo di lire investiti nel corso del 1981, si passò agli oltre 18 miliardi del 1988.seguenti tipologie:

Appears in 1 contract

Samples: core.ac.uk

Xxxxxxxxx. Il marketing sportivocontratto a termine: un modello normativo da supe- rare?, in Riv. Trim. Dir. e Proc. Civ., 1978, 1042; nello stesso senso anche Xxxxxxxx, Il contratto di lavoro tempo determinato, Milano, 19971973, p. 189 31 Ibidem fosse necessariamente 26, per il quale ove si dovesse ritenere escluso il lavoratore a termine dalla speciale tutela prevista per il licenziamento del lavora- tore a tempo indeterminato «ben potrebbe sostenersi l’illegittimita` costituzionale ex artt. 3, 4 e 41 Cost. delle norme in materia di con- tratto a termine». Giurisprudenza Italiana - Febbraio 2014 463 Dottrina e attualita` giuridiche n Disciplina dei licenziamenti nato risolto anticipatamente dal datore di lavoro, perche´ in questo caso non vi e` alcuna incompatibilita` oggettiva» 6. In questo contesto si sostiene anche l’applicabilita` della tutela reale ex art. 18 legge n. 300/1970, nel limite di durata del contratto, prescindendo dalla legge n. 604/1966, come rimedio in caso di licenziamento del lavoratore a termine che dovesse risultare sfornito di giusta causa ex art. 2119 c.c., potendosi desumere «tale applicazione [...] semplice- mente dal fatto che la nuova disciplina, nel contemplare le conseguenze del licenziamento senza giusta causa o senza giustificato motivo, ha ricompreso in se´ anche il recesso anticipato, sottraendolo alla disciplina del diritto comu- ne» 7. Le tesi ora esposte non convincono in quanto basate su una forzatura interpretativa del chiaro dettato legislativo che ha voluto escludere dal campo di applicazione della speciale normativa sul licenziamento il contratto a tempo determinato, lasciando immutato il modello civilistico di tutela che garantisce al contratto, destinato ad estinguersi ad una scadenza predefinita, una forte stabilita` limitando la possibilita` di recesso unilaterale anticipato unicamente alla giusta causa o alle altre ordinarie ipotesi di risoluzione del contratto di durata con prestazioni corrispettive previste dal diritto comune. Xxxxxx affermato non «ferisce il principio della parita` di trattamento» tra il lavoratore a termine e quello a tempo indeterminato che, per espressa volonta` del legislatore ca- ratterizza la fattispecie, e, conseguentemente, non viola «re- gole e direttive di natura costituzionale» 8. L’art. 5 legge n. 230/1962, prima, e l’art. 6 D.Lgs. n. 368/ 2001, poi, se da una parte hanno imposto una sostanziale parita` di trattamento nella disciplina del rapporto di lavoro tra le due categorie di prestatori di lavoro, nel contempo, hanno fatto salvo il principio della oggettiva compatibilita` delle regole fissate per il contratto a tempo indeterminato con la specificita` del contratto a termine. Sembra difficile sostenere che il modello di disciplina del licenziamento predisposto per il contratto a tempo indeter- minato sia compatibile con il contratto a termine: con l’am- pliamento delle causali legittimanti il recesso si verrebbe ad affievolire, irragionevolmente, l’affidamento delle parti sul- la durata garantita della prestazione lavorativa nello speci- fico contesto di un produttore contratto in cui le stesse ne hanno convenuto espressamente la scadenza; ma, soprattutto, cio` che appare assolutamente incompatibile con il contratto a termine sono i rimedi apprestati dalla normativa sul li- cenziamento illegittimo prevista per il contratto a tempo indeterminato e cio`, non solo nelle ipotesi in cui la sanzione per il datore di biciclettelavoro