Common use of XXXXX, Clause in Contracts

XXXXX,. Xx determinazione, cit., 851. Si vedano, più approfonditamente: X. XXXXXXXXXX, Arbitri e arbitratori, cit., 57 ss.; X. XXXXXXXXX, Arbitri ed arbitratori, cit., 205 ss. Di contrario avviso, invece X. XXXXXXXX, Gli arbitrati liberi, in Riv. dir. comm., 1922, I, 649 ss., il quale distingue l‟arbitro dall‟arbitratore perché il primo pone in essere un giudizio di diritto mentre il secondo di equità; nonchè X. XXXXXXX, Gli ar- bitratori, cit., 102 ss. secondo il quale gli arbitri intervengono nell‟ambito del diritto pubblico, mentre gli arbitratori in quello di diritto privato. 42 A. CATRICALÀ, voce Arbitraggio, cit., 2. 43 Così già X. XXXXXXXXXXX, Gli arbitrati, Milano, 1937, 251 ss.; X. XXXXXXXXX, Istituzioni di dir. proc. civ., I, Napoli, 1950, 70; X. XXXXXXXXX-X. XXXXXXXX, Diritto dell‟arbitrato, Napoli, 1994, 9; P. DI PA- CE, Il negozio per relationem, cit., 51: quest‟ultimo, in particolare, nega autonomia all‟istituto dell‟arbitrato irrituale dicendo che esso, a seconda della controversia su cui verte, rientrerà nell‟arbitraggio ovvero nell‟arbitrato rituale, non essendovi fra i due istituti ricostruzioni intermedie. ti demandano agli arbitri il compito di risolvere contrasti sorti con riguardo ad un rapporto già costituito in tutti i suoi elementi. Proprio quest‟ultimo orientamento è quello attualmen- te abbracciato in via maggioritaria da dottrina e giurisprudenza44. In realtà le distinzioni maggiormente caratterizzanti fra arbitraggio ed arbitrato si rinvengono soprattutto guardando ai loro risvolti pratici: nei motivi per i quali è impugna- bile la determinazione del terzo (in un numero maggiore di casi nell‟arbitrato rispetto all‟arbitraggio, che incontra invece i soli limiti della manifesta iniquità, erroneità e malafe- de come risulta dal dettato legislativo); nella forma dell‟atto (necessariamente scritta nell‟arbitrato ai sensi degli artt. 807 e 808 cod. proc. civ., vincolata invece alla forma del contratto cui è collegato, nell‟arbitraggio)45. La linea di confine fra arbitraggio ed arbitrato è stata tuttavia messa in dubbio con il riconoscimento dell‟autonoma rilevanza della figura dell‟arbitrato irrituale46. Quest‟ultimo, infatti, pur consistendo in uno strumento di risoluzione delle controversie alternativo alla 44 Per tutti, si leggano: A. CATRICALÀ, voce Arbitraggio, cit., 1; X. XXXXXXX-X. XXXXXXXX, I con- tratti in generale, cit., 149; X. XXXXXXX, Trattato di diritto civile, cit., 237. Quanto alle pronunce giurisprudenziali si vedano in particolare: Cass., 19 aprile 2002, n. 5707, in Giust. civ., 2003, I, 2936, secondo la quale «La diversità di funzione tra le due categorie di istituti – composi- zione di una lite in questi ultimi ed integrazione del contenuto negoziale nell'arbitraggio – si riflette anche sugli elementi caratteristici di ciascuno di essi, nonché sui loro presupposti: in quanto se la funzione dell'arbi- trato (rituale o libero) è la definizione di una lite, suo presupposto fondamentale è necessariamente l'esistenza di un rapporto controverso, che induce la volontà delle parti al conferimento di poteri decisori agli arbitri per la risoluzione delle divergenze insorte intorno ad esso. Mentre siffatto conferimento difetta del tutto nell'arbi- traggio, poiché con il mandato i contraenti attribuiscono al terzo un semplice potere integrativo del contenuto del contratto, dato che non vi è alcuna controversia su cui si debba esercitare l'opera conciliativa-decisionale del terzo; ed il rapporto su cui interviene la determinazione dell'arbitratore ha un valore del tutto autonomo e non condizionato dalla preesistenza di precedenti rapporti fondamentali; Xxxx., sez. lav., 16 maggio 1998, n. 4931, cit., la quale afferma che nella fattispecie portata alla sua attenzione ricorre «non un'ipotesi arbitrato – non avendo inteso le parti deferire alla Commissione la composizione di una lite – ma piuttosto un'ipotesi di arbitraggio, con il quale le parti demandano ad un terzo (la Commissione paritetica) di determinare, in loro sostituzione, uno o più contenuti del contratto già concluso. In tal modo l'arbitratore, con la propria autonoma attività dispositiva, concorre all'integrazione ed alla formazione del contenuto del contratto»; nonché Cass., 28 luglio 1995, n. 8289, cit., laddove afferma che «La differenza tra arbitrato ed arbitraggio deve essere ri- cercata nel contenuto del mandato conferito dalla parti al terzo (o ai terzi) perché mentre nell'arbitrato le parti demandano agli arbitri il compito di risolvere divergenze insorte in ordine ad un rapporto precostituito in tutti i suoi elementi, mediante l'esplicazione di una funzione essenzialmente giurisdizionale, in guisa che la deci- sione sia destinata ad acquistare efficacia simile a quella della sentenza del giudice (arbitrato rituale) oppure mediante la formazione, sul piano negoziale, di un nuovo rapporto riconducibile esclusivamente alla volontà dei mandanti, senza l'osservanza, per la natura non contenziosa dell'incarico, delle norme contenute negli art. 806 e ss. c.p.c. (arbitrato cosiddetto libero), nell'arbitraggio, invece, le parti demandano ad altro soggetto la determinazione, in loro vece, del contenuto di un contratto già concluso ma non completo, in modo che l'arbi- tratore, con la propria attività volitiva ed autonoma, concorre alla integrazione ed alla formazione del conte- nuto del negozio stesso». Si leggano inoltre: Cass., sez. un., 25 giugno 2002, 9289, in Giust. civ., 2003, I, 717; Cass., 19 aprile 2002, n. 5707, in Giust. civ., 2003, I, 2936; Cass., 28 luglio 1995, n. 8286, in Mass.

