Common use of PREFAZIONE Clause in Contracts

PREFAZIONE. Oggetto di analisi è il contratto di cessione a titolo oneroso di partecipazioni sociali, con particolare riferimento alle cautele pattizie utili alla ripartizione del rischio economico, connesso alla possibile divergenza tra valore dell’azienda e prezzo convenuto. Non è escluso che, con opportuni adattamenti, le osservazioni che condurremo possano attagliarsi anche ad altri strumenti di acquisizione di imprese, quali conferimenti di aziende, permute di partecipazioni, fusioni, scissioni, ed in generale ipotesi di cessione di beni aventi quale corrispettivo il trasferimento di partecipazioni sociali, nonché al recente istituto del patto di famiglia. Abbiamo tuttavia circoscritto l’indagine al diffuso contratto di acquisizione o sale and purchase agreement, strumento negoziale al quale le parti ricorrono per ottenere, mediante il formale trasferimento delle partecipazioni sociali di una società operativa, anche il “passaggio” dei beni costituenti il patrimonio aziendale della società medesima. Laddove si consideri, infatti, che non solo l’esercizio di attività economiche ma anche la gestione di patrimoni privati avviene sotto la veste societaria, è di tutta evidenza come il mutamento di gestione delle imprese sia spesso conseguenza del trasferimento delle partecipazioni sociali. Dopo un inquadramento generale, concentreremo l’attenzione sulla problematica dell’allocazione del rischio economico insito in tale genere di contrattazione, ossia l’eventuale e possibile discrepanza tra valore del patrimonio aziendale e corrispettivo pattuito per la cessione delle partecipazioni sociali, al fine di distribuire tra le parti il danno che potrebbe prodursi qualora l’errore impedisse la realizzazione degli interessi di entrambe. Si tratterà, in altri termini, di analizzare se, contrariamente alla irrilevanza giuridica della equivalenza di valore tra le prestazioni dei contratti commutativi, possano avere rilevanza parametri di determinazione del corrispettivo della cessione, estranei all’oggetto immediato del trasferimento. Il contratto in argomento ha subìto una notevole evoluzione quanto alle modalità di negoziazione ed alle tecniche di stesura e formulazione, senza mancare di recepire le prassi della lex mercatoria e la tradizione anglosassone e statunitense. E’ noto come la cessione a titolo oneroso di partecipazioni sociali – generalmente di società di capitali – sia disciplinata dalle norme in tema di vendita nonché dalle regole peculiari per il trasferimento delle partecipazioni medesime, specialmente per forma e pubblicità, funzionale quest’ultima a rendere opponibile il trasferimento sia ai terzi sia alla società. Tuttavia, il ruolo del consulente si aggrava, laddove le parti – ragionevolmente – vogliano munire l’operazione di cautele, per garantire l’equilibrio economico dello scambio tra le partecipazioni, l’azienda cui esse si riferiscono e l’ammontare del prezzo, commisurato appunto al valore reale delle quote trasferite. Tale complicazione è innanzitutto dovuta alle caratteristiche di eterogeneità e dinamicità del bene azienda in sé e di ciascuna tipologia di azienda, nonché alla molteplicità dei metodi di valutazione della stessa; ciò costringe a stabilire quantomeno termini convenzionali di decadenza per l’esperibilità dei rimedi, ovvero a concordare tetti massimi di indennizzi o risarcimenti, pur nel rispetto dei divieti alla limitazione della responsabilità. Il nostro ordinamento non conosce un contratto che risponda specificamente a tali esigenze, ma soprattutto non accoglie il principio di tutela dell’equivalenza economica tra le prestazioni dei contratti commutativi. Il contratto de quo, tuttavia, pone specificamente il problema dell’allocazione del rischio economico, ossia della scelta del contraente su cui far gravare il rischio che, successivamente al closing, divengano palesi caratteri e qualità dell’azienda, i cui presupposti sussistevano già al tempo delle trattative. La prassi ha teso a comporre gli interessi delle parti con clausole pattizie a tutela dei contraenti ed in particolare dell’acquirente, sulla scorta di modelli legali già noti – fra tutti, le garanzie a carico del venditore – nonché di modelli contrattuali anglosassoni; per questi ultimi, tuttavia, sarà necessario effettuare un giudizio di compatibilità ovvero di riqualificazione e riformulazione delle clausole, secondo princìpi e norme italiani. Dallo studio preliminare del materiale dottrinale e giurisprudenziale, in un’ottica di mera ricostruzione cronologica, è emersa con evidenza l’evoluzione storica delle problematiche e della redazione di tale contratto, segnata da una progressiva maggiore articolazione della struttura e dal recepimento di modelli stranieri. Basti, in questa introduzione, precisare che l’evoluzione della redazione del contratto de quo è consistita nella progressiva presa di coscienza da parte degli operatori della necessità non solo di patti che pongano a carico del venditore il rischio di vizi, mancanza di qualità e minusvalenze del patrimonio aziendale, ma anche di clausole riferite alla redditività della società; ad esse, peraltro, si accompagnano accordi che, esplicitamente o indirettamente, stabiliscono l’irresolubilità del contratto e prevedono una rinegoziazione delle condizioni economiche dello scambio, al verificarsi di eventi determinati. Si tratterà dunque di tentare di definire natura e funzione delle cautele negoziali predisposte dalle parti e valutare altresì i limiti all’autonomia privata nel determinare le conseguenze dell’inadempimento delle stesse. Tali cautele, peraltro, non debbono essere intese come predisposte a sola tutela dell’acquirente, dal momento che il dinamismo dell’azienda induce necessariamente a proteggere anche il venditore dal possibile uso strumentale delle richieste di indennizzo e/o risarcimento da parte del cessionario, a notevole distanza di tempo rispetto alla conclusione dell’accordo. Al riguardo, cercheremo di dimostrare – anche sulla scorta di esortazioni in tal senso formulate da autorevole dottrina – che il recepimento di modelli anglosassoni in materia non possa e non debba essere acritico. Al contrario, lo studio della compatibilità delle clausole anglosassoni con la nostra tradizione ed i nostri princìpi è la sfida più interessante e stimolante; si tratta di verificare se il recepimento di clausole possa invitare a scoprire nuovi confini dell’autonomia privata ovvero a considerare più approfonditamente la categoria dell’obbligazione cosiddetta di garanzia. Tutto ciò invita a rivitalizzare il ruolo del consulente legale italiano, che non può esimersi dal valutare la compatibilità di tali clausole con princìpi inderogabili o cd. norme materiali del nostro ordinamento, pur di non correre il rischio di aderire superficialmente al modello contrattuale straniero e ridurre i patti apposti a mere clausole di stile. Tali problematiche sono state messe in luce da autorevole dottrina che, elaborando di recente la nozione di «contratto alieno», ha evidenziato i rischi della supina accettazione di modelli contrattuali estranei alla nostra tradizione. A ciò si aggiunga che, come cercheremo di dimostrare, le esigenze delle parti contraenti possono essere soddisfatte mediante strumenti del nostro ordinamento, sia nella fase delle trattative, sia nella fase conclusiva dell’accordo, sia nell’eventuale e non infrequente fase patologica. L’operatore deve, a fatica, abbandonare strutture proprie della tradizione anglosassone, per indagare quali istituti italiani possano essere invocati ed applicati e per tradurre in termini giuridici le intenzioni e gli interessi delle parti. Come emergerà nel corso della trattazione, a nostro parere, il contratto in esame mette alla prova il consulente, spesso protagonista della fase della cd. due diligence, in quanto il recepimento di modelli contrattuali stranieri rischia di condurre al paradosso di non riuscire ad apprestare tutela a chi non ha verificato la compatibilità delle clausole in essi contenute con princìpi e norme del nostro ordinamento. L’inquadramento dei primi due capitoli consentirà di vagliare la tesi, esposta nel terzo, secondo cui le cautele pattizie – esulando sia dalla struttura sinallagmatica del contratto di vendita sia dalle garanzie ex lege gravanti sul venditore – sono strumenti di ripartizione convenzionale del rischio economico. Se i rimedi di carattere legale non danno risposta adeguata alla tutela dell’equità economica dello scambio, le cautele pattizie, dal canto loro – operando al di fuori del sinallagma contrattuale della vendita – sono funzionali ad attribuire rilevanza giuridica a quei fattori che, sebbene estranei alle partecipazioni sociali trasferite, hanno avuto rilievo economico nella determinazione del prezzo. Contrariamente a quanto sinora affermato sia in dottrina che in giurisprudenza, intendiamo inoltre provare che l’esigenza di tutela dell’acquirente si pone anche nel caso in cui l’ammontare della partecipazione sociale ceduta non sia tale da trasferire il cd. controllo della società; tale dimostrazione, oltre a basarsi sulla relatività della nozione stessa di “controllo”, che non coincide necessariamente con la maggioranza o la totalità delle partecipazioni sociali, si incentrerà sul metodo per rendere giuridicamente rilevanti i parametri economico-aziendalistico-contabili applicati per la determinazione del prezzo. In termini generali, si tratterà di vagliare l’ipotesi secondo cui le parti contraenti possano convenzionalmente assegnare rilevanza giuridica al valore economico del bene. Ciò parrebbe possibile mediante cautele pattizie con cui il venditore assuma il rischio – di regola gravante sull’acquirente, anche in virtù del principio dell’equivalenza meramente soggettiva delle prestazioni dedotte in un contratto sinallagmatico – della discrepanza tra valore del bene oggetto di scambio e corrispettivo pattuito. Strumento per ottenere tale effetto giuridico sarebbe la previsione di clausole di garanzia – per taluni aventi funzione assicurativa – con cui il cedente si addossa il rischio del verificarsi di un fatto, considerato dalle parti fattispecie costitutiva di un’obbligazione, con il conseguente sorgere dell’obbligo di corresponsione di un indennizzo da parte del venditore-garante. Da ciò deriva la scelta frequente di posticipare la corresponsione di parte del prezzo della cessione, ad esempio con clausole di deposito – cd. escrow –, potendo i contraenti scegliere di compensare l’obbligo dell’acquirente al versamento di parte del prezzo con l’obbligo – divenuto attuale al verificarsi dell’evento dedotto nel contratto – di indennizzo del venditore.

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Samples: Acquisition Agreement

