Common use of DIRITTO Clause in Contracts

DIRITTO. 1. La questione sottoposta all’Arbitro concerne il diritto della ricorrente alla riduzione delle garanzie concesse in presenza di una loro sproporzione ed il valore del credito garantito. Infatti, la ricorrente, che ha stipulato con la Banca resistente un mutuo fondiario a garanzia del quale è stata costituita un’ipoteca, rilasciate delle fideiussioni e concesso un pegno su titoli, assume l’esistenza di una “sproporzione genetica” tra il valore delle garanzie concesse e l’importo finanziato e quindi chiede che il Collegio dichiari la nullità per difetto della causa del contratto di pegno e delle fideiussioni, in quanto la funzione di garanzia sarebbe assolta, nel caso di specie, dall’ipoteca di primo grado costituita tenuto conto dell’importo per il quale è stata iscritta. La Banca resistente eccepisce che non vi è una sproporzione tra finanziamento concesso e garanzie, considerato che queste sono state richieste alla luce di una valutazione del merito creditizio del cliente, che al momento della concessione del mutuo risultava essere una società in fase di start up. Dall’esame delle previsioni negoziali relative alle garanzie, come risulta dal contratto agli atti, si trae che la somma mutuata, risulta pari ad euro 195.000 (art. 1) e l'ipoteca è stata concessa per il complessivo importo di euro 390.000 (art. 11, comma 2). Nello stesso contratto risulta altresì che le parti hanno dichiarato di attribuire all'immobile ipotecato il valore di euro 250.000, giusta quanto risulta dalla documentazione tecnica agli atti della Banca resistente (art. 13, comma 1). La fideiussione viene concessa da due soci, uno dei quali legale rappresentante della ricorrente, per l'importo di euro 390.000 (art. 19). La costituzione del pegno su titoli acquisiti dalla ricorrente (incontestata tra le parti) non è invece oggetto di contratto e, comunque, nessuna ulteriore documentazione contrattuale è allegata al riguardo. Il valore del pegno effettivamente acquisito, secondo quanto affermato dal ricorrente, sarebbe pari a euro 46.000,00 mentre, secondo quanto affermato dalla Banca resistente, pari a euro 44.000,00. Ciò posto, una prima considerazione riguarda la circostanza che il valore dell'immobile ipotecato è stato definito, consensualmente, in misura pari ad un importo inferiore rispetto ah quello per il quale era iscritta la garanzia ipotecaria. Ne consegue che, nell'intento delle parti, il valore del cespite non eguagliava quello della garanzia che era stata definita in modo parimenti consensuale. Ora, il Collegio ha presente l'orientamento manifestato da altro collegio territoriale in ordine alla sproporzione tra garanzie e importo garantito, laddove ha ritenuto che la sproporzione originaria delle garanzie sarebbe scrutinabile secondo i canoni della correttezza e della buona, da cui si fa conseguire possibilità per il Collegio di disporre lo svincolo anche parziale delle somme o dei titoli (cfr. Coll. Roma, decc. nn. 7532/2015, 7717/2014 e 2359/2011). Tuttavia, ritiene di non potervi aderire e di seguire l’orientamento dei Collegi territoriali secondo cui, là dove non sia normativamente previsto un vero e proprio diritto di modifica delle garanzie offerte (come avviene ai sensi dell’art. 2872 c.c. per la riduzione dell’ipoteca), la domanda tesa ad ottenere una revisione delle condizioni negoziali originarie non può trovare accoglimento, risolvendosi tale revisione in una nuova definizione consensuale del contenuto del regolamento negoziale, la quale non può essere oggetto del sindacato o di coercizione da parte dell’Arbitro, ma rimane soggetta alla piena discrezionalità valutativa della banca (cfr. Coll. Roma, n. 3189/2013; Coll. Milano, dec. n. 225/2021). Deve poi rilevarsi che anche in materia di riduzione ipotecaria – che potrebbe essere ritenuto indice della sussistenza di un più ampio principio di proporzionalità tra garanzia e debito garantito – l’art. 2873, 1° comma, c.c. prescrive che non è ammessa l’azione di riduzione “se la quantità dei beni o la somma è stata determinata per convenzione o per sentenza”, con ciò evidenziando che quand’anche sussistente il principio di proporzionalità non si applica in caso di sproporzione genetica neppure all’ipoteca, impedendo l’inferenza analogica. Il diritto positivo, inoltre, non offre regole analoghe a quelle previste per la riduzione dell'ipoteca con riguardo alla garanzia pignoratizia e alla fideiussione. Xx è affermato dalla Suprema Corte il principio secondo cui «la disciplina vigente in tema di garanzie del credito non esclude l'ammissibilità del concorso di una garanzia personale con una garanzia reale rispetto al medesimo credito; pertanto, l'eventuale costituzione di pegno, in linea astratta, non fa venire meno la garanzia fideiussoria eventualmente già assunta a favore dello stesso creditore e per il medesimo credito (Sez. 3, Sentenza n. 15406 del 2004 e, negli stessi termini, con riferimento alla garanzia ipotecaria, la Sent. n. 4033 del 1999)» (Cass. n. 2540/2016). Quindi la coesistenza di diverse garanzie riferite al medesimo credito non costituisce una situazione che può mettere capo ad illiceità e non risulta sufficiente a supportare conclusioni circa il difetto di causa concreta del contratto costitutivo di una o più delle garanzie coesistenti. Al fine di dichiarare la nullità delle garanzie eccedenti la ritenuta sproporzione non possono poi invocarsi ragioni concernenti la correttezza e la buona fede, anche in sede precontrattuale, per la ragione che, ove mai sussistenti, non potrebbero supportare l'adozione di rimedi invalidanti ma solo rimedi risarcitori, ciò che nel caso comunque esula dalla domanda formulata dalla ricorrente. Pertanto, non risulta producente allo stesso fine impostare la questione in termini di eventuale sussistenza dell'abuso del diritto da parte della Banca resistente in quanto tipicamente riferibile a regole di comportamento dei contraenti e non già a regole di contenuto del contratto, laddove la violazione di una regola di comportamento non può influire sulla valutazione del contenuto del contratto al fine di determinarne l’invalidità. Non è casuale la circostanza che l'abuso sia stato riconosciuto come sussistente in un caso di iscrizione di ipoteca giudiziale per valori eccedenti rispetto alla cautela, così da configurare una responsabilità aggravata ex art. 96, 2° comma, c.p.c. (cfr. Cass. n. 6533/2016): si tratta evidentemente ben diverso da quello di ipoteca volontaria e comunque non ha determinato statuizioni del giudice in ordine alla validità della garanzia. D'altro canto, nel sistema del diritto privato ciascun contraente, purché ne sia garantita la libertà e la consapevolezza, definisce il contenuto del contratto nei limiti del consenso dell'altra parte senza essere vincolato a un certo contenuto, se non nei casi considerati dalla legge, e ciò non può che valere anche per la costituzione di garanzie. Né, si ritiene, possono essere utilmente invocate altre disposizioni, ancora in funzione della individuazione di un principio generale, le quali si occupano della sproporzione del contenuto del contratto, quali la rescissione per lesione ex art. 1448 c.c. o il dolo incidente ex art. 1440 c.c. Infatti, il primo caso richiede, oltre alla sproporzione ultra dimidium della prestazione dedotta in contratto, la sussistenza anche dello stato di bisogno e dell'approfittamento da parte dell'altro contraente, mentre il secondo caso non riverbera i suoi effetti sulla validità del contratto ma fa sorgere una pretesa risarcitoria in capo alla parte che avrebbe concluso il contratto ma a condizioni diverse da quelle pattuite. Insomma, per definire forme di controllo sul contenuto del contratto non sarebbe comunque sufficiente un principio, quand’anche sussistente, essendo necessario un criterio che nel caso di specie non risulta identificabile. Sotto questo profilo viene in rilievo la circostanza che le parti abbiano attribuito un valore al cespite ipotecato inferiore alla somma per la quale e stata iscritta l'ipoteca. Ne consegue che, alla stregua delle determinazioni delle stesse parti, risulta che il cespite ipotecato non è ritenuto capiente rispetto all'importo da garantire, dove pure tale importo è stato definito dalle parti senza costrizioni. Pertanto, dallo stesso regolamento contrattuale emerge che la sola ipoteca non era ritenuta sufficiente a coprire le esigenze di garanzia. Non risulta, quindi, disponibile un criterio per stabilire quale sia la misura dell'eccedenza ed il termine di riferimento, fermo restando che non mette conto di entrare nel merito della possibilità, invero niente affatto scontata, di adottare eventuali interventi volti a riequilibrare l'assetto delle garanzie definite dalle parti senza aprire spazi a poteri discrezionali del giudicante non giustificabili nel contesto del sistema del diritto positivo, posto che comunque la ricorrente si è limitata a chiedere la nullità degli atti con cui sono stati rilasciati il pegno e le fideiussioni. Sotto altro profilo, va ancora rilevato che la disciplina UE dei requisiti prudenziali degli enti creditizi [reg. (UE) n. 575/2013] definisce specifiche caratteristiche per le garanzie che assistono i crediti, che renderebbero assai difficile l’applicazione – ove mai sussistente – di un criterio di proporzionalità tra credito e garanzia che sia rigido, predeterminato ed estraneo alla valutazione del merito di credito del debitore. Ne consegue che, nel caso specifico, non sussistono rimedi positivi, esperibili da questo Arbitro, per procedere ad una declaratoria di nullità del pegno e delle fideiussioni, che, a quanto consta, risultano liberamente contrattate tra le parti. Il Collegio, in conclusione, dichiara il ricorso non meritevole di accoglimento.