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Samples: Dottorato Di Ricerca

XXXXX,. Xx determinazioneIl diritto della distribuzione commerciale, cit., 851p.65. Si vedanoaffida ad operatori commerciali autonomi, più approfonditamente: attraverso una serie di accordi con grossisti e dettaglianti.158 La dottrina ha però messo in luce una terza via percorribile per l’imprenditore/produttore, detta “distribuzione coordinata”, attraverso la quale è possibile armonizzare produzione e distribuzione mediante contratti tra operatori indipendenti.159 Il produttore, attraverso la distribuzione coordinata, «si garantisce uno sbocco fisso per la sua produzione ed una migliore programmazione delle vendite e delle altre attività di marketing»160. Tutti questi elementi hanno portato la dottrina ad elaborare la categoria dei contratti di distribuzione, all’interno dei quali intermediari professionisti collaborano stabilmente e continuativamente con l’impresa produttrice, creando un «anello di congiunzione» tra mercato e consumatori.161 I contratti di distribuzione sono definiti da Pardolesi come contratti quadro, in forza dei quali un operatore economico, in cambio di un guadagno, si obbliga a promuovere la vendita dei prodotti fornitigli dall’impresa produttrice; a questi contratti seguono poi i singoli contratti di acquisto dei prodotti da rivendere.162 In tal modo il produttore addossa i rischi e gli oneri connessi alla vendita al distributore, il quale riceve, come contropartita, una particolare posizione di privilegio nel mercato dei distributori.163 158 X. XXXXXXXXXXXXXXXXX (a cura di), Arbitri e arbitratoriI contratti di distribuzione, Milano, 2006, p. 8. 159 X. XXXXXXXXX, Contratti di distribuzione, cit., 57 ss.pp. 1-2, secondo cui «è possibile concepire tutta una sfumata gamma di pattuizioni che permettono, in qualche misura, di coordinare la fase produttiva con quella distributiva, senza per questo elidere l’autonomia dei partners; si arriva cioè a definire, in negativo un’area contrassegnata dall’integrazione verticale convenzionale». 160 X. XXXXXXX, voce Commercio (Disciplina privatistica), in Enc. Giur. Treccani, Roma, 1988, p. 160. 161 X. XXXXX, I contratti di distribuzione, in GSDCC, 1998, p. 233. 162 X. XXXXXXXXX, Arbitri ed arbitratoriContratti di distribuzione, cit., 205 pp. 297 ss. Di contrario avviso, invece 163 X. XXXXXXXX, Gli arbitrati liberi, in Riv. dir. comm., 1922, I, 649 ss., il quale distingue l‟arbitro dall‟arbitratore perché il primo pone in essere un giudizio di diritto mentre il secondo di equità; nonchè X. XXXXXXX, Gli ar- bitratoriI contratti tipici e atipici, cit., 102 ssp. 258. secondo Infatti il grado di integrazione può essere rafforzato dalla previsione contrattuale di una clausola di esclusiva per la distribuzione dei beni in una ristretta area territoriale, attraverso la quale il fornitore si obbliga a servire esclusivamente il distributore, al quale può però essere inibito il commercio di prodotti concorrenti.164 Tutti i contratti di distribuzione commerciale rispondono all’esigenza delle imprese produttrici di poter penetrare nella sfera decisionale dei propri distributori, e presentano elementi comuni e ricorrenti da ricercare nell’autonomia giuridica dei soggetti coinvolti, seppur economicamente dipendenti, nell’obbligo del distributore di promuovere la vendita e nella stabilità dei rapporti nel tempo.165 La funzionalità della categoria dei contratti di distribuzione è ostacolata dalla mancanza di una espressa regolamentazione legislativa in materia. Tale lacuna viene colmata dall’attività suppletiva della giurisprudenza,166 che estende ai contratti di distribuzione l’applicazione delle norme dei contratti tipici cui gli arbitri intervengono nell‟ambito del diritto pubblicostessi sono assimilabili, mentre gli arbitratori in quello particolar modo le norme relative al contratto di diritto privatosomministrazione.167 Da questi contratti devono distinguersi i contratti “in materia di distribuzione”, quali l’agenzia e la commissione, che pur avendo ad oggetto la commercializzazione dei beni, non prevedono una cooperazione tra imprenditori che si assumono rischi propri, ma solo un rapporto di dipendenza dal produttore, nel quale l’agente non si assume alcun rischio economico.168 164 Clausola di esclusiva approfondita nel capitolo II. 42 A. CATRICALÀ165 X. XXXXXXXXX, voce ArbitraggioContratti di distribuzione, cit., p. 2. 43 Così già 166 Trib. Palermo, 3 giugno 2010. X. XXXXXXXXXXX, Gli arbitratiI contratti di distribuzione, in I grandi orientamenti della giurisprudenza civile e commerciale, Padova, 1989, p. 5. 167 Rispetto alla durata e cessazione del rapporto nel contratto di distribuzione 168 X. XXXXXXX, Anomalie e tutela nei rapporti di distribuzione tra imprese, Milano, 19371983, 251 ssp. 89.; X. XXXXXXXXX, Istituzioni di dir. proc. civ., I, Napoli, 1950, 70; X. XXXXXXXXX-X. XXXXXXXX, Diritto dell‟arbitrato, Napoli, 1994, 9; P. DI PA- CE, Il negozio per relationem, cit., 51: quest‟ultimo, in particolare, nega autonomia all‟istituto dell‟arbitrato irrituale dicendo che esso, a seconda della controversia su cui verte, rientrerà nell‟arbitraggio ovvero nell‟arbitrato rituale, non essendovi fra i due istituti ricostruzioni intermedie. ti demandano agli arbitri il compito di risolvere contrasti sorti con riguardo ad un rapporto già costituito in tutti i suoi elementi. Proprio quest‟ultimo orientamento è quello attualmen- te abbracciato in via maggioritaria da dottrina e giurisprudenza44. In realtà le distinzioni maggiormente caratterizzanti fra arbitraggio ed arbitrato si rinvengono soprattutto guardando ai loro risvolti pratici: nei motivi per i quali è impugna- bile la determinazione del terzo (in un numero maggiore di casi nell‟arbitrato rispetto all‟arbitraggio, che incontra invece i soli limiti della manifesta iniquità, erroneità e malafe- de come risulta dal dettato legislativo); nella forma dell‟atto (necessariamente scritta nell‟arbitrato ai sensi degli artt. 807 e 808 cod. proc. civ., vincolata invece alla forma del contratto cui è collegato, nell‟arbitraggio)45. La linea di confine fra arbitraggio ed arbitrato è stata tuttavia messa in dubbio con il riconoscimento dell‟autonoma rilevanza della figura dell‟arbitrato irrituale46. Quest‟ultimo, infatti, pur consistendo in uno strumento di risoluzione delle controversie alternativo alla 44 Per tutti, si leggano: A. CATRICALÀ, voce Arbitraggio, cit., 1; X. XXXXXXX-X. XXXXXXXX, I con- tratti in generale, cit., 149; X. XXXXXXX, Trattato di diritto civile, cit., 237. Quanto alle pronunce giurisprudenziali si vedano in particolare: Cass., 19 aprile 2002, n. 5707, in Giust. civ., 2003, I, 2936, secondo la quale «La diversità di funzione tra le due categorie di istituti – composi- zione di una lite in questi ultimi ed integrazione del contenuto negoziale nell'arbitraggio – si riflette anche sugli elementi caratteristici di ciascuno di essi, nonché sui loro presupposti: in quanto se la funzione dell'arbi- trato (rituale o libero) è la definizione di una lite, suo presupposto fondamentale è necessariamente l'esistenza di un rapporto controverso, che induce la volontà delle parti al conferimento di poteri decisori agli arbitri per la risoluzione delle divergenze insorte intorno ad esso. Mentre siffatto conferimento difetta del tutto nell'arbi- traggio, poiché con il mandato i contraenti attribuiscono al terzo un semplice potere integrativo del contenuto del contratto, dato che non vi è alcuna controversia su cui si debba esercitare l'opera conciliativa-decisionale del terzo; ed il rapporto su cui interviene la determinazione dell'arbitratore ha un valore del tutto autonomo e non condizionato dalla preesistenza di precedenti rapporti fondamentali; Xxxx., sez. lav., 16 maggio 1998, n. 4931, cit., la quale afferma che nella fattispecie portata alla sua attenzione ricorre «non un'ipotesi arbitrato – non avendo inteso le parti deferire alla Commissione la composizione di una lite – ma piuttosto un'ipotesi di arbitraggio, con il quale le parti demandano ad un terzo (la Commissione paritetica) di determinare, in loro sostituzione, uno o più contenuti del contratto già concluso. In tal modo l'arbitratore, con la propria autonoma attività dispositiva, concorre all'integrazione ed alla formazione del contenuto del contratto»; nonché Cass., 28 luglio 1995, n. 8289, cit., laddove afferma che «La differenza tra arbitrato ed arbitraggio deve essere ri- cercata nel contenuto del mandato conferito dalla parti al terzo (o ai terzi) perché mentre nell'arbitrato le parti demandano agli arbitri il compito di risolvere divergenze insorte in ordine ad un rapporto precostituito in tutti i suoi elementi, mediante l'esplicazione di una funzione essenzialmente giurisdizionale, in guisa che la deci- sione sia destinata ad acquistare efficacia simile a quella della sentenza del giudice (arbitrato rituale) oppure mediante la formazione, sul piano negoziale, di un nuovo rapporto riconducibile esclusivamente alla volontà dei mandanti, senza l'osservanza, per la natura non contenziosa dell'incarico, delle norme contenute negli art. 806 e ss. c.p.c. (arbitrato cosiddetto libero), nell'arbitraggio, invece, le parti demandano ad altro soggetto la determinazione, in loro vece, del contenuto di un contratto già concluso ma non completo, in modo che l'arbi- tratore, con la propria attività volitiva ed autonoma, concorre alla integrazione ed alla formazione del conte- nuto del negozio stesso». Si leggano inoltre: Cass., sez. un., 25 giugno 2002, 9289, in Giust. civ., 2003, I, 717; Cass., 19 aprile 2002, n. 5707, in Giust. civ., 2003, I, 2936; Cass., 28 luglio 1995, n. 8286, in Mass.

