SOLUZIONE. [1] Tanto la Cassazione quanto la Corte d’Appello muovono dalla constatazione che il negozio dal quale scaturiva la lite era rimasto inefficace in seguito al mancato avveramento della condicio iuris apposta dai contraenti e che, di conseguenza, non vi era possibilità alcuna per discorrere dell’inadempimento delle obbligazioni, invero mai sorte, che lo stesso prevedeva in capo alle parti. Secondo il ragionamento sviluppato da entrambi i collegi, la controversia doveva essere piuttosto decisa verificando se alla società committente fosse o meno rimproverabile una violazione del dovere di comportamento secondo buona fede in pendenza della condizione contrattuale previsto dall’art. 1358 c.c.: a tale riguardo, evidenzia in particolare la Suprema Corte come «chi si sia obbligato sotto la condizione sospensiva dell’ottenimento di determinate autorizzazioni o concessioni amministrative necessarie per la realizzazione delle finalità economiche che l’altra parte si propone, ha il dovere di compiere, per conservarne integre le ragioni, comportandosi secondo buona fede (art. 1358 c.c.), tutte le attività che da lui dipendono per l’avveramento di siffatta condizione, in modo da non impedire che la P.A. provveda sul rilascio degli auspicati provvedimenti ampliativi»; per poi soggiungere che «in un contratto diretto alla progettazione e realizzazione di opere edili, è configurabile, in capo al committente, un dovere di cooperare all’adempimento dell’esecutore dei lavori, affinché quest’ultimo possa realizzare il risultato cui è preordinato il rapporto obbligatorio, se del caso anche favorendo l’elaborazione di varianti progettuali resesi necessarie in corso d’opera, vieppiù ove (…) l’approvazione del progetto sia stata elevata dalle parti a condizione di efficacia dell’intero contratto». Il ragionamento sviluppato dalla Corte d’Appello e successivamente confermato dalla Cassazione peraltro esclude che alla società committente sia addebitabile una violazione del dovere di correttezza pendente condicione, facendo leva su due ordini di argomenti. Il primo rileva che, nelle ipotesi considerate, il giudizio circa l’inosservanza dell’art. 1358 c.c. presuppone l’accertamento del fatto che, avuto riguardo alla situazione esistente nel momento in cui si è verificato tale inadempimento, «la condizione avrebbe potuto avverarsi, essendo certo il legittimo rilascio delle autorizzazioni o concessioni amministrative con riguardo alla normativa applicabile» (a tale riguardo la sentenza richiama alcuni precedenti di legittimità: Cass., 2 giugno 1992, n. 6676; Cass., 22 marzo 2001, n. 4110; Cass., 18 marzo 2002, n. 3942; Cass., 3 luglio 2014, n. 16501): e nel caso di specie tale accertamento aveva avuto esito negativo, in quanto mancava la prova del fatto che la variante progettuale avrebbe certamente ottenuto l’approvazione del Comune competente. Da un secondo punto di vista la Suprema Corte motiva la propria decisione svolgendo alcune precisazioni in merito al contenuto e a limiti del dovere di cui si discute, in particolare affermando che «l’obbligo, previsto dall’art. 1358 c.c., di comportarsi, in pendenza della condizione, secondo buona fede (e cioè in modo da non influire sul libero corso della condizione pendente e di non accrescere il margine d’incertezza insito nell’evento condizionante, al fine di conservare integre le ragioni dell’altra parte) non può implicare per una delle parti l’accettazione di un sacrificio di suoi diritti o legittimi interessi, nel senso di veder mutare l’equilibrio economico delle prestazioni stabilito nel contratto condizionato (…). L’obbligo di comportarsi secondo buona fede, incombente sui contraenti ai sensi degli artt. 1337, 1358, 1375 e 1460 c.c., è rivolto, infatti, ad impedire (e non a provocare) agli stessi un minor vantaggio, ovvero un maggior aggravio economico». Coerentemente con queste premesse, quindi, gli ermellini giudicano legittimo il rifiuto della società committente di addivenire, tramite la sottoscrizione della variante progettuale preparata dall’architetto, ad una modifica del contenuto del contratto che avrebbe comportato un ampliamento dell’attribuzione traslativa dovuta alla controparte.
