Considerazioni conclusive. Le recenti riforme che hanno interessato la materia successoria hanno sicuramente “rotto l’immobilismo del codice”232, imponendosi all’attenzione degli studiosi di diritto, non solo perché costellate di dubbi esegetici, ma anche per un’innegabile carica innovativa. Sicuramente gli strumenti utilizzati dal Legislatore non si sono dimostrati all’altezza delle aspettative: nel caso, ad esempio, del patto di famiglia, come si è avuto modo di sottolineare nel presente lavoro, il Legislatore introduce una disciplina assai lacunosa che pone diversi problemi interpretativi non solo per ciò che dice ma ancora di più per ciò che non dice. Ciò è dimostrato anche dal fatto che, pur essendo stato accolto con entusiasmo dai primi commentatori, ad oggi, pochissime, se non quasi nulle, sono state le applicazioni pratiche dell’istituto. È chiaro che, comunque sia, un passo avanti è stato fatto in quanto con l’istituto del patto di famiglia “l’autonomia privata guadagna uno spazio aggiuntivo”233nell’ambito del passaggio generazionale dell’azienda e delle partecipazioni societarie. Accanto al testamento ed agli istituti contrattuali ad esso alternativi elaborati dalla dottrina si insedia il nuovo istituto il cui effetto più originale, nonché il più apprezzato, è quello di disattivare i meccanismi dell’azione di riduzione e della collazione che, insieme al divieto dei patti successori, costituiscono i principali limiti all’autonomia privata in ambito successorio. Del resto è questa la direzione di rinnovamento che è stata suggerita dalla dottrina maggioritaria ed anche dagli organismi comunitari. Anche i consociati chiedono maggiore autonomia nella sistemazione dei loro rapporti patrimoniali per il tempo in cui avranno cessato di vivere, autonomia che si esplica in una maggiore libertà di scelta dei modi e delle forme più appropriate a seconda della natura dei beni coinvolti e dell’identità dei successori predestinati. 232 XXXXXXXX, Regole successorie e continuità dell’impresa, op. cit., 157 ss. 233 BUCCELLI, op. ult. cit. In tal senso anche XXXXXX, Il contratto con causa successoria. Contributo allo studio del patto di famiglia, op. cit., 68. Il testamento, d’altro canto, pur essendo uno strumento di indubbia vitalità, sembrerebbe non essere più sufficiente ad assecondare le istanze di chi intenda pianificare la propria successione. L’insoddisfazione verso l’atto mortis causa per eccellenza, infatti, è rappresentata non tanto dal decadimento dell’istituto testamentario ma dalle tutele riconosciute ai più stretti congiunti del de cuius. Questi ultimi, infatti, all’apertura della successione, possono stravolgere il volere del disponente nell’ipotesi in cui quest’ultimo li abbia pretermessi oppure li abbia indicati nel testamento in una quota inferiore a quella spettante loro per legge: l’esito vittorioso dell’azione di riduzione da parte dei legittimari “scolora la volontà testamentaria sino alla misura necessaria a reintegrare quei diritti”234. Il testamento, tuttavia, garantisce al disponente un’autonomia maggiore rispetto al contratto, consentendogli di decidere la sorte dei propri beni per il tempo in cui non sarà più in vita senza dover condividere tale scelta con altri, senza dover tener conto dell’affidamento generato nei beneficiari, poiché la libertà testamentaria trova il suo unico limite nell’illiceità dei motivi. L’atto di ultima volontà, infatti, consente all’ereditando la conservazione della ricchezza e la possibilità di cambiare idea fino all’ultimo istante della vita. La scelta del legislatore di escludere il contratto dalla regolazione mortis causa del passaggio generazionale, scelta ricavabile dal combinato disposto degli artt. 457 e 458 c.c., infatti, non si giustifica tanto con l’inadeguatezza dello strumento contrattuale a far circolare i beni oggetto del patrimonio ereditario, bensì con il fatto che detto strumento non garantisce al disponente la possibilità di cambiare idea fino all’ultimo istante della propria vita235. 234 Così BONILINI, Le successioni mortis causa e la civilistica italiana. La successione testamentaria, in Nuova giur. civ. comm., 3/1997, 223 ss. 235 Sul contratto ereditario si veda BONILINI, Le successioni mortis caussa e la civilistica italiana. La successione testamentaria, in Nuova giur. civ. comm., 3/1997, 223 ss., il quale afferma “personalmente, sono contrario al contratto ereditario; esso denuncia lo spirito che apprezza tutto in danaro, che considera che tutto può essere oggetto di vendita; non mi pare dannosa scelta quella di lasciare un alone di mistero almeno nei confronti della morte”. Per di più, la funzione svolta dall’atto di ultima volontà non può essere in tutto e per tutto svolta dal contratto: si considerino le disposizioni di ultima volontà a contenuto non patrimoniale, come il riconoscimento del figlio naturale, che solo per via testamentaria possono essere predisposte. Sul versante patrimoniale, inoltre, se pur esistono valori che meglio si prestano ad una circolazione negoziata, e di fatto circolano già attraverso contratti, pur non aventi causa successoria, “è doveroso riconoscere al testamento assoluta vitalità ed attualità tutte le volte in cui la natura del bene non desti perplessità in ordine ad una loro destinazione successoria decisa unilateralmente dal disponente”236.
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Considerazioni conclusive. Le recenti riforme Fatta una ricognizione delle tesi sostenute in tema di disciplina dei derivati embedded, si condivide l’ipo- tesi di un’autonoma configurazione della categoria giuridica di derivato implicito (49). È dubbia la riconducibilità del derivato embedded alla fattispecie di prodotto composto individuata da Banca d’Italia nel provvedimento del 2009, che hanno interessato identifica tale tipologia di prodotto finanziario con l’ipotesi di collegamento negoziale (50). Preclude la materia successoria hanno sicuramente riconducibilità alla fattispecie di prodotto composto individuata da Banca d’Italia il fatto che l’Autorità di Vigilanza, nel qualificare i prodotti composti, li individui come “rotto l’immobilismo del codice”232, imponendosi all’attenzione degli studiosi di dirittogli schemi negoziali composti da due o più contratti tra loro collegati che realizzano un’unica operazione economica”. Nello specifico l’operazione finanziaria complessiva- mente intesa, non solo perché costellate è certamente un’ipotesi di dubbi esegeticicolle- gamento negoziale ma integra un contratto con causa di finanziamento mista a causa aleatoria (51), ma anche poten- dosi così la funzione scomporre in due cause, pro- spettandosi l’applicabilità delle norme relative ai tipi corrispondenti. Si tratta, a parere di chi scrive, di un unico contratto, in cui il finanziamento, accordato al cliente, si coniuga con la scommessa sull’oscillazione del valore della valuta estera, cui fa riferimento la clausola rischio cambio. Occorre quindi considerare in sequenza gli argomenti che possono deporre per un’innegabile carica innovativala natura mista di queste ipotesi contrattuali. Sicuramente gli strumenti utilizzati Un primo argomento è quello letterale. In buona sostanza il derivato implicito altro non è che una pattuizione inserita nel contratto host, mera clausola negoziale. Il finanziamento, in altri termini, include una componente “derivativa” in quanto il derivato non è in radice contratto separato dal Legislatore non contratto principale. Un secondo argomento attiene ai profili strutturali del contratto: il finanziamento accordato al cliente si sono dimostrati all’altezza delle aspettative: coniuga con la scommessa sull’oscillazione del valore della valuta estera, cui fa riferimento la clausola rischio cambio. L’aleatorietà permea, infatti, l’intima funzionalità del contratto di finanziamento e concorre nel casodeter- minare la causa giustificativa dell’operazione. In questa ipotesi l’alea contrattuale insiste sugli effetti del contratto principale e incide sulla causa di finanziamento, che si alimenta dell’elemento aleatorio. Che l’alea contrattuale sia funzione che, per sua stessa natura, si presti ad esempioessere plasmata e modulata dalle parti contraenti, è dato noto; in questo caso l’alea assume una diversa colorazione e incide sulla quali- ficazione complessiva del patto di famiglia, come si è avuto modo di sottolineare nel presente lavoro, il Legislatore introduce una contratto stesso e sulla disciplina assai lacunosa che pone diversi problemi interpretativi non solo per ciò che dice ma ancora di più per ciò che non dicead esso applicabile. Ciò è dimostrato anche dal fatto chequanto si verifica, pur essendo stato accolto con entusiasmo dai primi commentatorianalogamente, ad oggi, pochissime, se non quasi nulle, sono state le applicazioni pratiche dell’istitutoin altre fatti- specie per c.d. È chiaro che, comunque sia, un passo avanti è stato fatto in quanto con l’istituto del patto di famiglia “l’autonomia privata guadagna uno spazio aggiuntivo”233nell’ambito del passaggio generazionale dell’azienda e delle partecipazioni societarie. Accanto al testamento ed agli istituti contrattuali ad esso alternativi elaborati dalla dottrina si insedia il nuovo istituto il cui effetto più originale, nonché il più apprezzato, è quello di disattivare i meccanismi dell’azione di riduzione e della collazione che, insieme al divieto dei patti successori, costituiscono i principali limiti all’autonomia privata ibride ricorrenti sempre in ambito successorio. Del resto è questa la direzione di rinnovamento che è stata suggerita dalla dottrina maggioritaria ed anche dagli organismi comunitari. Anche i consociati chiedono maggiore autonomia nella sistemazione dei loro rapporti patrimoniali per il tempo in cui avranno cessato di vivere, autonomia che si esplica in una maggiore libertà di scelta dei modi e delle forme più appropriate a seconda della natura dei beni coinvolti e dell’identità dei successori predestinati. 232 XXXXXXXX, Regole successorie e continuità dell’impresa, op. cit., 157 ss. 233 BUCCELLI, op. ult. cit. In tal senso anche XXXXXX, Il contratto con causa successoria. Contributo allo studio del patto di famiglia, op. cit., 68. Il testamento, d’altro canto, pur essendo uno strumento di indubbia vitalità, sembrerebbe non essere più sufficiente ad assecondare le istanze di chi intenda pianificare la propria successione. L’insoddisfazione verso l’atto mortis causa per eccellenza, infatti, è rappresentata non tanto dal decadimento dell’istituto testamentario ma dalle tutele riconosciute ai più stretti congiunti del de cuius. Questi ultimi, infatti, all’apertura della successione, possono stravolgere il volere del disponente nell’ipotesi in cui quest’ultimo li abbia pretermessi oppure li abbia indicati nel testamento in una quota inferiore a quella spettante loro per legge: l’esito vittorioso dell’azione di riduzione da parte dei legittimari “scolora la volontà testamentaria sino alla misura necessaria a reintegrare quei diritti”234. Il testamento, tuttavia, garantisce al disponente un’autonomia maggiore rispetto al contratto, consentendogli di decidere la sorte dei propri beni per il tempo in cui non sarà più in vita senza dover condividere tale scelta con altri, senza dover tener conto dell’affidamento generato nei beneficiari, poiché la libertà testamentaria trova il suo unico limite nell’illiceità dei motivi. L’atto di ultima volontà, infatti, consente all’ereditando la conservazione della ricchezza e la possibilità di cambiare idea fino all’ultimo istante della vita. La scelta del legislatore di escludere il contratto dalla regolazione mortis causa del passaggio generazionale, scelta ricavabile dal combinato disposto degli artt. 457 e 458 c.c., infatti, non si giustifica tanto con l’inadeguatezza dello strumento contrattuale a far circolare i beni oggetto del patrimonio ereditario, bensì con il fatto che detto strumento non garantisce al disponente la possibilità di cambiare idea fino all’ultimo istante della propria vita235. 234 Così BONILINI, Le successioni mortis causa e la civilistica italiana. La successione testamentaria, in Nuova giur. civ. comm., 3/1997, 223 ss. 235 Sul contratto ereditario si veda BONILINI, Le successioni mortis caussa e la civilistica italiana. La successione testamentaria, in Nuova giur. civ. comm., 3/1997, 223 ss., il quale afferma “personalmente, sono contrario al contratto ereditario; esso denuncia lo spirito che apprezza tutto in danaro, che considera che tutto può essere oggetto di vendita; non mi pare dannosa scelta quella di lasciare un alone di mistero almeno nei confronti della morte”. Per di più, la funzione svolta dall’atto di ultima volontà non può essere in tutto e per tutto svolta dal contratto: si considerino le disposizioni di ultima volontà a contenuto non patrimoniale, come il riconoscimento del figlio naturale, che solo per via testamentaria possono essere predisposte. Sul versante patrimoniale, inoltre, se pur esistono valori che meglio si prestano ad una circolazione negoziata, e di fatto circolano già attraverso contratti, pur non aventi causa successoria, “è doveroso riconoscere al testamento assoluta vitalità ed attualità tutte le volte finanziario in cui la funzione suffissante deve essere individuata alla luce dell’effettività della ragione economica. Solo per citare alcune fra le ipotesi contrattuali in cui si propongono ragionamenti analoghi a quelli svolti in tema di derivati impliciti, si pensi alle polizze linked e united linked (52). Il dibattito dottrinale e giurisprudenziale su queste polizze è noto: si definiscono “prodotti misti assicu- rativo-finanziari” (53) proprio per evidenziarne l’am- bivalente natura del bene non desti perplessità in ordine ad una loro destinazione successoria decisa unilateralmente dal disponente”236giuridica.