PREFAZIONE. Oggetto I sistemi reticolari quali forme di analisi aggregazioni di imprese si sono affermati acquistando, progressivamente, un ruolo rilevante nei processi di globalizzazione. Tali modelli reticolari si sono, sebbene in forme diverse, manifestati fin dagli albori della rivoluzione industriale, con la trasformazione dei mercati, l’introduzione della divisione del lavoro, ed il fenomeno della deverticalizzazione delle filiere produttive, consistente nel trasferimento all’esterno di alcune funzioni tra cui la produzione tecnica dei beni. Il fenomeno delle reti di imprese si è dilatato notevolmente anche grazie alla crescita del commercio internazionale, ed il conseguente aumento del fenomeno di concorrenza fra imprese. la figura delle aggregazioni tra imprese rappresenta una realtà produttiva che per rilevanza ed interesse viene studiata non solo sotto il profilo giuridico ma anche a livello delle scienze economiche. Quando si parla di reti di imprese si intende una molteplicità di imprese, tipicamente di piccole e medie dimensioni, tra le quali intercorrono particolari rapporti di collaborazione ed interdipendenza; la particolarità risiede nel fatto che dal punto di vista interno all’aggregazione, le singole imprese, pur conservando ciascuna la propria autonomia ed indipendenza, giuridica ed economica, perseguono oltre all’interesse individuale, un interesse comune, per il quale si instaura una qualche interdipendenza ed emerge, dunque, un’esigenza di coordinamento. Hanno avuto in questo modo diffusione forme di cooperazione imprenditoriali attraverso contratti, operanti sia in fase produttiva che distributiva, come la subfornitura, le jointventure, i raggruppamenti di imprese, le ATI (associazione temporanea di imprese), i contratti plurilaterali di ricerca e sviluppo, il franchising. In particolar modo in quest’ultimo caso, dal punto di vista esterno, l’aggregazione viene percepita dai clienti e dai fornitori, come fosse un’entità unitaria che assorbe le singole imprese che la costituiscono. Il tema della crisi del sistema imprenditoriale italiano è stato oggetto di un acceso dibattito tra gli studiosi del diritto ed i rappresentanti delle Unioni degli Industriali e delle Piccole e Medie Imprese (PMI), ed è stata affrontata con l’individuazione di nuovi strumenti e nella ricerca di strategie volte a fronteggiare il fenomeno economico e a contenerne gli effetti negativi. Il sistema industriale italiano si presentava, infatti, caratterizzato da una frammentazione dell’attività economica in una pluralità di aziende le quali, pur costituendo una rete stabile di associate, fornitrici o distributrici di prodotti, erano di ridotte dimensioni, mentre la grande impresa conservava al suo interno le funzioni strategiche. Tale stato di cose costituiva un ostacolo alla crescita e all’efficienza delle piccole imprese, rendendo più difficile lo sviluppo di tecniche o prodotti innovativi. La crescente competizione, sul piano dell’economia globale, ha accresciuto l’esigenza di investimenti in innovazione tecnologica, alla cui la complessità le piccole-medie imprese (PMI), hanno reagito ricorrendo a sistemi e forme di cooperazione. La deverticalizzazione operante mediante forme di esternalizzazione, esige strumenti contrattuali che ne consentano il necessario coordinamento, dal momento che logicamente alla scomposizione dell’organizzazione produttiva si può far fronte soltanto mediante una ricomposizione che operi a livello contrattuale. Seppur la ratio della normativa sulla rete di imprese sia da rinvenire nella ricerca di strumenti atti ad ovviare alla crisi economica, tale strumento viene, di fatto, ad incentivare forme di cooperazione attraverso la predisposizione di un programma comune vincolante a livello contrattuale. In tal senso, invero, il contratto di cessione rete, contrapponendosi al modello economico caratterizzato dal decentramento produttivo degli anni Sessanta, costituisce espressione di un modello volto, invece, ad agevolare un accentramento tra le imprese, nell’ottica di preservare l’autonomia delle stesse, realizzandosi attraverso un collegamento strategicamente volto ad accrescere le potenzialità produttive e la competitività di ciascuna di esse sul mercato. Si è individuato quale strumento strategico in grado di fronteggiare la crisi delle piccole- medie imprese (PMI), un fenomeno di accentramento che preservasse la fisionomia ed autonomia delle imprese stesse, caratterizzandosi di fatto in un’unione che non comporta una realtà economico-produttiva unitaria. Il nuovo strumento giuridico della rete consiste, quindi, in una rilevante collegamento tra imprese autonome con la finalità di abbattere i costi di produzione, aumentare la competitività e l’efficienza sul mercato, mantenendone quote consistenti, riuscendo, al contempo, a titolo oneroso resistere alla globalizzazione causata dall’intensificazione degli scambi e degli investimenti nazionali ed internazionali. L’originaria funzione del contratto di partecipazioni socialirete è stata infatti quella di determinare, sulla base di un programma comune, delle regole, attraverso le quali le imprese, pur restando indipendenti ed autonome tra loro, si uniscono per la realizzazione di progetti uniformi condivisi con il precipuo scopo di incrementare la capacità innovativa o accrescere la competitività di ciascuna di esse sul mercato. Da ciò consegue una stretta interconnessione tra le stesse imprese finalizzata al raggiungimento dell’obiettivo comune condiviso. Tale strumento di condivisione del proprio know how può ritenersi utile ai fini dell’apertura del mercato agli investimenti nella green economy. Le imprese infatti potrebbero condividere strumenti informativi al fine di esplorare nuovi sistemi di investimento su nuovi mercati come la sostenibilità ambientale. Costituire una rete al fine di poter investire nella green economy comporta per le imprese aderenti che operano nel campo dell’energia rinnovabile ma specializzate in settori diversi, di avere la possibilità di aggregarsi offrendo al mercato una riqualificazione energetica green. Il legislatore italiano è intervenuto, per la prima volta, in tema di aggregazioni di imprese con il riconoscimento giuridico dei distretti produttivi avuto con la Legge 5 ottobre 1991, n. 317, Interventi per l'innovazione e lo sviluppo delle piccole imprese, che nell’ambito di una serie di interventi per l’innovazione e lo sviluppo delle piccole e medie imprese li configura quali sistemi produttivi locali omogenei, caratterizzati da un’elevata concentrazione di imprese industriali, prevalentemente di dimensione piccola o media, nonché da un’elevata specializzazione produttiva. L’art. 36, comma 1di detta legge, enuncia in modo specifico il concetto di distretti industriali definiti quali «aree territoriali locali caratterizzate da elevata concentrazione di piccole imprese, con particolare riferimento alle cautele pattizie utili al rapporto tra la presenza delle imprese e la popolazione residente nonché alla ripartizione del rischio economicospecializzazione produttiva dell'insieme delle imprese». Il distretto industriale, connesso alla possibile divergenza tra valore dell’azienda e prezzo convenuto. Non è escluso chefenomeno economico tipicamente italiano, quindi, consistendo inizialmente in un concetto sostanzialmente geografico, nel senso di sistemi locali omogenei di lavoro, con opportuni adattamentil’intervento della Legge 11 maggio 1999, n. 140,“Norme in materia di attività produttive”, viene definito come sistema produttivo locale, ovvero come un raggruppamento di imprese caratterizzato da una rilevante organizzazione interna, assumendo rilievo non più la mera adiacenza fisica tra le osservazioni che condurremo possano attagliarsi anche ad altri strumenti imprese, bensì la particolare struttura di acquisizione relazioni tra le stesse esistenti. Con l’art. 6 bis del Decreto Legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito con modificazioni dalla Legge 6 agosto 2008, n. 133, recante “Distretti produttivi e reti di imprese”, è stato affrontato in modo espresso, per la prima volta, seppur in linea generale, il tema delle reti di imprese, quali conferimenti adottando una tecnica legislativa priva di aziendecarattere giuridico, permute di partecipazioni, fusioni, scissioni, ed in generale ipotesi di cessione di beni aventi quale corrispettivo diversa da quella che sarebbe stata poi impiegata per il trasferimento di partecipazioni sociali, nonché al recente istituto del patto di famiglia. Abbiamo tuttavia circoscritto l’indagine al diffuso contratto di acquisizione o sale and purchase agreementrete. Nel provvedimento in parola si è data più attenzione, strumento negoziale al quale le parti ricorrono per ottenereinvece, ad effettuare una ricognizione delle forme di coordinamento tra imprese, mediante il formale trasferimento delle partecipazioni sociali l’indicazione di principi cui attenersi, allo scopo di farne derivare una società operativafiliera di rapporti amministrativi e fiscali, anche il “passaggio” dei beni costituenti il patrimonio aziendale della società medesima. Laddove si consideriforme di coordinamento, infatti, che non solo l’esercizio di attività economiche ma anche la gestione di patrimoni privati avviene sotto la veste societaria, è di tutta evidenza come il mutamento di gestione delle imprese sia spesso conseguenza del trasferimento delle partecipazioni sociali. Dopo un inquadramento generale, concentreremo l’attenzione sulla problematica dell’allocazione del rischio economico insito in tale genere di contrattazione, ossia l’eventuale e possibile discrepanza tra valore del patrimonio aziendale e corrispettivo pattuito per la cessione delle partecipazioni sociali, al fine di distribuire tra le parti il danno che potrebbe prodursi qualora l’errore impedisse la realizzazione degli interessi di entrambe. Si tratterà, in altri termini, di analizzare se, contrariamente alla irrilevanza giuridica della equivalenza di valore tra le prestazioni dei contratti commutativi, possano avere rilevanza parametri di determinazione del corrispettivo della cessione, estranei all’oggetto immediato del trasferimento. Il contratto in argomento ha subìto una notevole evoluzione quanto alle modalità di negoziazione ed alle tecniche di stesura e formulazione, senza mancare di recepire le prassi della lex mercatoria e la tradizione anglosassone e statunitense. E’ noto come la cessione a titolo oneroso di partecipazioni sociali – generalmente di società di capitali – sia disciplinata dalle norme in tema di vendita nonché dalle regole peculiari per il trasferimento delle partecipazioni medesime, specialmente per forma e pubblicità, funzionale quest’ultima a rendere opponibile il trasferimento sia ai terzi sia alla società. Tuttavia, il ruolo del consulente si aggrava, laddove le parti – ragionevolmente – vogliano munire l’operazione di cautele, per garantire l’equilibrio economico dello scambio tra le partecipazioni, l’azienda cui esse si riferiscono e l’ammontare del prezzo, commisurato appunto al valore reale delle quote trasferite. Tale complicazione è innanzitutto dovuta alle caratteristiche di eterogeneità e dinamicità del bene azienda in sé e di ciascuna tipologia di azienda, nonché alla molteplicità dei metodi di valutazione della stessa; ciò costringe a stabilire quantomeno termini convenzionali di decadenza per l’esperibilità dei rimedi, ovvero a concordare tetti massimi di indennizzi o risarcimenti, pur nel rispetto dei divieti alla limitazione della responsabilità. Il nostro ordinamento non conosce un contratto che risponda specificamente a tali esigenze, ma soprattutto non accoglie il principio forme di tutela dell’equivalenza economica tra le prestazioni dei contratti commutativi. Il contratto de quo, tuttavia, pone specificamente il problema dell’allocazione del rischio economico, ossia della scelta del contraente su cui far gravare il rischio che, successivamente al closing, divengano palesi caratteri e qualità dell’azienda, i cui presupposti sussistevano già al tempo delle trattative. La prassi ha teso a comporre gli interessi delle parti con clausole pattizie a tutela dei contraenti ed in particolare dell’acquirente, sulla scorta di modelli legali già noti – fra tutti, le garanzie a carico del venditore – nonché di modelli contrattuali anglosassoni; per questi ultimi, tuttavia, sarà necessario effettuare un giudizio di compatibilità ovvero di riqualificazione e riformulazione delle clausole, secondo princìpi e norme italiani. Dallo studio preliminare del materiale dottrinale e giurisprudenziale, in un’ottica di mera ricostruzione cronologica, è emersa con evidenza l’evoluzione storica delle problematiche e della redazione di tale contratto, segnata da una progressiva maggiore articolazione della struttura e dal recepimento di modelli stranieri. Basti, in questa introduzione, precisare che l’evoluzione della redazione del contratto de quo è consistita nella progressiva presa di coscienza da parte degli operatori della necessità non solo di patti che pongano a carico del venditore il rischio di vizi, mancanza di qualità e minusvalenze del patrimonio aziendale, ma anche di clausole riferite alla redditività della società; ad esse, peraltro, si accompagnano accordi che, esplicitamente o indirettamente, stabiliscono l’irresolubilità del contratto e prevedono una rinegoziazione delle condizioni economiche dello scambio, al verificarsi di eventi determinati. Si tratterà dunque di tentare di definire natura e funzione delle cautele negoziali predisposte dalle parti e valutare altresì i limiti all’autonomia privata nel determinare le conseguenze dell’inadempimento delle stesse. Tali cautele, peraltro, non debbono essere intese come predisposte a sola tutela dell’acquirente, dal momento che il dinamismo dell’azienda induce necessariamente a proteggere anche il venditore dal possibile uso strumentale delle richieste di indennizzo e/o risarcimento da parte del cessionario, a notevole distanza di tempo rispetto alla conclusione dell’accordo. Al riguardo, cercheremo di dimostrare – anche sulla scorta di esortazioni in tal senso formulate da autorevole dottrina – che il recepimento di modelli anglosassoni in materia non possa e non debba essere acritico. Al contrario, lo studio della compatibilità delle clausole anglosassoni con la nostra tradizione ed i nostri princìpi è la sfida più interessante e stimolante; si tratta di verificare se il recepimento di clausole possa invitare a scoprire nuovi confini dell’autonomia privata ovvero a considerare più approfonditamente la categoria dell’obbligazione cosiddetta di garanzia. Tutto ciò invita a rivitalizzare il ruolo del consulente legale italiano, che non può esimersi dal valutare la compatibilità di tali clausole con princìpi inderogabili o cd. norme materiali del nostro ordinamento, pur di non correre il rischio di aderire superficialmente al modello contrattuale straniero e ridurre i patti apposti a mere clausole di stile. Tali problematiche sono state messe in luce da autorevole dottrina che, elaborando di recente la nozione di «contratto alieno», ha evidenziato i rischi della supina accettazione di modelli contrattuali estranei alla nostra tradizione. A ciò si aggiunga che, come cercheremo di dimostrare, le esigenze delle parti contraenti possono essere soddisfatte mediante strumenti del nostro ordinamento, sia nella fase delle trattative, sia nella fase conclusiva dell’accordo, sia nell’eventuale e non infrequente fase patologica. L’operatore deve, a fatica, abbandonare strutture proprie della tradizione anglosassone, per indagare quali istituti italiani possano essere invocati ed applicati e per tradurre in termini giuridici le intenzioni e gli interessi delle parti. Come emergerà nel corso della trattazione, a nostro parere, il contratto in esame mette alla prova il consulente, spesso protagonista della fase della cd. due diligence, in quanto il recepimento di modelli contrattuali stranieri rischia di condurre al paradosso di non riuscire ad apprestare tutela a chi non ha verificato la compatibilità delle clausole in essi contenute con princìpi e norme del nostro ordinamento. L’inquadramento dei primi due capitoli consentirà di vagliare la tesi, esposta nel terzo, secondo cui le cautele pattizie – esulando sia dalla struttura sinallagmatica del contratto di vendita sia dalle garanzie ex lege gravanti sul venditore – sono strumenti di ripartizione convenzionale del rischio economico. Se i rimedi riconoscimento internazionale, nella consapevolezza della eterogeneità economica delle reti di carattere legale non danno risposta adeguata alla tutela dell’equità economica dello scambio, le cautele pattizie, dal canto loro – operando al di fuori del sinallagma contrattuale della vendita – sono funzionali ad attribuire rilevanza giuridica a quei fattori che, sebbene estranei alle partecipazioni sociali trasferite, hanno avuto rilievo economico nella determinazione del prezzo. Contrariamente a quanto sinora affermato sia in dottrina che in giurisprudenza, intendiamo inoltre provare che l’esigenza di tutela dell’acquirente si pone anche nel caso in cui l’ammontare della partecipazione sociale ceduta non sia tale da trasferire il cd. controllo della società; tale dimostrazione, oltre a basarsi sulla relatività della nozione stessa di “controllo”, che non coincide necessariamente con la maggioranza o la totalità delle partecipazioni sociali, si incentrerà sul metodo per rendere giuridicamente rilevanti i parametri economico-aziendalistico-contabili applicati per la determinazione del prezzo. In termini generali, si tratterà di vagliare l’ipotesi secondo cui le parti contraenti possano convenzionalmente assegnare rilevanza giuridica al valore economico del bene. Ciò parrebbe possibile mediante cautele pattizie con cui il venditore assuma il rischio – di regola gravante sull’acquirente, anche in virtù del principio dell’equivalenza meramente soggettiva delle prestazioni dedotte in un contratto sinallagmatico – della discrepanza tra valore del bene oggetto di scambio e corrispettivo pattuito. Strumento per ottenere tale effetto giuridico sarebbe la previsione di clausole di garanzia – per taluni aventi funzione assicurativa – con cui il cedente si addossa il rischio del verificarsi di un fatto, considerato dalle parti fattispecie costitutiva di un’obbligazione, con il conseguente sorgere dell’obbligo di corresponsione di un indennizzo da parte del venditore-garante. Da ciò deriva la scelta frequente di posticipare la corresponsione di parte del prezzo della cessione, ad esempio con clausole di deposito – cd. escrow –, potendo i contraenti scegliere di compensare l’obbligo dell’acquirente al versamento di parte del prezzo con l’obbligo – divenuto attuale al verificarsi dell’evento dedotto nel contratto – di indennizzo del venditoreimprese.

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Samples: Contratto Di Rete

PREFAZIONE. Oggetto L’apprendistato è una tipologia di analisi è il contratto di cessione a titolo oneroso di partecipazioni sociali, con particolare riferimento alle cautele pattizie utili alla ripartizione finalizzato all'inserimento nel mondo del rischio economico, connesso alla possibile divergenza tra valore dell’azienda e prezzo convenuto. Non è escluso che, con opportuni adattamenti, le osservazioni che condurremo possano attagliarsi anche ad altri strumenti di acquisizione di imprese, quali conferimenti di aziende, permute di partecipazioni, fusioni, scissioni, ed in generale ipotesi di cessione di beni aventi quale corrispettivo il trasferimento di partecipazioni sociali, nonché al recente istituto del patto di famiglia. Abbiamo tuttavia circoscritto l’indagine al diffuso contratto di acquisizione o sale and purchase agreement, strumento negoziale al quale le parti ricorrono per ottenere, mediante il formale trasferimento lavoro delle partecipazioni sociali di una società operativa, anche il “passaggio” dei beni costituenti il patrimonio aziendale della società medesima. Laddove si consideri, infattigiovani risorse, che non solo l’esercizio consente loro di attività economiche ma anche la gestione di patrimoni privati avviene sotto la veste societaria, è di tutta evidenza come il mutamento di gestione delle imprese sia spesso conseguenza del trasferimento delle partecipazioni sociali. Dopo un inquadramento generale, concentreremo l’attenzione sulla problematica dell’allocazione del rischio economico insito in tale genere di contrattazione, ossia l’eventuale e possibile discrepanza tra valore del patrimonio aziendale e corrispettivo pattuito per la cessione delle partecipazioni sociali, al fine di distribuire tra le parti il danno che potrebbe prodursi qualora l’errore impedisse la realizzazione degli interessi di entrambeacquisire una qualifica professionale. Si tratterà, in altri termini, tratta di analizzare se, contrariamente alla irrilevanza giuridica della equivalenza di valore tra le prestazioni dei contratti commutativi, possano avere rilevanza parametri di determinazione del corrispettivo della cessione, estranei all’oggetto immediato del trasferimento. Il contratto in argomento ha subìto una notevole evoluzione quanto alle modalità di negoziazione ed alle tecniche di stesura e formulazione, senza mancare di recepire le prassi della lex mercatoria e la tradizione anglosassone e statunitense. E’ noto come la cessione a titolo oneroso di partecipazioni sociali – generalmente di società di capitali – sia disciplinata dalle norme in tema di vendita nonché dalle regole peculiari per il trasferimento delle partecipazioni medesime, specialmente per forma e pubblicità, funzionale quest’ultima a rendere opponibile il trasferimento sia ai terzi sia alla società. Tuttavia, il ruolo del consulente si aggrava, laddove le parti – ragionevolmente – vogliano munire l’operazione di cautele, per garantire l’equilibrio economico dello scambio tra le partecipazioni, l’azienda cui esse si riferiscono e l’ammontare del prezzo, commisurato appunto al valore reale delle quote trasferite. Tale complicazione è innanzitutto dovuta alle caratteristiche di eterogeneità e dinamicità del bene azienda in sé e di ciascuna tipologia di azienda, nonché alla molteplicità dei metodi di valutazione della stessa; ciò costringe a stabilire quantomeno termini convenzionali di decadenza per l’esperibilità dei rimedi, ovvero a concordare tetti massimi di indennizzi o risarcimenti, pur nel rispetto dei divieti alla limitazione della responsabilità. Il nostro ordinamento non conosce un contratto che risponda specificamente fa la sua comparsa nell’ordinamento italiano nel 1955 e attraverso varie revisioni normative ha via via acquisito un crescente peso nel mercato del lavoro del nostro Paese. Diversamente da quanto avveniva in passato, il nuovo contratto di apprendistato ha l’obiettivo di formare i giovani, non per una singola attività lavorativa, ma, più in generale, per il loro ingresso in un mondo del lavoro sempre più globale, in costante evoluzione, che si è molto arricchito in termini di complessità e attitudine al cambiamento. Proprio in funzione di questa specifica finalità formativa, nel corso degli anni, il legislatore ha costantemente riconosciuto all’apprendistato un sistema stabile di agevolazioni previdenziali. In questo lavoro abbiamo voluto soffermarci sull’apprendistato di primo livello, così come consolidatosi con il Jobs Act del 2015, che si rivolge a giovani adolescenti (che hanno compiuto i 15 anni e sino al compimento dei 25 anni) ed è finalizzato al conseguimento di una qualifica professionale, un diploma di istruzione secondaria superiore o una qualifica post diploma (IFTS). Questa tipologia di contratto regola un rapporto di lavoro a tempo indeterminato nel quale viene riconosciuto uno specifico ruolo educativo anche all’impresa, che si impegna a trasmettere all’apprendista competenze pratiche e conoscenze tecnico-professionali complementari a quelle già acquisite in ambito scolastico, operando in stretto raccordo con l’istituto formativo di riferimento. Xxxxxxx voluto iniziare proprio dai casi pratici di applicazione dell’apprendistato di primo livello, mettendo attorno a un tavolo i diversi attori coinvolti e cercando di far emergere da un lato le principali buone pratiche, dall’altro eventuali criticità e aspetti cui prestare particolare attenzione. Tutto ciò con il fine di sostenere una maggiore diffusione di questa tipologia di contratto, fornire alle imprese utili indicazioni e fare chiarezza sull’interpretazione di una normativa ancora poco esplorata e non del tutto esaustiva, avvalendoci della collaborazione di giuslavoristi esperti. Siamo convinti che, in questo particolare periodo storico, il tessuto imprenditoriale del nostro territorio abbia bisogno di innovarsi costantemente per mantenersi competitivo; è quindi fondamentale un significativo investimento da parte delle aziende sulle persone che operano al loro interno, e la strategicità di tale investimento molto spesso si traduce in una collaborazione tra enti formativi e imprese stesse. Siamo altresì consapevoli che tali esigenzeinvestimenti a lungo termine vadano sempre più incoraggiati e sostenuti, ma soprattutto non accoglie nell’interesse di un mercato del lavoro vivace e dinamico che faciliti l’addestramento professionale delle giovani risorse, la competitività e la continuità delle imprese e il principio di tutela dell’equivalenza economica tra le prestazioni dei contratti commutativi. Il contratto de quo, tuttavia, pone specificamente il problema dell’allocazione potenziamento del rischio economico, ossia della scelta del contraente capitale umano su cui far gravare il rischio che, successivamente al closing, divengano palesi caratteri e qualità dell’azienda, i cui presupposti sussistevano già al tempo delle trattative. La prassi ha teso a comporre gli interessi delle parti con clausole pattizie a tutela dei contraenti ed in particolare dell’acquirente, sulla scorta di modelli legali già noti – fra tutti, affidamento per affrontare le garanzie a carico del venditore – nonché di modelli contrattuali anglosassoni; per questi ultimi, tuttavia, sarà necessario effettuare un giudizio di compatibilità ovvero di riqualificazione e riformulazione delle clausole, secondo princìpi e norme italiani. Dallo studio preliminare del materiale dottrinale e giurisprudenziale, in un’ottica di mera ricostruzione cronologica, è emersa con evidenza l’evoluzione storica delle problematiche nuove sfide dell’innovazione e della redazione di tale contrattotrasformazione digitale in atto. Vicepresidente Assolombarda Confindustria Xxxxxx, segnata da una progressiva maggiore articolazione della struttura e dal recepimento di modelli stranieri. BastiXxxxx x Xxxxxxx, in questa introduzione, precisare che l’evoluzione della redazione del contratto de quo è consistita nella progressiva presa di coscienza da parte degli operatori della necessità non solo di patti che pongano a carico del venditore il rischio di vizi, mancanza di qualità e minusvalenze del patrimonio aziendale, ma anche di clausole riferite alla redditività della società; ad esse, peraltro, si accompagnano accordi che, esplicitamente o indirettamente, stabiliscono l’irresolubilità del contratto e prevedono una rinegoziazione delle condizioni economiche dello scambio, al verificarsi di eventi determinati. Si tratterà dunque di tentare di definire natura e funzione delle cautele negoziali predisposte dalle parti e valutare altresì i limiti all’autonomia privata nel determinare le conseguenze dell’inadempimento delle stesse. Tali cautele, peraltro, non debbono essere intese come predisposte a sola tutela dell’acquirente, dal momento che il dinamismo dell’azienda induce necessariamente a proteggere anche il venditore dal possibile uso strumentale delle richieste di indennizzo e/o risarcimento da parte del cessionario, a notevole distanza di tempo rispetto alla conclusione dell’accordo. Al riguardo, cercheremo di dimostrare – anche sulla scorta di esortazioni in tal senso formulate da autorevole dottrina – che il recepimento di modelli anglosassoni in materia non possa e non debba essere acritico. Al contrario, lo studio della compatibilità delle clausole anglosassoni con la nostra tradizione ed i nostri princìpi è la sfida più interessante e stimolante; si tratta di verificare se il recepimento di clausole possa invitare a scoprire nuovi confini dell’autonomia privata ovvero a considerare più approfonditamente la categoria dell’obbligazione cosiddetta di garanzia. Tutto ciò invita a rivitalizzare il ruolo del consulente legale italiano, che non può esimersi dal valutare la compatibilità di tali clausole con princìpi inderogabili o cd. norme materiali del nostro ordinamento, pur di non correre il rischio di aderire superficialmente al modello contrattuale straniero e ridurre i patti apposti a mere clausole di stile. Tali problematiche sono state messe in luce da autorevole dottrina che, elaborando di recente la nozione di «contratto alieno», ha evidenziato i rischi della supina accettazione di modelli contrattuali estranei alla nostra tradizione. A ciò si aggiunga che, come cercheremo di dimostrare, le esigenze delle parti contraenti possono essere soddisfatte mediante strumenti del nostro ordinamento, sia nella fase delle trattative, sia nella fase conclusiva dell’accordo, sia nell’eventuale e non infrequente fase patologica. L’operatore deve, a fatica, abbandonare strutture proprie della tradizione anglosassone, per indagare quali istituti italiani possano essere invocati ed applicati e per tradurre in termini giuridici le intenzioni e gli interessi delle parti. Come emergerà nel corso della trattazione, a nostro parere, il contratto in esame mette alla prova il consulente, spesso protagonista della fase della cd. due diligence, in quanto il recepimento di modelli contrattuali stranieri rischia di condurre al paradosso di non riuscire ad apprestare tutela a chi non ha verificato la compatibilità delle clausole in essi contenute con princìpi e norme del nostro ordinamento. L’inquadramento dei primi due capitoli consentirà di vagliare la tesi, esposta nel terzo, secondo cui le cautele pattizie – esulando sia dalla struttura sinallagmatica del contratto di vendita sia dalle garanzie ex lege gravanti sul venditore – sono strumenti di ripartizione convenzionale del rischio economico. Se i rimedi di carattere legale non danno risposta adeguata alla tutela dell’equità economica dello scambio, le cautele pattizie, dal canto loro – operando al di fuori del sinallagma contrattuale della vendita – sono funzionali ad attribuire rilevanza giuridica a quei fattori che, sebbene estranei alle partecipazioni sociali trasferite, hanno avuto rilievo economico nella determinazione del prezzo. Contrariamente a quanto sinora affermato sia in dottrina che in giurisprudenza, intendiamo inoltre provare che l’esigenza di tutela dell’acquirente si pone anche nel caso in cui l’ammontare della partecipazione sociale ceduta non sia tale da trasferire il cd. controllo della società; tale dimostrazione, oltre a basarsi sulla relatività della nozione stessa di “controllo”, che non coincide necessariamente con la maggioranza o la totalità delle partecipazioni sociali, si incentrerà sul metodo per rendere giuridicamente rilevanti i parametri economico-aziendalistico-contabili applicati per la determinazione del prezzo. In termini generali, si tratterà di vagliare l’ipotesi secondo cui le parti contraenti possano convenzionalmente assegnare rilevanza giuridica al valore economico del bene. Ciò parrebbe possibile mediante cautele pattizie con cui il venditore assuma il rischio – di regola gravante sull’acquirente, anche in virtù del principio dell’equivalenza meramente soggettiva delle prestazioni dedotte in un contratto sinallagmatico – della discrepanza tra valore del bene oggetto di scambio e corrispettivo pattuito. Strumento per ottenere tale effetto giuridico sarebbe la previsione di clausole di garanzia – per taluni aventi funzione assicurativa – con cui il cedente si addossa il rischio del verificarsi di un fatto, considerato dalle parti fattispecie costitutiva di un’obbligazione, con il conseguente sorgere dell’obbligo di corresponsione di un indennizzo da parte del venditore-garante. Da ciò deriva la scelta frequente di posticipare la corresponsione di parte del prezzo della cessione, ad esempio con clausole di deposito – cd. escrow –, potendo i contraenti scegliere di compensare l’obbligo dell’acquirente al versamento di parte del prezzo con l’obbligo – divenuto attuale al verificarsi dell’evento dedotto nel contratto – di indennizzo del venditore.Xxxx