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Samples: Privacy and Data Protection, Obbligazioni E Contratti
SOLUZIONE. [1] Tanto I motivi di ricorso, concernenti la contestazione della giurisdizione del giudice italiano e l’applicazione la legislazione italiana, in ragione della loro connessione, sono stati trattati congiuntamente dalle Sezioni Unite della Cassazione, cui la Sezione II della Cassazione quanto la Corte d’Appello muovono dalla constatazione che aveva rimesso il negozio dal quale scaturiva la lite era rimasto inefficace in seguito al mancato avveramento ricorso della condicio iuris apposta dai contraenti Società francese, e che, di conseguenzanon sono fondati. In primo luogo, non vi era possibilità alcuna sussistono le condizioni per discorrere dell’inadempimento delle obbligazionidisporre rinvio pregiudiziale alla CGUE. La giurisprudenza della Corte di giustizia (sentenza del 6 ottobre 1982, invero mai sorteCilfit, che lo stesso prevedeva in capo alle parti. Secondo il ragionamento sviluppato da entrambi i collegiC283/81; sentenza, la controversia doveva essere piuttosto decisa verificando se alla società committente fosse o meno rimproverabile una violazione del dovere di comportamento secondo buona fede in pendenza della condizione contrattuale previsto dall’art. 1358 c.c.: a tale riguardo6 ottobre 2021, evidenzia in particolare la Suprema Corte come «chi si sia obbligato sotto la condizione sospensiva dell’ottenimento di determinate autorizzazioni o concessioni amministrative necessarie per la realizzazione delle finalità economiche che l’altra parte si proponeC-561/19, Consorzio italiano), ha il dovere di compiere, per conservarne integre le ragioni, comportandosi secondo buona fede (art. 1358 c.c.), tutte le attività che da lui dipendono per l’avveramento di siffatta condizione, in modo da non impedire che la P.A. provveda sul rilascio degli auspicati provvedimenti ampliativi»; per poi soggiungere che «in un contratto diretto alla progettazione e realizzazione di opere edili, è configurabile, in capo al committente, un dovere di cooperare all’adempimento dell’esecutore dei lavori, affinché quest’ultimo possa realizzare il risultato cui è preordinato il rapporto obbligatorio, se del caso anche favorendo l’elaborazione di varianti progettuali resesi necessarie in corso d’opera, vieppiù ove (…) l’approvazione del progetto sia stata elevata dalle parti a condizione di efficacia dell’intero contratto». Il ragionamento sviluppato dalla Corte d’Appello e successivamente confermato dalla Cassazione peraltro esclude che alla società committente sia addebitabile una violazione del dovere di correttezza pendente condicione, facendo leva su due ordini di argomenti. Il primo rileva chiarito che, nelle ipotesi considerate, il giudizio circa l’inosservanza dell’art. 1358 c.c. presuppone l’accertamento del fatto che, avuto riguardo alla situazione esistente nel momento in cui si è verificato tale inadempimento, «la condizione avrebbe potuto avverarsi, essendo certo il legittimo rilascio delle autorizzazioni o concessioni amministrative con riguardo alla normativa applicabile» (a tale riguardo la sentenza richiama alcuni precedenti di legittimità: Cass., 2 giugno 1992, n. 6676; Cass., 22 marzo 2001, n. 4110; Cass., 18 marzo 2002, n. 3942; Cass., 3 luglio 2014, n. 16501): e nel caso di specie tale accertamento aveva avuto esito negativo, in quanto mancava la prova del fatto che la variante progettuale avrebbe certamente ottenuto l’approvazione del Comune competente. Da un secondo punto di vista la Suprema Corte motiva la propria decisione svolgendo alcune precisazioni in merito al contenuto e a limiti del dovere di cui si discute, in particolare affermando che «l’obbligo, previsto dall’art. 1358 c.c., di comportarsi, in pendenza della condizione, secondo buona fede (e cioè in modo da non influire sul libero corso della condizione pendente e di non accrescere il margine d’incertezza insito nell’evento condizionante, al fine di conservare integre evitare che in un qualsiasi Stato membro si consolidi una giurisprudenza nazionale in contrasto con le ragioni dell’altra parte) norme del diritto dell’Unione, qualora non può implicare per una delle parti l’accettazione sia previsto alcun ricorso giurisdizionale avverso la decisione di un sacrificio giudice nazionale, quest’ultimo è, in linea di suoi diritti o legittimi interessiprincipio, tenuto a rivolgersi alla Corte ai sensi dell’art. 267, terzo comma, TFUE quando è chiamato a pronunciarsi su una questione d’interpretazione del diritto Europeo, al fine di garantire la corretta applicazione e l’interpretazione uniforme del diritto dell’Unione nell’insieme degli Stati membri, fra i giudici nazionali, in quanto incaricati dell’applicazione del diritto dell’Unione, e la Xxxxx (Xxxxx xx xxxxxxxxx, xxxxxxxx xxx 00 marzo 2017, in causa C-3/16, Aquino, par. 32). Gli organi giurisdizionali non sono, invece, tenuti a disporre il rinvio pregiudiziale qualora rilevino, come nella specie in ragione della giurisprudenza della CGUE di seguito richiamata, che la disposizione del diritto dell’Unione di cui trattasi sia già stata oggetto d’interpretazione da parte della Corte, ovvero che la corretta applicazione del diritto dell’Unione si imponga con tale evidenza da non lasciar adito a ragionevoli dubbi. Nel merito, viene in evidenza l’art. 5 della Convenzione di Bruxelles del 1968, alla quale sono seguiti i Regolamenti Bruxelles I (Reg. CE 22/12/2000, n. 44/2001) e Bruxelles Ibis (Reg. UE n. 12/12/2012 n. 1215). La Convenzione di Bruxelles del 1968, all’art. 2, salvo le eccezioni poi previste, pone la regola generale che “le persone aventi il domicilio nel territorio di uno Stato contraente sono convenute, a prescindere dalla loro nazionalità, davanti agli organi giurisdizionali di tale Stato”. All’art. 5, comma 1, nel senso prevedere un foro alternativo, sancisce, per quanto qui rileva, che “il convenuto domiciliato nel territorio di veder mutare l’equilibrio economico delle prestazioni stabilito nel contratto condizionato (…). L’obbligo di comportarsi secondo buona fede, incombente sui contraenti ai sensi degli artt. 1337, 1358, 1375 e 1460 c.c., è rivolto, infatti, ad impedire (e non a provocare) agli stessi uno Stato contraente può essere citato in un minor vantaggio, ovvero un maggior aggravio economico». Coerentemente con queste premesse, quindi, gli ermellini giudicano legittimo il rifiuto della società committente di addivenire, tramite la sottoscrizione della variante progettuale preparata dall’architetto, ad una modifica del contenuto del contratto che avrebbe comportato un ampliamento dell’attribuzione traslativa dovuta alla controparte.altro Stato contraente:
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Samples: Proprietà E Diritti Reali, Contratto Di Compravendita
SOLUZIONE. [1] Tanto La clausola di scelta del foro competente in favore del Giudice francese, ed in favore della legge francese, era contenuta nelle condizioni generali di contratto non firmate, né la Cassazione quanto clausola era stata espressamente richiamata nel suo contenuto nel testo del contratto firmato. Pertanto, la Corte d’Appello muovono ha chiarito che dalla constatazione che il negozio dal quale scaturiva la lite era rimasto inefficace in seguito mera indicazione – nell’indice – del capitolo recante condizioni generali di contratto, seppure congiunto materialmente al mancato avveramento della condicio iuris apposta dai contraenti e che, di conseguenzacontratto, non vi era possibilità alcuna per discorrere dell’inadempimento può farsi discendere che la clausola di proroga abbia costituito oggetto di specifica pattuizione negoziale delle obbligazioniparti, invero mai sorte, che lo stesso prevedeva manifestatasi “in capo alle partimodo chiaro e preciso”. Secondo il ragionamento sviluppato da entrambi i collegi, la controversia doveva essere piuttosto decisa verificando se alla società committente fosse o meno rimproverabile una violazione del dovere di comportamento secondo buona fede in pendenza della condizione contrattuale previsto dall’art. 1358 c.c.: a tale riguardo, evidenzia in particolare la Suprema Corte come «chi La Cassazione si sia obbligato sotto la condizione sospensiva dell’ottenimento di determinate autorizzazioni o concessioni amministrative necessarie per la realizzazione delle finalità economiche che l’altra parte si propone, ha il dovere di compiere, per conservarne integre le ragioni, comportandosi secondo buona fede (art. 1358 c.c.), tutte le attività che da lui dipendono per l’avveramento di siffatta condizioneè, in modo da non impedire che tal modo, posta in linea sia con la P.A. provveda sul rilascio degli auspicati provvedimenti ampliativi»; per poi soggiungere che «in un contratto diretto alla progettazione e realizzazione di opere edili, è configurabile, in capo al committente, un dovere di cooperare all’adempimento dell’esecutore dei lavori, affinché quest’ultimo possa realizzare il risultato cui è preordinato il rapporto obbligatorio, se del caso anche favorendo l’elaborazione di varianti progettuali resesi necessarie in corso d’opera, vieppiù ove propria giurisprudenza (…) l’approvazione del progetto sia stata elevata dalle parti a condizione di efficacia dell’intero contratto»si veda ad es. Il ragionamento sviluppato dalla Corte d’Appello e successivamente confermato dalla Cassazione peraltro esclude che alla società committente sia addebitabile una violazione del dovere di correttezza pendente condicione, facendo leva su due ordini di argomenti. Il primo rileva che, nelle ipotesi considerate, il giudizio circa l’inosservanza dell’art. 1358 c.c. presuppone l’accertamento del fatto che, avuto riguardo alla situazione esistente nel momento in cui si è verificato tale inadempimento, «la condizione avrebbe potuto avverarsi, essendo certo il legittimo rilascio delle autorizzazioni o concessioni amministrative con riguardo alla normativa applicabile» (a tale riguardo la sentenza richiama alcuni precedenti di legittimità: Cass., 2 giugno 1992SU, 29 aprile 2022, n. 6676; Cass.13594), 22 marzo 2001sia con la giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, n. 4110; Cass., 18 marzo 2002, n. 3942; Cass., 3 luglio 2014, n. 16501): e nel caso che anche recentemente ha chiarito che “allorchè una clausola attributiva di specie tale accertamento aveva avuto esito negativo, in quanto mancava la prova del fatto che la variante progettuale avrebbe certamente ottenuto l’approvazione del Comune competente. Da un secondo punto giurisdizione è stipulata nell’ambito di vista la Suprema Corte motiva la propria decisione svolgendo alcune precisazioni in merito al contenuto e a limiti del dovere di cui si discute, in particolare affermando che «l’obbligo, previsto dall’art. 1358 c.c., di comportarsi, in pendenza della condizione, secondo buona fede (e cioè in modo da non influire sul libero corso della condizione pendente e di non accrescere il margine d’incertezza insito nell’evento condizionante, al fine di conservare integre le ragioni dell’altra parte) non può implicare per condizioni generali […[ una delle parti l’accettazione di un sacrificio di suoi diritti o legittimi interessisimile clausola è lecita qualora, nel senso di veder mutare l’equilibrio economico delle prestazioni stabilito nel testo stesso del contratto condizionato firmato dalle due parti, sia fatto un richiamo espresso a condizioni generali contenenti la clausola medesima” (…sentenza 8 marzo 2018, X00/00, Xxxx Xxxx & Xxxxxx XX/XX). L’obbligo di comportarsi secondo buona fede, incombente sui contraenti ai sensi degli artt. 1337, 1358, 1375 e 1460 c.c., è rivoltoSi vuole, infatti, ad impedire in tal modo tutelare il contraente più debole evitando che clausole attributive di giurisdizione, inserite nel contratto da una sola delle parti, passino inosservate (Corte di Giustizia, sentenza 16 marzo 1999, Castelletti, C-159/97). Quanto alla giurisdizione, la Corte ha individuato il Giudice italiano quale foro competente ex art. 7, 1° comma, lett. b) Reg. (UE) n. 1215/2012 trattandosi di contratto internazionale di appalto (prestazione di servizi) e non di vendita (come sostenuto, invece, dalla società francese). A tale conclusione la Corte è giunta utilizzando i criteri posti dall’art. 3 CISG e ha rilevato che le parti avevano voluto dare luogo ad un contratto di appalto in quanto esso non si limitava a provocare) agli stessi un minor vantaggio, ovvero un maggior aggravio economico». Coerentemente con queste premesse, quindi, gli ermellini giudicano legittimo il rifiuto della società committente di addivenire, tramite la sottoscrizione della variante progettuale preparata dall’architetto, ad stabilire solo una modifica del contenuto del contratto che avrebbe comportato un ampliamento dell’attribuzione traslativa dovuta alla contropartesemplice fornitura.