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Considerazioni conclusive. Le recenti riforme che Con la pronuncia in commento la Corte di cassazione si inserisce nel filone giurisprudenziale che, trovando la sua spinta propulsiva nella sentenza delle Sezioni Unite Cass. Civ., SS.UU., n. 3947/2010 e sorretto anche da autorevole dottrina, mira a tracciare nette linee di demarcazione tra contratto autonomo di garanzia e fi- deiussione. Nel caso di specie, gli ermellini hanno interessato la materia successoria hanno sicuramente “rotto l’immobilismo del codice”232, imponendosi all’attenzione degli studiosi di diritto, non solo perché costellate di dubbi esegetici, ma anche per un’innegabile carica innovativa. Sicuramente gli strumenti utilizzati dal Legislatore non si sono dimostrati all’altezza delle aspettative: nel caso, ad esempio, del patto di famiglia, come si è avuto modo di sottolineare occuparsi del profilo funzionale. L’impianto teorico nel presente lavoro, il Legislatore introduce una disciplina assai lacunosa che pone diversi problemi interpretativi non solo per ciò che dice ma ancora di più per ciò che non dice. Ciò quale l’ordinanza è dimostrato anche dal fatto che, pur essendo stato accolto con entusiasmo dai primi commentatori, ad oggi, pochissime, se non quasi nulle, sono state le applicazioni pratiche dell’istituto. È chiaro che, comunque sia, un passo avanti è stato fatto in quanto con l’istituto del patto di famiglia “l’autonomia privata guadagna uno spazio aggiuntivo”233nell’ambito del passaggio generazionale dell’azienda e delle partecipazioni societarie. Accanto al testamento ed agli istituti contrattuali ad esso alternativi elaborati dalla dottrina si insedia il nuovo istituto il cui effetto più originale, nonché il più apprezzato, stata formulata è quello di disattivare i meccanismi dell’azione un pacifico riconoscimento del con- tratto autonomo di riduzione e della collazione chegaranzia come garanzia atipica, insieme al divieto dei patti successoricaratterizzata da mancanza di accessorietà e, costituiscono i principali limiti all’autonomia privata in ambito successorioconseguen- temente, indipendenza nei confronti del rapporto principale. Del resto è questa la direzione di rinnovamento che è stata suggerita dalla dottrina maggioritaria ed anche dagli organismi comunitari. Anche i consociati chiedono maggiore autonomia nella sistemazione dei loro rapporti patrimoniali per il tempo in cui avranno cessato di vivere, autonomia che si esplica in una maggiore libertà di scelta dei modi e delle forme più appropriate a seconda della natura dei beni coinvolti e dell’identità dei successori predestinati. 232 XXXXXXXX, Regole successorie e continuità dell’impresa, op. cit., 157 ss. 233 BUCCELLI, op. ult. cit. In tal senso anche XXXXXX, Il contratto con causa successoria. Contributo allo studio del patto di famiglia, op. cit., 68. Il testamento, d’altro canto, pur essendo uno strumento di indubbia vitalità, sembrerebbe Ciò non essere più sufficiente ad assecondare le istanze di chi intenda pianificare la propria successione. L’insoddisfazione verso l’atto mortis causa per eccellenza, infatti, è rappresentata non tanto dal decadimento dell’istituto testamentario ma dalle tutele riconosciute ai più stretti congiunti del de cuius. Questi ultimi, infatti, all’apertura della successione, possono stravolgere il volere del disponente nell’ipotesi in cui quest’ultimo li abbia pretermessi oppure li abbia indicati nel testamento in una quota inferiore a quella spettante loro per legge: l’esito vittorioso dell’azione di riduzione da parte dei legittimari “scolora la volontà testamentaria sino alla misura necessaria a reintegrare quei diritti”234. Il testamentoimpedisce, tuttavia, garantisce al disponente un’autonomia maggiore rispetto al contrattodi riconoscere ad essa natura causale, consentendogli più precisamente una funzione inden- nitaria, a fronte di decidere la sorte dei propri beni per un rischio di parziale o totale inadempimento del debitore. In questo si apprezza il tempo in cui non sarà più in vita senza dover condividere tale scelta distacco con altri, senza dover tener conto dell’affidamento generato nei beneficiari, poiché la libertà testamentaria trova il suo unico limite nell’illiceità dei motivi. L’atto di ultima volontà, infatti, consente all’ereditando la conservazione della ricchezza e la possibilità di cambiare idea fino all’ultimo istante della vita. La scelta del legislatore di escludere il contratto dalla regolazione mortis di fideiussione, la cui causa del passaggio generazionaleè riscontrabile nel garantire al beneficiario l’esatto adempimento della prestazione dedotta nel rapporto principale. Questa prima puntualizzazione consente alla Suprema Corte di muovere un passo ulteriore, scelta ricavabile sottolineando come una eventuale identità di oggetto - sia qualitativa che quantitativa - tra la prestazione emergente dal combinato disposto degli artt. 457 rapporto di provvista e 458 c.c., infattiquella dovuta in base al rapporto di valuta, non si giustifica tanto con l’inadeguatezza dello strumento contrattuale sia di per sé valida a far circolare i beni oggetto del patrimonio ereditario, bensì con il fatto che detto strumento non garantisce al disponente configurare uno slittamento verso la possibilità di cambiare idea fino all’ultimo istante figura della propria vita235garanzia tipica. 234 Così BONILINI, Le successioni mortis causa e la civilistica italiana. La successione testamentaria, in Nuova giur. civ. comm., 3/1997, 223 ss. 235 Sul contratto ereditario si veda BONILINI, Le successioni mortis caussa e la civilistica italiana. La successione testamentaria, in Nuova giur. civ. comm., 3/1997, 223 ss., il quale afferma “personalmente, sono contrario al contratto ereditario; esso denuncia lo spirito che apprezza tutto in danaro, che considera che tutto può essere oggetto di vendita; non mi pare dannosa scelta quella di lasciare un alone di mistero almeno nei confronti della morte”. Per di più, la funzione svolta dall’atto di ultima volontà non può essere in tutto e per tutto svolta dal contratto: si considerino le disposizioni di ultima volontà a contenuto non patrimoniale, come il riconoscimento del figlio naturale, che solo per via testamentaria possono essere predisposte. Sul versante patrimoniale, inoltre, se pur esistono valori che meglio si prestano ad una circolazione negoziata, e di fatto circolano già attraverso contratti, pur non aventi causa successoria, “è doveroso riconoscere al testamento assoluta vitalità ed attualità tutte le volte in cui Sono (i) la natura del bene non desti perplessità in ordine unicamente indennitaria dell’accordo sottoposto ad una loro destinazione successoria decisa unilateralmente dal disponente”236esame e (ii) l’autonomia da quello principale che risultano per se sufficienti ad identificare univocamente il contratto come autonomo di garan- zia.
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Considerazioni conclusive. Le recenti riforme Il notaio che hanno interessato procederà all’autentica dovrà, a mio avviso, esercitare quel controllo sulla corretta identificazione dei soggetti dell’accordo conciliativo che gli accertamenti ipotecari e catastali nel ventennio gli consentono per obbligo di ministero e per dovere professionale di ausilio alle parti nella valutazione dell’atto posto in essere. Per le modalità redazionali valgono i principi già esposti, con la precisazione che l’assenza di effetto traslativo elide l’obbligo, per l’accordo conciliativo, dell’inserimento delle menzioni in materia successoria hanno sicuramente “rotto l’immobilismo di legittimità urbanistica e conformità catastale37; nel caso di elusione fraudolenta dei principi di circolazione dei beni, ponendo in essere le parti un accordo conciliativo che maschera un trasferimento contro pagamento di un prezzo o una donazione, l’accordo sarà nullo essendo il negozio simulato privo dei requisiti di validità del codice”232negozio dissimulato. In relazione alla tassazione dell’atto, imponendosi all’attenzione degli studiosi di dirittoche dovrà essere curata dal notaio, non solo perché costellate di dubbi esegeticil’art. 17, ma anche per un’innegabile carica innovativa. Sicuramente gli strumenti utilizzati dal Legislatore non si sono dimostrati all’altezza delle aspettative: nel caso, ad esempiocommi 2 e 3, del patto D. Lgs. n. 28/2010 dispone che tutti gli atti, documenti e provvedimenti relativi al procedimento di famigliamediazione sono esenti dall’imposta di bollo e da ogni spesa, come si tassa o diritto di qualsiasi specie e natura. La norma (comma 3) prevede che il verbale di accordo è avuto modo esente dall’imposta di sottolineare nel presente lavororegistro entro il limite di valore di € 50.000,00 , il Legislatore introduce una disciplina assai lacunosa altrimenti l’imposta è dovuta per la parte eccedente. Per concludere con un sussulto effervescente, voglio affidare alla riflessione della dottrina la problematica sollevata dalla nuova norma in relazione alla possibilità di rivitalizzare l’autorevole tesi38 che pone diversi problemi interpretativi non solo da sempre ritiene trascrivibili gli atti che accertano documentalmente l’intervenuto acquisto per ciò che dice ma ancora usucapione, data la contiguità del negozio di più per ciò che non diceaccertamento con l’accordo conciliativo. Ciò è dimostrato anche dal fatto che, pur essendo stato accolto con entusiasmo dai primi commentatori, ad oggi, pochissime, se non quasi nulle, sono state le applicazioni pratiche dell’istituto. È chiaro che, comunque sia, un passo avanti è stato fatto in quanto con l’istituto L’esempio della ripetizione formale del patto di famiglia “l’autonomia privata guadagna uno spazio aggiuntivo”233nell’ambito del passaggio generazionale dell’azienda e delle partecipazioni societarie. Accanto al testamento ed agli istituti contrattuali ad esso alternativi elaborati dalla dottrina si insedia il nuovo istituto il cui effetto più originale, nonché il più apprezzato, è quello di disattivare i meccanismi dell’azione di riduzione contratto e della collazione cherinnovazione del consenso e la ridotta infungibilità tra accertamento privato e accertamento giurisdizionale tracciano oramai una traiettoria operativa. La dottrina notarile, insieme al divieto elaborate le formule39 ed il trattamento tributario40, anche prima della riforma in commento, aveva ragionato sulla ricevibilità di un negozio di accertamento di avvenuto acquisto per usucapione41 . 37 Cfr. X. XXXXXXXXXXXXX, Condono edilizio – Formalità e nullità degli atti tra vivi, Milano, 1991, p. 305 . 38 Cfr. X. XXXXXX’, La trascrizione, I, Milano, 1973, p. 151. Per la trascrizione, a fini di notizia, ex art. 2651 c.c. del contratto di accertamento dell’avvenuta usucapione, X. XXXXXXX, Effetti, forma e trascrizione del contratto di accertamento, in Contratti, 5/1996, p. 521 e segg. In virtù dei patti successorilimiti dettati dal principio di causalità e dal formalismo negoziale, costituiscono i principali limiti all’autonomia privata l’accertamento ha normalmente effetto solo fra le parti; per una prima valutazione sul tema, cfr. X. XXXXXXXXX, L’intrascrivibilità del negozio di accertamento volontario dell’usucapione nella perdurante criticità dell’art. 11 del D. Lgs. 28/2010, in ambito successorioVita not., 1/2013, p. 137 e segg. Del resto è questa la direzione di rinnovamento che è stata suggerita dalla dottrina maggioritaria ed anche dagli organismi comunitari. 39 Cfr. Anche i consociati chiedono maggiore autonomia nella sistemazione dei loro rapporti patrimoniali per il tempo in cui avranno cessato di vivere, autonomia che si esplica in una maggiore libertà di scelta dei modi e delle forme più appropriate a seconda della natura dei beni coinvolti e dell’identità dei successori predestinati. 232 X. XXXXXXXX, Regole successorie Formulario notarile commentato, Milano, 2001, II, p. 1001. L’Autore precisa che se l’accertamento viene affiancato da una confessione stragiudiziale assume carattere definitivo e continuità dell’impresastabile, opcon preclusione della prova contraria. cit., 157 ssL’identità di struttura negoziale comporta necessariamente identità di meccanismi effettuali e identità di impronta pubblicitaria. 233 BUCCELLI, op40 Cfr. ult. cit. In tal senso anche XXXXXXX. XXXXXXXXXXX e X. XXXXXXX, Il contratto con causa successorianotaio e le imposte indirette, Roma, 1998, p. 293 e segg. Contributo allo studio del patto ; gli Autori ritengono applicabili le normali imposte di famiglia, op. cittrasferimento., 68. Il testamento, d’altro canto, pur essendo uno strumento di indubbia vitalità, sembrerebbe non essere più sufficiente ad assecondare le istanze di chi intenda pianificare la propria successione. L’insoddisfazione verso l’atto mortis causa per eccellenza, infatti, è rappresentata non tanto dal decadimento dell’istituto testamentario ma dalle tutele riconosciute ai più stretti congiunti del de cuius. Questi ultimi, infatti, all’apertura della successione, possono stravolgere il volere del disponente nell’ipotesi in cui quest’ultimo li abbia pretermessi oppure li abbia indicati nel testamento in una quota inferiore a quella spettante loro per legge: l’esito vittorioso dell’azione di riduzione da parte dei legittimari “scolora la volontà testamentaria sino alla misura necessaria a reintegrare quei diritti”234. Il testamento, tuttavia, garantisce al disponente un’autonomia maggiore rispetto al contratto, consentendogli di decidere la sorte dei propri beni per il tempo in cui non sarà più in vita senza dover condividere tale scelta con altri, senza dover tener conto dell’affidamento generato nei beneficiari, poiché la libertà testamentaria trova il suo unico limite nell’illiceità dei motivi. L’atto di ultima volontà, infatti, consente all’ereditando la conservazione della ricchezza e la possibilità di cambiare idea fino all’ultimo istante della vita. La scelta del legislatore di escludere il contratto dalla regolazione mortis causa del passaggio generazionale, scelta ricavabile dal combinato disposto degli artt. 457 e 458 c.c., infatti, non si giustifica tanto con l’inadeguatezza dello strumento contrattuale a far circolare i beni oggetto del patrimonio ereditario, bensì con il fatto che detto strumento non garantisce al disponente la possibilità di cambiare idea fino all’ultimo istante della propria vita235. 234 Così BONILINI, Le successioni mortis causa e la civilistica italiana. La successione testamentaria, in Nuova giur. civ. comm., 3/1997, 223 ss. 235 Sul contratto ereditario si veda BONILINI, Le successioni mortis caussa e la civilistica italiana. La successione testamentaria, in Nuova giur. civ. comm., 3/1997, 223 ss., il quale afferma “personalmente, sono contrario al contratto ereditario; esso denuncia lo spirito che apprezza tutto in danaro, che considera che tutto può essere oggetto di vendita; non mi pare dannosa scelta quella di lasciare un alone di mistero almeno nei confronti della morte”. Per di più, la funzione svolta dall’atto di ultima volontà non può essere in tutto e per tutto svolta dal contratto: si considerino le disposizioni di ultima volontà a contenuto non patrimoniale, come il riconoscimento del figlio naturale, che solo per via testamentaria possono essere predisposte. Sul versante patrimoniale, inoltre, se pur esistono valori che meglio si prestano ad una circolazione negoziata, e di fatto circolano già attraverso contratti, pur non aventi causa successoria, “è doveroso riconoscere al testamento assoluta vitalità ed attualità tutte le volte in cui la natura del bene non desti perplessità in ordine ad una loro destinazione successoria decisa unilateralmente dal disponente”236.