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Samples: Apprendistato Di Primo Livello

PREFAZIONE. Oggetto La relazione annuale sullo stato di attuazione del “Piano Triennale di contrasto allo sfruttamento lavorativo in agricoltura e al caporalato” rappresenta un fondamentale momento di analisi e sintesi che intreccia fattori trasversali di grande complessità. Oltre a rispondere alla previsione di cui all’art. 9 della legge del 29 ottobre 2016 n.199, il documento è il contratto frutto del confronto tra tutti gli attori coinvolti nella prevenzione e nel contrasto ai fenomeni dello sfruttamento lavorativo in agricoltura; la condivisione di cessione a titolo oneroso questo obiettivo rappresenta la cifra di partecipazioni questa operazione ed è un risultato importante e non affatto scontato. Per questa motivazione, oltre il dispositivo della norma, alla stesura della presente relazione hanno partecipato, assieme al Ministero del Lavoro e delle politiche sociali (MLPS), al Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali (MIPAAF) e al Ministero dell’Interno, i rappresentanti delle Regioni e tutti i coordinatori dei Gruppi tematici afferenti al “Tavolo operativo per la definizione di una nuova strategia di contrasto al caporalato e allo sfruttamento lavorativo in agricoltura (Tavolo)”. Il Tavolo, presieduto dal Ministro del Lavoro e delle politiche sociali, con particolare riferimento alle cautele pattizie utili alla ripartizione rappresenta, per il triennio 2020-22, l’organismo interistituzionale di indirizzo e coordinamento delle politiche di prevenzione e contrasto allo sfruttamento lavorativo e al caporalato nel settore agricolo. Le riunioni, come previsto dalla norma istitutiva (art. 25 quater D.L. del rischio economico23 ottobre 2018 n. 119, connesso alla possibile divergenza tra valore dell’azienda e prezzo convenuto. Non è escluso checome convertito, con opportuni adattamentimodificazioni, dalla legge del 17 dicembre 2018 n. 136), vedono la partecipazione di tutte le osservazioni che condurremo possano attagliarsi anche ad altri strumenti amministrazioni nazionali coinvolte, delle Regioni, degli Enti locali (attraverso l’Associazione Nazionale Comuni Italiani ANCI), dei sindacati, dei rappresentanti dei datori di acquisizione di imprese, quali conferimenti di aziende, permute di partecipazioni, fusioni, scissioni, ed in generale ipotesi di cessione di beni aventi quale corrispettivo il trasferimento di partecipazioni sociali, nonché al recente istituto lavoro del patto di famigliasettore e delle principali associazioni del Terzo Settore. Abbiamo tuttavia circoscritto l’indagine al diffuso contratto di acquisizione o sale and purchase agreement, strumento negoziale al quale le parti ricorrono per ottenere, mediante il formale trasferimento delle partecipazioni sociali di una società operativa, anche il “passaggio” dei beni costituenti il patrimonio aziendale della società medesima. Laddove si consideri, infatti, che non solo l’esercizio di attività economiche ma anche la gestione di patrimoni privati avviene sotto la veste societaria, è di tutta evidenza come il mutamento di gestione delle imprese sia spesso conseguenza del trasferimento delle partecipazioni sociali. Dopo un inquadramento generale, concentreremo l’attenzione sulla problematica dell’allocazione del rischio economico insito in tale genere di contrattazione, ossia l’eventuale e possibile discrepanza tra valore del patrimonio aziendale e corrispettivo pattuito per la cessione delle partecipazioni sociali, al fine di distribuire tra le parti il danno che potrebbe prodursi qualora l’errore impedisse la realizzazione degli interessi di entrambe. Si tratteràCome noto, in altri termini, considerazione della complessità e della trasversalità dell’azione di analizzare se, contrariamente alla irrilevanza giuridica della equivalenza di valore tra le prestazioni dei contratti commutativi, possano avere rilevanza parametri di determinazione contrasto ai fenomeni del corrispettivo della cessione, estranei all’oggetto immediato caporalato e dello sfruttamento del trasferimento. Il contratto in argomento ha subìto una notevole evoluzione quanto alle modalità di negoziazione ed alle tecniche di stesura e formulazione, senza mancare di recepire le prassi della lex mercatoria e la tradizione anglosassone e statunitense. E’ noto come la cessione a titolo oneroso di partecipazioni sociali – generalmente di società di capitali – sia disciplinata dalle norme in tema di vendita nonché dalle regole peculiari per il trasferimento delle partecipazioni medesime, specialmente per forma e pubblicità, funzionale quest’ultima a rendere opponibile il trasferimento sia ai terzi sia alla società. Tuttavia, il ruolo del consulente si aggrava, laddove le parti – ragionevolmente – vogliano munire l’operazione di cautele, per garantire l’equilibrio economico dello scambio tra le partecipazioni, l’azienda cui esse si riferiscono e l’ammontare del prezzo, commisurato appunto al valore reale delle quote trasferite. Tale complicazione è innanzitutto dovuta alle caratteristiche di eterogeneità e dinamicità del bene azienda in sé e di ciascuna tipologia di azienda, nonché alla molteplicità dei metodi di valutazione della stessa; ciò costringe a stabilire quantomeno termini convenzionali di decadenza per l’esperibilità dei rimedi, ovvero a concordare tetti massimi di indennizzi o risarcimenti, pur lavoro nel rispetto dei divieti alla limitazione della responsabilità. Il nostro ordinamento non conosce un contratto che risponda specificamente a tali esigenze, ma soprattutto non accoglie il principio di tutela dell’equivalenza economica tra le prestazioni dei contratti commutativi. Il contratto de quo, tuttavia, pone specificamente il problema dell’allocazione del rischio economico, ossia della scelta del contraente su cui far gravare il rischio che, successivamente al closing, divengano palesi caratteri e qualità dell’aziendasettore agricolo, i cui presupposti sussistevano già al tempo delle trattative. La prassi ha teso a comporre gli interessi delle parti con clausole pattizie a tutela lavori del Tavolo sono stati organizzati in sei Gruppi tematici coordinati, ratione materiae, da altrettante Organizzazioni capofila: (i) prevenzione vigilanza e repressione del fenomeno del caporalato - Ispettorato Nazionale del lavoro (INL) ; (ii) filiera produttiva agroalimentare, prezzi dei contraenti ed in particolare dell’acquirente, sulla scorta prodotti agricoli - MIPAAF; (iii) Intermediazione tra domanda e offerta di modelli legali già noti – fra tutti, le garanzie a carico lavoro e valorizzazione dei Centri per l’impiego - Agenzia Nazionale Politiche Attive del venditore – nonché di modelli contrattuali anglosassoni; per questi ultimi, tuttavia, sarà necessario effettuare un giudizio di compatibilità ovvero di riqualificazione e riformulazione delle clausole, secondo princìpi e norme italiani. Dallo studio preliminare del materiale dottrinale e giurisprudenziale, in un’ottica di mera ricostruzione cronologica, è emersa con evidenza l’evoluzione storica delle problematiche e della redazione di tale contratto, segnata da una progressiva maggiore articolazione della struttura e dal recepimento di modelli stranieri. Basti, in questa introduzione, precisare che l’evoluzione della redazione del contratto de quo è consistita nella progressiva presa di coscienza da parte degli operatori della necessità non solo di patti che pongano a carico del venditore il rischio di vizi, mancanza di qualità e minusvalenze del patrimonio aziendale, ma anche di clausole riferite alla redditività della società; ad esse, peraltro, si accompagnano accordi che, esplicitamente o indirettamente, stabiliscono l’irresolubilità del contratto e prevedono una rinegoziazione delle condizioni economiche dello scambio, al verificarsi di eventi determinati. Si tratterà dunque di tentare di definire natura e funzione delle cautele negoziali predisposte dalle parti e valutare altresì i limiti all’autonomia privata nel determinare le conseguenze dell’inadempimento delle stesse. Tali cautele, peraltro, non debbono essere intese come predisposte a sola tutela dell’acquirente, dal momento che il dinamismo dell’azienda induce necessariamente a proteggere anche il venditore dal possibile uso strumentale delle richieste di indennizzo e/o risarcimento da parte del cessionario, a notevole distanza di tempo rispetto alla conclusione dell’accordo. Al riguardo, cercheremo di dimostrare – anche sulla scorta di esortazioni in tal senso formulate da autorevole dottrina – che il recepimento di modelli anglosassoni in materia non possa e non debba essere acritico. Al contrario, lo studio della compatibilità delle clausole anglosassoni con la nostra tradizione ed i nostri princìpi è la sfida più interessante e stimolante; si tratta di verificare se il recepimento di clausole possa invitare a scoprire nuovi confini dell’autonomia privata ovvero a considerare più approfonditamente la categoria dell’obbligazione cosiddetta di garanzia. Tutto ciò invita a rivitalizzare il ruolo del consulente legale italiano, che non può esimersi dal valutare la compatibilità di tali clausole con princìpi inderogabili o cd. norme materiali del nostro ordinamento, pur di non correre il rischio di aderire superficialmente al modello contrattuale straniero e ridurre i patti apposti a mere clausole di stile. Tali problematiche sono state messe in luce da autorevole dottrina che, elaborando di recente la nozione di «contratto alieno», ha evidenziato i rischi della supina accettazione di modelli contrattuali estranei alla nostra tradizione. A ciò si aggiunga che, come cercheremo di dimostrare, le esigenze delle parti contraenti possono essere soddisfatte mediante strumenti del nostro ordinamento, sia nella fase delle trattative, sia nella fase conclusiva dell’accordo, sia nell’eventuale e non infrequente fase patologica. L’operatore deve, a fatica, abbandonare strutture proprie della tradizione anglosassone, per indagare quali istituti italiani possano essere invocati ed applicati e per tradurre in termini giuridici le intenzioni e gli interessi delle parti. Come emergerà nel corso della trattazione, a nostro parere, il contratto in esame mette alla prova il consulente, spesso protagonista della fase della cd. due diligence, in quanto il recepimento di modelli contrattuali stranieri rischia di condurre al paradosso di non riuscire ad apprestare tutela a chi non ha verificato la compatibilità delle clausole in essi contenute con princìpi e norme del nostro ordinamento. L’inquadramento dei primi due capitoli consentirà di vagliare la tesi, esposta nel terzo, secondo cui le cautele pattizie – esulando sia dalla struttura sinallagmatica del contratto di vendita sia dalle garanzie ex lege gravanti sul venditore – sono strumenti di ripartizione convenzionale del rischio economico. Se i rimedi di carattere legale non danno risposta adeguata alla tutela dell’equità economica dello scambio, le cautele pattizie, dal canto loro – operando al di fuori del sinallagma contrattuale della vendita – sono funzionali ad attribuire rilevanza giuridica a quei fattori che, sebbene estranei alle partecipazioni sociali trasferite, hanno avuto rilievo economico nella determinazione del prezzo. Contrariamente a quanto sinora affermato sia in dottrina che in giurisprudenza, intendiamo inoltre provare che l’esigenza di tutela dell’acquirente si pone anche nel caso in cui l’ammontare della partecipazione sociale ceduta non sia tale da trasferire il cd. controllo della società; tale dimostrazione, oltre a basarsi sulla relatività della nozione stessa di “controllo”, che non coincide necessariamente con la maggioranza o la totalità delle partecipazioni sociali, si incentrerà sul metodo per rendere giuridicamente rilevanti i parametri economico-aziendalistico-contabili applicati per la determinazione del prezzo. In termini generali, si tratterà di vagliare l’ipotesi secondo cui le parti contraenti possano convenzionalmente assegnare rilevanza giuridica al valore economico del bene. Ciò parrebbe possibile mediante cautele pattizie con cui il venditore assuma il rischio – di regola gravante sull’acquirente, anche in virtù del principio dell’equivalenza meramente soggettiva delle prestazioni dedotte in un contratto sinallagmatico – della discrepanza tra valore del bene oggetto di scambio e corrispettivo pattuito. Strumento per ottenere tale effetto giuridico sarebbe la previsione di clausole di garanzia – per taluni aventi funzione assicurativa – con cui il cedente si addossa il rischio del verificarsi di un fatto, considerato dalle parti fattispecie costitutiva di un’obbligazione, con il conseguente sorgere dell’obbligo di corresponsione di un indennizzo da parte del venditore-garante. Da ciò deriva la scelta frequente di posticipare la corresponsione di parte del prezzo della cessione, ad esempio con clausole di deposito – cd. escrow –, potendo i contraenti scegliere di compensare l’obbligo dell’acquirente al versamento di parte del prezzo con l’obbligo – divenuto attuale al verificarsi dell’evento dedotto nel contratto – di indennizzo del venditore.Lavoro (ANPAL);