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Samples: Obbligazioni E Contratti
SOLUZIONE. [1] Tanto Il Supremo Xxxxxxxx ha respinto il motivo di ricorso sottoposto al suo sindacato sotto entrambi i profili considerati. Il primo era quello riguardante l’ammissibilità, nelle vicenda concretamente esaminata, della rimessione in termini da overruling, ossia motivata in relazione a un sopravvenuto revirement dell’interpretazione giurisprudenziale di legge che sia idoneo a pregiudicare la Cassazione quanto parte che abbia conformato il proprio agire all’orientamento ermeneutico precedentemente invalso. Sulla base di un excursus sulla pregressa elaborazione in materia, le Sezioni unite pervengono a identificare le condizioni congiuntamente, a quel fine, richieste: a) in un mutamento della giurisprudenza di legittimità relativo all’interpretazione di norme processuali; b) nella connotazione come obiettivamente imprevedibile di quella svolta; c) negli effetti preclusivi dell’intercorso overruling, quale, cioè, causa diretta di una situazione di inammissibilità, improcedibilità o decadenza connessa alla diversità delle forme o dei termini che avrebbero dovuto osservarsi sulla base dell’orientamento sopravvenuto. Di tali condizioni, però, soltanto la Corte d’Appello muovono dalla constatazione che il negozio dal quale scaturiva prima poteva dirsi integrata, stante l’indiscutibile natura, se non solo, certo anche processuale della disposizione di cui all’art. 829, 3° comma, c.p.c. Non, al contrario, la lite era rimasto inefficace in seguito al mancato avveramento della condicio iuris apposta dai contraenti e seconda, visto che, di conseguenzaalla data della cit. Cass. n. 6148/2012, non vi era possibilità alcuna per discorrere dell’inadempimento delle obbligazioni, invero mai sorte, che lo stesso prevedeva in capo alle parti. Secondo il ragionamento sviluppato da entrambi i collegi, la controversia doveva essere piuttosto decisa verificando se alla società committente fosse o meno rimproverabile una violazione del dovere di comportamento secondo buona fede in pendenza della condizione contrattuale previsto dall’art. 1358 c.c.: a tale riguardo, evidenzia in particolare la Suprema Corte come mai si era pronunciata sulla disciplina di diritto intertemporale di cui all’art. 27 d. lgs. n. 40/2006 e, dunque, mancava un consolidato indirizzo della giurisprudenza di legittimità che potesse alimentare un ragionevole affidamento della parte. E non, soprattutto, la terza, visto che l’innovativo orientamento inaugurato da detta Cass. n. 6048/2012 (e poi definitivamente consacrato da Cass., Sez. un., 9 maggio 2016, n. 9284, 9285 e 9341) aveva portata ampliativa, e non restrittiva, dei poteri processuali spettanti alla parte, sì che la decadenza in cui la xxxxxxxx era incorsa non era certo ad esso addebitabile, bensì all’interpretazione di legge dianzi recepita: ciò che esclude, nella fattispecie, l’ammissibilità della rimessione in termini da overruling anche a voler ammettere – ma la Corte, in ogni caso, lo nega – che un affidamento meritevole di tutela della parte potrebbe essere generato, in mancanza di un dictum del giudice di legittimità, da una compatta e incontrastata interpretazione della giurisprudenza di merito. [2] Il secondo profilo del motivo rimesso all’esame delle Sezioni unite atteneva all’applicabilità, nella specie, di una rimessione in termini “ordinaria”, ovverosia svincolata dai presupposti messi a punto dalla giurisprudenza per poter invocare il prospective overruling: ma neppure su questo versante esse hanno lasciato aperto un qualche margine alla discussione. A prescindere da quella che sarebbe stata, nell’occasione, la vistosa intempestività dell’iniziativa spiegata dalla parte al fine di vedersi restituita nei poteri processuali rimasti preclusi, essendosi la stessa attivata a distanza di quasi due anni dal momento in cui, con la pronuncia della S.C. n. 6148/2012, si sarebbe palesata l’astratta possibilità di recuperare quei poteri medesimi: ciò che alle Sezioni unite preme porre in risalto è che, se a concretare la nozione di «chi si sia obbligato sotto la condizione sospensiva dell’ottenimento causa non imputabile» di determinate autorizzazioni o concessioni amministrative necessarie per la realizzazione delle finalità economiche che l’altra parte si propone, ha il dovere di compiere, per conservarne integre le ragioni, comportandosi secondo buona fede (cui al predetto art. 1358 c.c153, 2° comma, c.p.c. (ed al previgente art. 184-bis c.p.c.), tutte le attività dev’essere un fatto impeditivo che da lui dipendono per l’avveramento di siffatta condizione, in modo da non impedire che la P.A. provveda sul rilascio degli auspicati provvedimenti ampliativi»; per poi soggiungere che «in un contratto diretto alla progettazione e realizzazione di opere edili, è configurabile, in capo al committente, un dovere di cooperare all’adempimento dell’esecutore dei lavori, affinché quest’ultimo possa realizzare presenti il risultato cui è preordinato il rapporto obbligatorio, se del caso anche favorendo l’elaborazione di varianti progettuali resesi necessarie in corso d’opera, vieppiù ove (…) l’approvazione del progetto sia stata elevata dalle parti a condizione di efficacia dell’intero contratto». Il ragionamento sviluppato dalla Corte d’Appello e successivamente confermato dalla Cassazione