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Considerazioni conclusive. Le recenti riforme La Corte, stante l’abrogazione dell’istituto della solidarietà difensiva di tipo B - disposta dalla normativa del 2016 -, ha segnalato al Ministero la necessità di accelerare le procedure amministrative che hanno interessato consentano la materia successoria hanno sicuramente “rotto l’immobilismo completa estinzione dell’arretrato, ancora particolarmente consistente emerso a seguito dell’indagine svolta. In relazione, invece, all’effettivo impatto che le somme erogate abbiano avuto sulla situazione di crisi economica delle aziende richiedenti il contributo, l’amministrazione ha precisato di non essere in grado di fornire specifiche indicazioni. In particolare, ha sottolineato che le proprie competenze, per disposizione legislativa (art. 5 d.l. n. 148/1993), sono limitate esclusivamente alla mera emanazione dei decreti di concessione nonché alla successiva erogazione del codice”232, imponendosi all’attenzione degli studiosi di dirittocontributo. Pertanto, non solo perché costellate essendo essa tenuta alla rilevazione di dubbi esegetici, ma anche per un’innegabile carica innovativa. Sicuramente gli strumenti utilizzati dal Legislatore non si sono dimostrati all’altezza delle aspettative: nel caso, ad esempio, del patto di famiglia, come si è avuto modo di sottolineare nel presente lavoro, il Legislatore introduce una disciplina assai lacunosa che pone diversi problemi interpretativi non solo per ciò che dice ma ancora di più per ciò che non dice. Ciò è dimostrato anche dal fatto quei dati che, pur essendo stato accolto con entusiasmo dai primi commentatoripossano evidenziare le conseguenze della contribuzione statale sull’effettivo risanamento economico delle aziende beneficiarie, ad ogginon può fornire chiari elementi sul punto. Poiché le informazioni da essa detenute - relative alle aziende in crisi -, pochissime, se non quasi nulle, sono state le applicazioni pratiche dell’istituto. È chiaro che, comunque sia, un passo avanti è stato fatto in quanto con l’istituto si interrompono al termine del patto periodo di famiglia “l’autonomia privata guadagna uno spazio aggiuntivo”233nell’ambito del passaggio generazionale dell’azienda e delle partecipazioni societarie. Accanto al testamento ed agli istituti contrattuali ad esso alternativi elaborati dalla dottrina si insedia il nuovo istituto il cui effetto più originale, nonché il più apprezzato, è quello di disattivare i meccanismi dell’azione di riduzione e della collazione che, insieme al divieto dei patti successori, costituiscono i principali limiti all’autonomia privata in ambito successorio. Del resto è questa la direzione di rinnovamento che è stata suggerita dalla dottrina maggioritaria ed anche dagli organismi comunitari. Anche i consociati chiedono maggiore autonomia nella sistemazione dei loro rapporti patrimoniali per il tempo in cui avranno cessato di vivere, autonomia che si esplica in una maggiore libertà di scelta dei modi e delle forme più appropriate a seconda della natura dei beni coinvolti e dell’identità dei successori predestinati. 232 XXXXXXXX, Regole successorie e continuità dell’impresa, op. cit., 157 ss. 233 BUCCELLI, op. ult. cit. In tal senso anche XXXXXX, Il contratto con causa successoria. Contributo allo studio del patto di famiglia, op. cit., 68. Il testamento, d’altro canto, pur essendo uno strumento di indubbia vitalità, sembrerebbe non essere più sufficiente ad assecondare le istanze di chi intenda pianificare la propria successione. L’insoddisfazione verso l’atto mortis causa per eccellenza, infatti, è rappresentata non tanto dal decadimento dell’istituto testamentario ma dalle tutele riconosciute ai più stretti congiunti del de cuius. Questi ultimi, infatti, all’apertura della successione, possono stravolgere il volere del disponente nell’ipotesi in cui quest’ultimo li abbia pretermessi oppure li abbia indicati nel testamento in una quota inferiore a quella spettante loro per legge: l’esito vittorioso dell’azione di riduzione da parte dei legittimari “scolora la volontà testamentaria sino alla misura necessaria a reintegrare quei diritti”234. Il testamentosolidarietà, tuttavia, garantisce l’amministrazione, avendo rilevato che il numero delle aziende in fase di liquidazione, di fallimento, o di cessazione appare abbastanza esiguo, ha presunto che tale dato potesse essere letto come rappresentativo di un superamento della crisi stessa, anche grazie al disponente un’autonomia maggiore contributo di solidarietà di tipo B difensivo. Inoltre, non disponendo di un dato aggregato riportante il numero totale ed i contenuti delle circa 15.000 relazioni, prodotte trimestralmente dagli Uffici ispettivi - a fronte delle 3293 domande di contributo richiesto -, il Ministero non dispone delle risorse economiche e umane per estrapolare le informazioni idonee a giustificare il ricorso a tale strumento da parte delle aziende interessate né, tantomeno, di una piattaforma informatica contenente i singoli referti ispettivi. Al riguardo questa Sezione ha ritenuto che, per accertare il grado di efficacia, nonché di efficienza dell’azione svolta dall’amministrazione, in generale appaia indispensabile che quest’ultima preveda criteri di misurazione dell’attività stessa, sia per migliorare i servizi che per valutarne i risultati rispetto al contrattoa quanto il legislatore ha indicato. Nel caso specifico, consentendogli sarebbe stato opportuno che il Mlps, nell’individuare gli obiettivi cui indirizzare la sua attività - ossia l’erogazione dei contributi di decidere solidarietà di tipo B difensivi -, si fosse preoccupato di verificare che le aziende beneficiarie della contribuzione statale, avessero superato o, quanto meno, ridotto la sorte dei propri beni per il tempo situazione di crisi economica in cui non sarà più in vita senza dover condividere tale scelta con altriversavano. Alla luce delle risultanze istruttorie persistono, senza dover tener conto dell’affidamento generato nei beneficiariinvero, poiché la libertà testamentaria trova il suo unico limite nell’illiceità dei motivi. L’atto ancora, alcuni elementi meritevoli di ultima volontà, infatti, consente all’ereditando la conservazione della ricchezza e la possibilità di cambiare idea fino all’ultimo istante della vita. La scelta del legislatore di escludere il contratto dalla regolazione mortis causa del passaggio generazionale, scelta ricavabile dal combinato disposto degli artt. 457 e 458 c.c., infatti, non si giustifica tanto con l’inadeguatezza dello strumento contrattuale a far circolare i beni oggetto del patrimonio ereditario, bensì con il fatto che detto strumento non garantisce al disponente la possibilità di cambiare idea fino all’ultimo istante della propria vita235. 234 Così BONILINI, Le successioni mortis causa e la civilistica italiana. La successione testamentaria, in Nuova giur. civ. comm., 3/1997, 223 ss. 235 Sul contratto ereditario si veda BONILINI, Le successioni mortis caussa e la civilistica italiana. La successione testamentaria, in Nuova giur. civ. comm., 3/1997, 223 ss., il quale afferma “personalmente, sono contrario al contratto ereditario; esso denuncia lo spirito che apprezza tutto in danaro, che considera che tutto può essere oggetto di vendita; non mi pare dannosa scelta quella di lasciare un alone di mistero almeno nei confronti della morte”. Per di più, la funzione svolta dall’atto di ultima volontà non può essere in tutto e per tutto svolta dal contratto: si considerino le disposizioni di ultima volontà a contenuto non patrimoniale, come il riconoscimento del figlio naturale, che solo per via testamentaria possono essere predisposte. Sul versante patrimoniale, inoltre, se pur esistono valori che meglio si prestano ad una circolazione negoziata, e di fatto circolano già attraverso contratti, pur non aventi causa successoria, “è doveroso riconoscere al testamento assoluta vitalità ed attualità tutte le volte in cui la natura del bene non desti perplessità in ordine ad una loro destinazione successoria decisa unilateralmente dal disponente”236.maggior attenzione:
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Considerazioni conclusive. Le recenti riforme Tornando alle decisioni in rassegna è possibile formulare alcune sintetiche riflessioni conclusive alla luce delle soluzioni interpretative accolte dal TAR nelle due fattispecie sottoposte al suo esame. In particolare, richiamando i profili trattati al paragrafo precedente, è significativo evidenziare come il giudice amministrativo pur avendo esaminato fattispecie di appalto aventi entrambe ad oggetto l’esecuzione di servizi legati da evidenti nessi di strumentalità rispetto alle attività prese in considerazione dall’art. 213 del Codice dei contratti (nel primo caso l’appalto aveva ad oggetto il servizio di pulizia della pista di volo dai residui gommosi provocati dalle gomme degli aeromobili in fase di atterraggio nel momento dell’impatto con il suolo, mentre il secondo concerneva la fornitura del servizio di assistenza tecnica informatica a favore dei diversi utenti del sistema informatico presente nello scalo) abbia tratto conclusioni di segno radicalmente opposto, ritenendo che hanno interessato solo nel secondo caso l’appalto vertesse su attività “proprie” del settore aeroportuale e che la materia successoria hanno sicuramente “rotto l’immobilismo del codice”232, imponendosi all’attenzione degli studiosi di diritto, non solo perché costellate di dubbi esegetici, ma anche per un’innegabile carica innovativa. Sicuramente gli strumenti utilizzati dal Legislatore non si sono dimostrati all’altezza delle aspettative: nel caso, ad esempio, del patto di famiglia, come relativa 63 Ed è proprio in relazione a tali attività che si è avuto modo manifestata una tendenza estensiva all’applicazione della normativa comunitaria, tendenza che una parte autorevole della dottrina (CHITI, M.P., La gestione aeroportuale tra diritto comune e attività amministrativa in senso oggetto, in Foro amm. TAR, 2003, p. 323 ss.) ha criticato ponendo in luce come la gestione di sottolineare nel presente lavorospazi commerciali all’interno degli aeroporti non costituisca affatto una specie del genere “servizi” di cui alle direttive comunitarie e risulti quindi sostanzialmente estranea all’ambito oggettivo di applicazione di tale disciplina. procedura di affidamento fosse assoggettabile al regime di cui ai settori speciali. In realtà, il Legislatore introduce le conclusioni ricavate dal TAR nella prima decisione sollevano non poche perplessità perché le prestazioni oggetto della relativa procedura ad evidenza pubblica (come detto inerente la pulizia della pista di volo dai residui gommosi prodotti dagli aeromobili) rappresentano una disciplina assai lacunosa che pone diversi problemi interpretativi non solo per ciò che dice ma ancora di più per ciò che non dice. Ciò è dimostrato anche dal fatto chedelle normali componenti del servizio aeroportuale unitariamente inteso, pur essendo stato accolto con entusiasmo dai primi commentatori, ad oggi, pochissime, se non quasi nulle, sono state le applicazioni pratiche dell’istituto. È chiaro che, comunque sia, un passo avanti è stato fatto in quanto con l’istituto del patto attività preordinata a garantire il regolare, sicuro ed efficiente svolgimento delle operazioni aeree. Sorprende pertanto che la prima decisione abbia giudicato la relativa procedura di famiglia aggiudicazione come “l’autonomia privata guadagna uno spazio aggiuntivo”233nell’ambito del passaggio generazionale dell’azienda e delle partecipazioni societarieestranea” ai settori di attività presi in considerazione dal ricordato art. Accanto al testamento ed agli istituti contrattuali ad esso alternativi elaborati dalla dottrina si insedia 213, quando in realtà le prestazioni oggetto dell’appalto appaiono direttamente riconducibili a quella specifica attività di prevenzione che va sotto il nuovo istituto il cui effetto più originalenome di safety, nonché il più apprezzatoo sicurezza operativa, è quello di disattivare i meccanismi dell’azione di riduzione e della collazione che, insieme al divieto dei patti successori, costituiscono i principali limiti all’autonomia privata in ambito successorio. Del resto è questa la direzione di rinnovamento che è stata suggerita dalla dottrina maggioritaria ed anche dagli organismi comunitari. Anche i consociati chiedono maggiore autonomia nella sistemazione dei loro rapporti patrimoniali per il tempo in cui avranno cessato preordinata a prevenire ogni possibile incidente o guasto dell’aeromobile sia nelle fasi di vivere, autonomia decollo che si esplica in una maggiore libertà di scelta dei modi e delle forme più appropriate a seconda della natura dei beni coinvolti e dell’identità dei successori predestinati. 232 XXXXXXXX, Regole successorie e continuità dell’impresa, op. citatterraggio., 157 ss. 233 BUCCELLI, op. ult. cit. In tal senso anche XXXXXX, Il contratto con causa successoria. Contributo allo studio del patto di famiglia, op. cit., 68. Il testamento, d’altro canto, pur essendo uno strumento di indubbia vitalità, sembrerebbe non essere più sufficiente ad assecondare le istanze di chi intenda pianificare la propria successione. L’insoddisfazione verso l’atto mortis causa per eccellenza, infatti, è rappresentata non tanto dal decadimento dell’istituto testamentario ma dalle tutele riconosciute ai più stretti congiunti del de cuius. Questi ultimi, infatti, all’apertura della successione, possono stravolgere il volere del disponente nell’ipotesi in cui quest’ultimo li abbia pretermessi oppure li abbia indicati nel testamento in una quota inferiore a quella spettante loro per legge: l’esito vittorioso dell’azione di riduzione da parte dei legittimari “scolora la volontà testamentaria sino alla misura necessaria a reintegrare quei diritti”234. Il testamento, tuttavia, garantisce al disponente un’autonomia maggiore rispetto al contratto, consentendogli di decidere la sorte dei propri beni per il tempo in cui non sarà più in vita senza dover condividere tale scelta con altri, senza dover tener conto dell’affidamento generato nei beneficiari, poiché la libertà testamentaria trova il suo unico limite nell’illiceità dei motivi. L’atto di ultima volontà, infatti, consente all’ereditando la conservazione della ricchezza e la possibilità di cambiare idea fino all’ultimo istante della vita. La scelta del legislatore di escludere il contratto dalla regolazione mortis causa del passaggio generazionale, scelta ricavabile dal combinato disposto degli artt. 457 e 458 c.c., infatti, non si giustifica tanto con l’inadeguatezza dello strumento contrattuale a far circolare i beni oggetto del patrimonio ereditario, bensì con il fatto che detto strumento non garantisce al disponente la possibilità di cambiare idea fino all’ultimo istante della propria vita235. 234 Così BONILINI, Le successioni mortis causa e la civilistica italiana. La successione testamentaria, in Nuova giur. civ. comm., 3/1997, 223 ss. 235 Sul contratto ereditario si veda BONILINI, Le successioni mortis caussa e la civilistica italiana. La successione testamentaria, in Nuova giur. civ. comm., 3/1997, 223 ss., il quale afferma “personalmente, sono contrario al contratto ereditario; esso denuncia lo spirito che apprezza tutto in danaro, che considera che tutto può essere oggetto di vendita; non mi pare dannosa scelta quella di lasciare un alone di mistero almeno nei confronti della morte”. Per di più, la funzione svolta dall’atto di ultima volontà non può essere in tutto e per tutto svolta dal contratto: si considerino le disposizioni di ultima volontà a contenuto non patrimoniale, come il riconoscimento del figlio naturale, che solo per via testamentaria possono essere predisposte. Sul versante patrimoniale, inoltre, se pur esistono valori che meglio si prestano ad una circolazione negoziata, e di fatto circolano già attraverso contratti, pur non aventi causa successoria, “è doveroso riconoscere al testamento assoluta vitalità ed attualità tutte le volte in cui la natura del bene non desti perplessità in ordine ad una loro destinazione successoria decisa unilateralmente dal disponente”236.