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Samples: Piano Triennale Di Contrasto Allo Sfruttamento Lavorativo in Agricoltura E Al Caporalato

PREFAZIONE. Oggetto A cura di analisi Xxxxxx Xxxxxxxxx, Presidente della Società italiana di farmacia ospedaliera e dei servizi farmaceutici delle aziende sanitarie (SIFO) ra le conseguenze dell’emergenza sanitaria che si è il contratto abbattuta sui ser- vizi sanitari mondiali a partire dai primi mesi del 2020, si è assistito alla tragica carenza di cessione a titolo oneroso alcune tipologie di partecipazioni socialifarmaci e dispositivi medici, con particolare riferimento alle cautele pattizie utili alla ripartizione del rischio economicoin molti casi salvavita, connesso alla possibile divergenza tra valore dell’azienda e prezzo convenuto. Non è escluso che, con opportuni adattamenti, le osservazioni che condurremo possano attagliarsi anche ad altri strumenti di acquisizione di imprese, quali conferimenti di aziende, permute di partecipazioni, fusioni, scissioni, ed in generale ipotesi di cessione di beni aventi quale corrispettivo il trasferimento di partecipazioni sociali, nonché al recente istituto del patto di famiglia. Abbiamo tuttavia circoscritto l’indagine al diffuso contratto di acquisizione o sale and purchase agreement, strumento negoziale al quale le parti ricorrono per ottenere, mediante il formale trasferimento delle partecipazioni sociali di una società operativa, anche il “passaggio” dei beni costituenti il patrimonio aziendale della società medesima. Laddove si consideri, infatti, che dovuta non solo l’esercizio di attività economiche al loro ingente e imprevisto con- sumo, ma anche la gestione alla rigidità con cui le direzioni di patrimoni privati avviene sotto la veste societaria, è di tutta evidenza come il mutamento di gestione delle imprese sia spesso conseguenza del trasferimento delle partecipazioni sociali. Dopo un inquadramento generale, concentreremo l’attenzione sulla problematica dell’allocazione del rischio economico insito in tale genere di contrattazione, ossia l’eventuale e possibile discrepanza tra valore del patrimonio aziendale e corrispettivo pattuito per la cessione delle partecipazioni sociali, al fine di distribuire tra alcuni centri ospeda- lieri hanno attuato le parti il danno che potrebbe prodursi qualora l’errore impedisse la realizzazione degli interessi di entrambe. Si tratterà, in altri termini, di analizzare se, contrariamente alla irrilevanza giuridica della equivalenza di valore tra le prestazioni dei contratti commutativi, possano avere rilevanza parametri di determinazione del corrispettivo della cessione, estranei all’oggetto immediato del trasferimento. Il contratto in argomento ha subìto una notevole evoluzione quanto alle modalità di negoziazione ed alle tecniche di stesura e formulazione, senza mancare di recepire le prassi della lex mercatoria e la tradizione anglosassone e statunitense. E’ noto come la cessione a titolo oneroso di partecipazioni sociali – generalmente di società di capitali – sia disciplinata dalle norme vigenti in tema di vendita nonché dalle regole peculiari public procurement. Le istituzioni hanno tentato di rispondere al rallentamento delle procedure di acquisizione con il cosiddetto Decreto Semplificazioni (dl 16 luglio 2020, n. 76), che consente di accelerare i contratti sopra e sotto soglia, amplia le possibilità di ricorso agli affidamenti diretti e alle procedure negoziate senza previa pubblicazione del bando, prevede procedure d’urgenza per il trasferimento rilascio del certificato antimafia, e permette di avviare le procedure di affidamento di lavori, servizi e forniture anche in man- canza di una specifica previsione nei documenti di programmazione. Le novità introdotte dal decreto, se da una parte sollevano il sistema da adempimenti amministrativi oggi impraticabili, dall’altra costituiscono un surplus normativo la cui profonda conoscenza è prerequisito per l’ot- tenimento del vantaggio che implicano. Nel solco di una collaborazione nata allo scopo di comprendere e far comprendere il Nuovo codice degli appalti, dapprima nelle sue premesse teoriche, poi nelle sue applicazioni pratiche, la Società italiana di farmacia ospedaliera e dei servizi farma- ceutici delle partecipazioni medesime, specialmente per forma aziende sanitarie e pubblicità, funzionale quest’ultima la Federazione delle associazioni regio- nali degli economi e provveditori della sanità si apprestano a rendere opponibile pubblica- re il trasferimento sia ai terzi sia alla società. Tuttaviapresente manuale, il ruolo quinto della collana, contenente gli aggiornamenti normativi di recente pubblicazione e alcuni approfondi- menti paradigmatici. Consultazioni preliminari del consulente si aggravamercato, laddove le parti – ragionevolmente – vogliano munire l’operazione natura dell’affidamento diretto, rating dei fornitori, parametri qualitativi da valorizzare in gara sono alcuni degli aspetti che i numerosi pronuncia- menti giurisprudenziali hanno rischiato di cautele, per garantire l’equilibrio economico dello scambio tra le partecipazioni, l’azienda cui esse si riferiscono confondere anziché elucidare e l’ammontare del prezzo, commisurato appunto al valore reale delle quote trasferite. Tale complicazione è innanzitutto dovuta alle caratteristiche che necessitano di eterogeneità e dinamicità del bene azienda in sé e di ciascuna tipologia di azienda, nonché alla molteplicità dei metodi di valutazione della stessa; ciò costringe a stabilire quantomeno termini convenzionali di decadenza per l’esperibilità dei rimedi, ovvero a concordare tetti massimi di indennizzi o risarcimenti, pur nel rispetto dei divieti alla limitazione della responsabilità. Il nostro ordinamento non conosce un contratto che risponda specificamente a tali esigenze, ma soprattutto non accoglie il principio di tutela dell’equivalenza economica tra le prestazioni dei contratti commutativi. Il contratto de quo, tuttavia, pone specificamente il problema dell’allocazione del rischio economico, ossia della scelta del contraente su cui far gravare il rischio che, successivamente al closing, divengano palesi caratteri e qualità dell’azienda, i cui presupposti sussistevano già al tempo delle trattative. La prassi ha teso a comporre gli interessi delle parti con clausole pattizie a tutela dei contraenti ed in particolare dell’acquirente, sulla scorta di modelli legali già noti – fra tutti, le garanzie a carico del venditore – nonché di modelli contrattuali anglosassoni; per questi ultimi, tuttavia, sarà necessario effettuare un giudizio di compatibilità ovvero di riqualificazione e riformulazione delle clausole, secondo princìpi e norme italiani. Dallo studio preliminare del materiale dottrinale e giurisprudenziale, in un’ottica di mera ricostruzione cronologica, è emersa con evidenza l’evoluzione storica delle problematiche e della redazione di tale contratto, segnata da una progressiva maggiore articolazione della struttura e dal recepimento di modelli stranieri. Basti, in questa introduzione, precisare che l’evoluzione della redazione del contratto de quo è consistita nella progressiva presa di coscienza revisione consapevole da parte degli operatori della necessità non solo di patti che pongano chi opera in prima linea per adattarsi a carico del venditore il rischio una realtà sempre più complessa di vizi, mancanza di qualità e minusvalenze del patrimonio aziendale, ma anche di clausole riferite alla redditività della società; ad esse, peraltro, si accompagnano accordi che, esplicitamente o indirettamente, stabiliscono l’irresolubilità del contratto e prevedono una rinegoziazione delle condizioni economiche dello scambio, al verificarsi di eventi determinatiquella scritta su carta. Si tratterà dunque di tentare di definire natura e funzione delle cautele negoziali predisposte dalle parti e valutare altresì i limiti all’autonomia privata nel determinare le conseguenze dell’inadempimento delle stesse. Tali cautele, peraltro, non debbono essere intese come predisposte a sola tutela dell’acquirente, dal momento che il dinamismo dell’azienda induce necessariamente a proteggere anche il venditore dal possibile uso strumentale delle richieste di indennizzo e/o risarcimento da parte del cessionarioLavorare sul territorio, a notevole distanza contatto con clinici, pazienti, industria farmaceutica e istituzioni, obbliga farmacisti ospedalieri e provveditori a costruire un ponte tra l’astrattezza della norma e la con- cretezza di tempo rispetto alla conclusione dell’accordo. Al riguardo, cercheremo di dimostrare – un quotidiano che rimane tale anche sulla scorta di esortazioni in tal senso formulate da autorevole dottrina – che il recepimento di modelli anglosassoni in materia non possa quando l’imprevisto ne altera ritmi e obiettivi e non debba essere acritico. Al contrario, lo studio della compatibilità delle clausole anglosassoni con la nostra tradizione ed i nostri princìpi è la sfida più interessante e stimolante; si tratta cessa perciò di verificare se il recepimento di clausole possa invitare a scoprire nuovi confini dell’autonomia privata ovvero a considerare più approfonditamente la categoria dell’obbligazione cosiddetta di garanzia. Tutto ciò invita a rivitalizzare il ruolo del consulente legale italiano, che non può esimersi dal valutare la compatibilità di tali clausole con princìpi inderogabili o cd. norme materiali del nostro ordinamento, pur di non correre il rischio di aderire superficialmente al modello contrattuale straniero e ridurre i patti apposti a mere clausole di stile. Tali problematiche sono state messe in luce da autorevole dottrina che, elaborando di recente la nozione di «contratto alieno», ha evidenziato i rischi della supina accettazione di modelli contrattuali estranei alla nostra tradizione. A ciò si aggiunga che, come cercheremo di dimostrare, le esigenze delle parti contraenti possono essere soddisfatte mediante strumenti del nostro ordinamento, sia nella fase delle trattative, sia nella fase conclusiva dell’accordo, sia nell’eventuale e non infrequente fase patologica. L’operatore deve, a fatica, abbandonare strutture proprie della tradizione anglosassone, per indagare quali istituti italiani possano essere invocati ed applicati e per tradurre in termini giuridici le intenzioni e gli interessi delle parti. Come emergerà nel corso della trattazione, a nostro parere, il contratto in esame mette alla prova il consulente, spesso protagonista della fase della cd. due diligence, in quanto il recepimento di modelli contrattuali stranieri rischia di condurre al paradosso di non riuscire ad apprestare tutela a chi non ha verificato la compatibilità delle clausole in essi contenute con princìpi e norme del nostro ordinamento. L’inquadramento dei primi due capitoli consentirà di vagliare la tesi, esposta nel terzo, secondo cui le cautele pattizie – esulando sia dalla struttura sinallagmatica del contratto di vendita sia dalle garanzie ex lege gravanti sul venditore – sono strumenti di ripartizione convenzionale del rischio economico. Se i rimedi di carattere legale non danno risposta adeguata alla tutela dell’equità economica dello scambio, le cautele pattizie, dal canto loro – operando al di fuori del sinallagma contrattuale della vendita – sono funzionali ad attribuire rilevanza giuridica a quei fattori che, sebbene estranei alle partecipazioni sociali trasferite, hanno avuto rilievo economico nella determinazione del prezzo. Contrariamente a quanto sinora affermato sia in dottrina che in giurisprudenza, intendiamo inoltre provare che l’esigenza di tutela dell’acquirente si pone anche nel caso in cui l’ammontare della partecipazione sociale ceduta non sia tale da trasferire il cd. controllo della società; tale dimostrazione, oltre a basarsi sulla relatività della nozione stessa di “controllo”, che non coincide necessariamente con la maggioranza o la totalità delle partecipazioni sociali, si incentrerà sul metodo per rendere giuridicamente rilevanti i parametri economico-aziendalistico-contabili applicati per la determinazione del prezzo. In termini generali, si tratterà di vagliare l’ipotesi secondo cui le parti contraenti possano convenzionalmente assegnare rilevanza giuridica al valore economico del bene. Ciò parrebbe possibile mediante cautele pattizie con cui il venditore assuma il rischio – di regola gravante sull’acquirente, anche in virtù del principio dell’equivalenza meramente soggettiva delle prestazioni dedotte in un contratto sinallagmatico – della discrepanza tra valore del bene oggetto di scambio e corrispettivo pattuito. Strumento per ottenere tale effetto giuridico sarebbe la previsione di clausole di garanzia – per taluni aventi funzione assicurativa – con cui il cedente si addossa il rischio del verificarsi di un fatto, considerato dalle parti fattispecie costitutiva di un’obbligazione, con il conseguente sorgere dell’obbligo di corresponsione di un indennizzo da parte del venditore-garante. Da ciò deriva la scelta frequente di posticipare la corresponsione di parte del prezzo della cessione, ad esempio con clausole di deposito – cd. escrow –, potendo i contraenti scegliere di compensare l’obbligo dell’acquirente al versamento di parte del prezzo con l’obbligo – divenuto attuale al verificarsi dell’evento dedotto nel contratto – di indennizzo del venditore.esigere risposte appropriate,

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Samples: Acquisto Di Farmaci E Dispositivi