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Samples: Contratti D’impresa

XXXXX,. Xx determinazione, Art. 182-bis sec. ed cit., 851. Si vedanop. 2133; X. XXXXXX, più approfonditamente: X. XXXXXXXXXX, Arbitri e arbitratori, Gli accordi di ristrutturazione cit., 57 p. 545, la quale, pur aderendo alla tesi della natura contrattuale degli accordi ritiene ugual- mente possibile che i creditori aderenti siano suddivisi in classi; X. XXXXXXXXX, Effetti erga omnes cit., p. 14. 3 Cfr. X. XXXXX, Art. 182-bis sec. ed. cit., p. 2133, il quale, da un lato, osserva come i cre- ditori estranei «non sono estranei all’accordo se non quanto alla sua formazione iniziale e quale requisito di accesso alla procedura, non avendo espresso adesione preventiva, mentre la possibi- creditorio ed imporrebbe, proprio in considerazione della rinunzia al metodo as- sembleare, che la maggioranza per l’approvazione del piano sia più elevata di quella prescritta dalla disciplina generale dettata per il concordato. Ciò posto, la tesi per la quale gli effetti dell’accordo sarebbero estendibili ai creditori non aderenti finisce per consentire che il debitore consideri il singolo creditore come inserito in una specifica classe nel momento in cui predispone il piano, salvo poi considerarlo nella sua singolarità – separatamente cioè dalla classe cui appartiene – nel momento in cui ne viene raccolto il consenso. In altri termini, se si parte dall’assunto che si sia in presenza di un concor- dato preventivo e che, pertanto, il creditore che aderisce, ove sia previsto un trat- tamento differenziato per gli aderenti all’accordo, è, pur sempre, inserito in una classe, allora si dovrebbe anche ritenere applicabile la regola prevista dall’art. 177, comma 1, l.f.1, per la quale «ove siano previste diverse classi di creditori, il concordato è approvato se tale maggioranza si verifica inoltre nel maggior nu- mero di classi2». Di tale regola, tuttavia non v’è traccia nell’art. 182-bis l.f.3, il quale, invece, si accontenta della semplice circostanza che all’accordo abbiano aderito tanti creditori che rappresentino almeno il 60% dei crediti4. lità dell’opposizione o del suo rigetto trasformerebbero anche il difetto di consenso espresso in partecipazione adesiva o comunque nell’esaurimento delle facoltà di manifestazione del proprio intento negoziale» e dall’altro, afferma come la «vestizione processuale dell’accordo di ristruttu- razione dunque opera, come per il concordato preventivo ordinario, la trasformazione della vo- lontà della maggioranza (più alta di quella dell’art. 177 l.f.) in un vincolo anche sulla sorte dei creditori che non hanno preso parte formale alla sua confezione privatistica»; X. XXXXXXX, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti cit., p. 689 e ss.; X. XXXXXXXXX, Arbitri ed arbitratori, Effetti erga omnes cit., 205 ss. Di contrario avviso, invece X. XXXXXXXX, Gli arbitrati liberi, in Riv. dir. comm., 1922, I, 649 ss., il quale distingue l‟arbitro dall‟arbitratore perché il primo pone in essere un giudizio di diritto mentre il secondo di equità; nonchè X. XXXXXXX, Gli ar- bitratori, cit., 102 ss. secondo il quale gli arbitri intervengono nell‟ambito del diritto pubblico, mentre gli arbitratori in quello di diritto privato. 42 A. CATRICALÀ, voce Arbitraggio, cit., 2. 43 Così già X. XXXXXXXXXXX, Gli arbitrati, Milano, 1937, 251 p. 9 e ss.; X. XXXXXXXXXXXXXX, Istituzioni Sugli accordi di dir. proc. civ., I, Napoli, 1950, 70; X. XXXXXXXXX-X. XXXXXXXX, Diritto dell‟arbitrato, Napoli, 1994, 9; P. DI PA- CE, Il negozio per relationem, ristrutturazione cit., 51: quest‟ultimo, in particolare, nega autonomia all‟istituto dell‟arbitrato irrituale dicendo p. 872. 1 Affermazione che esso, a seconda della controversia su cui verte, rientrerà nell‟arbitraggio ovvero nell‟arbitrato rituale, non essendovi fra i due istituti ricostruzioni intermedie. ti demandano agli arbitri il compito di risolvere contrasti sorti con riguardo ad un rapporto già costituito in tutti i suoi elementi. Proprio quest‟ultimo orientamento è quello attualmen- te abbracciato in via maggioritaria da dottrina e giurisprudenza44. In realtà le distinzioni maggiormente caratterizzanti fra arbitraggio ed arbitrato si rinvengono soprattutto guardando ai loro risvolti pratici: nei motivi per i quali è impugna- bile la determinazione del terzo (in un numero maggiore di casi nell‟arbitrato rispetto all‟arbitraggio, che incontra invece i soli limiti della manifesta iniquità, erroneità e malafe- de come risulta dal dettato legislativo); nella forma dell‟atto (necessariamente scritta nell‟arbitrato ai sensi degli artt. 807 e 808 cod. proc. civ., vincolata invece alla forma del contratto cui è collegato, nell‟arbitraggio)45. La linea di confine fra arbitraggio ed arbitrato è stata tuttavia messa sembra possibile revocare in dubbio con il riconoscimento dell‟autonoma rilevanza della figura dell‟arbitrato irrituale46se si parte dal presupposto che gli accordi siano specie del genere concordato preventivo. 2 In questo senso cfr. Quest‟ultimoX. XXXXXX, infatti, pur consistendo in uno strumento Gli accordi di risoluzione delle controversie alternativo alla 44 Per tutti, si leggano: A. CATRICALÀ, voce Arbitraggio, ristrutturazione dei debiti cit., 1; X. XXXXXXX-X. XXXXXXXXp. 25, I con- tratti in generale, cit., 149; X. XXXXXXX, Trattato di diritto civile, cit., 237. Quanto alle pronunce giurisprudenziali si vedano in particolare: Cass., 19 aprile 2002, n. 5707, in Giust. civ., 2003, I, 2936, secondo il qua- le osserva come contro l’idea per la quale gli accordi costituiscono una specie di concordato la- vori la considerazione che «La diversità manca nella legge qualsiasi elemento che possa far ritenere che i creditori siano considerati come collettività, prerequisito essenziale per potersi immaginare l’applicazione della regola di funzione tra le due categorie maggioranza». L’A., peraltro, osserva come la possibilità di istituti – composi- zione di una lite in questi ultimi ed integrazione del contenuto negoziale nell'arbitraggio – oppor- si riflette anche sugli elementi caratteristici di ciascuno di essi, nonché sui loro presupposti: in quanto se la funzione dell'arbi- trato (rituale o libero) è la definizione di una lite, suo presupposto fondamentale è necessariamente l'esistenza di un rapporto controverso, che induce all’omologazione non valga ad