sia comunque di tipo risarcitorio ex art. 8 legge n. 604/1996, bensì di un’azienda extrasettorema, la Nivea. Per conformarsi al regolamento della Federazione che vietava la presenza esclusiva sulle divise di un marchio extrasettorialesoprattutto, Magni coinvolse una fabbrica milanese di biciclette poco più che artigianalequando, la Xxxxx: nacque così il sodalizio Nivea-Xxxxx, con cui il Leone delle Fiandre vinse il Giro d’Italia 195532. Più travagliato invece il percorso delle sponsorizzazioni nello sport più popolare e seguito d’Italiain ragio- ne del numero dei dipendenti, il calciodatore rientra nel campo di applicazione dell’art. La pratica delle sponsorizzazioni – riguardante sia fornitori tecnici che sponsor commerciali – venne 18 legge n. 300/1970. Si pensi alla fattispecie (di regola la piu` frequente) costi- tuita da un contratto a lungo osteggiata termine di durata di tre o sei mesi e proibita dalla Federazione Italiana Giuoco Calcio, che caratterizzata da un recesso anticipato per molti decenni vietò alle società di "sporcare" le divise da gioco con dei marchi estranei al mondo del calcio33: il connubio sport-sponsor era infatti generalmente malvisto, in quanto si riteneva che la purezza dell'agonismo dovesse essere in qualche modo salvaguardata da qualsiasi venalità commerciale. Per ovviare al divieto della Federazione, tra i club italiani iniziò a farsi strada la formula dell'abbinamento, consistente nell'affiancare il nome di un'azienda alla denominazione societaria di un club sportivo, unendo le rispettive ragioni sociali34. Come ancora oggi stabilisce il Regolamento delle divise da gioco, la FIGC e la Lega Serie A hanno il veto sul disegno delle maglie ma non sullo stemma societario di un club: una squadra può quindi scegliere liberamente il proprio nome e il proprio stemma, senza il rischio di violare le regole e incorrere in sanzioni. Approfittando di questo vuoto normativo è nel secondo dopoguerra che la pratica dell'abbinamento prese piede nel mondo del calcio italiano. Tra i vari esempi affacciatisi nella storia della Serie A, il più noto, fortunato e longevo rimane quello del Lanerossi-Vicenza, risultato dell'acquisizione della squadra berica giusta causa da parte del Lanificio Rossidatore di lavoro, ritenuto illegittimo, a seguito del quale quest’ultimo e` condannato comunque al pagamento di cinque mensilita` di retribuzione o, secondo il nuovo testo dell’art. Altre società seguirono 18, a ruota i bericicorrispondere una indennita` il cui am- montare varia da un minimo di 12 ad un massimo di 24 mensilita`. E, portando all'immediata nascita ancora, all’ipotesi, a dir poco paradossale, nella quale ci siano le condizioni perche´ il giudice possa emettere un ordine di operazioni analoghe come reintegrazione ed il lavoratore decida di optare per le mensilita` di retribuzione rinunciando al posto di lavoro. In questo caso, ancor piu` che negli altri, e` di indubbia evidenza che la Simmenthal-Monzamisura alternativa alla reintegrazione sia esclusivamente finalizzata a compensare, sotto il profilo ri- sarcitorio, la Del Duca-Ascoli e la Talmone-Torino35. Si 32 X. XXXXXXXX, X. XXXXXXX, X. XXXXXX, Per sport e per business: è tutto parte del gioco, Milano, 1997, p. 172 33 Recitava l'articolo 16 comma M del regolamento organico della FIGC, ora soppresso: “Durante qualsiasi gara non è permesso ai giocatori portare sulle maglie distintivi di natura politica, confessionale o scritte pubblicitarie. Eventuale deroga, limitatamente alle scritte pubblicitarie, è ammesso per le società del settore giovanile e dei dilettanti, sempre se debitamente