PREFAZIONE. Oggetto Questa Seconda Relazione era stata pensata originariamente come contributo specifico e settorialmente delimitato da offrire al Sindaco nel mese di analisi è febbraio sul tema degli incendi e degli atti di intimidazione di probabile stampo mafioso perpetrati in città e provincia. Così era stata anche annunciata nella conferenza stampa di presentazione della Prima Relazione per via dello straordinario interesse assunto da un fenomeno - quello degli incendi - peculiarmente indicativo, agli occhi del Comitato, della pressione criminale esercitata sulla metropoli milanese. Lo svolgimento di uno studio accurato e senza molti precedenti su dimensioni e distribuzione geografica di tale fenomeno giustificava, per l’approccio e per l’importanza delle informazioni acquisite, questa scelta di metodo. Contemporaneamente allo svolgimento del lavoro di ricerca sugli incendi, il contratto Comitato ha cercato però di cessione operare a titolo oneroso di partecipazioni sociali, con particolare riferimento alle cautele pattizie utili alla ripartizione del rischio economico, connesso alla possibile divergenza tra valore dell’azienda e prezzo convenutosostegno delle indicazioni fornite nella Prima Relazione. Non è escluso che, con opportuni adattamenti, le osservazioni che condurremo possano attagliarsi anche ad altri strumenti di acquisizione di imprese, quali conferimenti di aziende, permute di partecipazioni, fusioni, scissioni, ed in generale ipotesi di cessione di beni aventi quale corrispettivo il trasferimento di partecipazioni sociali, nonché al recente istituto del patto di famiglia. Abbiamo tuttavia circoscritto l’indagine al diffuso contratto di acquisizione o sale and purchase agreement, strumento negoziale al quale le parti ricorrono per ottenere, mediante il formale trasferimento delle partecipazioni sociali di una società operativa, anche il “passaggio” dei beni costituenti il patrimonio aziendale della società medesima. Laddove si consideri, infattiQuesto impegno, che può apparire esorbitante rispetto alle proprie funzioni di consulenza, è stato dettato dalla percezione di un’urgenza operativa. Quelle osservazioni infatti erano state suggerite da studi attenti condotti sulla realtà milanese ed esprimevano radicate convinzioni circa la strategia da seguire per arginare la presenza di interessi mafiosi intorno all’evento di Expo 2015. Verificarne il grado di attuazione e operare per dar loro effettività rispondeva dunque non solo l’esercizio al puro intento di evitare di essere una delle tante “commissioni inutili” che affollano la storia amministrativa e politica nazionale, ma a un preciso senso di responsabilità istituzionale di fronte alla tempestività e alla abilità con cui le organizzazioni mafiose hanno dimostrato di sapere operare. Dall’esigenza e dall’opportunità di rendere conto di questa attività economiche di stimolo è nata dunque la scelta di integrare il progetto originario di Relazione con una sintesi del percorso compiuto, non privo di risultati ma ancora lungi dal potersi considerare esaurito: per offrire una traccia operativa ma anche per esplicitare, dal punto di vista specifico del Comitato, il panorama delle difficoltà. Più precisamente è parso agli estensori che fosse utile e necessario riassumere i termini di questo percorso di intervento per almeno due finalità: a) perché in una adeguata prospettiva temporale si possano meglio cogliere le modalità di maturazione di eventuali disfunzioni, certamente da nessuno volute; b) perché cresca la gestione consapevolezza della necessità, sottolineata per iscritto dal Sindaco (si veda la lettera del 18 dicembre scorso, più avanti richiamata), di patrimoni privati avviene sotto la veste societaria, è uno “sforzo congiunto di tutta evidenza come il mutamento di gestione delle imprese sia spesso conseguenza del trasferimento delle partecipazioni sociali. Dopo un inquadramento generale, concentreremo l’attenzione sulla problematica dell’allocazione del rischio economico insito in tale genere di contrattazione, ossia l’eventuale e possibile discrepanza tra valore del patrimonio aziendale e corrispettivo pattuito tutti i soggetti istituzionali” per la cessione delle partecipazioni sociali, al fine di distribuire tra arginare le parti il danno che potrebbe prodursi qualora l’errore impedisse la realizzazione pressioni degli interessi di entrambemafiosi sui lavori per Expo 2015. Si tratterà, in altri termini, di analizzare se, contrariamente alla irrilevanza giuridica della equivalenza di valore tra le prestazioni dei contratti commutativi, possano avere rilevanza parametri di determinazione del corrispettivo della cessione, estranei all’oggetto immediato del trasferimentoLa Parte Prima risponde a questo obiettivo. Il contratto in argomento ha subìto una notevole evoluzione quanto alle modalità di negoziazione ed alle tecniche di La sua stesura e formulazionenatura hanno conseguentemente comportato un differimento dei termini di conclusione della Relazione. Le stesse dimissioni dell’Avv. Umberto Ambrosoli, senza mancare conseguenti al suo diretto impegno politico, hanno d’altronde costretto a procedere in corsa ad alcuni riaggiustamenti nel gruppo di recepire le prassi della lex mercatoria e la tradizione anglosassone e statunitenselavoro, recentemente reintegrato grazie all’incarico conferito dal Sindaco alla Dott.ssa Ombretta Ingrascì. E’ noto come la cessione a titolo oneroso di partecipazioni sociali – generalmente di società di capitali – sia disciplinata dalle norme in tema di vendita nonché dalle regole peculiari per il trasferimento delle partecipazioni medesime, specialmente per forma e pubblicità, funzionale quest’ultima a rendere opponibile il trasferimento sia ai terzi sia alla società. Tuttavia, il ruolo del consulente si aggrava, laddove le parti – ragionevolmente – vogliano munire l’operazione di cautele, per garantire l’equilibrio economico dello scambio tra le partecipazioni, l’azienda cui esse si riferiscono e l’ammontare del prezzo, commisurato appunto al valore reale delle quote trasferite. Tale complicazione è innanzitutto dovuta alle caratteristiche di eterogeneità e dinamicità del bene azienda in sé e di ciascuna tipologia di azienda, nonché alla molteplicità dei metodi di valutazione della stessa; ciò costringe a stabilire quantomeno termini convenzionali di decadenza per l’esperibilità dei rimedi, ovvero a concordare tetti massimi di indennizzi o risarcimenti, pur nel rispetto dei divieti alla limitazione della responsabilità. Il nostro ordinamento non conosce un contratto che risponda specificamente a tali esigenze, ma soprattutto non accoglie il principio di tutela dell’equivalenza economica tra le prestazioni dei contratti commutativi. Il contratto de quo, tuttavia, pone specificamente il problema dell’allocazione del rischio economico, ossia della scelta del contraente su cui far gravare il rischio che, successivamente al closing, divengano palesi caratteri e qualità dell’azienda, i cui presupposti sussistevano già al tempo delle trattative. La prassi ha teso a comporre All’Avvocato Ambrosoli gli interessi delle parti con clausole pattizie a tutela dei contraenti ed in particolare dell’acquirente, sulla scorta di modelli legali già noti – fra tutti, le garanzie a carico del venditore – nonché di modelli contrattuali anglosassoni; per questi ultimi, tuttavia, sarà necessario effettuare un giudizio di compatibilità ovvero di riqualificazione e riformulazione delle clausole, secondo princìpi e norme italiani. Dallo studio preliminare del materiale dottrinale e giurisprudenziale, in un’ottica di mera ricostruzione cronologica, è emersa con evidenza l’evoluzione storica delle problematiche e della redazione di tale contratto, segnata da una progressiva maggiore articolazione della struttura e dal recepimento di modelli stranieri. Basti, estensori desiderano in questa introduzionesede manifestare la propria gratitudine per l’importante contributo dato al lavoro del Comitato. Alla Dottoressa Ingrascì un augurio di benvenuta, precisare nella consapevolezza che l’evoluzione le sue competenze costituiranno un utilissimo apporto all’impegno comune al servizio della redazione del contratto de quo è consistita nella progressiva presa di coscienza da parte degli operatori della necessità non solo di patti che pongano a carico del venditore il rischio di viziCittà. EXPO, mancanza di qualità e minusvalenze del patrimonio aziendale, ma anche di clausole riferite alla redditività della società; ad esse, peraltro, si accompagnano accordi che, esplicitamente o indirettamente, stabiliscono l’irresolubilità del contratto e prevedono una rinegoziazione delle condizioni economiche dello scambio, al verificarsi di eventi determinatiLA STRATEGIA DI PREVENZIONE. Si tratterà dunque di tentare di definire natura e funzione delle cautele negoziali predisposte dalle parti e valutare altresì i limiti all’autonomia privata nel determinare le conseguenze dell’inadempimento delle stesse. Tali cautele, peraltro, non debbono essere intese come predisposte a sola tutela dell’acquirente, dal momento che il dinamismo dell’azienda induce necessariamente a proteggere anche il venditore dal possibile uso strumentale delle richieste di indennizzo e/o risarcimento da parte del cessionario, a notevole distanza di tempo rispetto alla conclusione dell’accordo. Al riguardo, cercheremo di dimostrare – anche sulla scorta di esortazioni in tal senso formulate da autorevole dottrina – che il recepimento di modelli anglosassoni in materia non possa e non debba essere acritico. Al contrario, lo studio della compatibilità delle clausole anglosassoni con la nostra tradizione ed i nostri princìpi è la sfida più interessante e stimolante; si tratta di verificare se il recepimento di clausole possa invitare a scoprire nuovi confini dell’autonomia privata ovvero a considerare più approfonditamente la categoria dell’obbligazione cosiddetta di garanzia. Tutto ciò invita a rivitalizzare il ruolo del consulente legale italiano, che non può esimersi dal valutare la compatibilità di tali clausole con princìpi inderogabili o cd. norme materiali del nostro ordinamento, pur di non correre il rischio di aderire superficialmente al modello contrattuale straniero e ridurre i patti apposti a mere clausole di stile. Tali problematiche sono state messe in luce da autorevole dottrina che, elaborando di recente la nozione di «contratto alieno», ha evidenziato i rischi della supina accettazione di modelli contrattuali estranei alla nostra tradizione. A ciò si aggiunga che, come cercheremo di dimostrare, le esigenze delle parti contraenti possono essere soddisfatte mediante strumenti del nostro ordinamento, sia nella fase delle trattative, sia nella fase conclusiva dell’accordo, sia nell’eventuale e non infrequente fase patologica. L’operatore deve, a fatica, abbandonare strutture proprie della tradizione anglosassone, per indagare quali istituti italiani possano essere invocati ed applicati e per tradurre in termini giuridici le intenzioni e gli interessi delle parti. Come emergerà nel corso della trattazione, a nostro parere, il contratto in esame mette alla prova il consulente, spesso protagonista della fase della cd. due diligence, in quanto il recepimento di modelli contrattuali stranieri rischia di condurre al paradosso di non riuscire ad apprestare tutela a chi non ha verificato la compatibilità delle clausole in essi contenute con princìpi e norme del nostro ordinamento. L’inquadramento dei primi due capitoli consentirà di vagliare la tesi, esposta nel terzo, secondo cui le cautele pattizie – esulando sia dalla struttura sinallagmatica del contratto di vendita sia dalle garanzie ex lege gravanti sul venditore – sono strumenti di ripartizione convenzionale del rischio economico. Se i rimedi di carattere legale non danno risposta adeguata alla tutela dell’equità economica dello scambio, le cautele pattizie, dal canto loro – operando al di fuori del sinallagma contrattuale della vendita – sono funzionali ad attribuire rilevanza giuridica a quei fattori che, sebbene estranei alle partecipazioni sociali trasferite, hanno avuto rilievo economico nella determinazione del prezzo. Contrariamente a quanto sinora affermato sia in dottrina che in giurisprudenza, intendiamo inoltre provare che l’esigenza di tutela dell’acquirente si pone anche nel caso in cui l’ammontare della partecipazione sociale ceduta non sia tale da trasferire il cd. controllo della società; tale dimostrazione, oltre a basarsi sulla relatività della nozione stessa di “controllo”, che non coincide necessariamente con la maggioranza o la totalità delle partecipazioni sociali, si incentrerà sul metodo per rendere giuridicamente rilevanti i parametri economico-aziendalistico-contabili applicati per la determinazione del prezzo. In termini generali, si tratterà di vagliare l’ipotesi secondo cui le parti contraenti possano convenzionalmente assegnare rilevanza giuridica al valore economico del bene. Ciò parrebbe possibile mediante cautele pattizie con cui il venditore assuma il rischio – di regola gravante sull’acquirente, anche in virtù del principio dell’equivalenza meramente soggettiva delle prestazioni dedotte in un contratto sinallagmatico – della discrepanza tra valore del bene oggetto di scambio e corrispettivo pattuito. Strumento per ottenere tale effetto giuridico sarebbe la previsione di clausole di garanzia – per taluni aventi funzione assicurativa – con cui il cedente si addossa il rischio del verificarsi di un fatto, considerato dalle parti fattispecie costitutiva di un’obbligazione, con il conseguente sorgere dell’obbligo di corresponsione di un indennizzo da parte del venditore-garante. Da ciò deriva la scelta frequente di posticipare la corresponsione di parte del prezzo della cessione, ad esempio con clausole di deposito – cd. escrow –, potendo i contraenti scegliere di compensare l’obbligo dell’acquirente al versamento di parte del prezzo con l’obbligo – divenuto attuale al verificarsi dell’evento dedotto nel contratto – di indennizzo del venditore.L’IMPEGNO DEL COMITATO