peraltro esclude che alla società committente sia addebitabile una violazione del dovere di correttezza pendente condicione, facendo leva su due ordini di argomenti. Il primo rileva che, nelle ipotesi considerate, il giudizio circa l’inosservanza dell’art. 1358 c.c. presuppone l’accertamento del fatto che, avuto riguardo alla situazione esistente nel momento in cui si è verificato tale inadempimento, «la condizione avrebbe potuto avverarsi, essendo certo il legittimo rilascio delle autorizzazioni o concessioni amministrative con riguardo alla normativa applicabile» (a tale riguardo la sentenza richiama alcuni precedenti di legittimità: Cass., 2 giugno 1992, n. 6676; Cass., 22 marzo 2001, n. 4110; Cass., 18 marzo 2002, n. 3942; Cass., 3 luglio 2014, n. 16501): e nel caso di specie tale accertamento aveva avuto esito negativo, in quanto mancava la prova del fatto che la variante progettuale avrebbe certamente ottenuto l’approvazione del Comune competente. Da un secondo punto di vista la Suprema Corte motiva la propria decisione svolgendo alcune precisazioni in merito al contenuto e a limiti del dovere di cui si discute, in particolare affermando che «l’obbligo, previsto dall’art. 1358 c.c., di comportarsi, in pendenza della condizione, secondo buona fede (e cioè in modo da non influire sul libero corso della condizione pendente e di non accrescere il margine d’incertezza insito nell’evento condizionante, al fine di conservare integre le ragioni dell’altra parte) non può implicare per una delle parti l’accettazione di un sacrificio di suoi diritti o legittimi interessicarattere dell’assolutezza, nel senso di veder mutare l’equilibrio economico delle prestazioni stabilito nel contratto condizionato (…)porsi del tutto al di fuori della sfera di controllo della parte, questo, evidentemente, non può dirsi dell’errore di diritto che quella abbia commesso nell’uniformarsi a una lettura del testo di legge che la Cassazione sia poi venuta a smentire. L’obbligo Né, prosegue il supremo giudice, può opporsi alla presente considerazione il fatto che quella di comportarsi secondo buona fedecui, incombente sui contraenti ai sensi degli arttnella circostanza, si discuteva fosse norma di significato assolutamente univoco, sì da non potersi imputare a colpa della parte la scelta di conformare la propria condotta processuale a quel significato medesimo. 1337, 1358, 1375 e 1460 c.c., è rivoltoL’interpretazione di un testo normativo, infatti, ad impedire non è mai un dato acquisito a priori, bensì il precipitato di molteplici fattori e varianti, che sovente trascendono il mero elemento della littera legis, tanto da doversi imputare a responsabilità della parte, ovvero, il che è lo stesso, del suo difensore, la scelta di confidare esclusivamente in quest’ultimo, trascurando ogni altra, anche soltanto astratta, possibilità alternativa: come, peraltro, dimostra la vicenda quivi in rassegna, dove la Cassazione si è discostata dalla lettera dell’art. 27, 4° comma, d. lgs. n. 40/2006 in nome di un’interpretazione costituzionalmente orientata che ha poi ricevuto l’avallo dello stesso giudice delle leggi (e non a provocare) agli stessi un minor vantaggioCorte cost., ovvero un maggior aggravio economico». Coerentemente con queste premesse30 gennaio 2018, quindin. 13, gli ermellini giudicano legittimo il rifiuto della società committente di addivenireForo it., tramite la sottoscrizione della variante progettuale preparata dall’architetto2018, ad una modifica del contenuto del contratto che avrebbe comportato un ampliamento dell’attribuzione traslativa dovuta alla controparteI, 707).
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Samples: Obbligazioni E Contratti
SOLUZIONE. [Con il primo motivo del ricorso principale l’Agenzia delle entrate denunciava, in relazione all’art. 360 c.p.c., comm 1] Tanto , n.4, la Cassazione quanto nullità per motivazione apparente della sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36 e art. 132 c.p.c., per non avere la Corte d’Appello muovono dalla constatazione Commissione tributaria regionale adeguatamente esposto le ragioni in fatto e in diritto della decisione. Con il secondo motivo, in via subordinata, l’Agenzia denunciava, in relazione all’art. 360 c.p.c., comm 1, n.3, la violazione e falsa applicazione degli artt. 485 c.c. e 2697 c.c., per avere la Commissione Tributaria Regionale ritenuto non sussistente il possesso dei beni ereditari, a fronte invece di una pacifica circostanza per cui i chiamati all’eredità hanno il domicilio nello stesso immobile in cui lo aveva il de cuius, e di conseguenza per aver ritenuto che i chiamati non avessero perso il negozio diritto di rinunciare all’eredità ex art. 485 c.c. Il giudice di legittimità accoglie il primo motivo ritenendolo fondato, con assorbimento del secondo, argomentando come segue. In primo luogo, richiamando una sua precedente pronuncia, la Suprema corte ritiene che se il chiamato si trovi nel possesso di beni ereditari e non compie l’inventario entro tre mesi dal quale scaturiva giorno dell’apertura della successione o della notizia della devoluta eredità non può rinunciare all’eredità, ai sensi dell’art. 519 c.c., in maniera efficace nei confronti dei creditori del de cuius, dovendo il chiamato, allo scadere dei termini stabiliti per l’inventario, essere considerato erede puro e semplice. In secondo luogo, la lite