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DIRITTO. 1. La questione sottoposta all’Arbitro concerne un contratto di leasing di autoveicoli, in relazione al quale il diritto ricorrente ritiene di poter eccepire nei confronti del concedente i vizi del bene fornito. Per il corretto inquadramento della vicenda, occorre in primo luogo osservare che il ricorrente alla riduzione delle garanzie concesse asserisce di aver sottoscritto il leasing in presenza qualità di una loro sproporzione ed consumatore, tuttavia risulta che egli abbia sottoscritto il valore contratto con l’indicazione della propria partita IVA e pertanto deve ritenersi che abbia piuttosto agito in qualità di professionista. Da ciò consegue l’inapplicabilità nel caso in esame della disciplina del credito garantitoal consumo contenuta nel Testo unico bancario, con le conseguenza che saranno di seguito puntualizzate. Per comodità espositiva, conviene esaminare per prima la domanda relativa all’accertamento di un vizio genetico del contratto del leasing determinato dalla mancata indicazione del TAEG e dell’ISC. La domanda non risulta fondata. Infatti, la l’obbligo di indicare il TAEG è stabilito dall’art. 125- bis TUB e non applicabile nel caso di specie in quanto il ricorrente, come premesso, non può considerarsi un consumatore. E comunque la mancata indicazione non determinerebbe la nullità dell’intero contratto, bensì l’applicazione del TAEG contingentato a norma del 7° comma della medesima norma. Ciò chiarito, le disposizioni di “Trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari. Correttezza delle relazioni tra intermediari e clienti” della Banca d’Italia del 29 luglio 2009, nella versione precedente le recenti modifiche del 15 luglio 2015, alla sez. II par. 8, stabiliscono: «Il foglio informativo e il documento di sintesi riportano un "Indicatore Sintetico di Costo" (ISC) quando riguardano le seguenti categorie di operazioni indicate nell'allegato alla delibera del CICR del 4 marzo 2003: 1) conti correnti destinati ai consumatori; 2) mutui; 3) anticipazioni bancarie; 4) altri finanziamenti; 5) aperture di credito in conto corrente offerte a clienti al dettaglio», aggiungendo che ha stipulato con la Banca resistente un mutuo fondiario a garanzia del quale è stata costituita un’ipoteca«Per i mutui, rilasciate delle fideiussioni e concesso un pegno su titolile In sostanza, assume l’esistenza di una “sproporzione genetica” tra il valore delle garanzie concesse e l’importo finanziato e quindi chiede tale disposizione chiarisce che il TAEG viene indicato anche in alcuni contratti conclusi con il “non consumatore”, sia pur diversamente denominato sotto l’acronimo ISC (Indicatore Sintetico di Costo): le norme di trasparenza estendono il metodo di calcolo del TAEG, previsto per i rapporti di credito consumeristico, anche a taluni rapporti di credito instaurati con soggetti non consumatori (Così Collegio dichiari di Milano, decisione n. 4974/2015). Alla luce di tale considerazione, al fine di valutare la nullità fondatezza della pretesa del ricorrente, è necessario verificare se il leasing finanziario rientri nella definizione di “altri finanziamenti” per difetto i quali l’intermediario è tenuto ad indicare l’ISC ai sensi del citato par. 8 nell’ambito del foglio informativo e del documento di sintesi. Soccorre, al riguardo, il par. 1, sez. II, delle Disposizioni di Trasparenza che nel definire l’ambito applicativo della causa disciplina in materia di pubblicità e informazione precontrattuale stabilisce che esse trovano applicazione, tra gli altri servizi, ai finanziamenti (mutui; aperture di credito; anticipazioni bancarie; crediti di firma; sconti di portafoglio; leasing finanziario; factoring; altri finanziamenti) che non configurano operazioni di credito ai consumatori ai sensi della sezione VII. Viene, quindi, terminologicamente distinto il leasing finanziario dagli altri finanziamenti, distinzione che non ne consente la confusione allorquando il predetto par. 8 indica gli “altri finanziamenti”, oltre al mutuo e all’anticipazione, tra le tipologie contrattuali che richiedono l’uso dell’ISC. La considerazione che precede vale ad escludere che per il leasing finanziario sia necessaria l’indicazione dell’indicatore in questione nella documentazione consegnata al cliente. Peraltro, il par. 3, sez. II, precisa espressamente che i fogli informativi contengono l’ISC solo se richiesto, quale elemento informativo ulteriore da inserire per volontà del cliente (cfr. Collegio di Roma – decisione n. 1946/16). Nella redazione del contratto di pegno leasing finanziario sottoscritto dalla società ricorrente, pertanto, l’intermediario non ha violato la normativa in materia di trasparenza. Passando alle domande che il ricorrente rivolge nei confronti dell’intermediario sulla base dei vizi del bene fornito (sospensione delle rate di canone, risoluzione o riduzione del prezzo di vendita, risarcimento del danno), diversamente da quanto sostiene l’intermediario resistente, il relativo esame non esula dalla giurisdizione dell’ABF per il solo fatto di vertere principalmente su presunti vizi e delle fideiussionidifetti del veicolo oggetto di leasing. Ed invero è orientamento consolidato dell’Arbitro che l’inadempimento del fornitore possa costituire oggetto di un accertamento incidentale rimesso alla competenza dell’ABF in sede di accertamento, in via principale, del diritto del ricorrente ad ottenere la risoluzione del connesso contratto di leasing o di finanziamento (fra molti Collegio di Napoli – decisione n. 2575/16; Collegio di Roma – decisione n. 468/16). Ciò posto ed entrando nel merito, una volta esclusa la qualifica di consumatore del ricorrente non può trovare applicazione l’art. 125-quinquies, 3° comma, Tub a mente del quale: « in caso di locazione finanziaria (leasing) il consumatore, dopo aver inutilmente effettuato la costituzione in mora del fornitore dei beni o dei servizi, può chiedere al finanziatore di agire per la risoluzione del contratto. La richiesta al fornitore determina la sospensione del pagamento dei canoni». Per contro, le condizioni generali del contratto di leasing, specificamente approvate dal ricorrente ai sensi dell’art. 1341 c.c., prevedevano all’art. 2: «l’Utilizzatore stesso manleva il Concedente da ogni e qualsiasi responsabilità in ordine alla mancata o ritardata consegna, qualità, rendimento, funzionamento, idoneità, presenza di vizi del veicolo ed inadempimento del Fornitore […] L’Utilizzatore potrà peraltro esercitare nei confronti del Fornitore, a proprio rischio e spese, tutte le azioni spettanti al Concedente-acquirente, esclusa solo l’azione di risoluzione». Inoltre all’art. 3:«Il pagamento dei canoni … non potrà essere sospeso o ritardato per ragione alcuna; ogni eventuale diritto o pretesa dell’Utilizzatore dovrà essere fatto valere in separata sede ». Siffatte clausole di inversione del rischio di fornitura, tipiche del contratto di leasing, non sono in contrasto con la convenzione di Ottawa (art. 5) e sono in linea di principio reputate lecite dalla giurisprudenza. In particolare, in una recente pronuncia (Cass., Sez. Unite , 5- 10-2015, n. 19785), le Sezioni Unite della Cassazione hanno da un lato escluso che al leasing finanziario stipulato da un utilizzatore-professionista possa applicarsi analogicamente l’art. 125-quinquies, 3° comma, Tub, in quanto disciplina speciale consumeristica; dall’altro lato, la funzione di garanzia sarebbe assolta, richiamata pronuncia ha però offerto un ampio ed organico quadro dei rimedi a tutela dell’utilizzatore nel caso di specievizi del bene fornito. In questa prospettiva, dall’ipoteca la Cassazione ha constatato come il problema trovi spesso soluzione nelle clausole contrattuali che autorizzano l’utilizzatore ad agire direttamente verso il fornitore del bene viziato, manlevando il concedente: «E' proprio la presenza di primo grado costituita tenuto conto dell’importo per siffatte clausole normalmente in uso nei moduli contrattuali che consente di configurare il quale è stata iscritta. La Banca resistente eccepisce che non vi è una sproporzione tra finanziamento concesso e garanziecontratto di fornitura alla stregua di un contratto produttivo di alcuni effetti obbligatori a favore del terzo utilizzatore, considerato che queste sono state richieste alla luce senza necessità di una valutazione del merito creditizio del cliente, che ipotizzare la presenza di un mandato implicito al momento della concessione del mutuo risultava essere una società in fase contratto di start up. Dall’esame delle previsioni negoziali relative alle garanzie, come risulta dal contratto agli atti, si trae che la somma mutuata, risulta pari leasing volto ad euro 195.000 assicurare all'utilizzatore i diritti di azione riconosciuti dalla legge al mandante nel mandato senza rappresentanza (art. 1) e l'ipoteca è stata concessa per il complessivo importo di euro 390.000 (art. 111705 c.c., comma 2). Nello stesso contratto risulta altresì In questo senso, la pratica commerciale ha elaborato soluzioni idonee a conciliare le istanze di separazione funzionale e dei rischi, così da consentire la realizzazione dell'operazione economica attraverso il coordinamento che le parti hanno dichiarato l'unitarietà di attribuire all'immobile ipotecato il valore di euro 250.000, giusta quanto risulta dalla documentazione tecnica agli atti della Banca resistente (art. 13, comma 1). La fideiussione viene concessa da due soci, uno dei quali legale rappresentante della ricorrente, per l'importo di euro 390.000 (art. 19). La costituzione del pegno su titoli acquisiti dalla ricorrente (incontestata tale operazione e l'interdipendenza tra le partiprestazioni naturalmente generano». Nel contempo però la Cassazione ha anche preso in considerazione lo scenario in cui xxxxxxxx xxxxxxxx contrattuali volte a trasferire all’utilizzatore i diritti spettanti al concedente verso il fornitore. In questo caso, osserva la Corte, vi sono alcune azioni che l’utilizzatore può comunque esercitare direttamente nei confronti del fornitore in forza del collegamento negoziale esistente fra contratto di leasing e contratto di fornitura, ed altri rimedi che invece gli risultano preclusi. In particolare, l'utilizzatore è sempre legittimato a far valere la pretesa all'adempimento del contratto di fornitura, oltre che al risarcimento del danno conseguentemente sofferto. L’utilizzatore non può invece esercitare l'azione di risoluzione (o di riduzione del prezzo) non del contratto di vendita tra il fornitore ed il concedente (cui esso è invece oggetto di contratto e, comunque, nessuna ulteriore documentazione contrattuale è allegata al riguardo. Il valore del pegno effettivamente acquisito, secondo quanto affermato dal ricorrente, sarebbe pari a euro 46.000,00 mentre, secondo quanto affermato dalla Banca resistente, pari a euro 44.000,00. Ciò posto, una prima considerazione riguarda la circostanza che il valore dell'immobile ipotecato è stato definito, consensualmenteestraneo), in misura pari ad un importo inferiore rispetto ah quello per il mancanza di una specifica clausola contrattuale con la quale era iscritta gli venga dal concedente trasferita la garanzia ipotecaria. Ne consegue che, nell'intento delle parti, il valore del cespite non eguagliava quello della garanzia che era stata definita in modo parimenti consensuale. Ora, il Collegio ha presente l'orientamento manifestato da altro collegio territoriale in ordine alla sproporzione tra garanzie e importo garantito, laddove ha ritenuto che la sproporzione originaria delle garanzie sarebbe scrutinabile secondo i canoni della correttezza e della buona, da cui si fa conseguire possibilità per il Collegio di disporre lo svincolo anche parziale delle somme o dei titoli (cfr. Coll. Roma, decc. nn. 7532/2015, 7717/2014 e 2359/2011)propria posizione sostanziale. Tuttavia, ritiene di non potervi aderire e di seguire l’orientamento dei Collegi territoriali secondo cuiprosegue la Cassazione, là dove non all’utilizzatore sia normativamente previsto un vero e proprio diritto preclusa l’azione diretta nei confronti del fornitore, il concedente ha il dovere in forza del principio di modifica delle garanzie offerte (come avviene ai sensi dell’art. 2872 c.c. buona fede di sospendere il pagamento del prezzo in favore del fornitore e, ricorrendone i presupposti, di agire verso quest'ultimo per la risoluzione del contratto di fornitura o per la riduzione dell’ipoteca), la domanda tesa ad ottenere una revisione delle condizioni negoziali originarie non può trovare accoglimento, risolvendosi tale revisione in una nuova definizione consensuale del contenuto del regolamento negoziale, la quale non può essere oggetto del sindacato o prezzo. Riportando i principi di coercizione da parte dell’Arbitro, ma rimane soggetta alla piena discrezionalità valutativa della banca (cfr. Coll. Roma, n. 3189/2013; Coll. Milano, dec. n. 225/2021). Deve poi rilevarsi che anche in materia di riduzione ipotecaria – che potrebbe essere ritenuto indice della sussistenza di un più ampio principio di proporzionalità tra garanzia e debito garantito – l’art. 2873, 1° comma, c.c. prescrive che non è ammessa l’azione di riduzione “se la quantità dei beni o la somma è stata determinata per convenzione o per sentenza”, con ciò evidenziando che quand’anche sussistente il principio di proporzionalità non si applica in diritto delineati dalla Cassazione al caso di sproporzione genetica neppure all’ipotecaspecie, impedendo l’inferenza analogica. Il diritto positivoè agevole rilevare come le istanze del ricorrente nei confronti dell’intermediario (sospensione del pagamento dei canoni di leasing, inoltre, non offre regole analoghe a quelle previste per la riduzione dell'ipoteca con riguardo alla garanzia pignoratizia e alla fideiussione. Xx è affermato dalla Suprema Corte il principio secondo cui «la disciplina vigente disporre che l’intermediario proceda in tema di garanzie danno del credito non esclude l'ammissibilità del concorso di una garanzia personale con una garanzia reale rispetto al medesimo credito; pertanto, l'eventuale costituzione di pegno, fornitore) potrebbero tutt’al più essere fondate in linea astratta, non fa venire meno la garanzia fideiussoria eventualmente già assunta a favore dello stesso creditore e per il medesimo credito (Sez. 3, Sentenza n. 15406 del 2004 e, negli stessi termini, con riferimento alla garanzia ipotecaria, la Sent. n. 4033 del 1999)» (Cass. n. 2540/2016). Quindi la coesistenza di diverse garanzie riferite al medesimo credito non costituisce una situazione che può mettere capo ad illiceità e non risulta sufficiente a supportare conclusioni circa il difetto di causa concreta del contratto costitutivo di una o più delle garanzie coesistenti. Al fine di dichiarare la nullità delle garanzie eccedenti la ritenuta sproporzione non possono poi invocarsi ragioni concernenti la correttezza e la buona fede, anche in sede precontrattuale, per la ragione che, ove mai sussistenti, non potrebbero supportare l'adozione di rimedi invalidanti ma solo rimedi risarcitori, ciò che nel caso comunque esula dalla domanda formulata dalla ricorrente. Pertanto, non risulta producente allo stesso fine impostare la questione in termini di eventuale sussistenza dell'abuso del diritto da parte presenza dei presupposti della Banca resistente in quanto tipicamente riferibile a regole di comportamento dei contraenti e non già a regole di contenuto risoluzione del contratto, laddove poiché la violazione risoluzione del contratto è l’unico rimedio che, in base al citato art. 2 delle condizioni generali di una regola di comportamento leasing, l’utilizzatore non può influire sulla valutazione esercitare direttamente nei confronti del contenuto fornitore. Per quanto riguarda gli altri rimedi contrattuali richiesti (risarcimento del contratto al fine danno, riduzione del prezzo) il ricorrente può e deve rivolgere le proprie azioni direttamente nei confronti del fornitore, essendosi impegnato a manlevare il concedente per i vizi della cosa senza sospendere le rate di determinarne l’invaliditàcanone. Non Il Collegio ritiene tuttavia che, sul piano probatorio, il ricorrente non abbia assolto l’onere di dimostrare che i vizi del veicolo lo rendano inidoneo all’uso cui è casuale destinato e di gravità tale da giustificare la circostanza risoluzione del contratto. Ed invero, nel ricorso egli si limita ad denunciare il vizio relativo alla centralina dell’autovettura ed afferma in modo apodittico di essersi rivolto all’intermediario «ricorrendo i presupposti di risoluzione del contratto». Tuttavia, anche a fronte delle contestazioni del resistente, non allega che l'abuso sia stato riconosciuto come sussistente in un caso di iscrizione di ipoteca giudiziale le denunciate irregolarità abbiano impedito, limitato o reso meno sicura la circolazione del veicolo, né rappresenta i motivi per valori eccedenti rispetto alla cautelacui intende rifiutare l’intervento gratuito offerto dal produttore per la correzione del difetto. In sintesi, così da configurare una responsabilità aggravata ex art. 96pur essendo incontestato che il vizio esiste, 2° comma, c.p.c. (cfr. Cass. n. 6533/2016): si tratta evidentemente ben diverso da quello di ipoteca volontaria e comunque il ricorrente non ha determinato statuizioni del giudice in ordine alla validità della garanzia. D'altro canto, nel sistema del diritto privato ciascun contraente, purché ne sia garantita la libertà e la consapevolezza, definisce il contenuto del contratto nei limiti del consenso dell'altra parte senza essere vincolato a un certo contenuto, se non nei casi considerati dalla legge, e ciò non può che valere anche per la costituzione di garanzie. Né, si ritiene, possono essere utilmente invocate altre disposizioni, ancora in funzione della individuazione di un principio generale, le quali si occupano della sproporzione del contenuto del contratto, quali la rescissione per lesione ex art. 1448 c.c. o il dolo incidente ex art. 1440 c.c. Infatti, il primo caso richiede, oltre alla sproporzione ultra dimidium della prestazione dedotta in contratto, provato la sussistenza anche dello stato di bisogno e dell'approfittamento da parte dell'altro contraentedei presupposti della risoluzione per inadempimento, mentre il secondo caso non riverbera i suoi effetti sulla validità del contratto ma fa sorgere una pretesa risarcitoria in capo alla parte che avrebbe concluso il contratto ma a condizioni diverse da quelle pattuite. Insomma, per definire forme di controllo sul contenuto del contratto non sarebbe comunque sufficiente un principio, quand’anche sussistente, essendo necessario un criterio unica circostanza che nel caso di specie non risulta identificabile. Sotto questo profilo viene imporrebbe al concedente, in rilievo la circostanza che le parti abbiano attribuito un valore al cespite ipotecato inferiore alla somma per la quale e stata iscritta l'ipoteca. Ne consegue che, alla stregua delle determinazioni delle stesse parti, risulta che il cespite ipotecato non è ritenuto capiente rispetto all'importo da garantire, dove pure tale importo è stato definito dalle parti senza costrizioni. Pertanto, dallo stesso regolamento contrattuale emerge che la sola ipoteca non era ritenuta sufficiente a coprire le esigenze forza del principio di garanzia. Non risulta, quindi, disponibile un criterio per stabilire quale sia la misura dell'eccedenza ed il termine di riferimento, fermo restando che non mette conto di entrare nel merito della possibilità, invero niente affatto scontatabuona fede, di adottare eventuali interventi volti a riequilibrare l'assetto delle garanzie definite dalle parti senza aprire spazi a poteri discrezionali del giudicante non giustificabili nel contesto del sistema del diritto positivo, posto che comunque la ricorrente si è limitata a chiedere la nullità degli atti con cui sono stati rilasciati agire contro il pegno e le fideiussioni. Sotto altro profilo, va ancora rilevato che la disciplina UE dei requisiti prudenziali degli enti creditizi [reg. (UE) n. 575/2013] definisce specifiche caratteristiche per le garanzie che assistono i crediti, che renderebbero assai difficile l’applicazione – ove mai sussistente – di un criterio di proporzionalità tra credito e garanzia che sia rigido, predeterminato ed estraneo alla valutazione del merito di credito del debitore. Ne consegue che, nel caso specifico, non sussistono rimedi positivi, esperibili da questo Arbitro, per procedere ad una declaratoria di nullità del pegno e delle fideiussioni, che, a quanto consta, risultano liberamente contrattate tra le parti. Il Collegio, fornitore in conclusione, dichiara il ricorso non meritevole di accoglimentovece dell’utilizzatore.