autorizzate dal proprio comitato regionale.” in M. XXXXXXX, Dizionario del calcio italiano, Milano, 2000, p. 1734 34 Ivi, p. 1731 35 Come osserva X. XXXXXXXXX, op. cit., p. 189, tale abbinamento, però, durò solo fino al 1969, anno in cui si optò per un ritorno alla purezza e all’autonomia del calcio da interferenze esterne. trattava di sponsorizzazioni “emotive” da parte di imprenditori-mecenati che, con spirito di liberalità, si preoccupavano di finanziare la propria squadra per consentirle di ottenere risultati sempre migliori. Soltanto agli albori della stagione 1978/79 la Federazione, guidata dall’allora presidente Xxxxxxx Xxxxxxx, per la prima volta consentì ufficialmente ai fornitori tecnici di apporre il proprio logo su maglia, pantaloncini e calzettoni per uno spazio non superiore a 12 cm² (poi portati a 16 cm²)36. Proprio nel campionato di Serie B 1978/79, grazie all’allora presidente della società calcistica A. C. Udinese, Xxxxxxx Xxxxxx, proprietario di un’azienda produttrice di gelati, l’8 ottobre 1978 avvenne la comparsa del primo sponsor commerciale nel calcio italiano. Sfruttando le pieghe del Regolamento delle divise da gioco – che norma esclusivamente le maglie – fece inserire il marchio “Gelati Xxxxxx” sui pantaloncini della xxxxxxx00. Bastò attendere un solo anno, e il 26 agosto 1979 cadde l'ultimo tabù, con l'esordio in Coppa Italia della prima maglia di calcio italiana griffata da uno sponsor, quella del Perugia38. Artefice di ciò fu il presidente dei grifoni, Xxxxxx X'Xxxxxx, il quale per reperire i 700 milioni di lire necessari al prestito in Umbria dell'attaccante Xxxxx Xxxxx, si accordò col gruppo alimentare Buitoni-Perugina da cui ne ottenne 400; in cambio, il nome del loro pastificio Xxxxx sarebbe comparso sulle divise della squadra, nonché, in maniera pionieristica, perfino sulle reti e sull'erba dello stadio Xxxxxx Xxxx. Dato che l'unica forma di sponsorizzazione permessa era quella relativa all'abbigliamento tecnico, D'Attoma aggirò le regole federali fondando un maglificio col nome del pastificio, la “Ponte Sportswear”39, che di diritto figurava come semplice fornitore tecnico, ma che di fatto fu il primo vero sponsor di maglia del calcio italiano. Questo servì per dare uno scossone a tutto il mondo del calcio, nel quale iniziarono a voler intervenire numerose altre aziende. Soltanto con l'inizio della stagione 1981/82, però, la Federazione consentì l'apposizione sulle divise da gioco anche perdita di un marchio extrasettore (oltre a quelli tecnici già arrivati tre anni prima), permettendone 36 M. SAPPINO, op. cit., p. 1732 37 “L'Udinese apre alla pubblicità”, in Stampa Sera, 9 ottobre 1978, p. 11 38 “Dieci perugini (Xxxxx escluso) con la pubblicità sulle maglie”, in Stampa Sera, 27 agosto 1979, p. 13 39 “Spaghetti o linea sportiva?”, in La Stampa, 28 agosto 1979, p. 14 un'esposizione massima posto di 100 cm² sulla parte anteriore delle maglie (aumentata a 144 cm² due anni dopo)40. Proprio in questi anni, con l'aumento degli spazi pubblicitari, favorito dall'avvento delle televisioni commerciali e dal crescente interesse del pubblico per lo sport, si assistette ad una significativa evoluzione delle sponsorizzazioni in termini sia qualitativi sia quantitativi41. Gli operatori della pubblicità iniziarono a valorizzare le potenzialità della sponsorizzazione come autonomo strumento di comunicazione aziendale42 introducendola nei circuiti di intermediazione gestiti dalle agenzie pubblicitarie. Da atto unilaterale di natura liberale, la sponsorizzazione assunse le vesti di contratto commerciale a prestazioni corrispettive43. La