era rimasto inefficace considerazione per cui “non è dato sapere se gli eredi rinunciatari si trovano nel possesso dei beni ereditari” pare essere, per la Suprema corte, una considerazione apodittica e priva di riferimenti alla situazione concreta (considerate le specifiche deduzioni portate dall’Ufficio in seguito al mancato avveramento della condicio iuris apposta dai contraenti e che, di conseguenza, non vi era possibilità alcuna per discorrere dell’inadempimento delle obbligazioni, invero mai sorte, che ordine all’accertata domiciliazione degli eredi nell’immobile in cui aveva il domicilio lo stesso prevedeva in capo alle parti. Secondo il ragionamento sviluppato da entrambi i collegi, la controversia doveva essere piuttosto decisa verificando se alla società committente fosse o meno rimproverabile una violazione del dovere di comportamento secondo buona fede in pendenza della condizione contrattuale previsto dall’art. 1358 c.c.: a tale riguardo, evidenzia in particolare la Suprema Corte come «chi si sia obbligato sotto la condizione sospensiva dell’ottenimento di determinate autorizzazioni o concessioni amministrative necessarie per la realizzazione delle finalità economiche che l’altra parte si propone, ha il dovere di compiere, per conservarne integre le ragioni, comportandosi secondo buona fede (art. 1358 c.c.), tutte le attività che da lui dipendono per l’avveramento di siffatta condizione, in modo da non impedire che la P.A. provveda sul rilascio degli auspicati provvedimenti ampliativi»; per poi soggiungere che «in un contratto diretto alla progettazione e realizzazione di opere edili, è configurabile, in capo al committente, un dovere di cooperare all’adempimento dell’esecutore dei lavori, affinché quest’ultimo possa realizzare il risultato cui è preordinato il rapporto obbligatorio, se del caso anche favorendo l’elaborazione di varianti progettuali resesi necessarie in corso d’opera, vieppiù ove (…de cuius) l’approvazione del progetto sia stata elevata dalle parti a condizione di efficacia dell’intero contratto». Il ragionamento sviluppato dalla Corte d’Appello e successivamente confermato dalla Cassazione peraltro esclude che alla società committente sia addebitabile una violazione del dovere di correttezza pendente condicione, facendo leva su due ordini di argomenti. Il primo rileva che, nelle ipotesi considerate, il giudizio circa l’inosservanza dell’art. 1358 c.c. presuppone l’accertamento del fatto che, avuto riguardo alla situazione esistente nel momento in cui si è verificato tale inadempimento, «la condizione avrebbe potuto avverarsi, essendo certo il legittimo rilascio delle autorizzazioni o concessioni amministrative con riguardo alla normativa applicabile» (a tale riguardo la sentenza richiama alcuni precedenti di legittimità: Cass., 2 giugno 1992, n. 6676; Cass., 22 marzo 2001, n. 4110; Cass., 18 marzo 2002, n. 3942; Cass., 3 luglio 2014, n. 16501): e nel caso di specie tale accertamento aveva avuto esito negativoe, in quanto mancava tale, idonea a rendere la prova sentenza censurabile per vizio di motivazione apparente. Tutto ciò in conformità a due orientamenti giurisprudenziali precedenti (Cass. n. 9097/2017 e Cass. n. 13977/2019) secondo cui “ricorre il vizio di motivazione apparente della sentenza quando il giudice di merito ometta di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento o indichi tali elementi senza una approfondita disamina logica e giuridica, rendendo in tal modo impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del fatto che suo ragionamento” ovvero “quando la variante progettuale avrebbe certamente ottenuto l’approvazione sentenza non renda percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del Comune competenteproprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie ipotetiche”. Da un secondo punto di vista La Corte pertanto accoglie il primo motivo del ricorso principale, assorbito il secondo, cassa la Suprema Corte motiva la propria decisione svolgendo alcune precisazioni in merito al contenuto sentenza impugnata e a limiti rinvia alla Commissione tributaria regionale del dovere di cui si discuteLazio, in particolare affermando che «l’obbligodiversa composizione, previsto dall’art. 1358 c.ccui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità., di comportarsi, in pendenza della condizione, secondo buona fede (e cioè in modo da non influire sul libero corso della condizione pendente e di non accrescere il margine d’incertezza insito nell’evento condizionante, al fine di conservare integre le ragioni dell’altra parte) non può implicare per una delle parti l’accettazione di un sacrificio di suoi diritti o legittimi interessi, nel senso di veder mutare l’equilibrio economico delle prestazioni stabilito nel contratto condizionato (…). L’obbligo di comportarsi secondo buona fede, incombente sui contraenti ai sensi degli artt. 1337, 1358, 1375 e 1460 c.c., è rivolto, infatti, ad impedire (e non a provocare) agli stessi un minor vantaggio, ovvero un maggior aggravio economico». Coerentemente con queste premesse, quindi, gli ermellini giudicano legittimo il rifiuto della società committente di addivenire, tramite la sottoscrizione della variante progettuale preparata dall’architetto, ad una modifica del contenuto del contratto che avrebbe comportato un ampliamento dell’attribuzione traslativa dovuta alla controparte.