imputare la volontà delle parti al conferimento di poteri decisori agli arbitri per la risoluzione delle divergenze insorte intorno ad esso. Mentre siffatto conferimento difetta del tutto nell'arbi- traggio, poiché con il mandato i contraenti attribuiscono al terzo un semplice potere integrativo del contenuto del contratto, dato che non vi è alcuna controversia su cui si debba esercitare l'opera conciliativa-decisionale del terzo; ed il rapporto su cui interviene la determinazione dell'arbitratore ha un valore del tutto autonomo e non condizionato dalla preesistenza di precedenti rapporti fondamentali; Xxxxaltrui ai creditori estranei all’accordo., sez. lav., 16 maggio 1998, n. 4931, cit., la quale afferma che nella fattispecie portata alla sua attenzione ricorre «non un'ipotesi arbitrato – non avendo inteso le parti deferire alla Commissione la composizione di una lite – ma piuttosto un'ipotesi di arbitraggio, con il quale le parti demandano ad un terzo (la Commissione paritetica) di determinare, in loro sostituzione, uno o più contenuti del contratto già concluso. In tal modo l'arbitratore, con la propria autonoma attività dispositiva, concorre all'integrazione ed alla formazione del contenuto del contratto»; nonché Cass., 28 luglio 1995, n. 8289, cit., laddove afferma che «La differenza tra arbitrato ed arbitraggio deve essere ri- cercata nel contenuto del mandato conferito dalla parti al terzo (o ai terzi) perché mentre nell'arbitrato le parti demandano agli arbitri il compito di risolvere divergenze insorte in ordine ad un rapporto precostituito in tutti i suoi elementi, mediante l'esplicazione di una funzione essenzialmente giurisdizionale, in guisa che la deci- sione sia destinata ad acquistare efficacia simile a quella della sentenza del giudice (arbitrato rituale) oppure mediante la formazione, sul piano negoziale, di un nuovo rapporto riconducibile esclusivamente alla volontà dei mandanti, senza l'osservanza, per la natura non contenziosa dell'incarico, delle norme contenute negli art. 806 e ss. c.p.c. (arbitrato cosiddetto libero), nell'arbitraggio, invece, le parti demandano ad altro soggetto la determinazione, in loro vece, del contenuto di un contratto già concluso ma non completo, in modo che l'arbi- tratore, con la propria attività volitiva ed autonoma, concorre alla integrazione ed alla formazione del conte- nuto del negozio stesso». Si leggano inoltre: Cass., sez. un., 25 giugno 2002, 9289, in Giust. civ., 2003, I, 717; Cass., 19 aprile 2002, n. 5707, in Giust. civ., 2003, I, 2936; Cass., 28 luglio 1995, n. 8286, in Mass.

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Samples: Accordi Di Ristrutturazione

XXXXX,. Xx determinazione, cit., 851. Si vedano, più approfonditamente: X. XXXXXXXXXX, Arbitri e arbitratori, cit., 57 ss.; X. XXXXXXXXX, Arbitri ed arbitratori, cit., 205 ss. Di contrario avviso, invece X. XXXXXXXX, Gli arbitrati libericontratto, in Riv. dir. comm., 1922, I, 649 ss., il quale distingue l‟arbitro dall‟arbitratore perché il primo pone in essere un giudizio di diritto mentre il secondo di equità; nonchè X. XXXXXXX, Gli ar- bitratori, cit., 102 ss. secondo il quale gli arbitri intervengono nell‟ambito del diritto pubblico, mentre gli arbitratori in quello di diritto privato. 42 A. CATRICALÀ, voce Arbitraggio, cit., 2. 43 Così già X. XXXXXXXXXXX, Gli arbitrati, Milano, 1937, 251 ss.; X. XXXXXXXXX, Istituzioni di dir. proc. civ., I, Napoli, 1950, 70; X. XXXXXXXXX-X. XXXXXXXX, Diritto dell‟arbitrato, Napoli, 1994, 9; P. DI PA- CE, Il negozio per relationem, cit., 51: quest‟ultimo, in particolare, nega autonomia all‟istituto dell‟arbitrato irrituale dicendo che esso, Iudica e Xxxxx (a seconda della controversia su cui verte, rientrerà nell‟arbitraggio ovvero nell‟arbitrato rituale, non essendovi fra i due istituti ricostruzioni intermedie. ti demandano agli arbitri il compito di risolvere contrasti sorti con riguardo ad un rapporto già costituito in tutti i suoi elementi. Proprio quest‟ultimo orientamento è quello attualmen- te abbracciato in via maggioritaria da dottrina e giurisprudenza44. In realtà le distinzioni maggiormente caratterizzanti fra arbitraggio ed arbitrato si rinvengono soprattutto guardando ai loro risvolti pratici: nei motivi per i quali è impugna- bile la determinazione del terzo (in un numero maggiore di casi nell‟arbitrato rispetto all‟arbitraggio, che incontra invece i soli limiti della manifesta iniquità, erroneità e malafe- de come risulta dal dettato legislativocura di); nella forma dell‟atto (necessariamente scritta nell‟arbitrato ai sensi degli artt. 807 e 808 cod. proc. civ., vincolata invece alla forma del contratto cui è collegato, nell‟arbitraggio)45. La linea di confine fra arbitraggio ed arbitrato è stata tuttavia messa in dubbio con il riconoscimento dell‟autonoma rilevanza della figura dell‟arbitrato irrituale46. Quest‟ultimo, infatti, pur consistendo in uno strumento di risoluzione delle controversie alternativo alla 44 Per tutti, si leggano: A. CATRICALÀ, voce Arbitraggio, cit., 1; X. XXXXXXX-X. XXXXXXXX, I con- tratti in generale, cit., 149; X. XXXXXXX, Trattato di diritto civileprivato, 2001, 321 32 Cfr. XXXXXXXXXXX, nota cit., 237535, che sostiene appunto che la clausola ha la funzione di vincolare il socio minoritario al successivo contratto con il terzo alle condizioni contrattate dal socio di maggioranza. Quanto Infatti, proprio perché egli ha acquistato il diritto di co-vendere è da escludere che egli sia obbligato nei confronti La clausola statutaria (art.11.4) stabilisce che il socio di maggioranza ha il diritto di “trascinare” il socio di minoranza nella vendita delle loro partecipazioni azionarie: ciò comporta che il “trascinatore” non solo può obbligare il socio di minoranza a vendere ma può anche decidere di non coinvolgerlo nella vendita. L’art. 1703 c.c. invece, nel delineare la nozione del contratto di mandato, prevede che il mandatario abbia l’obbligo di compiere uno o più atti giuridici per conto del mandante. Peraltro l’incipit dell’art. 11.4 recita: “qualora il socio di maggioranza dovesse procedere alla cessione dell’intera propria partecipazione sociale (Partecipazione di maggioranza), lo stesso avrà diritto di offrire in vendita…”. Da ciò se ne deduce, che il socio di maggioranza non ha nessun obbligo neppure con riferimento alla cessione della propria quota. Infine occorre rilevare