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Considerazioni conclusive. Le recenti riforme che hanno interessato Il settore dell’intermediazione finanziaria è annoverabile tra quelli nell’ambito dei quali ha trovato espressa mani- festazione la materia successoria hanno sicuramente “rotto l’immobilismo tendenza del codice”232legislatore nazionale al neoformalismo negoziale, imponendosi all’attenzione degli studiosi quale esplicazione, a livello normativo, dell’intento di dirittoproteggere il processo di formazione della volontà negoziale attraverso una tutela di tipo formale, non solo perché costellate fun- zionale a condurre il contraente in posizione di dubbi esegeticidebolezza contrattuale alla piena consapevolezza della scelta operata con la stipulazione del contratto. Al detto fine il decreto legislativo n. 58 del 1998 ha imposto, ma anche per un’innegabile carica innovativa. Sicuramente gli strumenti utilizzati dal Legislatore non si sono dimostrati all’altezza delle aspettative: nel caso, ad esempio, del patto in sede di famiglia, come si è avuto modo stipulazione dei contratti relativi alla pre- stazione dei servizi di sottolineare nel presente lavoroinvestimento, il Legislatore introduce una requisito della forma scritta ad substantiam, la cui inosservanza è sanzionata con la nullità c.d. di protezione: la specialità di quest’ultima risiede nella regola della legittimazione ad agire differenziata, essendo il contraente debole, rectius protetto, l’unica parte contrattuale legittimata al relativo rilievo in via giudiziale. Nell’ipotesi di contratti derivati stipulati dagli enti locali la concorrenza tra il requisito formale prescritto dal Tuf e il rigore formale tipico della contrattualistica pubblica è stata risolta, dalla giurisprudenza di legittimità, con il ricono- scimento della prevalenza della disciplina assai lacunosa che pone diversi problemi interpretativi non solo per ciò che dice ma ancora di più per ciò che non dicerecata dal regio decreto n. 2440 del 1923. Ciò è dimostrato anche dal fatto chein ragione dell’esigenza – sottesa all’imposizione della forma scritta ad substantiam – consistente nella tutela degli interessi generali della collet- tività, pur essendo stato accolto con entusiasmo dai primi commentatorii quali soverchiano quelli – seppure pubblici, ad oggima, pochissimecomunque, se non quasi nulle, sono state le applicazioni pratiche dell’istituto. È chiaro che, comunque sia, un passo avanti è stato fatto in quanto con l’istituto del patto di famiglia “l’autonomia privata guadagna uno spazio aggiuntivo”233nell’ambito del passaggio generazionale dell’azienda e delle partecipazioni societarie. Accanto al testamento ed agli istituti contrattuali ad esso alternativi elaborati dalla dottrina si insedia il nuovo istituto il cui effetto più originale, nonché il più apprezzato, è quello di disattivare i meccanismi dell’azione di riduzione e della collazione che, insieme al divieto dei patti successori, costituiscono i principali limiti all’autonomia privata in ambito successorio. Del resto è questa la direzione di rinnovamento settoriali – dell’ente locale che è stata suggerita dalla dottrina maggioritaria ed anche dagli organismi comunitariparte del contratto, (108) Corte conti, Sez. Anche i consociati chiedono maggiore autonomia nella sistemazione dei loro rapporti patrimoniali per il tempo in cui avranno cessato di viverecontr. reg. Trentino-Alto Adige, autonomia che si esplica in una maggiore libertà di scelta dei modi e delle forme più appropriate a seconda della natura dei beni coinvolti e dell’identità dei successori predestinati. 232 XXXXXXXXn. 35/2018, Regole successorie e continuità dell’impresa, op. cit., 157 ss. 233 BUCCELLI, op. ult. cit. In tal senso anche XXXXXX, Il contratto con causa successoria. Contributo allo studio del patto di famiglia, op. cit., 68. Il testamento, d’altro canto, pur essendo uno strumento di indubbia vitalità, sembrerebbe non essere più sufficiente ad assecondare le istanze di chi intenda pianificare la propria successione. L’insoddisfazione verso l’atto mortis causa per eccellenza, infatti, è rappresentata non tanto dal decadimento dell’istituto testamentario ma dalle tutele riconosciute ai più stretti congiunti del de cuius. Questi ultimi, infatti, all’apertura della successione, possono stravolgere il volere del disponente nell’ipotesi in cui quest’ultimo li abbia pretermessi oppure li abbia indicati nel testamento in una quota inferiore a quella spettante loro per legge: l’esito vittorioso dell’azione di riduzione da parte dei legittimari “scolora la volontà testamentaria sino alla misura necessaria a reintegrare quei diritti”234. Il testamento, tuttavia, garantisce al disponente un’autonomia maggiore rispetto al contratto, consentendogli di decidere la sorte dei propri beni per il tempo in cui non sarà più in vita senza dover condividere tale scelta con altri, senza dover tener conto dell’affidamento generato nei beneficiari, poiché la libertà testamentaria trova il suo unico limite nell’illiceità dei motivi. L’atto di ultima volontà, infatti, consente all’ereditando la conservazione della ricchezza e la possibilità di cambiare idea fino all’ultimo istante della vita. La scelta del legislatore di escludere il contratto dalla regolazione mortis causa del passaggio generazionale, scelta ricavabile dal combinato disposto degli artt. 457 e 458 c.c., infatti, non si giustifica tanto con l’inadeguatezza dello strumento contrattuale a far circolare i beni oggetto del patrimonio ereditario, bensì con il fatto che detto strumento non garantisce al disponente la possibilità di cambiare idea fino all’ultimo istante della propria vita235. 234 Così BONILINI, Le successioni mortis causa e la civilistica italiana. La successione testamentaria, in Nuova giur. civ. comm., 3/1997, 223 ss. 235 Sul contratto ereditario si veda BONILINI, Le successioni mortis caussa e la civilistica italiana. La successione testamentaria, in Nuova giur. civ. comm., 3/1997, 223 ss., il quale afferma “personalmente, sono contrario al contratto ereditario; esso denuncia lo spirito che apprezza tutto in danaro, che considera che tutto può essere oggetto di vendita; non mi pare dannosa scelta quella di lasciare un alone di mistero almeno nei confronti della morte”. Per di più, la funzione svolta dall’atto di ultima volontà non può essere in tutto e per tutto svolta dal contratto: si considerino le disposizioni di ultima volontà a contenuto non patrimoniale, come il riconoscimento del figlio naturale, che solo per via testamentaria possono essere predisposte. Sul versante patrimoniale, inoltre, se pur esistono valori che meglio si prestano ad una circolazione negoziata, e di fatto circolano già attraverso contratti, pur non aventi causa successoria, “è doveroso riconoscere al testamento assoluta vitalità ed attualità tutte le volte in cui la natura del bene non desti perplessità in ordine ad una loro destinazione successoria decisa unilateralmente dal disponente”236.
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Considerazioni conclusive. Le recenti riforme La soluzione proposta, senza dubbio coerente sotto il profilo sistematico e dogmatico, lascia irrisolte nume- rose problematiche applicative. Un primo esempio riguarda l’individuazione dell’esatta portata della nozione di minuta o puntua- zione, problema interamente rimesso alla valutazione discrezionale del giudicante (37). Un rapidissimo sguardo ai repertori rivela però che hanno interessato l’approccio al tema da parte della giurisprudenza di merito non risulta mai del tutto uniforme e coerente, generando decisioni talvolta di segno contrario (38). Permane, inoltre, una tendenziale difficoltà di raccordo tra la materia successoria hanno sicuramente “rotto l’immobilismo ricostruzione privatistica prescelta e la disciplina fiscale (39). A partire dalla Ris. 63/E del codice”232, imponendosi all’attenzione degli studiosi di diritto, non solo perché costellate di dubbi esegetici, ma anche per un’innegabile carica innovativa. Sicuramente gli strumenti utilizzati dal Legislatore non si sono dimostrati all’altezza delle aspettative: nel caso, ad esempio, del patto di famiglia, come si è avuto modo di sottolineare nel presente lavoro, il Legislatore introduce una disciplina assai lacunosa che pone diversi problemi interpretativi non solo per ciò che dice ma ancora di più per ciò che non dice. Ciò è dimostrato anche dal fatto che, pur essendo stato accolto con entusiasmo dai primi commentatori, ad oggi, pochissime, se non quasi nulle, sono state le applicazioni pratiche dell’istituto. È chiaro che, comunque sia, un passo avanti è stato fatto in quanto con l’istituto del patto di famiglia “l’autonomia privata guadagna uno spazio aggiuntivo”233nell’ambito del passaggio generazionale dell’azienda e delle partecipazioni societarie. Accanto al testamento ed agli istituti contrattuali ad esso alternativi elaborati dalla dottrina si insedia il nuovo istituto il cui effetto più originale, nonché il più apprezzato, è quello di disattivare i meccanismi dell’azione di riduzione e della collazione che, insieme al divieto dei patti successori, costituiscono i principali limiti all’autonomia privata in ambito successorio. Del resto è questa la direzione di rinnovamento che è stata suggerita dalla dottrina maggioritaria ed anche dagli organismi comunitari. Anche i consociati chiedono maggiore autonomia nella sistemazione dei loro rapporti patrimoniali per il tempo in cui avranno cessato di vivere, autonomia che si esplica in una maggiore libertà di scelta dei modi e delle forme più appropriate a seconda della natura dei beni coinvolti e dell’identità dei successori predestinati. 232 XXXXXXXX, Regole successorie e continuità dell’impresa, op. cit., 157 ss. 233 BUCCELLI, op. ult. cit. In tal senso anche XXXXXX, Il contratto con causa successoria. Contributo allo studio del patto di famiglia, op. cit., 68. Il testamento, d’altro canto, pur essendo uno strumento di indubbia vitalità, sembrerebbe non essere più sufficiente ad assecondare le istanze di chi intenda pianificare la propria successione. L’insoddisfazione verso l’atto mortis causa per eccellenza25 febbraio 2008, infatti, è rappresentata non tanto l’Agenzia delle Entrate ha chiarito che “l’obbligo della registrazione e del pagamento della relativa imposta in capo al mediatore sorge dal decadimento dell’istituto testamentario ma dalle tutele riconosciute ai più stretti congiunti del de cuius. Questi ultimi, infatti, all’apertura della successione, possono stravolgere il volere del disponente nell’ipotesi momento in cui quest’ultimo li abbia pretermessi oppure li abbia indicati nel testamento viene accettata la proposta di acquisto, indipendentemente dalla successiva stipula di un contratto preliminare”, così ravvi- sando la conclusione dell’affare anche in una quota inferiore a quella spettante loro proposta di acquisto, accettata dalla controparte, contenuta in uno dei tipici formulari normalmente in uso agli inter- mediari immobiliari (40). Resta, infine, la delicata questione della tutela della figura professionale del mediatore (41) il quale, specie ove le parti si siano rese protagoniste di un’inaspettata e improvvisa inversione di rotta, non maturerà alcun compenso per legge: l’esito vittorioso dell’azione di riduzione da parte dei legittimari “scolora la volontà testamentaria sino alla misura necessaria a reintegrare quei diritti”234. Il testamentol’attività svolta anche quando abbia mediato intese sì parziali e, tuttavia, garantisce al disponente un’autonomia maggiore rispetto al contrattosuscettibili di essere agevolmente tradotte in accordi definitivi (42). In ipotesi del genere se è vero che, consentendogli attingendo alla figura della mediazione atipica (43), l’autonomia privata ben potrebbe sopperire con la previsione di decidere la sorte dei propri beni per il tempo in cui non sarà specifiche pattuizioni a garanzia dell’operato del professionista (44), più in vita senza dover condividere tale scelta con altri, senza dover tener conto dell’affidamento generato nei beneficiari, poiché la libertà testamentaria trova il suo unico limite nell’illiceità dei motivi. L’atto di ultima volontà, infatti, consente all’ereditando la conservazione della ricchezza auspicabile risulterebbe una rilettura delle regole richiamate meno rigida e la possibilità di cambiare idea fino all’ultimo istante della vita. La scelta del legislatore di escludere il contratto dalla regolazione mortis causa del passaggio generazionale, scelta ricavabile dal combinato disposto degli artt. 457 e 458 c.c., infatti, non si giustifica tanto con l’inadeguatezza dello strumento contrattuale a far circolare i beni oggetto del patrimonio ereditario, bensì con il fatto che detto strumento non garantisce al disponente la possibilità di cambiare idea fino all’ultimo istante della propria vita235. 234 Così BONILINI, Le successioni mortis causa e la civilistica italiana. La successione testamentariapiù sbilanciata, in Nuova giur. civ. comm., 3/1997, 223 ss. 235 Sul contratto ereditario si veda BONILINI, Le successioni mortis caussa e linea con la civilistica italiana. La successione testamentariavolontà del codificatore, in Nuova giur. civ. comm., 3/1997, 223 ss., il quale afferma “personalmente, sono contrario al contratto ereditario; esso denuncia lo spirito che apprezza tutto in danaro, che considera che tutto può essere oggetto di vendita; non mi pare dannosa scelta quella di lasciare un alone di mistero almeno nei confronti della morte”. Per di più, la funzione svolta dall’atto di ultima volontà non può essere in tutto e per tutto svolta dal contratto: si considerino le disposizioni di ultima volontà a contenuto non patrimoniale, come il favore del riconoscimento del figlio naturale, che solo per via testamentaria possono essere predisposte. Sul versante patrimoniale, inoltre, se pur esistono valori che meglio si prestano ad una circolazione negoziata, e di fatto circolano già attraverso contratti, pur non aventi causa successoria, “è doveroso riconoscere al testamento assoluta vitalità ed attualità tutte le volte in cui la natura del bene non desti perplessità in ordine ad una loro destinazione successoria decisa unilateralmente dal disponente”236compenso provvigionale (45).