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Samples: Obbligazioni E Contratti
SOLUZIONE. [1] Tanto Entrambi i suddetti motivi sono stati accolti dalla Suprema Corte. In primo luogo, i Giudici di legittimità hanno affermato che dall’atto di appello, nel suo complesso, ben si riconosce l’errore commesso dall’Agenzia delle Entrate nel richiamare l’art. 184 L.fall., posto che il principio dedotto da parte appellante a fondamento dell’impugnazione (ovverosia il fatto che i creditori, malgrado l’omologa del concordato, conservano impregiudicati i diritti verso i coobbligati del debitore) è comunemente previsto sia dall’art. 184 L.fall. (xxxxx erroneamente invocata dall’Agenzia delle Entrate) sia dall’art. 135 L.fall. (norma che l’Agenzia delle Entrate avrebbe invece dovuto invocare). Conseguentemente, la Commissione Tributaria Regionale avrebbe dovuto autonomamente procedere “all’esatta qualificazione giuridica delle questioni dedotte in giudizio sostanziali, attinenti al rapporto, o processuali, attinenti all’azione e all’eccezione”. Per quanto attiene poi al secondo motivo d’impugnazione, la Cassazione quanto la Corte d’Appello muovono dalla constatazione ha parimenti accolto le ragioni addotte dall’Agenzia delle Entrate, ribadendo che il negozio dal quale scaturiva la lite era rimasto inefficace in seguito al mancato avveramento della condicio iuris apposta dai contraenti e che, di conseguenza, non vi era possibilità alcuna per discorrere dell’inadempimento delle obbligazioni, invero mai sorte, che lo stesso prevedeva in capo alle partil’art. Secondo il ragionamento sviluppato da entrambi i collegi, la controversia doveva essere piuttosto decisa verificando se alla società committente fosse o meno rimproverabile una violazione del dovere di comportamento secondo buona fede in pendenza della condizione contrattuale previsto dall’art135 L.fall. 1358 c.c.: a tale riguardo, evidenzia in particolare la Suprema Corte come «chi si sia obbligato sotto la condizione sospensiva dell’ottenimento di determinate autorizzazioni o concessioni amministrative necessarie per la realizzazione delle finalità economiche che l’altra parte si propone, ha il dovere di compiere, per conservarne integre le ragioni, comportandosi secondo buona fede (artparimenti all’art. 1358 c.c184 L.fall.), tutte le attività nel prevedere che da lui dipendono per l’avveramento a seguito dell’omologa del concordato preventivo i creditori conservano i loro diritti nei confronti dei coobbligati del debitore, dei suoi fideiussori e degli obbligati in via di siffatta condizioneregresso, in modo da non impedire che la P.A. provveda sul rilascio degli auspicati provvedimenti ampliativi»; per poi soggiungere che «in un contratto diretto rappresenta una deroga alla progettazione disciplina comune prevista dagli artt. 1239 e realizzazione di opere edili, è configurabile, in capo al committente, un dovere di cooperare all’adempimento dell’esecutore dei lavori, affinché quest’ultimo possa realizzare il risultato cui è preordinato il rapporto obbligatorio, se del caso anche favorendo l’elaborazione di varianti progettuali resesi necessarie in corso d’opera, vieppiù ove (…) l’approvazione del progetto sia stata elevata dalle parti a condizione di efficacia dell’intero contratto». Il ragionamento sviluppato dalla Corte d’Appello e successivamente confermato dalla Cassazione peraltro esclude che alla società committente sia addebitabile una violazione del dovere di correttezza pendente condicione, facendo leva su due ordini di argomenti. Il primo rileva che, nelle ipotesi considerate, il giudizio circa l’inosservanza dell’art. 1358 1301 c.c. presuppone l’accertamento Per effetto di tale deroga, che trova sua giustificazione nella natura pubblicistica del fatto checoncordato e del relativo favor legislativo, avuto riguardo alla situazione esistente nel momento i coobbligati, i fideiussori e gli obbligati in cui si è verificato tale inadempimentovia di regresso sono tenuti a rispondere dell’intero debito e a subire le conseguenze, «per loro negative, della falcidia concordataria o degli effetti modificativi favorevoli al debitore. Sulla base di detti principi la condizione avrebbe potuto avverarsi, essendo certo Corte di Cassazione ha accolto il legittimo rilascio ricorso dell’Agenzia delle autorizzazioni o concessioni amministrative con riguardo alla normativa applicabile» (a tale riguardo Entrate e cassato la sentenza richiama alcuni precedenti di legittimità: Cassimpugnata con rinvio alla Commissione Tributaria Regionale., 2 giugno 1992, n. 6676; Cass., 22 marzo 2001, n. 4110; Cass., 18 marzo 2002, n. 3942; Cass., 3 luglio 2014, n. 16501): e nel caso di specie tale accertamento aveva avuto esito negativo, in quanto mancava la prova del fatto che la variante progettuale avrebbe certamente ottenuto l’approvazione del Comune competente. Da un secondo punto di vista la Suprema Corte motiva la propria decisione svolgendo alcune precisazioni in merito al contenuto e a limiti del dovere di cui si discute, in particolare affermando che «l’obbligo, previsto dall’art. 1358 c.c., di comportarsi, in pendenza della condizione, secondo buona fede (e cioè in modo da non influire sul libero corso della condizione pendente e di non accrescere il margine d’incertezza insito nell’evento condizionante, al fine di conservare integre le ragioni dell’altra parte) non può implicare per una delle parti l’accettazione di un sacrificio di suoi diritti o legittimi interessi, nel senso di veder mutare l’equilibrio economico delle prestazioni stabilito nel contratto condizionato (…). L’obbligo di comportarsi secondo buona fede, incombente sui contraenti ai sensi degli artt. 1337, 1358, 1375 e 1460 c.c., è rivolto, infatti, ad impedire (e non a provocare) agli stessi un minor vantaggio, ovvero un maggior aggravio economico». Coerentemente con queste premesse, quindi, gli ermellini giudicano legittimo il rifiuto della società committente di addivenire, tramite la sottoscrizione della variante progettuale preparata dall’architetto, ad una modifica del contenuto del contratto che avrebbe comportato un ampliamento dell’attribuzione traslativa dovuta alla controparte.