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DIRITTO. 1Il ricorso è infondato e deve essere rigettato. La questione sottoposta all’Arbitro concerne il diritto della ricorrente Le parti hanno stipulato, in data 9.6.2006, un contratto di apertura di credito in conto corrente garantito da ipoteca, a tempo determinato, con scadenza stabilita alla riduzione delle garanzie concesse in presenza di una loro sproporzione ed il valore data del credito garantito2.9.2011. Infatti, la ricorrente, che ha stipulato con la Banca resistente un mutuo fondiario a garanzia del quale è stata costituita un’ipoteca, rilasciate delle fideiussioni e concesso un pegno su titoli, assume l’esistenza di una “sproporzione genetica” tra il valore delle garanzie concesse e l’importo finanziato e quindi chiede che il Collegio dichiari la nullità per difetto della causa L’art. 2 del contratto disciplinava espressamente la possibilità di pegno proroga previo consenso di entrambe le parti, purchè il correntista la richiedesse con raccomandata a.r. almeno 90 giorni prima della scadenza e delle fideiussioni, in quanto la funzione di garanzia sarebbe assolta, nel caso di specie, dall’ipoteca di primo grado costituita tenuto conto dell’importo per il quale è stata iscrittaproroga fosse formalizzata con atto pubblico. La Banca resistente eccepisce E’ incontroverso che non vi è una sproporzione tra finanziamento concesso e garanzie, considerato che queste sono state richieste alla luce di una valutazione del merito creditizio del cliente, che al momento della concessione del mutuo risultava essere una società in fase di start up. Dall’esame delle previsioni negoziali relative alle garanzie, come risulta le formalità imposte dal contratto agli atti, si trae che la somma mutuata, risulta pari ad euro 195.000 (art. 1) e l'ipoteca è stata concessa per il complessivo importo di euro 390.000 (art. 11, comma 2). Nello stesso contratto risulta altresì che le parti hanno dichiarato di attribuire all'immobile ipotecato il valore di euro 250.000, giusta quanto risulta dalla documentazione tecnica agli atti della Banca resistente (art. 13, comma 1). La fideiussione viene concessa da due soci, uno dei quali legale rappresentante della ricorrente, per l'importo di euro 390.000 (art. 19). La costituzione del pegno su titoli acquisiti dalla ricorrente (incontestata tra le parti) non è invece oggetto di contratto e, comunque, nessuna ulteriore documentazione contrattuale è allegata al riguardo. Il valore del pegno effettivamente acquisito, secondo quanto affermato dal ricorrente, sarebbe pari a euro 46.000,00 mentre, secondo quanto affermato dalla Banca resistente, pari a euro 44.000,00. Ciò posto, una prima considerazione riguarda la circostanza che il valore dell'immobile ipotecato è stato definito, consensualmente, in misura pari ad un importo inferiore rispetto ah quello per il quale era iscritta la garanzia ipotecaria. Ne consegue che, nell'intento delle parti, il valore del cespite non eguagliava quello della garanzia che era stata definita in modo parimenti consensuale. Ora, il Collegio ha presente l'orientamento manifestato da altro collegio territoriale in ordine alla sproporzione tra garanzie e importo garantito, laddove ha ritenuto che la sproporzione originaria delle garanzie sarebbe scrutinabile secondo i canoni della correttezza e della buona, da cui si fa conseguire possibilità per il Collegio di disporre lo svincolo anche parziale delle somme o dei titoli (cfr. Coll. Roma, decc. nn. 7532/2015, 7717/2014 e 2359/2011). Tuttavia, ritiene di non potervi aderire e di seguire l’orientamento dei Collegi territoriali secondo cui, là dove non sia normativamente previsto un vero e proprio diritto di modifica delle garanzie offerte (come avviene ai sensi dell’art. 2872 c.c. per la riduzione dell’ipoteca), la domanda tesa ad ottenere una revisione delle condizioni negoziali originarie proroga non può trovare accoglimento, risolvendosi tale revisione in una nuova definizione consensuale del contenuto del regolamento negoziale, la quale non può essere oggetto del sindacato o di coercizione da parte dell’Arbitro, ma rimane soggetta alla piena discrezionalità valutativa della banca (cfr. Coll. Roma, n. 3189/2013; Coll. Milano, dec. n. 225/2021). Deve poi rilevarsi che anche in materia di riduzione ipotecaria – che potrebbe essere ritenuto indice della sussistenza di un più ampio principio di proporzionalità tra garanzia e debito garantito – l’art. 2873, 1° comma, c.c. prescrive che non è ammessa l’azione di riduzione “se la quantità dei beni o la somma è stata determinata per convenzione o per sentenza”, con ciò evidenziando che quand’anche sussistente il principio di proporzionalità non si applica in caso di sproporzione genetica neppure all’ipoteca, impedendo l’inferenza analogica. Il diritto positivo, inoltre, non offre regole analoghe a quelle previste per la riduzione dell'ipoteca con riguardo alla garanzia pignoratizia e alla fideiussione. Xx è affermato dalla Suprema Corte il principio secondo cui «la disciplina vigente in tema di garanzie del credito non esclude l'ammissibilità del concorso di una garanzia personale con una garanzia reale rispetto al medesimo credito; pertanto, l'eventuale costituzione di pegno, in linea astratta, non fa venire meno la garanzia fideiussoria eventualmente già assunta a favore dello stesso creditore e per il medesimo credito (Sez. 3, Sentenza n. 15406 del 2004 e, negli stessi termini, con riferimento alla garanzia ipotecaria, la Sent. n. 4033 del 1999)» (Cass. n. 2540/2016). Quindi la coesistenza di diverse garanzie riferite al medesimo credito non costituisce una situazione che può mettere capo ad illiceità e non risulta sufficiente a supportare conclusioni circa il difetto di causa concreta del contratto costitutivo di una o più delle garanzie coesistenti. Al fine di dichiarare la nullità delle garanzie eccedenti la ritenuta sproporzione non possono poi invocarsi ragioni concernenti la correttezza e la buona fede, anche in sede precontrattuale, per la ragione che, ove mai sussistenti, non potrebbero supportare l'adozione di rimedi invalidanti ma solo rimedi risarcitori, ciò che nel caso comunque esula dalla domanda formulata dalla ricorrente. Pertanto, non risulta producente allo stesso fine impostare la questione in termini di eventuale sussistenza dell'abuso del diritto da parte della Banca resistente in quanto tipicamente riferibile a regole di comportamento dei contraenti e non già a regole di contenuto del contratto, laddove la violazione di una regola di comportamento non può influire sulla valutazione del contenuto del contratto al fine di determinarne l’invalidità. Non è casuale la circostanza che l'abuso sia stato riconosciuto come sussistente in un caso di iscrizione di ipoteca giudiziale per valori eccedenti rispetto alla cautela, così da configurare una responsabilità aggravata ex art. 96, 2° comma, c.p.c. (cfr. Cass. n. 6533/2016): si tratta evidentemente ben diverso da quello di ipoteca volontaria e comunque non ha determinato statuizioni del giudice in ordine alla validità della garanzia. D'altro canto, nel sistema del diritto privato ciascun contraente, purché ne sia garantita la libertà e la consapevolezza, definisce il contenuto del contratto nei limiti del consenso dell'altra parte senza essere vincolato a un certo contenuto, se non nei casi considerati dalla legge, e ciò non può che valere anche per la costituzione di garanzie. Né, si ritiene, possono essere utilmente invocate altre disposizioni, ancora in funzione della individuazione di un principio generale, le quali si occupano della sproporzione del contenuto del contratto, quali la rescissione per lesione ex art. 1448 c.c. o il dolo incidente ex art. 1440 c.csiano state rispettate. Infatti, il primo caso richiedericorrente si è limitato a dichiarare che nel mese di luglio 2011 aveva concordato per le vie brevi con il responsabile della filiale la proroga di 24 mesi della scadenza della linea di credito, oltre alla sproporzione ultra dimidium mantenendo le condizioni economiche originariamente pattuite; egli non ha prodotto copia di alcuna richiesta scritta, né, tanto meno, della prestazione dedotta in contrattoraccomandata. Dal canto suo, la sussistenza convenuta ha dichiarato che la richiesta di xxxxxxx è stata presentata in modo informale anche dello dal garante (comunque non legittimato a presentare l’istanza) in data 15.9.2011, e dunque dopo la scadenza originaria. E’ altrettanto incontroverso, per esplicita ammissione della resistente, che il cliente sia stato reso edotto delle nuove condizioni del prestito solo in data 25.10.2011, giorno precedente alla stipula dell’atto di bisogno proroga, e dell'approfittamento da parte dell'altro contraenteche non gli sia stato consegnato alcun ulteriore documento di informazione precontrattuale. A quest’ultimo riguardo, mentre il secondo caso la resistente ha eccepito che l’atto di proroga non riverbera i suoi effetti sulla validità del contratto ma fa sorgere una pretesa risarcitoria in capo alla parte costituisse concessione di un nuovo finanziamento e che avrebbe concluso quindi l’informativa precontrattuale non fosse dovuta. L’art. 5 dell’atto di proroga espressamente dispone che detto atto non costituisca novazione alcuna dei rapporti principali con il contratto ma a condizioni diverse da quelle pattuite. Insomma, per definire forme di controllo sul contenuto del contratto non sarebbe comunque sufficiente un principio, quand’anche sussistente, essendo necessario un criterio che nel caso di specie non risulta identificabile. Sotto questo profilo viene in rilievo la circostanza originario e che le parti abbiano attribuito un valore al cespite ipotecato inferiore alla somma condizioni economiche, obbligazioni tutte e le ipoteche derivanti dal contratto medesimo rimangano ferme per la quale e stata iscritta l'ipotecaogni effetto. Ne consegue che, alla stregua delle determinazioni delle stesse parti, Nell’atto di proroga risulta peraltro non solo che il cespite ipotecato non è ritenuto capiente rispetto all'importo da garantirericorrente abbia effettivamente prestato il proprio consenso alle nuove condizioni, dove pure tale importo è ma addirittura che sia stato definito dalle parti senza costrizioni. Pertantolui stesso a proporle, dallo stesso regolamento contrattuale emerge che la sola ipoteca non era ritenuta sufficiente anche se a coprire le esigenze di garanziaproprio sfavore. Non risultarisulta in atti alcun documento relativo a tale richiesta. Sulla variazione delle condizioni relative al tasso di interesse, quindiconsistente nell’incremento dello spread applicato al parametro di riferimento da 1,00 (uno virgola zero zero) punti a 4,00 (quattro virgola zero zero) punti, disponibile l’atto di proroga, all’art. 2, enuncia che detto incremento condurrebbe ad un criterio per stabilire tasso pari a 2,50 (due virgola cinquanta) in più dell’Euribor 360: il tasso così “convenuto” appare dunque non riconciliabile con quello derivante dal sopraenunciato incremento, ed invero la formulazione della clausola relativa al nuovo tasso di interessi non appare del tutto perspicua. Date queste premesse in fatto, occorre individuare quale sia la misura dell'eccedenza disciplina applicabile al caso di specie. L’apertura di credito a tempo determinato (artt. 1842 ss., c.c.) si scioglie, alla scadenza del termine senza bisogno di alcun preavviso ed il termine cliente è tenuto alla restituzione delle somme utilizzate, anche senza una espressa richiesta della banca (art. 1183 e 1219 del c.c.). Stante tale disciplina, l’intermediario non aveva alcun obbligo di riferimentorinnovare il credito già erogato ai propri clienti, fermo restando che e, ove avesse deciso di farlo, aveva la piena facoltà di richiedere nuove condizioni ovvero ulteriori garanzie al cliente, comunque nel rispetto della buona fede contrattuale e precontrattuale ex art 1337 c.c. (v. in tal senso le decisioni ABF, Collegio di Milano, 10.11.2010, n. 1295 e 2.8.2010, n. 869). Trattandosi di un mero rinnovo di un preesistente contratto di apertura di credito a tempo determinato, non mette risulta violato alcun obbligo di informazione precontrattuale. Peraltro, l’aggravio delle condizioni preteso dalla banca a carico del cliente non appare di entità tale da travalicare i limiti della normale buona fede contrattuale e precontrattuale, tenuto conto anche del comportamento complessivo tenuto dallo stesso ricorrente, il quale, da un lato non ha espletato gli adempimenti contrattuali richiesti per ottenere la proroga, e d’altro lato, pur dichiarando di entrare nel merito essere stato da tempo informato della possibilitàdata dell’atto di proroga del finanziamento, invero niente affatto scontatanon risulta dal canto suo aver assunto alcuna iniziativa per contestarne il contenuto. La stessa successiva pretesa di ottenere le informazioni precontrattuali in relazione all’atto di rinnovo e, con la giustificazione della mancanza di