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Samples: Second Report

PREFAZIONE. Oggetto Il progetto di realizzare una collana di Handbook per la conclusione di contratti di trasferimento tecnologico parte da una proposta dell’URTT e dei TTO toscani che mira ad agevolare le relazioni contrattuali tra enti di ricerca e aziende. Tali Handbook sono stati poi sviluppati grazie al coinvolgimento di diverse risorse e professionalità (giuristi, operatori del trasferimento tecnologico e referenti amministrativi regionali) facenti capo all’URTT e alla sua Cabina di Regia, che, a vario titolo e sulla base delle rispettive competenze, hanno contribuito sinergicamente alla creazione di questi strumenti dinamici. L’auspicio è che ciascun Handbook possa essere impiegato a supporto della stipula del relativo contratto. Nello specifico, l’Handbook 04 si compone di opzioni utili a definire i limiti e i vincoli della licenza di invenzione brevettata e relativo know- how (ad es. ambito della licenza, durata, corrispettivo, garanzie e confidenzialità). Si precisa che, per ragioni di sintesi e di generale applicabilità, il documento non tiene in considerazione quanto riportato all’interno dei regolamenti delle Università e delle Scuole, i quali determinano in ultima analisi è l’autonomia delle rispettive unità amministrative nell’instaurare rapporti con le imprese. Ciononostante, il ventaglio di opzioni contrattuali presentate, basandosi sull’esperienza degli enti di ricerca toscani, si presta ad essere adattato alle fonti regolamentari di quest’ultimi con l’imprescindibile tramite dei rispettivi TTO. Data la complessa e multiforme realtà che l’accordo di licenza deve regolare, il presente Handbook rappresenta un ausilio pratico e concreto cui possono fare riferimento entrambe le parti contraenti. Sia dal lato dell’Università che da quello della controparte contrattuale pubblica o privata, il neofita dei contratti di trasferimento tecnologico troverà in esso indicazioni che lo aiutino a ricostruire, articolo per articolo, l’intero contratto di cessione a titolo oneroso licenza esclusiva. L’esperto in materia potrà invece confrontare specifici articoli con gli strumenti di partecipazioni socialilavoro preesistenti, eventualmente integrandoli con particolare riferimento alle cautele pattizie utili gli spunti presentati. Inoltre, come complemento all’Handbook, è scaricabile dal sito della Regione Toscana sotto la sezione pubblicazioni di “università e ricerca” e dal sito web dell’Ufficio Regionale di Trasferimento Tecnologico della Regione Toscana, nella duplice versione italiana e inglese, la formula del contratto di licenza esclusiva - Form - che può essere utilizzata direttamente previo imprescindibile adattamento alla ripartizione del rischio economico, connesso alla possibile divergenza tra valore dell’azienda e prezzo convenutofattispecie concreta. Non è escluso chequindi da intendersi come un format standard, con opportuni adattamentima come un modello i cui contenuti vanno definiti a seconda delle esigenze e delle caratteristiche dello specifico caso. Posti di seguito alle descrizioni di ogni articolo, all’interno di riquadri, vi sono le osservazioni opzioni che condurremo possano attagliarsi anche andranno di volta in volta scelte e corrispondenti a quelle del Form. Tali opzioni sono presentate secondo l’ordine di preferenza dell’ipotetica Università/Scuola parte del contratto di trasferimento tecnologico. Si prega di porre attenzione alle parti che dovranno essere compilate al momento della stesura del contratto, la cui posizione viene indicata da appositi spazi bianchi. Ad ausilio del lettore, la Guida offre una definizione di Contratto di licenza di invenzione brevettata e relativo know-how prima di approfondire le varie componenti del contratto stesso. A chiusura del lavoro sono poi presentati un approfondimento sui vantaggi e le criticità delle licenze per le parti contrattuali, un glossario di termini e concetti chiave del contratto e una bibliografia essenziale. Il contratto di licenza esclusiva di invenzione brevettata e know-how disciplina la concessione del diritto di sfruttare le privative e conoscenze su una data invenzione da parte dell’Ente di Ricerca ‘Licenziante’ ad altri strumenti altro soggetto ‘Licenziatario’ interessato ad attuarla e a trarne profitto nell’ambito della propria attività d’impresa, in regime di acquisizione di imprese, quali conferimenti di aziende, permute di partecipazioni, fusioni, scissioni, ed in generale ipotesi di cessione di beni aventi quale corrispettivo esclusività. Causa del contratto è quindi il trasferimento di partecipazioni socialitecnologico in senso stretto, nonché al recente istituto del patto di famiglia. Abbiamo tuttavia circoscritto l’indagine al diffuso contratto di acquisizione o sale and purchase agreement, strumento negoziale al quale le parti ricorrono per ottenere, mediante il formale trasferimento delle partecipazioni sociali inteso come trasmissione di una società operativacombinazione di diritti tecnologici, comprendente privative titolate e non, nel caso di specie, domande di brevetto, brevetti concessi e know-how anche il “passaggio” dei beni costituenti il patrimonio aziendale della società medesimain forma di segreto industriale, in funzione dell’abilitazione del Licenziatario (nella prassi un’impresa) a mettere in pratica la tecnologia sottostante. Laddove si consideriIl Licenziatario, infatti, non persegue meramente la legittimazione ad attuare lecitamente l’invenzione così come descritta dai documenti brevettuali, quanto piuttosto a impiegare al meglio la tecnologia licenziata con l’ausilio che non solo l’esercizio l’Ente di attività economiche ma anche la gestione di patrimoni privati avviene sotto la veste societariaRicerca, tramite i propri inventori, è spesso in grado di tutta evidenza come offrire. Al contempo, l’Ente di Ricerca Licenziante mira a un’utilizzazione qualificata dell’invenzione che dimostri nel mercato l’impatto della propria ricerca e le competenze dei propri ricercatori, stimolando il mutamento Licenziatario a protrarre ed espandere i rapporti contrattuali in essere e attirando ulteriori interessi da parte di gestione delle imprese sia spesso conseguenza altre imprese. Dato l’obiettivo di trasferimento tecnologico, gli obblighi del Licenziante non si esauriscono nell’astenersi dall’inibire in via giudiziale lo sfruttamento convenuto dei diritti tecnologici, ma si estendono ad attività strumentali a trasmettere competenze pratiche sull’invenzione all’impresa Licenziataria, che le consentano di trarre il massimo beneficio da tale sfruttamento. Il corrispettivo negoziato fra le parti a fronte del trasferimento delle partecipazioni socialitecnologico rispecchierà quindi il valore sia dell’invenzione licenziata, sia dei servizi accessori svolti dalla Licenziante per l’assistenza e la formazione del personale del Licenziatario nell’attuazione e impiego dell’invenzione. Dopo La licenza esclusiva d’invenzione atta a trasferirne la capacità di sfruttamento risulta quindi di mutuo vantaggio per le parti e per la società in generale. L’impresa può così impiegare i risultati della ricerca fondamentale universitaria già applicabili alla propria attività commerciale garantendosi un inquadramento generalevantaggio competitivo-tecnologico, concentreremo l’attenzione sulla problematica dell’allocazione del rischio economico insito in tale genere senza sopportare i rischi d’insuccesso e le incerte tempistiche insiti nell’attività di contrattazionericerca e sviluppo. L’Ente di Ricerca persegue e adempie all’obiettivo della Terza Missione, ossia l’eventuale e possibile discrepanza tra valore del patrimonio aziendale e corrispettivo pattuito per la cessione delle partecipazioni socialil’interazione diretta con il territorio, al fine contempo incamerando risorse finanziarie da reimpiegare virtuosamente nelle sue attività e accorciando le distanze con il mondo industriale, con cui getta le basi per future collaborazioni e sbocchi occupazionali per i propri studenti e ricercatori. La società tutta ne beneficia in termini di distribuire tra innovazione, grazie alla divisione efficiente del lavoro nella misura in cui ciascuna parte contrattuale si adopera per ciò in cui eccelle, ossia gli enti di ricerca nella ricerca di base e nella formazione specializzata, e le parti imprese nella messa in pratica e commercializzazione dei nuovi trovati della tecnica. Formalmente, la licenza d’invenzione è un contratto atipico e di durata non espressamente disciplinato da fonti normative, ma fondato sul principio di autonomia contrattuale di cui all’art. 1322 del C.C. e sul diritto di alienare i diritti patrimoniali sulle invenzioni di cui all’art. 2589 del C.C. e art. 63 C.P.I.. Sebbene il danno contenuto di un contratto di licenza possa essere il più vario (il che potrebbe prodursi qualora l’errore impedisse induce a raccomandare prudenza nell’adattare il modello presentato alle particolari esigenze del caso concreto), esso si caratterizza per il fatto che il Licenziante, a fronte del pagamento da parte del Licenziatario di un corrispettivo forfettario, periodico o combinato forfettario e periodico, costituisce in capo a quest’ultimo un diritto di godimento sulle privative in questione riservandosene al contempo la realizzazione degli interessi titolarità. Nello specifico, si aggiungono inoltre obbligazioni accessorie utili al trasferimento tecnologico, quali la consegna di entrambedocumentazione sull’invenzione e di assistenza e supporto da parte del personale della Licenziante a quello della Licenziataria in modi e tempistiche predeterminate. Si tratteràConsiderato lo status pubblico dell’Ente di Ricerca, in altri termini, di analizzare se, contrariamente alla irrilevanza giuridica della equivalenza di valore tra le prestazioni dei contratti commutativi, possano avere rilevanza parametri di determinazione del corrispettivo della cessione, estranei all’oggetto immediato del trasferimento. Il contratto in argomento ha subìto una notevole evoluzione quanto questi dovrà adempiere alle modalità di negoziazione ed alle tecniche di stesura e formulazione, senza mancare di recepire le prassi della lex mercatoria e la tradizione anglosassone e statunitense. E’ noto come la cessione a titolo oneroso di partecipazioni sociali – generalmente di società di capitali – sia disciplinata dalle norme prescrizioni previste in tema di vendita nonché dalle regole peculiari evidenza pubblica e di procedimento amministrativo, onde pervenire alla scelta del soggetto licenziatario e alla stipula del contratto. Sebbene la licenza sia perfezionata dal semplice consenso delle parti senza particolari requisiti formali (i.e. anche oralmente), la forma scritta del relativo contratto non solo si impone nella prassi per il trasferimento la complessità delle partecipazioni medesimecondizioni di licenza convenute, specialmente ma è anche richiesta ai fini della trascrizione della licenza nei registri degli uffici brevetti competenti, ossia nel registro dell’Ufficio Italiano Brevetti e Xxxxxx per forma e pubblicità, funzionale quest’ultima a rendere opponibile il trasferimento sia ai terzi sia alla società. Tuttavia, il ruolo del consulente si aggrava, laddove le parti – ragionevolmente – vogliano munire l’operazione di cautele, per garantire l’equilibrio economico dello scambio tra le partecipazioni, l’azienda cui esse si riferiscono e l’ammontare del prezzo, commisurato appunto al valore reale delle quote trasferitei brevetti concessi o convalidati in Italia. Tale complicazione è innanzitutto dovuta alle caratteristiche trascrizione ha effetto di eterogeneità pubblicità dichiarativa, quindi rende la licenza opponibile a terzi e dinamicità successivi aventi causa, e dà prova della legittimazione del bene azienda Licenziatario ad azionare e difendere il brevetto in sé e di ciascuna tipologia di azienda, nonché alla molteplicità dei metodi di valutazione della stessa; ciò costringe a stabilire quantomeno termini convenzionali di decadenza per l’esperibilità dei rimedi, ovvero a concordare tetti massimi di indennizzi o risarcimenti, pur nel rispetto dei divieti alla limitazione della responsabilitàgiudizio. Il nostro ordinamento non conosce un contratto che risponda specificamente a tali esigenze, ma soprattutto non accoglie il principio di tutela dell’equivalenza economica tra le prestazioni dei contratti commutativi. Il contratto de quo, tuttavia, pone specificamente il problema dell’allocazione Sarà interesse specialmente del rischio economico, ossia della scelta del contraente su cui far gravare il rischio che, successivamente al closing, divengano palesi caratteri e qualità dell’azienda, i cui presupposti sussistevano già al tempo delle trattative. La prassi ha teso a comporre gli interessi delle parti con clausole pattizie a tutela dei contraenti ed in particolare dell’acquirente, sulla scorta di modelli legali già noti – fra tutti, le garanzie a carico del venditore – nonché di modelli contrattuali anglosassoni; per questi ultimi, tuttavia, sarà necessario effettuare un giudizio di compatibilità ovvero di riqualificazione e riformulazione delle clausole, secondo princìpi e norme italiani. Dallo studio preliminare del materiale dottrinale e giurisprudenziale, in un’ottica di mera ricostruzione cronologica, è emersa con evidenza l’evoluzione storica delle problematiche e della redazione di tale contratto, segnata da una progressiva maggiore articolazione della struttura e dal recepimento di modelli stranieri. Basti, in questa introduzione, precisare che l’evoluzione della redazione del contratto de quo è consistita nella progressiva presa di coscienza da parte degli operatori della necessità non solo di patti che pongano a carico del venditore il rischio di vizi, mancanza di qualità e minusvalenze del patrimonio aziendale, ma anche di clausole riferite alla redditività della società; ad esse, peraltro, si accompagnano accordi che, esplicitamente o indirettamente, stabiliscono l’irresolubilità del contratto e prevedono una rinegoziazione delle condizioni economiche dello scambio, al verificarsi di eventi determinati. Si tratterà dunque di tentare di definire natura e funzione delle cautele negoziali predisposte dalle parti e valutare altresì i limiti all’autonomia privata nel determinare le conseguenze dell’inadempimento delle stesse. Tali cautele, peraltro, non debbono essere intese come predisposte a sola tutela dell’acquirente, dal momento che il dinamismo dell’azienda induce necessariamente a proteggere anche il venditore dal possibile uso strumentale delle richieste di indennizzo e/o risarcimento da parte del cessionario, a notevole distanza di tempo rispetto alla conclusione dell’accordo. Al riguardo, cercheremo di dimostrare – anche sulla scorta di esortazioni in tal senso formulate da autorevole dottrina – che il recepimento di modelli anglosassoni in materia non possa e non debba essere acritico. Al contrario, lo studio della compatibilità delle clausole anglosassoni con la nostra tradizione ed i nostri princìpi è la sfida più interessante e stimolante; si tratta di verificare se il recepimento di clausole possa invitare a scoprire nuovi confini dell’autonomia privata ovvero a considerare più approfonditamente la categoria dell’obbligazione cosiddetta di garanzia. Tutto ciò invita a rivitalizzare il ruolo del consulente legale italiano, che non può esimersi dal valutare la compatibilità di tali clausole con princìpi inderogabili o cd. norme materiali del nostro ordinamento, pur di non correre il rischio di aderire superficialmente al modello contrattuale straniero e ridurre i patti apposti a mere clausole di stile. Tali problematiche sono state messe in luce da autorevole dottrina che, elaborando di recente la nozione di «contratto alieno», ha evidenziato i rischi della supina accettazione di modelli contrattuali estranei alla nostra tradizione. A ciò si aggiunga che, come cercheremo di dimostrare, le esigenze delle parti contraenti possono essere soddisfatte mediante strumenti del nostro ordinamento, sia nella fase delle trattative, sia nella fase conclusiva dell’accordo, sia nell’eventuale e non infrequente fase patologica. L’operatore deve, a fatica, abbandonare strutture proprie della tradizione anglosassone, per indagare quali istituti italiani possano essere invocati ed applicati e per tradurre in termini giuridici le intenzioni e gli interessi delle parti. Come emergerà nel corso della trattazione, a nostro parere, Licenziatario trascrivere il contratto per poterlo opporre a eventuali successivi acquirenti o Licenziatari dei brevetti in esame mette alla prova il consulente, spesso protagonista della fase della cd. due diligence, in quanto il recepimento di modelli contrattuali stranieri rischia di condurre al paradosso di non riuscire ad apprestare tutela a chi non ha verificato la compatibilità delle clausole in essi contenute con princìpi e norme del nostro ordinamento. L’inquadramento dei primi due capitoli consentirà di vagliare la tesi, esposta nel terzo, secondo cui le cautele pattizie – esulando sia dalla struttura sinallagmatica del contratto di vendita sia dalle garanzie ex lege gravanti sul venditore – sono strumenti di ripartizione convenzionale del rischio economico. Se i rimedi di carattere legale non danno risposta adeguata alla tutela dell’equità economica dello scambio, le cautele pattizie, dal canto loro – operando al di fuori del sinallagma contrattuale della vendita – sono funzionali ad attribuire rilevanza giuridica a quei fattori che, sebbene estranei alle partecipazioni sociali trasferite, hanno avuto rilievo economico nella determinazione del prezzo. Contrariamente a quanto sinora affermato sia in dottrina che in giurisprudenza, intendiamo inoltre provare che l’esigenza di tutela dell’acquirente si pone anche nel caso in cui l’ammontare della partecipazione sociale ceduta non sia tale da trasferire il cd. controllo della società; tale dimostrazione, oltre a basarsi sulla relatività della nozione stessa di “controllo”, che non coincide necessariamente con la maggioranza o la totalità delle partecipazioni sociali, si incentrerà sul metodo per rendere giuridicamente rilevanti i parametri economico-aziendalistico-contabili applicati per la determinazione del prezzo. In termini generali, si tratterà di vagliare l’ipotesi secondo cui le parti contraenti possano convenzionalmente assegnare rilevanza giuridica al valore economico del bene. Ciò parrebbe possibile mediante cautele pattizie con cui il venditore assuma il rischio – di regola gravante sull’acquirente, anche in virtù del principio dell’equivalenza meramente soggettiva delle prestazioni dedotte in un contratto sinallagmatico – della discrepanza tra valore del bene oggetto di scambio e corrispettivo pattuito. Strumento per ottenere tale effetto giuridico sarebbe la previsione di clausole di garanzia – per taluni aventi funzione assicurativa – con cui il cedente si addossa il rischio del verificarsi di un fatto, considerato dalle parti fattispecie costitutiva di un’obbligazione, con il conseguente sorgere dell’obbligo di corresponsione di un indennizzo da parte del venditore-garante. Da ciò deriva la scelta frequente di posticipare la corresponsione di parte del prezzo della cessione, ad esempio con clausole di deposito – cd. escrow –, potendo i contraenti scegliere di compensare l’obbligo dell’acquirente al versamento di parte del prezzo con l’obbligo – divenuto attuale al verificarsi dell’evento dedotto nel contratto – di indennizzo del venditorequestione.

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Samples: Licensing Agreement

PREFAZIONE. Oggetto La quantità di analisi documenti e la lunghezza dell’arco temporale testi- moniano purtroppo la lunga attesa di Confindustria perché nel Paese e nel sindacato maturasse la consapevolezza della necessità di regole diverse di fronte alla sfida del mondo nuovo, rispetto a quelle che erano state definite nello storico Protocollo del 23 luglio 1993. L’attesa responsabile di tale maturazione è il contratto durata anni e anni. Ma nella grande crisi, insieme a Cisl e Uil e agli altri sindacati, a conclusione di cessione a titolo oneroso un percorso fatto di partecipazioni sociali, comune intesa con particolare riferimento alle cautele pattizie utili alla ripartizione del rischio economico, connesso alla possibile divergenza tra valore dell’azienda e prezzo convenuto. Non è escluso che, con opportuni adattamenti, tutte le osservazioni che condurremo possano attagliarsi anche ad altri strumenti organizzazioni di acquisizione di rappresentanza delle imprese, quali conferimenti il 15 aprile 2009 abbiamo sottoscritto l’accordo che ha rafforzato il salario di aziende, permute produttività contrattato in sede decentrata e aperto alla possibilità di partecipazioni, fusioni, scissioni, ed in generale ipotesi deroghe contrattuali con- trattate per consentire a specifiche aree geografiche o ad aziende di cessione di beni aventi quale corrispettivo il trasferimento di partecipazioni sociali, nonché ri- spondere al recente istituto del patto di famiglia. Abbiamo tuttavia circoscritto l’indagine meglio al diffuso contratto di acquisizione o sale and purchase agreement, strumento negoziale al quale le parti ricorrono per ottenere, mediante il formale trasferimento delle partecipazioni sociali di una società operativa, anche il “passaggio” dei beni costituenti il patrimonio aziendale mutare della società medesima. Laddove si consideri, infatti, che non solo l’esercizio di attività economiche ma anche la gestione di patrimoni privati avviene sotto la veste societaria, è di tutta evidenza come il mutamento di gestione delle imprese sia spesso conseguenza del trasferimento delle partecipazioni sociali. Dopo un inquadramento generale, concentreremo l’attenzione sulla problematica dell’allocazione del rischio economico insito in tale genere di contrattazione, ossia l’eventuale e possibile discrepanza tra valore del patrimonio aziendale e corrispettivo pattuito per la cessione delle partecipazioni sociali, al fine di distribuire tra le parti il danno che potrebbe prodursi qualora l’errore impedisse la realizzazione degli interessi di entrambe. Si tratterà, in altri termini, di analizzare se, contrariamente alla irrilevanza giuridica della equivalenza di valore tra le prestazioni dei contratti commutativi, possano avere rilevanza parametri di determinazione del corrispettivo della cessione, estranei all’oggetto immediato del trasferimentodomanda. Il contratto in argomento ha subìto una notevole evoluzione quanto alle modalità sistema di negoziazione ed alle tecniche relazioni industriali aveva più che mai la necessità di stesura rea- lizzare un modello di rapporti di tipo più partecipativo e formulazione, senza mancare meno con- flittuali. E noi l’abbiamo costruito. Sono orgogliosa di recepire le prassi della lex mercatoria e aver condiviso la tradizione anglosassone e statunitense. E’ noto come la cessione a titolo oneroso responsabilità di partecipazioni sociali – generalmente di società di capitali – sia disciplinata dalle norme in tema di vendita nonché dalle regole peculiari per il trasferimento delle partecipazioni medesime, specialmente per forma e pubblicità, funzionale quest’ultima a rendere opponibile il trasferimento sia ai terzi sia alla società. Tuttavia, il ruolo del consulente si aggrava, laddove le parti – ragionevolmente – vogliano munire l’operazione di cautele, per garantire l’equilibrio economico dello scambio tra le partecipazioni, l’azienda cui esse si riferiscono e l’ammontare del prezzo, commisurato appunto al valore reale delle quote trasferite. Tale complicazione è innanzitutto dovuta alle caratteristiche di eterogeneità e dinamicità del bene azienda in sé e di ciascuna tipologia di azienda, nonché alla molteplicità dei metodi di valutazione della stessa; ciò costringe a stabilire quantomeno termini convenzionali di decadenza per l’esperibilità dei rimedi, ovvero a concordare tetti massimi di indennizzi o risarcimenti, pur nel rispetto dei divieti alla limitazione della responsabilità. Il nostro ordinamento non conosce un contratto che risponda specificamente a tali esigenze, ma soprattutto non accoglie il principio di tutela dell’equivalenza economica tra le prestazioni dei contratti commutativi. Il contratto de quo, tuttavia, pone specificamente il problema dell’allocazione del rischio economico, ossia della scelta del contraente su cui far gravare il rischio che, successivamente al closing, divengano palesi caratteri e qualità dell’azienda, i cui presupposti sussistevano già al tempo delle trattative. La prassi ha teso a comporre gli interessi delle parti con clausole pattizie a tutela dei contraenti ed in particolare dell’acquirente, sulla scorta di modelli legali già noti – fra tutti, le garanzie a carico del venditore – nonché di modelli contrattuali anglosassoni; per questi ultimi, tuttavia, sarà necessario effettuare un giudizio di compatibilità ovvero di riqualificazione e riformulazione delle clausole, secondo princìpi e norme italiani. Dallo studio preliminare del materiale dottrinale e giurisprudenziale, in un’ottica di mera ricostruzione cronologica, è emersa con evidenza l’evoluzione storica delle problematiche e della redazione di tale contratto, segnata da una progressiva maggiore articolazione della struttura e dal recepimento di modelli stranieri. Basti, in questa introduzione, precisare che l’evoluzione della redazione del contratto de quo è consistita nella progressiva presa di coscienza da parte degli operatori della necessità non solo di patti che pongano a carico del venditore il rischio di vizi, mancanza di qualità e minusvalenze del patrimonio aziendale, ma anche di clausole riferite alla redditività della società; ad esse, peraltro, si accompagnano accordi che, esplicitamente o indirettamente, stabiliscono l’irresolubilità del contratto e prevedono una rinegoziazione delle condizioni economiche dello scambio, al verificarsi di eventi determinati. Si tratterà dunque di tentare di definire natura e funzione delle cautele negoziali predisposte dalle parti e valutare altresì i limiti all’autonomia privata nel determinare le conseguenze dell’inadempimento delle stesse. Tali cautele, peraltro, non debbono essere intese come predisposte a sola tutela dell’acquirente, dal momento che il dinamismo dell’azienda induce necessariamente a proteggere anche il venditore dal possibile uso strumentale delle richieste di indennizzo e/o risarcimento da parte del cessionario, a notevole distanza di tempo rispetto alla conclusione dell’accordo. Al riguardo, cercheremo di dimostrare – anche sulla scorta di esortazioni in tal senso formulate da autorevole dottrina – che il recepimento di modelli anglosassoni in materia non possa e non debba essere acritico. Al contrario, lo studio della compatibilità delle clausole anglosassoni profonda innovazione con la nostra tradizione ed i nostri princìpi è parte larga- mente maggioritaria del sindacato italiano. Se ancora oggi continua a mancare la sfida più interessante e stimolante; condivisione della Cgil, proprio ora che si tratta di verificare se il recepimento attuare concretamente le nuove regole calandole al- l’interno della realtà di clausole possa invitare importanti aziende e comparti decisivi, lance- remo da Genova un nuovo appello perché anche chi ha detto no alle nuove regole comprenda che la porta resta ben aperta. Perché nel- l’impresa italiana non vive oggi alcun istinto di meschina chiusura alle ragioni del lavoro, anche di chi le incarna e rappresenta nella maniera più combattiva. L’aspra competizione in atto sul mercato globale chiede a scoprire nuovi confini dell’autonomia privata ovvero tutti – nessuno escluso – un grande spirito civile di responsabilità. Nessuno nel nostro Paese chiede ai dipendenti più lavoro a considerare parità di salario, o pari lavoro a retribuzioni più approfonditamente la categoria dell’obbligazione cosiddetta basse, come pure è avvenuto in altri grandi Paesi come Germania e Stati Uniti. Nessuno in Italia ha mai pensato di garanzia. Tutto ciò invita a rivitalizzare il ruolo del consulente legale italiano, che non può esimersi dal valutare la compatibilità mettere in discussione e tanto meno di tali clausole con princìpi inderogabili o cd. norme materiali del ledere i diritti dei lavoratori sanciti nel nostro ordinamento, pur di non correre il rischio di aderire superficialmente al modello contrattuale straniero e ridurre i patti apposti a mere clausole di stile. Tali problematiche sono state messe in luce da autorevole dottrina che, elaborando di recente la nozione di «contratto alieno», ha evidenziato i rischi della supina accettazione di modelli contrattuali estranei alla nostra tradizione. A ciò si aggiunga che, come cercheremo di dimostrare, le esigenze delle parti contraenti possono essere soddisfatte mediante strumenti del nostro ordinamento, sia nella fase delle trattative, sia nella fase conclusiva dell’accordo, sia nell’eventuale e non infrequente fase patologica. L’operatore deve, a fatica, abbandonare strutture proprie della tradizione anglosassone, per indagare quali istituti italiani possano essere invocati ed applicati e per tradurre in termini giuridici le intenzioni e gli interessi delle parti. Come emergerà nel corso della trattazione, a nostro parere, il contratto in esame mette alla prova il consulente, spesso protagonista della fase della cd. due diligence, in quanto il recepimento di modelli contrattuali stranieri rischia di condurre al paradosso di non riuscire ad apprestare tutela a chi non ha verificato la compatibilità delle clausole in essi contenute con princìpi e norme del nostro ordinamento. L’inquadramento dei primi due capitoli consentirà di vagliare la tesi, esposta nel terzo, secondo cui le cautele pattizie – esulando sia dalla struttura sinallagmatica del contratto di vendita sia dalle garanzie ex lege gravanti sul venditore – sono strumenti di ripartizione convenzionale del rischio economico. Se i rimedi di carattere legale non danno risposta adeguata alla tutela dell’equità economica dello scambio, le cautele pattizie, dal canto loro – operando al di fuori del sinallagma contrattuale della vendita – sono funzionali ad attribuire rilevanza giuridica a quei fattori che, sebbene estranei alle partecipazioni sociali trasferite, hanno avuto rilievo economico nella determinazione del prezzo. Contrariamente a quanto sinora affermato sia in dottrina che in giurisprudenza, intendiamo inoltre provare che l’esigenza di tutela dell’acquirente si pone anche nel caso in cui l’ammontare della partecipazione sociale ceduta non sia tale da trasferire il cd. controllo della società; tale dimostrazione, oltre a basarsi sulla relatività della nozione stessa di “controllo”, che non coincide necessariamente con la maggioranza o la totalità delle partecipazioni sociali, si incentrerà sul metodo per rendere giuridicamente rilevanti i parametri economico-aziendalistico-contabili applicati per la determinazione del prezzo. In termini generali, si tratterà di vagliare l’ipotesi secondo cui le parti contraenti possano convenzionalmente assegnare rilevanza giuridica al valore economico del bene. Ciò parrebbe possibile mediante cautele pattizie con cui il venditore assuma il rischio – di regola gravante sull’acquirente, anche in virtù del principio dell’equivalenza meramente soggettiva delle prestazioni dedotte in un contratto sinallagmatico – della discrepanza tra valore del bene oggetto di scambio e corrispettivo pattuito. Strumento per ottenere tale effetto giuridico sarebbe la previsione di clausole di garanzia – per taluni aventi funzione assicurativa – con cui il cedente si addossa il rischio del verificarsi di un fatto, considerato dalle parti fattispecie costitutiva di un’obbligazione, con il conseguente sorgere dell’obbligo di corresponsione di un indennizzo da parte del venditore-garante. Da ciò deriva la scelta frequente di posticipare la corresponsione di parte del prezzo della cessione, ad esempio con clausole di deposito – cd. escrow –, potendo i contraenti scegliere di compensare l’obbligo dell’acquirente al versamento di parte del prezzo con l’obbligo – divenuto attuale al verificarsi dell’evento dedotto nel contratto – di indennizzo del venditore.