che l’offerta della vendita a prezzo unitario viene fissato con riferimento anche alla partecipazione del socio “trascinato” al prezzo e alle pronunce giurisprudenziali condizioni stabilite dal terzo: questo è un chiaro indizio a favore del nostro assunto di partenza, ossia il socio di maggioranza negozia nel proprio interesse, non anche in quello del socio di minoranza. Occorre ora valutare se la qualificazione della clausola in termine di opzione call a favore di terzo proposta dal Tribunale di Milano sia o meno da accogliere. In merito è opportuno richiamare i rilievi dell’Arbitro unico che ha ricusato la ricostruzione della clausola come contratto a favore di terzo sia con riferimento alla configurazione della stessa in termini di preliminare a favore di terzo sia con riferimento a quella in termini di opzione a favore di terzo. Secondo il lodo in esame: «in diritto italiano non può esservi contratto a favore di terzo se il terzo anziché essere beneficiario della prestazione dovuta dal promettente e “divertita” verso la sua sfera per volontà ed interesse dello stipulante, è tenuto anch’egli (terzo) a contro- prestare, cioè ad eseguire lui stesso come debitore una prestazione corrispettiva a quella a lui rivolta come creditore-beneficiario»33. Inoltre, come asserito sopra, non è pensabile che il socio di maggioranza stipuli un patto parasociale, da cui trae origine la clausola, e poi pretenda la sua conversione in clausola statutaria al fine di proteggere l’interesse di un futuro terzo, peraltro non ancora identificabile: il socio trascinatore, come evidenziato sopra, agisce nel suo esclusivo interesse, al fine di assicurarsi la sicurezza di un exit quando lo avesse voluto e avesse trovato il terzo idoneo per condizioni e prezzo34. Posto allora che il contratto tra minoranza e maggioranza è un accordo con effetti che si vedano in particolare: Cass.dispiegano solo tra le parti, 19 aprile 2002è necessario a questo punto stabilire se sia o meno ammissibile la proposta del tribunale milanese di interpretare la clausola di trascinamento come un patto di opzione. A nostro sommesso avviso, n. 5707posto che ai sensi dell’art. 1331 c.c. con l’opzione i contraenti convengono che una sola parte abbia il diritto - potestativo - di accettare o meno la proposta irrevocabile della prima, in Giust. civ., 2003, I, 2936, secondo la quale «La diversità invece rimane in una posizione di funzione tra mera soggezione35, effettivamente la clausola de qua presenta forti analogie con l’istituto in esame. Il socio di minoranza è infatti vincolato alla vendita, se il socio di maggioranza decide di offrire al terzo acquirente le due categorie partecipazioni societarie. Va infine resa un’ulteriore critica alla ricostruzione del Tribunale, che considera la clausola sospensivamente condizionata sia ad un’effettiva offerta da parte del terzo, sia al mancato esercizio di istituti – composi- zione prelazione in capo al socio di una lite in questi ultimi ed integrazione del contenuto negoziale nell'arbitraggio – si riflette anche sugli elementi caratteristici minoranza. dell’obbligato alla co-vendita-diritto di ciascuno di essiseguito (c.d. tag along), nonché sui loro presupposti: in quanto se la funzione dell'arbi- trato (rituale o libero) è la definizione di una lite, suo presupposto fondamentale è necessariamente l'esistenza ottenuto con altro corrispettivo che di un rapporto controverso, che induce la volontà delle parti al conferimento mandato a vendere (pur potendo il contratto essere configurato come misto introducendo un obbligo fiduciario in specifiche circostanze). L’A così conclude che: «il socio titolare del diritto di poteri decisori agli arbitri per la risoluzione delle divergenze insorte intorno ad esso. Mentre siffatto conferimento difetta del tutto nell'arbi- traggio, poiché con co-vendita non deve amministrare il mandato i contraenti attribuiscono al terzo un semplice potere integrativo del di determinare il contenuto del contratto, dato che non vi è alcuna controversia su cui si debba esercitare l'opera conciliativacontratto tra terzo e socio obbligato alla co-decisionale vendita in modo da massimizzare l’interesse del terzo; ed il rapporto su cui interviene socio obbligato – cioè curarne principalmente la determinazione dell'arbitratore ha un valore del tutto autonomo e non condizionato dalla preesistenza di precedenti rapporti fondamentali; Xxxxmassima quantificazione., sez» 33 Cfr. lav., 16 maggio 1998, n. 4931, Lodo arbitrale cit., la quale afferma che nella fattispecie portata alla sua attenzione ricorre «non un'ipotesi arbitrato – non avendo inteso le parti deferire alla Commissione la composizione di una lite – ma piuttosto un'ipotesi di arbitraggio, con il quale le parti demandano ad un terzo (la Commissione paritetica) di determinare, in loro sostituzione, uno o più contenuti del contratto già concluso. In tal modo l'arbitratore, con la propria autonoma attività dispositiva, concorre all'integrazione ed alla formazione del contenuto del contratto»; nonché Cass510-511., 28 luglio 1995, n. 8289, cit., laddove afferma che «La differenza tra arbitrato ed arbitraggio deve essere ri- cercata nel contenuto del mandato conferito dalla parti al terzo (o ai terzi) perché mentre nell'arbitrato le parti demandano agli arbitri il compito di risolvere divergenze insorte in ordine ad un rapporto precostituito in tutti i suoi elementi, mediante l'esplicazione di una funzione essenzialmente giurisdizionale, in guisa che la deci- sione sia destinata ad acquistare efficacia simile a quella della sentenza del giudice (arbitrato rituale) oppure mediante la formazione, sul piano negoziale, di un nuovo rapporto riconducibile esclusivamente alla volontà dei mandanti, senza l'osservanza, per la natura non contenziosa dell'incarico, delle norme contenute negli art. 806 e ss. c.p.c. (arbitrato cosiddetto libero), nell'arbitraggio, invece, le parti demandano ad altro soggetto la determinazione, in loro vece, del contenuto di un contratto già concluso ma non completo, in modo che l'arbi- tratore, con la propria attività volitiva ed autonoma, concorre alla integrazione ed alla formazione del conte- nuto del negozio stesso». Si leggano inoltre: Cass., sez. un., 25 giugno 2002, 9289, in Giust. civ., 2003, I, 717; Cass., 19 aprile 2002, n. 5707, in Giust. civ., 2003, I, 2936; Cass., 28 luglio 1995, n. 8286, in Mass.