queste, di adottare eventuali interventi ottenere il ripristino delle condizioni originarie, appare poco coerente con il complessivo comportamento tenuto dal cliente nella vicenda. Quanto, invece, al comportamento della banca, esso, pur non potendo essere ritenuto contrario ai principi di correttezza e buona fede, data l’assenza di specifici obblighi al rilascio di ulteriori informazioni precontrattuali in occasione della stipula di un mero atto di rinnovo anche se a condizioni parzialmente modificate, rivela tuttavia una evidente difficoltà comunicativa dell’intermediario con la propria clientela. Il Collegio invita pertanto la banca resistente a riesaminare le proprie prassi operative per migliorare il rapporto con i clienti, in particolare illustrando adeguatamente le modalità e le motivazioni attraverso le quali sono assunte le proprie scelte negoziali e fornendo ogni tempestivo dato e notizia volti a riequilibrare l'assetto delle garanzie definite dalle parti senza aprire spazi a poteri discrezionali del giudicante non giustificabili consentire ai clienti di prestare il proprio consenso nel contesto del sistema del diritto positivo, posto che comunque la ricorrente si è limitata a chiedere la nullità degli atti con cui sono stati rilasciati modo il pegno più possibile informato e le fideiussioni. Sotto altro profilo, va ancora rilevato che la disciplina UE dei requisiti prudenziali degli enti creditizi [reg. (UE) n. 575/2013] definisce specifiche caratteristiche per le garanzie che assistono i crediti, che renderebbero assai difficile l’applicazione – ove mai sussistente – di un criterio di proporzionalità tra credito e garanzia che sia rigido, predeterminato ed estraneo alla valutazione del merito di credito del debitore. Ne consegue che, nel caso specifico, non sussistono rimedi positivi, esperibili da questo Arbitro, per procedere ad una declaratoria di nullità del pegno e delle fideiussioni, che, a quanto consta, risultano liberamente contrattate tra le parti. Il Collegio, in conclusione, dichiara il ricorso non meritevole di accoglimentoconsapevole.

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DIRITTO. 1. La questione sottoposta all’Arbitro concerne Osserva innanzitutto il diritto della ricorrente alla riduzione delle garanzie concesse in presenza Collegio come sia pacifica la sussistenza di una loro sproporzione ed il valore del credito garantito. Infatti, la ricorrente, che ha stipulato con la Banca resistente un contratto di mutuo fondiario a garanzia del quale è stata costituita un’ipotecatra la parte ricorrente e la banca convenuta, rilasciate delle fideiussioni e concesso un pegno su titoli, assume l’esistenza di una “sproporzione genetica” tra il valore delle garanzie concesse e l’importo finanziato e quindi chiede che il Collegio dichiari la nullità per difetto della causa del contratto di pegno e delle fideiussioni, in quanto la funzione di garanzia sarebbe assolta, nel caso di specie, dall’ipoteca di primo grado costituita tenuto conto dell’importo per il quale è stata iscrittarichiesta la sospensione dei pagamenti con supporto del Fondo di solidarietà. La Banca resistente eccepisce che non vi è una sproporzione tra finanziamento concesso e garanzie, considerato che queste sono state richieste alla luce di una valutazione del merito creditizio del cliente, che al momento della concessione del mutuo risultava essere una società in fase di start up. Dall’esame delle previsioni negoziali relative alle garanzie, come risulta dal contratto agli attiPeraltro, si trae che la somma mutuata, risulta pari ad euro 195.000 (art. 1) e l'ipoteca è stata concessa per il complessivo importo di euro 390.000 (art. 11, comma 2). Nello stesso contratto risulta altresì che deve immediatamente rilevare come le parti non hanno dichiarato prodotto integralmente le condizioni contrattuali, ma soltanto il documento di attribuire all'immobile ipotecato il valore di euro 250.000, giusta quanto risulta dalla documentazione tecnica agli atti della Banca resistente (art. 13, comma 1). La fideiussione viene concessa da due soci, uno dei quali legale rappresentante della ricorrente, per l'importo di euro 390.000 (art. 19). La costituzione del pegno su titoli acquisiti dalla ricorrente (incontestata tra le parti) non è invece oggetto di contratto e, comunque, nessuna ulteriore documentazione contrattuale è allegata al riguardo. Il valore del pegno effettivamente acquisito, secondo quanto affermato dal ricorrente, sarebbe pari a euro 46.000,00 mentre, secondo quanto affermato dalla Banca resistente, pari a euro 44.000,00. Ciò posto, una prima considerazione riguarda la circostanza che il valore dell'immobile ipotecato è stato definito, consensualmente, in misura pari ad un importo inferiore rispetto ah quello per il quale era iscritta la garanzia ipotecaria. Ne consegue che, nell'intento delle parti, il valore del cespite non eguagliava quello della garanzia che era stata definita in modo parimenti consensuale. Ora, il Collegio ha presente l'orientamento manifestato da altro collegio territoriale in ordine alla sproporzione tra garanzie e importo garantito, laddove ha ritenuto che la sproporzione originaria delle garanzie sarebbe scrutinabile secondo i canoni della correttezza e della buona, da cui si fa conseguire possibilità per il Collegio di disporre lo svincolo anche parziale delle somme o dei titoli sintesi allegato all’atto notarile (cfr. Collall. Roma6 del ricorso) e la documentazione successiva, decca cui si farà dunque riferimento. nn. 7532/2015Dal documento di sintesi si ha conferma che il mutuo è stato concesso per € 113.000,00, 7717/2014 e 2359/2011). Tuttaviada rimborsare al tasso variabile secondo il parametro Euribor a 6 mesi, ritiene aumentato di non potervi aderire e uno spread di seguire l’orientamento dei Collegi territoriali secondo cui1,50 punti, là dove non sia normativamente previsto un vero e proprio diritto in rate semestrali posticipate di modifica delle garanzie offerte (come avviene ai sensi dell’art. 2872 c.c. per la riduzione dell’ipoteca), la domanda tesa importo costante pari ad ottenere una revisione delle condizioni negoziali originarie non può trovare accoglimento, risolvendosi tale revisione in una nuova definizione consensuale del contenuto del regolamento negoziale, la quale non può essere oggetto del sindacato o di coercizione da parte dell’Arbitro, ma rimane soggetta alla piena discrezionalità valutativa della banca (cfr. Coll. Roma, n. 3189/2013; Coll. Milano, dec. n. 225/2021). Deve poi rilevarsi che anche in materia di riduzione ipotecaria – che potrebbe essere ritenuto indice della sussistenza di un più ampio principio di proporzionalità tra garanzia e debito garantito – l’art. 2873, 1° comma, c.c. prescrive che non è ammessa l’azione di riduzione “se la quantità dei beni o la somma è stata determinata per convenzione o per sentenza”€ 3.483,57, con ciò evidenziando che quand’anche sussistente il principio conseguente possibilità di proporzionalità non si applica in caso di sproporzione genetica neppure all’ipoteca, impedendo l’inferenza analogica. Il diritto positivo, inoltre, non offre regole analoghe a quelle previste per la riduzione dell'ipoteca con riguardo alla garanzia pignoratizia e alla fideiussione. Xx è affermato dalla Suprema Corte il principio secondo cui «la disciplina vigente in tema di garanzie variazione della durata del credito non esclude l'ammissibilità del concorso di una garanzia personale con una garanzia reale rispetto al medesimo credito; pertanto, l'eventuale costituzione di pegno, in linea astratta, non fa venire meno la garanzia fideiussoria eventualmente già assunta a favore dello stesso creditore e per il medesimo credito mutuo (Sez. 3, Sentenza n. 15406 del 2004 e, negli stessi termini, con riferimento alla garanzia ipotecaria, la Sent. n. 4033 del 1999)» (Cass. n. 2540/2016). Quindi la coesistenza di diverse garanzie riferite al medesimo credito non costituisce una situazione che può mettere capo ad illiceità e non risulta sufficiente a supportare conclusioni circa il difetto di causa concreta del contratto costitutivo di una o più delle garanzie coesistenti. Al fine di dichiarare la nullità delle garanzie eccedenti la ritenuta sproporzione non possono poi invocarsi ragioni concernenti la correttezza e la buona fede, anche in sede precontrattuale, per la ragione che, ove mai sussistenti, non potrebbero supportare l'adozione di rimedi invalidanti ma solo rimedi risarcitori, ciò che nel caso comunque esula dalla domanda formulata dalla ricorrente. Pertanto, non risulta producente allo stesso fine impostare la questione in termini di eventuale sussistenza dell'abuso del diritto da parte della Banca resistente in quanto tipicamente riferibile a regole di comportamento dei contraenti e non già a regole di contenuto del contratto, laddove la violazione di una regola di comportamento non può influire sulla valutazione del contenuto del contratto al fine di determinarne l’invalidità. Non è casuale la circostanza che l'abuso sia stato riconosciuto come sussistente in un caso di iscrizione di ipoteca giudiziale per valori eccedenti rispetto alla cautela, così da configurare una responsabilità aggravata ex art. 96, 2° comma, c.p.c. (cfr. Cass. n. 6533/2016): si tratta evidentemente ben diverso da quello di ipoteca volontaria e comunque non ha determinato statuizioni del giudice in ordine alla validità della garanzia. D'altro canto, nel sistema del diritto privato ciascun contraente, purché ne sia garantita la libertà e la consapevolezza, definisce il contenuto del contratto nei limiti del consenso dell'altra parte senza essere vincolato a un certo contenuto, se non nei casi considerati dalla legge, e ciò non può che valere anche per la costituzione di garanzie. Né, si ritiene, possono essere utilmente invocate altre disposizioni, ancora in funzione della individuazione variabilità del tasso). È pacifico che in data 20.09.2011 la ricorrente abbia domandato la sospensione per 18 mesi del pagamento delle rate del mutuo mediante adesione al Fondo di un principio generalesolidarietà, così come pacifico è che la ricorrente sia stata ammessa alla sospensione. Nella comunicazione data dall’intermediario relativa alla ammissione al Fondo di solidarietà risulta che la sospensione ha riguardato “anche le quali si occupano rate scadute e non pagate” e precisamente tre rate del prestito, ossia quella del 30.06.2011, già scaduta, che sarebbe stata “sospesa” e le due successive, con scadenza il 31.12.2011 ed il 30.06.2012, che sarebbero state “slittate”. Lo stesso intermediario ha riferito e confermato di aver però addebitato alla parte cliente l’importo di € 1.482,39, quale differenza tra gli interessi riconosciuti dalla Consap, per l’adesione al Fondo e quanto effettivamente dovuto dalla mutuataria. Si tratta dunque di comprendere se tale addebito sia legittimo. In merito, va osservato che l’art. 2, co. 478, della sproporzione del contenuto del contrattol. n. 244/2007 stabilisce che, quali la rescissione per lesione ex art. 1448 c.c. o il dolo incidente ex art. 1440 c.c. Infattial termine della sospensione, il primo caso richiedepagamento delle rate riprende secondo le stesse modalità e secondo i tempi precedenti alla sospensione, oltre alla sproporzione ultra dimidium della prestazione dedotta in contratto, la sussistenza anche dello stato di bisogno e dell'approfittamento da parte dell'altro contraente, mentre il secondo caso non riverbera i suoi effetti sulla validità del contratto ma fa sorgere una pretesa risarcitoria in capo alla parte che avrebbe concluso il contratto ma a condizioni diverse da quelle pattuite. Insomma, per definire forme di controllo sul contenuto del contratto non sarebbe comunque sufficiente un principio, quand’anche sussistente, essendo necessario un criterio che nel caso di specie non risulta identificabile. Sotto questo profilo viene in rilievo la circostanza salvo che le parti abbiano attribuito stabilito diversamente, ovvero che abbiano rinegoziato le condizioni contrattuali con un valore nuovo patto. Inoltre, la circolare ABI prot. CR/LG/002959 del 27 ottobre 2010, prevede che l’intermediario mutuante potrà addebitare al cespite ipotecato inferiore mutuatario solo la quota di interessi maturata durante il periodo di sospensione corrispondente alla somma differenza tra quanto di competenza dell’intermediario stesso, stabilito contrattualmente, e quanto effettivamente rimborsato dal Fondo di Solidarietà e che le modalità di rimborso devono essere concordate dalle parti. Infine, si ricorda che su tale questione si è recentemente espresso il Collegio di Coordinamento di questo Arbitro (decisione n. 4123/2015) che ha ribadito che il fine solidaristico della normativa relativa al Fondo di Solidarietà è quello di sostenere soggetti che si trovano in grave difficoltà, essendo la sospensione del pagamento delle rate condizionata al verificarsi di accadimenti gravi, quali la perdita del posto di lavoro o la