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Considerazioni conclusive. Le recenti riforme Qualche conclusione può essere tratta. La distinzione ontologica tra i due meccanismi di protrazione del vincolo non soltanto non giustifica, in sede di rinnovo, la necessità, in caso di diniego, di quello stesso onere motivazionale che hanno interessato è, invece, richiesto alla «prima» scadenza triennale del contratto. Ma, proprio l’affievolimento dell’affidamento in capo al conduttore che ne consegue, giustifica invece la materia successoria hanno sicuramente “rotto l’immobilismo possibilità, per il locatore, al termine della proroga biennale, di comunicare sic et simpliciter la rinuncia al rinnovo, senza motivare alcunché. Una conclusione differente, oltre a evocare una sorta di insofferenza al vincolo di legge[35], finisce per frustrare gli scopi stessi posti alla base della previsione dei contratti oggetto di autonomia negoziale assistita. Ed invero, nel disdettare le esigenze sottese alla promozione del codice”232mercato locatizio, imponendosi all’attenzione degli studiosi la scelta di dirittoancorare l’onere motivazione alla seconda scadenza del contratto paralizza inutilmente le prerogative di una parte - quella del locatore – condizionandole ad una regolamentazione vincolata e per nulla in linea con la dimensione pratica del negozio. Dimensione pratica che, nell’involgere una valutazione economica del rapporto in termini di convenienza della fruizione dell’immobile al pari di un diritto di godimento[36], è invece valorizzata dalla soluzione di agganciare lo stringente onere motivazionale alla scadenza del primo triennio locativo e non solo perché costellate già alla scadenza del successivo biennio di dubbi esegetici, ma anche per un’innegabile carica innovativa. Sicuramente gli strumenti utilizzati dal Legislatore non si sono dimostrati all’altezza delle aspettative: nel caso, ad esempio, del patto di famiglia, come si è avuto modo di sottolineare nel presente lavoroproroga, il Legislatore introduce una disciplina assai lacunosa quale, esaurendo il rapporto, apre semmai alla possibilità che pone diversi problemi interpretativi non le parti ritornino sulla stipula al solo per ciò che dice ma ancora fine di più per ciò che non dice. Ciò è dimostrato anche dal fatto che, pur essendo stato accolto con entusiasmo dai primi commentatori, ad oggi, pochissime, se non quasi nulle, sono state le applicazioni pratiche dell’istituto. È chiaro che, comunque sia, un passo avanti è stato fatto in quanto con l’istituto del patto di famiglia “l’autonomia privata guadagna uno spazio aggiuntivo”233nell’ambito del passaggio generazionale dell’azienda e delle partecipazioni societarie. Accanto al testamento ed agli istituti contrattuali ad esso alternativi elaborati dalla dottrina si insedia rinnovare il nuovo istituto il cui effetto più originale, nonché il più apprezzato, è quello di disattivare i meccanismi dell’azione di riduzione e della collazione che, insieme al divieto dei patti successori, costituiscono i principali limiti all’autonomia privata in ambito successorio. Del resto è questa la direzione di rinnovamento che è stata suggerita dalla dottrina maggioritaria ed anche dagli organismi comunitari. Anche i consociati chiedono maggiore autonomia nella sistemazione dei loro rapporti patrimoniali per il tempo in cui avranno cessato di vivere, autonomia che si esplica in una maggiore libertà di scelta dei modi e delle forme più appropriate a seconda della natura dei beni coinvolti e dell’identità dei successori predestinati. 232 XXXXXXXX, Regole successorie e continuità dell’impresa, op. citcontratto., 157 ss. 233 BUCCELLI, op. ult. cit. In tal senso anche XXXXXX, Il contratto con causa successoria. Contributo allo studio del patto di famiglia, op. cit., 68. Il testamento, d’altro canto, pur essendo uno strumento di indubbia vitalità, sembrerebbe non essere più sufficiente ad assecondare le istanze di chi intenda pianificare la propria successione. L’insoddisfazione verso l’atto mortis causa per eccellenza, infatti, è rappresentata non tanto dal decadimento dell’istituto testamentario ma dalle tutele riconosciute ai più stretti congiunti del de cuius. Questi ultimi, infatti, all’apertura della successione, possono stravolgere il volere del disponente nell’ipotesi in cui quest’ultimo li abbia pretermessi oppure li abbia indicati nel testamento in una quota inferiore a quella spettante loro per legge: l’esito vittorioso dell’azione di riduzione da parte dei legittimari “scolora la volontà testamentaria sino alla misura necessaria a reintegrare quei diritti”234. Il testamento, tuttavia, garantisce al disponente un’autonomia maggiore rispetto al contratto, consentendogli di decidere la sorte dei propri beni per il tempo in cui non sarà più in vita senza dover condividere tale scelta con altri, senza dover tener conto dell’affidamento generato nei beneficiari, poiché la libertà testamentaria trova il suo unico limite nell’illiceità dei motivi. L’atto di ultima volontà, infatti, consente all’ereditando la conservazione della ricchezza e la possibilità di cambiare idea fino all’ultimo istante della vita. La scelta del legislatore di escludere il contratto dalla regolazione mortis causa del passaggio generazionale, scelta ricavabile dal combinato disposto degli artt. 457 e 458 c.c., infatti, non si giustifica tanto con l’inadeguatezza dello strumento contrattuale a far circolare i beni oggetto del patrimonio ereditario, bensì con il fatto che detto strumento non garantisce al disponente la possibilità di cambiare idea fino all’ultimo istante della propria vita235. 234 Così BONILINI, Le successioni mortis causa e la civilistica italiana. La successione testamentaria, in Nuova giur. civ. comm., 3/1997, 223 ss. 235 Sul contratto ereditario si veda BONILINI, Le successioni mortis caussa e la civilistica italiana. La successione testamentaria, in Nuova giur. civ. comm., 3/1997, 223 ss., il quale afferma “personalmente, sono contrario al contratto ereditario; esso denuncia lo spirito che apprezza tutto in danaro, che considera che tutto può essere oggetto di vendita; non mi pare dannosa scelta quella di lasciare un alone di mistero almeno nei confronti della morte”. Per di più, la funzione svolta dall’atto di ultima volontà non può essere in tutto e per tutto svolta dal contratto: si considerino le disposizioni di ultima volontà a contenuto non patrimoniale, come il riconoscimento del figlio naturale, che solo per via testamentaria possono essere predisposte. Sul versante patrimoniale, inoltre, se pur esistono valori che meglio si prestano ad una circolazione negoziata, e di fatto circolano già attraverso contratti, pur non aventi causa successoria, “è doveroso riconoscere al testamento assoluta vitalità ed attualità tutte le volte in cui la natura del bene non desti perplessità in ordine ad una loro destinazione successoria decisa unilateralmente dal disponente”236.
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Considerazioni conclusive. Le recenti riforme Cercando di trarre qualche considerazione conclusiva, ci sembra che hanno interessato la disci- plina attuativa della materia successoria hanno sicuramente “rotto l’immobilismo del codice”232, imponendosi all’attenzione degli studiosi di diritto, non solo perché costellate di dubbi esegetici, ma anche per un’innegabile carica innovativa. Sicuramente gli strumenti utilizzati dal Legislatore dei contratti pubblici non si sottragga ai nodi problema- tici del rapporto tra potere pubblico, diritti fondamentali e forme della normazione, che costituiscono il filo conduttore del presente volume. In particolare, sul piano della collocazione sistematica delle linee guida ANAC resta il dubbio se si stia assistendo ad un “indurimento” della soft law63, mediante la predisposizione di strumenti di “regolamentazione flessibile” che sono dimostrati all’altezza in realtà dei veri e propri atti normativi, oppure ad un “ammorbidimento” dell’hard law, me- diante la sostituzione di una fonte di tipo regolamentare (di cui si riscontrano alcuni aspetti) con atti amministrativi generali (di cui ricorrono altre caratteristiche). Xxxxxx, proprio perché sembrerebbe prevalere la considerazione delle aspettative: nel casolinee guida come una fonte atipica e non come un atto amministrativo generale, ad esempiosarebbe stata necessaria maggior chiarezza da parte del legislatore64 e, forse, uno sforzo rico- struttivo più ampio da parte della giurisprudenza, soprattutto del patto Consiglio di famigliaStato. In qualche modo, la “novità” e l’anomalia delle linee guida pare peraltro colle- garsi alla atipicità dell’Autorità alla quale il potere di adozione delle stesse è attri- buito, dissimile da tutte le altre, con poteri ampi e trasversali (ben più della prece- dente Autorità di vigilanza dei contratti pubblici che pure operava in un ambito che – come si abbiamo visto – non è avuto modo di sottolineare nel presente lavoropropriamente riconducibile a un settore), il Legislatore introduce una disciplina assai lacunosa che pone diversi problemi interpretativi non solo per ciò che dice ma ancora di più per ciò che non dice. Ciò è dimostrato anche dal fatto chepaiono avere riscontro nell’ormai lunga e consolidata esperienza delle Authorities e che non ha eguali nel panorama europeo65, pur essendo stato accolto con entusiasmo dai primi commentatori, demandando ad oggi, pochissime, se non quasi nulle, sono state le applicazioni pratiche dell’istituto. È chiaro che, comunque sia, un passo avanti è stato fatto in quanto con l’istituto essa una parte signi- ficativa dell’attuazione del patto di famiglia “l’autonomia privata guadagna uno spazio aggiuntivo”233nell’ambito del passaggio generazionale dell’azienda e delle partecipazioni societarie. Accanto al testamento ed agli istituti contrattuali ad esso alternativi elaborati dalla dottrina si insedia il nuovo istituto il cui effetto più originale, nonché il più apprezzato, è quello di disattivare i meccanismi dell’azione di riduzione e della collazione che, insieme al divieto Codice dei patti successori, costituiscono i principali limiti all’autonomia privata in ambito successorio. Del resto è questa la direzione di rinnovamento che è stata suggerita dalla dottrina maggioritaria ed anche dagli organismi comunitari. Anche i consociati chiedono maggiore autonomia nella sistemazione dei loro rapporti patrimoniali per il tempo in cui avranno cessato di vivere, autonomia che si esplica in una maggiore libertà di scelta dei modi e delle forme più appropriate a seconda della natura dei beni coinvolti e dell’identità dei successori predestinati. 232 XXXXXXXX, Regole successorie e continuità dell’impresa, op. citcontratti pubblici., 157 ss. 233 BUCCELLI, op. ult. cit. In tal senso anche XXXXXX, Il contratto con causa successoria. Contributo allo studio del patto di famiglia, op. cit., 68. Il testamento, d’altro canto, pur essendo uno strumento di indubbia vitalità, sembrerebbe non essere più sufficiente ad assecondare le istanze di chi intenda pianificare la propria successione. L’insoddisfazione verso l’atto mortis causa per eccellenza, infatti, è rappresentata non tanto dal decadimento dell’istituto testamentario ma dalle tutele riconosciute ai più stretti congiunti del de cuius. Questi ultimi, infatti, all’apertura della successione, possono stravolgere il volere del disponente nell’ipotesi in cui quest’ultimo li abbia pretermessi oppure li abbia indicati nel testamento in una quota inferiore a quella spettante loro per legge: l’esito vittorioso dell’azione di riduzione da parte dei legittimari “scolora la volontà testamentaria sino alla misura necessaria a reintegrare quei diritti”234. Il testamento, tuttavia, garantisce al disponente un’autonomia maggiore rispetto al contratto, consentendogli di decidere la sorte dei propri beni per il tempo in cui non sarà più in vita senza dover condividere tale scelta con altri, senza dover tener conto dell’affidamento generato nei beneficiari, poiché la libertà testamentaria trova il suo unico limite nell’illiceità dei motivi. L’atto di ultima volontà, infatti, consente all’ereditando la conservazione della ricchezza e la possibilità di cambiare idea fino all’ultimo istante della vita. La scelta del legislatore di escludere il contratto dalla regolazione mortis causa del passaggio generazionale, scelta ricavabile dal combinato disposto degli artt. 457 e 458 c.c., infatti, non si giustifica tanto con l’inadeguatezza dello strumento contrattuale a far circolare i beni oggetto del patrimonio ereditario, bensì con il fatto che detto strumento non garantisce al disponente la possibilità di cambiare idea fino all’ultimo istante della propria vita235. 234 Così BONILINI, Le successioni mortis causa e la civilistica italiana. La successione testamentaria, in Nuova giur. civ. comm., 3/1997, 223 ss. 235 Sul contratto ereditario si veda BONILINI, Le successioni mortis caussa e la civilistica italiana. La successione testamentaria, in Nuova giur. civ. comm., 3/1997, 223 ss., il quale afferma “personalmente, sono contrario al contratto ereditario; esso denuncia lo spirito che apprezza tutto in danaro, che considera che tutto può essere oggetto di vendita; non mi pare dannosa scelta quella di lasciare un alone di mistero almeno nei confronti della morte”. Per di più, la funzione svolta dall’atto di ultima volontà non può essere in tutto e per tutto svolta dal contratto: si considerino le disposizioni di ultima volontà a contenuto non patrimoniale, come il riconoscimento del figlio naturale, che solo per via testamentaria possono essere predisposte. Sul versante patrimoniale, inoltre, se pur esistono valori che meglio si prestano ad una circolazione negoziata, e di fatto circolano già attraverso contratti, pur non aventi causa successoria, “è doveroso riconoscere al testamento assoluta vitalità ed attualità tutte le volte in cui la natura del bene non desti perplessità in ordine ad una loro destinazione successoria decisa unilateralmente dal disponente”236.