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Samples: Confindustria E Il Lavoro

PREFAZIONE. Oggetto La violenza contro le donne è un fenomeno antico, comples- so e purtroppo molto diffuso. Gli effetti devastanti sulle vittime, sui minori e sulle famiglie sono drammatici ed hanno una ricadu- ta profonda sulle comunità, nelle quali rimangono tracce sotterra- nee che spesso rischiano di analisi pro- vocare una frattura nella stessa tenuta della coesione sociale. Si tratta di un fenomeno flui- do, insidioso che non conosce barriere di ceto e di censo, ma è il contratto di cessione trasversale, opaco e spesso sommerso. L’attenzione al tema è oggi fortemente cresciuta a titolo oneroso di partecipazioni sociali, con particolare riferimento alle cautele pattizie utili alla ripartizione del rischio economico, connesso alla possibile divergenza tra valore dell’azienda e prezzo convenuto. Non è escluso che, con opportuni adattamenti, le osservazioni che condurremo possano attagliarsi anche ad altri strumenti di acquisizione di imprese, quali conferimenti di aziende, permute di partecipazioni, fusioni, scissioni, ed in te- stimonianza della generale ipotesi di cessione di beni aventi quale corrispettivo il trasferimento di partecipazioni sociali, nonché al recente istituto del patto di famiglia. Abbiamo tuttavia circoscritto l’indagine al diffuso contratto di acquisizione o sale and purchase agreement, strumento negoziale al quale le parti ricorrono per ottenere, mediante il formale trasferimento delle partecipazioni sociali di una società operativacon- sapevolezza della gravità della situazione, anche il “passaggio” alla luce dei beni costituenti il patrimonio aziendale della società medesima. Laddove si consideri, infattidrammatici fatti di cronaca, che non solo l’esercizio hanno contribuito a far maturare una maggiore nuova sensibilità. Assicurare una capacità di attività economiche ma anche rispo- sta efficace, decisa e corale rap- presenta pertanto ormai un’esi- genza imprescindibile ed impone la gestione messa in campo di patrimoni privati avviene sotto la veste societaria, un’azione di prevenzione e di contrasto se- vera. La Prefettura di Treviso da anni si è fatta promotrice dell’atti- vazione di tutta evidenza come il mutamento di gestione delle imprese sia spesso conseguenza del trasferimento delle partecipazioni sociali. Dopo un inquadramento generale, concentreremo l’attenzione sulla problematica dell’allocazione del rischio economico insito in tale genere di contrattazione, ossia l’eventuale e possibile discrepanza tra valore del patrimonio aziendale e corrispettivo pattuito “Tavolo interisti- tuzionale per la cessione promozione di strategie condivise finalizzate alla prevenzione ed al contrasto del fenomeno della violenza nei confronti delle partecipazioni socialidonne”, nel cui ambito sono state coinvolte le Istituzioni ed i servizi territoriali anche del privato sociale, al fine di distribuire garantire un impegno corale, concreto e fattivo sul tema. Il confronto ha evidenziato come a fronte di un impegno quotidia- no e qualificato di tutti gli opera- tori a partire dalle Forze di Poli- zia, ci sia l’esigenza di assicurare il massimo coordinamento per evitare risposte organizzative ed operative a volte frammentate e non omogenee in tutto il terri- torio provinciale, promuovendo l’investimento nello sviluppo di strumenti e buone prassi per af- frontare questo dilagante feno- meno. Il Tavolo ha quindi fatto emer- xxxx l’urgenza di implementare innanzitutto la piena conoscenza e fiducia reciproche, di confron- tare le proprie visioni e prassi operative, di collaborare e con- dividere obiettivi comuni. In buona sostanza, si è eviden- ziato come un primo passo effi- cace per dare risposta concreta al fenomeno, sia quello di “met- tere a sistema” l’azione di tut- te le componenti Istituzionali e sociali, assicurando così, nel ri- spetto delle competenze e delle responsabilità di ciascuno, una capacità di risposta organica e quindi più efficiente per chi è in stato di bisogno. In quest’ottica, la Prefettura di Treviso ha puntato a garantire strategie comuni di intervento, attraverso il varo di un proces- so straordinario di impegno co- mune e di condivisione che ha portato all’elaborazione di uno strumento di lavoro condiviso che punta ad allineare l’azione delle varie componenti chiamate ad operare con donne e minori vittime di violenza. La finalità di questa iniziativa è stata quella di incentivare una nuova modalità di lavoro che preveda un intervento maggior- mente integrato e una più for- te collaborazione delle agenzie pubbliche sia tra loro che con il privato sociale per ottimizzare ed estendere idonee modalità di accoglienza e presa in carico delle donne e dei minori vittime di violenza e maltrattamenti. Desidero ringraziare per il lavoro svolto tutte le parti numerose com- ponenti presenti al Tavolo che dal 2016 hanno assicurato con il danno che potrebbe prodursi qualora l’errore impedisse loro impegno la realizzazione degli interessi di entrambe. Si tratterà, in altri termini, di analizzare se, contrariamente alla irrilevanza giuridica della equivalenza di valore tra le prestazioni dei contratti commutativi, possano avere rilevanza parametri di determinazione del corrispettivo della cessione, estranei all’oggetto immediato del trasferimento. Il contratto in argomento ha subìto una notevole evoluzione quanto alle modalità di negoziazione ed alle tecniche di stesura e formulazione, senza mancare di recepire le prassi della lex mercatoria e la tradizione anglosassone e statunitense. E’ noto come la cessione a titolo oneroso di partecipazioni sociali – generalmente di società di capitali – sia disciplinata dalle norme in tema di vendita nonché dalle regole peculiari un progetto significativo per il trasferimento delle partecipazioni medesimeterritorio che testimonia la capa- cità di fare sistema per inseguire un obiettivo comune e fonda- mentale per la Comunità. Un ringraziamento particolare al Procuratore della Repubblica di Treviso dr. Xxxxxxx Xxxxx Xxxxx, specialmente alle Forze di Polizia, al Diretto- re Generale della AULSS2 dr. Xxxxxxxxx Xxxxxxx, al Comune di Treviso per forma e pubblicità, funzionale quest’ultima a rendere opponibile il trasferimento sia ai terzi sia alla società. Tuttavia, il ruolo del consulente si aggrava, laddove le parti – ragionevolmente – vogliano munire l’operazione l’azione di cautele, per garantire l’equilibrio economico dello scambio tra le partecipazioni, l’azienda cui esse si riferiscono e l’ammontare del prezzo, commisurato appunto al valore reale delle quote trasferite. Tale complicazione è innanzitutto dovuta alle caratteristiche di eterogeneità e dinamicità del bene azienda in sé e di ciascuna tipologia di aziendacoordi- namento svolta, nonché alla molteplicità dei metodi a tutti i soggetti presenti al Tavolo che hanno garantito con il loro pre- zioso lavoro la riuscita di valutazione della stessa; ciò costringe a stabilire quantomeno termini convenzionali que- sto progetto. Ringrazio altresì la Provincia di decadenza Treviso per l’esperibilità dei rimedi, ovvero a concordare tetti massimi di indennizzi o risarcimenti, pur nel rispetto dei divieti alla limitazione della responsabilità. Il nostro ordinamento non conosce un contratto che risponda specificamente a tali esigenze, ma soprattutto non accoglie il principio di tutela dell’equivalenza economica tra le prestazioni dei contratti commutativi. Il contratto de quo, tuttavia, pone specificamente il problema dell’allocazione del rischio economico, ossia della scelta del contraente su cui far gravare il rischio che, successivamente al closing, divengano palesi caratteri e qualità dell’azienda, i cui presupposti sussistevano già al tempo delle trattative. La prassi ha teso a comporre gli interessi delle parti con clausole pattizie a tutela dei contraenti ed in particolare dell’acquirente, sulla scorta di modelli legali già noti – fra tutti, le garanzie a carico del venditore – nonché di modelli contrattuali anglosassoni; per questi ultimi, tuttavia, sarà necessario effettuare un giudizio di compatibilità ovvero di riqualificazione e riformulazione delle clausole, secondo princìpi e norme italiani. Dallo studio preliminare del materiale dottrinale e giurisprudenziale, in un’ottica di mera ricostruzione cronologica, è emersa con evidenza l’evoluzione storica delle problematiche e della redazione di tale contratto, segnata da una progressiva maggiore articolazione della struttura e dal recepimento di modelli stranieri. Basti, in questa introduzione, precisare che l’evoluzione della redazione del contratto de quo è consistita nella progressiva presa di coscienza da parte degli operatori della necessità non solo di patti che pongano a carico del venditore il rischio di vizi, mancanza di qualità e minusvalenze del patrimonio aziendale, ma anche di clausole riferite alla redditività della società; ad esse, peraltro, si accompagnano accordi che, esplicitamente o indirettamente, stabiliscono l’irresolubilità del contratto e prevedono una rinegoziazione delle condizioni economiche dello scambio, al verificarsi di eventi determinati. Si tratterà dunque di tentare di definire natura e funzione delle cautele negoziali predisposte dalle parti e valutare altresì i limiti all’autonomia privata nel determinare le conseguenze dell’inadempimento delle stesse. Tali cautele, peraltro, non debbono essere intese come predisposte a sola tutela dell’acquirente, dal momento che il dinamismo dell’azienda induce necessariamente a proteggere anche il venditore dal possibile uso strumentale delle richieste di indennizzo e/o risarcimento da parte del cessionario, a notevole distanza di tempo rispetto alla conclusione dell’accordo. Al riguardo, cercheremo di dimostrare – anche sulla scorta di esortazioni in tal senso formulate da autorevole dottrina – che il recepimento di modelli anglosassoni in materia non possa e non debba essere acritico. Al contrario, lo studio della compatibilità delle clausole anglosassoni con la nostra tradizione ed i nostri princìpi è la sfida più interessante e stimolante; si tratta di verificare se il recepimento di clausole possa invitare a scoprire nuovi confini dell’autonomia privata ovvero a considerare più approfonditamente la categoria dell’obbligazione cosiddetta di garanzia. Tutto ciò invita a rivitalizzare il ruolo del consulente legale italiano, che non può esimersi dal valutare la compatibilità di tali clausole con princìpi inderogabili o cd. norme materiali del nostro ordinamento, pur di non correre il rischio di aderire superficialmente al modello contrattuale straniero e ridurre i patti apposti a mere clausole di stile. Tali problematiche sono state messe in luce da autorevole dottrina che, elaborando di recente la nozione di «contratto alieno», ha evidenziato i rischi della supina accettazione di modelli contrattuali estranei alla nostra tradizione. A ciò si aggiunga che, come cercheremo di dimostrare, le esigenze delle parti contraenti possono essere soddisfatte mediante strumenti del nostro ordinamento, sia contri- buto offerto nella fase delle trattative, sia nella fase conclusiva dell’accordo, sia nell’eventuale e non infrequente fase patologica. L’operatore deve, a fatica, abbandonare strutture proprie della tradizione anglosassone, per indagare quali istituti italiani possano essere invocati ed applicati e per tradurre in termini giuridici le intenzioni e gli interessi delle parti. Come emergerà nel corso della trattazione, a nostro parere, il contratto in esame mette alla prova il consulente, spesso protagonista della fase della cd. due diligence, in quanto il recepimento di modelli contrattuali stranieri rischia di condurre al paradosso di non riuscire ad apprestare tutela a chi non ha verificato la compatibilità delle clausole in essi contenute con princìpi e norme del nostro ordinamento. L’inquadramento dei primi due capitoli consentirà di vagliare la tesi, esposta nel terzo, secondo cui le cautele pattizie – esulando sia dalla struttura sinallagmatica del contratto di vendita sia dalle garanzie ex lege gravanti sul venditore – sono strumenti di ripartizione convenzionale del rischio economico. Se i rimedi di carattere legale non danno risposta adeguata alla tutela dell’equità economica dello scambio, le cautele pattizie, dal canto loro – operando al di fuori del sinallagma contrattuale della vendita – sono funzionali ad attribuire rilevanza giuridica a quei fattori che, sebbene estranei alle partecipazioni sociali trasferite, hanno avuto rilievo economico nella determinazione del prezzo. Contrariamente a quanto sinora affermato sia in dottrina che in giurisprudenza, intendiamo inoltre provare che l’esigenza di tutela dell’acquirente si pone anche nel caso in cui l’ammontare della partecipazione sociale ceduta non sia tale da trasferire il cd. controllo della società; tale dimostrazione, oltre a basarsi sulla relatività della nozione stessa di “controllo”, che non coincide necessariamente con la maggioranza o la totalità delle partecipazioni sociali, si incentrerà sul metodo per rendere giuridicamente rilevanti i parametri economico-aziendalistico-contabili applicati per la determinazione del prezzo. In termini generali, si tratterà di vagliare l’ipotesi secondo cui le parti contraenti possano convenzionalmente assegnare rilevanza giuridica al valore economico del bene. Ciò parrebbe possibile mediante cautele pattizie con cui il venditore assuma il rischio – di regola gravante sull’acquirente, anche in virtù del principio dell’equivalenza meramente soggettiva delle prestazioni dedotte in un contratto sinallagmatico – della discrepanza tra valore del bene oggetto di scambio e corrispettivo pattuito. Strumento per ottenere tale effetto giuridico sarebbe la previsione di clausole di garanzia – per taluni aventi funzione assicurativa – con cui il cedente si addossa il rischio del verificarsi di un fatto, considerato dalle parti fattispecie costitutiva di un’obbligazione, con il conseguente sorgere dell’obbligo di corresponsione di un indennizzo da parte del venditore-garante. Da ciò deriva la scelta frequente di posticipare la corresponsione di parte del prezzo della cessione, ad esempio con clausole di deposito – cd. escrow –, potendo i contraenti scegliere di compensare l’obbligo dell’acquirente al versamento di parte del prezzo con l’obbligo – divenuto attuale al verificarsi dell’evento dedotto nel contratto – di indennizzo del venditoreeditoriale.