morte di uno dei componenti del nucleo familiare. Collegio di Milano, decisione n. 9068 del 09.12.2015 Di conseguenza, si deve ritenere che le disposizioni in materia vadano interpretate nel senso che “il rimborso da parte del Fondo della quota d’interesse corrispondente al parametro di riferimento dell’interesse contrattuale esaurisca il pagamento di quanto dovuto alla banca a titolo di interessi delle rate sospese, senza che a tale titolo residui alcun debito del mutuatario beneficiario” e sempre che non constino specifici patti aggiunti, la cui validità andrà comunque di volta in volta verificata. Se ne deduce che la legge non abbia voluto addossare all’intermediario il costo totale della sospensione, bensì disposto la corresponsione in suo favore del solo costo sostenuto, durante la sospensione, per procurarsi sul mercato interbancario la quale e stata iscritta l'ipotecaprovvista di denaro goduta dal beneficiario. Ne consegue Il Collegio di Xxxxxxxxxxxxx ha, quindi, rilevato che, nonostante non vi sia alcuna disposizione che escluda un ulteriore contributo, in materia di interessi, da parte del beneficiario, tuttavia, la finalità solidaristica della sospensione e del Fondo di Solidarietà rendono possibile un’interpretazione tesa ad escludere l’addebito, a carico del beneficiario della sospensione, del costo totale degli interessi maturati durante la sospensione stessa, salvo il caso di un esplicito accordo in tal senso tra cliente ed intermediario. D’altra parte, la circolare ABI poco prima ricordata si limita ad esprimere un orientamento interpretativo in merito alle richiamate disposizioni legislative e regolamentari e fa appunto riferimento al possibile accordo tra le parti relativo alle modalità di rimborso della quota di interessi, attribuendo alle banche la facoltà di ottenere il rimborso dello spread dal cliente, purché le modalità di rimborso siano state con questi concordate. Orbene, stanti tali presupposti, occorre considerare le peculiarità del caso in esame: in base alla stregua delle determinazioni delle stesse documentazione prodotta non constano accordi in questo senso tra le parti, ovvero relativi al versamento di un importo, a titolo di interesse, da aggiungersi e tale da giustificare la somma addebitata. Dalla documentazione acclusa al ricorso risulta, inoltre, che con lettera del 29.09.2012, nelle more della sospensione del pagamento delle rate del mutuo, la banca rappresentava alla cliente l’esistenza di un debito scaduto di € 7.157,68 in relazione allo stesso finanziamento; con lettera dell’11.10.2013, la banca ha accettato la proposta di piano di rientro dell’esposizione debitoria derivante dal mutuo di cui in controversia e quantificata in € 11.884,05, “fermo restando il regolare pagamento delle rate a scadere a far data da giugno 2014”; da tale missiva non è, però, dato in alcun modo evincere a quali rate del mutuo i versamenti ivi previsti sarebbero stati imputati. Sulla questione relativa all’aumento dell’importo della rata del mutuo, si rileva che dal documento di sintesi del contratto risulta che il cespite ipotecato mutuo, pur essendo regolato a tasso variabile, prevedeva il rimborso mediante rate di importo costante con la possibilità di variazione della durata del mutuo. Alla luce di tutti tali elementi normativi e fattuali, relativi al caso in esame, risulta pertanto al Collegio che, innanzitutto, la computazione di una somma a debito aggiuntiva per il cliente, pari ad Euro 1.482,39, non è ritenuto capiente rispetto all'importo da garantiretrovi giustificazione nella disciplina di legge, dove pure né in patti aggiuntivi ad hoc in tal senso. Inoltre, essendo intervenuta sospensione per tre rate per un totale di diciotto mesi, il conteggio dovrà assumere tale importo è stato definito dalle parti senza costrizionidato come riferimento utile. Pertanto, dallo stesso regolamento contrattuale emerge che la sola ipoteca non era ritenuta sufficiente a coprire e riassuntivamente, l’intermediario dovrà procedere al ricalcolo dell’importo di quanto dovuto dal cliente tenendo conto della intervenuta sospensione delle tre rate di mutuo, nonché al conseguente ricalcolo dell’importo di tutte le esigenze di garanzia. Non risulta, quindi, disponibile un criterio per stabilire quale sia la misura dell'eccedenza ed il termine di riferimento, fermo restando che non mette conto di entrare nel merito della possibilità, invero niente affatto scontata, di adottare eventuali interventi volti a riequilibrare l'assetto delle garanzie definite dalle parti senza aprire spazi a poteri discrezionali del giudicante non giustificabili nel contesto del sistema del diritto positivo, posto che comunque la ricorrente si è limitata a chiedere la nullità degli atti con cui sono stati rilasciati il pegno rate applicando i criteri individuati dal Fondo e le fideiussioni. Sotto altro profilo, va ancora rilevato che la disciplina UE dei requisiti prudenziali degli enti creditizi [reg. (UE) n. 575/2013] definisce specifiche caratteristiche per le garanzie che assistono i crediti, che renderebbero assai difficile l’applicazione – ove mai sussistente – di un criterio di proporzionalità tra credito e garanzia che sia rigido, predeterminato ed estraneo alla valutazione del merito di credito del debitore. Ne consegue che, nel caso specifico, non sussistono rimedi positivi, esperibili da questo Arbitrotenendo conto, per il calcolo degli interessi di sospensione, solo di quanto versato dal Fondo medesimo, senza procedere ad una declaratoria con l’addebito alla parte cliente della non dovuta somma di nullità del pegno e delle fideiussioniEuro 1.482,39, che, a quanto consta, risultano liberamente contrattate tra ferme restando le parti. Il Collegio, in conclusione, dichiara il ricorso non meritevole altre condizioni previste dal contratto di accoglimentomutuo così come inizialmente stipulato.

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DIRITTO. 1La ricorrente chiede la rinegoziazione delle condizioni di rimborso di un mutuo ipotecario, con una «dilazione temporale» a 20 anni, e l’accettazione da parte della banca di un piano di rientro mediante rate mensili di € 700,00 cadauna, fino a esaurimento della somma dovuta. La questione sottoposta all’Arbitro concerne il diritto È pacifico tra le parti che circa tale richiesta della ricorrente si è svolta una trattativa, anche se le stesse hanno variamente descritto le modalità con cui tale trattativa si è effettivamente svolta. Tuttavia la ricorrente non sostiene che da tale fase prenegoziale è scaturito un affidamento nella positiva conclusione della trattativa stessa, ed, invero, dal nucleo comune alle due narrazioni nessun fatto affidante emerge. In realtà la ricorrente chiede direttamente l’accoglimento della sua proposta di sistemazione del rapporto in essere; in altri termini essa chiede che si addivenga alla riduzione stipula di un nuovo contratto di finanziamento. In punto di fatto si deve però evidenziare che è certo che dalla visura CERVED prodotta dalla resistente l’impresa individuale intestata alla ricorrente risulta cancellata dal registro delle garanzie concesse imprese dal 05/02/2013, data successiva al reclamo e precedente il ricorso. In tali circostanze il Collegio deve richiamare il proprio costante indirizzo, già espresso in presenza numerose occasioni, relativo all’inesistenza di una loro sproporzione ed il valore un diritto soggettivo del cliente all’erogazione del credito garantitoed al mantenimento delle condizioni contrattuali di un credito già accordato. InfattiIn particolare, i Collegi hanno evidenziato, da una parte, che un obbligo generale di far credito è certamente estraneo allo statuto delle imprese bancarie, la ricorrente, che ha stipulato con la Banca resistente un mutuo fondiario a garanzia del quale è stata costituita un’ipoteca, rilasciate delle fideiussioni e concesso un pegno su titoli, assume l’esistenza cui attività deve ispirarsi ai principi di una “sproporzione geneticasana e prudente gestionetra il valore delle garanzie concesse e l’importo finanziato deve essere esercitata avendo riguardo “alla stabilità complessiva, all’efficienza e quindi chiede che il Collegio dichiari la nullità per difetto della causa alla competitività del contratto di pegno e delle fideiussionisistema finanziario” (arg. ex art. 5 d.lgs. 1° settembre 1993, in quanto la funzione di garanzia sarebbe assoltan. 385) e, nel caso di specie, dall’ipoteca di primo grado costituita tenuto conto dell’importo per il quale è stata iscritta. La Banca resistente eccepisce che non vi è una sproporzione tra finanziamento concesso e garanzie, considerato che queste sono state richieste alla luce di una valutazione del merito creditizio del clientedall’altra parte, che al momento della concessione del mutuo risultava di fuori delle ipotesi normativamente previste (in relazione ai mutui a tasso variabile per l’acquisto, la costruzione e la ristrutturazione dell’abitazione principale), che confermano la deroga rispetto alla regola generale sopra ricordata, la modifica delle condizioni contrattuali non può essere una società in fase di start up. Dall’esame delle previsioni negoziali relative alle garanzie, come risulta dal contratto agli atti, si trae che la somma mutuata, risulta pari ad euro 195.000 (art. 1) e l'ipoteca è stata concessa per il complessivo importo di euro 390.000 (art. 11, comma 2). Nello stesso contratto risulta altresì che le parti hanno dichiarato di attribuire all'immobile ipotecato il valore di euro 250.000, giusta quanto risulta dalla documentazione tecnica agli atti della Banca resistente (art. 13, comma 1). La fideiussione viene concessa da due soci, uno dei quali legale rappresentante della ricorrente, per l'importo di euro 390.000 (art. 19). La costituzione del pegno su titoli acquisiti dalla ricorrente (incontestata tra le parti) non è invece oggetto di contratto e, comunque, imposta a nessuna ulteriore documentazione contrattuale è allegata al riguardo. Il valore del pegno effettivamente acquisito, secondo quanto affermato dal ricorrente, sarebbe pari a euro 46.000,00 mentre, secondo quanto affermato dalla Banca resistente, pari a euro 44.000,00. Ciò posto, una prima considerazione riguarda la circostanza che il valore dell'immobile ipotecato è stato definito, consensualmente, in misura pari ad un importo inferiore rispetto ah quello per il quale era iscritta la garanzia ipotecaria. Ne consegue che, nell'intento delle parti, il valore del cespite risultando possibile soltanto quando intermediario e debitore si accordano sulle variazioni da apportare. Al contrario i Collegi hanno riconosciuto che, ove non eguagliava quello della garanzia che era stata definita in modo parimenti consensuale. Orasussistano specifici patti attinenti la durata, il Collegio ha presente l'orientamento manifestato da altro collegio territoriale in ordine alla sproporzione tra garanzie e importo garantito, laddove ha ritenuto che la sproporzione originaria delle garanzie sarebbe scrutinabile secondo i canoni della correttezza e della buona, da cui si fa conseguire possibilità per il Collegio di disporre lo svincolo anche parziale delle somme o dei titoli (cfr. Coll. Roma, decc. nn. 7532/2015, 7717/2014 e 2359/2011). Tuttavia, ritiene di non potervi aderire e di seguire l’orientamento dei Collegi territoriali secondo cui, là dove non sia normativamente previsto un vero e proprio diritto di modifica delle garanzie offerte (come avviene ai sensi dell’art. 2872 c.c. per la riduzione dell’ipoteca), la domanda tesa ad ottenere una revisione delle condizioni negoziali originarie non può trovare accoglimento, risolvendosi tale revisione di erogazione del credito in corso è un potere dovere degli intermediari i quali sono chiamati ad una nuova definizione consensuale costante vigilanza circa il merito del contenuto del regolamento negoziale, la quale non credito dei soggetti da essi finanziati. Ne deriva che l’unico profilo di valutazione che può essere oggetto del sindacato o espresso in termini di coercizione da parte dell’Arbitro, ma rimane soggetta diritto relativamente alla piena discrezionalità valutativa della banca (cfr. Coll. Roma, n. 3189/2013; Coll. Milano, dec. n. 225/2021). Deve poi rilevarsi che anche in materia di riduzione ipotecaria – che potrebbe essere ritenuto indice della sussistenza condotta di un più ampio principio di proporzionalità tra garanzia e debito garantito – l’art. 2873, 1° comma, c.c. prescrive che non è ammessa l’azione di riduzione “se la quantità dei beni o la somma è stata determinata per convenzione o per sentenza”, con ciò evidenziando che quand’anche sussistente il principio di proporzionalità non si applica in caso di sproporzione genetica neppure all’ipoteca, impedendo l’inferenza analogica. Il diritto positivo, inoltre, non offre regole analoghe a quelle previste per la riduzione dell'ipoteca con riguardo alla garanzia pignoratizia e alla fideiussione. Xx è affermato dalla Suprema Corte il principio secondo cui «la disciplina vigente intermediario in tema di garanzie concessione, o revoca, o rinegoziazione del credito non esclude l'ammissibilità attiene al rispetto dei canoni generali di buona fede e correttezza che deve improntare la condotta della banca nelle relazioni con la propria (anche potenziale) clientela. Ciò posto giova anche ricordare che secondo il costante insegnamento della Corte di cassazione “Il principio di correttezza e buona fede - il quale, secondo la relazione ministeriale al codice civile, «richiama nella sfera del concorso creditore la considerazione dell’interesse del debitore e nella sfera del debitore il giusto riguardo all’interesse del creditore» - deve essere inteso in senso oggettivo in quanto enuncia un dovere di una garanzia personale con una garanzia reale rispetto al medesimo credito; pertantosolidarietà, l'eventuale costituzione fondato sull’art. 2 cost., che, operando come un criterio di pegnoreciprocità, esplica la sua rilevanza nell’imporre a ciascuna delle parti del rapporto obbligatorio, il dovere di agire in linea astrattamodo da preservare gli interessi dell’altra, non fa venire meno la garanzia fideiussoria eventualmente già assunta a favore dello stesso creditore e per il medesimo credito (Sez. 3, Sentenza n. 15406 del 2004 e, negli stessi termini, con riferimento alla garanzia ipotecaria, la Sent. n. 4033 del 1999)» prescindere dall’esistenza di specifici obblighi contrattuali o di quanto espressamente stabilito da singole norme di legge” (Cass. civ., sez. III, 10-11-2010, n. 2540/201622819). Quindi la coesistenza di diverse garanzie riferite al medesimo credito non costituisce una situazione che può mettere capo ad illiceità e non risulta sufficiente a supportare conclusioni circa il difetto di causa concreta del contratto costitutivo Naturalmente ai fini della valutazione di una condotta alla luce del criterio che impone di evitare il pregiudizio dell’interesse della controparte senza dover sopportare sforzi o più delle garanzie coesistenti. Al fine costi sproporzionati al risultato si deve tener conto di dichiarare la nullità delle garanzie eccedenti la ritenuta sproporzione non possono poi invocarsi ragioni concernenti la correttezza e la buona fede, anche in sede precontrattuale, per la ragione che, ove mai sussistenti, non potrebbero supportare l'adozione di rimedi invalidanti ma solo rimedi risarcitori, ciò che nel caso comunque esula dalla domanda formulata dalla ricorrente. Pertanto, non risulta producente allo stesso fine impostare la questione in termini di eventuale sussistenza dell'abuso del diritto da parte della Banca resistente in quanto tipicamente riferibile a regole di comportamento dei contraenti e non già a regole di contenuto del contratto, laddove la violazione di una regola di comportamento non può influire sulla valutazione del contenuto del contratto al fine di determinarne l’invalidità. Non è casuale la circostanza che l'abuso sia stato riconosciuto come sussistente in un caso di iscrizione di ipoteca giudiziale per valori eccedenti rispetto alla cautela, così da configurare una responsabilità aggravata ex art. 96, 2° comma, c.p.c. tutte le circostanze rilevanti (cfr. Cass. civ., sez. III, 29-09-2011, n. 6533/2016): si tratta evidentemente ben diverso da quello di ipoteca volontaria e comunque non ha determinato statuizioni del giudice in ordine alla validità della garanzia. D'altro canto, nel sistema del diritto privato ciascun contraente, purché ne sia garantita la libertà e la consapevolezza, definisce il contenuto del contratto nei limiti del consenso dell'altra parte senza essere vincolato a un certo contenuto, se non nei casi considerati dalla legge, e ciò non può che valere anche per la costituzione di garanzie. Né, si ritiene, possono essere utilmente invocate altre disposizioni, ancora in funzione della individuazione di un principio generale, le quali si occupano della sproporzione del contenuto del contratto, quali la rescissione per lesione ex art. 1448 c.c. o il dolo incidente ex art. 1440 c.c. Infatti, il primo caso richiede, oltre alla sproporzione ultra dimidium della prestazione dedotta in contratto, la sussistenza anche dello stato di bisogno e dell'approfittamento da parte dell'altro contraente, mentre il secondo caso non riverbera i suoi effetti sulla validità del contratto ma fa sorgere una pretesa risarcitoria in capo alla parte che avrebbe concluso il contratto ma a condizioni diverse da quelle pattuite. Insomma, per definire forme di controllo sul contenuto del contratto non sarebbe comunque sufficiente un principio, quand’anche sussistente, essendo necessario un criterio che nel caso di specie non risulta identificabile19879). Sotto questo profilo viene in rilievo la circostanza è da osservare che le parti abbiano attribuito un valore al cespite ipotecato inferiore alla somma per la quale e stata iscritta l'ipoteca. Ne consegue che, alla stregua delle determinazioni delle stesse parti, risulta che decisioni assunte dall’intermediario in questione non possono essere valutate in contrasto con il cespite ipotecato non è ritenuto capiente rispetto all'importo da garantire, dove pure tale importo è stato definito dalle parti senza costrizioni. Pertanto, dallo stesso regolamento contrattuale emerge che la sola ipoteca non era ritenuta sufficiente a coprire le esigenze dovere di garanzia. Non risulta, quindi, disponibile un criterio per stabilire quale sia la misura dell'eccedenza ed il termine di riferimento, fermo restando che non mette conto di entrare nel merito della possibilità, invero niente affatto scontata, di adottare eventuali interventi volti a riequilibrare l'assetto delle garanzie definite dalle parti senza aprire spazi a poteri discrezionali del giudicante non giustificabili nel contesto del sistema del diritto positivobuona fede, posto che comunque la ricorrente si è limitata a chiedere la nullità degli atti con cui sono stati rilasciati il pegno l’indubbio (e le fideiussioni. Sotto altro profilo, va ancora rilevato che la disciplina UE dei requisiti prudenziali degli enti creditizi [reg. (UEnon svelato) n. 575/2013] definisce specifiche caratteristiche per le garanzie che assistono i crediti, che renderebbero assai difficile l’applicazione – ove mai sussistente – di un criterio di proporzionalità tra credito e garanzia che sia rigido, predeterminato ed estraneo alla valutazione del merito di credito del debitore. Ne consegue che, nel caso specifico, non sussistono rimedi positivi, esperibili da questo Arbitro, per procedere ad una declaratoria di nullità del pegno e delle fideiussioni, che, a quanto consta, risultano liberamente contrattate tra le parti. Il Collegio, in conclusione, dichiara il ricorso non meritevole di accoglimentomutamento sostanziale della posizione economica della ricorrente.

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DIRITTO. 1. La questione sottoposta all’Arbitro concerne il diritto della Parte ricorrente alla riduzione delle garanzie concesse in presenza di una loro sproporzione ed il valore del credito garantito. Infatti, assume che la ricorrente, che ha stipulato con la Banca resistente un mutuo fondiario a garanzia del quale è stata costituita un’ipoteca, rilasciate delle fideiussioni e concesso un pegno su titoli, assume l’esistenza di una “sproporzione genetica” tra il valore delle garanzie concesse e l’importo finanziato e quindi chiede che il Collegio dichiari la nullità per difetto della causa risoluzione del contratto di pegno mutuo per inadempimento comporti gli stessi effetti dell’estinzione anticipata, per quanto concerne l’obbligo di restituzione della quota di premio relativa alla copertura non goduta. Sul punto, a prescindere dall’analisi della fondatezza dell’assunto, può rilevarsi quanto segue: - dal modulo di adesione alle polizze, le stesse vengono identificate con la dicitura “CPI mutuo banco”; - non sono state versate in atto le C.G.A. delle polizze sottoscritte, ragion per cui non è dato sapere quale sia l’estensione e delle fideiussionil’ambito della copertura assicurativa; - tale circostanza non permette di verificare se la copertura potesse spiegare effetti anche in maniera indipendente rispetto al normale ammortamento del mutuo; - l’immobile di proprietà del ricorrente offerto in garanzia cui, dalle dichiarazioni dell’intermediario, sembra potersi riferire la polizza danni, è attualmente oggetto di pignoramento ed è affidato al mutuatario; - come noto, il pignoramento, in quanto la funzione sé, non incide sulla proprietà del bene, ma produce l'effetto di garanzia sarebbe assoltarendere inopponibili al creditore procedente e agli altri creditori che intervengono nell'esecuzione gli atti di disposizione compiuti sui beni pignorati. Si osserva che l’intermediario ha dichiarato di avere ceduto il credito sottostante al mutuo del ricorrente ad una società SPV con avviso di cessione pubblicato sulla G.U. n. 65 del 7 giungo 2018, motivo per cui non constano evidenze contabili successive a tale data. Con riguardo, più specificatamente, alla possibilità di applicare al mutuo una disciplina sostanzialmente analoga a quella prevista dall’art. 125-sexies TUB, attinente ad una fattispecie diversa (credito ai consumatori, laddove nel caso in esame si verte in tema di speciemutuo ipotecario), dall’ipoteca i Xxxxxxx si sono espressi in senso favorevole allorquando si verta in tema di primo grado costituita tenuto conto dell’importo estinzione anticipata del finanziamento, con l’accortezza tuttavia di verificare l’effettivo venir meno della copertura offerta dalla polizza di volta in volta dedotta nel ricorso (ex multis Collegio di Napoli, decisione n. 2931/2019). Nella vicenda in esame, tuttavia, si verte nella diversa ipotesi di risoluzione del contratto per inadempimento e decadenza dal beneficio del termine. Non sussistono pertanto i presupposti per estendere la disciplina del 125-sexies TUB al mutuo ipotecario in oggetto, vertendosi in quest’ultimo caso nell’inadempimento del debitore e successiva risoluzione del contratto, ipotesi che nulla ha a che fare con la logica giuridico-economica che presiede l’ipotesi dell’estinzione anticipata del credito su richiesta volontaria del debitore. Diversi sono gli interessi tutelati, differenti le fattispecie, nulla in comune le logiche che presiedono le due modalità di scioglimento del rapporto di finanziamento, tanto più laddove si consideri per un verso il carattere di autotutela dei propri interessi creditori, quale è stata iscritta. La Banca resistente eccepisce elemento tipico della risoluzione per inadempimento su richiesta del finanziatore e per l’altro che non vi è una sproporzione tra finanziamento concesso e garanzie, considerato che queste sono state richieste versate in atto le C.G.A. delle polizze sottoscritte, ragion per cui non è dato sapere quale sia l’estensione e l’ambito della copertura assicurativa. Peraltro, nelle repliche, il ricorrente afferma che gli addebiti indicati dall’intermediario di giugno 2018 potrebbero riferirsi ad altra polizza: ciò sul rilievo che nel modulo di adesione si rinviene un numero di polizza/di adesione xxx272, differente dal n. xxx359 riportato nella contabile allegata dalla banca. Tale aspetto della vicenda, tuttavia, alla luce di una valutazione del merito creditizio del clientequanto sopra appena esposto, che al momento non ha rilievo in questa sede ai fini della concessione del mutuo risultava essere una società risoluzione della controversia in fase di start upesame. Dall’esame delle previsioni negoziali relative alle garanzie, come Non risulta dal contratto agli atti, si trae che infine fondata la somma mutuata, risulta pari ad euro 195.000 (art. 1) e l'ipoteca è stata concessa per il complessivo importo di euro 390.000 (art. 11, comma 2). Nello stesso contratto risulta altresì che le parti hanno dichiarato di attribuire all'immobile ipotecato il valore di euro 250.000, giusta quanto risulta dalla documentazione tecnica agli atti della Banca resistente (art. 13, comma 1). La fideiussione viene concessa da due soci, uno dei quali legale rappresentante della ricorrente, per l'importo di euro 390.000 (art. 19). La costituzione del pegno su titoli acquisiti dalla ricorrente (incontestata tra le parti) non è invece oggetto di contratto e, comunque, nessuna ulteriore documentazione contrattuale è allegata al riguardo. Il valore del pegno effettivamente acquisito, secondo quanto affermato dal ricorrente, sarebbe pari a euro 46.000,00 mentre, secondo quanto affermato dalla Banca resistente, pari a euro 44.000,00. Ciò posto, una prima considerazione riguarda la circostanza che il valore dell'immobile ipotecato è stato definito, consensualmente, in misura pari ad un importo inferiore rispetto ah quello per il quale era iscritta la garanzia ipotecaria. Ne consegue che, nell'intento delle parti, il valore del cespite non eguagliava quello della garanzia che era stata definita in modo parimenti consensuale. Ora, il Collegio ha presente l'orientamento