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Considerazioni conclusive. Le recenti riforme che hanno interessato la materia successoria hanno sicuramente “rotto l’immobilismo del codice”232, imponendosi all’attenzione degli studiosi di dirittoIn ordine agli effetti dell’iscrizione, non solo perché costellate pare possibile negare che essa produca la nascita della rete come soggetto e, quindi – sotto il profilo giuridico formale – la nascita di dubbi esegeticiun autonomo centro di imputazione di effetti giuridici distinto dai singoli imprenditori aderenti 19. A norma dell’art. 3 co. ter, ma anche per un’innegabile carica innovativalett. Sicuramente gli strumenti utilizzati dal Legislatore non si sono dimostrati all’altezza delle aspettative: nel caso, ad esempio, del patto di famiglia, come si è avuto modo di sottolineare nel presente lavoro, il Legislatore introduce una disciplina assai lacunosa che pone diversi problemi interpretativi non solo per ciò che dice ma ancora di più per ciò che non dice. Ciò è dimostrato anche dal fatto che, pur essendo stato accolto con entusiasmo dai primi commentatori, ad oggi, pochissime, se non quasi nulle, sono state le applicazioni pratiche dell’istituto. È chiaro che, comunque sia, un passo avanti è stato fatto in quanto con l’istituto del patto di famiglia “l’autonomia privata guadagna uno spazio aggiuntivo”233nell’ambito del passaggio generazionale dell’azienda e delle partecipazioni societarie. Accanto al testamento ed agli istituti contrattuali ad esso alternativi elaborati dalla dottrina si insedia il nuovo istituto il cui effetto più originale, nonché il più apprezzato, è quello di disattivare i meccanismi dell’azione di riduzione e della collazione che, insieme al divieto dei patti successori, costituiscono i principali limiti all’autonomia privata in ambito successorio. Del resto è questa la direzione di rinnovamento che è stata suggerita dalla dottrina maggioritaria ed anche dagli organismi comunitari. Anche i consociati chiedono maggiore autonomia nella sistemazione dei loro rapporti patrimoniali per il tempo in cui avranno cessato di vivere, autonomia che si esplica in una maggiore libertà di scelta dei modi e delle forme più appropriate a seconda della natura dei beni coinvolti e dell’identità dei successori predestinati. 232 XXXXXXXX, Regole successorie e continuità dell’impresa, op. cit., 157 ss. 233 BUCCELLI, op. ult. cit. In tal senso anche XXXXXX, Il contratto con causa successoria. Contributo allo studio del patto di famiglia, op. cit., 68. Il testamento, d’altro canto, pur essendo uno strumento di indubbia vitalità, sembrerebbe non essere più sufficiente ad assecondare le istanze di chi intenda pianificare la propria successione. L’insoddisfazione verso l’atto mortis causa per eccellenzae), infatti, è rappresentata non tanto dal decadimento dell’istituto testamentario ma dalle tutele riconosciute ai più stretti congiunti la rete – oltre ad avere una propria individualità e sede – acquista diritti e assume obbligazioni tramite l’organo che ne ha la rappresentanza e risponde con il proprio patrimonio (il fondo comune) degli atti compiuti in esecuzione del de cuius. Questi ultimi, infatti, all’apertura della successione, possono stravolgere il volere del disponente nell’ipotesi in cui quest’ultimo li abbia pretermessi oppure li abbia indicati nel testamento in una quota inferiore a quella spettante loro per legge: l’esito vittorioso dell’azione programma di riduzione da parte dei legittimari “scolora la volontà testamentaria sino alla misura necessaria a reintegrare quei diritti”234. Il testamento, tuttavia, garantisce al disponente un’autonomia maggiore rispetto al contratto, consentendogli di decidere la sorte dei propri beni rete e per il tempo in cui perseguimento dello scopo comune 20. A proposito dell’attribuzione alla rete della soggettività (e non sarà più in vita senza dover condividere della personalità giuridica), sono stati sottolineati, da una lato, l’anomalia legislativa di tale scelta con altriterminologia e, senza dover tener conto dell’affidamento generato nei beneficiaridall’altro, poiché la libertà testamentaria trova il suo unico limite nell’illiceità dei motivi“l’inedito legislativo” di una pubblicità costitutiva, che “nelle modalità e negli effetti risulta a discrezione dell’iscrivente 21. L’atto Al di ultima volontàlà di tali condivisibili rilievi, infatti, consente all’ereditando la conservazione della ricchezza e la possibilità di cambiare idea fino all’ultimo istante della vita. La scelta del legislatore di escludere il contratto dalla regolazione mortis causa del passaggio generazionale, scelta ricavabile dal combinato disposto degli artt. 457 e 458 c.c., infatti, non si giustifica tanto con l’inadeguatezza dello strumento contrattuale a far circolare i beni oggetto del patrimonio ereditario, bensì con resta il fatto che detto strumento non garantisce al disponente la possibilità stessa figura negoziale (il contratto di cambiare idea fino all’ultimo istante della propria vita235. 234 Così BONILINIrete con attività esterna dotato di fondo patrimoniale e di organo comune) può divenire autonomo centro di imputazione di effetti giuridici soltanto per espressa scelta degli interessati, Le successioni mortis causa e con la civilistica italiana. La successione testamentaria, in Nuova giur. civ. comm., 3/1997, 223 ss. 235 Sul contratto ereditario si veda BONILINI, Le successioni mortis caussa e la civilistica italiana. La successione testamentaria, in Nuova giur. civ. comm., 3/1997, 223 ss., il quale afferma “personalmente, sono contrario al contratto ereditario; esso denuncia lo spirito che apprezza tutto in danaro, che considera che tutto può essere oggetto di vendita; non mi pare dannosa scelta quella di lasciare un alone di mistero almeno nei confronti della morte”. Per di più, la funzione svolta dall’atto di ultima volontà conseguenza per cui l’interprete – allo stato – non può essere in tutto fare altro se non prendere atto di tale ambiguità. Nonostante le assonanze terminologiche non pare invece che siano riproponibili – rispetto alle reti dotate o meno di “soggettività giuridica” – le pregresse (e per tutto svolta dal contratto: si considerino più versi ormai superate) prese di posizione della dottrina in ordine alla distinzione fra “soggettività” e “personalità giuridica”, quando assunta quale criterio discretivo fra società di capitali (persone giuridiche) e società di persone [soggetti non aventi per legge (v. ad es. artt. 19 e 145 c.p.c.) personalità giuridica]. In materia societaria è ormai pacifico che il termine soggettività sia sinonimo – per le disposizioni società di ultima volontà a contenuto non patrimonialecapitale come per le società di persone – di capacità , come il riconoscimento del figlio naturaleattribuita dall’ordinamento giuridico, che solo per via testamentaria possono di essere predisposte. Sul versante patrimoniale, inoltre, se pur esistono valori che meglio si prestano ad una circolazione negoziata, titolare di diritti e di fatto circolano già attraverso contrattiobbligazioni (cui corrisponde un più o meno incisivo grado di autonomia patrimoniale) e, pur pertanto, centro di imputazione dell’azione sociale e della relativa responsabilità 22. Il che non aventi causa successoria, “è doveroso riconoscere al testamento assoluta vitalità ed attualità tutte le volte in cui la natura del bene non desti perplessità in ordine ad una loro destinazione successoria decisa unilateralmente dal disponente”236.significa dire che i due
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Considerazioni conclusive. Le recenti riforme Il parere in esame consente una riflessione sulla qualificazione delle società in house, la cui disciplina, nonostante la recente sistematizzazione ad opera del D.Lgs. n. 50/2016 (in tema di contratti pubblici) e del D.Lgs. n. 175/2016 (in tema di società a partecipa- zione pubblica), continua ad essere al centro del dibattito giurisprudenziale e dottrinale, posto che hanno interessato in alcuni casi risultano prevalenti interessi, attività e normative specifiche che inducono a propendere per una loro qualificazione più “pubblicistica”, men- tre, in altri casi, si propende verso una loro qualifi- cazione più “privatistica”, con conseguente applicazione delle regole previste per le società dalle norme generali di diritto privato (29). Dall’analisi svolta, le società a controllo pubblico, e più in particolare le società in house, rientrano in un assetto descrittivo e applicativo necessariamente a “geometria variabile”, che deve tenere conto del settore e della disciplina che, di volta in volta, viene in rilievo, in relazione agli interessi giuridici da tutelare. Nel caso che ci occupa, con specifico riferimento all’applicazione della disciplina fiscale dell’IVA, assume rilievo la forma giuridica di società di capitali dell’Ente in house e la prestazione di servizi e obblighi a favore dell’Ente locale, dietro sotto- scrizione di un contratto di servizio da cui emerge la natura sinallagmatica del rapporto giuridico in esame e la conseguente applicazione delle regole che l’ordinamento stabilisce in materia successoria hanno sicuramente di applica- zione dell’IVA. Circa il profilo attenzionato nel parere n. 363/2019, si può ritenere ormai consolidata la posizione dell’Am- ministrazione finanziaria in merito alla sussistenza del presupposto soggettivo e, quindi, in merito al riconoscimento, in linea generale, di una autonoma soggettività di diritto delle società in house rispetto agli Enti di appartenenza, tale per cui non pare possibile riconoscere, ai fini dell’applicabilità della disciplina dell’IVA, nell’Ente locale e nella società il medesimo soggetto giuridico e, quindi, quella “rotto l’immobilismo imme- desimazione organica” che costituisce, invece, il tratto peculiare per potere derogare ai principi e alle regole dell’evidenza pubblica. Ciò che, invece, in casi futuri, potrebbe necessitare di una più approfondita analisi è il presupposto ogget- tivo, ossia l’esistenza di un rapporto sinallagmatico tra le parti, sulla base dell’analisi del codice”232contratto di servizio e, imponendosi all’attenzione degli studiosi di diritto, non solo perché costellate di dubbi esegetici, ma anche per un’innegabile carica innovativa. Sicuramente gli strumenti utilizzati dal Legislatore non si sono dimostrati all’altezza delle aspettative: nel caso, ad esempiodunque, del patto concreto assetto degli interessi delle parti. Si ribadisce, difatti, che ai sensi dell’art. 11, D.Lgs. n. 212/2000, in materia di famigliainterpello tributario, come si è avuto modo di sottolineare nel presente lavoro, il Legislatore introduce una disciplina assai lacunosa che pone diversi problemi interpretativi non solo per ciò che dice ma ancora di più per ciò che non dice. Ciò è dimostrato anche dal fatto che, pur essendo stato accolto con entusiasmo dai primi commentatori, ad oggi, pochissime, se non quasi nulle, sono state le applicazioni pratiche dell’istituto. È chiaro che, comunque sia, un passo avanti è stato fatto in quanto con l’istituto del patto di famiglia “l’autonomia privata guadagna uno spazio aggiuntivo”233nell’ambito del passaggio generazionale dell’azienda e delle partecipazioni societarie. Accanto al testamento ed agli istituti contrattuali ad esso alternativi elaborati dalla dottrina si insedia il nuovo istituto il cui effetto più originale, nonché il più apprezzato, è quello di disattivare i meccanismi dell’azione di riduzione e della collazione che, insieme al divieto dei patti successori, costituiscono i principali limiti all’autonomia privata in ambito successorio. Del resto è questa la direzione di rinnovamento che è stata suggerita dalla dottrina maggioritaria ed anche dagli organismi comunitari. Anche i consociati chiedono maggiore autonomia nella sistemazione dei loro rapporti patrimoniali per il tempo in cui avranno cessato di vivere, autonomia che si esplica in una maggiore libertà di scelta dei modi e delle forme più appropriate a seconda della natura dei beni coinvolti e dell’identità dei successori predestinati. 232 XXXXXXXX, Regole successorie e continuità dell’impresa, op. cit., 157 ss. 233 BUCCELLI, op. ult. cit. In tal senso anche XXXXXX, Il contratto con causa successoria. Contributo allo studio del patto di famiglia, op. cit., 68. Il testamento, d’altro canto, pur essendo uno strumento di indubbia vitalità, sembrerebbe non essere più sufficiente ad assecondare le istanze di chi intenda pianificare la propria successione. L’insoddisfazione verso l’atto mortis causa per eccellenza, infatti, è rappresentata non tanto dal decadimento dell’istituto testamentario ma dalle tutele riconosciute ai più stretti congiunti del de cuius. Questi ultimi, infatti, all’apertura della successione, possono stravolgere il volere del disponente nell’ipotesi in cui quest’ultimo li abbia pretermessi oppure li abbia indicati nel testamento in una quota inferiore a quella spettante loro per legge: l’esito vittorioso dell’azione di riduzione rispo- sta da parte dei legittimari “scolora la volontà testamentaria sino dell’Agenzia risulta vincolante con esclu- sivo riferimento alla misura necessaria a reintegrare quei diritti”234questione oggetto dell’istanza e limitatamente al soggetto richiedente. Il testamento, tuttavia, garantisce al disponente un’autonomia maggiore rispetto al contratto, consentendogli di decidere la sorte dei propri beni per il tempo in cui non sarà più in vita senza dover condividere tale scelta con altri, senza dover tener conto dell’affidamento generato nei beneficiari, poiché la libertà testamentaria trova il suo unico limite nell’illiceità dei motivi. L’atto di ultima volontà, infatti, consente all’ereditando la conservazione della ricchezza e la possibilità di cambiare idea fino all’ultimo istante della vita. La scelta del legislatore di escludere il contratto dalla regolazione mortis causa del passaggio generazionale, scelta ricavabile dal combinato disposto degli artt. 457 e 458 c.c., infatti, non si giustifica tanto con l’inadeguatezza dello strumento contrattuale a far circolare i beni oggetto del patrimonio ereditario, bensì con il fatto che detto strumento non garantisce al disponente la possibilità di cambiare idea fino all’ultimo istante della propria vita235. 234 Così BONILINI, Le successioni mortis causa e la civilistica italiana. La successione testamentaria, in Nuova giur. civ. comm., 3/1997, 223 ss. 235 Sul contratto ereditario si veda BONILINI, Le successioni mortis caussa e la civilistica italiana. La successione testamentaria, in Nuova giur. civ. comm., 3/1997, 223 ss., il quale afferma “personalmente, sono contrario al contratto ereditario; esso denuncia lo spirito che apprezza tutto in danarosemplici, che considera che tutto può essere abbiano per oggetto esclusivo o principale l’eserci- zio di vendita; non mi pare dannosa scelta quella di lasciare un alone di mistero almeno nei confronti della morteattività commerciali o agricole”. Per di più, la funzione svolta dall’atto di ultima volontà non può essere in tutto e per tutto svolta dal contratto: si considerino le disposizioni di ultima volontà a contenuto non patrimoniale, come il riconoscimento del figlio naturale, che solo per via testamentaria possono essere predisposte. Sul versante patrimoniale, inoltre, se pur esistono valori che meglio si prestano ad una circolazione negoziata, e di fatto circolano già attraverso contratti, pur non aventi causa successoria, “è doveroso riconoscere al testamento assoluta vitalità ed attualità tutte le volte in cui la natura del bene non desti perplessità in ordine ad una loro destinazione successoria decisa unilateralmente dal disponente”236.