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Samples: Vademecum Per Operatori

PREFAZIONE. Oggetto Il testo affronta la disciplina dei patti parasociali come prevista a seguito della riforma del diritto societario del 2003 negli artt. 2341-bis e 2341-ter C.C. Le previsioni codicistiche vengono comparate, anche attraverso l’utilizzo di analisi è il contratto di cessione a titolo oneroso di partecipazioni socialitabelle esemplificative, con la previsione in tema di patti parasociali nell’ambito delle società quotate contenute negli artt. 122, 123 del Testo Unico della Intermediazione Finanziaria. La normativa viene accompagnata dall’illustrazione delle più rilevanti tipologie di patti parasociali adottati nella prassi: in particolare riferimento alle cautele pattizie utili si chia- riscono le problematiche sottese, tra l’altro, ai c.d. sindacati di voto, cioè quei patti parasociali che hanno per oggetto l’esercizio del diritto di voto nelle società per azioni o nelle società che le controllano; oppure ai c.d. sindacati di blocco, ovverosia i patti che pongono limiti al trasferimento delle azioni o delle partecipazioni societarie; ai patti di consultazione ossia quegli accordi che intercorrono fra i soci i quali si impegnano a discutere insieme le materie, specificate nel patto, oggetto di voto in una prossima assemblea; o ancora ai patti di concertazione, che si concretano in quei patti che hanno per oggetto o per effetto l’esercizio, anche congiunto, di un’influenza dominante sulla società per azioni o sulle società che la controllano. Il fulcro del discorso si incentra sull’efficacia obbligatoria dei patti parasociali, con il connesso problema dell’inopponibilità a terzi o alla ripartizione società stessa. I patti, infatti, impegnano solo i loro sottoscrittori, con la conseguenza che, nel caso in cui, ad esempio, si sia stabilito tra gli stipulanti che le partecipazioni sociali non potevano essere oggetto di vendita, l’eventuale trasferimento, in deroga al patto, sarà valido ed efficace verso il terzo acquirente e la società, mentre nei rapporti interni obbligherà il contrav- ventore al solo risarcimento del rischio economicodanno. La questione dell’efficacia dei patti parasociali, connesso alla possibile divergenza tra valore dell’azienda e prezzo convenutocome altre interessanti vicende legate al fenomeno, sono affrontate nel testo attraverso numerose esemplificazioni di casi pratici, che hanno il pregio di chiarire le molteplici applicazioni concrete della disciplina giuridica in materia. Non mancano interessanti spunti di riflessione sui recenti scandali finanziari che hanno occupato le cronache dei giornali, ponendo alla luce un sistema di interessi finanziari occulti lesivi della posizione giuridica dei risparmiatori, ignari della situazione finanziaria reale delle società in cui riponevano la propria fiducia. In questo senso, il legislatore è escluso cheintervenuto con la Legge 262/2005 a tutela del risparmio che ha introdotto rilevanti novità in tema di governo societario, con opportuni adattamenti, le osservazioni che condurremo possano attagliarsi anche improntate ad altri strumenti una maggiore tutela del risparmiatore: si pensi alla nuova disciplina del reato di acquisizione di imprese, quali conferimenti di aziende, permute di partecipazioni, fusioni, scissioni, ed in generale ipotesi di cessione di beni aventi quale corrispettivo il trasferimento di partecipazioni false comunicazioni sociali, nonché al recente istituto all’introduzione di una nuova fattispecie criminosa, quale l’omessa co- municazione del patto conflitto di famiglia. Abbiamo tuttavia circoscritto l’indagine al diffuso contratto di acquisizione o sale and purchase agreement, strumento negoziale al quale le parti ricorrono per ottenere, mediante il formale trasferimento delle partecipazioni sociali interessi da parte dell’amministratore di una società operativacon titoli quotati; ancora, la possibilità per il collegio sindacale di promuovere l’azione sociale di responsabilità a seguito di sua deliberazione assunta con la maggioranza dei due terzi dei suoi componenti, ecc. Altra tematica di interessante profilo pratico, attiene alla nullità: al riguardo il testo contiene una interessante casistica giurisprudenziale sui casi di nullità dei patti parasociali, che potrà costituire un valido stru- mento di studio e di confronto sulle vicende societarie in argomento. Nella parte conclusiva è predisposto una sorta di modello per la re- dazione di un patto parasociale, con specifiche indicazioni relative ad aspetti formali e sostanziali. Ciò che lascia stupiti del testo in esame è che l’approfondimento giuri- dico di una tematica complessa quale la disciplina sui patti parasociali, è realizzato con una tecnica narrativa originale ed avvincente, che consente di leggere questioni di diritto societario articolate “tutte d’un fiato”, come se si leggesse un romanzo. L’autore immagina di ritrovarsi in una libreria di testi giuridici di al- tri tempi, in cui incontra un mentore; costui, attraverso la sua passione, maturata negli anni di insegnamento universitario, riesce a trasmettergli non solo interessanti nozioni su argomenti di diritto societario, ma anche nuovi stimoli alla conoscenza. Attraverso pagine impolverate e solitarie, chi sa farsi cullare dal fascino del diritto, riesce nei sogni a rivivere gli insegnamenti di grandi giuristi, percepisce nelle parole di un maestro le linee guida del ragionamento lo- gico-giuridico e ritrova nel proprio entusiasmo lo stimolo per uno studio vero: questo è il “passaggio” dei beni costituenti il patrimonio aziendale della società medesima. Laddove si considerimessaggio, infattiche al di là del contenuto giuridico del testo, l’autore lascia ai suoi lettori, che non solo l’esercizio potranno che essergli riconoscenti. Non manca, poi, il finale a sorpresa. Xxxxxxx Xxxxxxx, svolge la professione di attività economiche ma anche avvocato tra il Foro di Mi- lano e Roma presso la gestione Law Firm Xxxxxxx e Associati nella sede di patrimoni privati avviene sotto la veste societaria, è di tutta evidenza come il mutamento di gestione delle imprese sia spesso conseguenza del trasferimento delle partecipazioni socialiMilano. Dopo aver conseguito la laurea in giurisprudenza presso l’Università La Sapienza di Roma, ha conseguito un inquadramento generalemaster in diritto dell’economia e dell’impresa, concentreremo l’attenzione sulla problematica dell’allocazione nonché una specializzazione in diritto civile. È coautore, insieme al Xxxx. Xxxxx Xxxxxxxx, di un testo sul risarcimento del rischio economico insito danno da fumo e di un lavoro sugli orientamenti giurisprudenziali del Tribunale civile di Roma in tale genere materia di contrattazione, ossia l’eventuale insidia o trabocchetto e possibile discrepanza tra valore del patrimonio aziendale e corrispettivo pattuito responsabilità della Pubblica Amministrazione. Recentemente ha pubblicato con la Halley Editrice il testo “I Profili legali dell’operazione di MLBO”. Attualmente è responsabile per la cessione rivista Il Nuovo Diritto della rubrica relativa alla nuova disciplina delle partecipazioni sociali, al fine di distribuire tra le parti il danno che potrebbe prodursi qualora l’errore impedisse la realizzazione degli interessi di entrambe. Si tratterà, in altri termini, di analizzare se, contrariamente alla irrilevanza giuridica della equivalenza di valore tra le prestazioni dei contratti commutativi, possano avere rilevanza parametri di determinazione del corrispettivo della cessione, estranei all’oggetto immediato del trasferimento. Il contratto in argomento ha subìto una notevole evoluzione quanto alle modalità di negoziazione ed alle tecniche di stesura e formulazione, senza mancare di recepire le prassi della lex mercatoria e la tradizione anglosassone e statunitense. E’ noto come la cessione a titolo oneroso di partecipazioni sociali – generalmente di società di capitali – sia disciplinata dalle norme in tema di vendita nonché dalle regole peculiari per il trasferimento delle partecipazioni medesime, specialmente per forma e pubblicità, funzionale quest’ultima a rendere opponibile il trasferimento sia ai terzi sia alla società. Tuttavia, il ruolo del consulente si aggrava, laddove le parti – ragionevolmente – vogliano munire l’operazione di cautele, per garantire l’equilibrio economico dello scambio tra le partecipazioni, l’azienda cui esse si riferiscono e l’ammontare del prezzo, commisurato appunto al valore reale delle quote trasferite. Tale complicazione è innanzitutto dovuta alle caratteristiche di eterogeneità e dinamicità del bene azienda in sé e di ciascuna tipologia di azienda, nonché alla molteplicità dei metodi di valutazione della stessa; ciò costringe a stabilire quantomeno termini convenzionali di decadenza per l’esperibilità dei rimedi, ovvero a concordare tetti massimi di indennizzi o risarcimenti, pur nel rispetto dei divieti alla limitazione della responsabilità. Il nostro ordinamento non conosce un contratto che risponda specificamente a tali esigenze, ma soprattutto non accoglie il principio di tutela dell’equivalenza economica tra le prestazioni dei contratti commutativi. Il contratto de quo, tuttavia, pone specificamente il problema dell’allocazione del rischio economico, ossia della scelta del contraente su cui far gravare il rischio che, successivamente al closing, divengano palesi caratteri e qualità dell’azienda, i cui presupposti sussistevano già al tempo delle trattative. La prassi ha teso a comporre gli interessi delle parti con clausole pattizie a tutela dei contraenti ed in particolare dell’acquirente, sulla scorta di modelli legali già noti – fra tutti, le garanzie a carico del venditore – nonché di modelli contrattuali anglosassoni; per questi ultimi, tuttavia, sarà necessario effettuare un giudizio di compatibilità ovvero di riqualificazione e riformulazione delle clausole, secondo princìpi e norme italiani. Dallo studio preliminare del materiale dottrinale e giurisprudenziale, in un’ottica di mera ricostruzione cronologica, è emersa con evidenza l’evoluzione storica delle problematiche e della redazione di tale contratto, segnata da una progressiva maggiore articolazione della struttura e dal recepimento di modelli stranieri. Basti, in questa introduzione, precisare che l’evoluzione della redazione del contratto de quo è consistita nella progressiva presa di coscienza da parte degli operatori della necessità non solo di patti che pongano a carico del venditore il rischio di vizi, mancanza di qualità e minusvalenze del patrimonio aziendale, ma anche di clausole riferite alla redditività della società; ad esse, peraltro, si accompagnano accordi che, esplicitamente o indirettamente, stabiliscono l’irresolubilità del contratto e prevedono una rinegoziazione delle condizioni economiche dello scambio, al verificarsi di eventi determinati. Si tratterà dunque di tentare di definire natura e funzione delle cautele negoziali predisposte dalle parti e valutare altresì i limiti all’autonomia privata nel determinare le conseguenze dell’inadempimento delle stesse. Tali cautele, peraltro, non debbono essere intese come predisposte a sola tutela dell’acquirente, dal momento che il dinamismo dell’azienda induce necessariamente a proteggere anche il venditore dal possibile uso strumentale delle richieste di indennizzo e/o risarcimento da parte del cessionario, a notevole distanza di tempo rispetto alla conclusione dell’accordo. Al riguardo, cercheremo di dimostrare – anche sulla scorta di esortazioni in tal senso formulate da autorevole dottrina – che il recepimento di modelli anglosassoni in materia non possa e non debba essere acritico. Al contrario, lo studio della compatibilità delle clausole anglosassoni con la nostra tradizione ed i nostri princìpi è la sfida più interessante e stimolante; si tratta di verificare se il recepimento di clausole possa invitare a scoprire nuovi confini dell’autonomia privata ovvero a considerare più approfonditamente la categoria dell’obbligazione cosiddetta di garanzia. Tutto ciò invita a rivitalizzare il ruolo del consulente legale italiano, che non può esimersi dal valutare la compatibilità di tali clausole con princìpi inderogabili o cd. norme materiali del nostro ordinamento, pur di non correre il rischio di aderire superficialmente al modello contrattuale straniero e ridurre i patti apposti a mere clausole di stile. Tali problematiche sono state messe in luce da autorevole dottrina che, elaborando di recente la nozione di «contratto alieno», ha evidenziato i rischi della supina accettazione di modelli contrattuali estranei alla nostra tradizione. A ciò si aggiunga che, come cercheremo di dimostrare, le esigenze delle parti contraenti possono essere soddisfatte mediante strumenti del nostro ordinamento, sia nella fase delle trattative, sia nella fase conclusiva dell’accordo, sia nell’eventuale e non infrequente fase patologica. L’operatore deve, a fatica, abbandonare strutture proprie della tradizione anglosassone, per indagare quali istituti italiani possano essere invocati ed applicati e per tradurre in termini giuridici le intenzioni e gli interessi delle parti. Come emergerà nel corso della trattazione, a nostro parere, il contratto in esame mette alla prova il consulente, spesso protagonista della fase della cd. due diligence, in quanto il recepimento di modelli contrattuali stranieri rischia di condurre al paradosso di non riuscire ad apprestare tutela a chi non ha verificato la compatibilità delle clausole in essi contenute con princìpi e norme del nostro ordinamento. L’inquadramento dei primi due capitoli consentirà di vagliare la tesi, esposta nel terzo, secondo cui le cautele pattizie – esulando sia dalla struttura sinallagmatica del contratto di vendita sia dalle garanzie ex lege gravanti sul venditore – sono strumenti di ripartizione convenzionale del rischio economico. Se i rimedi di carattere legale non danno risposta adeguata alla tutela dell’equità economica dello scambio, le cautele pattizie, dal canto loro – operando al di fuori del sinallagma contrattuale della vendita – sono funzionali ad attribuire rilevanza giuridica a quei fattori che, sebbene estranei alle partecipazioni sociali trasferite, hanno avuto rilievo economico nella determinazione del prezzo. Contrariamente a quanto sinora affermato sia in dottrina che in giurisprudenza, intendiamo inoltre provare che l’esigenza di tutela dell’acquirente si pone anche nel caso in cui l’ammontare della partecipazione sociale ceduta non sia tale da trasferire il cd. controllo della società; tale dimostrazione, oltre a basarsi sulla relatività della nozione stessa di “controllo”, che non coincide necessariamente con la maggioranza o la totalità delle partecipazioni sociali, si incentrerà sul metodo per rendere giuridicamente rilevanti i parametri economico-aziendalistico-contabili applicati per la determinazione del prezzo. In termini generali, si tratterà di vagliare l’ipotesi secondo cui le parti contraenti possano convenzionalmente assegnare rilevanza giuridica al valore economico del bene. Ciò parrebbe possibile mediante cautele pattizie con cui il venditore assuma il rischio – di regola gravante sull’acquirente, anche in virtù del principio dell’equivalenza meramente soggettiva delle prestazioni dedotte in un contratto sinallagmatico – della discrepanza tra valore del bene oggetto di scambio e corrispettivo pattuito. Strumento per ottenere tale effetto giuridico sarebbe la previsione di clausole di garanzia – per taluni aventi funzione assicurativa – con cui il cedente si addossa il rischio del verificarsi di un fatto, considerato dalle parti fattispecie costitutiva di un’obbligazione, con il conseguente sorgere dell’obbligo di corresponsione di un indennizzo da parte del venditore-garante. Da ciò deriva la scelta frequente di posticipare la corresponsione di parte del prezzo della cessione, ad esempio con clausole di deposito – cd. escrow –, potendo i contraenti scegliere di compensare l’obbligo dell’acquirente al versamento di parte del prezzo con l’obbligo – divenuto attuale al verificarsi dell’evento dedotto nel contratto – di indennizzo del venditorecapitali.

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