via della sponsorizzazione sportiva era, quindi, ufficialmente aperta e, a partire da quell'anno, si ebbe una vera e propria corsa da parte delle aziende per potersi assicurare un legame con le squadre più blasonate, tant'è vero che iniziarono ad entrare nella scena sportiva anche i grandi gruppi industriali. In effetti, rispetto lavoro conseguente ad un impatto internazionale, l'esperienza probabilmente più significativa risulta essere quella della Parmalat, dove il fenomeno sponsorizzativo assunse i caratteri della razionalità, abbandonando l’approccio passionale contratto sine die e non certamente per indennizzare un posto di tipo mecenatistico44. La Parmalat, coniugando investimenti sportivi e crescita aziendale, trasformò il latte da bevanda per timidi ragazzini ad alimento per campioni 40 X. XXXXXXXXX, op. citlavoro destinato comunque a durare pochi mesi 9., p. 189 41 Cfr. X. XXXXXX, Sport, pubblicità e sponsor nella società moderna, in Enciclopedia dello Sport, xxxxx://xxx.xxxxxxxx.xx, 2003. L’autore riporta un dato emblematico relativo agli investimenti delle aziende per le sponsorizzazioni di società calcistiche in Italia: dai 6 miliardi e mezzo di lire investiti nel corso del 1981, si passò agli oltre 18 miliardi del 1988.

Appears in 1 contract

Samples: www.iris.unina.it

Xxxxxxxxx. Il marketing sportivoLa formazione del contratto, Milano, 19971966, p. 189 31 Ibidem fosse necessariamente quello di un produttore di biciclette386; A. Di Majo, bensì di un’azienda extrasettoreop. ult. cit., la Nivea. Per conformarsi al regolamento della Federazione che vietava la presenza esclusiva sulle divise di un marchio extrasettorialep. 289 ss.; X. Xxxxxxxxx, Magni coinvolse una fabbrica milanese di biciclette poco più che artigianale, la Xxxxx: nacque così il sodalizio Nivea-Xxxxx, con cui il Leone delle Fiandre vinse il Giro d’Italia 195532. Più travagliato invece il percorso delle sponsorizzazioni nello sport più popolare La forma dei contratti relativi ad operazioni e seguito d’Italia, il calcio. La pratica delle sponsorizzazioni – riguardante sia fornitori tecnici che sponsor commerciali – venne a lungo osteggiata e proibita dalla Federazione Italiana Giuoco Calcio, che per molti decenni vietò alle società di "sporcare" le divise da gioco con dei marchi estranei al mondo del calcio33: il connubio sport-sponsor era infatti generalmente malvistoservizi bancari finan- ziari, in quanto si riteneva che la purezza dell'agonismo dovesse essere in qualche modo salvaguardata da qualsiasi venalità commercialeRiv. Per ovviare al divieto della Federazionedir. comm., tra i club italiani iniziò a farsi strada la formula dell'abbinamento1994, consistente nell'affiancare il nome di un'azienda alla denominazione societaria di un club sportivo, unendo le rispettive ragioni sociali34. Come ancora oggi stabilisce il Regolamento delle divise da gioco, la FIGC e la Lega Serie A hanno il veto sul disegno delle maglie ma non sullo stemma societario di un club: una squadra può quindi scegliere liberamente il proprio nome e il proprio stemma, senza il rischio di violare le regole e incorrere in sanzioni. Approfittando di questo vuoto normativo è nel secondo dopoguerra che la pratica dell'abbinamento prese piede nel mondo del calcio italiano. Tra i vari esempi affacciatisi nella storia della Serie A, il più noto, fortunato e longevo rimane quello del Lanerossi-Vicenza, risultato dell'acquisizione della squadra berica da parte del Lanificio Rossi. Altre società seguirono a ruota i berici, portando all'immediata nascita di operazioni analoghe come la Simmenthal-Monza, la Del