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Considerazioni conclusive. Le recenti riforme Il caso esaminato è estremamente attuale e si riproduce nella pratica delle operazioni di trasporto su strada, secondo diverse variazioni applicative. La sostanza dell’operazione (accertata sulla base di molti indizi materiali), essenzialmente incentrata su un vero e proprio rapporto di subordinazione tra la società francese ed i conducenti polacchi, permette, da un lato di superare il problema della legittimità o meno dei contratti di locazione dei veicoli (argomento utilizzato dalla difesa degli imputati) e dall’altro lato impedisce l’applicazione della Direttiva 96/71/CE ad una simile operazione, permettendo l’esclusiva ed integrale applicazione della legislazione sociale francese, nei confronti delle sole società francesi e non invece della filiale polacca. A ciò si deve aggiungere il conseguente recupero, nei confronti dei soggetti francesi, dei contributi previdenziali, ciò che hanno interessato rappresenta la materia successoria hanno sicuramente “rotto l’immobilismo parte più cospicua dell’interesse economico−finanziario presente nel caso esaminato. Una società francese (stabilita in Francia) esercente attività di autotrasporto di merci stabilisce una propria filiale in Slovacchia. Il regolamento contrattuale prevede che i conducenti assunti dalla filiale slovacca effettuino cinque settimane di lavoro in territorio francese, intervallate da una settimana di riposo in Slovacchia. Tuttavia dai controlli è emerso che il periodo di lavoro andava dalla tredici alle quindici settimane ininterrotte, durante i quali i conducenti riposavano nelle cabine dei veicoli. Ciascun conducente slovacco aveva accesso alle strutture igienico−sanitarie presenti nei locali della società madre (la società stabilita in Francia). In detti locali, ciascuno di essi aveva a disposizione un armadietto, recante il proprio nome. Accanto agli armadietti erano affisse disposizioni sulle modalità esecutive della prestazione dei conducenti, tanto in lingua francese quanto in lingua slovacca. Inoltre, i conducenti slovacchi ricevevano le direttive e gli ordini per mezzo dei sistemi informatici installati a bordo e via telefono cellulare. La società stabilita nel territorio francese affidava l’esecuzione dei contratti di trasporto da essa stipulati, alla filiale costituita in Slovacchia: ciò che si può definire subtrasporto o subvezione. La filiale slovacca effettuava esclusivamente le operazioni di autotrasporto affidatele dalla società madre francese: non esercitava un’autonoma attività di trasporto. La totalità della flotta di veicoli a disposizione della filiale slovacca era fornita dalla società francese. I contratti di subtrasporto (o subvezione) tra la società madre francese e la filiale slovacca sono apparentemente leciti. Tuttavia, anche se negli accordi sono formalmente definite le condizioni per l’esecuzione del codice”232subtrasporto, imponendosi all’attenzione degli studiosi emerge l’assenza di dirittouna loro finalità commerciale propria. Infatti, la filiale di diritto slovacco non organizza autonomamente le operazioni di trasporto affidatele, con l’autonomia che dovrebbe contraddistinguere un genuino imprenditore. In realtà. la filiale opera in base alle determinazioni della capogruppo francese, al totale servizio di quest’ultima. Emerge come l’unico scopo dei contratti di subtrasporto stipulati sia quello di realizzare una fornitura di mano d’opera a costi contenuti. In definitiva, i contratti in questione sono illeciti. Alla luce della totale subordinazione della società di diritto slovacco all’organizzazione del lavoro ed alla pianificazione delle attività come determinate dalla società di diritto francese, e considerato altresì che le modalità e gli orari prestazioni lavorative dei conducenti slovacchi, formalmente assunti dalla filiale slovacca, sono stabiliti e controllati dalla capogruppo francese, non solo perché costellate può che constatarsi un rapporto di dubbi esegeticilavoro subordinato dei conducenti slovacchi, ma anche per un’innegabile carica innovativa. Sicuramente gli strumenti utilizzati dal Legislatore non si sono dimostrati all’altezza delle aspettative: nel caso, ad esempio, del patto di famiglia, come si è avuto modo di sottolineare nel presente lavoro, il Legislatore introduce una disciplina assai lacunosa che pone diversi problemi interpretativi non solo per ciò che dice ma ancora di più per ciò che non dice. Ciò è dimostrato anche dal fatto direttamente con la società francese che, pur essendo stato accolto con entusiasmo dai primi commentatorinella sostanza, ad oggi, pochissime, se non quasi nulle, sono state le applicazioni pratiche dell’istituto. È chiaro che, comunque sia, un passo avanti è stato fatto in quanto con l’istituto del patto di famiglia “l’autonomia privata guadagna uno spazio aggiuntivo”233nell’ambito del passaggio generazionale dell’azienda e delle partecipazioni societarie. Accanto al testamento ed agli istituti contrattuali ad esso alternativi elaborati dalla dottrina si insedia il nuovo istituto il cui effetto più originale, nonché il più apprezzato, è quello di disattivare i meccanismi dell’azione di riduzione e della collazione che, insieme al divieto dei patti successori, costituiscono i principali limiti all’autonomia privata in ambito successorio. Del resto è questa la direzione di rinnovamento che è stata suggerita dalla dottrina maggioritaria ed anche dagli organismi comunitari. Anche i consociati chiedono maggiore autonomia nella sistemazione dei loro rapporti patrimoniali per il tempo in cui avranno cessato di vivere, autonomia che si esplica in una maggiore libertà di scelta dei modi e delle forme più appropriate a seconda della natura dei beni coinvolti e dell’identità dei successori predestinati. 232 XXXXXXXX, Regole successorie e continuità dell’impresa, op. cit., 157 ss. 233 BUCCELLI, op. ult. cit. In tal senso anche XXXXXX, Il contratto con causa successoria. Contributo allo studio del patto di famiglia, op. cit., 68. Il testamento, d’altro canto, pur essendo uno strumento di indubbia vitalità, sembrerebbe non essere più sufficiente ad assecondare le istanze di chi intenda pianificare la propria successione. L’insoddisfazione verso l’atto mortis causa per eccellenza, infatti, è rappresentata non tanto dal decadimento dell’istituto testamentario ma dalle tutele riconosciute ai più stretti congiunti del de cuius. Questi ultimi, infatti, all’apertura della successione, possono stravolgere il volere del disponente nell’ipotesi in cui quest’ultimo li abbia pretermessi oppure li abbia indicati nel testamento in una quota inferiore a quella spettante loro per legge: l’esito vittorioso dell’azione di riduzione da parte dei legittimari “scolora la volontà testamentaria sino alla misura necessaria a reintegrare quei diritti”234. Il testamento, tuttavia, garantisce al disponente un’autonomia maggiore rispetto al contratto, consentendogli di decidere la sorte dei propri beni per il tempo in cui non sarà più in vita senza dover condividere tale scelta con altri, senza dover tener conto dell’affidamento generato nei beneficiari, poiché la libertà testamentaria trova il suo unico limite nell’illiceità dei motivi. L’atto di ultima volontà, infatti, consente all’ereditando la conservazione della ricchezza e la possibilità di cambiare idea fino all’ultimo istante della vita. La scelta del legislatore di escludere il contratto dalla regolazione mortis causa del passaggio generazionale, scelta ricavabile dal combinato disposto degli artt. 457 e 458 c.c., infatti, non si giustifica tanto con l’inadeguatezza dello strumento contrattuale a far circolare i beni oggetto del patrimonio ereditario, bensì con il fatto che detto strumento non garantisce al disponente la possibilità di cambiare idea fino all’ultimo istante della propria vita235. 234 Così BONILINI, Le successioni mortis causa e la civilistica italiana. La successione testamentaria, in Nuova giur. civ. comm., 3/1997, 223 ss. 235 Sul contratto ereditario si veda BONILINI, Le successioni mortis caussa e la civilistica italiana. La successione testamentaria, in Nuova giur. civ. comm., 3/1997, 223 ss., il quale afferma “personalmente, sono contrario al contratto ereditario; esso denuncia lo spirito che apprezza tutto in danaro, che considera che tutto può essere oggetto di vendita; non mi pare dannosa scelta quella di lasciare un alone di mistero almeno esercita nei confronti della morte”. Per di più, la funzione svolta dall’atto questi tutti i poteri tipici del datore di ultima volontà non può essere in tutto e per tutto svolta dal contratto: si considerino le disposizioni di ultima volontà a contenuto non patrimoniale, come il riconoscimento del figlio naturale, che solo per via testamentaria possono essere predisposte. Sul versante patrimoniale, inoltre, se pur esistono valori che meglio si prestano ad una circolazione negoziata, e di fatto circolano già attraverso contratti, pur non aventi causa successoria, “è doveroso riconoscere al testamento assoluta vitalità ed attualità tutte le volte in cui la natura del bene non desti perplessità in ordine ad una loro destinazione successoria decisa unilateralmente dal disponente”236lavoro.
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Considerazioni conclusive. Le recenti riforme La negoziazione “smart” rappresenta lo stadio ultimo del processo di oggettivazione dell’accordo e di esaltazione dell’autonomia privata, quale strumento propulsivo dell’innovazione tecnologica97. Può discutersi se, alla luce di questa evoluzione, debba riconsiderarsi l’opinione di quanti, già da tempo, prospettavano di includere tra le fonti del diritto classiche – oramai incapaci di regolamentare la realtà globalizzata – lo stesso contratto98. Di certo la commistione – anch’essa già studiata – tra diritto e tecnica si presenta oggi in una nuova veste, richiedendo al giurista una riflessione consapevole. Lo studio circa l’attualità delle categorie tradizionali – nella presente sede condotto con specifico riferimento ai concetti di “accordo” e ai rimedi – appare essenziale, proprio al fine di orientare i giudizi di responsabilità, in un contesto che hanno interessato vede la materia successoria hanno sicuramente componente umana sovrastata da quella tecnologica. Si è già osservato che quest’ultima, da mero strumento, diviene in grado di limitare il godimento dei diritti, conformare la volontà contrattuale e condizionarne l’espressione. Del resto, gli interrogativi che emergono in ambito contrattuale (quelli relativi alla imputazione della volontà negoziale) non differiscono dai quesiti che si pongono in relazione ai criteri per il riparto della responsabilità civile derivante dall’uso di “rotto l’immobilismo del codice”232smart devices”. In entrambi i casi emerge una medesima opzione di fondo: se orientare il criterio di giudizio sull’uomo che, imponendosi all’attenzione degli studiosi di dirittoa monte, abbia progettato il prodotto (nel caso della R.C.99) o istruito il software (nel caso della negoziazione 97 XXXX, X.: “New economy e libere professioni: il diritto privato e l’attività forense nell’era della rivoluzione digitale”, Contr. impr., 2000, p. 1180: «Il contratto diviene così – nella sua figura regolamentare – non solo perché costellate il mezzo più diffuso per la realizzazione di dubbi esegeticicontatti e rapporti nella società dell’informazione, ma anche il mezzo per un’innegabile carica innovativa. Sicuramente gli strumenti utilizzati dal Legislatore non si sono dimostrati all’altezza delle aspettative: nel caso, ad esempio, del patto di famiglia, come si è avuto modo di sottolineare nel presente lavoro, fissare le regole inerenti il Legislatore introduce una disciplina assai lacunosa che pone diversi problemi interpretativi non solo per ciò che dice ma ancora di più per ciò che non dice. Ciò è dimostrato anche dal fatto che, pur essendo stato accolto con entusiasmo dai primi commentatori, ad oggi, pochissime, se non quasi nulle, sono state le applicazioni pratiche dell’istituto. È chiaro che, comunque sia, un passo avanti è stato fatto in quanto con l’istituto del patto di famiglia “l’autonomia privata guadagna uno spazio aggiuntivo”233nell’ambito del passaggio generazionale dell’azienda luogo e delle partecipazioni societarie. Accanto al testamento ed agli istituti contrattuali ad esso alternativi elaborati dalla dottrina si insedia il nuovo istituto il cui effetto più originale, nonché il più apprezzato, è quello di disattivare i meccanismi dell’azione di riduzione e della collazione che, insieme al divieto dei patti successori, costituiscono i principali limiti all’autonomia privata in ambito successorio. Del resto è questa la direzione di rinnovamento che è stata suggerita dalla dottrina maggioritaria ed anche dagli organismi comunitari. Anche i consociati chiedono maggiore autonomia nella sistemazione dei loro rapporti patrimoniali per il tempo in cui avranno cessato di vivere, autonomia che si esplica in una maggiore libertà di scelta dei modi e delle forme più appropriate a seconda della natura dei beni coinvolti e dell’identità dei successori predestinati. 232 XXXXXXXX, Regole successorie e continuità dell’impresa, op. cit., 157 ss. 233 BUCCELLI, op. ult. cit. In tal conclusione»; nello stesso senso anche XXXXXXXXXXXXX, Il contratto con causa successoria. Contributo allo studio F.: “Diritto ed economia alle soglie del patto di famiglianuovo millennio”, op. citivi, 2000, p. 189., 68. Il testamento, d’altro canto, pur essendo uno strumento di indubbia vitalità, sembrerebbe non essere più sufficiente ad assecondare le istanze di chi intenda pianificare la propria successione. L’insoddisfazione verso l’atto mortis causa per eccellenza, infatti, è rappresentata non tanto dal decadimento dell’istituto testamentario ma dalle tutele riconosciute ai più stretti congiunti del de cuius. Questi ultimi, infatti, all’apertura della successione, possono stravolgere il volere del disponente nell’ipotesi in cui quest’ultimo li abbia pretermessi oppure li abbia indicati nel testamento in una quota inferiore a quella spettante loro per legge: l’esito vittorioso dell’azione di riduzione da parte dei legittimari “scolora la volontà testamentaria sino alla misura necessaria a reintegrare quei diritti”234. Il testamento, tuttavia, garantisce al disponente un’autonomia maggiore rispetto al contratto, consentendogli di decidere la sorte dei propri beni per il tempo in cui non sarà più in vita senza dover condividere tale scelta con altri, senza dover tener conto dell’affidamento generato nei beneficiari, poiché la libertà testamentaria trova il suo unico limite nell’illiceità dei motivi. L’atto di ultima volontà, infatti, consente all’ereditando la conservazione della ricchezza e la possibilità di cambiare idea fino all’ultimo istante della vita. La scelta del legislatore di escludere il contratto dalla regolazione mortis causa del passaggio generazionale, scelta ricavabile dal combinato disposto degli artt. 457 e 458 c.c., infatti, non si giustifica tanto con l’inadeguatezza dello strumento contrattuale a far circolare i beni oggetto del patrimonio ereditario, bensì con il fatto che detto strumento non garantisce al disponente la possibilità di cambiare idea fino all’ultimo istante della propria vita235. 234 Così BONILINI, Le successioni mortis causa e la civilistica italiana. La successione testamentaria, in Nuova giur. civ. comm., 3/1997, 223 ss. 235 Sul contratto ereditario si veda BONILINI, Le successioni mortis caussa e la civilistica italiana. La successione testamentaria, in Nuova giur. civ. comm., 3/1997, 223 ss., il quale afferma “personalmente, sono contrario al contratto ereditario; esso denuncia lo spirito che apprezza tutto in danaro, che considera che tutto può essere oggetto di vendita; non mi pare dannosa scelta quella di lasciare un alone di mistero almeno nei confronti della morte”. Per di più, la funzione svolta dall’atto di ultima volontà non può essere in tutto e per tutto svolta dal contratto: si considerino le disposizioni di ultima volontà a contenuto non patrimoniale, come il riconoscimento del figlio naturale, che solo per via testamentaria possono essere predisposte. Sul versante patrimoniale, inoltre, se pur esistono valori che meglio si prestano ad una circolazione negoziata, e di fatto circolano già attraverso contratti, pur non aventi causa successoria, “è doveroso riconoscere al testamento assoluta vitalità ed attualità tutte le volte in cui la natura del bene non desti perplessità in ordine ad una loro destinazione successoria decisa unilateralmente dal disponente”236.