manifestato da altro collegio territoriale in ordine alla sproporzione tra garanzie e importo garantito, laddove ha ritenuto che la sproporzione originaria delle garanzie sarebbe scrutinabile secondo i canoni della correttezza e della buona, da cui si fa conseguire possibilità per il Collegio di disporre lo svincolo anche parziale delle somme o dei titoli (cfr. Coll. Roma, decc. nn. 7532/2015, 7717/2014 e 2359/2011). Tuttavia, ritiene di non potervi aderire e di seguire l’orientamento dei Collegi territoriali secondo cui, là dove non sia normativamente previsto un vero e proprio diritto di modifica delle garanzie offerte (come avviene ai sensi dell’art. 2872 c.c. per la riduzione dell’ipoteca), la domanda tesa ad ottenere una revisione delle condizioni negoziali originarie non può trovare accoglimento, risolvendosi tale revisione in una nuova definizione consensuale del contenuto del regolamento negoziale, la quale non può essere oggetto del sindacato o di coercizione richiesta avanzata da parte dell’Arbitroricorrente di rifusione delle spese legali, ma rimane soggetta alla piena discrezionalità valutativa della banca (cfrmancandone i presupposti. Coll. Roma, n. 3189/2013; Coll. Milano, dec. n. 225/2021). Deve poi rilevarsi che anche in materia di riduzione ipotecaria – che potrebbe essere ritenuto indice della sussistenza di un più ampio principio di proporzionalità tra garanzia e debito garantito – l’art. 2873, 1° comma, c.c. prescrive che non è ammessa l’azione di riduzione “se la quantità dei beni o la somma è stata determinata per convenzione o per sentenza”, con ciò evidenziando che quand’anche sussistente il principio di proporzionalità non si applica in caso di sproporzione genetica neppure all’ipoteca, impedendo l’inferenza analogica. Il diritto positivo, inoltre, non offre regole analoghe a quelle previste per la riduzione dell'ipoteca con riguardo alla garanzia pignoratizia e alla fideiussione. Xx è affermato dalla Suprema Corte il principio secondo cui «la disciplina vigente in tema di garanzie del credito non esclude l'ammissibilità del concorso di una garanzia personale con una garanzia reale rispetto al medesimo credito; pertanto, l'eventuale costituzione di pegno, in linea astratta, non fa venire meno la garanzia fideiussoria eventualmente già assunta a favore dello stesso creditore e per il medesimo credito (Sez. 3, Sentenza n. 15406 del 2004 e, negli stessi termini, con riferimento alla garanzia ipotecaria, la Sent. n. 4033 del 1999)» (Cass. n. 2540/2016). Quindi la coesistenza di diverse garanzie riferite al medesimo credito non costituisce una situazione che può mettere capo ad illiceità e non risulta sufficiente a supportare conclusioni circa il difetto di causa concreta del contratto costitutivo di una o più delle garanzie coesistenti. Al fine di dichiarare la nullità delle garanzie eccedenti la ritenuta sproporzione non possono poi invocarsi ragioni concernenti la correttezza e la buona fede, anche in sede precontrattuale, per la ragione che, ove mai sussistenti, non potrebbero supportare l'adozione di rimedi invalidanti ma solo rimedi risarcitori, ciò che nel caso comunque esula dalla domanda formulata dalla ricorrente. Pertanto, non risulta producente allo stesso fine impostare la questione in termini di eventuale sussistenza dell'abuso del diritto da parte della Banca resistente in quanto tipicamente riferibile a regole di comportamento dei contraenti e non già a regole di contenuto del contratto, laddove la violazione di una regola di comportamento non può influire sulla valutazione del contenuto del contratto al fine di determinarne l’invalidità. Non è casuale la circostanza che l'abuso sia stato riconosciuto come sussistente in un caso di iscrizione di ipoteca giudiziale per valori eccedenti rispetto alla cautela, così da configurare una responsabilità aggravata ex art. 96, 2° comma, c.p.c. (cfr. Cass. n. 6533/2016): si tratta evidentemente ben diverso da quello di ipoteca volontaria e comunque non ha determinato statuizioni del giudice in ordine alla validità della garanzia. D'altro canto, nel sistema del diritto privato ciascun contraente, purché ne sia garantita la libertà e la consapevolezza, definisce il contenuto del contratto nei limiti del consenso dell'altra parte senza essere vincolato a un certo contenuto, se non nei casi considerati dalla legge, e ciò non può che valere anche per la costituzione di garanzie. Né, si ritiene, possono essere utilmente invocate altre disposizioni, ancora in funzione della individuazione di un principio generale, le quali si occupano della sproporzione del contenuto del contratto, quali la rescissione per lesione ex art. 1448 c.c. o il dolo incidente ex art. 1440 c.c. Infatti, il primo caso richiede, oltre alla sproporzione ultra dimidium della prestazione dedotta in contratto, la sussistenza anche dello stato di bisogno e dell'approfittamento da parte dell'altro contraente, mentre il secondo caso non riverbera i suoi effetti sulla validità del contratto ma fa sorgere una pretesa risarcitoria in capo alla parte che avrebbe concluso il contratto ma a condizioni diverse da quelle pattuite. Insomma, per definire forme di controllo sul contenuto del contratto non sarebbe comunque sufficiente un principio, quand’anche sussistente, essendo necessario un criterio che nel caso di specie non risulta identificabile. Sotto questo profilo viene in rilievo la circostanza che le parti abbiano attribuito un valore al cespite ipotecato inferiore alla somma per la quale e stata iscritta l'ipoteca. Ne consegue che, alla stregua delle determinazioni delle stesse parti, risulta che il cespite ipotecato non è ritenuto capiente rispetto all'importo da garantire, dove pure tale importo è stato definito dalle parti senza costrizioni. Pertanto, dallo stesso regolamento contrattuale emerge che la sola ipoteca non era ritenuta sufficiente a coprire le esigenze di garanzia. Non risulta, quindi, disponibile un criterio per stabilire quale sia la misura dell'eccedenza ed il termine di riferimento, fermo restando che non mette conto di entrare nel merito della possibilità, invero niente affatto scontata, di adottare eventuali interventi volti a riequilibrare l'assetto delle garanzie definite dalle parti senza aprire spazi a poteri discrezionali del giudicante non giustificabili nel contesto del sistema del diritto positivo, posto che comunque la ricorrente si è limitata a chiedere la nullità degli atti con cui sono stati rilasciati il pegno e le fideiussioni. Sotto altro profilo, va ancora rilevato che la disciplina UE dei requisiti prudenziali degli enti creditizi [reg. (UE) n. 575/2013] definisce specifiche caratteristiche per le garanzie che assistono i crediti, che renderebbero assai difficile l’applicazione – ove mai sussistente – di un criterio di proporzionalità tra credito e garanzia che sia rigido, predeterminato ed estraneo alla valutazione del merito di credito del debitore. Ne consegue che, nel caso specifico, non sussistono rimedi positivi, esperibili da questo Arbitro, per procedere ad una declaratoria di nullità del pegno e delle fideiussioni, che, a quanto consta, risultano liberamente contrattate tra le parti. Il Collegio, in conclusione, dichiara il ricorso non meritevole di accoglimento.IL PRESIDENTE

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DIRITTO. 1La questione che questo Collegio deve affrontare per la soluzione del caso in esame riguarda gli effetti dell’inadempimento dell’obbligo di consegna del bene/esecuzione del servizio da parte del fornitore, quando sia stato contestualmente stipulato un contratto di finanziamento tra l’intermediario resistente e il ricorrente, in qualità di consumatore, finalizzato all’acquisto del bene o del servizio medesimo. In merito alla vicenda all’origine della presente vertenza, pare utile, ai fini della decisione, rammentare i seguenti aspetti. Il ricorso verte su un contratto di credito finalizzato a finanziare la prestazione di cure mediche (nello specifico, dentistiche). Dalla documentazione acclusa al ricorso risulta che: - in data 25/06/2013, l’istante ha presentato alla finanziaria convenuta, per il tramite del fornitore convenzionato, una richiesta di prestito finalizzato dell’importo di € 14.000,00. Nel modulo, a mani dell’istante, è indicato l’importo totale dovuto dal cliente, pari ad € 15.413,06, da rimborsare in numero 48 rate mensili dell’importo di € 319,25 ciascuna (oltre ad € 1,30 per spese di incasso). Nello stesso modulo, contenente le “Informazioni europee di base sul credito ai consumatori” non constano i dati del fornitore, né l’apposizione del timbro e della firma di tale soggetto. La questione sottoposta all’Arbitro concerne finanziaria ha accettato la richiesta di finanziamento con missiva del 27/06/2013, ove sono riportati il diritto nominativo del fornitore convenzionato e la decorrenza della prima rata (15/07/2013); - l’art. 10 delle condizioni generali del contratto regola come segue il caso di inadempimento del fornitore: Il ricorrente lamenta il parziale inadempimento del centro medico. In sede di replica, precisa di non aver ricevuto una protesi dentaria del costo di € 6.000,00 al netto dell’IVA, essendo stato costretto a rivolgersi ad altro specialista per completare le cure. La sua domanda di “annullamento del contratto come previsto dal TUB”, con restituzione di quanto versato, è formulata espressamente ai sensi della clausola 10 sopra richiamata e, quindi, va più esattamente qualificata come domanda di risoluzione del contratto di credito ex art. 125 quinquies T.U.B. Xxxx atti consta la missiva di messa in mora del fornitore, tale potendo essere intesa la lettera del 04/03/2014, tornata al mittente per compiuta giacenza. L’intermediario eccepisce, nel merito, che l’inadempimento contestato, essendo parziale, non rivestirebbe la gravità richiesta dall’art. 1455 C.C., per dare luogo alla risoluzione del contratto di finanziamento di cui in controversia. Richiama, al riguardo, l’esposto alla Procura della Repubblica avanzato dal ricorrente, non versato agli atti. La parte resistente si dichiara, comunque, disponibile alla riduzione dell’ammontare del finanziamento in misura pari al valore delle garanzie concesse cure mediche fornite all’istante, “previa quantificazione da parte del cliente” medesimo. Tanto premesso, e prima di esaminare nel merito la decisione, va preliminarmente sottolineato che l’eccezione in presenza di una loro sproporzione ed il valore del credito garantitorito sollevata dalla parte resistente si rivela totalmente infondata. Infatti, come già si è avuto occasione di rilevare (cfr. pronuncia n. 6317/2014), “non è chiaro [...] quale sia la ricorrentecausa che renderebbe inammissibile il ricorso. Né essa potrebbe – come sembra adombrarsi – essere connessa alla mancata chiamata in giudizio del [prestatore del servizio], che il quale, non soltanto non si configura quale litisconsorte necessario, ma è anche estraneo al rapporto bancario il quale segna il perimetro della competenza ratione materiae di questo Collegio”. Ciò chiarito, deve ora essere richiamata la normativa applicabile ratione temporis al caso all’origine della presente vertenza, ovvero l’art. 125-quinquies (Inadempimento del fornitore) del TUB, introdotto dal Decreto Legislativo 13 agosto 2010, n. 141, attuazione della direttiva 2008/48/CE, relativa ai contratti di credito ai consumatori, nonché modifiche del titolo VI del testo unico bancario (decreto legislativo n. 385 del 1993), in merito alla disciplina dei soggetti operanti nel settore finanziario, degli agenti in attività finanziaria e dei mediatori creditizi, pubblicato sulla G.U. n. 207 del 04/09/2010 ed in vigore dal 19/09/2010. Secondo quanto dispone il menzionato art. 125-quinquies del TUB, infatti, “Nei contratti di credito collegati, in caso di inadempimento da parte del fornitore dei beni o dei servizi il consumatore, dopo aver inutilmente effettuato la costituzione in mora del fornitore, ha stipulato con la Banca resistente un mutuo fondiario a garanzia del quale è stata costituita un’ipoteca, rilasciate delle fideiussioni e concesso un pegno su titoli, assume l’esistenza di una “sproporzione genetica” tra il valore delle garanzie concesse e l’importo finanziato e quindi chiede che il Collegio dichiari la nullità per difetto della causa diritto alla risoluzione del contratto di pegno e delle fideiussionicredito, in quanto la funzione se con riferimento al contratto di garanzia sarebbe assoltafornitura di beni o servizi ricorrono le condizioni di cui all'articolo 1455 del codice civile. La risoluzione del contratto di credito comporta l'obbligo del finanziatore di rimborsare al consumatore le rate già pagate, nonché ogni altro onere eventualmente applicato. La risoluzione del contratto di credito non comporta l'obbligo del consumatore di rimborsare al finanziatore l'importo che sia stato già versato al fornitore dei beni o dei servizi. Il finanziatore ha il diritto di ripetere detto importo nei