Duca-Ascoli e la Talmone-Torino35. Si 32 X. XXXXXXXX, X. XXXXXXX, X. XXXXXX, Per sport e per business: è tutto parte del gioco, Milano, 1997I, p. 172 33 Recitava l'articolo 16 comma M del regolamento organico della FIGC, ora soppresso: “Durante qualsiasi gara non è permesso ai giocatori portare sulle maglie distintivi di natura politica, confessionale o scritte pubblicitarie. Eventuale deroga, limitatamente alle scritte pubblicitarie, è ammesso per le società del settore giovanile e dei dilettanti, sempre se debitamente autorizzate dal proprio comitato regionale.” in 423; C. M. XXXXXXX, Dizionario del calcio italiano, Milano, 2000, p. 1734 34 Ivi, p. 1731 35 Come osserva X. XXXXXXXXXXxxxxx, op. cit., p. 189, tale abbinamento, però, durò solo fino al 1969, anno in cui si optò per un ritorno alla purezza e all’autonomia del calcio da interferenze esterne287 ss. trattava di sponsorizzazioni “emotive” da parte di imprenditori-mecenati che, con spirito di liberalità, si preoccupavano di finanziare la propria squadra per consentirle di ottenere risultati sempre migliori. Soltanto agli albori della stagione 1978/79 la Federazione, guidata dall’allora presidente Xxxxxxx 37 X. Xxxxxxx, per nota a Trib. Parma, 4 maggio 2011, Il contratto con forma scritta: la prima volta consentì ufficialmente ai fornitori tecnici mancanza di apporre il proprio logo su magliasottoscrizione di una parte e la confessione dell’altra. Sentenze di merito contro una inedita sentenza della Cassazione, pantaloncini e calzettoni per uno spazio in Giur. it., 2012, p. 315 ss. 38 Così, tra le molte, Trib. Torino, 5 febbraio 2010, in Resp. civ. prev., 2010, p. 2334 ss. profilo un pregiudizio»39: «se di nullità si discute, l’interesse non superiore a 12 cm² (poi portati a 16 cm²)36è solo quello della parte, che potrebbe in tesi utilizzare opportunisticamente la previsione che imponga una forma, ma è anche quello della collettività, ed allora non dovrebbe sussistere alcuna possibilità di convalida»40. Proprio nel campionato L’inerzia del cliente che accetti la situazione senza sollevare contestazioni dovrebbe restare irrilevante41. Appaiono poco sostenibili le tesi proposte dalla maggior parte dei giudici di Serie B 1978/79merito che sembrano, grazie all’allora presidente della società calcistica A. C. Udineseinvece, Xxxxxxx Xxxxxx, proprietario di un’azienda produttrice di gelati, l’8 ottobre 1978 avvenne la comparsa del primo sponsor commerciale nel calcio italiano. Sfruttando esprimere un “disagio”42 nell’accogliere le pieghe del Regolamento delle divise da gioco – che norma esclusivamente le maglie – fece inserire il marchio azioni Gelati Xxxxxxformalistichesui pantaloncini della dei xxxxxxx00. Bastò attendere un solo anno, «L’azione è di nullità e il 26 agosto 1979 cadde l'ultimo tabù, con l'esordio in Coppa Italia della prima maglia di calcio italiana griffata da uno sponsor, quella del Perugia38. Artefice di ciò fu il presidente dei grifoni, Xxxxxx X'Xxxxxx, il quale per reperire i 700 milioni di lire necessari al prestito in Umbria dell'attaccante Xxxxx Xxxxx, si accordò col gruppo alimentare Buitoni-Perugina da cui ne ottenne 400; in cambio, il nome del loro pastificio Xxxxx sarebbe comparso sulle divise della squadra, nonché, in maniera pionieristica, perfino sulle reti e sull'erba dello stadio Xxxxxx Xxxx. Dato che l'unica forma di sponsorizzazione permessa era quella relativa all'abbigliamento tecnico, D'Attoma aggirò le regole federali fondando un maglificio col nome del pastificio, la “Ponte Sportswear”39, che di diritto figurava come semplice fornitore tecnico, ma che di fatto