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Samples: Statutory Clause

XXXXX,. Xx determinazioneIl contratto, Torino 2004, p.793 e ss. 54 X. XXXXX, Il contratto, cit., 851p. 349 e ss. Si vedanoche dipende anche dal modo in cui egli riuscirà a dimostrare a controparte le proprie abilità di partner contrattuale. Proprio la previsione del potere di recesso a vantaggio di una parte incentiva l’altra ad eseguire al meglio la propria prestazione contrattuale, realizzando così uno scambio più approfonditamente: X. redditizio per entrambi e ciò rende immediatamente evidente l’interesse (che tuttavia non può definirsi se non come interesse al “ripensamento”) cui tale pattuizione risponde dal punto di vista del titolare del potere di recesso. Se si considera, poi, che spesso saranno necessari degli investimenti volti a consentire una migliore esecuzione della prestazione e che essi possono normalmente anche essere oggetto di obblighi contrattuali (si pensi ad esempio al caso della affiliazione commerciale), si comprende come una parte possa essere disposta ad assumersi l’onere della valutazione della redditività dello scambio soltanto dopo che l’altra si sia assunta l’obbligo alla esecuzione della prestazione, con i relativi investimenti ad essa funzionali. Proprio dal modo in cui la parte vincolata esegue e/o investe in vista dell’esecuzione la controparte può trarre le informazioni utili (che senza il vincolo dell’altra non si sarebbero rese disponibili) per decidere circa la utilità dello xxxxxxx00. Assumendo un’obbligazione compensata soltanto da un impegno di controparte risolubile ad nutum, pertanto, la parte esposta al potere di recesso acquista una chance di prosecuzione del rapporto che il modo in cui essa investe ed esegue può contribuire ad accrescere. In assenza di particolari condizioni di “debolezza”, che fondino speciali ragioni di protezione della parte esposta al potere di recesso ad nutum, deve ritenersi che essa abbia attribuito a tale chance un valore maggiore del costo che l’obbligazione contrattuale le impone. Il che vale quanto dire che essa avrà valutato la convenienza del contratto scontando dal valore della controprestazione che è destinata a ricevere il costo del rischio derivante dal potere di recesso di controparte (che incide soprattutto sulla possibilità di ammortizzare gli investimenti eseguiti) e che perciò essa avrà richiesto un corrispettivo tale da compensarla anche di questo rischio56. Queste considerazioni inducono a considerare pienamente valida e rispondente ad una ben chiara funzione economica (che comprende costi e benefici per entrambe le parti) la pattuizione che costituisca il diritto recesso ad nutum fondato sul mero ripensamento soggettivo della convenienza economica del contratto, senza che residui 55 Sul valore “informativo” degli investimenti, dal punto di vista della trattativa precontrattuale, ma il problema non cambia nel contesto dell’esecuzione di rapporti di durata, v. J. P. XXXXXXXXXX, Arbitri Bargaining with Uncertainty, Moral Hazard, and Sunk Costs: A Default Rule for Precontractual Negotiations, 44 Xxxxxxxx L.J. 621 (1993); ID., Reshaping the Precontractual Liability Debate: Beyond Short Run Economics, 58 X. Xxxx. L. Rev. 325. 56 Cfr. E. BARCELLONA, Recesso ad nutum fra principio di buona fede e arbitratoriabuso del diritto, cit., 57 ss.; X. XXXXXXXXX, Arbitri ed arbitratori, cit., 205 ss. Di contrario avviso, invece X. XXXXXXXX, Gli arbitrati liberi, in Riv. dir. comm., 1922, I, 649 p. 197 e ss., che fa riferimento all’onere della parte esposta al recesso di “negoziare un’adeguata “monetizzazione” del maggior rischio assunto” (p. 200). alcuno spazio per un sindacato giurisdizionale sugli “interessi” che il singolo atto di recesso in concreto intenda soddisfare57. Ciò tuttavia non esclude affatto, anzi rende pienamente giustificato, data la complementarietà tra funzione economica del recesso e funzione economica degli investimenti, che si dia un controllo di tipo “procedimentale” sulle modalità secondo le quali il recesso sia in concreto esercitato. 9. Il problema del controllo sulle modalità di esercizio del potere di recesso acquista rilievo in particolare nei contratti di durata, perché tali contratti possono tipicamente implicare l’esecuzione di investimenti destinati a generare il loro rendimento nel corso dell’esecuzione del rapporto e l’esercizio del potere di recesso può determinare lo spreco delle risorse investite. Anche dall’esito degli investimenti di controparte, la parte titolare del potere di recesso potrà trarre le informazioni necessarie per decidere circa la opportunità di proseguire nel rapporto. Gli investimenti effettuati, in vista dell’esecuzione del contratto, dalla parte esposta all’altrui potere di recesso, si caratterizzano per essere costi sostenuti in un tempo anteriore rispetto a quello nel quale distingue l‟arbitro dall‟arbitratore perché produrranno i loro rendimenti e pongono un problema di tutela del soggetto che li esegue che dipende dal loro grado di specificità. Quanto più costosa è la convertibilità di tali investimenti in impieghi alternativi, tanto maggiore sarà la perdita economica che il primo pone recesso di controparte procurerà all’investitore. In certi casi tali investimenti possono essere realizzati da una parte in essere esecuzione di precisi obblighi contrattuali58. Ciò non esclude che l’esecuzione di tali investimenti sia rilevante rispetto al sindacato sulle modalità di esercizio del potere di recesso secondo la regola della buona fede esecutiva. L’obbligo negoziale alla esecuzione di investimenti, unito all’attribuzione del potere di recesso fa ritenere che, in linea di principio, il regolamento contrattuale imponga tutto il rischio ad essi relativo alla parte obbligata e soggetta all’altrui potere di recesso, la quale si troverebbe così gravata di un’alea normale del contratto che comprende anche il rischio dell’inutilità degli investimenti. La funzione economica di tali investimenti è normalmente quella di rendere più efficiente l’esecuzione della prestazione contrattuale e/o di incrementarne l’utilità per la parte destinata a riceverla. Essi pertanto, poiché sono in grado di determinare un giudizio incremento del surplus dello scambio, rispondono, in linea di diritto mentre il secondo principio, all’interesse di equità; nonchè entrambe le parti (le quali si divideranno tale surplus in proporzione al rispettivo potere contrattuale). 57 Cfr. X. XXXXXXXX’XXXXX, Gli ar- bitratoriRecesso ad nutum, buona fede e abuso del diritto, cit., 102 . p. 17 e ss. secondo 58 Così, ad esempio, nel caso dei concessionari Renault, deciso da Cass. 18 settembre 2009 n. 20106, cit. La ragionevolezza economica dell’investimento tuttavia, per la parte che ne sopporta il quale gli arbitri intervengono nell‟ambito costo, è legata anche alle residue prospettive di durata del rapporto, poiché da queste dipende la produzione di benefici futuri tali da compensare il costo dell’investimento. Minore è la “certezza” della prosecuzione futura dello scambio, più rischioso sarà l’investimento59. Il regolamento contrattuale, poiché prevede il diritto pubblicodi recesso ad nutum, mentre gli arbitratori è tale da imporre tutto il costo degli investimenti ed il rischio della loro mancata produttività, a carico di una sola parte. Così, la parte che non sopporta il rischio degli investimenti sarà indotta in ogni caso ad insistere sulla stretta osservanza dei parametri negoziali per l’adempimento (che prevedono l’obbligo all’esecuzione degli investimenti e al contempo fanno salvo il diritto di recesso) e quindi a richiedere quantità aggiuntive di investimento, che si suppone producano comunque un beneficio, a prescindere dalle effettive prospettive di prosecuzione del rapporto. In questo modo essa si troverà nelle condizioni di poter imporre alla sua controparte l’esecuzione di investimenti i cui benefici non siano sufficienti a compensarne i costi (per l’investitore), nel caso in cui le prospettive di durata del rapporto siano ridotte. La parte titolare del potere di recesso entro una struttura così congegnata, può dunque incrementare a suo piacimento, entro il rispetto formale dei parametri contrattuali, l’alea che il contratto impone sulla parte obbligata. In questa prospettiva, il problema che si pone è quello di diritto privatoassicurare il mantenimento di una ragionevole proporzione, secondo i parametri contrattuali, tra costi e benefici dell’investimento, per il caso in cui l’orizzonte del rapporto di durata si restringa in dipendenza del potere di recesso di controparte. 