confronti del fornitore stesso […]”. Premesso che, nel caso di specie, dall’ipoteca l’inadempimento del fornitore può sicuramente dirsi conclamato e irreversibile, deve, in questa sede, unicamente valutarsi se tale inadempimento rivesta o meno gli estremi della “non scarsa importanza avuto riguardo all’interesse” della parte non inadempiente cui fa espresso riferimento l’art. 1455 cod. civ. E’ noto che l’orientamento prevalente della giurisprudenza insegna che tale valutazione debba essere operata applicando contestualmente sia un parametro soggettivo, sia un parametro oggettivo; infatti, come ancora piuttosto recentemente è stato sottolineato dalla giurisprudenza di legittimità, “in tema di risoluzione del contratto per inadempimento, lo scioglimento dell’accordo contrattuale, quando non opera di diritto, consegue ad una pronuncia costitutiva che presuppone da parte del giudicante la valutazione della non scarsa importanza dell’inadempimento stesso, avuto riguardo all’interesse dell’altra parte; tale valutazione viene operata alla stregua di un duplice criterio: in primo grado costituita tenuto conto dell’importo luogo, il giudice, applicando un parametro oggettivo, deve verificare che l’inadempimento abbia inciso in misura apprezzabile nell’economia complessiva del rapporto (in astratto, per la sua entità e, in concreto, in relazione al pregiudizio effettivamente causato all’altro contraente), sì da creare uno squilibrio sensibile del sinallagma contrattuale; nell’applicare il criterio soggettivo, invece, il giudicante deve considerare il comportamento di entrambe le parti (un atteggiamento incolpevole o una tempestiva riparazione ad opera dell’una, un reciproco inadempimento o una protratta tolleranza dell’altra) che può, in relazione alla particolarità del caso, attenuare il giudizio di gravità nonostante la rilevanza della prestazione mancata o ritardata” (così, testualmente, Xxxx., 18/02/2008, n. 3954). Ebbene, considerando nel suo complesso l’oggetto del contratto stipulato tra il fornitore e l’odierno ricorrente, sia sotto il profilo della composizione dei servizi oggetto del contratto, sia sotto il profilo del loro valore, deve concludersi che l’adempimento parziale del fornitore non è, comunque, idoneo a far assumere all’inadempimento quella “scarsa importanza”, idonea ad impedire la realizzazione dell’effetto risolutorio. Nel caso che ne occupa, tuttavia, la parte ricorrente risulta aver usufruito regolarmente di parte delle cure odontoiatriche programmate, lamentandosi unicamente di non aver ricevuto una protesi dentaria del valore di € 6.000,00. Da ciò discende che, con riferimento alla prestazione rimasta ancora ineseguita, le rate (eventualmente) pagate e quella ancora da corrispondere all’intermediario, essendo collegate ad una prestazione (seppure parzialmente) non eseguita da parte del fornitore del bene o del servizio, risultano (per la corrispondente parte) non dovute per difetto funzionale del sinallagma contrattuale. Ora, come anche in altre occasioni, si è avuto modo di sottolineare, nel caso di adempimento parziale dei beni o del servizio da parte del fornitore, può ammettersi una pronuncia di risoluzione parziale del contratto di fornitura e del relativo contratto di finanziamento. Ciò premesso, in applicazione dell’art. 125-quinquies T.U.B., il Collegio riconosce che la parziale risoluzione del contratto di fornitura comporta la parziale risoluzione del contratto di finanziamento (per la parte eccedente la somma capitale di € 8.000,00). La parziale risoluzione del contratto di finanziamento comporta che la società resistente debba procedere a riformulare il piano di rimborso, detraendo dall’ammontare del credito complessivo l’importo corrispondente al valore del servizio per il quale è stata iscrittaaccertato l’inadempimento (Euro 6.000,00), tenendo conto, altresì, della conseguente diversa imputazione delle rate eventualmente già pagate. La Banca resistente eccepisce che non vi è una sproporzione tra finanziamento concesso e garanzierelativa istanza merita, considerato che queste sono state richieste alla luce dunque, di una valutazione del merito creditizio del cliente, che al momento della concessione del mutuo risultava essere una società in fase di start up. Dall’esame delle previsioni negoziali relative alle garanzie, come risulta dal contratto agli atti, si trae che la somma mutuata, risulta pari ad euro 195.000 (art. 1) e l'ipoteca è stata concessa per il complessivo importo di euro 390.000 (art. 11, comma 2). Nello stesso contratto risulta altresì che le parti hanno dichiarato di attribuire all'immobile ipotecato il valore di euro 250.000, giusta quanto risulta dalla documentazione tecnica agli atti della Banca resistente (art. 13, comma 1). La fideiussione viene concessa da due soci, uno dei quali legale rappresentante della ricorrente, per l'importo di euro 390.000 (art. 19). La costituzione del pegno su titoli acquisiti dalla ricorrente (incontestata tra le parti) non è invece oggetto di contratto e, comunque, nessuna ulteriore documentazione contrattuale è allegata al riguardo. Il valore del pegno effettivamente acquisito, secondo quanto affermato dal ricorrente, sarebbe pari a euro 46.000,00 mentre, secondo quanto affermato dalla Banca resistente, pari a euro 44.000,00. Ciò posto, una prima considerazione riguarda la circostanza che il valore dell'immobile ipotecato è stato definito, consensualmente, in misura pari ad un importo inferiore rispetto ah quello per il quale era iscritta la garanzia ipotecaria. Ne consegue che, nell'intento delle parti, il valore del cespite non eguagliava quello della garanzia che era stata definita in modo parimenti consensuale. Ora, il Collegio ha presente l'orientamento manifestato da altro collegio territoriale in ordine alla sproporzione tra garanzie e importo garantito, laddove ha ritenuto che la sproporzione originaria delle garanzie sarebbe scrutinabile secondo i canoni della correttezza e della buona, da cui si fa conseguire possibilità per il Collegio di disporre lo svincolo anche parziale delle somme o dei titoli (cfr. Coll. Roma, decc. nn. 7532/2015, 7717/2014 e 2359/2011). Tuttavia, ritiene di non potervi aderire e di seguire l’orientamento dei Collegi territoriali secondo cui, là dove non sia normativamente previsto un vero e proprio diritto di modifica delle garanzie offerte (come avviene ai sensi dell’art. 2872 c.c. per la riduzione dell’ipoteca), la domanda tesa ad ottenere una revisione delle condizioni negoziali originarie non può trovare accoglimento, risolvendosi tale revisione in una nuova definizione consensuale del contenuto del regolamento negoziale, la quale non può essere oggetto del sindacato o di coercizione da parte dell’Arbitro, ma rimane soggetta alla piena discrezionalità valutativa della banca (cfr. Coll. Roma, n. 3189/2013; Coll. Milano, dec. n. 225/2021). Deve poi rilevarsi che anche in materia di riduzione ipotecaria – che potrebbe essere ritenuto indice della sussistenza di un più ampio principio di proporzionalità tra garanzia e debito garantito – l’art. 2873, 1° comma, c.c. prescrive che non è ammessa l’azione di riduzione “se la quantità dei beni o la somma è stata determinata per convenzione o per sentenza”, con ciò evidenziando che quand’anche sussistente il principio di proporzionalità non si applica in caso di sproporzione genetica neppure all’ipoteca, impedendo l’inferenza analogica. Il diritto positivo, inoltre, non offre regole analoghe a quelle previste per la riduzione dell'ipoteca con riguardo alla garanzia pignoratizia e alla fideiussione. Xx è affermato dalla Suprema Corte il principio secondo cui «la disciplina vigente in tema di garanzie del credito non esclude l'ammissibilità del concorso di una garanzia personale con una garanzia reale rispetto al medesimo credito; pertanto, l'eventuale costituzione di pegno, in linea astratta, non fa venire meno la garanzia fideiussoria eventualmente già assunta a favore dello stesso creditore e per il medesimo credito (Sez. 3, Sentenza n. 15406 del 2004 e, negli stessi termini, con riferimento alla garanzia ipotecaria, la Sent. n. 4033 del 1999)» (Cass. n. 2540/2016). Quindi la coesistenza di diverse garanzie riferite al medesimo credito non costituisce una situazione che può mettere capo ad illiceità e non risulta sufficiente a supportare conclusioni circa il difetto di causa concreta del contratto costitutivo di una o più delle garanzie coesistenti. Al fine di dichiarare la nullità delle garanzie eccedenti la ritenuta sproporzione non possono poi invocarsi ragioni concernenti la correttezza e la buona fede, anche in sede precontrattuale, per la ragione che, ove mai sussistenti, non potrebbero supportare l'adozione di rimedi invalidanti ma solo rimedi risarcitori, ciò che nel caso comunque esula dalla domanda formulata dalla ricorrente. Pertanto, non risulta producente allo stesso fine impostare la questione in termini di eventuale sussistenza dell'abuso del diritto da parte della Banca resistente in quanto tipicamente riferibile a regole di comportamento dei contraenti e non già a regole di contenuto del contratto, laddove la violazione di una regola di comportamento non può influire sulla valutazione del contenuto del contratto al fine di determinarne l’invalidità. Non è casuale la circostanza che l'abuso sia stato riconosciuto come sussistente in un caso di iscrizione di ipoteca giudiziale per valori eccedenti rispetto alla cautela, così da configurare una responsabilità aggravata ex art. 96, 2° comma, c.p.c. (cfr. Cass. n. 6533/2016): si tratta evidentemente ben diverso da quello di ipoteca volontaria e comunque non ha determinato statuizioni del giudice in ordine alla validità della garanzia. D'altro canto, nel sistema del diritto privato ciascun contraente, purché ne sia garantita la libertà e la consapevolezza, definisce il contenuto del contratto accolta nei limiti del consenso dell'altra parte senza essere vincolato a un certo contenuto, se non nei casi considerati dalla legge, e ciò non può che valere anche per la costituzione di garanzie. Né, si ritiene, possono essere utilmente invocate altre disposizioni, ancora in funzione della individuazione di un principio generale, le quali si occupano della sproporzione del contenuto del contratto, quali la rescissione per lesione ex art. 1448 c.c. o il dolo incidente ex art. 1440 c.c. Infatti, il primo caso richiede, oltre alla sproporzione ultra dimidium della prestazione dedotta in contratto, la sussistenza anche dello stato di bisogno e dell'approfittamento da parte dell'altro contraente, mentre il secondo caso non riverbera i suoi effetti sulla validità del contratto ma fa sorgere una pretesa risarcitoria in capo alla parte che avrebbe concluso il contratto ma a condizioni diverse da quelle pattuite. Insomma, per definire forme di controllo sul contenuto del contratto non sarebbe comunque sufficiente un principio, quand’anche sussistente, essendo necessario un criterio che nel caso di specie non risulta identificabile. Sotto questo profilo viene in rilievo la circostanza che le parti abbiano attribuito un valore al cespite ipotecato inferiore alla somma per la quale e stata iscritta l'ipoteca. Ne consegue che, alla stregua delle determinazioni delle stesse parti, risulta che il cespite ipotecato non è ritenuto capiente rispetto all'importo da garantire, dove pure tale importo è stato definito dalle parti senza costrizioni. Pertanto, dallo stesso regolamento contrattuale emerge che la sola ipoteca non era ritenuta sufficiente a coprire le esigenze di garanzia. Non risulta, quindi, disponibile un criterio per stabilire quale sia la misura dell'eccedenza ed il termine di riferimento, fermo restando che non mette conto di entrare nel merito della possibilità, invero niente affatto scontata, di adottare eventuali interventi volti a riequilibrare l'assetto delle garanzie definite dalle parti senza aprire spazi a poteri discrezionali del giudicante non giustificabili nel contesto del sistema del diritto positivo, posto che comunque la ricorrente si è limitata a chiedere la nullità degli atti con cui sono stati rilasciati il pegno e le fideiussioni. Sotto altro profilo, va ancora rilevato che la disciplina UE dei requisiti prudenziali degli enti creditizi [reg. (UE) n. 575/2013] definisce specifiche caratteristiche per le garanzie che assistono i crediti, che renderebbero assai difficile l’applicazione – ove mai sussistente – di un criterio di proporzionalità tra credito e garanzia che sia rigido, predeterminato ed estraneo alla valutazione del merito di credito del debitore. Ne consegue che, nel caso specifico, non sussistono rimedi positivi, esperibili da questo Arbitro, per procedere ad una declaratoria di nullità del pegno e delle fideiussioni, che, a quanto consta, risultano liberamente contrattate tra le parti. Il Collegio, in conclusione, dichiara il ricorso non meritevole di accoglimentoappena illustrati.

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