fu il primo vero sponsor di maglia del calcio italiano. Questo servì per dare uno scossone a tutto il mondo del calcio, nel quale iniziarono a voler intervenire numerose altre aziende. Soltanto con l'inizio della stagione 1981/82, però, la Federazione consentì l'apposizione sulle divise da gioco anche di un marchio extrasettore (oltre a quelli tecnici già arrivati tre anni prima), permettendone 36 M. SAPPINOnon può essere 39 X. Xxxxxxx, op. cit., p. 1732 37 “L'Udinese apre alla pubblicità”317, in Stampa Sera, 9 ottobre 1978, p. 11 38 “Dieci perugini (Xxxxx escluso) con la pubblicità sulle maglie”, in Stampa Sera, 27 agosto 1979, p. 13 39 “Spaghetti o linea sportiva?”, in La Stampa, 28 agosto 1979, p. 14 un'esposizione massima di 100 cm² sulla parte anteriore delle maglie (aumentata che a 144 cm² due anni dopo)40. Proprio in questi anni, con l'aumento degli spazi pubblicitari, favorito dall'avvento delle televisioni commerciali e dal crescente interesse del pubblico per lo sport, si assistette ad una significativa evoluzione delle sponsorizzazioni in termini sia qualitativi sia quantitativi41. Gli operatori della pubblicità iniziarono a valorizzare le potenzialità della sponsorizzazione come autonomo strumento di comunicazione aziendale42 introducendola nei circuiti di intermediazione gestiti dalle agenzie pubblicitarie. Da atto unilaterale di natura liberale, la sponsorizzazione assunse le vesti di contratto commerciale a prestazioni corrispettive43. La via della sponsorizzazione sportiva era, quindi, ufficialmente aperta e, a partire da quell'anno, si ebbe una vera e propria corsa da parte delle aziende per potersi assicurare un legame con le squadre più blasonate, tant'è vero che iniziarono ad entrare nella scena sportiva anche i grandi gruppi industriali. In effetti, rispetto ad un impatto internazionale, l'esperienza probabilmente più significativa risulta essere quella della Parmalat, dove il fenomeno sponsorizzativo assunse i caratteri della razionalità, abbandonando l’approccio passionale di tipo mecenatistico44. La Parmalat, coniugando investimenti sportivi e crescita aziendale, trasformò il latte da bevanda per timidi ragazzini ad alimento per campioni 40 X. XXXXXXXXXsua volta cita C.M. Xxxxxx, op. cit., p. 189 41 Cfr278, il quale Autore sottolinea proprio come «occorre comunque tener presente che la considerazione degli inte- ressi perseguiti generalmente dalla norma impositrice di un onere formale non può dispensare l’applicazione nelle singole fattispecie. X. XXXXXXIl contratto privo della forma necessaria deve pertanto considerarsi nullo anche se le parti avessero espresso un consenso consapevole e certo». In senso parzialmente diverso, SportP. Xxxxxxxxxx, pubblicità Forma dei negozi e sponsor nella società modernaformalismo degli interpreti, in Enciclopedia dello SportMilano, xxxxx://xxx.xxxxxxxx.xx1987, 2003. L’autore riporta un dato emblematico relativo agli investimenti p. 120, evidenzia come «la violazione di norme inderogabili non comporta ne- cessariamente la nullità dell’atto e l’irrilevanza dei suoi effetti; la nullità non rappresenta una costante dell’inderogabilità, né l’inderogabilità è una costante delle aziende per le sponsorizzazioni norme sulle forme legali dell’attività negoziale, e comunque non si desume dal tenore imperativo della proposizione legislativa ma si configura quale risultato di società calcistiche in Italia: dai 6 miliardi e mezzo di lire investiti nel corso del 1981, si passò agli oltre 18 miliardi del 1988una complessa operazione ermeneutica».

Appears in 1 contract

Samples: www.edizionicafoscari.unive.it