42 A. CATRICALÀ, voce Arbitraggio, cit., 2È rispetto a questo problema che opera la regola dell’art. 43 Così già X. XXXXXXXXXXX, Gli arbitrati, Milano, 1937, 251 ss.; X. XXXXXXXXX, Istituzioni di dir. proc1375 cod. civ., I, Napoli, 1950, 70; X. XXXXXXXXX-X. XXXXXXXX, Diritto dell‟arbitrato, Napoli, 1994, 9; P. DI PA- CE, Il negozio per relationem, cit., 51: quest‟ultimo, che impone alle parti di comportarsi secondo buona fede nell’esecuzione del contratto. La buona fede esecutiva ha in particolare, nega autonomia all‟istituto dell‟arbitrato irrituale dicendo che esso, a seconda della controversia su cui verte, rientrerà nell‟arbitraggio ovvero nell‟arbitrato rituale, non essendovi fra i due istituti ricostruzioni intermedie. ti demandano agli arbitri generale il compito di risolvere contrasti sorti garantire che i comportamenti esecutivi delle parti siano effettivamente idonei a far sì che ciascuna presti all’altra quanto questa ha diritto di ricevere in base al contratto e risponde pertanto alla domanda su quali siano i comportamenti delle parti che, in relazione alle concrete circostanze che caratterizzano l’esecuzione del contratto, costituiscano adempimento 59 Pertanto, la funzione economica degli investimenti implica che, per essere produttivi essi debbano essere eseguiti con riguardo ad un rapporto già costituito in tutti certo anticipo rispetto al momento nel quale produrranno i loro benefici; d’altra parte, un investimento eseguito con anticipo eccessivo, può presentare costi potenziali superiori ai suoi elementibenefici potenziali perché la sua ragionevolezza economica può non essere valutabile sulla base delle effettive prospettive di durata dello scambio. Proprio quest‟ultimo orientamento è quello attualmen- te abbracciato in via maggioritaria da dottrina e giurisprudenza44. In realtà le distinzioni maggiormente caratterizzanti fra arbitraggio ed arbitrato si rinvengono soprattutto guardando ai loro risvolti pratici: nei motivi per i quali è impugna- bile la determinazione del terzo (L’esecuzione di un investimento in un numero maggiore di casi nell‟arbitrato momento notevolmente anticipato rispetto all‟arbitraggio, che incontra invece i soli limiti della manifesta iniquità, erroneità e malafe- de come risulta dal dettato legislativo); nella forma dell‟atto (necessariamente scritta nell‟arbitrato ai sensi degli artt. 807 e 808 cod. proc. civ., vincolata invece alla forma del contratto cui è collegato, nell‟arbitraggio)45. La linea di confine fra arbitraggio ed arbitrato è stata tuttavia messa in dubbio con il riconoscimento dell‟autonoma rilevanza della figura dell‟arbitrato irrituale46. Quest‟ultimoa quello nel quale esso diverrà produttivo, infatti, pur consistendo non consente all’investitore di stimare con sufficiente precisione le probabilità di permanenza del rapporto per un tempo sufficiente rispetto al costo ed ai benefici economici dell’investimento; per l’analisi di questi problemi, con particolare riferimento al tempo ottimale per l’investimento v. X. XXXX, When should an offer sitck ? The economics of promissory estoppel in uno strumento di risoluzione delle controversie alternativo alla 44 Per tuttipreliminary negotiations, si leggano: A. CATRICALÀ, voce Arbitraggio, cit., 1; X. XXXXXXX-X. XXXXXXXX, I con- tratti in generale, cit., 149; X. XXXXXXX, Trattato di diritto civile, cit., 237. Quanto alle pronunce giurisprudenziali si vedano in particolare: Cass., 19 aprile 2002, n. 5707, in Giust. civ., 2003, I, 2936, secondo la quale «La diversità di funzione tra le due categorie di istituti – composi- zione di una lite in questi ultimi ed integrazione del contenuto negoziale nell'arbitraggio – si riflette anche sugli elementi caratteristici di ciascuno di essi, nonché sui loro presupposti: in quanto se la funzione dell'arbi- trato 105 Yale L. J. 1249 (rituale o libero) è la definizione di una lite, suo presupposto fondamentale è necessariamente l'esistenza di un rapporto controverso1996), che induce la volontà prende in considerazione il contesto delle parti trattative precontrattuali, nel quadro di un’analisi che sembra applicabile anche al conferimento problema delle prospettive di poteri decisori agli arbitri per la risoluzione delle divergenze insorte intorno ad esso. Mentre siffatto conferimento difetta prosecuzione del tutto nell'arbi- traggio, poiché con il mandato i contraenti attribuiscono al terzo un semplice potere integrativo del contenuto del contratto, dato che non vi è alcuna controversia su cui si debba esercitare l'opera conciliativa-decisionale del terzo; ed il rapporto su cui interviene la determinazione dell'arbitratore ha un valore del tutto autonomo e non condizionato dalla preesistenza di precedenti rapporti fondamentali; Xxxxrapporto., sez. lav., 16 maggio 1998, n. 4931, cit., la quale afferma che nella fattispecie portata alla sua attenzione ricorre «non un'ipotesi arbitrato – non avendo inteso le parti deferire alla Commissione la composizione di una lite – ma piuttosto un'ipotesi di arbitraggio, con il quale le parti demandano ad un terzo (la Commissione paritetica) di determinare, in loro sostituzione, uno o più contenuti del contratto già concluso. In tal modo l'arbitratore, con la propria autonoma attività dispositiva, concorre all'integrazione ed alla formazione del contenuto del contratto»; nonché Cass., 28 luglio 1995, n. 8289, cit., laddove afferma che «La differenza tra arbitrato ed arbitraggio deve essere ri- cercata nel contenuto del mandato conferito dalla parti al terzo (o ai terzi) perché mentre nell'arbitrato le parti demandano agli arbitri il compito di risolvere divergenze insorte in ordine ad un rapporto precostituito in tutti i suoi elementi, mediante l'esplicazione di una funzione essenzialmente giurisdizionale, in guisa che la deci- sione sia destinata ad acquistare efficacia simile a quella della sentenza del giudice (arbitrato rituale) oppure mediante la formazione, sul piano negoziale, di un nuovo rapporto riconducibile esclusivamente alla volontà dei mandanti, senza l'osservanza, per la natura non contenziosa dell'incarico, delle norme contenute negli art. 806 e ss. c.p.c. (arbitrato cosiddetto libero), nell'arbitraggio, invece, le parti demandano ad altro soggetto la determinazione, in loro vece, del contenuto di un contratto già concluso ma non completo, in modo che l'arbi- tratore, con la propria attività volitiva ed autonoma, concorre alla integrazione ed alla formazione del conte- nuto del negozio stesso». Si leggano inoltre: Cass., sez. un., 25 giugno 2002, 9289, in Giust. civ., 2003, I, 717; Cass., 19 aprile 2002, n. 5707, in Giust. civ., 2003, I, 2936; Cass., 28 luglio 1995, n. 8286, in Mass.