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Samples: Esecuzione Forzata
SOLUZIONE. [1] Tanto la Cassazione quanto la Corte d’Appello muovono dalla constatazione che Le Sezioni Unite, nell’accogliere il negozio dal quale scaturiva la lite era rimasto inefficace in seguito al mancato avveramento della condicio iuris apposta dai contraenti ricorso, si conformano a un recente e noto precedente di legittimità che, di conseguenza, non vi era possibilità alcuna per discorrere dell’inadempimento delle obbligazioni, invero mai sorte, pur riconoscendo che lo stesso prevedeva in capo alle parti. Secondo si ha mutamento della domanda quando variano il ragionamento sviluppato da entrambi i collegi, petitum e/o la controversia doveva essere piuttosto decisa verificando se alla società committente fosse o meno rimproverabile una violazione del dovere di comportamento secondo buona fede in pendenza della condizione contrattuale previsto dall’art. 1358 c.c.: a tale riguardo, evidenzia in particolare la Suprema Corte come «chi si sia obbligato sotto la condizione sospensiva dell’ottenimento di determinate autorizzazioni o concessioni amministrative necessarie per la realizzazione delle finalità economiche che l’altra parte si proponecausa petendi, ha il dovere di compiere, per conservarne integre le ragioni, comportandosi secondo buona fede (però ammesso la proposizione della domanda nuova con la memoria ex art. 1358 c.c183, comma 6, n.1, quand’essa a) sia inerente alla vicenda sostanziale dedotta in giudizio; b) sia connessa per incompatibilità a quella in origine proposta, c) non comporti la compressione del diritto di difesa avversario o un allungamento eccessivo dei tempi processuali (il riferimento è a Cass. sez. un.), tutte le attività che 15 giugno 2015, n. 12310, ex multis in Corr. giur., 2015, 965, nt. C. Consolo, Le S.U. aprono alle domande “complanari”: ammissibili in primo grado ancorché (chiaramente e irriducibilmente) diverse da lui dipendono per l’avveramento di siffatta condizione, in modo da non impedire che la P.A. provveda sul rilascio degli auspicati provvedimenti ampliativi»; per poi soggiungere che «in un contratto diretto alla progettazione e realizzazione di opere edili, è configurabile, in capo al committente, un dovere di cooperare all’adempimento dell’esecutore dei lavori, affinché quest’ultimo possa realizzare il risultato cui è preordinato il rapporto obbligatorio, se del caso anche favorendo l’elaborazione di varianti progettuali resesi necessarie in corso d’opera, vieppiù ove (…) l’approvazione del progetto sia stata elevata dalle parti a condizione di efficacia dell’intero contratto». Il ragionamento sviluppato dalla Corte d’Appello e successivamente confermato dalla Cassazione peraltro esclude che alla società committente sia addebitabile una violazione del dovere di correttezza pendente condicione, facendo leva su due ordini di argomenti. Il primo rileva che, nelle ipotesi considerate, il giudizio circa l’inosservanza dell’art. 1358 c.c. presuppone l’accertamento del fatto che, avuto riguardo alla situazione esistente nel momento in quella originaria cui si è verificato tale inadempimento, «la condizione avrebbe potuto avverarsi, essendo certo il legittimo rilascio delle autorizzazioni o concessioni amministrative con riguardo alla normativa applicabile» (a tale riguardo la sentenza richiama alcuni precedenti di legittimità: Casscumuleranno; in Riv. dir. proc., 2 giugno 19922016, n. 6676; Cass.807, 22 marzo 2001nt. E. Merlin, n. 4110; Cass.Ammissibilità della mutatio libelli da “alternatività sostanziale” nel giudizio di primo grado). La pronuncia in epigrafe, 18 marzo 2002, n. 3942; Cass., 3 luglio 2014, n. 16501): dando applicazione a quel principio e riconoscendo nel caso di specie tale accertamento aveva avuto esito negativola ricorrenza di tutti i presupposti indicati nel precedente, cassa la sentenza impugnata con rinvio e ammette la proposizione, in quanto mancava la prova del fatto che la variante progettuale avrebbe certamente ottenuto l’approvazione del Comune competentevia subordinata, della domanda di arricchimento senza causa nella prima memoria ex art. Da un secondo punto di vista la Suprema Corte motiva la propria decisione svolgendo alcune precisazioni in merito al contenuto e a limiti del dovere di cui si discute183, in particolare affermando che «l’obbligo, previsto dall’art. 1358 c.ccomma 6 c.p.c., di comportarsi, in pendenza della condizione, secondo buona fede (e cioè in modo da non influire sul libero corso della condizione pendente e di non accrescere il margine d’incertezza insito nell’evento condizionante, al fine di conservare integre le ragioni dell’altra parte) non può implicare per una delle parti l’accettazione di un sacrificio di suoi diritti o legittimi interessi, nel senso di veder mutare l’equilibrio economico delle prestazioni stabilito nel contratto condizionato (…). L’obbligo di comportarsi secondo buona fede, incombente sui contraenti ai sensi degli artt. 1337, 1358, 1375 e 1460 c.c., è rivolto, infatti, ad impedire (e non a provocare) agli stessi un minor vantaggio, ovvero un maggior aggravio economico». Coerentemente con queste premesse, quindi, gli ermellini giudicano legittimo il rifiuto della società committente di addivenire, tramite la sottoscrizione della variante progettuale preparata dall’architetto, ad una modifica del contenuto del contratto che avrebbe comportato un ampliamento dell’attribuzione traslativa dovuta alla controparte.
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Samples: Procedimenti Di Cognizione E Adr