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Considerazioni conclusive. Le recenti riforme Il caso esaminato è estremamente attuale e si riproduce nella pratica delle operazioni di trasporto su strada, secondo diverse variazioni applicative. La sostanza dell’operazione (accertata sulla base di molti indizi materiali), essenzialmente incentrata su un vero e proprio rapporto di subordinazione tra la società francese ed i conducenti polacchi, permette, da un lato di superare il problema della legittimità o meno dei contratti di locazione dei veicoli (argomento utilizzato dalla difesa degli imputati) e dall’altro lato impedisce l’applicazione della Direttiva 96/71/CE ad una simile operazione, permettendo l’esclusiva ed integrale applicazione della legislazione sociale francese, nei confronti delle sole società francesi e non invece della filiale polacca. A ciò si deve aggiungere il conseguente recupero, nei confronti dei soggetti francesi, dei contributi previdenziali, ciò che hanno interessato rappresenta la materia successoria hanno sicuramente “rotto l’immobilismo parte più cospicua dell’interesse economico‐finanziario presente nel caso esaminato. Una società francese (stabilita in Francia) esercente attività di autotrasporto di merci stabilisce una propria filiale in Slovacchia. Il regolamento contrattuale prevede che i conducenti assunti dalla filiale slovacca effettuino cinque settimane di lavoro in territorio francese, intervallate da una settimana di riposo in Slovacchia. Tuttavia dai controlli è emerso che il periodo di lavoro andava dalla tredici alle quindici settimane ininterrotte, durante i quali i conducenti riposavano nelle cabine dei veicoli. Ciascun conducente slovacco aveva accesso alle strutture igienico‐sanitarie presenti nei locali della società madre (la società stabilita in Francia). In detti locali, ciascuno di essi aveva a disposizione un armadietto, recante il proprio nome. Accanto agli armadietti erano affisse disposizioni sulle modalità esecutive della prestazione dei conducenti, tanto in lingua francese quanto in lingua slovacca. Inoltre, i conducenti slovacchi ricevevano le direttive e gli ordini per mezzo dei sistemi informatici installati a bordo e via telefono cellulare. La società stabilita nel territorio francese affidava l’esecuzione dei contratti di trasporto da essa stipulati, alla filiale costituita in Slovacchia: ciò che si può definire subtrasporto o subvezione. La filiale slovacca effettuava esclusivamente le operazioni di autotrasporto affidatele dalla società madre francese: non esercitava un’autonoma attività di trasporto. La totalità della flotta di veicoli a disposizione della filiale slovacca era fornita dalla società francese. I contratti di subtrasporto (o subvezione) tra la società madre francese e la filiale slovacca sono apparentemente leciti. Tuttavia, anche se negli accordi sono formalmente definite le condizioni per l’esecuzione del codice”232subtrasporto, imponendosi all’attenzione degli studiosi emerge l’assenza di dirittouna loro finalità commerciale propria. Infatti, la filiale di diritto slovacco non organizza autonomamente le operazioni di trasporto affidatele, con l’autonomia che dovrebbe contraddistinguere un genuino imprenditore. In realtà. la filiale opera in base alle determinazioni della capogruppo francese, al totale servizio di quest’ultima. Emerge come l’unico scopo dei contratti di subtrasporto stipulati sia quello di realizzare una fornitura di mano d’opera a costi contenuti. In definitiva, i contratti in questione sono illeciti. Alla luce della totale subordinazione della società di diritto slovacco all’organizzazione del lavoro ed alla pianificazione delle attività come determinate dalla società di diritto francese, e considerato altresì che le modalità e gli orari prestazioni lavorative dei conducenti slovacchi, formalmente assunti dalla filiale slovacca, sono stabiliti e controllati dalla capogruppo francese, non solo perché costellate può che constatarsi un rapporto di dubbi esegeticilavoro subordinato dei conducenti slovacchi, ma anche per un’innegabile carica innovativa. Sicuramente gli strumenti utilizzati dal Legislatore non si sono dimostrati all’altezza delle aspettative: nel caso, ad esempio, del patto di famiglia, come si è avuto modo di sottolineare nel presente lavoro, il Legislatore introduce una disciplina assai lacunosa che pone diversi problemi interpretativi non solo per ciò che dice ma ancora di più per ciò che non dice. Ciò è dimostrato anche dal fatto direttamente con la società francese che, pur essendo stato accolto con entusiasmo dai primi commentatorinella sostanza, ad oggi, pochissime, se non quasi nulle, sono state le applicazioni pratiche dell’istituto. È chiaro che, comunque sia, un passo avanti è stato fatto in quanto con l’istituto del patto di famiglia “l’autonomia privata guadagna uno spazio aggiuntivo”233nell’ambito del passaggio generazionale dell’azienda e delle partecipazioni societarie. Accanto al testamento ed agli istituti contrattuali ad esso alternativi elaborati dalla dottrina si insedia il nuovo istituto il cui effetto più originale, nonché il più apprezzato, è quello di disattivare i meccanismi dell’azione di riduzione e della collazione che, insieme al divieto dei patti successori, costituiscono i principali limiti all’autonomia privata in ambito successorio. Del resto è questa la direzione di rinnovamento che è stata suggerita dalla dottrina maggioritaria ed anche dagli organismi comunitari. Anche i consociati chiedono maggiore autonomia nella sistemazione dei loro rapporti patrimoniali per il tempo in cui avranno cessato di vivere, autonomia che si esplica in una maggiore libertà di scelta dei modi e delle forme più appropriate a seconda della natura dei beni coinvolti e dell’identità dei successori predestinati. 232 XXXXXXXX, Regole successorie e continuità dell’impresa, op. cit., 157 ss. 233 BUCCELLI, op. ult. cit. In tal senso anche XXXXXX, Il contratto con causa successoria. Contributo allo studio del patto di famiglia, op. cit., 68. Il testamento, d’altro canto, pur essendo uno strumento di indubbia vitalità, sembrerebbe non essere più sufficiente ad assecondare le istanze di chi intenda pianificare la propria successione. L’insoddisfazione verso l’atto mortis causa per eccellenza, infatti, è rappresentata non tanto dal decadimento dell’istituto testamentario ma dalle tutele riconosciute ai più stretti congiunti del de cuius. Questi ultimi, infatti, all’apertura della successione, possono stravolgere il volere del disponente nell’ipotesi in cui quest’ultimo li abbia pretermessi oppure li abbia indicati nel testamento in una quota inferiore a quella spettante loro per legge: l’esito vittorioso dell’azione di riduzione da parte dei legittimari “scolora la volontà testamentaria sino alla misura necessaria a reintegrare quei diritti”234. Il testamento, tuttavia, garantisce al disponente un’autonomia maggiore rispetto al contratto, consentendogli di decidere la sorte dei propri beni per il tempo in cui non sarà più in vita senza dover condividere tale scelta con altri, senza dover tener conto dell’affidamento generato nei beneficiari, poiché la libertà testamentaria trova il suo unico limite nell’illiceità dei motivi. L’atto di ultima volontà, infatti, consente all’ereditando la conservazione della ricchezza e la possibilità di cambiare idea fino all’ultimo istante della vita. La scelta del legislatore di escludere il contratto dalla regolazione mortis causa del passaggio generazionale, scelta ricavabile dal combinato disposto degli artt. 457 e 458 c.c., infatti, non si giustifica tanto con l’inadeguatezza dello strumento contrattuale a far circolare i beni oggetto del patrimonio ereditario, bensì con il fatto che detto strumento non garantisce al disponente la possibilità di cambiare idea fino all’ultimo istante della propria vita235. 234 Così BONILINI, Le successioni mortis causa e la civilistica italiana. La successione testamentaria, in Nuova giur. civ. comm., 3/1997, 223 ss. 235 Sul contratto ereditario si veda BONILINI, Le successioni mortis caussa e la civilistica italiana. La successione testamentaria, in Nuova giur. civ. comm., 3/1997, 223 ss., il quale afferma “personalmente, sono contrario al contratto ereditario; esso denuncia lo spirito che apprezza tutto in danaro, che considera che tutto può essere oggetto di vendita; non mi pare dannosa scelta quella di lasciare un alone di mistero almeno esercita nei confronti della morte”. Per di più, la funzione svolta dall’atto questi tutti i poteri tipici del datore di ultima volontà non può essere in tutto e per tutto svolta dal contratto: si considerino le disposizioni di ultima volontà a contenuto non patrimoniale, come il riconoscimento del figlio naturale, che solo per via testamentaria possono essere predisposte. Sul versante patrimoniale, inoltre, se pur esistono valori che meglio si prestano ad una circolazione negoziata, e di fatto circolano già attraverso contratti, pur non aventi causa successoria, “è doveroso riconoscere al testamento assoluta vitalità ed attualità tutte le volte in cui la natura del bene non desti perplessità in ordine ad una loro destinazione successoria decisa unilateralmente dal disponente”236lavoro.
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Considerazioni conclusive. Le recenti riforme Xxxxxx chiudere con poche battute sul tema più generale, sfiorato in precedenza. Credo che hanno interessato oggi un problema centrale della nostra cultura giuridica sia la materia successoria hanno sicuramente “rotto l’immobilismo crisi del codice”232normativismo. Ho cercato di costruire il ragionamento, imponendosi all’attenzione degli studiosi sopra sommariamente svolto, leggendo la storia della cul- tura giuridica europea nell’ultimo secolo come la ripresa, in un quadro politico valutativo ben diverso da quello dei diritti premoderni, di una concezione normativistica del diritto, non solo perché costellate di dubbi esegetici, ma anche per un’innegabile carica innovativa. Sicuramente gli strumenti utilizzati dal Legislatore non si sono dimostrati all’altezza delle aspettative: nel caso, ad esempio, e considerando la conce- zione normativistica del patto di famiglia, come si è avuto modo di sottolineare nel presente lavoro, il Legislatore introduce una disciplina assai lacunosa che pone diversi problemi interpretativi non solo per ciò che dice ma ancora di più per ciò che non dice. Ciò è dimostrato anche dal fatto che, pur essendo stato accolto con entusiasmo dai primi commentatori, ad oggi, pochissime, se non quasi nulle, sono state le applicazioni pratiche dell’istituto. È chiaro che, comunque sia, un passo avanti è stato fatto in quanto con l’istituto del patto di famiglia “l’autonomia privata guadagna uno spazio aggiuntivo”233nell’ambito del passaggio generazionale dell’azienda e delle partecipazioni societarie. Accanto al testamento ed agli istituti contrattuali ad esso alternativi elaborati dalla dottrina si insedia il nuovo istituto il cui effetto più originale, nonché il più apprezzato, è quello di disattivare i meccanismi dell’azione di riduzione e della collazione che, insieme al divieto dei patti successori, costituiscono i principali limiti all’autonomia privata in ambito successorio. Del resto è questa la direzione di rinnovamento che è stata suggerita dalla dottrina maggioritaria ed anche dagli organismi comunitari. Anche i consociati chiedono maggiore autonomia nella sistemazione dei loro rapporti patrimoniali per il tempo in cui avranno cessato di vivere, autonomia che si esplica in una maggiore libertà di scelta dei modi e delle forme più appropriate a seconda della natura dei beni coinvolti e dell’identità dei successori predestinati. 232 XXXXXXXX, Regole successorie e continuità dell’impresa, op. cit., 157 ss. 233 BUCCELLI, op. ult. cit. In tal senso anche XXXXXX, Il contratto con causa successoria. Contributo allo studio del patto di famiglia, op. cit., 68. Il testamento, d’altro canto, pur essendo diritto uno strumento po- tente per realizzare un’evoluzione dei contenuti e un rafforzamento della tutela di indubbia vitalitàvalori fondamentali. Naturalmente questo significa anche accettare una concezione a gradi dell’ordinamento, sembrerebbe e significa accettare una concezione della norma giuridica co- me “periodo ipotetico” e non essere più sufficiente ad assecondare le istanze di chi intenda pianificare la propria successionecome mero comando. L’insoddisfazione verso l’atto mortis causa per eccellenza, infatti, è rappresentata non tanto dal decadimento dell’istituto testamentario ma dalle tutele riconosciute ai più stretti congiunti del de cuius. Questi ultimi, infatti, all’apertura della successione, possono stravolgere il volere del disponente nell’ipotesi in cui quest’ultimo li abbia pretermessi oppure li abbia indicati nel testamento in una quota inferiore a quella spettante loro per legge: l’esito vittorioso dell’azione di riduzione da parte dei legittimari “scolora la volontà testamentaria sino alla misura necessaria a reintegrare quei diritti”234. Il testamentoOggi, tuttavia, garantisce al disponente un’autonomia maggiore rispetto al contrattoquesta concezione è in crisi, consentendogli a fa- vore di decidere un’altra concezione che possiamo chiamare decisionistica (o giusrealistica, in senso lato, anche se pochi giuristi, in Italia, si professano apertamente giusrealisti). È una concezione che possiamo anche definire “post-moderna” (come la sorte dei propri beni per chiama Xxxxxxx Xxxxx, che ha mostrato una certa simpatia, in un re- cente scritto, verso di essa). È un atteggiamento diffuso, che ha influenzato anche il tempo in cui non sarà più in vita senza dover condividere tale scelta con altrirecente contributo di Xxxxxxxx Xxxx, senza dover tener conto dell’affidamento generato nei beneficiari, poiché la libertà testamentaria trova il suo unico limite nell’illiceità dei motivi. L’atto che parla di ultima volontà, infatti, consente all’ereditando la conservazione crisi della ricchezza e la possibilità di cambiare idea fino all’ultimo istante della vita. La scelta del legislatore di escludere il contratto dalla regolazione mortis causa del passaggio generazionale, scelta ricavabile dal combinato disposto degli artt. 457 e 458 c.c., infattifattispecie (come dato storico, non si giustifica tanto con l’inadeguatezza dello strumento contrattuale a far circolare co- me programma o auspicio dell’autore); un saggio brillante, e che dà da pensare, come tutti i beni oggetto del patrimonio ereditariosaggi di Xxxxxxxx Xxxx, bensì con il fatto ma che detto strumento io leggerei non garantisce al disponente nel senso che oggi sia in crisi la possibilità di cambiare idea fino all’ultimo istante fattispecie come categoria concet- tuale – perché, sul piano della propria vita235. 234 Così BONILINI, Le successioni mortis causa e la civilistica italiana. La successione testamentaria, in Nuova giur. civ. comm., 3/1997, 223 ss. 235 Sul contratto ereditario si veda BONILINI, Le successioni mortis caussa e la civilistica italiana. La successione testamentaria, in Nuova giur. civ. comm., 3/1997, 223 ss., il quale afferma “personalmente, sono contrario al contratto ereditario; esso denuncia lo spirito che apprezza tutto in danaro, che considera che tutto può essere oggetto di vendita; non mi pare dannosa scelta quella di lasciare un alone di mistero almeno nei confronti della morte”. Per di piùteoria generale for- male, la funzione svolta dall’atto di ultima volontà fattispecie non può essere in tutto crisi, se conti- nuiamo a concepire la norma giuridica come perio- do ipotetico - ma nel senso che oggi sia in crisi pro- prio il normativismo come teoria generale del dirit- to. zioni di principio e, con esse, ai diritti fondamentali; nonché sulla gerarchia e sul bilanciamento fra prin- cipi). Tutto ciò come premessa per tutto svolta dal contratto: l’utilizzazione razionalmente controllabile degli stessi nell’interpretazione e applicazione delle norme di rango inferiore. Ciò si considerino le disposizioni può fare senza abbandonare quell’impostazione normativistica che, ai fini di ultima volontà un controllo razionale e di una confrontabilità delle de- cisioni, costituisce tuttora – a contenuto mio avviso – una frontiera di civiltà, alla quale credo che non patrimoniale, come do- vremmo rinunciare. | 219 Q u a l c h e r i f l e s s i o n e s u l l ’ e f f i c a c i a i n d i r i t t o p r i v a t o d e l l e n o r m e s u i d i r i t t i f o n d a - m e n t a l i d e i T r a t t a t i e u r o p e i ( M a r i o L i b e r t i n i ) Oggi il riconoscimento del figlio naturaledilagare, che solo Xxxx vede con preoccupazio- ne, di valori e principi nel ragionamento dei giuristi, può portare a una esaltazione del decisionismo, co- me sicuramente è nelle possibilità reali (che Xxxx non vede certo adesivamente, anche se non si esprime a fondo, purtroppo, nel pensare una pars construens). Decisionismo che, in una versione estrema, può portare all’affermazione di un modello di giustizia del caso concreto, ma può anche sfociare in una vi- sione del diritto in cui l’impostazione normativa non è del tutto abbandonata, ma è incentrata sull’uso giurisprudenziale, anziché sul primato della legge5. Personalmente ritengo, invece, che l’affermazione di valori e principi nei ragionamenti dei giuristi possa costituire anche la base per via testamentaria possono essere predisposte. Sul versante patrimonialeun percorso diverso, inoltredi razionalizzazione del diritto contemporaneo sul piano di un normativismo avan- zato, se pur esistono valori che meglio si prestano ad una circolazione negoziatacontinua a riconoscere il primato della legge, ma inquadra la fonte legislativa, e la sua in- terpretazione, nella rete di fatto circolano già attraverso contrattiprincipi ricavabili dal si- stema costituzionale multi-livello. In questo quadro, pur non aventi causa successoria, “è doveroso riconoscere al testamento assoluta vitalità ed attualità tutte le volte in cui la natura diviene componente essenziale del bene non desti perplessità in ordine ad metodo giuridico una loro destinazione successoria decisa unilateralmente dal disponente”236.discussione razionale sui principi (i.e. sul contenuto da attribuire alle disposi-
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