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Samples: Recesso Dal Contratto

XXXXX,. Xx determinazioneIl problema dei patti successori tra diritto vigente e prospettive di riforma, cit.. attinente la volontà del de cuius, 851con specifico riguardo ai vizi sugli intenti perseguiti dal testatore36. Si vedanoTale cambiamento di prospettiva poteva essere così sintetizzato: mentre in precedenza il testamento veniva dichiarato nullo per il sol fatto che fossero presenti disposizioni di ultima volontà contenute in un documento accidentalmente conforme al patto successorio, più approfonditamente: X. XXXXXXXXXXsenza alcun effettivo accertamento sulla reale volontà del de cuius stesso, Arbitri successivamente gli interpreti si sono interrogati sulla concreta esistenza nella scheda testamentaria di even- tuali disposizioni idonee a manifestare la volontà del testatore di disporre della propria successione e arbitratoridi agire pertanto in violazione del divieto di cui all’art. 458 c.c. In seguito a quest’ultimo spostamento del tema d’indagine, cit.vi sono alcuni autori37 che hanno ritenuto che la disposizione testamentaria, 57 ssindotta dall’adempimento di un prece- dente negozio, sia parificabile ad un qualsivoglia errore nella formazione della volontà testamentaria, rendendo così annullabile il testamento quando tale errore sia il solo che ha determinato il testatore a disporre ai sensi dell’art. 624 c.c.; X. XXXXXXXXXaltri38 invece, Arbitri ed arbitratorispecificando che il testatore assume attraverso un patto invalido un vincolo idoneo a incidere sulla successiva determinazione mortis causa, citaffermano che il testamento sarebbe affetto da nullità ogniqualvolta la motivazione della disposizione risultasse dal documento e fosse stata determinante ai sensi dell’art. 626 c.c.39. Nel caso in esame, pur a fronte dell’ampio dibattito dottrinale e del recente orientamen- to di merito40 che ha aderito all’ultima delle tesi sopra esposte, la Corte non prende alcuna posizione in merito alla nullità dei testamenti, sancendola solamente in quanto derivanti da un accordo tra coniugi di cui sono stati tratti gli elementi presuntivi idonei ad integrare il divieto di cui all’art. 458 c.c.; statuizione, 205 ss. Di contrario avvisoquesta, invece X. XXXXXXXX, Gli arbitrati liberi, in Riv. dir. comm., 1922, I, 649 ss.che lascia perplesso l’Autore, il quale distingue l‟arbitro dall‟arbitratore perché il primo pone in essere un giudizio di diritto mentre il secondo di equità; nonchè X. XXXXXXX, Gli ar- bitratori, cit., 102 ss. secondo il quale gli arbitri intervengono nell‟ambito del diritto pubblico, mentre gli arbitratori in quello di diritto privato. 42 A. CATRICALÀ, voce Arbitraggio, cit., 2. 43 Così già X. XXXXXXXXXXX, Gli arbitrati, Milano, 1937, 251 ss.; X. XXXXXXXXX, Istituzioni di dir. proc. civ., I, Napoli, 1950, 70; X. XXXXXXXXX-X. XXXXXXXX, Diritto dell‟arbitrato, Napoli, 1994, 9; P. DI PA- CE, Il negozio per relationem, cit., 51: quest‟ultimoritiene che, in particolaretal modo, nega autonomia all‟istituto dell‟arbitrato irrituale dicendo che esso, a seconda della controversia su cui verte, rientrerà nell‟arbitraggio ovvero nell‟arbitrato rituale, non essendovi fra i due istituti ricostruzioni intermedie. ti demandano agli arbitri il compito siano state lese in maniera irreversibile le dichiarazioni di risolvere contrasti sorti con riguardo ad un rapporto già costituito in tutti i suoi elementi. Proprio quest‟ultimo orientamento è quello attualmen- te abbracciato in via maggioritaria da dottrina e giurisprudenza44. In realtà le distinzioni maggiormente caratterizzanti fra arbitraggio ed arbitrato si rinvengono soprattutto guardando ai loro risvolti pratici: nei motivi per i quali è impugna- bile la determinazione del terzo (in un numero maggiore di casi nell‟arbitrato rispetto all‟arbitraggio, che incontra invece i soli limiti della manifesta iniquità, erroneità e malafe- de come risulta dal dettato legislativo); nella forma dell‟atto (necessariamente scritta nell‟arbitrato ai sensi degli artt. 807 e 808 cod. proc. civ., vincolata invece alla forma del contratto cui è collegato, nell‟arbitraggio)45. La linea di confine fra arbitraggio ed arbitrato è stata tuttavia messa in dubbio con il riconoscimento dell‟autonoma rilevanza della figura dell‟arbitrato irrituale46. Quest‟ultimo, infatti, pur consistendo in uno strumento di risoluzione delle controversie alternativo alla 44 Per tutti, si leggano: A. CATRICALÀ, voce Arbitraggio, cit., 1; X. XXXXXXX-X. XXXXXXXX, I con- tratti in generale, cit., 149; X. XXXXXXX, Trattato di diritto civile, cit., 237. Quanto alle pronunce giurisprudenziali si vedano in particolare: Cass., 19 aprile 2002, n. 5707, in Giust. civ., 2003, I, 2936, secondo la quale «La diversità di funzione tra le due categorie di istituti – composi- zione di una lite in questi ultimi ed integrazione del contenuto negoziale nell'arbitraggio – si riflette anche sugli elementi caratteristici di ciascuno di essi, nonché sui loro presupposti: in quanto se la funzione dell'arbi- trato (rituale o libero) è la definizione di una lite, suo presupposto fondamentale è necessariamente l'esistenza di un rapporto controverso, che induce la volontà delle parti al conferimento di poteri decisori agli arbitri per la risoluzione delle divergenze insorte intorno ad esso. Mentre siffatto conferimento difetta del tutto nell'arbi- traggio, poiché con il mandato i contraenti attribuiscono al terzo un semplice potere integrativo del contenuto del contratto, dato che non vi è alcuna controversia su cui si debba esercitare l'opera conciliativa-decisionale del terzo; ed il rapporto su cui interviene la determinazione dell'arbitratore ha un valore del tutto autonomo e non condizionato dalla preesistenza di precedenti rapporti fondamentali; Xxxx., sez. lav., 16 maggio 1998, n. 4931, cit., la quale afferma che nella fattispecie portata alla sua attenzione ricorre «non un'ipotesi arbitrato – non avendo inteso le parti deferire alla Commissione la composizione di una lite – ma piuttosto un'ipotesi di arbitraggio, con il quale le parti demandano ad un terzo (la Commissione paritetica) di determinare, in loro sostituzione, uno o più contenuti del contratto già concluso. In tal modo l'arbitratore, con la propria autonoma attività dispositiva, concorre all'integrazione ed alla formazione del contenuto del contratto»; nonché Cass., 28 luglio 1995, n. 8289, cit., laddove afferma che «La differenza tra arbitrato ed arbitraggio deve essere ri- cercata nel contenuto del mandato conferito dalla parti al terzo (o ai terzi) perché mentre nell'arbitrato le parti demandano agli arbitri il compito di risolvere divergenze insorte in ordine ad un rapporto precostituito in tutti i suoi elementi, mediante l'esplicazione di una funzione essenzialmente giurisdizionale, in guisa che la deci- sione sia destinata ad acquistare efficacia simile a quella della sentenza del giudice (arbitrato rituale) oppure mediante la formazione, sul piano negoziale, di un nuovo rapporto riconducibile esclusivamente alla ultima volontà dei mandanti, senza l'osservanza, per la natura non contenziosa dell'incarico, delle norme contenute negli art. 806 e ss. c.p.c. (arbitrato cosiddetto libero), nell'arbitraggio, invece, le parti demandano ad altro soggetto la determinazione, in loro vece, del contenuto di un contratto già concluso ma non completo, in modo che l'arbi- tratore, con la propria attività volitiva ed autonoma, concorre alla integrazione ed alla formazione del conte- nuto del negozio stesso». Si leggano inoltre: Cassconiugi., sez. un., 25 giugno 2002, 9289, in Giust. civ., 2003, I, 717; Cass., 19 aprile 2002, n. 5707, in Giust. civ., 2003, I, 2936; Cass., 28 luglio 1995, n. 8286, in Mass.

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